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Curare il disturbo
ossessivo-compulsivo
a cura di
Francesco Mancini
�
&gfaello Cortina Editore
www.raffaellocortina.it
ISBN 978-88-6030-822-1
© 2016 Raffaello Cortina Editore
Milano, via Rossini 4
Prima edizione: 2016
Stampato da
Consorzio Artigiano LVG, Azzate (Varese)
per conto di Raffaello Cortina Editore
Ristampe
o 2 4 5
2016 2017 2018 2019 2020
INDICE
Autori IX
Introduzione
(Francesco Mancini) XIII
Ringraziamenti XVII
Parte prima
La teoria
Capitolo I
Le caratteristiche del DOC e gli interrogativi
che solleva (Francesco Mancin� Stefania Fadda,
Antonella Rainone) 3
Capitolo II
Scopi e credenze determinanti prossimi dei sintomi
ossessivi (Francesco Mancin� Francesca D'Olimpio) 39
Capitolo III
I processi cognitivi nel DOC
(Francesco Mancini, Amelia Gangemi) 69
Capitolo IV
Le risposte agli interrogativi sollevati dal DOC
(Francesco Mancinz; Antonella Rainone) 91
Capitolo V
Disturbo ossessivo-compulsivo e psicosi:
quale relazione? (Maria Pontillo,
Francesco Mancini) 111
v
Indice
Capitolo VI
Disturbo ossessivo-compulsivo e disturbo
ossessivo-compulsivo di personalità: una tesi
sui processi di funzionamento (Roberta Trincas) 1 19
Capitolo VII
Lo spettro ossessivo: disturbo ossessivo-compulsivo
e disturbi correlati (Claudia Perdighe,
Francesco Mancini) 13 1
Capitolo VIII
I modelli neuropsichiatrici del DOC
(Barbara Basile, Marco Saettonz� Francesco Mancini) 147
Capitolo IX
Deficit cognitivi e disturbo ossessivo-compulsivo
(Stefania Fadda, Andrea Gragnanz�
Alessandro Couyoumdjian, Francesco Mancini) 175
Capitolo X
La vulnerabilità nel disturbo ossessivo-compulsivo
(Katia Tenore) 1 99
Parte seconda
La clinica
Capitolo XI
Introduzione alla terapia: il rationale dell'intervento
(Francesco Mancinz� Teresa Cosentino) 219
Capitolo XII
La ricostruzione dello schema di comprensione
del disturbo: obiettivi, procedura, difficoltà
(Giuseppe Romano) 235
Capitolo XIII
Tecniche di ristrutturazione cognitiva
(Andrea Gragnanz� Carlo Buonanno) 249
Capitolo XIV
Disgusto e contaminazione: interventi cognitivi
antidisgusto (Claudia Perdighe, Francesco Mancini) 269
Capitolo XV
L'accettazione del rischio: tecniche cognitive
(Claudia Perdighe, Andrea Gragnani, Antonella Rainone) 289
VI
Indice
Capitolo XVI
L'E/RP come pratica dell'accettazione ( Olga Ines Luppino) 319
Capitolo XVII
La mindfulness per il trattamento del disturbo
ossessivo-compulsivo (Barbara Barcaccia) 347
Capitolo XVIII
L'intervento per la riduzione della vulnerabilità
attuale al DOC ( Teresa Cosentino, Angelo Maria Saliani,
Claudia Perdighe, Giuseppe Romano, Francesco Mancini) 371
Capitolo XIX
Il lavoro sulla vulnerabilità storica
(Katia Tenore, Andrea Gragnani) 3 85
Capitolo XX
La prevenzione delle ricadute e la conclusione
della terapia (Andrea Gragnanz; Katia Tenore) 399
Capitolo XXI
Il ruolo dei familiari nel mantenimento del DOC:
psicoeducazione e psicoterapia (Angelo Maria Saliani,
Teresa Cosentino, Barbara Barcaccia, Francesco Mancini) 407
Capitolo XXII
Trappole durante il trattamento:
credenze e scopi che le determinano e soluzioni
(Angelo Maria Salianz; Francesco Mancini) 437
Bibliografia 459
VII
AUTORI
TX
Autori
x
Autori
XI
INTRODUZIONE
Francesco Mancini
Molte persone nel corso della propria vita hanno sfumate e transito
rie manifestazioni ossessive o sintomi subclinici. Non è raro che si torni
indietro per fugare il dubbio di aver chiuso male la porta di casa o che
ci si senta contaminati avendo usato un bagno pubblico e per questo
ci si lavi un po' più del normale o che si abbia la spiacevole sensazione
che le cose non siano a posto come dovrebbero essere o che una propria
azione non sia stata eseguita con la dovuta accuratezza e che quindi sia
meglio tornarci sopra, magari più volte. Pensieri aggressivi, blasfemi o
sessualmente perversi o comunque ritenuti moralmente disdicevoli pos
sono intrudere nella mente di tutti e a volte accade che ci si impegni nel
tentativo di neutralizzarli. Nella maggior parte dei casi si tratta di mani
festazioni occasionali, di breve durata, che non intaccano la qualità di
vita delle persone. Tuttavia, in alcune persone questi sintomi sono così
pervasivi e invalidanti da meritare la diagnosi di DOC. Quante persone,
nel mondo, stanno soffrendo per il DOC? In accordo con le ricerche epi
demiologiche si tratta di circa tre persone ogni duecento abitanti della
Terra. Non ci sono differenze tra i sessi e nemmeno tra le culture. Nella
maggioranza dei casi il disturbo è iniziato nell'adolescenza, di solito in
modo non improvviso ma ingravescente, e si è cronicizzato. È possibile
che il DOC si manifesti anche in età precoce, più raro è invece l'esordio
in età avanzata. n disturbo implica sofferenze molto intense e prolun
gate, compromette seriamente il funzionamento sociale, lavorativo e la
qualità della vita nel suo complesso. Riduce, infatti, la possibilità di rag
giungere obiettivi scolastici e occupazionali adeguati alle potenzialità
del paziente: per esempio, può ritardare o rendere impossibile il com
pletamento degli studi universitari. Determina discontinuità lavorativa
e perdita del lavoro, compromette le relazioni sociali, familiari e senti-
XIII
Introduzione
XIV
Introduzione
xv
Introduzione
XVI
RINGRAZIAMENTI
XVII
PARTE PRIMA
LA TEORIA
I
Era sera, Maria aveva finito il suo lavoro in ufficio e stava rientrando a casa.
Era molto stanca, da qualche tempo si sentiva giù di morale: la vita aveva preso
una piega molto diversa da quella che si aspettava. Non era per nulla conten
ta di sé e delle sue scelte. n matrimonio si stava rivelando una routine piatta e
deludente; il figlio, amatissimo, era anche fonte di incombenze e responsabili
tà senza fine; la gestione della casa rappresentava un peso senza contropartita.
Maria si rimproverava aspramente per non essere riuscita a dare alla propria
vita quella svolta che aveva sognato e che avrebbe dovuto compensarla delle
frustrazioni, delle squalifiche e delle critiche che la madre le aveva sempre in
flitto. Fin da bambina aveva avuto l'impressione di non andare per niente bene
alla madre, di sbagliare in continuazione suscitando critiche e accuse. Maria
però si rimproverava allo stesso tempo anche per non riuscire ad apprezzare la
famiglia, il lavoro stabile, una buona sicurezza economica.
Due fatti nelle ultime settimane avevano contribuito a peggiorare il suo sta
to: aveva saputo che la malattia che aveva portato alla morte un caro amico di
famiglia era l'AIDS e dei ladri erano entrati in casa sua lasciando tutto sporco
e in disordine. Dopo questi eventi qualcosa era cambiato dentro di lei: aveva
iniziato a provare uno strano disagio, un disagio che assomigliava molto alla
sensazione di essere stata contaminata, sporcata. Aveva cominciato a essere più
attenta allo sporco e più accurata nelle pulizie, aveva iniziato anche a pensare
alle possibili abitudini sessuali dei suoi colleghi e conoscenti e si era informata
su internet sulle modalità di trasmissione dell'AIDS.
Quella sera Maria era ormai arrivata a casa, stava entrando e già sognava
di stendersi sul letto per riposarsi, ma mentre ripercorreva nella mente i mo
menti della giornata, si ricordò che un collega l'aveva presa sottobraccio con
una confidenza che le aveva lasciato una sensazione sgradevole, e un pensiero
preoccupante le attraversò la mente: e se il collega avesse avuto l'AIDS e toccan
dola l'avesse contagiata? Sarebbe stato un disastro, la catastrofe della sua vita.
Come aveva potuto essere così sbadata, non poteva pensarci prima ed evitare
il contatto? Un momento, ma perché avrebbe dovuto essere sieropositivo?
Forse era omosessuale, in fondo che ne sapeva lei della vita che conduceva . . .
3
La teoria
4
Le caratteristiche del DOC e gli interrogativi che solleva
dopo aver toccato la maniglia e dare una passata di disinfettante alla tastiera
del PC. Sarà pure esagerato, ma non si sa mai, meglio un lavaggio in più che
rischiare di prendere l'AIDS. Posso però consultare il mio medico e avere da
lui la conferma che i miei timori sono assurdi. "
5
La teoria
6
Le caratteristiche del DOC e gli interrogativi che solleva
7
La teoria
SCHEMA 1.1
Evento
"E se, senza accorgermene, avessi sfiorato qualcuno per la strada?"
t
Prima valutazione
"E se avessi contratto l'AIDS a causa della mia sbadataggine?"
t
Tentativo di soluzione 1
Lavaggi, ruminazioni, evitamenti, richieste di aiuto e rassicurazione.
Seconda valutazione
"l miei timori di contrarre l'AIDS sono esagerati", inoltre: "l tentativi di soluzione
hanno notevolmente ridotto la qualità della mia vita e di quella dei miei familiari",
"Con loro ho frequenti contrasti", "Temo di poter rendere ossessivo mio figlio",
"La dermatite mi sta devastando le mani", "Ho la sensazione di essere schiava
del disturbo", "Ho l'impressione svii ente di essere una pazza".
t
Tentativo di soluzione 2
Tentativi di scacciare dalla mente il pensiero del contagio dell'AIDS. Evitamento del
le situazioni attivanti, lavaggi preventivi, ruminazioni, richieste di rassicurazione.
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Le caratteristiche del DOC e gli interrogativi che solleva
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La teoria
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Le caratteristiche del DOC e gli interrogativi che solleva
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La teoria
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Le caratteristiche del DOC e gli interrogativi che solleva
porta di casa quando un pensiero gli attraversa la mente: "E se avessi chiuso
male il rubinetto del gas?" , e una morsa gli stringe lo stomaco. Cerca di ripren
dere fiato e di tranquillizzarsi: "Lo sai che l'hai chiuso bene, lo hai controlla
to almeno tre volte", ma subito un altro pensiero: " E se ti fossi sbagliato? Sei
sicuro che fossero tre volte? Magari proprio aprendo e chiudendo più volte
per controllare, ti sei confuso e lo hai lasciato aperto ! Eri pure agitato" . " Sì,
ma sei in ritardo, non puoi continuare a dar retta a questi dubbi, perderai il
lavoro anche questa volta ! " " Ma se poi c'è una fuga di gas? A casa non c'è
nessuno che possa accorgersene. Poi magari una scintilla fa scoppiare tutto,
del resto basta la piccola scintilla che fanno gli interruttori della luce quando li
si accende. Potrebbero morire anche quei bambini del piano di sopra e i due
anziani dell'appartamento accanto! Sarebbe un disastro e tutto per la tua su
perficialità ! " " Meglio rischiare di arrivare in ritardo, torno indietro e faccio
un ultimo controllo, dai, è roba di pochi istanti. E poi non posso stare tutto il
giorno con questo sospetto terribile in testa. "
Giovanni rientra in casa, va in cucina, guarda il rubinetto, lo vede chiuso, si
sente sollevato, ma: "Forse non è chiuso del tutto bene, meglio controllare, del
resto sono tornato indietro apposta". Apre il rubinetto e lo richiude: "Meglio ri
petere, non si sa mai", lo riapre e lo richiude ancora una volta, ma: "Ho sentito
bene che la chiavetta è arrivata a fine corsa? Non sono sicuro, meglio ripetere".
A quel punto, per superare i dubbi, cerca di fissare nella memoria l'immagine del
rubinetto chiuso, va verso la porta di casa, esce, fa qualche passo, di nuovo il dub
bio appare nella sua mente, cerca di fugarlo rievocando l'immagine del rubinetto
chiuso, ma non riesce a fidarsi del ricordo: " Mi ricordo bene? E se mi stessi con
fondendo? ". Rientra in cucina e questa volta fissa il rubinetto del gas a lungo, per
imprimersi bene nella memoria l'immagine del rubinetto chiuso. Dopo qualche
minuto di fissazione, comincia ad avere una strana sensazione, vede il rubinet
to, e lo vede chiuso, ma nello stesso tempo non riesce a fugare l'impressione che
possa essere aperto. Si sente angosciato, confuso, e ad aumentare l'esasperazione
interviene anche la consapevolezza che sta rischiando seriamente di perdere il la
voro e di essere preda di un meccanismo folle. Questa consapevolezza si traduce
in autoistruzioni: " Smettila, di controllare! Piantala, esci da questa casa, perde
rai il lavoro e stai diventando matto ! " . Ma queste istruzioni non sono di alcun
aiuto, anzi, sono esasperanti e in alcuni casi diventano controproducenti: "Ok,
adesso torno indietro, controllo un'ultima volta ma per bene, così finalmente mi
convinco, mi tranquillizzo, la pianto con tutta questa follia e corro al lavoro ! ".
13
La teoria
SCHEMA 1 .2
Evento
Chiudo il rubinetto del gas.
t
Prima valutazione
"E se lo avessi chiuso male e, quindi, per una mia sbadataggine, ci fosse una fu
ga di gas, un'esplosione, danni gravi e diverse vittime?"
t
Tentativo di soluzione 1
Controlli ripetuti del rubinetto del gas, tentativi di rassicurazione imprimendo nel
la memoria l'immagine del rubinetto chiuso e, successivamente, ripercorrendo
mentalmente i momenti in cui il gas è stato chiuso, telefonate per verificare che
non ci siano state fughe di gas, ricerca di informazioni sui meccanismi di sicurezza
utilizzati dalla società del gas, posizionamento di segnalatori di eventuali perdite.
t
Seconda val utazione
"l miei timori sono folli, così come i tentativi di soluzione che metto in atto", inol
tre: "Questo disturbo ha ricadute negative sul mio lavoro " .
t
Tentativo di soluzione 2
Tentativi di imporsi la cessazione dei controlli e tentativi consistenti in "un ultimo
controllo, così finalmente mi tranquillizzo e posso andare al lavoro".
14
Le caratteristiche del DOC e gli interrogativi che solleva
Davide, 26 anni, studente in ingegneria in ritardo con gli esami, vive con i
genitori e un fratello minore, è fidanzato. Il suo disturbo ossessivo è del sotto
tipo pensieri proibiti.
Lasciamo che lui stesso ci racconti come si è svolta una crisi ossessiva.
15
La teoria
persone non danno peso più di tanto a questo genere di pensieri, non
se ne preoccupano e passano ad altro. Davide, invece, attribuisce un si
gnificato drammatico all'aver pensato di poter profittare della morte dei
genitori; infatti, per lui, è l'indizio di un sospetto terribile: desiderare la
morte dei genitori ed essere uno psicopatico omicida.
Al fine di fugare il sospetto, Davide inizia dei test mentali in cui simula
la scena dell'omicidio per controllare se questa suscita in lui orrore o se
tutto sommato invece si sentirebbe di uccidere il padre. Per rendere più
realistico il test, ovviamente, è costretto a immaginarsi arrabbiato come
uno psicopatico. La soluzione tentata da Davide è piuttosto comune e non
ha nulla di speciale. Tutti, infatti, se dobbiamo stabilire cosa ci sentiamo
di fare o di non fare, per esempio se ci va o meno di accettare l'invito in
campagna di un amico, ricorriamo a un sistema simile: ci immaginiamo
di passare il weekend in campagna per vedere che effetto ci fa. Natural
mente, affinché il test sia più valido, è opportuno immaginarsi i momenti
più caratteristici del weekend in campagna, per esempio la sera intorno al
fuoco o la partita a biliardo o la passeggiata nel bosco. Non sarebbe mol
to significativo immaginarsi il momento in cui usciamo di casa, saliamo in
macchina e ci avviamo, perché, dato che sono azioni che facciamo quasi
ogni giorno, immaginare come ci sentiremmo non ci aiuterebbe molto a
capire se vogliamo passare il weekend con l'amico oppure no. Per una ra
gione analoga Davide si immagina arrabbiato come uno psicopatico; infat
ti se si limitasse a immaginare di uccidere il padre, per esempio quando la
mattina prendono assieme il caffè, il risultato sarebbe falsato dall'implau
sibilità della scena, diverso se si immagina di uccidere il padre in preda alla
rabbia. Davide, però, a differenza di chi non è ossessivo, non si contenta
di una sola simulazione, ma la ripete più e più volte, anche perché più la
ripete più l'esito del test gli appare confuso e quindi più si spaventa. Ma
passare ore e ore delle sue giornate a immaginarsi arrabbiato come uno
psicopatico che uccide il proprio padre rafforza in lui il sospetto di avere
intenti omicidi: " Non è normale pensare tutto il giorno a come ammaz
zare il proprio padre, c'è in me qualcosa di grave che non va bene, forse
sono davvero uno psicopatico" . Anche il non riuscire a convincersi di non
avere desideri omicidi diventa a sua volta un nuovo indizio: " Se non rie
sco a rendermi conto con chiarezza che non voglio la morte di mio padre,
allora, forse, è proprio perché la desidero" (Mancini, 2005 ) .
Possiamo descrivere la sequenza ossessiva con uno schema analogo
a quello che abbiamo utilizzato per Maria e per Giovanni (schema 1 .3 ) .
16
Le caratteristiche del DOC e gli interrogativi che solleva
SCHEMA 1 .3
Evento
" l miei hanno u n'assicurazione sulla vita, se fan no un incidente
becchiamo qualcosa."
.t
Prima valutazione
"E se il fatto di aver avuto questo pensiero sign ificasse che sono u no psicopatico
disposto a uccidere i miei genitori per averne l'eredità?"
Tentativo di soluzione 1
Immaginazione ripetuta dell'uccisione del padre. Tentativi di scacciare dalla men
te le immagini aggressive. Confessione al padre dei propri sospetti. Ricerca nella
vita passata di elementi che confermino il sospetto di poter essere un parricida.
Ricerca su internet delle caratteristiche dei parricidi.
Seconda valutazione
"Questo sospetto è esagerato", inoltre "l tentativi di liberarmi del sospetto sono
costosi perché ostacolano lo studio e causano ritardo nel dare gli esami."
Tentativo di soluzione 2
Tentativi di imporsi uno stop dei pensieri e tentativi di liberare la mente sottopo
nendosi a un ulteriore test con la speranza che sia risolutivo.
17
La teoria
SCHEMA 1 .4
Evento
Libri e fogli non perfettamente allineati sulla scrivania.
j,
Prima valutazione
"E se questo disordine causasse un incidente o una malattia ai miei cari? So che è
implausibile, ma posso forse escluderlo con certezza assoluta? Sarei gravemente
colpevole se trascurassi questa possibilità."
j,
Tentativo di soluzione 1
Rituali di ordine e simmetria.
Seconda valutazione
"l miei timori sono infondati ed esagerati " , inoltre: "l tentativi di soluzione
hanno un alto costo".
Tentativo di soluzione 2
Autoistruzioni di interrompere le compulsioni di ordine e simmetria e tentativi di
autoconvincersi dell'infondatezza delle preoccupazioni.
Ossessioni
19
La teorù1
20
Le caratterùtiche del DOC e gli interrogativi che solleva
Tabella 1.2
Principali ossessioni riportate da 145 pazienti con DOC (ripresa e adattata
da Abramowitz, 2006, tabella 1.2, pp. 9-10).
21
La teoria
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Le caratteristiche del DOC e gli interrogativi che solleva
intrudono nella mente dei pazienti ossessivi riflettano i loro timori. In
fatti, chi è preoccupato di poter danneggiare gli altri ha frequentemente
pensieri intrusivi di tipo aggressivo, chi è preoccupato della propria reli
giosità ha pensieri blasfemi, chi teme di commettere errori di sbadatag
gine ha pensieri intrusivi che suggeriscono che qualcosa di importante
possa essere sfuggito al proprio controllo.
23
La teorza
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Le caratteristiche del DOC e gli interrogativi che solleva
Ossessioni e ruminazioni
Il termine "ossessione" nasconde anche un'altra ambiguità. Infatti,
quando il paziente dice: " Sono ossessionato da . . . " , fa riferimento a due
fenomeni funzionalmente ben diversi fra loro. Il primo consiste nella
comparsa di ossessioni endogene o reattive: per esempio, in un pazien
te ossessionato dall'idea di contrarre l'AIDS, può presentarsi l'ossessione
reattiva: "E se dando la mano a quella persona avessi contratto l'AIDS? ! " .
Il secondo fenomeno consiste, invece, nelle protratte ruminazioni che
il paziente compie al fine di convincersi che la possibilità temuta non
si possa realizzare. Le ruminazioni sono, quindi, tentativi di soluzione
del problema posto dall'idea ossessiva. A causa di entrambi i fenomeni
il paziente ha la mente sistematicamente e persistentemente occupata
da pensieri ossessivi.
2 '5
La teoria
Tabella 1.4 Principali compulsioni riportate da 145 pazienti con DOC (ripresa e adattata
da Abramowitz, 2006, tabella 1 .4, p. 14).
Categoria Esempi
Checkinglcontrollo Controlla serrature, finestre, luci, apparecchi
Controlla il bambino mentre dorme per vedere se sta ancora
respirando
Controlla e ricontrolla gli incarichi di lavoro
Washingllavaggio Rituali nel fare la doccia
Usa i guanti di gomma per toccare il bucato
Pulisce il box doccia prima di fare la doccia
Risciacqua le mani più di 40 volte al giorno
Ordine e simmetria Riordina i libri rispettando una particolare simmetria
Rituali mentali Ripete a se stesso la frase: "Niente, nessuno, da nessuna parte"
Ripete tra sé e sé tre volte: "Amo Gesù Cristo con tutto
me stesso"
Neutralizza i pensieri inaccettabili con pensieri "buoni"
Ripercorre mentalmente le conversazioni per essere sicuro
di non aver usato imprecazioni
Ripetizione Riscrive gli assegni bancari
di azioni
Accende e spegne la luce più volte finché non si sente a posto
Conteggi Conta i respiri per evitare i numeri pari
Accumulo Raccoglie e accumula buste e sacchetti vuoti della spesa
Raccoglie oggetti che potrebbero essere utili
per lavori artistici
Miste Confessa tutti i pensieri " cattivi" alla madre
Fa le stesse domande più volte per avere rassicurazioni
Confessa più volte gli stessi peccati al sacerdote
momento in cui sta per mettere in atto una compulsione, il costo della
stessa appare molto elevato, egli rinuncia alla compulsione o magari la
rimanda. Per esempio, molti pazienti riescono a procrastinare le com
pulsioni se si trovano in mezzo a estranei per evitarne i giudizi negativi.
Spesso la compulsione è anche un atto deliberato; infatti in molte cir
costanze è preceduta da un dibattito interno sull'opportunità o meno
di metterla in atto. Come accennato, le finalità delle compulsioni sono
risolvere il problema posto dalle ossessioni e il disagio emotivo che ne
deriva - per esempio, la possibilità di contagio e l'ansia conseguente - e
contenere la necessità di ulteriori e più costose compulsioni. Le com
pulsioni nel DOC, quindi, sono finalizzate a prevenire o neutralizzare una
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Le caratteristiche del DOC e gli interrogativi che solleva
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La teoria
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Le caratteristiche del DOC e gli interrogativi che solleva
L'INSIGHT CRITICO
29
La teoria
presi in giro. La critica che i pazienti fanno del loro disturbo può essere
anche doxastica, cioè il paziente ritiene le sue preoccupazioni ossessive
esagerate o francamente irrealistiche, come Maria che temeva ossessi
vamente di contrarre l'AIDS: " So benissimo che l'AIDS non si contrae nel
modo che io temo ! " . Questa critica non è presente in tutti i pazienti e
spesso è assente nei bambini.
30
Le caratteristiche del DOC e gli interrogativi che solleva
n primo argomento
31
La teoria
stessa costituisca l' appraisal" (Prinz, Nichols, 2010, p . 1 19). L' appraisal
è l'atto con cui si riconosce se e quanto un evento compromette o soddi
sfa i propri scopi, desideri, bisogni o le proprie aspettative (Miceli, Ca
stelfranchi, 1 992) . Per i nostri fini attuali poco conta se l'appraisal è un
atto cognitivo o se è implicito nell'emozione stessa, ciò che conta è che
entrambi gli approcci, cognitivo e non cognitivo, assumono che alla base
dell'esperienza emotiva vi sia il riconoscimento di un effetto dell' even
to critico sui propri scopi, bisogni o valori. Se si riconosce che l'evento
minaccia i propri scopi o li compromette o ne ritarda il raggiungimento
(Carver, Sheier, 1998) , allora si sperimentano emozioni negative. Le os
sessioni attivano emozioni negative e le compulsioni tentano di ridurle.
Si potrebbe ribattere che, come afferma il DSM-5, siano possibili os
sessioni che non evocano ansia. Questa affermazione, tuttavia, è com
patibile con la tesi che le ossessioni siano, agli occhi del paziente, una
minaccia ai suoi scopi. Infatti, in alcune circostanze le compulsioni e gli
altri tentativi di soluzione, in particolare gli evitamenti, sono molto au
tomatizzati ed efficaci, per cui l'ansia evocata dalle ossessioni è imme
diatamente risolta. In questi casi, tuttavia, è sufficiente interrompere le
compulsioni e gli altri tentativi di soluzione per veder comparire l'ansia.
n secondo argomento
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Le caratterz5tiche del DOC e gli interrogativi che solleva
n terzo argomento
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La teoria
n quarto argomento
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Le caratteristiche del DOC e gli interrogativi che solleva
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La teoria
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Le caratteristiche del DOC e gli interrogativi che solleva
SOMMARIO
l. Perché nei pazienti ossessivi le idee intrusive si presentano con tanta frequenza
e sono così persistenti?
2. Perché i pazienti ossessivi danno credito a possibilità di pericolo improbabili
o addirittura implausibili, come per esempio poter contrarre l'AIDS scontrando
un passante?
3. Perché continuano a dar credito a possibilità remote di pericolo, non
occasionalmente, ma in modo protratto e sistematico, nonostante tutte
le informazioni di cui dispongono dovrebbero dimostrare loro il contrario,
nonostante paghino un enorme prezzo di sofferenza e limitazioni e nonostante
siano consapevoli di rappresentarsi la minaccia in modo esagerato?
4. Perché i tentativi di contrastare la propria credenza di pericolo, che i pazienti
sanno essere esagerata, non hanno successo?
5. Perché i tentativi di soluzione ossessivi sono così accurati, ripetitivi e persistenti?
6. E perché spesso sono ritualizzati?
7. Perché i tentativi di soluzione sono compulsivi ovvero pur essendo atti
intenzionali, frutto di una scelta, vengono vissuti dal paziente come atti obbligati,
che si sente costretto a fare?
8. E se sono atti intenzionali, perché i pazienti perseverano nelle condotte ossessive
nonostante sappiano di poter agire diversamente e che sarebbe meglio farlo,
lo desiderino e provino a contrastare le richieste del DOC?
9. Perché i timori dei pazienti ossessivi sono settoriali?
10. Quale insieme di scopi e credenze può rendere ragione delle incongruità
e delle variazioni che caratterizzano la sintomatologia ossessiva?
37
La teoria
38
II
39
La teoria
ni, non era tanto il danno materiale, quanto la colpa di averlo facilitato
per sbadataggine. Giovanni, infatti, non era ossessionato dalla possibi
lità che la madre, con cui conviveva, lasciasse aperta la porta di casa, in
quanto, qualora fossero entrati i ladri non sarebbe stata colpa sua.
Davide soffriva di ossessioni endogene cioè pensieri del tipo: "Se i
miei muoiono becchiamo qualcosa " , che considerava indizi della pos
sibilità di essere un assassino psicopatico disposto a uccidere i genitori
per l'eredità e, dunque, una persona moralmente indegna.
Roberto era ossessionato dall'ordine e dalla simmetria. Se non avesse
messo in ordine libri e fogli sulla sua scrivania, si sarebbe sentito colpe
vole di far rischiare ai suoi cari incidenti e malattie.
L'analisi di questi casi suggerisce che la minaccia costituita dalle os
sessioni sia una minaccia a scopi morali e che le compulsioni e le altre
attività siano finalizzate a prevenire o neutralizzare tale rischio.
La tesi su cui si fonda questo libro è che il determinante psicologico
prossimo dei sintomi ossessivi sia lo scopo di prevenire una colpa, più
specificatamente, come vedremo, una colpa deontologica, vale a dire
una colpa legata alla trasgressione di norme morali. L'eventuale falli
mento di tale scopo è percepito come una catastrofe inaccettabile e in
sopportabile.
L'idea che alla base del DOC vi sia un esagerato senso morale è antica.
Come anticipato nell'introduzione, già nel XVII secolo Taylor ( 1660) , un
vescovo che per primo descrisse in modo accurato il disturbo ossessi
va-compulsivo (DOC), riteneva che alla radice del disturbo vi fosse una
scrupolosità esagerata, un eccesso di religiosità e una spiccata attitudi
ne alla preoccupazione morale. Freud stesso ( 1909), nel famoso saggio
Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva (Caso clinico dell'uomo dei
topi), ha sottolineato la rilevanza del senso di colpa. Più recentemente
la letteratura cognitivista (Salkovskis, Forrester, 2002; Obsessive Com
pulsive Cognition Working Group [OCCWG] , 1 997 ; Rachman, 1 993 ;
Salkovskis, 1 985 ) , ha attribuito un ruolo cruciale per lo sviluppo e il
mantenimento del DOC all' inflated responsibilityl e al timore di colpa
(Mancini, Gangemi, 2004) .
Attualmente un'ampia serie di ricerche, sia di natura correlazionale
sia sperimentale, ha approfondito la relazione che esiste tra in/lated re
sponsibility, timore di colpa e DOC.
40
Scopi e credenze determinanti prossimi dei sintomi ossessivi
LE RICERCHE CORRELAZIONALI
41
La teoria
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Scopi e credenze determinanti prossimi dei sintomi ossessivi
LE RICERCHE SPERIMENTALI
43
La teoria
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Scopi e credenze determinanti prossimi dei sintomi ossessivi
2. Uno scopo altruistico è uno scopo terminale che ha due contenuti: il bene dell'altro, inteso
sia come bene oggettivo (per esempio, che un figlio vada a scuola) sia come bene soggettivo (per
esempio, che il figlio non soffra). Un contenuto meno ovvio, che però appare evidente in caso di
legami affettivi stretti, è il desiderio di stare vicino all'altro se questi è in difficoltà (Parisi, 1977).
La vicinanza può anche essere non strettamente fisica e assumere la forma della partecipazione,
della condivisione: per esempio si ha il desiderio di stare accanto a un caro amico che ha subito un
lutto partecipando al suo dolore, tra l'altro, evitando di andare a divertirsi.
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La teoria
sarei potuto tornare a casa. Stavo preparando la mia borsa quando il mio
amico entrò in camera. Era sconvolto: il medico gli aveva diagnosticato
un cancro. Ancora adesso non riesco a sopportare l'idea che io ho ripreso
la mia vita e lui è rimasto in ospedale affrontando un'esperienza terribile.
Mi sento in colpa per non aver condiviso la sua sorte. (Mancini, 2008)
Mi trovavo di guardia nel mio reparto ospedaliero quando mi hanno
chiamato da un altro reparto dove era ricoverato mio padre. Appena ar
rivato mi resi conto che mio padre era entrato in coma e stava per mo
rire. Tornai di corsa nel mio reparto per avvertire un paziente che non
avrei potuto parlarci quel giorno. Ritornai da mio padre e vidi che nel
frattempo era morto. A distanza ormai di diversi giorni mi sento ancora
molto in colpa per non essergli stato accanto, lo so che non sarebbe ser
vito a niente, neanche a consolarlo, visto che era già in coma. Mi ripeto
anche, che mi sono allontanato per una buona ragione e che non pensa
vo proprio che mio padre sarebbe morto così rapidamente, tuttavia mi
sento in colpa per non essergli stato vicino in quel momento, per non
avergli tenuto la mano mentre moriva. (Ibidem)
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La teoria
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Scopi e credenze determinanti prossimi dei sintomi ossessivi
con il ricevente. Il proponente può decidere quanta parte dare al ricevente e quanta parte tenere
per sé. Il ricevente può decidere se accettare o rifiutare la proposta. Se la rifiuta nessuno dei due
ottiene nulla. Da notare che, nell' Ultimatu m Game, una proposta può essere considerata equa,
per esempio se è 50% per ciascuno, o iniqua, se per esempio il proponente lascia solo il 20% al
ricevente, ma le proposte sono sempre finanziariamente vantaggiose per il ricevente perché l'al
ternativa è non avere nulla e, dunque, chi la rifiuta lo fa esclusivamente per ragioni di giustizia.
Nella versione cosiddetta in terza persona, utilizzata nell'esperimento citato, la decisione di ac
cettare o rifiutare la proposta del proponente spettava a un giudice che decideva per conto del
ricevente, senza che gliene derivasse alcun beneficio. Nell'esperimento, i soggetti in cui era stata
indotta fierezza morale e quelli in cui era stato indotto senso di colpa altruistico, consideravano
inique e inaccettabili proposte che i soggetti non si sentivano in diritto di sanzionare rifiutandole,
pur considerandole ingiuste.
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La teoria
diali sono attivate da compiti di teoria della mente e sono associate alla
rappresentazione delle intenzioni altrui (vedi per esempio Blair, 1995 o
Shallice, 2001 ) e alla esperienza di empatia e compassione. Sono dunque,
aree coinvolte nella comprensione della mente della vittima (Moli, de
Oliveira-Souza, Moll et al., 2005 ) . L'insula, invece, è associata a esperien
ze di disgusto e auto-rimprovero (Rozin, Haidt, McCauley et al., 2000).
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IL DISGUST05
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Scopi e credenze determinanti prossimi dei sintomi ossessivi
McKay et al., 2010; Cisler, Olatunji, Lohr, 2009; Schienle, Stark, Walter et
al., 2003 ; Thorpe, Patel, Simonds, 2003 ; Charash, McKay, 2002; Woody,
Tolin, 2002; Mancini, Gragnani, D'Olimpio, 200 1 ; Muris, Merckelbach,
Nederkoorn et al. , 2000) e compiti comportamentali - di evitamento
(Deacon, Olatunji, 2007 ; Olatunji, Cisler, Deacon et al. , 2007a; Tsao,
McKay, 2004) hanno mostrato che la propensione all'esperienza del di
sgusto è associata alla sintomatologia ossessiva. Altri studi hanno riscon
trato che i pazienti ossessivi mostrano una maggiore propensione al di
sgusto rispetto ai soggetti con disturbi d'ansia o ai soggetti non clinici
(D'Olimpio, Cosentino, Basile et al., 2013 ; Olatunji, Tart, Ciesielski et al.,
201 1). Molte ricerche hanno dimostrato una relazione fra propensione al
disgusto e sintomi del tipo washing (Nicholson, Barnes-Holmes, 2012;
Olatunji, 2010; David, Olatunji, Armstrong et al., 2009; Cougle, Lee,
Horowitz et al. , 2008; Sawchuk, Olatunji, De Jong, 2006; Tolin, Woods,
Abramowitz, 2006; Olatunji, Williams, Lohr et al., 2005 ; Schienle, Stark,
Walter et al., 2003 ) . Olatunji (2010) ha trovato che la diminuzione del
la reattività a stimoli disgustosi precede la riduzione dei sintomi del ti
po washing in dodici settimane di trattamento intensivo. Altre ricerche,
tuttavia, hanno riscontrato che l'alta propensione al disgusto consente
di prevedere anche sintomi del tipo ordine e simmetria (Melli, Chiorri,
Carraresi et al., 2015) e sintomi del tipo checking e che questa relazio
ne è indipendente dai livelli di ansia e di depressione (D'Olimpio, Co
sentino, Basile et al. , 2013 ; Nicholson, Barnes-Holmes, 2012; Olatunji,
2010; Olatunji, Sawchuk, Lohr et al., 2004; Mancini, Gragnani, D'Olim
pio, 2001). n dato non stupisce perché un'ampia percentuale di pazienti
soffre contemporaneamente di sintomi dei diversi tipi o, nel corso della
propria vita, è transitata da un tipo a un altro. Per esempio, è frequen
te che pazienti il cui sintomo principale sono ossessioni e compulsioni
di controllo, soffrano anche per sintomi del tipo washing o ne abbiano
sofferto in passato. Infine D'Olimpio, Cosentino, Basile e collaboratori
(2013) hanno riscontrato una correlazione significativa tra propensione
al disgusto e gravità dei sintomi ossessivi.
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Tabella 2.1 Item del Not Just Right Experiences-Questionnaire-Revised, versione ita
liana (Ghisi, Chiri, Marchetti et al., 2010; Coles, Heimberg, Frost et al., 2005).
l. Dopo essermi vestito ho avuto la sensazione che parti dei miei indumenti
(etichette, colletti, gambe dei pantaloni, maniche di camicia, ecc.) non calzassero
nel modo giusto.
2. Riponendo un libro sullo scaffale, ho avuto la sensazione che non fosse al posto
giusto con gli altri libri.
3. Chiudendo a chiave la porta di casa, ho avuto la sensazione che lo scatto della
serratura non fosse corretto come al solito.
4. Piegando i miei vestiti, ho avuto la sensazione che non avessero l'aspetto dei vestiti
piegati a dovere.
5. Prendendo nota di qualcosa, ho avuto la sensazione che le mie parole non
apparissero come avrei voluto.
6. Mentre parlavo con qualcuno, ho avuto la sensazione che le mie parole non
suonassero bene.
7. Ordinando la mia scrivania, ho avuto la sensazione che fogli, quaderni e altre cose
non fossero sistemati nella maniera giusta.
8. Mentre imbucavo una lettera, ho avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di
sbagliato nel modo in cui mettevo la busta nella cassetta delle lettere.
9. Dopo essermi lavato le mani, ho avuto la sensazione di non sentirmele pulite nel
modo in cui le mani dovrebbero sentirsi una volta lavate.
10. Appendendo un quadro alla parete ho avuto la sensazione che non fosse appeso
nel modo giusto.
rienza così: "Hanno la sensazione che le loro azioni siano state compiute
in modo incompleto e che non producano la soddisfazione ricercata"
(Pitman, 1987b, p. 226). La NotJust Right Experience può manifestarsi
attraverso diverse modalità sensoriali: attraverso la vista (per esempio,
di documenti o oggetti propri), attraverso l'ascolto preferenziale (per
esempio, per un suono monotonico), attraverso il tatto (come il tocco di
un tessuto) e attraverso la propriocezione (per esempio, la sensazione di
aver completato un'azione) . La NJRE può riguardare anche stati mentali
come mettere bene a fuoco un'immagine mentale o prodotti astratti co
me la completezza di un calcolo mentale (Summerfeldt, 2004). Secondo
Rasmussen e Eisen ( 1992) i pazienti ossessivi spesso riportano una spinta
interna connessa al desiderio di avere le cose perfette, assolutamente cer
te o completamente sotto il proprio controllo (Rasmussen, Eisen, 1 992,
p. 756). Finché questa sensazione di correttezza non è raggiunta, sono
afflitti dalla NJRE (Coles, Frost, Heimberg et al. , 2003 , p. 682). Coles e
collaboratori (Coles, Heimberg, Frost et al. , 2005 ; Coles, Frost, Heim
berg et al. , 2003 ) concludono, quindi, che i pazienti ossessivi spesso ri
portano la sgradevole sensazione che le cose non siano come dovrebbero
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8. L' Harm Avoidance è definita come la credenza che la minaccia sia sempre presente, che l'in
certezza sia intollerabile, che i pensieri intrusivi indesiderati siano pericolosi e che l'individuo sia
personalmente responsabile della prevenzione di un danno avendolo previsto (Frost, Steketee,
2002). Alti livelli di Harm Avoidance sono caratterizzati da un'eccessiva preoccupazione per la
minaccia, da notevoli sforzi compiuti al fine di evitarla (per esempio, eccessiva prudenza), da spa
vento e timore (Cloninger, Svrakic, Przybeck, 1993).
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Nel DOC possono essere identificati due temi abbastanza distinti. n pri
mo è simile a quello che si osserva in altri disturbi d'ansia. In questo caso,
si notano chiaramente il ruolo primario dell'ansia anticipatoria, la sensi
bilità a una potenziale minaccia e un esagerato evitamento del pericolo.
Questa visione è quella che ha influenzato in misura maggiore la diagnosi
e il trattamento del DOC. Tuttavia, i clinici che si occupano di pazienti os
sessivi spesso notano che il profilo dei propri pazienti non corrisponde a
questa descrizione. n secondo tema, è quello che attiene alla N]RE.
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La teoria
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Scopi e credenze determinanti prossimi dei sintomi ossessivi
Lucio era quasi costantemente impegnato a controllare che ogni suo ge
sto fosse compiuto perfettamente, stava bene attento in modo da prevenire la
NJRE e da ricordare ogni passaggio compiuto: entrare e uscire dal bagno, lavar
si, come pure orinare ed evacuare, vestirsi, allacciare le scarpe e uscire di casa
erano svolti con la massima attenzione. Se sentiva di aver eseguito male queste
semplici azioni quotidiane, si sentiva costretto a ripeterle finché non riusciva a
raggiungere laJust Right Experience. Per Lucio agire "male" non aveva alcuna
implicazione di danno, nemmeno di tipo magico-superstizioso; piuttosto, riferi
va con chiarezza che la NJRE era, per lui, sovrapponibile alla sensazione di esse
re una persona moralmente indegna. Non a caso la sintomatologia peggiorava
se si sentiva in colpa, in particolare in tre circostanze: se aveva avuto rapporti
sessuali con prostitute o transessuali, se non aveva adempiuto il suo dovere di
studente e se aveva mancato di rispetto alla madre, soprattutto se questa non
gli parlava e appariva imbronciata.
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La teoria
CONCLUSIONI
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III
INTRODUZIONE
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La teoria
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indicate e che tutte le altre sono impossibili, mica c'è scritto che scon
trarsi con un passante sieropositivo per la strada NON è pericoloso" ;
"Nel sito c'è scritto che il contatto con il sangue è pericoloso, e se quel
passante avesse avuto dei tagli o fosse stato sporco di sangue? NON
posso mica escluderlo ! Mi sembra di no, ma potrei ricordare male" ;
"Come pure NON posso escludere che il Ministero non voglia creare
allarmi e dunque non indichi tutte le possibilità di contagio" . Maria
vuole la prova certa di non aver corso alcun pericolo a causa della sua
sbadataggine. Vuole la prova sicura che tutte le possibilità di pericolo,
anche quelle che lei stessa riconosce come poco plausibili, siano fal
se. Supponiamo, per assurdo, che Maria consulti un infettivologo che,
dopo aver aver sottoposto il passante ad analisi opportune, le dica che
non c'è stato alcun rischio di contagio, e dunque di colpa. Si tranquil
lizzerebbe? Non è detto, perché potrebbe dubitare, per esempio, del
la competenza dell' infettivologo e dell'accuratezza delle analisi da lui
compiute. È facile prevedere che Maria, nonostante i suoi sforzi, non
riesca a trovare la prova che cerca. Sempre al fine di essere certa di non
aver nulla da rimproverarsi, Maria si impegna in lavaggi che, magari,
non servono a eliminare il rischio di contagio, ma d'altra parte questo
può fare, dunque questo deve fare. Ma quanti lavaggi sono necessari
per essere certa di averli eseguiti in modo non superficiale e approssi
mativo? Evidentemente tanti. A complicare le cose intervengono altri
due fenomeni. Il primo: la ripetizione dello stesso gesto implica in tutte
le persone, anche in quelle non ossessive, una perdita della fiducia nel
ricordo dei gesti stessi, e dunque alimenta il dubbio di averli eseguiti
male. Il secondo: aver messo in atto i lavaggi, cioè dei comportamenti
di ricerca della sicurezza, implica, nei pazienti ossessivi, una conferma
dell'idea che il pericolo esistesse dawero (vedi più avanti il meccani
smo behaviour as input) .
Ad aumentare la motivazione di Maria a falsificare e neutralizzare
con certezza il rischio contribuisce anche un'altra conseguenza del suo
stato mentale: chi, anche non ossessivo, si sente in colpa per ragioni pru
denziali tende a essere awerso alle scelte rischiose. Nel caso di Maria, la
scelta rischiosa sarebbe non prendere prowedimenti e risparmiarsi tanti
sacrifici (Mancini, Gangemi, 2003 ; Mancini, Gangemi, 2004).
Dunque, il timore di colpa è gestito con una strategia che si artico
la in diversi passaggi e che persegue due obiettivi. Da una parte essere
certi di non aver sottovalutato il pericolo e di non aver soprawalutato
gli esiti dei tentativi di soluzione. Dall'altra non essere stati trascurati e
superficiali nei tentativi di prevenirlo o di neutralizzarlo.
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La teana
LE PROVE
Presentiamo ora le prove per cui il timore di colpa implica una stra·
tegia articolata nei passaggi che abbiamo esemplificato qui sopra, sia ir
pazienti ossessivi sia in persone non affette da DOC, ma nelle quali il ti·
more di colpa è stato sperimentalmente indotto.
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La teoria
Sono appena uscito di casa e mi viene in mente che potrei aver lascia
to il gas aperto, come mi è già successo un'altra volta e come è successo
a quella famiglia di Foligno che ho visto ieri sera al telegiornale; a me
l'altra volta non è successo nulla ma a loro è scoppiata la casa. Poveretti,
sono finiti in un ospizio di beneficenza ! Un mese fa poi l'uomo che viene
a controllare il contatore si è pure tanto raccomandato di fare attenzio
ne perché, mi è sembrato di capire, in questo periodo la società del gas
manda un gas che è particolarmente infiammabile e privo di odore, così
è anche possibile che i vicini non si accorgano di un'eventuale perdita.
Meglio tornare a controllare, anche se arriverò tardi in ufficio per l'en
nesima volta e rischio di essere licenziato. Ma non posso mica rischiare
di far saltare in aria tutto il palazzo!
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La teoria
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La prima strada
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La teoria
La seconda strada
La seconda strategia è di tipo dialettico/dibattimentale. Si anticipa
un'accusa che dà per scontata la colpevolezza (il paziente avrebbe do
vuto agire in maniera più responsabile) e si cerca di dimostrare al di là
di ogni ragionevole dubbio che ogni possibile ragione di accusa sia falsa.
Prendiamo per esempio il resoconto di Maria, il cui disturbo era cen
trato sulla possibilità di contrarre l'AIDS da cui cercava di proteggersi con
rituali di lavaggio ed evitando di toccare oggetti a suo avviso pericolosi,
tra cui i giornali. La ragione di questo specifico evitamento era il timore
che nel giornale vi fosse la foto di un qualche paziente malato di AIDS e
che toccandola avrebbe potuto contagiarsi.
n tutto era iniziato un giorno di diversi anni prima in cui la paziente
aveva acquistato una rivista e, sfogliandola, aveva trovato la fotografia
di un famoso attore americano morente di AIDS.
Riprendiamo adesso la ricostruzione del dialogo interno della pa
ziente:
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I processi cognitivi nel DOC
tra parte mi sono agitata subito e non ho certo fatto attenzione alla
pellicina.
Oh mio Dio ! ! ! Allora davvero ho corso un rischio ! ! ! Ma potevo pen
sarci prima! ! !
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La teorù1
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CONCLUSIONI
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IV
IL PRIMO QUESITO
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IL SECONDO QUESITO
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La teoria
il diavolo esista ?", Fabio rispose che non ci credeva, anzi gli sembrava
un'idea implausibile ma, d'altra parte, riteneva di non poter escludere
con certezza l'esistenza del diavolo e che, trattandosi di un'entità mal
vagia e pericolosa ed essendo la posta in gioco drammaticamente ele
vata, era meglio comportarsi come se il diavolo esistesse davvero. Un
ragionamento del tutto sovrapponibile a quello di Pascal a proposito
dell'esistenza di Dio. Pascal diceva che, non potendo dimostrare l'esi
stenza di Dio, ma d'altra parte non potendo nemmeno dimostrarne la
non esistenza, si trovava inevitabilmente in una condizione di incertezza
e perciò non gli restava che scommettere. Se avesse scommesso sull'esi
stenza di Dio e si fosse sbagliato allora si sarebbe inutilmente sacrificato
per rispettare i vincoli della religione, ma se avesse scommesso sulla non
esistenza di Dio e avesse sbagliato, allora il costo sarebbe stato immen
samente più grande, perché si sarebbe trattato della perdita della vici
nanza eterna a Dio. Gli conveniva, quindi, scommettere sull'esistenza di
Dio e vivere come se Lui esistesse; poi, aggiungeva Pascal, piano piano,
si sarebbe abituato all'idea che Dio esistesse, al punto da convincersene.
Dunque, il paziente dà credito a ipotesi improbabili e implausibi
li perché teme di sottovalutare colpevolmente una minaccia che non è
certo di poter escludere.
Ad aumentare le probabilità attribuite a eventi poco probabili, con
tribuisce anche il senso di colpa, in due modi che abbiamo visto nel ca
pitolo precedente. Menzies e collaboratori (Menzies, Harris, Cumming
et al., 2000; Jones, Menzies, 1997) hanno riscontrato che soggetti non
clinici, soprattutto se con alta colpa di tratto, se si ritengono responsa
bili di un possibile danno, allora lo reputano più probabile e più grave.
Gangemi, Mancini e van den Hout (2007) hanno mostrato come questo
effetto sia più accentuato se si incrementa la colpa di stato con ricordi
di colpe non connesse con il compito sperimentale.
IL TERZO QUESITO
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Le risposte agli interrogativi sollevati dal DOC
Per esempio, Adele era ossessionata dal timore che per superficialità
e scarso impegno, qualche informazione importante potesse sfuggirle
quando studiava; era convinta di non imparare nulla e che per questo
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La teoria
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Le risposte agli interrogativi sollevati dal DOC
catena viene presto dimenticata. " Supponiamo che . . . " e poi si parte da
lì per sciorinare una sequela di conseguenze, magari assai "plausibili".
[ . . . ] L'ultimo anello diventa più rappresentabile alla nostra mente, e la
nostra accresciuta facilità di rappresentazione mentale ce lo fa sembrare
più probabile. (Piattelli Palmarini, 1 993 , pp. 143 e seguenti)
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SETTIMO QUESITO
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Le risposte agli interrogativi sollevati dal DOC
IL NONO QUESITO
E nel caso di Alfonso? Ricostruendo la storia del suo timore si osservava che
il sospetto di aver chiuso male la porta di casa era intruso nella sua mente po
chi giorni dopo che un suo amico era stato vittima di un furto. La prima volta
aveva reagito all'intrusione sgradevolmente sorpreso di non aver mai preso in
seria considerazione questa possibilità, di essere stato quindi un po' superfi
ciale. Aveva cominciato a essere più accurato e attento nella chiusura, ma pro
gressivamente, grazie ai meccanismi ricorsivi che abbiamo descritto più sopra,
la sua preoccupazione era diventata sempre più forte, la probabilità di essere
105
La teoria
causa di un furto, e anche di un furto grave, era via via aumentata ai suoi occhi;
si era, come dire, sempre più focalizzato sulla possibilità di aver chiuso male
ed essere responsabile del furto.
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Le risposte agli interrogativi sollevati dal DOC
Alcuni pazienti sono, inoltre, consapevoli che gli altri non si pongono
gli stessi problemi che si pongono loro, che gli altri non ci pensano o se
ne disinteressano, e questo è proprio quello che gli altri dicono o con
sigliano loro di fare. Al paziente, proprio nei domini ossessivi, dunque,
manca un metro di paragone, il criterio del buon padre di famiglia, del
le linee guida morali che gli dicano quante risorse è doveroso investire
per prevenire il danno temuto.
In secondo luogo, anche se la colpa che il paziente cerca di prevenire
è effettivamente una colpa per lui molto grave, può essere incongrua la
prevenzione. Come afferma il DSM-5, le compulsioni, spesso "non sono
collegate in modo realistico con ciò che sono designate a neutralizzare
o prevenire".
Per esempio, Roberto temeva che i l padre potesse avere una ripresa di ma
lattia e cercava di prevenire questa possibilità con rituali scaramantici, ma non
si ossessivizzava nella prevenzione medica alla quale dedicava, invece, tempo
e attenzioni normali. Le risposte di Roberto ad alcune obiezioni, aiutano a ca
pire. Lo psichiatra gli chiese se effettivamente pensava che i rituali scaraman
tici potessero salvare il padre, e Roberto rispose: " Certo che non credo che i
rituali possano salvare mio padre ! " . "Ma allora perché li fa? " , chiese ancora
lo psichiatra. E Roberto replicò: "Lei o qualcun altro mi può garantire che se
non li faccio non succederà nulla a mio padre? E poi, consideri che mio padre
a tutt'oggi sta bene e io ho fatto i rituali. E se fosse dipeso proprio dai miei ri
tuali? Come potrei escluderlo con certezza? Posso essere sicuro che sia un ca
so? ". Roberto, quindi, non aveva una vera convinzione circa l'efficacia delle
sue scaramanzie, ma scommetteva sulla loro efficacia, al pari di Pascal e di tan
te persone che, per esempio, evitano i gatti neri: " Lo so che è una sciocchezza
ma non si sa mai" . Lo psichiatra, proprio tenendo conto del ragionamento di
Pasca!, insistette: "Capisco, nessuno può darle la certezza, ma lei paga un costo
elevatissimo per i rituali, non sarebbe più utile investire queste risorse nel cer
care i migliori centri oncologici, affinché controllino che la salute di suo padre
sia ben curata? Insomma investirle direttamente negli aspetti medici? ". La ri
sposta di Roberto fu folgorante: "Dottore, ma io sono ossessivo ! Si immagina
la confusione che potrei creare se mi occupassi della salute di mio padre? E poi
sono laureato in scienze politiche e non ho competenze mediche, come potrei
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IL DECIMO QUESITO
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CONCLUSIONI
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v
INTRODUZIONE
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La teoria
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Disturbo ossessivo-compulsivo e psicosi
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La teoria
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Disturbo ossessivo-compulsivo e psicosi
Per quanto riguarda la seconda posizione, cioè quella del DOC con ma
nifestazioni psicotiche come sottotipo del DOC, abbiamo essenzialmente
tre prove contrarie. La prima è che il contenuto dei deliri, caratterizzanti
questi pazienti DOC rispetto ad altri pazienti DOC, è quello tipico dei de
liri psicotici e non del DOC. Ciò quindi deporrebbe a favore dell'ipote
si del DOC con manifestazioni psicotiche e del DOC vero e proprio come
due disturbi a sé stanti. La seconda riguarda l'insight critico: quest'ulti
mo non può essere considerato come unica variabile discriminante nel
supposto continuum tra DOC e DOC con manifestazioni psicotiche. Dai
dati di Kozak e Foa ( 1994) risulta infatti che l'insight critico nei pazienti
DOC è oscillante e dipende dalla distanza dello stimolo temuto, dalla du
rata del disturbo ossessivo e dallo stato d'animo di base, da fattori cioè
che normalmente influenzano l'adesione alle credenze. Nei pazienti con
DOC psicotico, al contrario, la carenza di insight critico sembra una ca
ratteristica stabile. Infatti, nella ricerca di Pelizza e Pupo (201 3 ) l'insight
critico, misurato con gli item dedicati della Y-BOCS ( Goodman, Price, Ra
smussen et al., 1989) , è correlato con i punteggi alla SAPS (Scale for Asses
sment of Positive Symptoms; Andreasen, 1996) , strumento volto a rileva
re la sintomatologia positiva della schizofrenia. Le domande sull'insight
critico sono state poste sia ai pazienti DOC con tratti psicotici sia a quelli
"puri", in condizioni identiche, quindi caratterizzate dalla medesima di
stanza da stimoli attivanti, e in una condizione emotiva stabile. Anche la
durata del disturbo ossessivo risultava sovrapponibile tra i due gruppi.
Quindi la differenza di insight critico era ascrivibile ai tratti psicotici del
gruppo DOC psicotico, nel quale la critica deficitaria nei confronti del
le credenze ossessive sembra più un tratto stabile che una variabile di
pendente da quei fattori che normalmente influenzano l'adesione di un
individuo alle proprie credenze. In breve, se la disposizione ad aderire
in modo acritico a credenze bizzarre e anomale è una caratteristica dei
pazienti con alti tratti psicotici, allora non stupisce che questa disposi
zione si attualizzi nel caso in cui questi pazienti soffrano anche di DOC.
La terza prova contraria al considerare il DOC psicotico come sottotipo
di DOC è la presenza, abbastanza frequente in questi pazienti, di distur
bo schizotipico di personalità. In Pelizza e Pupo (2013) ben il 30% dei
pazienti con DOC psicotico presenta disturbo schizotipico di personalità
contro il solo 6% dei pazienti con DOC puro. Da questi dati dunque, an
cora una volta, risulta più plausibile l'idea di una chiara distinzione tra
DOC con manifestazioni psicotiche e DOC vero e proprio. Infatti, proprio
l'elevata prevalenza di disturbo schizotipico di personalità tra i pazienti
con DOC psicotico ci consente di fare una riflessione sulle caratteristiche
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Disturbo ossessivo-compulsivo e psicosi
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La teoria
del tipo: " Se penso a un incidente dei miei cari, allora aumenta la pro
babilità che abbiano davvero un incidente" , questi pazienti si dicono
cose del tipo: "Lo so che questo pensiero è esagerato e implausibile, ma
non ho la prova certa che sia impossibile, e se poi fosse vero? E se non
faccio nulla per neutralizzarlo e poi succede un incidente? Sarebbe col
pa mia ! N on me lo potrei mai perdonare ! N on posso tollerare questo
rischio. Devo assolutamente scacciare il pensiero o neutralizzarlo con
una formula scaramantica ! " . La credenza che i propri pensieri possano
influire direttamente sulla realtà è presa per buona non per una reale
convinzione, ma perché non si può escluderla con certezza e non tener
ne conto; e poi scoprire che ci si è sbagliati avrebbe un costo, soprattut
to in termini di colpa, inaccettabile per il paziente. Pertanto è il timore
di una colpa inaccettabile che facilita il dar credito a possibilità che ap
paiono bizzarre al paziente stesso, almeno inizialmente. Al contrario, un
paziente affetto da disturbo schizotipico, quindi propenso a credenze
bizzarre, tenderà a credere realmente all'intuizione che i propri pensie
ri possano influire direttamente sui fatti, o ad altre possibilità bizzarre,
e dunque a temere di essere responsabile di eventi che, agli occhi della
maggior parte delle persone, appaiono del tutto improbabili e implau
sibili. È sufficiente, pertanto, che questo paziente abbia un timore di
colpa un po' accentuato, per cui possa innescarsi un DOC. Ciò potrebbe
spiegare la prevalenza di DOC psicotico. Le persone affette da disturbo
schizotipico di personalità, e con maggior propensione al senso di col
pa, sarebbero più vulnerabili al DOC.
CONCLUSIONI
Nel complesso, allo stato attuale la ricerca clinica non fornisce dati
certi, dirimenti e discriminanti circa la relazione tra DOC con manifesta
zioni psicotiche e DOC puro. Nonostante questo, il nostro esame critico
della letteratura disponibile ci consente di concludere che, probabil
mente, nella globalità dei pazienti DOC un certo numero di casi, come
avviene per altri disturbi, può presentare una comorbilità con un di
sturbo psicotico o una condizione di rischio psicotico. In quest'ultimo
caso, la comorbilità più frequente sarebbe con il disturbo schizotipico
di personalità in cui la disposizione a credenze anomale e bizzarre "fa
ciliterebbe" il DOC stesso.
118
VI
Roberta Trincas
INTRODUZIONE
1 19
La teoria
IL DOC DI PERSONALITÀ:
CARATTERISTICHE DISTINTIVE ED EPIDEMIOLOGIA
Caratteristiche diagnostiche
Caratteristiche cliniche
120
Disturbo ossessivo-compulsivo e disturbo ossessivo-compulsivo di personalità
Prevalenza
Comorbilità
Funzionamento
121
La teoria
122
Disturbo ossessivo-compu/sivo e disturbo ossessivo-compulsivo di personalità
123
La teoria
1 ?.::1
Disturbo ossessivo-compulsivo e disturbo ossessivo-compulsivo di personalità
125
La teoria
126
Disturbo ossessivo-compulsivo e disturbo ossessivo-compulsivo di personalità
127
La teoria
128
Disturbo ossessivo-compulsivo e disturbo ossessivo-compulsivo di personalità
129
VII
LO SPETTRO OSSESSIVO
DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO E DISTURBI CORRELATI
INTRODUZIONE
13 1
La teoria
I DISTURBI CORRELATI
AL DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
132
Lo spettro ossessivo
sere strappati in qualsiasi parte del corpo in cui crescono, anche se più
frequentemente riguarda i capelli, le sopracciglia e ciglia. La zona dello
strappamento può variare nel tempo, anche banalmente per ragioni co
me il fatto che si cercano zone più nascoste o perché i peli non ricresco
no più nella zona in cui abitualmente erano strappati.
In alcuni casi è un disturbo che si presenta in modo episodico, con
lunghi periodi di latenza, ma più tipicamente è un disturbo che si pre
senta in modo costante con più episodi al giorno.
Si tratta di un disturbo che può causare un disagio significativo per il
soggetto. Di solito inizia nell'adolescenza e può durare decenni.
La ragione per cui è stato inserito nella stessa macrocategoria del di
sturbo ossessivo-compulsivo riguarda principalmente la somiglianza dei
sintomi, anche se come vedremo si tratta di una somiglianza fenomeno
logica e che, come qualunque clinico che tratti questi disturbi può os
servare, non riguarda gli stati mentali e le motivazioni alla base del com
portamento "ripetitivo e compulsivo" presente in entrambi.
133
La teoria
Solo con l'ultima edizione del DSM è stato riconosciuto come distur
bo autonomo e riguarda la difficoltà, persistente e associata a disagio
significativo, a buttare o separarsi dai propri beni, cosa che si traduce
nell'accumulo di una notevole quantità di oggetti, indipendentemente
dalla loro reale utilità e valore. La difficoltà a separarsi dagli oggetti per
cepiti come "propri" ha di solito come conseguenza (salvo intervento
di familiari, servizi sociali o altre figure) l'ingombro della casa fino alla
compromissione della possibilità di usare le varie stanze secondo l'uso
appropriato (per esempio, è possibile che la camera da letto sia inagi·
bile e il soggetto e i suoi familiari siano costretti a dormire in salotto).
Questo disturbo è stato incluso nello spettro ossessivo attraverso un
percorso diverso dagli altri disturbi: nel DSM-III ( 1 980) era tra i criteri
diagnostici del disturbo ossessivo-compulsivo di personalità; dal DSM
IV appare la specificazione che quando il comportamento di accumulo
è particolarmente invalidante, si pone diagnosi di disturbo ossessivo
compulsivo.
L'associazione tra comportamento d'accumulo e disturbo ossessivo
compulsivo è radicata nella descrizione di Freud ( 1 908) del carattere
anale, caratterizzato tra l'altro, da difficoltà a dare e tendenza a tratte
nere in senso letterale e metaforico.
A partire da questa tradizione dell'accomunare comportamento di
accumulo e disturbo ossessivo, si è inserito il disturbo da accumulo nel
ventaglio dei disturbi da valutare per l'inclusione nello spettro ossessivo
(Phillips, Stein, Rauch et al. , 2010). La candidatura del disturbo alla ca
tegoria, quindi, non ha niente a che vedere con gli aspetti di somiglianza
dei sintomi come criterio di inclusione.
È altresì vero che esiste comorbilità tra i due disturbi: circa il 25-30%
delle diagnosi di disturbo ossessivo-compulsivo presenta anche disturbo
di accumulo e circa il l 0- 15 % delle diagnosi di disturbo di accumulo
134
Lo spettro ossessivo
I VALIDATORI: LE CARATTERISTICHE
CLINICHE COMUNI E DISTINTIVE
DEI DISTURBI DELLO SPETTRO OSSESSIVO
135
La teoria
Di questi casi, i primi due, per quanto piuttosto diversi nella loro
manifestazione, sono lo stesso disturbo, ovvero il disturbo ossessivo
compulsivo. Il terzo, la tricotillomania, è un disturbo correlato. Il quar
to non fa parte dei disturbi inclusi in questa categoria, anche se sembra
somigliare molto al primo caso (è un paziente ipocondriaco, classificato
ora tra i disturbi da sintomi somatici e disturbi correlati) .
Cosa ci fa dire che i primi due individui hanno il disturbo ossessivo, il
terzo ha un disturbo correlato e il quarto non ha né un disturbo ossessi
va-compulsivo né un disturbo correlato? Le somiglianze e le differenze
tra questi pazienti secondo noi rimandano a quelli che sono forse i due
principali problemi dei criteri di inclusione nello spettro.
I validatori considerati da Phillips, Stein, Rauch e collaboratori
(2010), in una review della letteratura esistente commissionata dal DSM-5
Anxiety OC-spectrum, Post-traumatic and Dissociative Work Group (la
voro poi utilizzato per la definizione dei disturbi da includere o meno
nello spettro) , sono undici: analogie sintomatologiche, alta comorbilità
tra disturbi, corso della malattia, familiarità, aspetti genetici, fattori di
rischio ambientali, substrati neurali, biomarkers, temperamento, anoma
lie cognitive ed emotive, risposta al trattamento. n primo, le analogie nei
sintomi (la symptom similarity) , che deriva dalla diretta osservazione e
valutazione clinica del disturbo, è per noi il più interessante.
136
Lo spettro ossessivo
137
La teoria
138
Lo spettro ossessivo
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La teoria
140
Lo spettro ossessivo
141
La teoria
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Lo spettro ossessivo
143
La teoria
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Lo spettro ossessivo
CONCLUSIONI
145
La teoria
146
VIII
INTRODUZIONE
L'IPOTESI GENETICA
147
La teoria
148
I modelli neuropsichiatrici del DOC
149
La teoria
150
I modelli neuropsichiatrici del DOC
15 1
La teoria
152
I modelli neuropsichiatrici del DOC
154
I modelli neuropsichiatrici del DOC
SISTEMI NEUROTRASMETTITORIALI
155
La teoria
soggetti non oc, ma con una familiarità positiva per questo disturbo (N i
colini, Cruz, Camarena et al., 1996); il quinpirolo (agonista dei recettori
D21D3) aumenta i comportamenti tipo rituali di controllo in alcuni para
digmi sperimentali (Eagle, Noschang, d'Angelo et al. , 2014). Un'ulteriore
prova del coinvolgimento del sistema dopaminergico nel DOC è fornita
dalla constatazione dell'efficacia terapeutica dei bloccanti dopaminergi
ci nei casi con sintomatologia resistente (Pittenger, Kelmendi, Bloch et
al. , 2005 ; McDougle, Goodman, Leckman et al., 1994; Goodman, Price,
Rasmussen et al., 1989) .
Altro sistema neurotrasmettitoriale indagato è quello glutammater
gico. I recettori glutammatergici sono di due tipi, ionotropi e metabo
tropi. Riguardo il recettore ionotropico NMDA è stata trovata un'associa
zione fra il polimorfismo nella subunità NR2B e il rischio di DOC (Arnold,
Rosenberg, Mun do et al., 2004 ), e studi con la memantina, farmaco che
antagonizza i recettori NMDA, sono risultati promettenti (Stewart, Jenike,
Hezel et al., 2010; Aboujaoude, Barry, Gamel, 2009; Feusner, Kerwin,
Saxena et al. , 2009). Il glutammato può inoltre distribuirsi al di fuori
del vallo sinaptico e, mentre l'attivazione dei recettori NMDA postsinap
tici comporta una trasmissione sinaptica di informazioni, plasticità del
la stessa sinapsi ed effetti trofici sui neuroni, l'attivazione dei recettori
NMDA extrasinaptici inibisce questi stessi processi e può comportare un
danno neuronale (Hardingham, Bading, 2010), tanto che un eccesso di
glutammato può portare al fenomeno detto di eccitotossicità. Per que
sto motivo la concentrazione di glutammato è finemente modulata da
specifici trasportatori di cellule gliali (astrociti perlopiù), che rimuovo
no la molecola dagli spazi peri- ed extra-sinaptici (Danbolt, 2001 ) . Una
frazione minore del glutammato è rimossa dagli stessi spazi attraverso
un trasportatore neuronale denominato EAAC1/EAAT3 e il polimorfismo
del gene che lo codifica è stato per questo ripetutamente associato al
DOC (Shugart, Wang, Samuels et al. , 2009; Stewart, Fagerness, Platko
et al., 2007 ; Arnold, Sicard, Burroughs et al. , 2006; Dickel, Veenstra
VanderWeele, Cox et al., 2006). Circa una decina di studi ha conferma
to questa associazione con un livello di replicazione dei risultati alto e
piuttosto insolito per gli studi genetici dei disturbi psichiatrici (Bloch,
Pittenger, 2010).
Comunque sia, le ricerche di genetica centrate sul sistema glutamma
tergico mostrano molti limiti; la maggior parte delle associazioni geniche
studiate non è stata significativamente replicata (Bloch, Pittenger, 2010),
fatta forse eccezione per il trasportatore EAAT3 , codificato dal gene SlclAl
(Wang, Adamczyk, Shugart et al. , 2010; Kwon, Joo, Nam et al., 2009;
156
I modelli neuropsichiatrici del DOC
SISTEMA IMMUNITARIO
157
La teoria
Slatterly et al. , 2005 ; Pavone, Bianchini, Parano et al. , 2004; Swedo, Leo
nard, Garvey et al. , 1998) e rimane non chiarito se queste manifestazioni
cliniche siano indipendenti, secondarie allo sviluppo del PANDAS o, al
meno in alcuni casi, condividano una comune via patogenetica. Inoltre,
il criterio temporale fra infezione da GABHS, ad alta incidenza in soggetti
in età scolare, ed esordio o peggioramento di sintomi neuropsichiatrici
non significa necessariamente causalità.
IL MODELLO ANATOMOFUNZIONALE
158
I modelli neuropsichiatrici del DOC
l
La teoria
160
I modelli neuropsichiatrici del DOC
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La teoria
MODELLI NEUROFISIOLOGICI
1 62
I modelli neuropsichiatrici del DOC
163
La teoria
CONCLUSIONI
Gli studi riassunti in questo capitolo hanno esplorato gli aspetti neu
robiologici del DOC, aumentando in modo considerevole le nostre co
noscenze sui meccanismi che sottostanno alla sintomatologia ossessiva.
Sono opportuni, tuttavia, alcuni commenti.
Gli studi sull'ereditarietà si prestano a tre osservazioni. Innanzitutto,
hanno dei limiti metodologici legati alle oggettive difficoltà di questo
genere di ricerche. Abbiamo visto, infatti, come negli studi sui gemelli
siano stati usati campioni molto piccoli; non sempre siano stati seguiti
gli stessi criteri clinici per diagnosticare il DOC; talora siano stati coinvolti
anche individui con tratti ossessivi subclinici e come, infine, in molti ca
si, le diagnosi dei soggetti coinvolti fossero note agli sperimentatori (stu
di non doppio cieco) , inficiando l'oggettività delle rilevazioni. Appare,
poi, rilevante l'assenza di studi di adozione e, nel complesso, la scarsa
riproducibilità dei risultati degli studi genetici effettuati nel corso degli
anni, che dipende soprattutto dalla mancanza di uniformità nella sele
zione dei campioni indagati. In secondo luogo, non è chiaro che cosa
è ereditato e rende vulnerabili a un fenomeno complesso come il DOC.
Sono stati proposti molti possibili endofenotipi, da un'elevata propen-
164
I modelli neuropsichiatrici del DOC
165
La teoria
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I modelli neuropsichiatrici del DOC
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La teoria
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I modelli neuropsichiatrià del DOC
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La teoria
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I modelli neuropsichiatrici del DOC
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La teoria
172
I modelli neuropsichiatrici del DOC
sono ben funzionanti rispetto alle leggi della neuroanatomia e della neu
rofisiologia. Analogamente, possiamo supporre che un appassionato ed
esperto di calcio abbia una struttura e un funzionamento cerebrale di
verso da una persona del tutto disinteressata al calcio. Anche in questo
caso possiamo parlare di diversità, ma non possiamo dire che il cervello
del tifoso sia anomalo rispetto alle leggi biologiche che definiscono un
cervello sano e lo differenziano da uno patologico. È evidente che non
basta osservare una diversità per parlare di neuropatologia ! Consideria
mo, ora, il caso di una persona che è mossa da una passione che non è
per la musica o per una squadra di calcio, ma è per la pulizia ed è esper
ta non di pianoforti e nemmeno di schemi di gioco, ma di prevenzione
e neutralizzazione di contaminazioni. Osserviamo che il suo cervello è
diverso da quello di altre persone. Supponiamo ora che uno psichiatra
ci dica che è affetto da disturbo ossessivo-compulsivo, cioè da una psi
copatologia. Questa diagnosi sarebbe sufficiente per affermare che la
diversità osservata sia analoga a quella del paziente affetto da paralisi
progressiva o da ritardo mentale? No, a meno di non osservare condi
zioni anatomofunzionali che siano anomale rispetto alle leggi biologi
che, quelle che discriminano un sistema nervoso sano da uno patologico,
per esempio lesioni degenerative, esiti di traumi, segni di infezione o di
reazioni autoimmunitarie. Suggeriamo, dunque, che non sia legittimo
inferire una neuropatologia solo perché si osserva una diversità, anche
se la diversità osservata nel cervello corrisponde a una psicopatologia !
Se non si ammette questo vincolo, si rischia un paradosso. Possiamo
presumere, per i nostri fini attuali, che il cervello di una persona omo
sessuale sia diverso da quello di un eterosessuale. Nessuno, oggigiorno,
direbbe che l'omosessualità sia una forma di psicopatologia, dunque la
diversità osservata appare analoga a quella riscontrata nei pianisti: di
versi interessi, diversi modi di essere che corrispondono a diversi cer
velli. Ora supponiamo di tornare indietro nel tempo, a sessant'anni fa.
L'omosessualità era considerata una forma di psicopatologia. Questo
avrebbe implicato che la diversità del cervello degli omosessuali fosse
analoga a quella del paziente affetto da paralisi progressiva? Cioè, può
una diversità cerebrale essere neuropatologica o cessare di esserlo, sol
tanto come conseguenza di decisioni convenzionali su cosa è, o non è,
psicopatologico?
173
IX
DEFICIT COGNITIVI
E DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Stefania Fadda, Andrea Gragnani,
Alessandro Couyoumdjian, Francesco Mancini
INTRODUZIONE
175
La teoria
MEMORIA
176
Deficit cognitivi e disturbo ossessivo-compulsivo
177
La teoria
dezza e dei dettagli si riscontra tra la 5" e la 15• ripetizione, ma anche solo
dopo 2-5 ripetizioni si evidenza un leggero effetto di memory distrust.
Radomsky e Alcolado (2010) hanno riscontrato che anche i controlli
mentali ripetuti producono una riduzione della nitidezza, dei dettagli e
della sicurezza nei ricordi. È interessante notare che queste diminuzio
ni della fiducia nella memoria erano modalità-specifiche, infatti, i con
trolli mentali ripetuti non hanno avuto effetti di memory distrust per i
controlli concreti e viceversa.
Nei pazienti ossessivi, similmente a quanto accade nei soggetti non
clinici, la ripetizione dei controlli riduce la fiducia nella memoria dell'e
sito dei controlli stessi, per ragioni identiche, cioè perché la ripetizione
implica riduzione della vividezza e aumento della familiarità del ricor
do (Boschen, Vuksanovic, 2007; Moritz, Wahl, Zurowski et al. , 2007) .
I pazienti con DOC spesso riferiscono che l a tendenza a controllare
ripetutamente e a lungo sia una specifica risposta alla sensazione di in
certezza - "Siccome non posso essere sicuro di averla chiusa, allora con
trollo per essere più sicuro" (Reed, 1985). Clinicamente si riscontra che
tali condotte non producono una diminuzione della sensazione di incer
tezza, ma, paradossalmente, aumentano l'incertezza stessa e dunque il
ricorso ai controlli (per esempio, Rachman, 2002 ; Salkovskis, Forrester,
2002; Mancini, 200 1 ) .
Radomsky, Rachman e Hammond (2001 ) hanno trovato che l a sfi
ducia nella propria memoria peggiora in condizioni sperimentali di in
duzione di responsabilità. Infatti, i pazienti ossessivi, poiché temono di
essere responsabili per esiti negativi, si preoccupano molto dell'accura
tezza della loro memoria e cercano di compensare mediante i controlli
ripetuti; la ripetizione dei controlli diminuisce la fiducia nella propria
memoria. In uno studio su memory distrust condotto su pazienti DOC e
soggetti normali venne aggiunta una condizione di manipolazione della
responsabilità: sbagliare il controllo implicava causare una scossa elet
trica (debole, non dannosa) a un altro partecipante all'esperimento. I
risultati dimostrano che nella condizione di elevata responsabilità i pa
zienti mostravano una ancora più marcata riduzione della sicurezza nella
memoria rispetto ai soggetti del campione non clinico.
Osservazioni cliniche confermano questi risultati: una paziente, per
esempio, riportava di dedicare ore a controllare che non avesse scritto
parolacce nei messaggi che avrebbe dovuto spedire a una collega, mentre
non controllava affatto i messaggi che avrebbe spedito ai familiari. Questo
fenomeno si osserva frequentemente nei pazienti e sarebbe molto difficile
da spiegare con una riduzione della memoria o con un deficit di memoria.
179
La teoria
180
Deficit cognitivi e disturbo ossessivo-compulsivo
181
La teoria
PERCEZIONE
182
Deficit cognitivi e disturbo ossessivo-compulsivo
ATTENZIONE
183
La teoria
Comprensione di testi
Un gioco che spesso i bambini amano fare è quello di ripetere una pa
rola per molte volte di fila: "Mucca mucca mucca mucca mucca, ecc. " .
L'effetto che n e consegue è familiare alla maggior parte degli individui
e consiste in una sorta di alienazione soggettiva, come se la parola di
venisse strana o irreale, sebbene il significato della parola stessa riman
ga integro. Questo fenomeno prende il nome di semantic satiation ed è
molto simile all'esperienza di alcuni pazienti ossessivi, i quali affermano:
"Comprendo ciò che ho letto, ma non sento di poterne essere sicuro" ,
e ripetono la lettura o l a pronuncia di intere frasi al fine di aumentare
la sensazione di sicurezza rispetto alla comprensione di quanto letto.
185
La teoria
Ragionamento
186
Deficit cognitivi e disturbo ossessivo-compulsivo
INFERENTIAL CONFUSION
Immagina che stai guidando l'auto per andare in ufficio. Questa mat
tina hai letto sul giornale di un incidente in cui l'autista di un camion
ha investito una persona e si è allontanato senza essersene accorto. Ti
chiedi come sia possibile che non ci si accorga di una cosa del genere.
Mentre guidi, arrivi a un incrocio e ti fermi al semaforo. C'è molta gente
che aspetta di attraversare. Noti un gruppo di ragazzi che si inseguono
correndo avanti e indietro attraverso la strada. Appena il semaforo di
venta verde parti accelerando. Attraversando l'incrocio odi un grido e
senti un colpo.
1 87
La teoria
188
Deficit cognitivi e disturbo ossessivo-compulsivo
CONTROLLO INIBITORIO
189
La teoria
190
Deficit cognitivi e disturbo ossessivo-compulsivo
191
La teoria
192
Deficit cognitivi e disturbo ossessivo-compulsivo
193
La teoria
A ben vedere, per lui proteggersi dallo sporco è una priorità, e dunque,
perché dovrebbe inibire le compulsioni a favore di un compito che, in
quel momento, gli appare meno importante? Si potrebbe obiettare che
in molti casi il paziente voglia interrompere le compulsioni ma non ci
riesca. Come abbiamo visto nei primi capitoli, quest'evenienza può es·
sere spiegata in modi diversi dal deficit delle capacità inibitorie e, forse,
migliori perché meno ad hoc. La difficoltà a resistere alle compulsioni
è spiegabile, come è spiegabile la difficoltà di resistere alle tentazioni in
generale. Come ampiamente dimostrato da Ainslie ( 1 992, 2001), si de
ve tener conto del fenomeno noto come temporal discounting (vedi an
che capitolo IV): il valore che il paziente attribuisce all'evento critico,
per esempio il pensiero blasfemo intrusivo o il ricordo di un contatto
contaminante, aumenta quando si confronta con l'evento e diminuisce
quando la distanza temporale aumenta. Pertanto, il paziente ritiene che
sarebbe stato più importante non farsi distrarre dal pensiero ossessivo
e continuare l'attività in corso, quando l'evento critico è lontano; pensa
il contrario quando ne è a ridosso.
Si potrebbe obiettare che, a volte, i pazienti ossessivi mentre sono
impegnati nelle compulsioni, tentino di inibirle senza riuscirei. Il falli
mento dei tentativi di inibire i pensieri intrusivi e le compulsioni men
tali è spesso legato al fenomeno " orso bianco" (Wegner, Schneider,
Carter et al. , 1 987 ) , vale a dire che i tentativi di sopprimere i pensieri
hanno l'effetto paradossale di aumentarli. Il fallimento dei tentativi
di inibire le compulsioni, comportamentali e mentali, può dipende
re anche dal fatto che il paziente non sia disposto a pagare il rischio
soggettivo di non metterle in atto. Come se cercasse di imporsi uno
stop, senza accettare i costi dello stop stesso. I costi sono la minaccia
rappresentata dall'evento attivante e le relative emozioni negative che
essa comporta.
"Nella pratica clinica è frequente osservare la capacità, da parte dei
pazienti ossessivi, di posticipare o interrompere i rituali in determinate
circostanze (per esempio, per evitare l'imbarazzo) . Tale capacità rap
presenta la prova che l'abilità di inibire tali comportamenti è integra"
(Abramovitch, Abramowitz, 2014, p. 253 ) .
In conclusione, "le compulsioni nel disturbo ossessivo non sono atti
impulsivi involontari che dipendono da un'incapacità dell'individuo di
inibire la risposta. Al contrario, le compulsioni sono atti pianificati ed
eseguiti con precisione e solitamente programmati con precisione in ri
sposta alle ossessioni" (ibidem) .
194
Deficit cognitivi e disturbo ossessivo-compulsivo
RIFLESSIONI E CONCLUSIONI
Due fatti concorrono a suscitare interesse per il ruolo dei deficit co
gnitivi nelle spiegazioni del DOC. In primo luogo, appaiono facilmente
compatibili con l'approccio neurologico al DOC, cioè con l'idea che il
DOC sia la manifestazione di una patologia del SNC e, in secondo luo
go, sono suggeriti da alcuni aspetti della sintomatologia ossessiva. Per
esempio, la ripetizione dei controlli di un paziente fa venire in mente,
senza grandi difficoltà, che alla base ci possa essere un deficit della ca
pacità di ricordare l'esito dei controlli. Analogamente, un paziente che
riferisce di non essere sicuro di aver visto il rubinetto del gas chiuso o di
averlo immaginato, suggerisce un deficit della capacità di discriminare
fra fatti percepiti attraverso i sensi e le proprie immagini mentali. Come
pure l'ipotesi che il paziente sia affetto da una distorsione del processo
con cui si compiono inferenze può essere suggerita dall'osservazione
che egli dia maggior credito a possibilità astratte, non suffragate da al
cun dato sensibile, per esempio che sulla maniglia della porta di un bar
vi siano tracce di escrementi, rispetto a possibilità sostenute da dati di
realtà provenienti dai suoi stessi sensi, cioè che non ci siano escrementi
perché non se ne vede alcuna traccia e non se ne sente il minimo odo
re.1 L'ipotesi di un deficit di inibizione cognitiva e comportamentale è
suggerita dal fatto che i pazienti faticano a inibire i pensieri intrusivi e
le compulsioni.
Nonostante l'interesse che le teorie del deficit possono suscitare, so
no possibili tre tipi di critiche.
• I deficit cognitivi non rappresentano una condizione sufficiente per
195
La teoria
196
Deficit cognitivi e disturbo ossessivo-compulsivo
197
x
LA VULNERABILITÀ
NEL DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
Katia Tenore
PREMESSA
IL CONCETTO DI VULNERABILITÀ
1 99
La teoria
FATTORI DI RISCHIO
200
La vulnerabilità nel disturbo ossessivo-compulsivo
RESILIENZA
201
La teoria
FAMILIARITÀ ED ENDOFENOTIPO
202
La vulnerabilità nel disturbo ossessivo-compulsivo
da DOC è del 10,3 % , mentre tra le persone non affette è del 2 % (Grabe,
Ruhrmann, Ettelt et al., 2006).
Connesso al tema della genetica è il concetto di endofenotipo, che fa
riferimento a tratti misurabili, di natura sia biologica sia cognitiva, che rap
presentano una variabile intermedia che connette i geni a un determinato
disturbo. Secondo Gershon e Goldin ( 1986) una caratteristica, per essere
definita endofenotipica, deve necessariamente soddisfare certi criteri. In
particolare, secondo gli autori, l' endofenotipo dovrebbe rappresentare
una caratteristica che si rintraccia maggiormente nelle famiglie di persone
affette rispetto alla popolazione generale, deve essere ereditabile e stato
indipendente, cioè manifesta nell'individuo anche se il disturbo non è atti
vo, e deve co-segregare all'interno delle famiglie. Secondo Kendler e Neale
(2010) gli endofenotipi che soddisfano questi criteri possono sia mediare
tra geni e fenotipo clinico su un percorso causale, oppure essere indica
tori di rischio, che condividono una serie di geni con il fenotipo clinico.
La letteratura scientifica ha individuato, come endofenotipi candida
ti per il DOC, aspetti neurocognitivi quali deficit del controllo inibitorio
(Chamberlain, Fineberg, Menzies et al. , 2007 ) , deficit nel set-shzfting
(Viswanath, Reddy, Kumar et al., 2009; Chamberlain, Fineberg, Menzies
et al. , 2007 ) , disfunzioni della corteccia orbita frontale (Chamberlain,
Menzies, Hampshire et al. , 2008 ) , deficit nella pianificazione, nella
working memory (Delorme, Goussé, Roy et al., 2007) e nel processo di
decision making (Viswanath, Reddy, Kumar et al. , 2009) .
Per quanto concerne invece le componenti cognitive, Taylor e Jang
(2011) hanno cercato di approfondire il ruolo giocato dalle credenze os
sessive nella sintomatologia ossessiva in un ampio campione di gemel
li. Nello specifico gli autori hanno ipotizzato e messo a confronto tre
modelli di spiegazione. Nel primo modello fattori genetici e ambientali
influenzerebbero credenze e sintomatologia ossessiva e le credenze, a
loro volta, influenzerebbero la gravità dei sintomi. Il secondo modello
sostiene, invece, l'ipotesi che i sintomi causino le credenze. Nell'ultimo
invece si suggerisce l'idea che le credenze e i sintomi siano causati da
fattori comuni, genetici e ambientali, e che i sintomi non siano causa
ti dalle credenze. Attraverso l'utilizzo della metodologia dei modelli di
equazioni strutturali, gli autori concludono che il modello più rappre
sentativo è il primo, sottolineando il ruolo eziologico che le credenze
disfunzionali svolgono nello sviluppo del DOC.
Le credenze ossessive sembrano giocare un ruolo importante anche
nel cambiamento della sintomatologia ossessiva nel corso del tempo. In
uno studio prospettico (Coles, Horng, 2006), un campione di studenti
203
La teoria
LA VULNERABILITÀ COGNITIVA
204
La vulnerabilità nel disturbo ossessivo-compulsivo
205
La teoria
206
La vulnerabilità nel disturbo ossessivo-compulsivo
207
La teoria
208
La vulnerabilità nel disturbo ossessivo-compulsivo
209
La teoria
2 10
La vulnerabilità nel disturbo ossessivo�compulsivo
211
La teorùt
2 12
La vulnerabilità nel disturbo ossessivo-compulsivo
2 13
La teoria
2 14
La vulnerabilità nel disturbo ossessivo-compulsivo
CONCLUSIONI
2 15
La teoria
2 16
PARTE SECONDA
LA CLINICA
XI
219
La clinica
220
Introduzione alla terapia
22 1
La clinica
222
Introduzione alla terapia
con chiarezza che si controlla di aver chiuso il rubinetto del gas un nume
ro esagerato di volte per un fine moralmente apprezzabile, cioè per non
essere responsabili di un grave rischio per altri, può aiutare il paziente
a contenere le critiche autosvilenti e colpevolizzanti per i costi dei con
trolli. Ciò lo aiuterà, inoltre, a comprendere meglio il senso del proprio
disturbo, a esserne meno spaventato e dunque a ridurre gli spasmodici e
controproducenti tentativi di contrastarlo, favorendo modalità più effi
caci e funzionali di gestione. La condivisione dello schema del disturbo,
dunque, può essere già un modo per ridurre il secondo processo ricorsivo.
A volte, tale condivisione può altresì aiutare il paziente a modulare la
J?rima valutazione e, quindi, a ridimensionare il primo processo ricorsivo.
E il caso, per esempio, dei pazienti ossessionati da pensieri proibiti che,
grazie alla comprensione dello schema di funzionamento del disturbo, ca
piscono che la frequenza e la persistenza dei pensieri proibiti dipendono
dal tentativo di neutralizzarli e non sono la manifestazione di desideri e
disposizioni perverse, malvagie o comunque immorali. Per esempio, Gio
vanna, una paziente afflitta dal timore di poter far del male a suo figlio, si
tranquillizzò dopo la condivisione e comprensione dello schema, notando
che la frequenza con cui comparivano questi pensieri e la loro persistenza
erano diretta conseguenza dei suoi tentativi di prevenirli e sopprimerli: più
lei stava attenta alla loro comparsa, più tentava di neutralizzarli e scacciarli,
più i pensieri tendevano a ricomparire, ancora più prepotenti e invadenti.
Altro vantaggio che deriva dalla condivisione dello schema è il rico
noscimento, da parte del paziente, che lo psicoterapeuta ha una rap
presentazione realistica, accurata e non giudicante del suo disturbo, e
ciò, come è noto (Webb, DeRubeis, Amsterdam et al. , 201 1 ) , favorisce
l'alleanza terapeutica, cioè la disposizione del paziente a collaborare e
impegnarsi nella terapia.
La conoscenza dello schema, inoltre, aiuta il paziente a prendere le
distanze dalla sintomatologia, vale a dire a vederla dall'esterno e, quindi,
a creare le condizioni propizie per intervenire sul suo disturbo. Infine,
può essere utile condividere lo schema del disturbo anche con i familiari
allo scopo di aiutarli a modulare le loro reazioni ai sintomi del paziente,
agendo così sul terzo processo ricorsivo e preparando il terreno per un
eventuale intervento incentrato su di loro.
Nel prossimo capitolo saranno presentati i modi per ricostruire lo
schema, le difficoltà che si possono incontrare, come superarle e come
sfruttarne i vantaggi.
Completata questa prima fase è possibile muoversi in tre direzioni,
ciascuna finalizzata a ridurre uno dei tre processi ricorsivi. Pur mancan-
223
La clinica
do dati che suggeriscano quale sia la successione ottimale con cui af
frontare i tre processi ricorsivi, indicazioni utili possono derivare dalla
ricostruzione dello schema del disturbo.
Posto che la scelta il più delle volte ricade sul primo processo ricorsi
vo - poiché racchiude il cuore del disturbo ossessivo-compulsivo, i mec
canismi e i processi che più contribuiscono al suo mantenimento - in al
cuni casi è opportuno dare al piano di trattamento un ordine di priorità
differente. Per esempio, conviene intervenire sul processo ricorsivo di
secondo tipo se il paziente si colpevolizza e si svilisce molto o se è assai
spaventato dalla sintomatologia. In questo caso, infatti, l'intervento sui
processi ricorsivi di primo tipo può essere ostacolato dal momento che
è difficile affrontare un problema che non si accetta di avere (De Silve
stri, 1999) . È pure utile iniziare dal secondo processo ricorsivo se il fine
principale perseguito dal paziente con le compulsioni e i TS in genera
le è il contenimento dei costi del disturbo stesso (vedi il caso di Lucia).
È opportuno, invece, iniziare dal terzo processo ricorsivo se l' ambien
te familiare è caratterizzato da elevata emotività espressa, dalla tenden
za dei familiari a criticare, disprezzare o colpevolizzare il paziente per il
suo disturbo. È ben noto, infatti, che l'alta emotività negativa espressa
sul sintomo peggiora la prognosi di tutti i disturbi psicopatologici e il
DOC non fa eccezione.
224
Introduzione alla terapia
77"i
La clinica
226
Introduzione alla terapia
critico le ragioni a favore dei TSl si fanno prepotenti e assorbono le sue ri
sorse, anche cognitive, rendendogli difficile tener conto contemporanea
mente anche della metavalutazione. L'inverso accade quando il paziente
si trova lontano dall'evento critico e si confronta con le conseguenze ne
gative del suo sintomo. È importante, quindi, aiutare il paziente a tener
conto contemporaneamente di entrambi i tipi di costi e confrontarli, so
prattutto nei momenti in cui si trova esposto agli eventi critici ed è attiva
la prima valutazione o le sensazioni disturbanti (vedi capitolo xv).
Anche se il paziente realizza che il costo dei TSl è maggiore del costo
del rinunciarvi, di solito pone un'altra obiezione, forse la più importante
per un paziente ossessivo: "Se sono consapevole del rischio di un danno
che posso tentare di prevenire, se ho un sospetto terribile su di me, se
mi sento sporco e non a posto e non tento di fare nulla, neanche a livel
lo simbolico, cioè faccio spallucce come se niente fosse, allora sono un
menefreghista, un irresponsabile, uno che si lascia andare allo sporco e
alla sensazione di non essere a posto e quindi una persona sporca e non
a posto" . Se il paziente è consapevole dell'esistenza di una minaccia, au
menta la percezione di avere il potere di fare qualcosa per prevenirla e,
dunque, di avere il dovere di farlo: " Se non sono consapevole della mi
naccia non posso farci niente! Nel momento in cui mi viene il pensiero,
sento di poter fare qualcosa per impedire che accada e non farlo sarebbe
imperdonabile". Come affermano Wroe e Salkovskis (2000), la decisio
ne di non fare nulla, pur essendo a conoscenza di possibili danni, rende
la persona un agente causale delle eventuali conseguenze negative. Così
il presentarsi di un pensiero intrusivo circa possibili danni, unitamente
alla percezione della propria responsabilità, trasforma un danno cau
sato dall'omissione in una situazione in cui la persona ha - attivamente
e deliberatamente - consentito il verificarsi del danno. Disinteressarsi
delle minacce e delle sensazioni di sporco e Not Just Right Experience
comporta, dunque, per i pazienti ossessivi una colpa e, di conseguenza,
la percezione della diminuzione del proprio valore morale.
Prima di indicare la strategia di gestione di questo punto, la doverosi
tà dell'impegno a prevenire la minaccia, riteniamo opportuno spendere
alcune parole su come gli esseri umani si rappresentano il valore morale
e la sua dinamica. Molte ricerche (per una review, Brandt, Reyna, 201 1 )
dimostrano come gli individui ricorrano a una dimensione verticale per
collocare tutti gli esseri viventi, compresi se stessi, all'interno di una gerar
chia morale che vede al vertice il Bene supremo e al fondo il Male assoluto.
Le stesse ricerche mostrano come peccare, ma anche essere conta
minati da sostanze disgustose, sia associato alla percezione di una di-
227
La clinica
scesa nella gerarchia morale che comporta una diminuzione del valore
e della dignità che ci si riconosce e che si assume sia riconosciuta da
gli altri, accompagnata dall'impressione che chi scende nella gerarchia
sia anche "deumanizzato" e, per esempio, sia più facilmente oggetto di
ostracismo e maltrattamenti. Noi presumiamo che questa sia la discesa
morale intuita dai pazienti nel caso in cui non mettessero in atto i TSl.
Alla luce di queste considerazioni, per aiutare il paziente a rinuncia
re ai TSl senza diminutio e senza alterare i suoi criteri morali è opportu
no aiutarlo a riconoscere che la colpa temuta è compatibile con il rango
morale cui sente di appartenere, cioè riconoscere che certe colpe fanno
parte della vita quotidiana, dell'ordine naturale delle cose e che un'im
perfezione morale non implica indegnità.
A questo punto dell'intervento un'ultima obiezione dei pazienti di
solito è: "Sì, d'accordo su tutto, ma se non ricorro ai TSl sto troppo ma
le, non lo posso sopportare" . È implicita, in questa obiezione dei pa
zienti l'aspettativa che se non mettono in atto i TSl la sofferenza e il disa
gio cresceranno e dureranno per sempre. I pazienti non considerano la
possibilità che la sofferenza e il disagio tendono a diminuire se si accet
tano e non si contrastano, cioè se si ha modo di familiarizzare con essi.
L'intervento terapeutico su questo primo processo ricorsivo, infatti,
si conclude proprio con l'addestramento pratico a tenersi la percezione
di minaccia e le sensazioni sgradevoli correlate, rinunciando ai TSl , per
dare modo al paziente di verificare che, per quanto sgradevole, tale espe
rienza è transitoria e tollerabile. Come descritto nei capitoli specifici,
tale addestramento si può realizzare in diversi modi, da quello più tra
dizionale con l'esposizione e prevenzione della risposta (capitolo XVI),
alla mindfulness (capitolo XVII) e alle pratiche della ACT (capitolo xv) .
In sintesi, al termine dell'intervento sul primo processo ricorsivo ci
aspettiamo che il paziente abbia ridotto il ricorso ai TSl perché ha una
percezione differente della minaccia: la considera accettabile, possibile
e anche tollerabile.
??R
Introduzione alla terapia
229
La clinica
230
Introduzione alla terapia
23 1
La clinica
232
Introduzione alla terapia
233
La clinica
CONCLUSIONI
234
XII
Giuseppe Romano
A B c
Mentre sto uscendo Potrei essermi Ansia
dal bagno, sfioro contaminato e adesso
Rientro a lavarmi
inavvertitamente con le mani trasferire la contaminazione
le mani
la maniglia della porta dappertutto
235
La clinica
236
La ricostruzione dello schema di comprenswne del dzsturbo
A B c
Mentre sto uscendo Potrei essermi contaminato Ansia
dal bagno, sfioro e adesso trasferire la
Rientro a lavarmi
inavvertitamente contaminazione dappertutto
le mani
con le mani la maniglia
della porta Avevo appena finito di fare Tristezza
i miei rituali di lavaggio
Senso di impotenza
e adesso sono nuovamente
contaminato
237
La clinica
Tabella 12.3
A B c
Mentre sto uscendo Potrei essermi contaminato Ansia
dal bagno, sfioro e adesso trasferire la
Rientro a lavarmi
inavvertitamente con le contaminazione dappertutto
le mani
mani la maniglia della porta
C/Al Bl Cl
Rientro a lavarmi le mani Non posso continuare a lavarmi Tristezza
in questo modo . . . Ho le mani
completamente rovinate . . .
Sono davvero uno stupido
238
La ricostruzione dello schema di comprensione del disturbo
SCHEMA 1 2.1
t
Terapeuta: Che succederebbe se si fosse contaminato e trasferisse
la contaminazione dappertutto?
t
Paziente: Sulla maniglia ci sono sicuramente residui di sostanze provenienti
dalle mie parti intime e se ciò accadesse sarebbe terribile . . .
t
Terapeuta: Per quale ragione sarebbe così terribile?
t
Paziente: Perché diffonderei il "mio sporco " (residui di sostanze provenienti
dalle mie parti intime) in giro per casa e contaminerei tutti i miei familiari.
t
Terapeuta: E se ciò accadesse quali sarebbero le conseguenze?
t
Paziente: l miei figli sarebbero contaminati con sostanze provenienti
dalle mie parti intime . . . Sarebbe come avere un contatto sessuale con loro.
t
Terapeuta: E questa evenienza per quale ragione è inaccettabile?
t
Paziente: Sarei un depravato, un padre che commette un incesto . . .
E sarei imperdonabile.
239
La clinica
240
La ricostruzione dello schema di comprensione del dùturbo
SCHEMA 1 2.2
Evento
Chiudo il rubinetto del gas.
J.,
Prima valutazione
"E se lo avessi chiuso male e, quindi, per una mia sbadataggine, ci fosse una fuga
di gas, una esplosione, danni gravi e diverse vittime?"
J.,
Tentativo di soluzione 1
Controlli ripetuti del rubinetto del gas; tentativi di rassicurazione imprimendo
nella memoria l'immagine del rubinetto chiuso e, successivamente, ripercorrendo
mentalmente i momenti in cui il gas è stato chiuso; telefonate per verificare che
non ci siano state fughe di gas; ricerca di informazioni sui meccanismi di sicurezza
utilizzati dalla società del gas; posizionamento di segnalatori di eventuali perdite.
J.,
Seconda valutazione
"l miei timori sono folli, così come i tentativi di soluzione che metto in atto " , inol
tre "Questo disturbo ha ricadute negative sul mio lavoro".
J.,
Tentativo di soluzione 2
Tentativi di imporsi la cessazione dei controlli e tentativi consistenti in "Un ultimo
controllo, così finalmente mi tranquillizzo e posso andare a lavoro".
4
La clinica
242
La ricostruzione dello schema di comprensione del disturbo
243
La clinica
PROCEDURA E DIFFICOLTÀ
NELLA RICOSTRUZIONE DELLO SCHEMA
244
La ricostruzione dello schema di comprensione del disturbo
Nel riferire gli eventi, infatti, tende a essere attento e preciso, a non
tralasciare particolari che, dal suo punto di vista, potrebbero dare adito
a fraintendimenti, incomprensioni e quindi farlo incorrere nella possi
bilità di avere la colpa di non potersi fare aiutare nel modo "giusto" . La
tendenza a riportare i fatti nel dettaglio e il ricorrere a un'elevata accura
tezza nella descrizione possono essere caratteristiche comuni a pazienti
affetti da diversi disturbi ma, nel caso del DOC, tralasciare qualcosa da
comunicare non sarebbe solo spiacevole e doloroso, ma potenzialmente
catastrofico oltreché assolutamente imperdonabile, in quanto potrebbe
compromettere colpevolmente la presa in carico e l'esito della psicotera
pia. Inoltre, il timore di poter essere accusato, successivamente, di aver
commesso un errore del genere induce il paziente a insistere nella pre
cisione per sottrarsi a tale evenienza.
A questa difficoltà, legata specificamente a un'esigenza del paziente,
generalmente se ne aggiunge un'altra, che riguarda lo psicoterapeuta che
dovrà gestire, con fatica, una grande quantità di informazioni racconta
te con dovizia di particolari e in modo farraginoso. La delicatezza della
questione riguarda anche il fatto che il paziente, se interrotto o solleci
tato a stringere sugli aspetti più salienti della propria situazione, potreb
be etichettare l'operato del terapeuta come superficiale e poco attento.
Tra le difficoltà tecniche più specifiche, però, senza dubbio ve ne so
no alcune che rendono complicato questo primo passaggio della tera
pia. In primis, l'individuazione dell'episodio originario e le ragioni dei
dubbi. Spesso, infatti, il paziente affetto da DOC, come riferito in prece
denza, sposta la propria attenzione sulla condotta sintomatica che di
venta condizione principale della sua sofferenza e condizione di man
tenimento del problema.
Per esempio, nel caso di Giuseppe, descritto nel capitolo I (il pa
ziente di 50 anni, afflitto da dubbi intrusivi, persistenti e ripetuti, che
riguardavano eventi da lui stesso riconosciuti come totalmente normali
e insignificanti) , non era facilmente possibile individuare l'avvenimen
to originario che lo aveva portato a sviluppare un disturbo, in quanto,
all'inizio della psicoterapia, era preoccupato di aspetti considerati (da
lui) molto più importanti, come la gestione dei dubbi, il tentativo di con
trollarli, la forte paura di poter essere folle e la consapevolezza amara e
dolorosa di essere il responsabile della permanenza nella condizione di
sofferenza in cui si trovava.
Un'altra difficoltà riguarda l'automatizzazione dei rituali. Molti pa
zienti, infatti, riferiscono di non riuscire a individuare eventi attivanti o
valutazioni di primo livello, ma riportano soltanto la presenza dei ritua-
245
La clinica
246
La ricostruzione dello schema di comprensione del disturbo
247
La clinica
era considerato un ragazzo per bene, attento agli altri, di sani principi
morali, ecc.) ha iniziato a pensare che potesse essere stato contaminato
da Satana e che, poiché si era impossessato di lui, doveva agire per cac
ciarlo via dalla sua vita. Nel tempo le formule che applicava sembravano
rassicurarlo, ma, quando doveva parlarne con me, il dover rievocare il
ricordo originario implicava annullare l'effetto delle formule che, fino
a quel momento, sembravano aver consentito a Andrea di non essere
posseduto da Satana.
CONCLUSIONI
248
XIII
INTRODUZIONE
249
La clinica
250
Tecniche di ristrutturazione cognitiva
25 1
La clinica
Figura 13.1 Grafico a torta delle probabilità dell'evento "Contrarre il virus dell'HIV".
252
Tecniche di ristrutturazione cognitiva
253
La clinica
Tabella 13.4
254
Tecniche di ristrutturazione cognitiva
Tabella 13.5 Fattori causali che contribuiscono alla responsabilità dell'evento temuto
"Crollo del palazzo".
Fattori causali %
Mia omissione 10
Assenza per malattia del capo mastro 5
Ingegnere deputato al calcolo del cemento armato 25
Collaudatore del comune 10
Ingegnere secondo collaudatore 5
Necessità di fare in fretta, causa freddo 35
Operaio della betoniera 10
255
La clinica
Ingegnere deputato
Necessità di fare al calcolo del
in fretta, causa freddo cemento armato
35% 25%
Ingegnere secondo
collaudatore ----·-"'�::- · Mia omissione
5% 1 0%
Figura 13.3 Torta della Responsabilità dei fattori causali dell'evento "Crollo del palazzo",
256
Tecniche di ristrutturazione cognitiva
Nel corso degli ultimi anni, hai trascorso tanto tempo a considerarti
una persona non all'altezza delle tue responsabilità, nonché distratta e
incline all'errore, accusandoti di essere sporco e irresponsabile. Hai con
tinuato a impegnarti in rituali interminabili di pulizia e lavaggio, per evi
tare di contaminare con le tue feci i tuoi vestiti, le tue mani, gli oggetti e
257
La clinica
258
Tecniche di ristrutturazione cognitiva
Anche nel caso dei timori scaramantici può essere adeguato un in
tervento diverso, teso a mettere in discussione le credenze magico-su
perstiziose del paziente in virtù delle quali, come è noto nella lettera
tura sul DOC, egli crede che un pensiero possa avere direttamente un
effetto sulla realtà.2
2. La credenza che un atto mentale possa influire direttamente sulla realtà è nota nella lettera
tura sul DOC come fusione pensiero-evento (Wells, 2008; Shafran, Thordarson, Rachman, 1996;
Rachman, 1993).
259
La clinica
Tabella 13.6 Lista dei pensieri intrusivi riportati da persone senza DOC (adattata da
Abramowitz, 2006).
260
Tecniche di ristrutturazione cognitiva
261
La clinica
250
:�
"'
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Q)
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cr
� 50
L.L
o
2 3 4 5 6 7 R8 59 R 1 O S 1 1 S 1 2 R 1 3 S 1 4 S 1 5 R 1 6 S 1 7
Giorni Giorni e condizioni
-- Registrazione (R) -e- Soppressione (S)
Figura 13.4 Esito della registrazione dei pensieri intrusivi di Davide: sono riportati la
frequenza dei pensieri intrusivi sia in condizioni di monitoraggio sia in condizione di
attivi tentativi di soppressione.
262
Tecniche di ristrutturazione cognitiva
Teoria A
"Sono un molestatore di bambini"
- Mi vengono in mente queste immagini e questi pensieri e quindi potrei agire
- Se mi vengono in mente queste cose vuol dire che sono una persona malvagia,
quindi anche un molestatore di bambini
- Siccome ci ho pensato tante volte, allora è vero
- Uno che non è un pedo@o non pensa a queste cose
- Se non riesco a liberarmene è perché sono davvero un pedofilo
Teoria B
"Sono molto preoccupato di poter essere o diventare un molestatore di bambini"
- I bambini sono la cosa più preziosa che esista sulla Terra e quindi per me sarebbe
proprio la cosa peggiore del mondo
- Ci si spaventa per le cose che stanno più a cuore
- Non sono padrone della mia mente, tant'è che tutti hanno pensieri intrusivi
e anche io ne ho altri che non mi spaventano
- Pensare a una cosa non fa aumentare le probabilità che accada
- Penso che ciò che fanno i pedo@i sia orribile
263
La clinica
Come è stato scritto nei primi capitoli, l'elevato timore di colpa può
portare i pazienti ossessivi a dar credito a nessi di causa magico-supersti
ziosi e, in particolare, a ritenere che pensare a un evento negativo possa
264
Tecniche di ristrutturazione cognitiva
causarlo. Carla temeva che pensare a una malattia grave, come per esem
pio la leucemia, potesse causare quella malattia al figlio. Carla riteneva
che questa possibilità non potesse essere esclusa e che quindi sarebbe
stato da irresponsabili sottovalutarla; di conseguenza, si impegnava in
tentativi di soppressione, formule di annullamento del pensiero e ripe
tizioni del gesto che stava compiendo, per esempio stirare i pantaloni
del figlio, quando il pensiero pericoloso era apparso nella sua mente,
finché non riusciva a compierlo senza pensarlo. Nei pazienti che sono
anche schizotipici, vi può essere una reale credenza circa il potere dei
pensieri di incidere direttamente sulla realtà (Lee, Cougle, Telch, 2005 ) .
In questi casi, Wells (2008) suggerisce alcune domande per mettere
in discussione la cosiddetta fusione pensiero-realtà.
- Quali prove ha che i pensieri possano causare gli eventi?
- Quali prove possiede che i suoi pensieri indichino che è accaduto
qualcosa di sgradevole?
- Quanti controlli ha effettuato per verificare se i suoi pensieri sono
reali o meno?
- In che modo un pensiero si può trasferire a un oggetto?
- Perché soltanto alcuni pensieri hanno un potere particolare?
- Mi saprebbe dire se ci sono controprove del fatto che i suoi pensieri
abbiano un potere speciale?
- È mai successo che non riuscisse a neutralizzare un pensiero? E qual
è stata la conseguenza?
Possono essere di aiuto alcuni esperimenti comportamentali. Per
esempio, si può chiedere al paziente di comprare il biglietto di una lot
teria e trascorrere trenta minuti al giorno pensando di vincere (Freeston,
Rhéaume, Ladouceur, 1 996) . In alternativa, visto che spesso è sovra
stimato il potere che il pensiero possa causare specificatamente eventi
negativi, si può chiedere al paziente di pensare ripetutamente (circa 50
volte al giorno) che la televisione, o qualsiasi altro oggetto casalingo, si
romperà entro i sette giorni successivi (Dèttore, 2003 ) .
INTERVENTI DI RISTRUTTURAZIONE
SULLA SECONDA VALUTAZIONE
Come abbiamo visto nei capitoli I e XII, i pazienti ossessivi spesso valu
tano negativamente le preoccupazioni ossessive e i TSl . I pazienti si spa
ventano dei sintomi ossessivi (''Sto andando fuori di testa! "); si autosvalu
tano a causa loro ( '' Sono un povero pazzo ! " ) ; e si rimproverano dei costi
265
La clinica
che ne derivano sia per se stessi sia per gli altri ( ''Sto rendendo la vita im
possibile ai miei familiari e non riesco più a rendermi utile"). Dunque cer
cano di contenere i sintomi ossessivi con quelli che abbiamo chiamato TS2.
Alcuni di questi sono utili ma altri sono controproducenti, in par
ticolare i tentativi di gestire la prima valutazione cercando di soppri
merla; per esempio, Ginevra cercava di scacciare dalla mente le idee di
contaminazione e di diminuire il ricorso paradossale ai TSl per cercare
di ridurre i costi del disturbo; per contenere il numero dei lavaggi au
mentava gli evitamenti e le richieste di rassicurazione e a volte si lavava
le mani per evitare di diffondere la contaminazione in casa e poi sentirsi
costretta a lavare gli oggetti che avrebbe toccato.
Interventi paradossali
266
Tecniche di ristrutturazione cognitiva
Metafore
267
La clinica
CONCLUSIONI
268
XIV
DISGUSTO E CONTAMINAZIONE
INTERVENTI COGNITIVI ANTIDISGUSTO
INTRODUZIONE
269
La clinica
201 1 ) .
Partiamo, però, dall'osservazione di un caso.
Giovanna, una signora di 58 anni, sposata con due figli ormai grandi, a cau
sa del DOC era andata precocemente in pensione dal suo lavoro di insegnante.
Il suo disturbo le impediva qualunque attività non solo lavorativa ma anche
sociale, praticamente non usciva più di casa. Il suo DOC era centrato sulla pos
sibilità di essere contaminata da sostanze provenienti da cadaveri. Non teme
va in alcun modo di poter contrarre una malattia, ma l'idea di essere entrata in
contatto con corpi umani in decomposizione suscitava in lei un'insopportabile
sensazione di schifo. Gli eventi critici erano i più disparati, poiché ai suoi occhi
un numero sterminato di oggetti poteva essere contaminato, oltre ovviamente
ai cimiteri, le chiese dove si svolgono i funerali, i bar accanto alle chiese dove va
la gente dopo essere stata a un funerale, i parenti e gli amici di persone morte.
Il fulcro della sua difesa era il proprio corpo e, a seguire, gli oggetti e gli spazi
della casa che sentiva suoi in un senso più intimo. I tentativi di soluzione era
no, oltre agli evitamenti, i lavaggi, che eseguiva con lisoformio. Il tutto era ini
ziato più di vent'anni prima a seguito della morte per un incidente domestico
della figlia di una sua collega. Da principio aveva avvertito un aumento della
responsabilità verso i propri figli e nell'ambito di una più generale attenzione
protettiva verso di essi aveva cominciato a evitare di collegare, anche in modo
simbolico, i propri figli con qualunque cosa avesse a che fare con la morte. Cir
ca cinque anni dopo l'esordio, ebbe un grave peggioramento quando morì il
figlio di una parente, a causa di un incidente d'auto, e lei non ebbe la forza di
andare a trovare la parente. Se ne sentì molto in colpa; per usare una sua espres
sione si sentì un "verme" . Da allora la " sensibilità per la morte" non fu più me
diata dai timori magici di danno per i propri figli ma divenne chiaramente una
270
Disgusto e contaminazione
271
La clinica
273
La clinica
274
Disgusto e contaminazione
275
La clinica
276
Disgusto e contaminazione
277
La clinica
N ormalizzazione
278
Disgusto e contaminazione
ta ( '' Nel prendere in mano una banconota, cosa teme che rimanga sulla
sua mano? Nel contatto con una panchina della metro, cosa esattamente
teme che le rimanga addosso? Provi a visualizzare di cosa è fatto esat
tamente lo sporco da cui cerca di proteggersi" ) . Questo può, da un lato
far riflettere il paziente sul fatto che lui stesso non sa esattamente cosa
teme, di cosa è fatto lo sporco, e dall'altro, costringerlo a ridefinire in
modo meno generico e aspecifico lo sporco.
279
La clinica
fatti, è pensare che dopo un contatto con una banconota, rimangano sul
proprio corpo "pezzi di feci" , altra cosa è chiarirsi di quali sostanze si sta
parlando in termini di molecole e atomi. Per Giovanna, per esempio, fu
molto utile farsi un'idea più precisa della trasformazione della materia
organica, e visualizzare le polveri provenienti dal cimitero come azoto,
carbonio, ossigeno, ecc. piuttosto che come parti di cadavere.
• Riflettere sul fatto che sul pianeta Terra c'è una quantità finita di ato
mi e molecole; che il paziente stesso è fatto di atomi e molecole ricombi
nati numerose volte nella storia dell'universo; che molto probabilmente
in passato gli atomi di cui è composto sono stati parte di quella materia
organica che è percepita ora come disgustosa (''Secondo lei di cosa sia
mo fatti? Che fine fanno gli atomi che ci compongono quando moria
mo? Da cosa sono composte le feci o l'urina? Di cosa era fatto Giulio
Cesare? E ora quegli atomi e molecole dove saranno? " ) . Considerare
"la storia" di atomi e molecole all'inizio può essere ansiogeno per il pa
ziente in quanto fa percepire tutto come inevitabilmente contaminato;
poi può però essere rassicurante rispetto alla normalità della contami
nazione, almeno storica, di quasi tutta la materia e alla propria ridotta
responsabilità ( ''Allora non ci posso fare niente" ) .
280
Disgusto e contaminazione
281
La clinica
gettiva di sporco, può essere utile individuare episodi recenti in cui non
si è provata la sensazione, ma potenzialmente si è stati "a rischio" e vi
ceversa. Per esempio, Giovanna non entrava in un certo bar perché una
volta ci aveva visto una vedova, ma entrava tranquillamente nello studio
dove non sapeva se poco prima era stato qualcuno che frequentava ci
miteri. Allo stesso scopo può essere utile far notare come la sensazione
non sia uno stimolo discriminante per la contaminazione; per esempio,
infatti, il contatto con alcuni virus può contagiare, senza "provocare la
sensazione di contaminazione" .
282
Dzsgusto e contaminazione
283
La clinica
284
Disgusto e contaminazione
285
La clinica
con lo sporco) o che per ragioni non connesse alla loro volontà hanno
vissuto in condizioni di sporco estremo, rimanendo intatte dal punto di
vista etico (per esempio, persone sopravvissute ai campi di concentra
mento o a condizioni di guerra estreme) .
Aiutare il paziente a stabilizzare il suo senso di valore morale, svin
111111
286
DiSgusto e contaminazione
CONCLUSIONI
287
La clinica
288
xv
INTRODUZIONE
289
La clinica
290
L'accettazione del rischio
291
La clinica
292
I:accettazione del rischio
293
La clinica
294
L'accettazione del rischio
- Qual era lo scopo del paziente nella situazione attivante? Cosa voleva
evitare? Quale danno colpevole? (Per esempio, il rischio di un crol
lo del palazzo per una propria disattenzione, l'AIDS per un contatto
fortuito con un collega con abitudini promiscue, ecc.).
- Cosa ha ottenuto rispetto allo scopo? Alla fine, è stato più sicuro di
aver fatto di tutto per non far crollare il palazzo? Per quanto è dura
ta la maggiore sicurezza?
295
La clinica
Il dialogo socratico
296
I;accettazione del rischio
297
La clinica
298
L'accettazione del rischio
Messa afuoco dei costi dei TSl rispetto ad altri scopi esistenziali
Partendo dalla ricostruzione dello schema di funzionamento del di
sturbo e dall'aver evidenziato, come descritto nel capitolo XIII, il conflit
to tra la prima e la seconda valutazione, possiamo procedere chiedendo
al paziente di stilare una lista di vantaggi e svantaggi relativa all'insisten
za nei tentativi di soluzione. La finalità è far emergere, mettere a fuoco
e sottolineare il peso degli svantaggi in termini di rinunce premature a
299
La clinica
Vantaggi
- Evito o riduco il dubbio di essermi contagiata e di poter contagiare mio figlio.
- Diminuisco l'insopportabile paura del contagio e del disagio.
- Riduco la possibilità di causare un danno a mio figlio e di sentirmi tremendamente
in colpa.
Svantaggi
- Ho perso completamente la mia autonomia, difatti non riesco a fare nulla da sola:
lavorare e potermi sostenere; stare con gli altri; prendermi cura del mio aspetto
(andare dal parrucchiere, dall'estetista, in palestra, ecc).
- Mi sto distruggendo i capelli, le mani, il corpo, sto diventando orribile e nessuno
mi vorrà più.
- Non riesco a essere una buona madre che segue, rispetta, accudisce e protegge
e che si gode le soddisfazioni che danno i figli.
- La mia famiglia si sfascerà, mio marito che amo mi lascerà, mi leveranno mio figlio
perché non sono in grado di accudirlo. Tutti staremo male e io sarò anche la
colpevole di tutto questo.
- Sarò sempre più sfiduciata e insoddisfatta di me stessa, la mia vita non avrà
più senso.
scopi e desideri importanti. Nella tabella 1 5.2 troviamo la sintesi del la
voro fatto da Ginevra, la paziente descritta nel capitolo XIII, che temeva
di contagiare sé e il proprio figlio con il virus dell'HIV, in seguito al pen
siero o all'immagine di aver toccato del sangue.
Guardando la tabella dei vantaggi e svantaggi dell'attività ossessi
va emerge quanto tale attività comporti la compromissione continua
e progressiva di altri scopi esistenziali importanti per la paziente, co
me per esempio l'autonomia personale, l'integrità fisica, l'amabilità,
la fiducia in se stessa e l'essere una madre accorta e amorevole. Sarà
nostro compito aiutare la paziente a trasformare questi costi, che fre
quentemente assumono anche una valenza depressiva, oltre che in un
fattore motivazionale verso la terapia, anche in un ridimensionamen
to dell'investimento nell'attività preventiva. Per far questo il paziente
deve avere una chiara rappresentazione dei costi dell'attività ossessiva
non solo dopo aver messo in atto i TSl (come fa sempre quando si cri
tica: seconda valutazione), ma piuttosto prima di agirli. Per esempio,
nel caso di Ginevra:
00
L'accettazione del rischio
di tutti gli altri aspetti importanti della vita per me, come per esempio
l'essere una madre amorevole, sentirmi autonoma, preservare la fiducia
in me stessa e potermi sentire amata.
302
I:accettazione del rischio
303
La clinica
Prima fase
- Descrivi l'evento per il quale ti senti maggiormente in colpa adesso.
Come ti giudichi? (Quanto valuti grave la tua colpa in una scala da O a 100?)
Seconda fase
- Considera una persona che conosci abbastanza bene (giudicata degna di stima
e di affetto) .
- Immagina che questa persona abbia commesso la colpa che tu hai commesso
o che cerchi di prevenire.
- Come la giudicheresti? (Quanto valuti grave la sua colpa?)
Terza fase
- Considera alcune delle persone che conoscono sia te sia l'altra persona (giudicate
degne di stima e di affetto).
- Come la giudicherebbero? (Quanto ciascuna di loro valuta grave la sua colpa?)
Si annotano le ipotetiche valutazioni di un soggetto alla volta tra quelli elencati.
Quarta fase
- Considera le stesse persone che conoscono sia te sia l'altra persona.
- Come ti giudicherebbero? (Quanto ciascuna di loro valuta grave la tua colpa?)
Si annotano le ipotetiche valutazioni di un soggetto alla volta tra quelli elencati.
Quinta fase
- Come ti giudichi? (Quanto valuti grave la tua colpa?)
Sesta fase
- Rielaborazione finale.
304
I:accettazione del rischio
305
La clinica
306
L:accettazione del rischio
Procedure di distancing
Un altro modo per favorire la decastrofizzazione dello scenario te
muto è aiutare il paziente, attraverso procedure di distancing, a distin
guere la realtà di una colpa ( '' Ho fatto qualcosa che causerà un danno a
mio figlio" ) , dall'esperienza soggettiva di colpa ( " Mi sento in colpa" ) . Se
un'esperienza è avversiva, una risposta naturale è l' evitamento e l'allon
tanamento non solo dalla situazione che la crea ( "Evito di fare qualcosa
che giudico colpevole" ) , ma anche dall'esperienza emotiva in sé ( ''Evito
o cerco di azzerare l'esperienza soggettiva di colpa, la sensazione e l'i
dea di essere colpevole" ) (Hayes, Strosahl, Wilson, 2012). Inoltre, come
visto nel capitolo II, sperimentare un'emozione può facilmente essere
assunta come la prova dell'esistenza di una causa di questa emozione
(al/ect as in/ormation: "Se mi sento in colpa, significa che ho fatto qual
cosa di sbagliato" ) . La stessa cosa avviene con i pensieri che possono
essere assunti come prova di un dato di realtà ( " Se ho pensato che sono
omosessuale, significa che lo sono" ) .
307
La clinica
3 08
L'accettazione del rischio
La delusione
La defusione mira ad alterare le relazioni funzionali patogene tra pen
sieri e altri stati interni, rinunciando a cambiarne la frequenza o forma e
mira a indebolire l'impatto del significato letterale di un pensiero o ricor
do. Lo scopo delle procedure di defusione, dunque, non è la riduzione
della frequenza o forma di un pensiero, ma la riduzione della sua credibi
lità (penso lo stesso "faccio schifo " , ma aderisco meno al suo significato
letterale). È un modo per togliere credibilità e potere ai pensieri, senza
discuterne la veridicità in modo diretto (alternativa quindi al debating).
Defusione si contrappone a fusione, il polo patogeno dello stesso
processo. Per fusione si intende la totale aderenza ai propri pensieri: i
pensieri (descrizioni verbali di un evento) acquistano la proprietà di sti
molo; pensare " Nell'altra stanza mi sembra che ci siano i ladri" equiva
le a credere e organizzarsi su questo; pensare " Sto morendo" equivale
a credere che si sta davvero morendo. Il problema è che molti pensieri
sono espressioni di esperienze del passato, di particolari sensibilità per
sonali, di inferenze, ecc., per cui avere un pensiero non equivale al fatto
che il pensiero sia aderente alla realtà attuale delle cose.
Per favorire la defusione si usano tecniche che facilitano la discon
nessione tra un pensiero, un ricordo, un'immagine mentale e le rispo
ste del soggetto a questi. Nello specifico del paziente ossessivo, il target
delle procedure di defusione sarà il dialogo interno associato allo sce
nario di colpa. Per esempio: " Se non mi lavo le mani dopo aver buttato
qualcosa nella spazzatura, inizio a preoccuparmi e a sentire ansia. Temo
infatti di potermi ammalare e che questo avvenga perché sono stata così
309
La clinica
Mentre sta leggendo u n libro Ariel viene disturbata d a una mosca che
gironzola per la stanza facendo un ronzio fastidioso. La ragazza è talmen
te impegnata a seguire i movimenti della mosca che interrompe la lettura,
chiude il libro e si innervosisce. Inizia a seguire la mosca per ucciderla
e così facendo crea una grande confusione dentro la stanza e sulla scri
vania rompendo alcuni oggetti ed entrando in uno stato di frustrazione.
Se la ragazza avesse lasciato gironzolare la mosca tranquillamente
accettando l'intrusione del rumore senza prendere provvedimenti com
portamentali, sarebbe riuscita a continuare a leggere, concentrandosi e
senza entrare in uno stato emotivo negativo. (Weg, 2010)
3 10
I:accettazione del rischio
Accettazione esperienziale
L'accettazione esperienziale è l'attiva e consapevole accoglienza delle
proprie esperienze, rinunciando a cambiarne la frequenza o la forma.
Nella pratica clinica equivale ad addestrare il paziente a stare dentro la
sofferenza, piuttosto che a contrastarla, costruendo un atteggiamento
del tipo: " Voglio accettare, e non contrastare, le esperienze che vivo" .
Lo scopo è imparare a ridurre l'investimento sulla loro prevenzione e
accettare la normalità del disagio (vs lo scopo " assenza di disagio" ) . L'e
sito atteso è la sospensione di qualsiasi attività di contrasto. n target degli
311
La clinica
3 12
L'accettazione del rischio
Uno dei modi per facilitare la rinuncia a uno scopo è favorire l'inve
stimento su scopi alternativi desiderabili e raggiungibili, sia attraverso
una ridefinizione degli scopi attivi sia attraverso l'individuazione di altri
scopi nello stesso dominio, quello morale, su cui orientare l'investimen
to (Perdighe, Mancini, 2012a).
Come si è detto nei primi capitoli, nel DOC gli scopi coinvolti sono
spesso definiti in negativo (antiscopo) e l'orientamento alla prevenzio
ne di uno scenario, piuttosto che al raggiungimento di uno stato, rende
più vulnerabili al sovrainvestimento dello scopo invece che alla rinun
cia (Mancini, Perdighe, 20 1 2 ) : non solo la compromissione non deve
realizzarsi, ma lo scopo diventa la prevenzione della compromissione
piuttosto che il raggiungimento di uno scopo (per esempio, "Devo po
ter escludere con certezza di non trascurare nessun comportamento che
potrebbe causare l'esplosione del palazzo" ; " Non devo assolutamente
essere colpevole" ) . Essere regolati da un antiscopo, piuttosto che da uno
scopo, aumenta potenzialmente all 'infinito le occasioni di compromis-
3 13
La clinica
sione o minaccia: lo scopo di "non essere colpevole " , è molto più sog
getto a frustrazione dello scopo " essere una brava persona " , e quindi
si presta di più a creare occasioni in cui il paziente è costretto a impe
gnarsi perché non si realizzi lo scenario temuto. Inoltre, un antiscopo
facilita l'iperinvestimento invece della rinuncia, perché è molto più dif
ficile individuare una regola di stop. Se una persona ha lo scopo di non
essere colpevole, è molto difficile decidere se lo scopo è stato raggiunto
in quanto non è definito il punto di arrivo, ma solo la condizione da cui
allontanarsi. Tra l'altro se lo scopo è espresso in negativo è anche più
difficile rappresentarsi dei prototipi che potrebbero definire la regola
di stop; al contrario, è più facile farsi venire in mente degli esempi di
cosa significhi "essere una brava persona" (per esempio, essere come il
Dalai Lama o Martin Luther King).
Ancora, uno scopo definito in negativo facilita l'adozione di un ra
gionamento dicotomico e rende quindi più difficile percepire la possi
bilità di compromissioni solo parziali: o sono nello stato desiderato o
sono in quello temuto; mancano i gradi intermedi di compromissione.
Infine, se uno scopo è definito in negativo l'investimento assume ca
ratteristiche diverse da quelle che avrebbe se lo scopo fosse definito in
positivo e più facilmente il mancato ottenimento di uno scopo viene
definito in termini di perdita ( '' Ho perso il mio status morale" ) , piutto
sto che di mancato guadagno ( '' Non ho ottenuto di essere moralmente
a posto" ) . La definizione in termini di perdita riduce la disponibilità a
rinunciare e aumenta la probabilità di condotte tese a prevenire la com
promissione (Tversky, Kahneman 1 98 1 ) .
L a difficoltà alla rinuncia non è legata solamente alla presenza di un
antiscopo perseguito, ma anche all'assenza di scopi alternativi sogget
tivamente di valore su cui investire: per una vedova è molto più facile
rinunciare alle condotte connesse allo scopo di essere una moglie amo
revole, se può riorientare l'investimento sull'essere una mamma amore
vole. In sintesi, è più facile essere disposti a investire meno sul protegger
si dall'essere una persona amorale ai propri stessi occhi, se si individua
uno scopo alternativo o sovraordinato su cui investire, per esempio au
mentare i comportamenti di cura e amore verso un figlio come scopo
alternativo al fare di tutto per proteggerlo da malattie.
Inoltre, l'individuazione di uno scopo morale alternativo su cui in
vestire, piuttosto che la rinuncia in toto, riduce il rischio che la rinuncia
awenga con diminutio, poiché avere chiaro che si sta investendo comun
que su scopi positivi riduce la percezione di perdita dal punto di vista
dello status e del valore morale.
3 14
L'accettazione del rùchio
3 15
La clinica
3 16
];accettazione del rischio
3 17
La clinica
CONCLUSIONI
3 18
XVI
LA TECNICA DELL'ESPOSIZIONE
CON PREVENZIONE DELLA RISPOSTA
li primo utilizzo della procedura si fa risalire alla fine degli anni Ses
santa. I comportamentisti, i cui metodi si limitavano all'epoca all'analisi
esclusiva del comportamento osservabile, vedevano nei sintomi di natu
ra prevalentemente cognitiva, quali le ossessioni, ostacoli insormontabili
e difficili da gestire con le tecniche allora a disposizione (Roper, 2005 ) .
All'interno d i tale cornice, l o psicologo britannico Vietar Meyer,
del Middlesex Hospital di Londra, descrive nel 1 966 due casi clinici
di pazienti donne da lui personalmente trattate mediante l'utilizzo di
un nuovo e promettente intervento. La lobotomia, già toccata a una
delle due pazienti, appariva oramai l'unica soluzione anche per l'altra
che, costantemente afflitta da intensi timori relativi allo sporco e al
le malattie, continuava a trascorrere le sue giornate impegnandosi in
lavaggi compulsivi. Meyer pianifica per lei un percorso di trattamen
to in regime di ricovero e, proponendosi di modificare le sue aspetta
tive circa le conseguenze del contatto con agenti contaminanti, inizia
a esporla a una grande quantità di oggetti e luoghi elicitanti il timore
di contaminazione, impedendole contemporaneamente di procedere
ad alcun tipo di lavaggio. Drasticamente limitata nell'uso di saponi e
di altri detergenti per le prime quattro settimane, la paziente, pur ci
clicamente soggetta a fasi di ansia intensa e a qualche battuta d'arre
sto, comincia a mostrare un significativo decremento dei comporta
menti di lavaggio che, progressivamente, raggiungono livelli gestibili.
319
La clinica
La tecnica: definizione
320
L'EIRP come pratica dell'accettazione
La tecnica: efficacia
321
La clinica
322
L'E!RP come pratica dell'accettazione
J;abituazione
L'estinzione
Un'ulteriore linea teorica spiega il decremento della risposta in ter
mini di assenza di rinforzo, ricorrendo al fenomeno dell'estinzione,
che implica la mancanza dell'attivazione o della disattivazione di sti
moli che hanno il potere, contingente, di rinforzare positivamente o
negativamente l'emissione o l'omissione di una risposta. Impedire suf
ficientemente a lungo al paziente di compiere i suoi rituali, che preven
gono o comunque riducono l'ansia, comporterebbe un'estinzione na-
323
La clinica
turale della stessa, tale per cui i rituali non avrebbero più ragione di
essere emess1.
Per quanto convincente possa apparire la logica, affinché l'efficacia
dell'esposizione con o senza blocco della risposta di evitamento sia spie
gabile in termini di estinzione, sono necessarie una serie di condizioni:
l) che sia chiaramente definito il comportamento bersaglio; 2 ) che sia
chiaramente definito il rinforzo; 3 ) che non intervenga alcun' attivazione
o disattivazione del rinforzo contingentemente all'emissione o all 'omis
sione del comportamento bersaglio, condizioni che la letteratura spe
rimentale non supporta, se non parzialmente (Tryon, 2005 ) . Ulteriore
obiezione nasce inoltre dal fatto che il fenomeno dell'estinzione si riferi
sca sì a una relazione funzionale tra la riduzione della risposta e l'assenza
del rinforzo, ma manchi una spiegazione del meccanismo per il quale
la sistematica assenza di rinforzo implichi un decremento della risposta
e del perché tale relazione si mantenga; l'assenza di chiarezza relativa
mente al meccanismo sotteso a tale fenomeno priva di forza esplicativa
la tesi in questione (Mancini, Gragnani, 2005 ) .
Il controcondizionamento
3 24
�EIRP come pratica dell'accettazione
Variazioni di aspettative
Rispetto alla possibilità che l'E/RP funzioni in termini di variazioni
delle aspettative di successo da parte del paziente, sono state formula
te due spiegazioni, la prima delle quali, proposta da Wilkins ( 1 97 1) , ri
tiene che, nei soggetti con disturbi d'ansia, l'efficacia della procedura
possa dipendere dalle aspettative di successo favorite nel paziente dal
terapeuta e ulteriormente rinforzate dal generarsi di un feedback con
firmatorio, dato dall'avanzare lungo la gerarchia degli stimoli espositivi.
Pur risultando abbastanza plausibile, tale spiegazione appare da sola
riduttiva e scarna di elementi utili alla comprensione del meccanismo
d'azione della procedura.
La seconda ipotesi esplicativa, denominata "Teoria della congruen
za-incongruenza " (Taylor, Rachman, 1 994 ) , ha preso le mosse dall'evi
denza che i soggetti con disturbi d'ansia tendono a immaginarsi molto
più spaventati di quanto in realtà non siano una volta esposti allo stimo
lo temuto. Secondo gli autori le attese del paziente, spiegabili in termini
di sovrastima dei segnali di pericolo e di sottostima di quelli di sicurez
za, verrebbero " corrette" dalle evidenze ottenute mediante la proce
dura di esposizione, il cui funzionamento dunque risulterebbe da un
meccanismo di adeguamento delle aspettative. Sebbene un successivo
lavoro di Wright, Holborn e Rezutek (2002) abbia per certi versi con
fermato una spiegazione di questo tipo, la portata teorica della stessa
si è andata riducendo nel tempo a causa della difficoltà nel rendere ra
gione del perché talvolta, pur in presenza dello stimolo emotigeno, le
aspettative non giungano a ridursi sotto un determinato livello critico
(Tryon, 2005 ) .
I;autoe/ficacia
325
La clinica
La ristrutturazione cognitiva
326
L'E!RP come pratica dell'accettazione
questa sede di escludere che qualcuno dei processi fin qui descritti pos
sa intervenire durante la procedura, ci proponiamo di seguito di getta
re maggiore luce sulla questione, ritornando all'interrogativo centrale:
Qual è il meccanismo d'azione dell'E/RP? .
Per trovare risposta alla domanda appena posta siamo partiti dalle
numerose osservazioni, piuttosto comuni nella pratica clinica, che in
dicano come l'esecuzione meccanica della procedura di esposizione e
prevenzione della risposta possa da sola non avere alcun effetto tera
peutico: diversi pazienti riferiscono di aver più volte tentato di esporsi
agli stimoli temuti rinunciando, anche per mezza giornata, all'emissione
dei rituali rimandati a un tempo successivo, ma di non aver tratto da tali
esperienze alcun beneficio. Quanto appena messo in luce, evidenzia co
me esporsi e prevenire la risposta costituisca una condizione necessaria
ma non sufficiente ad assicurare gli effetti terapeutici dell'E/RP, nono
stante il potenziale consueto svolgimento della procedura.
Cosa può meglio chiarire allora la differenza tra E/RP efficaci ed E/RP
inefficaci?
È frequente che durante la pratica dell'E/RP i pazienti mantengano
una sorta di riserva mentale, che li porta a esporsi rinunciando però
solo temporaneamente ai propri rituali e ripromettendosi, in genere,
di svolgerli in un secondo tempo. In casi come questo, pur di fronte
all'impegno del paziente nello svolgimento corretto della procedura
di esposizione e a un andamento consueto delle sue reazioni emotive,
l'efficacia dell'E/RP risulta gravemente ridotta o addirittura quasi com
pletamente vanificata.
A partire da ciò, ci pare di poter affermare che un peso rilevante ri
spetto all'efficacia terapeutica della tecnica di esposizione sia da attri
buirsi allo stato mentale con cui il paziente affronta la situazione cui
lo si espone e che siano proprio il significato e il valore che egli attri
buisce all'esporsi e alla rinuncia ai comportamenti protettivi a fare la
differenza. Nel caso di E/RP efficaci, diversamente da quelle inefficaci,
lo stato mentale del paziente si caratterizza per l'accettazione di un al
to livello di minaccia (Mancini, Barcaccia, 2004 ); il paziente, che fino
a quel momento si è impegnato invano nel tentativo di proteggersi per
mezzo dei suoi rituali, procrastinati ma non messi in alcun modo in
discussione, accetta, a un certo punto, di rinunciare a difendersi, ed è
327
La clinica
328
L'E!RP come pratica dell'accettazione
Diverse metafore, quali per esempio quella del ricattatore o del bul
lo (vista nel capitolo XIII ), possono supportare il terapeuta nel fornire
al paziente una rappresentazione del DOC come di qualcuno che sub
dolamente fornisce soluzioni alle quali è semplice appoggiarsi, ma che,
a lungo termine, diventano insostenibili. Il paziente va incoraggiato a
comprendere quanto sia importante per lui ignorare le continue richie
ste del disturbo e quanto questo, almeno in una fase iniziale del percorso
di esposizione, implichi un inevitabile incremento della frequenza delle
ossessioni e dell'ansia a essa conseguenti; è questo il costo che il paziente
dovrà arrivare a scegliere di pagare a breve termine per garantirsi, a più
lungo termine, la possibilità di disinnescare il circolo vizioso responsa
bile del mantenimento del disturbo (Dèttore, Melli, 2005 ) .
Perché sia più motivato a d affrontare l'ansia è importante che il pa
ziente sia adeguatamente informato sulla natura di questa emozione,
sperimentata da tutti gli esseri umani e adattiva nella sua funzione di
segnale di un potenziale pericolo, nonché sul suo fisiologico decorso
che la vede tendere a una spontanea e progressiva attenuazione, se chi
la sperimenta non vi interviene in alcun modo (Andrews, Creamer, Cri
no et al. , 2003 ) . Il paziente apprende dunque come, pur in assenza di
alcun rituale, l'ansia raggiunga un suo plateau fisiologico per poi ridursi
spontaneamente, in un tempo massimo di 90 minuti circa. Al fine di mo
tivare all'impegno verso l'E/RP può risultare importante una riflessione
condivisa con il terapeuta su quanto sia impQssibile eliminare dalla vita
ogni forma di rischio, specie quello a più bassa probabilità, e su come
un obiettivo di questo tipo sia destinato a fallire a priori; tale riflessio
ne al fine di rendere consapevole il paziente su quanto sia di gran lunga
più conveniente "accettare" la presenza di minimi pericoli insiti nell'e
sistenza piuttosto che adoperarsi in una strenua lotta agli stessi, desti
nata a divenire con il tempo infruttuosa ed estremamente faticosa (vedi
anche i capitoli XIII e xv) .
LA PROCEDURA
329
La clinica
tentativi forzosi o forzati di blocco dei rituali, il paziente si sia fatto idee
sbagliate circa ciò che il terapeuta gli sta proponendo.
Prima di procedere all'applicazione della procedura è essenziale svol
gere un buon assessment funzionale che permetta di rintracciare, insie
me con il paziente, tutti gli elementi utili ai fini dell'esposizione: stimoli
attivanti il timore, minaccia temuta, comportamenti protettivi general
mente messi in atto, frequenza, durata e modalità di svolgimento degli
stessi. È a nostro avviso opportuno chiarire al paziente che non lo si for
zerà a eseguire alcun esercizio che non sia prima stato concordato; a tal
fine si può procedere alla stesura di un contratto scritto per l' esposizio
ne, che possa essere di supporto nei momenti più difficili e con il quale
il paziente si impegna a seguire i passi proposti dal trattamento (Roper,
2005 ) . Si illustrano al paziente vantaggi e svantaggi della procedura, non
minimizzando in alcun modo le difficoltà che presenta, ma facendo le
va nel contempo, dati sperimentali alla mano, sull'efficacia della stessa
(Mancini, Barcaccia, 2004 ) .
È di fondamentale importanza che il terapeuta chiarisca con preci
sione l'importante differenza sul piano cognitivo tra i tentativi spontanei
del paziente di opporsi alle compulsioni e l'esposizione. È generalmente
probabile che in tali tentativi il paziente si adoperi per evitare un' espo
sizione diretta e prolungata allo stimolo ansiogeno, o ricorra al cerimo
niale il prima possibile successivamente al contatto, o ancora rinunci al
rituale, rimanendo tuttavia nella situazione stimolo con la speranza che
l'ansia non peggiori, continuando pertanto a raccogliere ulteriori segna
li di pericolo. Per tale ragione l'ansia non scema, ma addirittura a volte
aumenta sino a divenire insostenibile, tanto da indurre il paziente a ce
dere ancora una volta all'impegno nel rituale (Lakatos, Reinecker, 1999).
Un'esposizione terapeutica invece, prevede l'esatta pianificazione di
quanto si andrà a fare, la condivisione del rationale, il non ricorso a evi
tamenti o comportamenti di sicurezza, una durata dell'esposizione pari
al tempo necessario perché l'ansia si riduca spontaneamente e successive
ripetizioni sino alla graduale estinzione del disagio (Abramowitz, 2006).
330
I.:E!RP come pratica dell'accettazione
l. Nel condividere questo aspetto il terapeuta può ricorrere a esempi piuttosto semplificati di
esercizi di esposizione, perché il paziente possa meglio comprendere quanto gli viene presentato.
33 1
La clinica
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Figura 16.1 Rappresentazione grafica del decorso dell'ansia a seguito del rituale piutto
sto che di ripetute sessioni di esposizione (adattata da Abramowitz, Foa, Franklin, 2003 ) .
332
L'E!RP come pratica dell'accettazione
2. Generalmente il numero consigliato di item si attesta tra 7 e 15, dal momento che un numero
troppo basso non consente una sufficiente gradualità, mentre un numero troppo alto può portare
a una scarsa differenziazione tra gli item stessi.
333
La clinica
ltem SUD
3 . Il terapeuta può per esempio riporre in borsa un oggetto scivolato per terra o toccare un og
getto e poi passarsi la mano sui vestiti, tra i capelli, sul viso; la tipologia di comportamento da mo·
dellare dipenderà naturalmente dalla specifica gerarchia costruita con il paziente. È fondamentale
che il terapeuta chieda al paziente di osservarlo con molta attenzione mentre svolge il compito, al
fine di evitare la possibilità che, a causa dell'eccessivo disagio spesso sperimentato anche al solo
guardare compiere certe azioni, il paziente possa distogliere lo sguardo.
334
.
4. Domande quali "Quali conclusioni può trarre dall'esperienza appena conclusa? " ; "Come
valuta adesso la pericolosità di questi stimoli ? " ; "Pensa che durante esposizioni nuove allo stes
so stimolo le sue sensazioni possano essere diverse? " possono facilitare un'adeguata riflessione da
parte del paziente sull'esperienza di esposizione e sul proprio comportamento durante la stessa.
3 35
La clinica
336
L'E!RP come pratica dell'accettazione
Nei casi in cui gli stimoli attivanti siano talmente pochi da non per
mettere la creazione di una lista sufficientemente articolata di esposizio
ni, o per ovviare all'inconveniente, non raro, che il paziente nonostante
gli interventi motivazionali, rifiuti di esporsi perché magari troppo spa
ventato, può essere utile modificare la risposta compulsiva, piuttosto che
lo stimolo attivante. A tal fine si può ricorrere alla tecnica della dilazione
della risposta, che chiede al paziente di esporsi rimandando l' emissio
ne dei cerimoniali per intervalli di tempo gradualmente crescenti, fino
a raggiungere tempi che, garantendo l'estinzione fisiologica dell'ansia,
non richiedano più l'impegno nel rituale.
Più spesso si sceglie di utilizzare tecniche di modificazione della ri
sposta che richiedono al paziente di impegnarsi gradualmente a ridur
re la durata totale della stessa, avvalendosi per esempio di un marca
tore del tempo (timer) o ancora modificando gradualmente l'ordine
con cui esegue il cerimoniale, anche semplicemente invertendone la
sequenza. Si può modificare il numero di ripetizioni dei singoli com
portamenti compulsivi riducendolo progressivamente o, ancora, può
risultare utile modificare il mezzo con cui il paziente effettua il cerimo
niale (per esempio, salvietta anziché sapone) o il momento della gior
nata in cui lo svolge, sempre nel caso in cui anche questo presenti una
valenza ritualistica.
Se nonostante gli accorgimenti sopra elencati il paziente presentas
se ancora difficoltà ad aderire alle prescrizioni, può essere opportuno
rinunciare alla gradualità nell'esposizione e valutare insieme con lui gli
stimoli il cui evitamento compromette suoi forti interessi e quindi com
porta costi personali maggiori "pagati al disturbo " , per partire esponen
dolo a quelli, tentando in tal modo di incontrare una più facile aderenza
al trattamento a partire da una maggiore motivazione. Da non sottova
lutare, come ulteriore elemento su cui far leva, la possibilità di program
mare un sistema di contingenze, che rinforzi il paziente ogni volta in cui
riesce ad astenersi dall'effettuare un rituale, o al contrario di costi da
pagare in caso di emissione del cerimoniale.
337
La clinica
L'ESPOSIZIONE IMMAGINATIVA
5. Pensiamo per esempio ai casi di pazienti ossessionati da immagini di incidenti stradali du
rante i quali un familiare o una persona a loro cara perde la vita; nella maggior parte dei casi i pa
zienti neutralizzano tali ossessioni sostituendo in immaginazione la scena catastrofica con una scena
positiva avente gli stessi protagonisti, altre volte invece ripetono tra sé e sé frasi a tenore positivo
che possano rassicurarli rispetto al non aver desiderato quanto pensato o al non aver provocato
la catastrofe immaginata.
6. Ancor più, in un lavoro in immaginazione, risulta difficile per il paziente tenere e tollerare
il disagio, ragion per cui è opportuno aiutarlo a rimanervi focalizzato sottolineando e rinforzando
nel contempo l'aspetto del suo progressivo superamento. La ricerca non suggerisce l'utilizzo di
tecniche di rilassamento, controindicate perché assimilabili ai tentativi di reprimere il malessere e
dunque pari alle strategie di neutralizzazione (Lakatos, Reinecker, 1999).
7 . Nelle ossessioni di contaminazione per esempio sono molto rilevanti i contenuti legati al
senso del tatto e quelli relativi alle sensazioni propriocettive, da includere nella descrizione della
scena perché sia il più possibile realistica e completa.
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L'EIRP come pratica dell'accettazione
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La clinica
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L'EIRP come pratica dell'accettazione
senza del terapeuta riduca, per buona parte o a volte del tutto, il timore
(Rachman, 2002) , ragion per cui un passaggio importante può compor
tare la richiesta al paziente di svolgere alcuni esercizi mentre il terapeuta
si trova in un'altra stanza o fuori dall'appartamento.
Oltre che per le compulsioni di lavaggio, anche per i rituali di con
trollo svolti in ambiente domestico è opportuna la visita al domicilio del
paziente. Impegnato da tempo in strutturati cerimoniali che lo vedono
maneggiare apparecchiature elettriche, fornelli, serrature e interruttori
in modo ritualistico, il paziente perde spesso di vista il modo in cui nel
la normalità vadano fatte le cose. È alla luce di ciò che il lavoro di mo
delling da parte del terapeuta rappresenta un importante momento del
processo di riapprendimento.
Nel caso di necessarie esposizioni domiciliari, la difficoltà di mante
nere per il terapeuta una frequenza come quella descritta per l'E/RP in
vivo può essere aggirata mediante la programmazione di un percorso
combinato di esposizioni, con la stesura di due gerarchie diverse: una
da effettuare nello studio e una da seguire come homework, di modo
da assicurarsi un buon margine di controllo sul percorso, garantendosi
comunque la possibilità di tenere il paziente allenato in situazioni diffe
renti (passaggio facilitante la generalizzazione degli esiti) .
Il lavoro domiciliare prevede generalmente la possibilità di richiede
re il supporto dei familiari del paziente, spesso coinvolti nelle ossessio
ni e/o nei cerimoniali. Quale primo passo è importante far conoscere
loro la tecnica dell'esposizione e impartire istruzioni precise e chiare
sui comportamenti che potrebbero rivelarsi utili. Naturalmente è es
senziale evitare che il paziente abbia la sensazione che si tratti con i fa
miliari alle sue spalle, tantomeno a sua insaputa, ragion per cui è bene
programmare incontri comuni, durante i quali si concorderanno tempi
e modi del procedere. Un'intesa chiara e un accordo condiviso rende
ranno più semplice il superamento dei momenti di crisi che potrebbe
ro presentarsi nel caso in cui, come sovente accade, il paziente tenderà
a pretendere l'aiuto nonostante quanto concordato. In linea generale,
coinvolgere troppo i familiari di un paziente all'interno del trattamen
to, investendoli del ruolo di " coterapeuti" , non sempre paga, in primis
perché potrebbe rafforzare l'idea del paziente di essere "malato" e in
secondo luogo perché la disparità di potere potrebbe peggiorare le di-
sono diverse dalle nostre, i pazienti rinunciano ai cerimoniali spiegando la scelta con affermazioni
del tipo " Sarebbe stato impossibile fare qualcosa con tutto quello sporco ! " . Durante gli esercizi
di esposizione a domicilio dunque è bene che il terapeuta si impegni a diffondere il più possibile
la contaminazione, assicurandosene l'irreversibilità.
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La clinica
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L'E!RP come pratica dell'accettazione
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La clinica
Le lodi, verbali e non, a ogni piccolo passo fatto dal paziente sono perciò
di estrema importanza per il loro ruolo di rinforzo positivo.
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L'E!RP come pratica dell'accettazione
10. Come un motivatore che spinge l'atleta a lavorare il più intensamente possibile per massi
mizzare la performance, il terapeuta può incoraggiare il paziente con espressioni quali "Io credo
che lei possa farcela! " o ancora "È forte abbastanza per affrontare i suoi timori ! " .
345
La clinica
346
XVII
INTRODUZIONE
l. Un'analisi delle radici filosofico-religiose della mindfulness esula dagli scopi di questo ca
pitolo. Per un'introduzione sul tema, si può consultare, per esempio, il libro di B. Alan Wallace,
Mind in the Ba/ance: Meditation in Science, Buddhism, and Christianity (2009, Columbia Univer
sity Press, New York) .
2 . Per consuetudine d i utilizzo lasceremo i n questo capitolo il termine mind/ulness i n lingua
inglese.
347
La clinica
3 . "'The awareness that emerges through paying attention on purpose, in the present moment, and
nonjudgmentally to the unfolding of experience moment by moment" (Kabat-Zinn, 2003 , p. 145).
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La mindfulness per il trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo
4. Come afferma Hazrat Inayat Khan: "In the first piace it should be known that the mind is
the surface of the heart, and the heart is the depth of the mind. Therefore mind and heart are one
and the same thing" (Khan, 2005 ) .
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La clinica
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La mind/ulness per il trattamento del dz5turbo ossessivo-compulsivo
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La clinica
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La mindfulness per il trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo
5. Inoltre, le ossessioni sono contenuti mentali invariabilmente ansiogeni, mentre nel mettere in
atto i rituali mentali la persona esperisce, spesso, una sensazione di immediato sollievo dall'ansia,
ed è proprio in ragione di ciò che la sintomatologia si mantiene e si generalizza anche ad altre aree.
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La clinica
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La mindfulness per il trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo
355
La clinica
pensano: "Se non riesco a controllare i pensieri vuol dire che non sono
normale", Infatti, l'acquisizione di un controllo totale sulle intrusioni è
una delle richieste che spesso il paziente formula all'inizio della terapia.
Anche in questo caso potrà essere utile un approccio decentrato e dis
identificato, così com'è promosso dalla mindfulness.
La pratica può, quindi, intervenire nel passaggio da pensiero intrusivo
(o immagine mentale) a ruminazione ossessiva. Quest'ultima è un'attivi
tà compulsiva messa in atto in reazione a un'intrusione (de Silva, 2003 )
e può anche essere considerata un meccanismo per diminuire la discre
panza tra lo stato reale del mondo e quello desiderato, il quale è tuttavia
destinato ad autoperpetuarsi e a non trovare mai una soluzione o via d'u
scita. In questo senso, la mindfulness può essere la via d'uscita da circoli
viziosi autoperpetuantisi, poiché addestra le persone alla non-reattività
alle intrusioni ossessive, consentendo di passare dalla modalità del/are,
per diminuire la discrepanza tra mondo reale e mondo ideale, alla mo
dalità dell'essere, in cui ci si rapporta con le esperienze interne in modo
diretto, non spinti da uno scopo particolare, ma accettando ciò che si
presenta momento dopo momento (Segai, Williams, Teasdale, 2014).
La ruminazione ossessiva, a differenza di quella depressiva, è tipica
mente dialogica (vedi capitoli II e IV). Un esempio potrà illustrare me
glio questo concetto.
Alessandra è un'insegnante in pensione, ossessionata dal timore di
poter investire i pedoni quando guida l'auto. Dopo aver attraversato
un incrocio, le appare un'immagine mentale di un pedone ferito a ter
ra, oppure intrude alla mente il pensiero "Potrei aver investito quella
mamma con il passeggino" . Questi contenuti mentali sono fortemente
ansiogeni e la spingono, quasi immediatamente, a ingaggiare una sor
ta di lotta con la propria mente. Anzi, potremmo affermare che nella
mente di Alessandra inizia una sorta di "processo" , in cui accusa (A) e
difesa (D) portano le prove:
356
La mindfulness per il trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo
357
La clinica
In ambito clinico vi sono stati, nel corso degli anni, diversi tentati
vi di adattamento all'utilizzo con pazienti psichiatrici del protocollo
Mindfulness-based Stress Reduction (MBSR) . Tra i protocolli più effi
caci adattati a una specifica popolazione clinica vi è senz' altro la MBCT
(Mindfulness-based Cognitive Therapy), la terapia cognitiva basata sulla
mindfulness. Si tratta di una terapia manualizzata della durata di 8 set
timane condotta in gruppo (Segai, Williams, Teasdale, 2014; Teasdale,
Segai, Williams et al., 2000) . Inizialmente, il programma venne messo
a punto per la prevenzione delle ricadute della depressione, in partico
lare per pazienti in remissione da un episodio depressivo, allo scopo di
prevenire le eventuali successive ricadute tramite l'addestramento alla
capacità di relazionarsi in modo nuovo ai propri stati interni: emozioni,
sensazioni e pensieri. Ricerche più recenti ne hanno confermato l' effica
cia anche per il trattamento della depressione in fase acuta (Kenny, Wil
liams, 2007 ) . Pertanto si è pensato di adattare il trattamento anche ad
altri disturbi psichiatrici, molti dei quali sono caratterizzati da decorso
cronico, sono resistenti al trattamento, tendono a dare luogo a gravi ri
cadute, e causano malfunzionamento personale e sociale molto elevato.
Inoltre va considerato che la MBCT, nella sua versione originaria di tera
pia di gruppo, consente un maggiore accesso alle cure rispetto ai tratta
menti individuali (Chiesa, Serretti, 201 1 ) e può costituire una preziosa
risorsa laddove, anche per motivi economici, non sia possibile accedere
al trattamento individuale.
358
La mindfulness per il trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo
359
La clinica
sone a non farsi catturare dai contenuti dei pensieri, dagli impulsi, dal
le sensazioni e a rispondere, anziché reagire automaticamente. Come si
può "rispondere" in modo funzionale alla comparsa di un'intrusione?
Riconoscendola come un prodotto della propria mente, e semplicemen
te !asciandola andare, resistendo all'impulso di fare ciò che l'intrusione
suggerirebbe.
Come è stato precedentemente osservato, la mente ossessiva sem
bra essere in un perenne stato di mindlessness, infatti, il filo conduttore
che accomuna tutte le manifestazioni ossessive è l'identificazione con i
contenuti delle ossessioni e l'impulso a reagire automaticamente a essi.
Pertanto gli approcci basati sulla mindfulness possono offrire poten
zialità notevoli di cambiamento (Didonna, 2009), aiutando la persona a
rendersi conto prontamente di quando l'intrusione compare, a ricono
scerla come tale, qualunque contenuto essa porti, e a !asciarla andare.
La mindfulness è come una "navetta", in grado di riportarci dal mondo
della mente al mondo dell'esperienza diretta (Harris, 2009).
La pratica, inoltre, può risultare utile nel contrastare gli evitamenti:
ogni persona con DOC, sapendo quanta fatica le costerà mettere in atto
i rituali o quanto sarà difficile neutralizzare i contenuti mentali intru
sivi, si sforza attivamente di evitare stimoli che possano più facilmente
elicitare intrusioni ossessive, nonché esperienze emotive di ansia e col
pa percepite come intollerabili (evitamento esperienziale: evitamento
di pensieri, emozioni, sensazioni o altri eventi interni). Tuttavia, pur
troppo, questi tentativi di evitare eventi interni indesiderati aumenta
no, paradossalmente, la frequenza di comparsa di quegli stessi eventi
e di conseguenza proprio il tentativo di controllare queste esperienze
interne indesiderate è il problema per eccellenza nel DOC, e certamente
non la soluzione, come tende a essere interpretato dai pazienti. La tera
pia, allora, potrà beneficiare in modo molto significativo dalla mindful
ness, consentendo ai pazienti di sperimentare la futilità delle proprie
strategie di controllo e di incrementare la flessibilità e il decentramento
rispetto a quelle esperienze che cercano, invano, di controllare (Bach,
Moran, 2 008) .
Infatti, le strategie utilizzate dalle persone con DOC per liberarsi delle
esperienze cognitive ed emotive sgradevoli, non solo non funzionano,
ma spesso conducono a problemi clinici ed esistenziali ancora maggio
ri, prima di tutto il cosiddetto "problema secondario" ( capitolo XII).
Ciò significa che si può aggiungere un altro problema clinico a quelli
ossessivi che già la persona presenta. Per esempio, una persona che non
vuole provare la sgradevole sensazione di mancanza di simmetria nella
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La mind/ulness per il trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo
361
La clinica
362
La mind/ulness per il trattamento del dùturbo ossessivo-compulsivo
6. L'età media degli psicoterapeuti era di circa 45 anni; la maggior parte di loro (più del 65 % )
aveva più di dieci anni d i esperienza clinica; ogni terapeuta aveva curato i n media, nel corso della
propria attività, tra i 30 e i 40 pazienti con disturbo ossessivo-compulsivo.
7. Nel 2012, essendo in vigore il DSM-IV-TR, il disturbo ossessivo-compulsivo era ancora clas
sificato tra i disturbi d'ansia.
363
La clinica
364
La mindfulness per il trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo
8. Vi è anche uno studio su caso singolo a linee di base multipla su un piccolo campione di 6
pazienti, in cui gli autori riportano miglioramenti della sintomatologia, misurati con la Y-BOCS e
con la SCL-90, e incremento dei punteggi nelle sottoscale osservare, descrivere, agire con consape
volezza e non-giudizio della FFMQ (Liu, Han, Xu, 201 1), ma il lavoro è stato pubblicato in cine
se (a eccezione dell' abstract, che è anche in lingua inglese) pertanto è difficile trarre conclusioni.
365
La clinica
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La mind/ulness per il trattamento del dz5turbo ossessivo-compulsivo
disagio, non si può parlare, in senso stretto, di "effetti avversi" della pra
tica. Certamente è possibile che invece si verifichino reali effetti avversi
per errori dello psicoterapeuta dovuti a una sua formazione inadeguata
e a un'incapacità nel gestire difficoltà che possono insorgere nella pratica
clinica. Sulle "credenziali" dello psicoterapeuta, la sua " autenticità " , la
necessità che abbia avuto un'adeguata e approfondita formazione sulla
mindfulness, l'opportunità della sua pratica personale, sono stati pub
blicati diversi lavori, ai quali si rimanda per un approfondimento (vedi,
per esempio, Germer, Siegel, Fulton, 20 1 3 ; McCown, Reibel, Micozzi,
20 1 1 ) . Come ha affermato}on Kabat-Zinn "l'insegnamento deve scatu
rire dalla pratica personale"9 (Kabat-Zinn, 20 1 1 , p. XVIII).
Come accennato, non vi sono dati specifici su eventi avversi occorsi in
pazienti con DOC durante o dopo le pratiche, né controindicazioni parti
colari: il clinico deve saper valutare, caso per caso, l'opportunità di usare
la mindfulness, e deve, inoltre, essere in grado di preparare il paziente
a eventuali disagi nel corso degli esercizi proposti, e al senso che hanno
all'interno della terapia. Certamente non è pensabile di proporre un in
tervento simile a una persona con ossessioni e compulsioni prima di aver
effettuato un'adeguata formulazione del caso, averla condivisa con lei, in
particolare evidenziando gli effetti dei tentativi di soluzione e i meccani
smi di mantenimento. Inoltre, tipicamente un individuo con DOC potrà
avere molti dubbi sulla corretta esecuzione della pratica, e potrà quindi
applicare il suo tipico atteggiamento anche rispetto a questo compito. Il
terapeuta esperto saprà gestire questa difficoltà, magari anticipando alla
persona che alcuni tipici ostacoli probabilmente si presenteranno, nor
malizzando tale eventualità, aiutando così il paziente con DOC a incre
mentare la propria consapevolezza sul disturbo, e anche la compliance.
Rispetto all'accettabilità delle pratiche e alla compliance a tale tipo
di impegno, in un vecchio studio di Kabat-Zinn e Chapman-Waldrop
( 1 988) furono studiati 7 84 partecipanti al programma MBSR che pre
sentavano varie patologie organiche e psicologiche. Il 7 6% dei soggetti
completò il programma di otto settimane, mentre il 24 % interruppe il
percorso. A differenziare significativamente coloro che avevano com
pletato il programma e coloro che non lo avevano portato a termine, e
a rendere ragione di una maggiore compliance, era proprio la dimen
sione Ossessività-Compulsività (0-C): all' aumentare dei punteggi nel
la dimensione ossessivo-compulsiva della SCL-90-R, aumentava anche la
probabilità che avessero completato il programma.
9. "The teaching has to come out of one's practice" (Kabat-Zinn, 201 1 , p. XVIII).
367
La clinica
CONCLUSIONI
368
La mind/ulness per il trattamento del diSturbo ossessivo-compulsivo
3 69
XVIII
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La clinica
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L'intervento per la riduzione della vulnerabilità attuale al DOC
COME FAVORIRE LA
RIDUZIONE DELLA SENSIBILITÀ ALLE COLPE
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La clinica
LE FASI DELL'INTERVENTO
Prima parte
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I:intervento per la riduzione della vulnerabilità attuale al DOC
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La clinica
Seconda parte
376
L'intervento per la riduzione della vulnerabilità attuale al DOC
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La clinica
tata poco sopra e gli si chiede di trascrivere nella prima colonna azioni
che normalmente compie durante la sua giornata, azioni non intaccate
dai suoi timori ossessivi. Successivamente, per ognuna di esse, si cerca
no possibili colpe di cui ci si potrebbe rendere responsabili compiendo
quell'azione (colonna 2 ) e i provvedimenti che si dovrebbero prendere
per essere certi di non correre tali rischi (colonna 3 ) . A questo punto,
si riflette sulle conseguenze che tali provvedimenti preventivi avrebbe
ro nella vita delpaziente (colonna 4) e sull'intero genere umano, se tut
ti gli esseri viventi adottassero tale p rovvedimento, su scala mondiale
( colonna 5 ).
Al termine di questa procedura, con la tabella sottomano, si domanda
al paziente se abbia mai riflettuto sulla quantità di rischi di colpa, anche
abbastanza probabili, che ogni giorno tollera compiendo le azioni che
normalmente caratterizzano la sua quotidianità e sul perché ogni giorno
accetti di correrli di fatto, senza prendere i provvedimenti necessari a
prevenirli. Ciò consentirà di riflettere sull'impossibilità di prevenire ed
evitare qualsiasi colpa e i disastrosi effetti che deriverebbero dai prov
vedimenti preventivi. Inoltre, renderà più agevole l'intervento succes
sivo sull'accettazione esperienziale della colpa, dato che il paziente do
vrà solo riportare in altri ambiti quello che normalmente accade già in
molte aree della sua esistenza.
Una nostra paziente giunse a questa conclusione: " Ogni giorno corro
il rischio di rendermi responsabile di qualche colpa camminando, par
lando, mangiando e prevenirle tutte sarebbe impossibile se non a fronte
di costi elevatissimi, in ultimo la sopravvivenza stessa" .
378
I:intervento per la riduzione della vulnerabilità attuale al DOC
379
La clinica
3 80
I:intervento per la riduzione della vulnerabilità attuale al DOC
" di toccare con mano" , che il senso di colpa, per quanto spiacevole, è
sopportabile e, per quanto intenso, è destinato a scemare. A tale scopo,
potranno essere impiegati sessioni di esposizione con prevenzione della
risposta appositamente progettate con il paziente, in grado cioè di at
tivare il suo timore di colpa, ricorrendo a scenari in immaginazione, in
vivo o misti. Durante le sessioni di esposizione il focus sarà sul disagio
sperimentato dal paziente, sulle sensazioni fisiche associate e sul dialogo
interno, facendo al contempo attenzione a prevenire qualsiasi tentativo
di alleviare o neutralizzare il senso di colpa.
Per esempio, per i quattro pazienti dello studio citato sono state im
piegate esposizioni in vivo a situazioni di questo tipo (ispirate a quelle
descritte da De Silvestri, 1999) :
- chiedere indicazioni stradali a un passante impegnato in una conver
sazione telefonica;
urtare con noncuranza una persona in metropolitana e non scusarsi;
in un negozio di scarpe provarne diverse paia e andar via senza ac
quistarne nessuno;
in un bar affollato ordinare un panino e per tre volte consecutive
chiedere al barista di sostituirlo perché si è cambiato idea;
- saltare la fila al supermercato;
sull'autobus non cedere il posto a sedere a una persona anziana o in
cinta;
- per strada rispondere in maniera sbrigativa a una richiesta di infor
mazioni;
- dal parrucchiere cambiare idea sulla piega fatta e chiedere di rifarla.
Gli esercizi riportati hanno solo valore esemplificativo; per essere
efficaci, infatti, come descritto nel capitolo XVI sull'E/RP, devono esse
re in grado di attivare il disagio e, dunque, andranno di volta in volta
progettati con il singolo paziente. Allo stesso modo, si dovrà avere cura
di prevenire le specifiche strategie di neutralizzazione che il paziente
tende a mettere in atto per lenire il senso di colpa.
Una volta attivato il timore di colpa, con esposizioni in vivo o im
maginative, il terapeuta dovrà fare in modo che esso rimanga attivo,
prevenendo il ricorso a comportamenti di neutralizzazione e favoren
do il contatto con ciò che il paziente sperimenta in quel momento, a
livello emotivo, cognitivo (per esempio, dialogo interiore di autoac
cusa e rimprovero) e somatico. L'obiettivo è la decatastrofizzazione
dell'esperienza della colpa e ciò potrà avvenire solo a condizione che
il paziente la sperimenti, ci rimanga in contatto, non faccia nulla per
381
La clinica
CONCLUSIONI
3 82
L:intervento per la riduzione della vulnerabilità attuale al DOC
3 83
XIX
INTRODUZIONE
385
La clinica
3 86
Il lavoro sulla vulnerabilità storica
IMAGERY RESCRIPTING
387
La c!ùzica
somatica che emerge viene definita "ponte" perché apre un varco attra
verso cui giungere a eventi passati caratterizzati dallo stesso contenu
to emotivo (o somatico) . Questo effetto sfrutta quei fenomeni chiamati
mood congruence (Blaney, 1 986), in cui il materiale emotivo è ricordato
con maggiore affidabilità in stati emotivi simili a quelli dei ricordi (un
esempio è la produzione di ricordi dal contenuto triste, quando si è de
pressi) e mood dependence, il processo di facilitazione della memoria
quando l'emozione al momento del recupero è simile a quella della co
difica (Ellis, Ashbrook, 1 99 1 ) .
La tecnica di ImR consiste in sette fasi:
l . Induzione di uno stato di rilassamento e sicurezza. n terapeuta chiede
al paziente di chiudere gli occhi e di descrivere il suo luogo sicuro, cioè
un ambiente, reale o di fantasia, in cui si sente completamente a suo agio.
Alcuni pazienti, soprattutto quelli con un passato traumatico, possono
sperimentare difficoltà e frustrazione nell'accedere a un'immagine di
completa sicurezza. In questo caso può essere utile che terapeuta e pa
ziente concordino insieme il luogo sicuro, che può essere, per esempio,
la stessa stanza di terapia.
2. Ilfocus dall'immagine del luogo sicuro è spostato su quella di un evento
attuale doloroso. n paziente è invitato a descrivere, al tempo presente, la
situazione che ha generato sofferenza, soffermandosi e descrivendone,
nel maggior dettaglio possibile, le caratteristiche ambientali, contestuali
e relazionali. La descrizione dettagliata dell'evento comporta l'accesso
alle cognizioni e intensifica nel paziente le emozioni e le sensazioni cor
poree sperimentate.
3 . Facendo soffermare il paziente sullo stato emotivo attuale o sulle co
gnizioni connesse alla scena, il terapeuta lo invita a ricercare nei propri
ricordi dell'infanzia un episodio dalla stessa valenza emotiva o dallo stes
so contenuto cognitivo.
4 . Una volta emerso il ricordo, il terapeuta chiede al paziente di descri
verne dei dettagli, come se l'evento si stesse verificando proprio in quel
momento, facendo porre il paziente nella prospettiva di se stesso bambi
no. Per rendere l'immagine più vivida e quindi intensificare le emozioni
esperite, è utile attivare quanti più canali sensoriali possibile, stimolando
il paziente con domande su odori, rumori, colori, materiali presenti nel
la scena. A discrezione del terapeuta, nel caso in cui per il paziente sia
troppo doloroso, non è necessario che siano riportati i dettagli della sce
na traumatica. Non trattandosi di una tecnica espositiva, infatti, l'unica
3 88
Il lavoro sulla vulnerabilità storica
3 89
La clinica
Esempi di rescripting
ESEMPIO l
Elisa, paziente con ossessioni aggressive.
Evento critico attuale: Elisa è in ufficio, le viene in mente il sogno che ha fat
to stanotte. È un brutto sogno, era in macchina e aveva investito un passante.
All'improvviso un dubbio l'attanaglia. E se non fosse un sogno, ma un ricordo?
Emozione ponte: Elisa sperimenta senso di colpa, ha la sensazione che un'onda
di calore la stia pervadendo e prova un forte peso sul petto. Il terapeuta chiede
alla paziente di focalizzarsi sull'emozione provata e di cercare tra i ricordi uno
in cui da bambina si trova a sperimentare le stessa emozione.
Evento emerso con l'emozione ponte: Elisa ha 7 anni e frequenta la scuola ele·
mentare, in cui lavora anche la madre. È ricreazione, tutti i bambini corrono
per le scale e nell'euforia Elisa cade, non si ferisce ma sente male al ginocchio.
Non è difficile trovare la mamma in quella piccola scuola di provincia e Elisa
la cerca dicendosi che così avrebbe potuto farsi consolare per il dolore al gi·
nocchio e per lo spavento della caduta. Elisa va incontro alla madre, la ricono·
sce da lontano con i suoi vestiti austeri, lo sguardo severo e un po' sofferente.
Quando la incontra, le racconta, piangendo, l'accaduto. La madre (affetta da
una grave forma di DOC) le controlla il grembiulino bianco ma un po' impol·
3 90
Il lavoro sulla vulnerabilità storica
verato, glielo toglie e le dice: " Non stai mai attenta, come al solito sei superfi
ciale e sbadata. Ma potevi stare più attenta invece di combinare sempre guai !
E ora non appena torneremo a casa sarò costretta a lavare tutti i tuoi vestiti,
come se non fossi già così impegnata, come se già non mi sacrificassi abbastan
za. Come te lo devo dire che devi stare più attenta? " . Elisa smette di piangere,
abbassa lo sguardo e si dice che non è giusto che la mamma si preoccupi per
quello che combina lei, che non è una brava bambina perché l'ha fatta arrab
biare e si sente in colpa.
Emozione esperita: colpa.
Bisogno: Elisa vorrebbe che la madre le dicesse che non importa e che la reputa
ugualmente una brava bambina e che la consolasse per lo spavento della caduta.
Rescripting: " Elisa adulta" entra nell'immagine e dice alla madre: " Non vedi
come hai fatto sentire quella povera bambina, ti rendi conto che hai un proble
ma e pure grave? Ti devi far curare, non puoi continuare a sottomettere tutta
la famiglia al tuo disturbo! " . La madre comprende lo stato emotivo di " Elisa
piccola" la prende in braccio e la consola.
Riattribuzione: " Mamma aveva e ha tuttora un problema. Povera Mamma, mi
dispiace tanto, ma non ero una bambina sbadata, ero una bambina come tutte
le altre. Non devo stare sempre così attenta, posso abbassare le difese e goder
mi un poco la vita anch'io " .
ESEMPI0 2
Emilia, paziente con timore di contrarre il virus dell'HIV.
Evento critico attuale: Emilia è nel giardino dell'università e parla con una sua
amica che è da poco tornata dal Brasile. A un tratto le viene in mente che il Bra
sile è un paese in cui le norme igieniche non sono affidabilissime. "E se Cinzia
avesse fatto sesso con un ragazzo brasiliano? Io l'ho baciata sulla guancia, co
me faccio a essere sicura che non abbia contratto anch'io il virus dell'HIV? " In
preda all'ansia chiama la madre per cercare delle rassicurazioni. La madre, di
tutta risposta, le dice che è un'irresponsabile, che all'università ci si va per stu
diare e non per parlare con le amiche dei viaggi !
Emozione ponte: timore di colpa, che la paziente avverte a livello somatico al
la bocca dello stomaco. Il terapeuta chiede a Emilia di entrare in contatto con
l'emozione provata e di sfogliare i ricordi del passato per trovarne uno, in cui
da bambina si è sentita proprio così.
Evento emerso con l'emozione ponte: è domenica pomeriggio, Emilia ha 14 an
ni, con le scarpe e i jeans sporchi di erba, è appena tornata dal parco, dove,
nel tentativo di arrampicarsi su un albero, si è ferita a una mano. Nella grande
casa, seduto alla scrivania, nel suo studio ordinato, c'è il padre, di cui Emilia
ha timore perché la sgrida spesso. Il padre è assorto nelle sue letture e nei suoi
conti, ma quando si accorge della ferita si arrabbia molto e le dice: " Non sei
responsabile e non metti attenzione quando fai le cose ! Hai rischiato di farti
male davvero! Ti potevi rompere una gamba ! E poi come avresti fatto con la
scuola? Ti sanguina la ferita ! Ti rendi conto di chi frequenta i parchi pubblici?
391
La clznìca
I drogati ! Non è che ti sei ferita con qualche siringa che spuntava dall'albero?
Hai controllato bene ? " .
A quel punto Emilia prima cerca di spiegare al padre che non c'era nessuna
siringa né altri pericoli evidenti, poi si confonde, non ricorda se ha controllato
e non riesce a dare una risposta al padre, che continua ad arrabbiarsi e a criti
carla per il comportamento scriteriato.
Emozione esperita: colpa.
Bisogno: Emilia riporta che in quel momento desiderava che il padre la conso
lasse, ma soprattutto aveva bisogno che il padre tenesse in considerazione la
sua capacità di giudizio.
Rescripting: Emilia adulta non è più confusa, ora è arrabbiata e in maniera sec
ca e diretta si rivolge al padre: "Smetti di mettere in discussione le mie parole !
Non trattarmi come una bambina, sarò in grado di riconoscere se da un albe
ro spuntano delle siringhe? E poi che assurdità è questa? Aghi che fuoriesco
no dalla corteccia dell'albero? Sei tu quello strano a immaginare cose bizzarre
come queste! " .
Riattribuzione: Non sono una persona irresponsabile e distratta, anzi ! Quello che
penso è vero, sono una persona credibile, basta con il mettere in dubbio tutto !
3 92
Il lavoro sulla vulnerabilità storica
ESEMPIO l
Anna è una ragazza di 27 anni, che vive con suo marito e con la loro bambina di
5 anni. Le sue ossessioni sono di poter contrarre il virus dell'HIV e di sporcarsi
con la sua stessa urina. Le compulsioni consistono in lunghi rituali di lavaggio.
A volte si sente obbligata a gettare i vestiti indossati, se ha il dubbio che questi
siano stati sporcati dall'urina. Durante la ricostruzione della storia di vita, Anna
sembra raccontare la storia di una famiglia normale e amorevole, a eccezione di
un periodo della sua vita di cui ha scarsa memoria ma che spesso riaffìora alla sua
393
La clinica
ESEMPI0 2
Claudio è un uomo di 65 anni, il suo disturbo ossessivo-compulsivo lo affligge
da circa quarant'anni. Le sue ossessioni consistono nel timore di causare dan
no ad altri, timore che raggiunge il suo apice mentre è alla guida della sua auto
ma che si presenta anche quando passeggia per strada o apre e chiude le por
tiere della macchina. I suoi rituali consistono nel dover ripercorrere mental
mente la scena "incriminata" valutandone tutti gli elementi utili per rassicurarsi
di non aver fatto del male ad alcuno. La ricostruzione della storia di vita e in
particolare il Floatback sulle sensazioni fisiche legate al timore di colpa hanno
lasciato emergere memorie antiche risalenti ai suoi 13 anni quando il padre, al
colista, faceva rientro a casa ubriaco. Non era violento fisicamente, ma urlava
e inveiva contro la madre di Claudio. 13 anni non erano tanti, ma sufficienti ad
assumersi la responsabilità di contenere il padre prendendolo per le braccia e
intimandogli di fermarsi.
Gli elementi salienti del ricordo si cristallizzano in una sola immagine: il
padre inerme e indifeso e le parole "Vorresti uccidere tuo padre? " . Nel rievo
care questi ricordi trapela la commozione e la forte pena per il padre che ve
de inerme, addolorato e deluso dal suo comportamento. " Era come sparare
sulla croce rossa ! " , afferma. Gli occhi si riempiono di lacrime e la colpa ha fi
nalmente accesso alla sua coscienza. La terapia con l'EMDR ha previsto diverse
sessioni di rielaborazione del ricordo e in particolare del vissuto di colpa a es
so collegato. La direzione del cambiamento si definirà nel desiderio di sentirsi
"una brava persona" .
3 94
Il lavoro sulla vulnerabilità storica
3 95
La clinica
CONCLUSIONI
3 96
Il lavoro sulla vulnerabilità storica
sugli altri e sul mondo, così generati, detteranno le regole del compor
tamento attuale volto principalmente a evitare un giudizio di colpevo
lezza proprio o altrui. Attraverso il lavoro sulla vulnerabilità, si cerca di
promuovere nel paziente un'interpretazione più funzionale degli eventi
e l'accettazione dell'idea che gli eventi avversi o il clima familiare siano
stati determinanti nella propria esistenza, ma dettati da una complessa
serie di eventi o dal caso, e non da una presunta propria manchevolezza.
Nel lavoro sulla vulnerabilità, quindi, si favorisce l'accettazione di
eventi passati dolorosi e si cerca di ridurre le autocolpevolizzazioni e la
drammaticità con cui sono vissute.
È opportuno, favorire la flessibilità e la possibilità di percepirsi come
una persona che può sbagliare, perché ciò non compromette il proprio
valore personale.
Il lavoro sulla vulnerabilità storica è, dunque, utile soprattutto per
ridurre le sensibilità del paziente e quindi il rischio di ricadute, in situa
zioni di particolare stress e di eventi di vita avversi, come vedremo nel
prossimo capitolo.
397
xx
399
La clinica
400
La prevenzione delle ricadute e la conclusione della terapia
Nel primo caso, il paziente non sente di aver avuto un ruolo nel pro
cesso di cambiamento, ma ritiene che esso sia o un miracolo o una con
dizione momentanea, il cui unico fautore è il terapeuta. La percezione
di non aver avuto un ruolo attivo nella terapia, ma che il cambiamento
sia attribuibile a competenze/atteggiamento/presa in carico del terapeu
ta, costituisce un fattore di rischio per la ricaduta, perché sostiene l'idea
che, con la fine della terapia, venga meno il promotore del cambiamen
to. Tale condizione lascia il paziente in uno stato di insicurezza rispetto
alle proprie capacità di affrontare da solo il mondo ed eventuali riacu
tizzazioni sintomatologiche. Allo stesso modo, nel secondo caso, un at
teggiamento disfattista e di deresponsabilizzazione rispetto all'impegno
dovuto, potrebbe demotivare il paziente nell'affrontare eventuali recru
descenze sintomatologiche. Infine, un atteggiamento di drammatizza
zione di una ricaduta, lascia pensare che il paziente non abbia ancora
inserito all'interno della propria storia di vita l'esperienza del DOC. Una
disposizione eccessivamente preoccupata, potrebbe dare vita a fenome
ni di attenzione selettiva, favorendo l'autodeterminarsi di una profezia.
Il riconoscimento di uno o più dei suddetti criteri è indice della ne
cessità di lavorare ancora sulle cognizioni che sottostanno all'atteggia
mento verso il disturbo, prima di volgere al termine della terapia.
401
La clinica
ribadire che sono compulsive tutte quelle azioni che sono mosse da un
timore di colpa o di contaminazione o da una Not}ust Right Experience.
È utile, inoltre, che il paziente sia preparato a prevedere le fasi di vita
in cui fattori di stress possano esporlo a un rischio maggiore di ricadu
te. Questi eventi sono legati ai temi sensibili del paziente e a un aumen
to della responsabilità percepita, come nel caso di un cambio di ruolo,
del diventare genitore, di una promozione lavorativa o come nel caso di
doversi prendere cura di qualcun altro. È per questa ragione che il lavo
ro sulla vulnerabilità storica, sui temi sensibili per il paziente, lo rende
meno suscettibile a eventuali ricadute.
Freeston e Ladouceur ( 1 999) suggeriscono che al paziente siano for
nite istruzioni scritte sulle strategie da utilizzare in caso di recrudescenza
sintomatologica; nello specifico tali istruzioni dovranno comprendere:
il riferimento al modello cognitivo-comportamentale del DOC per
comprendere il riemergere del pensiero ossessivo;
l'identificazione delle valutazioni sull'ossessione;
l'astenersi dalla neutralizzazione, evitamento, ricerca di rassicurazioni;
la ripresa degli esercizi di esposizione;
l'utilizzo di strategie cognitive per fronteggiare l'importanza attribui
ta al pensiero;
l'uso del problem solving per fronteggiare le situazioni stressanti;
il considerare la recrudescenza non come un fallimento del tratta
mento ma come un'opportunità per praticare nuovamente e impa
rare nuove strategie di fronteggiamento.
In caso di fallimento delle suddette strategie, i prowedimenti che il
paziente potrà prendere saranno di intensità crescente, quali ricontat
tare il terapeuta per un supporto o riprendere la terapia. È opportuno
che al paziente siano suggeriti anche dei criteri temporali predefiniti,
cui fare riferimento in caso di fallimento delle strategie suddette, come,
per esempio, contattare il terapeuta entro un mese dall'inizio della re
crudescenza sintomatologica.
Nel lavoro sulla prevenzione delle ricadute assume grande importan
za il lavoro sul benessere psicologico. Il costrutto di benessere psicolo
gico può essere definito secondo sei dimensioni (Ryff, 1 989), che fanno
riferimento a: mastery ambientale, crescita personale, scopi di vita, au
tonomia, accettazione di sé e relazioni positive con gli altri. A partire dal
costrutto di benessere psicologico di Ryff, Fava (Fava, 1 999) ha struttu
rato un intervento cognitivo-comportamentale centrato sul benessere.
L'intervento consiste in 8 incontri, tesi a consolidare le sei dimensioni
402
La prevenzione delle ricadute e la conclusione della terapia
403
La clinica
404
La prevenzione delle ricadute e la conclusione della terapia
405
XXI
PREMESSA
Chi vive con una persona affetta da DOC è spesso messo a dura pro
va dai sintomi del proprio congiunto e si chiede, senza trovare risposta,
407
La clinica
come sarebbe giusto agire per liberarlo (e liberarsi) dalle trappole del di
sturbo. Talvolta il paziente chiede aiuto nell'esecuzione dei rituali, altre
volte il familiare "soccorre " e si sostituisce spontaneamente al paziente
con la speranza o nella convinzione (purtroppo infondata) di aiutarlo a
stare meglio. Accade anche che il familiare non faccia nulla, ma si trovi
costretto a subire i rituali del paziente.
Le brevi storie che seguono aiuteranno a comprendere meglio que
ste situazioni tipiche di interazione paziente-familiare. Le distingueremo
in situazioni del I tipo (quelle in cui il familiare partecipa ai sintomi del
paziente, spontaneamente o su sua richiesta) e del II tipo (quelle in cui
il familiare non partecipa ai sintomi ma è costretto a subirli) .
408
Il ruolo deifamiliari nel mantenimento del DOC
Francesca e Carlo sono i genitori di Mirella, una giovane donna con ritua
li di lavaggio e di ordine e simmetria. Mirella trascorre molte ore in bagno,
spesso anche di notte, per eseguire lunghi ed estenuanti lavaggi. Ciò causa ai
genitori una serie di disagi, prima di tutto quello di non poter usare il bagno.
Passano spesso la notte in bianco disturbati dai rituali di Mirella, che impie
ga molte ore per disinfettare ogni angolo della casa e riordinare oggetti e mo
bili secondo schemi ossessivi irrinunciabili. I genitori sono esasperati da anni
trascorsi in questo modo e non sanno come fare a bloccare i comportamenti
compulsivi della figlia. Hanno provato a persuaderla con mille ragionamenti,
talvolta pregandola di uscire dal bagno e di non spostare i mobili di notte, altre
volte minacciando di buttare giù la porta o persino di chiuderla a chiave nel
la sua stanza, ma sempre senza successo. Sono disperati, si sentono impotenti,
e sono ormai convinti che sia impossibile uscire da quello che definiscono un
incubo senza fine.
Dall'accondiscendenza all'antagonismo:
il continuum degli atteggiamenti interpersonali disfunzionali
409
La clinica
I:accomodamento
I familiari spesso partecipano alla sintomatologia compulsiva del pro
prio caro affetto da DOC su sua esplicita richiesta; proprio come acca
de al paziente, pur giudicandole magari assurde e bizzarre, partecipa
no alle compulsioni allo scopo di alleviare l'ansia e lo stress del proprio
congiunto (Waters, Barret, 2000) , di prevenirne la rabbia qualora non
rispondessero alle sue richieste e, quindi, di evitare una situazione con
flittuale (Storch, Lewin, Geffken et al. , 2 0 1 0) , di ridurre l'impegno ri
chiesto dai rituali (Storch, Geffken, Merlo et al., 2007) , di lenire la pro
pria ansia o il proprio stress (Caporino, Morgan, Beckstead et al. , 2012;
Futh, Simonds, Micali, 2012). " Ogni mattina mio figlio mi chiede di as
sistere ai suoi rituali di lavaggio delle mani, del viso e dei denti . . . Non
ho alternative, rifiutarmi comporterebbe fargli perdere lo scuolabus e
accompagnarlo poi a scuola in macchina; significherebbe veder aumen
tare la sua ansia e la sua rabbia . . . Le volte che ho provato a rifiutare è di
ventato molto aggressivo e pesantemente offensivo nei miei confronti . . .
con urla che anche i vicini hanno sentito . . . che vergogna ! " .
Altre volte sono i familiari stessi che spontaneamente partecipano
alle compulsioni o favoriscono gli evitamenti nella convinzione che agi
re in tal modo significhi prendersi cura del proprio caro, alleviargli la
sofferenza e lo stress. " Non parlo mai a mio marito dei nostri nipotini
e ho tolto di mezzo tutte le loro foto; li incontro e trascorro del tem
po con loro fuori casa; quando lui è in casa, guardo solo programmi
televisivi e film 'sicuri', in cui non compaiono bambini. Trovo assurdi
i suoi timori di poter molestare i nostri cari nipotini, li adora, non fa
rebbe mai loro del male, ne sono sicura ! Ma non voglio vederlo soffri
re ! Gli voglio molto bene, mi fa stare male vederlo in preda all'ansia e
alla disperazione ! "
410
Il ruolo dei familiari nel mantenimento del DOC
411
La clinica
Tabella 21.1
41 2
Il ruolo dei familiari nel mantenimento del DOC
mente ridurre il fardello del disturbo per il paziente, è anche vero che
a farne le spese sono poi i familiari stessi, che devono fare i conti con i
costi del loro coinvolgimento nella sintomatologia. Basti pensare a quei
genitori, ma anche ad altri familiari e/o conviventi, che lasciano il lavoro
per assistere i propri cari, modificano le proprie abitudini (ora dei pasti,
menù, sonno, ecc.) e rinunciano ad attività sociali e ricreative, pagan
do costi pratici, economici ed emotivi. Diversi studi hanno evidenziato
tra i familiari più coinvolti nei meccanismi di accomodamento, livelli di
stress e depressione più elevati (Amir, Freshman, Foa, 2000 ) , maggiori
413
La clinica
I:antagonismo
Quando vedo mia figlia ripetere 10, 2 0 volte lo stesso gesto ho l'im
pressione di un disco rotto, di un qualche meccanismo inceppato nel
cervello . . . Così la scuoto, la prendo a schiaffi . . . per farla riprendere, ri
tornare in sé.
41 4
Il ruolo deifamiliari nel mantenimento del DOC
LE TRAPPOLE INTERPERSONALI
4 15
La clinica
41 6
Il ruolo dei/amilzari nel mantenimento del DOC
La disputa razionale
Gli interlocutori degli individui con DOC non si limitano a dare ras
sicurazioni superficiali o a dire piccole bugie a fin di bene. Spesso s'im
pegnano con tutte le proprie forze a trovare argomentazioni logiche
e razionali che smontino l'idea di pericolo da cui i pazienti si sentono
minacciati, allo scopo di placare la loro ansia e bloccare i loro rituali.
L'avvio di un ciclo di disputa razionale è spesso segnalato da espressioni
verbali quali: " Ok, proviamo a ragionare ! " , " Usiamo la testa" , "La tua
paura non è razionale, ora te lo dimostro . . . " , ma, purtroppo, raramen
te gli argomenti così introdotti si dimostrano efficaci, per cui si assiste
molto spesso a lunghe ed estenuanti discussioni che non solo non scal
fiscono minimamente i timori del paziente, ma finiscono per inasprirli
e mantenerli.
I pazienti ossessivi non ragionano affatto in modo illogico o "folle"
(non hanno bisogno che qualcuno insegni loro a ragionare), ma piutto
sto adottano criteri molto rigidi e severi per valutare razionalmente la
solidità dell'ipotesi rassicurante (accettano cioè con molta difficoltà in
formazioni rassicuranti, per non correre il rischio di colpevoli sottova
lutazioni del rischio). I tentativi di rassicurazione, anche quelli più ar
ticolati, si scontrano dunque con questi criteri estremamente rigorosi.
Per questo falliscono o ottengono risultati scarsi e limitati nel tempo.
Il suggerimento di soluzioni
Oltre che elargire pacche sulla spalla, dire piccole bugie a fin di be
ne, ingaggiare lunghe discussioni razionali, il familiare spesso si cala nel
ruolo dell'ispiratore di soluzioni pratiche volte a rimuovere le condi
zioni che provocano ansia. I pazienti si mostrano peraltro solitamente
molto attenti ai consigli pratici e se, dopo averli analizzati con cura, li
giudicano idonei, provano anche ad applicarli. Talvolta, quando ciò ac
cade, paziente e familiare possono inizialmente avere l'impressione di
aver trovato un buon rimedio e può effettivamente seguire una momen
tanea riduzione dei livelli di ansia. Tuttavia, in un buon numero di casi,
le soluzioni suggerite dal familiare, anche se apparentemente efficaci,
finiscono per mantenere e inasprire il disturbo del paziente.
Proveremo a spiegarci meglio con un esempio.
417
La clinica
La compiacenza
Molto spesso chi è vicino a una persona con DOC, accetta le regole
imposte dal disturbo e fa, spontaneamente o su richiesta, esattamente
quello che il paziente si aspetta, convinto che sia l'unico modo per bloc
care i suoi sintomi ossessivo-compulsivi. Come nei casi di Sonia e Pao
lo (vedi il secondo paragrafo), è comune osservare i familiari di pazienti
con DOC toccare al posto loro oggetti considerati sporchi (per esempio,
maniglie, denaro) e lavare per loro oggetti e vestiti, o eseguire con loro
(o al loro posto) controlli compulsivi, conteggi, o altri generi di rituali.
Queste manovre accomodanti hanno lo scopo di evitare al proprio caro
con DOC l'esposizione alla situazione ansiogena e di alleggerire il carico
delle compulsioni che altrimenti eseguirebbe da solo. Consentono perciò
al paziente di provare un sollievo momentaneo e al familiare di evitare
conflitti e discussioni, ma lungi dall'essere una soluzione definitiva, de
terminano un aggiramento difensivo dell'ostacolo che mantiene intatte
tutte le paure ossessive (per le ragioni già illustrate nel paragrafo sull' ac
comodamento) . In questi casi, il familiare del paziente si comporta in
modo analogo a quello di un tossicodipendente che, pur di non vedere
4 18
Il ruolo deifamiliari nel mantenimento del DOC
Il biasimo
Nelle interazioni tra pazienti con DOC e loro familiari si assiste spesso
alla comparsa di espressioni di biasimo. In questo paragrafo ci soffer
meremo soprattutto sugli effetti delle critiche che il familiare rivolge al
paziente nei momenti di rabbia e con lo scopo di bloccare i suoi sintomi.
Va però detto che anche il paziente, non di rado, rimprovera il proprio
caro. Lo accusa, per esempio, di non capire la sua sofferenza, o, peggio,
di esserne la causa. L'effetto dei rimproveri del paziente non è margina
le. Il familiare, infatti, subendo il rimprovero, oscillerà tra sentimenti di
colpa e di rabbia che lo porteranno a reazioni controproducenti. Quan
do percepirà il rimprovero come meritato, si sentirà in colpa e metterà in
atto comportamenti di aiuto accomodante che, come abbiamo già visto,
rappresentano un grave fattore di mantenimento del disturbo; quando
invece percepirà come ingiusto il rimprovero ricevuto dal paziente, pro
verà rabbia e reagirà a propria volta in modo aggressivo.
Esistono molti modi per esprimere critica, disapprovazione, delu
sione, condanna, disprezzo, e spesso nei dialoghi paziente-familiare è
possibile rintracciarli anche in esclamazioni esplicite e dirette, quali, per
esempio, " Non ti sopporto più ! " , " Smettila di controllare e ricontrol
lare, mi sembri un pazzo ! " , "Accidenti a te e alle tue fisse da matta . . .
Mi hai rovinato la vita ! " , " Se non esci subito dal bagno, sfondo la porta
e ti ci tiro fuori di peso ! " , " Sei una piaga, faccio come dici, pur di non
starti più a sentire ! " .
Nel corso di una psicoterapia si può peraltro osservare che le cri
tiche che i pazienti raccontano di ricevere dagli altri non differiscono
nei contenuti dagli autorimproveri che rivolgono a se stessi quando ri
flettono sul proprio disturbo: si dicono di essere sbagliati, pazzi, egoi
sti, colpevoli della propria condizione. Le dure critiche e i rimproveri
a cui le persone ossessive sono esposte, così come le autocritiche, svol
gono un ruolo molto specifico nel mantenimento del disturbo perché
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La clinica
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Il ruolo deifamiliari nel mantenimento del DOC
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La clinica
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Il ruolo deifamiliari nel mantenimento del DOC
al l 00% che non ho investito nessuno? " , segnalano una richiesta osses
siva del paziente e un probabile innesco di una trappola interpersonale.
Nelle situazioni del II tipo, quello indiretto, il familiare, pur non par
tecipando attivamente ai sintomi del paziente, è chiamato ad assistere
- e talvolta a subire - i suoi rituali compulsivi. Per esempio, potrebbe
facilmente accadere che il bagno sia perennemente occupato dal pa
ziente, immerso nella ripetizione estenuante di lavaggi, o che di notte
diventi impossibile riposare perché non riesce a smettere di riordinare
compulsivamente libri o altri oggetti, o diventi difficile muoversi libe
ramente in casa e persino trovare una sedia libera perché ha accumula
to dappertutto oggetti che sente di non poter gettare via né spostare, o
che le bollette siano incredibilmente elevate a causa dell'uso eccessivo
di acqua calda, o che diventi impossibile una banale attività quotidia
na, come riassettare in tempi rapidi la cucina, perché il paziente si sente
costretto a consumare il pasto con lentezza ossessiva e a restare seduto
a tavola per ore al fine di terminare i rituali imposti dal DOC. Anche in
questo caso, è facile che il familiare precipiti insieme al paziente in una
delle sei trappole già descritte nelle pagine precedenti.
Alla luce di queste considerazioni, si possono ricavare le seguenti in
dicazioni:
non assecondare le richieste ossessive di rassicurazione;
non aiutare il paziente nell'esecuzione dei rituali;
non consentire al paziente di evitare le situazioni temute sostituen
dosi a lui;
non accettare che regole e abitudini casalinghe vengano stravolte dai
rituali imposti dal DOC;
imparare gradualmente a opporsi con gentilezza - ma in modo fermo
e sicuro - alle richieste e alle imposizioni del DOC;
non rimproverare il paziente e non forzarlo a bloccare bruscamente
i rituali.
Per non contribuire all'aggravamento della sintomatologia del pro
prio caro è necessario sottrarsi all'accomodamento, ma in un modo tale
da non cadere nell'errore opposto, quello del rimprovero colpevoliz
zante e dell'asprezza.
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La clinica
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Il ruolo deifamiliari nel mantenimento del DOC
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La clinica
ma tutti gli errori che, suo malgrado, vengono commessi dal familiare e
proponendo successivamente una modalità di gestione alternativa e più
funzionale. In sintesi, illustreremo ciò che non andrebbe fatto e quello
che invece sarebbe opportuno dire, rispondere o fare (il problema se
guito dalla soluzione).
In questo paragrafo ci occuperemo delle situazioni che abbiamo chia
mato del I tipo, cioè quelle in cui il paziente coinvolge attivamente il fa
miliare con richieste di rassicurazione, aiuto nell'esecuzione dei rituali,
sostituzione in attività quotidiane. Nel paragrafo successivo affrontere
mo le situazione del II tipo, le più difficili, quelle in cui il paziente, sen
za chiedere aiuti, impone al familiare gli effetti molesti dei propri rituali
(per esempio, uso prolungato del bagno, rumori notturni, ritardi).
Leggiamo con attenzione questo dialogo tra madre e figlio ossessivo
(situazione del I tipo) :
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Il ruolo deifamiliari nel mantenimento del DOC
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La clinica
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CONCLUSIONI
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Il ruolo dei familiari nel mantenimento del DOC
qualche altro modo nella messa in atto delle compulsioni. Spesso i fa
miliari, ritenendo di agire correttamente e per il bene del proprio caro,
subiscono passivamente la sua attività compulsiva, o cercano di placare
il suo disagio rassicurandolo superficialmente, o in altre circostanze si
impegnano in dettagliate spiegazioni logiche, in altre ancora asseconda
no le sue richieste, sostituendosi a lui in attività temute, consentendo
gli massicci evitamenti o suggerendogli nuove soluzioni compulsive. In
altre occasioni ancora, esasperati dalle continue richieste e dalla fatica
estenuante legata alla condivisione dell'esistenza con una persona con
DOC, la maltrattano, la colpevolizzano o la forzano a interrompere i ri
tuali. In realtà, nessuna delle strategie che spontaneamente la maggior
parte dei familiari tende a mettere in atto è efficace, anzi, si rivelano tut
te non solo inutili, ma controproducenti, e danno luogo ad alcuni tipi
ci cicli interpersonali patogeni che conducono al peggioramento della
sintomatologia e in molti casi a un'ulteriore esasperazione del clima af
fettivo familiare. Per tali motivi, se si vuole affrontare efficacemente il
trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo, è fondamentale aiutare
paziente e familiari a identificare questi meccanismi e addestrare tutte
le persone coinvolte in strategie efficaci di disinnesco di essi. Sia l'indi
viduo affetto da DOC, sia i suoi cari dovranno imparare ad affrontare e
superare i momenti di crisi in cui l'ansia è molto intensa, anche grazie
a strategie specifiche di accettazione, che consentono di passare attra
verso l'esperienza del disagio senza esserne sopraffatti, e quindi senza
mettere in atto le compulsioni.
435
XXII
INTRODUZIONE
Fino alla seconda metà degli anni Sessanta del secolo scorso molti
professionisti della salute mentale ritenevano che il DOC fosse una con
dizione essenzialmente cronica e difficilmente trattabile. Fino a quan
do Vietar Meyer (Meyer, Levy, Schnurer 1 974; Meyer, 1 966) , clinico
inglese, ex pilota militare ed ex prigioniero di guerra durante la Secon
da guerra mondiale, dimostrò empiricamente che, esponendo in modo
prolungato un soggetto agli stimoli temuti e chiedendogli contempora
neamente di non mettere in atto i rituali solitamente utilizzati per con
trastare il disagio provocato dallo stimolo ansiogeno, si assisteva a un
netto miglioramento del suo quadro clinico. Nei decenni che sono se
guiti le procedure di esposizione con prevenzione della risposta (EIRP)
sono diventate trattamento elettivo e di provata efficacia del disturbo
(vedi capitolo XVI) . L'E/RP dunque funziona e il DOC, grazie a questa im
portante innovazione, diventa una condizione trattabile efficacemente.
Tuttavia, le difficoltà tecniche e relazionali che i terapeuti incontrano
nel trattamento del disturbo restano notevoli. Perché?
Una prima ragione risiede nell'impegno e nel carico emotivo richiesti
dalla tecnica: le procedure E!RP prevedono la disponibilità a tollerare
quote significative di ansia e un lavoro sistematico e prolungato deter
minando casi non rari di scarsa adesione al trattamento. Ma non basta.
Nel corso del processo terapeutico il paziente ossessivo può apparire
dubbioso, preoccupato, logorroico - o il suo esatto opposto: laconico e
stentato nell'eloquio - poco incline ad affidarsi all'aiuto professionale.
Può ridefinire continuamente le formulazioni proposte dal terapeuta o
girare a lungo intorno al cuore del problema rendendo ardua la condu-
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La clinica
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Trappole durante il trattamento
La spiegazione perfetta
Caso 1 : Michele
Michele, un uomo di mezza età gravemente ossessivo, parla in prima sedu
ta della paura di commettere errori e dimenticanze imperdonabili sul posto di
lavoro, di esporsi ai rimproveri dei superiori e ai malumori dei colleghi. Per
questo rilegge lentamente e ripetutamente uno stesso documento, controlla
compulsivamente di avere chiuso a chiave tutti gli archivi dell'ufficio prima di
andare via o rimugina a lungo sull'ipotesi di avere offeso la collega con una frase
infelice. Ha anche timori ossessivi di contaminazione e dedica molto tempo a
lavaggi ed evitamenti di luoghi, persone e oggetti considerati sporchi. Michele
descrive in modo verboso, dettagliato, affannoso i suoi problemi. Torna più vol
te su un concetto, prova a chiarirlo meglio, apre parentesi, specifica, si correg
ge, cerca ossessivamente gli esempi giusti. Quando il terapeuta prova a porgli
una domanda o a proporgli ipotesi di formulazione del problema, esita, chiede
chiarimenti sul senso della domanda, ridefinisce le ipotesi proposte, esprime ri
serve. Dopo quattro sedute di assessment non si è ancora giunti a una formula
zione condivisa del problema e la possibilità di avviare l'intervento terapeutico
vero e proprio appare lontana. ll terapeuta inizia ad avvertire un senso di fru
strazione e irritazione per le continue ridefinizioni del paziente e quest'ultimo
appare sempre più ansioso di fornirle nel modo più chiaro possibile.
In questo esempio clinico lo scopo del paziente consiste nel fare, os
sessivamente, del proprio meglio per consentire al terapeuta di com
prendere e operare bene. L'effetto ottenuto è evidentemente opposto.
Il terapeuta è messo in difficoltà dalla logorrea puntigliosa e inarresta
bile del paziente e si è ben lontani dal porre le basi di una salda allean
za terapeutica. Questo però non consente al paziente di modificare il
439
La clinica
Caso 2: Giovanna
Giovanna è una donna quarantenne, madre di due bambini. In fase di assess
ment, l'esplorazione del problema è bloccata. La paziente appare angosciata,
parla in modo laconico, accenna alla intollerabilità di taluni pensieri, ma non
racconta altro del proprio dialogo interno. Il terapeuta è in difficoltà, non rie
sce a farsi un'idea precisa del problema della paziente, ogni sua domanda ottie
ne risposte vaghe, incomplete, telegrafiche, o silenzio. Solo dopo molte sedute
scopre che Giovanna è ossessionata da pensieri a contenuto aggressivo riferiti
ai propri figli e che parlarne le procura una forte angoscia dovuta, tra le altre
ragioni, al timore di essere considerata dal terapeuta una persona spregevole.
440
Trappole durante il trattamento
La figura ridicola
Caso ]: Corrado
Corrado è un uomo di 55 anni, dirigente di un'importante società. Riferisce
di soffrire di strane ansie che lo tormentano da sempre. Si sofferma sui proble
mi di rapporto con i figli e sulla sua vecchia paura di volare. Tuttavia, parlan
do di questi problemi non appare realmente angosciato. Traspaiono piuttosto
orgoglio e piacere quando parla dei figli e un certo distacco divertito quando
racconta delle peripezie che precedono e accompagnano ogni suo volo. La fase
di assessment, dopo quattro sedute, appare bloccata e l'unica cosa ormai chia
ra è che non sono questi ultimi due i problemi che tormentano Corrado e che
lo hanno motivato a chiedere aiuto a un terapeuta. Solo dopo altre due sedu
te, intervallate da altrettante disdette e da diversi interventi del terapeuta tesi a
rassicurare il paziente e a superare l'impasse, emerge in modo chiaro un quadro
caratterizzato da ossessioni a contenuto sessuale che sin dall'adolescenza tor
turano Corrado. I pensieri osceni riguardano soprattutto la nonna, scompar
sa da tempo, alcune zie e l'anziana madre. Il paziente riferisce di provare una
profonda vergogna, oltre che colpa, per questi assurdi impulsi che affollano
44 1
La clinica
la sua mente (e che peraltro non sembrano provocargli alcun eccitamento ses
suale) . Ammette che, in occasione delle loro prime sedute, era convinto che il
terapeuta stesso non avrebbe potuto fare a meno di ridere delle sue ossessioni
e che, essendo un uomo con una reputazione da difendere, non se l'era sentita
di esporsi a una tale figura.
La diagnosi di follia
Caso 4: Giuseppe
Giuseppe è un ragazzo di 19 anni, al primo anno di università. Racconta
di avere paura di perdere le persone a lui care: in particolare, la sua ragazza
e i suoi due fratellini. Vorrebbe che la terapia lo aiutasse a liberarsi di questa
paura. La considera irrazionale e in ogni caso troppo opprimente. Quando il
terapeuta gli chiede se e cosa abbia fatto finora per provare a contenere que
sta angoscia così profonda, Giuseppe risponde semplicemente di avere pro
vato a non pensarci, ma senza successo. Nel rispondere appare preoccupato
e vago e torna rapidamente a ribadire il suo unico obiettivo: non avere paure
irrazionali! Il terapeuta ha la sgradevole sensazione di girare intorno al pro
blema senza poterlo mettere a fuoco. Solo dopo molte sedute emergerà con
442
Trappole durante il trattamento
chiarezza la vera ragione che ha spinto il paziente a chiedere il suo aiuto. Giu
seppe ha costruito, sin dall'infanzia, un complesso sistema di simboli numeri
ci che attraverso operazioni aritmetiche salvifiche può scongiurare o, in caso
di operazione male eseguita, favorire l'evento infausto (la morte di un caro,
una grave sciagura aerea, l'esplosione di un'epidemia, ecc.). Nel corso degli
anni il numero e la complessità delle operazioni sono via via aumentati e la lo
ro esecuzione richiede ormai molte ore della giornata. Non ne ha parlato mai
con nessuno. Teme di essere considerato matto. Anche il terapeuta avrebbe
potuto fare diagnosi di schizofrenia, informarne i genitori e sconvolgere la lo
ro vita. Non se lo sarebbe mai perdonato. Da tali timori, spiega, sono derivati
le grandi difficoltà incontrate nella prima fase della terapia e il proposito, poi
abbandonato, di interromperla.
Caso 5: Eugenio
Eugenio è un giovane padre ossessionato da immagini di incidenti terribili
che prova in tutti i modi ad allontanare dalla propria mente perché convinto
che, indugiandovi, renda in qualche modo più probabile che si avverino. Parla
re al terapeuta di questa paura implica pensare agli incidenti e dunque, dal suo
punto di vista, renderli più probabili. Per questo, riuscirà a svelare in seduta il
contenuto delle proprie ossessioni solo dopo molto tempo e con grande disagio.
Caso 6: Agnese
Agnese è una donna convinta che indugiare sul pensiero di sé che sputa su
immagini sacre sia moralmente inaccettabile, nella stessa misura in cui lo sa
rebbe se lo facesse davvero. Per questo evita strenuamente qualsiasi situazione
che renda più probabile la comparsa dell'impulso. n setting terapeutico rappre
senta purtroppo proprio una delle situazioni che rendono necessario pensare
443
La clinica
n terapeuta è in pericolo!
Caso 7: Lucio
Lucio è un geometra di 27 anni ossessionato dall'amianto. Sa dell'enorme
diffusione di questo materiale e di quanto sia pericoloso per la salute. Occupa
gran parte del proprio tempo libero nella ricerca ossessiva dei luoghi a più alta
concentrazione di amianto, in controlli degli edifici in cui lavora, dei materia
li impiegati dalla ditta di cui è dipendente, in evitamenti e comportamenti di
sicurezza (per esempio, circolare con i finestrini dell'auto ben chiusi, anche in
piena estate, aprire di rado le finestre di casa, ecc.). In seconda seduta il paziente
appare preoccupato e si dice "bloccato" . Alle domande del terapeuta su cosa
444
Trappole durante il trattamento
abbia determinato il blocco risponde che, dopo la prima seduta, si è reso con
to di avere un problema in più, che, se non risolto, gli impedirà di proseguire
la terapia. L'assessment non procede, il paziente appare sempre più angoscia
to e il terapeuta annaspa nel tentativo di capire cosa stia accadendo. Solo dopo
qualche seduta, quando il terapeuta accenna alla sua esperienza di inquilino
di un palazzo che è stato di recente ispezionato e bonificato dall'amianto, Lu
cio sembra parzialmente rassicurarsi e svela le ragioni del suo "blocco " . Dopo
la prima seduta aveva sviluppato un dilemma ossessivo centrato sulla perso
na del terapeuta: chi poteva garantirgli che continuando a dare informazioni
dettagliate e fondate sulla diffusione dell'amianto, non avrebbe messo nella te
sta del terapeuta lo stesso tarlo diabolico che stava rovinando già la sua vita?
E, d'altronde, non informandolo di importanti dettagli relativi alla diffusione
dell'amianto, non lo avrebbe inevitabilmente lasciato esposto al rischio di con
taminarsene e morirne?
Nel corso di una psicoterapia il terapeuta può, per varie ragioni, di
venire oggetto delle ossessioni del paziente. Nel caso di Lucio l'osses
sione ha assunto la forma di un dilemma nato dal timore di mettere in
pericolo il terapeuta. Il dilemma è di quelli senza via di uscita, perché se
soffermarsi sui dettagli inquietanti relativi alla pericolosità dell'amianto
significa contagiare il terapeuta delle sue stesse preoccupazioni ossessive
e rovinargli la vita, d'altro canto non parlargliene significa las ciarlo col
pevolmente esposto alla contaminazione da amianto. Il terapeuta viene
qui rappresentato come potenziale vittima di un paziente colpevole di
avergli in qualche modo rovinato la vita. Anche nel caso di questa trap
pola le conseguenze manifeste sono il riserbo preoccupato e l'inevitabile
stalla nella formulazione del problema.
445
La clinica
Caso 2: Giovanna
Giovanna, la giovane donna tormentata dalla paura ossessiva di perdere il
controllo e colpire a morte i figlioletti, superate almeno in parte le trappole del
la fase di assessment, concordò con il terapeuta un intervento espositivo. li trat
tamento consisteva, a grandi linee, nell'esposizione prolungata agli oggetti mi
nacciosi in presenza dei figli e nella simultanea rinuncia a tutti i comportamenti
protettivi (tra i più frequenti, quello di non restare mai sola nella stanza con i
bambini, evitare di guardare i coltelli, ripetersi tre volte "sono nel pieno control
lo di me"). L'implementazione della terapia espositiva incontrò tuttavia notevoli
difficoltà e, di fatto, fu avviata solo dopo molti mesi, quando il terapeuta compre
se i reali timori della paziente relativi all 'E/RP. Giovanna temeva che il terapeu
ta potesse sottovalutare il rischio che la donna mettesse dawero in pratica gesti
aggressivi contro i figli. In altri termini, agli occhi di Giovanna, una terapia espo
sitiva incauta e mal concertata dal terapeuta, avrebbe rischiato di fare aumen
tare le probabilità di commettere atti deprecabili e per questo non la eseguiva.
Caso 8: Rodrigo
Rodrigo, un ricercatore poco più che quarantenne e scapolo, era ossessio
nato dal contagio. Tra le paure più resistenti c'era quella di contrarre l'AIDS dal
barbiere o dal dentista. Conteneva compulsivamente tale paura sottoponen
do barbieri e dentisti a interrogatori serrati volti ad accertare la loro cura delle
misure igieniche ed evitando le operazioni che avrebbero comportato pericoli
maggiori (per esempio, non si lasciava mai radere) . Nel corso del trattamento
Rodrigo collaborò attivamente durante la fase di esplorazione e formulazione
dei suoi problemi e affrontò bene i primi step della terapia espositiva, ma, da
un certo punto in avanti, iniziò a mostrare nei riguardi del terapeuta un atteg
giamento circospetto e polemico a cui spesso seguì la mancata esecuzione del
le prescrizioni terapeutiche. Solo dopo molte sedute Rodrigo svelò al terapeu
ta cosa aveva determinato tanta resistenza. Una sera, riflettendo sulla propria
esperienza terapeutica, si era detto che nessuno poteva garantirgli che il tera
peuta fosse correttamente informato sulle reali possibilità di contagio, e che,
in modo superficiale, avrebbe potuto spingerlo a fare cose pericolose. Non si
sarebbe potuto perdonare di essersi affidato a una persona incauta. Per verifi
care la preparazione del terapeuta in materia di AIDS congegnò un test: avrebbe
parlato in seduta dell'innocuità dei baci. Se il terapeuta lo avesse corretto fa
cendogli notare che invece il bacio comporta dei rischi, seppur piccoli, avreb
be superato il test; se invece non avesse detto nulla, o peggio, avesse annuito,
avrebbe dimostrato la propria inaffidabilità. Il terapeuta non superò il test per
ché rimase in silenzio. Da quel momento qualsiasi sua indicazione terapeutica
446
Trappole durante il trattamento
fu sottoposta a valutazioni molto severe e nella maggior parte dei casi venne
disattesa, perché ritenuta insicura.
Caso 6: Agnese
A Agnese, la donna angosciata da pensieri intrusivi a contenuto blasfemo,
il terapeuta aveva suggerito - soffermandosi ampiamente sul rationale dell'in
tervento - di provare a tollerare il fatto che nella sua mente comparissero im
magini e impulsi di quel tipo e di rinunciare a evitamenti e compulsioni covert
di contrasto. La paziente non accolse il suggerimento e da quel momento ini
ziò a valutare con molta circospezione ogni intervento terapeutico. Quando
Agnese parlò con un sacerdote del suo problema e delle riserve che nutriva nei
confronti della terapia, quest'ultimo le riferì di conoscere quel genere di disagi
psicologici e la invitò a fidarsi delle indicazioni del clinico. Solo a quel punto
la paziente, rassicurata, spiegò le ragioni delle sue resistenze: prima dell'invito
a tollerare i pensieri blasfemi, aveva sperato che la terapia potesse consistere
nell'applicazione di tecniche in grado di eliminare i pensieri sgradevoli dalla
propria mente. Quando aveva realizzato che invece parte della cura si sarebbe
basata proprio sull'accettazione della presenza dei pensieri molesti, aveva te
muto che tale prescrizione derivasse da una visione "scientista e amorale" della
vita e che la terapia avrebbe comportato uno stravolgimento dei propri valori.
447
La clinica
Caso 9: Peppe
Peppe è uno studente che chiede aiuto per sintomi ossessivo-compulsivi di
simmetria e ordine. Se penne, matite e libri, scarpe e altri oggetti non sono al
lineati secondo un preciso criterio avverte una sgradevole sensazione di sciat
teria e prova molta angoscia, sia perché teme magicamente che questo causerà
brutti voti agli esami, sia perché vede in essa l'inizio di una deriva che lo porterà
in breve tempo a un'esistenza caotica e squallida. La terapia espositiva procede
con estrema difficoltà perché Peppe è ossessionato dal timore di applicare male
le indicazioni terapeutiche. Si rimprovera di non essere stato abbastanza atten
to in seduta, di non ripetere in modo corretto quanto già fatto con il terapeuta
e, tutte le volte che prova autonomamente ad applicare quanto concordato, è
assediato da dubbi di ogni genere: dovrà aspettare che l'ansia passi oggettiva
mente o sarà sufficiente che gli sembri che sia passata? E come si potrebbe va
lutare oggettivamente l'ansia? E se l'ansia passa troppo velocemente non sarà
perché si è distratto e ha fatto male l'esercizio? E se fa degli errori di cui non
si accorge e dopo deve ricominciare tutto? E se fra un anno scopre che l'intera
terapia è da ripetere? Questa dubbiosità gli impone di chiedere continue veri
fiche al terapeuta, in seduta e per telefono, ma ogni tentativo di rassicurazione
seda solo temporaneamente la sua ansietà.
448
Trappole durante il trattamento
Le prescrizioni severe
Caso 1 0: Brando
Brando è impiegato presso un ente pubblico. Presenta un quadro caratte
rizzato da ossessioni e compulsioni di vario tipo che gli rendono la vita estre
mamente faticosa e povera di gratificazioni. Tra i suoi crucci c'è quello di non
essere riuscito a terminare gli studi universitari e di non avere una compagna.
Le ultime ossessioni riguardano un intervento ortodontico fatto a scopo este
tico e consistono: la prima, nel tormento di essersi procurato un danno evita
bile e ormai irreversibile ai denti, avendoli fatti limare per farvi apporre delle
faccette protesiche; la seconda, nel terrore di poter danneggiare per distrazio
ne o incuria le preziose faccette. I tentativi di soluzione della prima ossessione
consistono in ricerche, ruminazioni e quesiti compulsivi posti ai conoscenti
volti a stabilire in via definitiva che al momento dell'intervento ortodontico
non fosse disponibile davvero altra scelta che quella. La seconda ossessione è
invece seguita dalla rinuncia a molti cibi dalla consistenza "pericolosa" (no
nostante le rassicurazioni dell'odontoiatra) , da un controllo scrupoloso della
masticazione, da ispezioni continue allo specchio e dal monitoraggio compul
sivo dei movimenti della testa rispetto allo spazio circostante e alle altre parti
del corpo. Tutto allo scopo di prevenire urti, e dunque danni, alle faccette. Il
terapeuta, dopo avere spiegato il senso terapeutico dell'intervento, gli suggeri
sce di sospendere le ricerche volte alla soluzione dei dubbi ossessivi, i controlli
della masticazione e della testa e di tornare a mangiare i cibi evitati. Brando
non applica quanto concordato e quando lo riferisce in seduta, dilungandosi in
giustificazioni e sollevando dubbi su dubbi, gli sembra di cogliere nell'espres
sione del terapeuta un moto di irritazione e impazienza. Da quel momento la
qualità della relazione terapeutica peggiora. Il paziente appare spesso timo
roso e alterna atteggiamenti compiacenti a resistenze passive, senza mai dav
vero iniziare il trattamento espositivo. Il terapeuta non riesce a ricomporre la
crisi e dopo qualche seduta Brando interrompe la terapia. Poche settimane
più tardi scrive una e-mail al terapeuta in cui spiega le ragioni dell'interruzio
ne. Per lui le indicazioni terapeutiche comportavano una duplice angoscia:
la prima derivava dalla rinuncia ai sintomi, la seconda dalla pressione severa
che gli sembrava provenire dalla persona del terapeuta. Tutte le volte che gli
veniva assegnato un esercizio terapeutico temeva di non riuscire a eseguirlo
e immaginava che il terapeuta lo avrebbe rimproverato per lo scarso impe-
449
La clinica
450
Trappole durante il trattamento
La restitutio ad integrum
Caso 1 1 : Giacinto
Giacinto insegna in un liceo. Dopo circa due anni di psicoterapia ha otte
nuto una sostanziale remissione dei suoi sintomi e un chiaro e riconosciuto mi
glioramento della qualità della sua vita. Si dice felice e a terapia ancora in cor
so ha anche iniziato una relazione sentimentale. Il terapeuta, prima di iniziare
a considerare l'ipotesi di una conclusione del trattamento, gli somministra al
cuni test per un confronto con gli esiti delle somministrazioni precedenti. I ri
sultati dei test sono molto buoni, ma sorprendentemente sembrano provocare
una forte angoscia in Giacinto. In particolare, al test che misura la gravità dei
sintomi ossessivo-compulsivi non ha totalizzato zero e questo gli fa sorgere il
dubbio di non essere del tutto guarito. Sebbene il terapeuta provi a spiegargli
che si tratta di punteggi davvero molto buoni, Giacinto si convince che si deb
ba lavorare per azzerare quel punteggio. Si dice inoltre rammaricato del fatto
che il terapeuta consideri vicina la conclusione della terapia: vorrà forse dire
che una guarigione completa non sia possibile? E perché, se guarire perfetta
mente dal DOC non è possibile, non gliel'ha detto subito?
45 1
La clinica
La causa profonda
452
Trappole durante il trattamento
L' uscita dalle trappole prevede alcuni passi simili in tutte le fasi del
processo terapeutico. I passi tipici sono i seguenti:
a) riconoscere la trappola;
b) segnalarla al paziente;
c) darle un nome;
d) condividerne il funzionamento;
e) validare i vissuti del paziente;
f) far emergere con atteggiamento socratico le analogie esistenti tra la
trappola interna alla terapia e gli altri sintomi ossessivi;
g) far emergere i costi della modalità ossessiva che determina la trappola;
h) legittimare l'abbandono della modalità ossessiva che determina la
trappola.
Non esiste evidentemente una ricetta sempre vincente, ma in linea
generale è utile aiutare il paziente a guardare dall'alto il meccanismo in
cui è intrappolato, dargli un nome e illuminare le analogie esistenti tra
la trappola che blocca il processo terapeutico e gli altri sintomi ossessi
vi. Questo consente al paziente di ampliare la prospettiva con cui guar
da al proprio disturbo, di comprenderne appieno la natura e realizzare
come le sensibilità psicologiche che ne sono alla base operino anche in
domini non strettamente sintomatici (quale per esempio l'interazione
terapeutica in atto) .
Nel dialogo che segue forniamo a titolo di esempio un'ipotesi di in
tervento terapeutico volto a disinnescare la trappola della spiegazione
perfetta. (Per necessità di sintesi, ci limiteremo a illustrare un solo in
tervento, ma i passi sopra elencati ed esemplificati nel dialogo che se
gue potranno essere agevolmente applicati a qualsiasi altra trappola tra
quelle descritte nel capitolo.)
4'53
La clinica
Terapeuta: " Sembra che quando risponde alle mie domande sia molto
preoccupato di non dare la risposta migliore o di darla male o di omet
tere dettagli fondamentali. È così ? "
Paziente: " Sì, è proprio così. Come h a fatto a d accorgersene?"
Terapeuta: "Beh, vede, si sofferma a lungo sui dettagli delle descrizioni,
si corregge, ridefinisce, torna più volte sullo stesso concetto, ricerca
termini sempre più accurati. Se io provo a fare un riassunto di quan
to ho capito, aggiunge altri elementi, li ridefinisce, non sembra mai
convinto del quadro che proviamo a ricostruire."
Paziente: " Sì, ha ragione, ma per me è veramente importante spiegare
bene quello che mi capita. Non crede anche lei sia fondamentale che
io la metta nelle condizioni di comprendere il mio problema?"
Terapeuta: "Sì, certo, è importante che io capisca bene, ma, vede, le sue
spiegazioni sono già molto accurate. Sembra che però questo non ba
sti. Sembra sentirsi costretto a una spiegazione perfetta, inappuntabi
le. E poiché la perfezione non esiste e ogni spiegazione è migliorabi
le, rischiamo di andare avanti insieme all'infinito e non mettere mai il
punto su una formulazione condivisa. Siamo in trappola. "
Paziente: "Già . . . non s o . . . " [silenzio] .
Terapeuta: "Mi dica una cosa. Come si sentirebbe se per una volta si con
cedesse una risposta approssimativa, incompleta? "
Paziente: "Male. Angosciato. Mi sentirei di non aver fatto le cose per bene. "
Terapeuta: "Capisco. Le faccio ora una domanda che apparentemente
non c'entra niente con tutto questo. Riguarda i suoi sintomi e in par
ticolare i controlli ripetuti di cui mi ha parlato. Ecco, se dovesse so
spendere i controlli compulsivi che fa in ufficio? Se per una volta si
concedesse di non fare alcun controllo della serratura dell'archivio,
come si sentirebbe?"
Paziente: " Uguale. Angosciato. Con la terribile sensazione di aver fatto
un guaio. "
Terapeuta: "Interessante. L'idea d i sospendere un controllo compulsivo
e l'idea di accontentarsi di una spiegazione approssimativa, qui, in
seduta, mentre parla con me, sembrano farla sentire nello stesso mo
do . . . Questo cosa le fa pensare? "
Paziente: "Che i l mio modo di parlare e d i spiegarmi somiglia u n po' al
modo in cui faccio i controlli in ufficio e al modo in cui mi lavo . . . in
somma, ai miei sintomi. "
Terapeuta: " Sembra proprio di sì! Ed è un'occasione preziosa, perché ab
biamo la possibilità di iniziare a curare il suo disturbo qui e ora, tutte
le volte che ci accorgiamo che lei si sente costretto a darmi risposte
e spiegazioni perfette. Chiameremo questa trappola la trappola del
la "spiegazione perfetta". E, se è d'accordo, tutte le volte che mi ac
corgerò che stiamo finendo nella trappola della spiegazione perfetta
glielo segnalerò sollevando una mano e proveremo ad accontentarci
di una spiegazione imperfetta. Cosa ne pensa?"
Paziente: " Non so se ci riuscirò . . . ma possiamo provarci. "
454
Trappole durante il trattamento
455
La clinica
Nei casi, fortunatamente rari, in cui, nonostante gli sforzi del tera
peuta, il paziente dovesse mantenere ferma l'intenzione di non parlare
del contenuto delle proprie ossessioni, c'è ancora un'alternativa prati
cabile per prevenire l'abbandono precoce della terapia. Se, nonostante
l'estrema riservatezza, il terapeuta è ragionevolmente certo che il pa
ziente soffre di DOC gli proporrà di proseguire la fase di assessment e di
formulazione provvisoria del problema con l'aiuto dello schema a 5 fasi
(descritto nei capitoli I e XII), rinunciando temporaneamente a entrare
nel merito dei contenuti ossessivi. Pur omettendo i contenuti dell' os
sessione, grazie allo schema, sarà ugualmente possibile avviare con il
paziente la condivisione del funzionamento generale e provvisorio del
disturbo, esplorando gli effetti deleteri degli evitamenti, delle compul
sioni, degli autorimproveri (valutazioni di II livello) e i relativi cicli di
mantenimento. Se terapeuta e paziente saranno riusciti in questo com
pito si assisterà a un aumento della motivazione al trattamento e a un
consolidamento dell'alleanza terapeutica, con conseguente probabile
uscita dalle trappole prima descritte.
CONCLUSIONI
456
Trappole durante il trattamento
457
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