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GABRIELE MELLI

VINCERE LE
OSSESSIONI
CAPIRE E AFFRONTARE IL DISTURBO
OSSESSIVO-COMPULSIVO
Vincere le ossessioni
IMPAGINAZIONE
Camilla Romoli
ILLUSTRAZIONE DI COPERTINA
© enviromantic/iStockphoto.com
COPERTINA
Raissa Postinghel
DIREZIONE ARTISTICA
Giordano Pacenza

© 2011 Eclipsi srl


© 2018 Edizioni Centro Studi Erickson S.p.A.
Via del Pioppeto 24
38121 TRENTO
Tel. 0461 950690
Fax 0461 950698
www.erickson.it
info@erickson.it
ISBN: 978-88-590-1655-7

Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione con qualsiasi mezzo effettuata, se non previa autorizzazione dell’Editore.
Gabriele Melli

Vincere le ossessioni
Capire e affrontare
il disturbo ossessivo-compulsivo

Erickson
l’autore

Gabriele Melli.
Gabriele melli. Psicologo
Psicologo,ePsicoterapeuta,
psicoterapeuta.Perfezionato in Ses-il
Docente presso
suologia
Corso di Medica.
Laurea inProfessore a contratto
Psicologia Clinica e presso il Corso
della Salute di Laurea
dell’Univer-
in Scienze e Tecniche di Psicologia Clinica e della Salute, Facoltà
sità di Pisa. Presidente dell’Istituto di Psicologia e Psicoterapia
di Medicina di Pisa.ePresidente
Comportamentale Cognitivadell’Istituto
(IPSICO, di Psicologia
Firenze). e Psico-
Presidente
terapia Comportamentale
dell’Associazione Italiana eDisturbo
Cognitiva (IPSICO, Firenze). Mem-
Ossessivo-Compulsivo (AI-
bro del Consiglio
DOC). dell’Ordine
Membro della direzionedegli Psicologi
scientifica della
della Toscana.
rivista Presi-
Psicoterapia
dente dell’Associazione
Cognitiva Italiana
e Comportamentale Disturbo
e del comitato Ossessivo-Compulsivo
editoriale del Journal
(AIDOC).
of Membro della
Obsessive-Compulsive andredazione della Rivista
Related Disorders. Psicoterapia
Docente presso
Cognitiva scuole
numerose e Comportamentale. Docente
di specializzazione presso numerose
in psicoterapia Scuole
cognitivo-com-
di Specializzazione
portamentale in Psicoterapia
riconosciute dal MIUR. Cognitivo-Comportamentale
Socio ordinario AIAMC,
riconosciute
EABCT, dal MIUR.
AIDOC, APA. Socio Ordinario AIAMC, EABCT, AI-
DOC, BABCP, APA.
sommario

Introduzione 1

i parte – CONOSCERE IL DOC

1. Cos’è il DOC 9
2. Le diverse tipologie di DOC 11
3. Disturbi che possono essere confusi con il DOC 19
4. Frequenza, esordio e decorso 25
5. Le cause del DOC 29
6. Come si cura il DOC 37

ii parte – COSA FARE

7. Fase I – Autovalutazione 47
8. Fase II – Educazione sul disturbo 63
9. Fase IIIA – Programma di trattamento del
DOC con compulsioni 85
10. Fase IIIB – Programma di trattamento
delle ossessioni pure 111
11. Fase IV - Prevenzione della ricaduta 127

iii parte – ALTRE RISORSE

12. Suggerimenti per i familiari e gli amici 139


13. A chi rivolgersi 151
14. Approfondimenti 153

Bibliografia essenziale 155


introduzione

PERCHÉ UN LIBRO DI AUTO-AIUTO SUL DISTURBO


OSSESSIVO-COMPULSIVO
È probabile, dal momento che avete acquistato questo libro,
che abbiate problemi di ossessioni e compulsioni o che conosciate
qualcuno che ne soffre.
Forse avete già avuto a che fare con medici o psicologi e vi sa-
rete dati da fare per raccogliere più informazioni possibile sull’ar-
gomento.
È possibile che vi sentiate scoraggiati, perplessi e confusi dalle
opinioni contrastanti. Forse si sta insinuando in voi l’idea, o qual-
cuno avrà contribuito a farla nascere, che non ci sia nient’altro da
fare per combattere questi fenomeni e, di conseguenza, vi state
rassegnando a conviverci, tollerando le enormi limitazioni alla
vostra vita che questi comportano.
Non può e non deve essere così!
Come
Vincerevincere nascenasce
le ossessioni
le ossessioni proprio
proprio per rispondere
per rispondere all’esigenza
all’esigenza di
di rendere
rendere note,
note, al almaggior
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attuali
possibilità
possibilità terapeutiche
terapeutiche per disturbo ossessivo-compulsivo
per il disturbo ossessivo-compulsivo (o più
semplicemente
semplicemente“DOC”)“DOC”)eeper perinfondere,
infondere,inintutti
tutticoloro
colorochechel’hanno
l’han-
persa o stanno
no persa per perderla,
o stanno la speranza
per perderla, di potersene
la speranza liberare.
di potersene liberare.

Il libro è strutturato in tre parti: la prima propone le cono-


scenze scientifiche più recenti sul disturbo ossessivo-compulsivo
2 Vincere le ossessioni

e spiega le basi teoriche su cui si fondano i moderni protocolli di


trattamento; la seconda è un vero e proprio manuale di auto-aiuto
basato sul programma di trattamento più efficace per questo tipo
di disturbo; la terza fornisce una serie di indicazioni per ulteriori
approfondimenti e si rivolge, in particolar modo, ai familiari delle
persone affette da DOC.
È comprensibile che siate tentati di saltare subito alla seconda
parte, ma il mio consiglio è di leggere con cura anche la prima.
Una corretta informazione scientifica è il primo passo per affron-
tare efficacemente il problema.
Il programma illustrato nella seconda parte, come vedrete, può
essere seguito da soli o, come sarebbe raccomandabile, con l’aiuto
di un terapeuta esperto.
Tuttavia, molte persone che soffrono di disturbo ossessivo-
compulsivo non hanno mai ricevuto alcun aiuto professionale,
poiché sono riluttanti a parlare con un estraneo dei loro problemi
o, più semplicemente, perché non possono permettersi, per moti-
vi geografici o economici, di accedere ad un buon centro di psico-
terapia. Questo è uno dei motivi fondamentali per cui ritengo che
i libri di auto-aiuto abbiano molto da offrire, pur non potendo
sostituirsi ad un terapeuta in carne ed ossa.
La terza parte, altrettanto importante, è rivolta soprattutto
alle persone che sono a contatto con chi soffre di un disturbo
ossessivo-compulsivo. Anche se non ci sono motivi per ritenere
che il DOC sia causato da particolari atteggiamenti dei familiari,
è certo che questi possono influire molto sul mantenimento del
problema e quindi, se correttamente modificati, sulle possibilità
di guarigione.

Come qualunque disturbo di natura psicologica, anche il


DOC crea i suoi vantaggi secondari. Per questo motivo, spesso,
in chi ne soffre la motivazione a cambiare è scarsa o altalenante:
molti hanno ormai adattato la loro vita al problema ed hanno
costretto i propri familiari a fare lo stesso. Spero che questo libro
possa contribuire anche ad incoraggiare e motivare chi soffre di
questo disturbo ad affrontare il problema.
Introduzione 3

Può capitare invece che il lettore, avendo già fatto uno o più
tentativi terapeutici, abbia l’impressione che quanto ha fatto fi-
nora, con scarsi risultati, persegua obiettivi diversi o più sfuma-
ti, non coincidendo con le linee guida qui presentate. In questo
caso, è bene cominciare a riflettere sul fatto che, probabilmente,
gli eventuali fallimenti cui ha assistito non sono indice della pro-
pria inguaribilità, ma del fatto che non ha ancora provato ad av-
valersi di quello che oggi si è rivelato l’approccio più efficace nei
confronti di tali problematiche.
Se, infine, la lettura avviene durante un corretto percorso te-
rapeutico già iniziato, magari sotto suggerimento dello psicologo,
spero che serva a ribadire alcuni concetti e a rafforzare la deter-
minazione nel portare avanti il trattamento dando il massimo di
se stessi.

AUTO-AIUTO PURO E AUTO-AIUTO GUIDATO


Fino agli anni ’70, tutti i testi scientifici erano concordi nel
dichiarare che le possibilità di cura del disturbo ossessivo-com-
pulsivo fossero molto ridotte. Negli ultimi trent’anni la ricerca
scientifica ha fatto notevoli progressi sia in campo farmacologico
che psicoterapeutico.
In particolar modo, si è affermata una nuova forma di tratta-
mento, la psicoterapia cognitivo-comportamentale, che si è dimo-
strata particolarmente efficace per il DOC, oltre che per molti
altri problemi psicologici.
Questa terapia comprende tecniche specifiche, mirate a ridur-
re la frequenza e l’intrusività dei pensieri ossessivi e a evitare la
messa in atto degli eventuali cerimoniali di rassicurazione. Oggi,
le possibilità di cura per chi è affetto da DOC sono molto su-
periori rispetto a quelle di pochi anni fa: gli ultimi dati statistici
mostrano che il 75-80% delle persone sottoposte al trattamento
presenta notevoli miglioramenti o guarigioni complete.
Ricerche inglesi hanno dimostrato che molte persone affette
da DOC, utilizzando libri di auto-aiuto come questo e limitando
al minimo il contatto con i professionisti, sono riuscite a ridurre
di molto le loro ossessioni e compulsioni.
4 Vincere le ossessioni

Se siete affetti da una forma lieve di disturbo ossessivo-com-


pulsivo, è probabile che possiate migliorare molto i vostri sintomi
avvalendovi soltanto di questo manuale, meglio se con l’attiva
collaborazione di un amico o di un familiare volenteroso.
La scelta di ricorrere o meno ad un trattamento psicoterapeutico
deve essere fatta in base alla gravità dei sintomi. Se le vostre osses-
sioni sono intense e frequenti e i rituali impegnano molto del vo-
stro tempo, è consigliabile che vi rivolgiate ad uno psicoterapeuta
cognitivo-comportamentale e, se necessario, ad uno psichiatra che
possa prescrivervi una terapia farmacologica adeguata.
In ogni caso, sia che seguiate il programma da soli, sia che
chiediate l’intervento di un professionista specializzato, è im-
portante che esso sia portato avanti con impegno, sistematicità e
perseveranza. L’impulso alle compulsioni è spesso intenso e forte-
mente coinvolgente. Talvolta sono delle vere e proprie abitudini
che vengono messe in atto senza neanche accorgersene. Per que-
sto motivo, la possibilità di modificare tali comportamenti con
un intervento saltuario e non metodico è molto scarsa. Se, invece,
insistete giorno per giorno con un programma ben strutturato,
sarete in grado di osservare piccoli miglioramenti settimana dopo
settimana.
Un’ultima cosa prima di iniziare.
So benissimo quanto possa essere doloroso e imbarazzante am-
mettere di avere determinate ossessioni ed è assolutamente nor-
male che le persone affette da DOC facciano di tutto per nascon-
dere ad amici e parenti le proprie “fissazioni”. Come vedremo più
avanti, però, è fondamentale ai fini della guarigione imparare a
parlare liberamente, almeno con le persone più intime che posso-
no aiutarci a portare avanti il programma, di ciò che ci passa per
la testa, anche se fossero le cose più assurde o ridicole.
Ammettere di avere un problema è il primo grande passo per
affrontarlo e risolverlo. Spero che questo libro possa essere d’aiuto
anche a quanti, vittime di queste “strane” manifestazioni, non
avendo mai sentito parlare del DOC, hanno iniziato a combat-
terlo nel modo più sbagliato o, peggio ancora, si sono rassegnati a
conviverci per non dover rivelare agli altri i propri problemi e non
Introduzione 5

correre il rischio di essere etichettati come “matti”.


Il disturbo ossessivo-compulsivo è uno dei problemi psicolo-
gici più diffusi e ci sono certamente migliaia di persone che ne
soffrono in silenzio.
Se siete già certi di avere il DOC, o ne prendete coscienza leg-
gendo la prima parte di questo libro, non esitate a parlarne con
qualcuno che possa sostenervi con il suo affetto, documentandosi
insieme a voi e aiutandovi nell’esecuzione dell’impegnativo pro-
gramma che dovrete portare avanti, sia che decidiate di seguirlo
da soli, sia che chiediate l’intervento di un professionista.
parte i
CONOSCERE IL DOC
1
cos’è il doc

Le ossessioni sono pensieri, immagini o impulsi che affiorano


alla mente, in modo intrusivo, e che vengono percepiti come
estremamente fastidiosi e intrusivi. Almeno quando non sono as-
salite dall’ansia, le persone giudicano le proprie ossessioni come
eccessive e insensate, ma ciononostante sperimentano emozioni
sgradevoli, quali ansia, disgusto o un generico disagio. Gli innu-
merevoli sforzi per contrastarle hanno un successo solo momen-
taneo.
Le ossessioni differiscono dalle preoccupazioni per il fatto che
queste ultime sono relative a eventi negativi, legati a problemati-
che di vita quotidiana, che è ragionevole temere che si verifichino.
Ad esempio, si può essere preoccupati per l’esito di un esame, per
la propria condizione economica, per la salute propria o altrui o
per le relazioni interpersonali. Al contrario delle ossessioni, le pre-
occupazioni non appaiono eccessive e prive di una base razionale,
ma si riferiscono a rischi reali, che tutti riconoscono come tali.
Le compulsioni, definite anche rituali o cerimoniali, sono com-
portamenti ripetitivi (lavarsi le mani, riordinare, controllare) o
azioni mentali (contare, pregare, ripetere formule mentalmente),
messi in atto per ridurre il senso di disagio e l’ansia provocati dai
pensieri e dagli impulsi tipici delle ossessioni; costituiscono, cioè,
un tentativo di elusione del disagio, un mezzo per cercare di con-
seguire un controllo sulla propria ansia, come chiarirò più avanti.
10 Vincere le ossessioni

Le persone con un’ossessione che riguarda la contaminazione pos-


sono lavarsi costantemente le mani fino a provocarsi delle esco-
riazioni. Altre possono ripetutamente controllare di aver chiuso il
gas per la paura ossessiva di far scoppiare la casa o contare oggetti
ripetutamente per l’ossessione di averli perduti. In generale, tutte
le compulsioni si trasformano in rigide regole di comportamen-
to spesso bizzarre e decisamente eccessive e assumono spesso un
carattere talmente abituale e meccanico che vengono attuate, a
scopo preventivo, anche in assenza di ossessioni. Diventano azio-
ni studiate e prestabilite, eseguite con cura meticolosa, che non
possono in alcun modo essere interrotte o modificate nella loro
sequenza.
Il DOC, come il nome stesso lascia intendere, è quindi soli-
tamente caratterizzato da ossessioni e compulsioni. Almeno l’80%
delle persone affette da DOC sperimenta entrambi questi feno-
meni, ma vi sono una certa percentuale di soggetti che non metto-
no in atto compulsioni e ricorrono ad altre strategie per cercare di
tranquillizzarsi e di gestire il disagio che deriva dalle ossessioni.
Non tutte le compulsioni, inoltre, sono riconducibili a un vero
disturbo. Alcuni rituali, come alcune pratiche religiose o certe
scaramanzie, fanno parte della vita di tutti i giorni. Preoccupa-
zioni normali, come la paura di contrarre una malattia, possono
aumentare durante periodi di forte stress. L’ attenzione clinica si
rende necessaria soltanto quando i sintomi persistono, causano
molto disagio o interferiscono pesantemente con la vita di tutti i
giorni.
2
le diVerse tipoloGie
di doc

A differenza di altri disturbi psicologici, sostanzialmente omo-


genei, il DOC può assumere forme molteplici, talvolta presenti
in concomitanza. Tuttavia, nonostante i tentativi di creare delle
sotto-categorie, le ossessioni e le compulsioni restano molto varie
ed è quindi probabile che, pur soffrendo di DOC, non riusciate
a riconoscervi completamente in nessuna delle tipologie elencate
(per un’ accurata autovalutazione del disturbo, è utile consultare il
paragrafo relativo nella seconda parte del volume, in cui sono elen-
cate quasi tutte le possibili forme di ossessioni e compulsioni).
Comunque, nella pratica clinica tipicamente vengono distinti:

• Disturbi da contaminazione – Si tratta di ossessioni e com-


pulsioni connesse ad improbabili (o irrealistici) contagi o con-
taminazioni. Coloro che ne soffrono sono tormentati dall’in-
sistente fissazione che loro stessi, o qualcuno dei loro familiari,
possa ammalarsi entrando in contatto con qualche invisibile
germe o sostanza tossica. Sostanze “contaminanti” diventano
spesso non solo lo sporco oggettivo, ma anche urine, feci, san-
gue e siringhe, carne cruda, persone malate, genitali, sudore
e persino saponi, solventi e detersivi contenenti sostanze chi-
miche potenzialmente “dannose”. La contaminazione temuta
può essere anche relativa a “sporco” di natura sociale (il tossi-
codipendente, il barbone, l’anziano, ecc.) o metafisica (il male,
12 Vincere le ossessioni

il diavolo, ecc.). In alcuni casi non vi è il timore di malattia,


ma soltanto un forte senso di disgusto nell’entrare in contat-
to con certe sostanze. In ogni caso, bagni pubblici, cassonetti
dell’immondizia, giardini, autobus o cabine telefoniche ven-
gono accuratamente evitati, così come qualunque luogo che
possa essere “infetto”. Se la persona entra in contatto con uno
degli agenti “contaminanti”, mette in atto una serie di rituali
di lavaggio, pulizia, sterilizzazione o disinfezione, allo scopo di
neutralizzare l’azione dei germi e tranquillizzarsi rispetto alla
possibilità di contagio o liberarsi dalla sensazione di disgusto.
Questi rituali, fra cui i più comuni sono certamente il lavaggio
ripetuto e particolareggiato delle mani e del corpo, dei vestiti,
dei cibi e di altri oggetti personali, coinvolgono spesso i fami-
liari, che vengono “costretti” ad evitare luoghi “contaminati” e
a lavarsi più del necessario.
• Disturbi da controllo – Si tratta di ossessioni e compulsioni
che implicano controlli prolungati e ripetuti senza necessità,
allo scopo di riparare o prevenire gravi disgrazie o incidenti.
Coloro che ne soffrono tendono a controllare e ricontrollare
ripetutamente, sia per tranquillizzarsi riguardo al dubbio os-
sessivo di aver fatto qualcosa di male e non ricordarlo, sia a
scopo preventivo, per essere sicuri di aver fatto il possibile per
prevenire qualunque possibile catastrofe. Controllano così di
aver chiuso le porte e le finestre di casa, le portiere della mac-
china, il rubinetto del gas e dell’acqua, la saracinesca del garage
o l’armadietto dei medicinali; di aver spento fornelli elettrici
o altri elettrodomestici, le luci in ogni stanza di casa o i fari
della macchina; di aver contato bene i soldi; di aver compilato
correttamente un modulo o un registro contabile; di non aver
perso cose personali lasciandole cadere; di non aver investito in-
volontariamente qualcuno con la macchina; di non avere tracce
di sangue addosso. Il controllo compulsivo è quindi finalizzato
a tranquillizzarsi riguardo al costante dubbio di non aver fatto
tutto il necessario per prevenire eventuali disgrazie o di aver
inavvertitamente danneggiato qualcosa o qualcuno. Anche que-
sto tipo di rituali coinvolge spesso i familiari, che sono oggetto
Le diverse tipologie di DOC 13

di continue richieste di rassicurazione ed ai quali viene talvolta


chiesto di effettuare i controlli al posto della persona stessa.
• Superstizione eccessiva – Si tratta di un pensiero supersti-
zioso esasperato. Chi ne soffre ritiene che il fatto di compiere
o meno determinati gesti, di pronunciare o non pronunciare
alcune parole, di vedere o non vedere certe cose (es. carri fu-
nebri, cimiteri, manifesti mortuari), certi numeri o certi colo-
ri, di contare o non contare un numero preciso di volte degli
oggetti, di ripetere o non ripetere particolari azioni il “giusto”
numero di volte, sia determinante per l’esito degli eventi. È il
caso della persona che considera sfortunati determinati nume-
ri e che, dopo averli visti, rimane in ansia finché non ne neu-
tralizza l’effetto “porta sfortuna”, vedendo altri numeri “for-
tunati”. Un altro esempio può essere quello della persona che
teme di pensare a certi eventi negativi (morte, incidenti, ecc.),
mentre effettua alcune operazioni (es. parlare, scrivere, leggere,
mangiare, camminare, ecc.), poiché il pensiero negativo po-
trebbe in qualche modo “imprimersi” e trasformarsi in realtà.
Tale effetto può essere scongiurato soltanto ripetendo lo stesso
gesto (es. cancellare e riscrivere la stessa parola, pensando a
cose positive) o compiendo qualche altro rituale “anti-iella”.
• Ordine e simmetria – Chi soffre di questo tipo di disturbo
non tollera assolutamente che gli oggetti siano posti, anche mi-
nimamente, in modo disordinato o asimmetrico, perché ciò gli
procura una sgradevole sensazione di mancanza di armonia e
di logicità. Libri, fogli, penne, asciugamani, videocassette, cd,
abiti appesi, piatti, pentole, tazzine, devono risultare perfetta-
mente allineati, simmetrici e ordinati secondo una sequenza
logica (es. dimensione, colore, ecc.). Quando ciò non avviene
queste persone passano ore del loro tempo a riordinare ed al-
lineare questi oggetti, fino a sentirsi completamente tranquille
e soddisfatte. Le ossessioni relative all’ordine e alla simmetria
possono riguardare anche il proprio corpo. Muscoli, pettina-
tura dei capelli, colletto e polsini della camicia, orologio sul
polso, portafoglio in tasca, devono risultare ancora una volta
“perfetti” e simmetrici, pena ripetuti rituali di messa in ordi-
14 Vincere le ossessioni

ne o di controllo allo specchio. Questo tipo di problematica è


generalmente secondaria a tratti fortemente perfezionistici di
personalità o a un vero e proprio disturbo ossessivo-compulsivo
di personalità (vedi più avanti), tanto che, pur rientrando fra le
manifestazioni del DOC, risponde peggio ai trattamenti.
• Accumulo/accaparramento – È un tipo di ossessione piut-
tosto rara, che caratterizza coloro che tendono a conservare e
accumulare oggetti insignificanti e inservibili (riviste e giornali
vecchi, pacchetti di sigarette vuoti, bottiglie vuote, asciugama-
ni di carta usati, confezioni di alimenti), perché hanno una
difficoltà enorme a disfarsene. Questo tipo di comportamen-
to, normale entro un certo limite, finché si tratta di oggetti
che hanno un valore sentimentale o di effettiva utilità pratica,
assume caratteristiche patologiche nel momento in cui lo spa-
zio occupato dalle “collezioni” diventa tale da sacrificare la vita
della persona e dei suoi familiari. Questi particolari collezio-
nisti di cose inutili sono generalmente orgogliosi delle proprie
raccolte e non si rendono conto, se non parzialmente, dell’ec-
cesso in cui incorrono, a differenza delle persone che soffrono
di disturbi da contaminazione o da controllo, che sono soli-
tamente critici riguardo ai loro rituali; sono le famiglie a non
tollerare più l’invadenza di certi oggetti e a richiedere il tratta-
mento terapeutico. Essi, inoltre, non hanno pensieri ossessivi
particolari, ma, nel momento in cui si chiede loro di gettar via
qualcosa, rimangono fortemente scossi.
• Ossessioni pure – Si tratta di pensieri o, più spesso, di im-
magini relative a scene in cui la persona attua comportamenti
indesiderati e inaccettabili, privi di senso, pericolosi o social-
mente sconvenienti (aggredire qualcuno, avere rapporti omo-
sessuali o pedofilici, tradire il partner, bestemmiare, compiere
azioni blasfeme, offendere persone care, ecc.). Queste persone
non hanno né rituali mentali, né compulsioni, ma soltanto
pensieri ossessivi. Quello che mette ansia non è tanto la na-
tura del pensiero stesso, quanto il fatto che la sua presenza
venga considerata, da chi la subisce, come segno di una reale
identità omosessuale, pedofila, perversa, blasfema o aggressiva.
Le diverse tipologie di DOC 15

Tanto per fare un esempio: non è raro il caso della persona


che ha improvvisamente una fantasia sessuale alla vista di una
persona dello stesso sesso, magari accompagnata da una effet-
tiva eccitazione, e interpreta come una possibile omosessualità
latente il fatto che tale immagine si presenti nella sua mente.
Il disturbo ossessivo puro è quindi caratterizzato dalla preoc-
cupazione costante che possano avverarsi determinati eventi,
in realtà alquanto improbabili, ma intollerabili per il soggetto;
la preoccupazione, spesso, è seguita da un dialogo interno, fi-
nalizzato alla rassicurazione. In pratica, la persona che teme di
poter essere omosessuale, alla vista di una persona dello stes-
so sesso, sviluppa pensieri intrusivi positivi o fantasie sessuali,
che alimentano il suo timore; inizia quindi a discutere con se
stessa, affannandosi a ricercare nel passato e nel presente prove
efficaci, per dimostrare che ciò non può essere vero, tormen-
tandosi all’infinito alla ricerca della garanzia che tale sospetto
sia infondato.
• Compulsioni mentali – Non possiamo definirla una reale
categoria di disturbi ossessivi, perché la natura delle osses-
sioni può essere una qualunque delle precedenti. Coloro che
ne soffrono, pur non presentando alcuna compulsione mate-
riale, come nel caso delle ossessioni pure, effettuano precisi
cerimoniali mentali (contare, pregare, ripetersi frasi, formu-
le, pensieri positivi o numeri fortunati), per scongiurare la
possibilità che si avveri il contenuto del pensiero ossessivo e
ridurre di conseguenza l’ansia. È ciò che accade alle perso-
ne che, pensando automaticamente ad un’offesa al defunto,
nel momento in cui vedono una tomba, o a una bestemmia,
nel momento in cui vedono un riferimento a delle sacralità,
tentano di scongiurare la “inevitabile” punizione divina ri-
petendo mentalmente, o talvolta bisbigliando, ben precise
preghiere o formule magiche.

A volte le persone che soffrono di DOC tendono a fare costan-


ti richieste di rassicurazione ai familiari e agli amici, riguardo alle
proprie preoccupazioni. Ad esempio, se temono la contaminazio-
16 Vincere le ossessioni

ne, chiedono spesso se certi oggetti o certi cibi sono stati lavati,
se qualcuno ha toccato le loro cose, se gli altri si sono lavati dopo
essere stati in bagno o dopo aver toccato animali o cose “sporche”.
Se invece temono future disgrazie a causa di proprie omissioni o
dimenticanze (disturbi da controllo), chiedono conferma di aver
chiuso il gas, la porta di casa o la macchina, di aver spento la luce
o il fornello elettrico, di non aver per caso urtato qualcuno con la
macchina o di non avere tracce di sangue addosso. In ogni caso, le
richieste di rassicurazione assumono in tutto e per tutto la funzione
di un comportamento tranquillizzante, al pari delle compulsioni.
La persona che soffre di disturbo ossessivo-compulsivo, inol-
tre, tende a mettere in atto una sterminata serie di evitamenti nei
confronti di tutte quelle situazioni che innescano i pensieri osses-
sivi, nel tentativo di controllarli e di non essere costretto a com-
piere i rituali.
Così, chi teme la contaminazione con lo sporco evita di tocca-
re qualunque oggetto che possa essere, anche lontanamente, non
sterilizzato: apre le porte o accende le luci con i gomiti o con i
piedi, moltiplicando le attenzioni nei luoghi pubblici.
Chi teme di contaminarsi con il sangue o con le siringhe evita
di mettere le mani in posti in cui non possa controllare accurata-
mente che non vi siano aghi: non cammina sull’erba o sulla sab-
bia, tantomeno con le scarpe aperte, e non tocca niente di rosso o
che possa vagamente assomigliare a tracce di sangue.
Per quanto riguarda le ossessioni pure, chi, ad esempio, teme
di essere omosessuale, evita accuratamente di trovarsi in situazio-
ni in cui possa trovarsi esposto a corpi nudi di persone dello stesso
sesso, spesso smette di guardare la televisione, di leggere le riviste,
di guardare le persone per strada.
Chi ha pensieri ossessivi a contenuto aggressivo evita metodi-
camente di avere a portata di mano oggetti contundenti o appun-
titi, talvolta si fa controllare a vista da qualcun altro, per essere
certo di non fare niente di male e si tiene a debita distanza dalle
persone che teme maggiormente di aggredire.
Chi pensa che certi numeri, parole, colori o altro portino sfor-
tuna a se stesso o ai suoi cari, evita di esporsi a tutte quelle situa-
Le diverse tipologie di DOC 17

zioni in cui più facilmente può entrare in contatto con tali stimo-
li, ad esempio, per quanto riguarda i numeri, non guardando più
la televisione, l’orologio o i calendari.
3
disturbi che possono
essere confusi con il doc

Non di rado, nel linguaggio comune, il termine “ossessione”


viene usato a sproposito. È importante chiarire la differenza fra il
significato colloquiale del termine e quello clinico, perché tutte
le strategie illustrate nel libro sono applicabili soltanto al distur-
bo ossessivo-compulsivo, così come è stato descritto nei paragrafi
precedenti.
Prima di tutto, come abbiamo già accennato, è assolutamente
normale avere delle preoccupazioni che ci obbligano a fare deter-
minate cose. È bene, quindi, distinguere i normali rituali quoti-
diani dal vero e proprio DOC.
Non esiste persona a cui non capiti, più o meno spesso, di tor-
nare a controllare di aver chiuso bene la porta di casa o i finestrini
dell’auto, di aver messo tutto nella valigia, di aver tirato lo sciac-
quone, di aver spento le luci o di aver chiuso il rubinetto del gas.
Allo stesso modo, accade di pulire le posate in un ristorante, di
evitare un bagno pubblico, perché ritenuto troppo sporco, di la-
varsi le mani dopo aver toccato dei soldi o dopo esser saliti su un
autobus. Talvolta ci capita anche di avere pensieri omosessuali, di
pensare di poter far del male a qualcuno, di crearci fantasie sessuali
perverse. Non c’è nessuno, inoltre, che non abbia qualche super-
stizione riguardo a certi elementi “porta sfortuna”, dal più comune
gatto nero, fino a complicati e personali numeri, colori, animali o
oggetti.
20 Vincere le ossessioni

Gli esempi potrebbero essere infiniti, ma penso che questi sia-


no sufficienti per dimostrare che non tutti soffriamo di un di-
sturbo ossessivo-compulsivo, esattamente come non tutti siamo
depressi, pur avendo momentanei periodi di tristezza e apatia.
Un vero e proprio disturbo, che necessita di essere curato, si
ha soltanto se queste “fissazioni” creano un consistente disagio e
interferiscono con la qualità della vita quotidiana.

DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO DI PERSONALITÀ


Frequentemente il DOC viene confuso con un altro grave di-
sturbo psicologico: il “disturbo ossessivo-compulsivo di persona-
lità”.
Nonostante il nome sia simile e alcuni sintomi siano sovrap-
ponibili, coloro che soffrono di tale disturbo di personalità sono
caratterizzati da tratti caratteriali ben precisi. Sono infatti mol-
to perfezionisti e aspirano ad alti standard di prestazione, che si
traducono in un’attenzione minuziosa per le regole, i dettagli, le
procedure, le liste, i programmi o la forma delle frasi, tanto che
possono impegnarsi in ogni dettaglio di un progetto al punto di
non portarlo mai a compimento. Generalmente hanno un ecces-
sivo attaccamento al lavoro (o allo studio) e alla produttività e
tendono a trascurare le attività ludiche e le amicizie. Sono spesso
molto coscienziosi, scrupolosi e inflessibili a proposito di morali-
tà, etica o valori. Si impongono, e impongono agli altri, principi
morali rigidi e standard di prestazione molto rigorosi. Sono rigi-
di e testardi e possono anche essere impietosamente autocritici
nei confronti dei propri errori. Talvolta sono incapaci di gettare
oggetti usati o inutili, anche quando non hanno valore sentimen-
tale. In genere sono riluttanti a delegare compiti o a lavorare con
altri e insistono in modo testardo e irragionevole perché ogni cosa
venga fatta a modo loro e perché le persone si conformino al loro
modo di agire, dando istruzioni molto dettagliate su come do-
vrebbero essere fatte le cose. Tendono a essere avari e taccagni
e a mantenere un tenore di vita inferiore rispetto alla loro reale
condizione economica, per essere certi di poter provvedere in caso
di catastrofi future.
Disturbi che possono essere confusi con il DOC 21

Si tratta quindi di un disturbo pervasivo, che incide sul fun-


zionamento generale della persona, rendendola inefficiente e par-
ticolarmente rigida e noiosa, al punto da compromettere spesso
la qualità delle sue relazioni sociali. Si tratta di un disturbo che
si può riscontrare in quelle persone eccessivamente precise, affi-
dabili, puntuali, pignole ed ordinate che, anche nel linguaggio
comune, vengono definite “ossessive”.
Le persone che soffrono di un disturbo ossessivo-compulsivo
di personalità presentano spesso, ma non sempre, sintomi del
DOC, in particolare relativi al controllo e all’ordine e alla simme-
tria. Tuttavia, i sintomi del DOC, quando sono presenti in queste
persone, non sempre rispondono ai tradizionali trattamenti co-
gnitivo-comportamentali che stiamo per descrivere nelle prossime
pagine. In quest’ultimo caso, quindi, è strettamente necessario un
intervento psicoterapeutico mirato a ridurre i tratti caratteriali di
perfezionismo, avarizia, rigidità, coscienziosità, ecc..

DISTURBI DEL CONTROLLO DEGLI IMPULSI


Anche i cosiddetti “disturbi del controllo degli impulsi”, quali
il gioco d’azzardo patologico, la bulimia nervosa (caratterizzata da
abbuffate e vomito compulsivo), la cleptomania (impulso al furto
di oggetti di scarsa utilità e valore), la tricotillomania (compul-
sione a strapparsi peli e capelli), l’abuso di farmaci (soprattutto
ansiolitici), alcol o droghe, possono essere confusi con il DOC,
per il fatto di essere caratterizzati da un comportamento ripetitivo
dannoso per se stessi, ma che non si riesce a evitare.
Pur rientrando in un comune spettro patologico, i disturbi del
controllo degli impulsi si differenziano dal DOC almeno per due
motivi:

1) Il comportamento in questione non nasce come uno “scaccia-


pensieri”, a differenza delle compulsioni. Non vi è, in sostanza,
nessun pensiero intrusivo indesiderato che spaventa.
2) La persona non attua il comportamento per scongiurare un
pericolo, per quanto immaginario, ma soltanto per alleviare
un senso di tensione generale o addirittura, almeno inizial-
22 Vincere le ossessioni

mente, per ricercare piacere ed euforia. Il soggetto resta intrap-


polato in un meccanismo irrefrenabile di dipendenza dal com-
portamento, ma non teme che il non attuarlo farebbe accadere
qualcosa di brutto. Semplicemente, non è più in grado di star
“bene” se non asseconda il proprio impulso.
3) Le tecniche cognitivo-comportamentali sono molto utili anche
per trattare questi disturbi, ma devono essere opportunamente
adattate. Ancora una volta, quindi, l’auto-aiuto non è sufficien-
te e si rende necessario l’intervento di uno psicoterapeuta.

CONVINZIONI DELIRANTI
Un discorso a parte meritano le cosiddette “convinzioni de-
liranti”.
La capacità di critica razionale rispetto alle proprie idee e il
riconoscimento del fatto che le proprie ossessioni e compulsioni
sono eccessive e irragionevoli è un criterio fondamentale che ca-
ratterizza il disturbo ossessivo-compulsivo. Chi soffre di DOC,
nella maggior parte dei casi, si rende conto che i propri com-
portamenti non hanno senso e spesso, proprio per questo, se ne
vergogna.
A volte, però, le idee ossessive assumono proporzioni deliranti
e la persona, per la maggior parte del tempo, ritiene che le proprie
paure siano proporzionate e condivisibili dagli altri e che i propri
comportamenti siano perfettamente sensati e funzionali, anche
se è infastidita dal fatto che le portano via troppo tempo e non le
consentono di condurre una vita normale.
Chiaramente, in questo caso, viene a mancare nella persona
l’intenzione di liberarsi dai propri rituali, perché non li ritiene
una fastidiosa e inutile palla al piede, di cui è rimasto involon-
tariamente schiavo, ma dei sensati comportamenti finalizzati a
evitare di correre dei grossi e intollerabili rischi. Chiedere a que-
ste persone di seguire un programma di trattamento come quello
esposto in questo libro, senza prima intervenire farmacologica-
mente sulla solidità delle convinzioni, sarebbe come chiedere a
qualcuno di attraversare continuamente la strada a occhi chiusi e
con le orecchie tappate. Per questo motivo, può essere utile con-
Disturbi che possono essere confusi con il DOC 23

sultare una scala che vi aiuti a valutare il grado di convinzione


sulla sensatezza delle vostre ossessioni e compulsioni, come quella
che troverete più avanti.
Esistono poi una serie di convinzioni deliranti, abbastanza
frequenti, che non hanno niente a che vedere con il DOC. Le
convinzioni deliranti sono tali perché sfuggono completamente
all’esame di realtà e soltanto gli altri sono in grado di valutarle
come tali. Si dice che una persona ha un delirio quando è asso-
lutamente convinta di qualcosa, nonostante gli altri non trovino
in questa convinzione alcun riscontro e nonostante ci siano prove
ovvie e incontrovertibili che sia falsa.
Qualcuno è convinto che una persona, spesso un personaggio
famoso o idealizzato, sia innamorato di lui. Altri sono certi di
possedere un talento non riconosciuto, di aver avuto una par-
ticolare intuizione o di aver fatto qualche importante scoperta.
Altri ancora sono assolutamente convinti che il proprio partner
li tradisca, pur senza averne prove evidenti, di essere vittime di
una cospirazione o di essere ingannati, spiati, seguiti, avvelenati,
drogati, calunniati, molestati o ostacolati nel perseguimento di
progetti a lungo termine.
In tutti questi casi, la psicoterapia cognitivo-comportamen-
tale può essere un utile sostegno, ma non costituisce l’intervento
primario. È infatti assolutamente necessario un consulto psi-
chiatrico, per valutare l’opportunità di assumere farmaci appro-
priati.

IPOCONDRIA
Spesso il DOC viene confuso anche con l’“ipocondria”. Le
persone che soffrono di questo disturbo, basandosi sulla errata
interpretazione di uno o più segni o sintomi fisici, hanno la pre-
occupazione o la convinzione di avere una grave malattia. Il di-
sturbo non si limita all’idea ossessiva che genera spavento, ma si
rilevano sempre comportamenti di evitamento nei confronti delle
situazioni che innescano tale paura (programmi televisivi, conver-
sazioni sul tema, ecc.) e comportamenti ripetitivi di richiesta di
rassicurazione e di controllo (visite mediche, analisi cliniche, ecc.),
24 Vincere le ossessioni

che tranquillizzano soltanto momentaneamente, alimentando una


spirale infinita. L’unica sostanziale differenza è che l’ipocondriaco
è convinto o teme di avere già una malattia, mentre alcuni ossessivi
sono continuamente preoccupati di poterla contrarre.
Indubbiamente, l’ipocondria presenta caratteristiche simili a
quelle del disturbo ossessivo-compulsivo, tanto che anche le re-
lative tecniche di intervento cognitivo-comportamentali e far-
macologiche sono molto simili, ma in questo libro non faremo
esplicito riferimento a tale disturbo.

DEPRESSIONE
Un ultimo cenno deve essere fatto alla “depressione”, diffusis-
simo disturbo caratterizzato da umore triste quasi costante, muta-
menti del sonno e dell’appetito, affaticabilità, apatia e mancanza
di energie, disistima e sensi di colpa, diminuzione dell’interesse e
del piacere per quasi tutte le attività.
Spesso le persone depresse hanno pensieri intrusivi negativi
riguardo a errori compiuti nel passato, alla propria inutilità, al
proprio senso di fallimento, a persone decedute o a ex partner che
li hanno abbandonati. Questo rimuginare in maniera ossessiva
è diretta conseguenza del calo dell’umore e non è assolutamente
diagnosticabile come disturbo ossessivo-compulsivo.
D’altra parte, è vero che quasi tutte le persone affette da DOC
tendono, col tempo, a deprimersi, perché le limitazioni di vita
che il disturbo impone e il senso di fallimento nel contrastare le
ossessioni sono tali da provocare un calo dell’umore anche nella
persona più solare.
In questi casi, ovvero quando il disturbo dell’umore è secon-
dario al DOC e non esisteva prima, esso tende a scomparire non
appena i sintomi ossessivo-compulsivi migliorano.
Se però il vostro livello di depressione è alto, è possibile che
non abbiate le necessarie energie per portare avanti l’impegnativo
programma terapeutico. In questo caso, un appropriato interven-
to farmacologico, in associazione alla terapia cognitivo-compor-
tamentale, può esservi molto utile.
4
frequenza, esordio
e decorso

Il disturbo ossessivo-compulsivo colpisce, senza distinzioni di


età e sesso, dal 2 al 3% della popolazione. Può infatti manifestarsi
sia negli uomini che nelle donne, indifferentemente, e comparire
nell’infanzia, nell’adolescenza o nella prima età adulta.
L’età tipica in cui compare più frequentemente è tra i 6 e i 15 anni
nei maschi e tra i 20 e i 29 nelle donne. I primi sintomi, nella maggior
parte dei casi, compaiono prima dei 25 anni (nel 15% dei casi si ma-
nifestano intorno ai 10 anni) e in bassissima percentuale dopo i 40.
I disturbi ossessivo-compulsivi si manifestano indipenden-
temente dal ceto sociale a cui si appartiene o dalla professione
che si svolge e possono comparire in modo acuto, con sintomi
evidenti e improvvisi, o, più frequentemente, in modo subdolo
e graduale.
Nella maggior parte dei casi, le persone non ricordano con
esattezza quando sono comparsi i primi sintomi ossessivo-com-
pulsivi: essi si manifestano generalmente in modo insidioso, cau-
sando, inizialmente, solo una modesta sofferenza e aggravandosi
progressivamente. In genere, si accentuano azioni ripetitive che
esistevano già prima dell’esordio del sintomo.
A volte le persone sono in grado di riferire con precisione il
momento in cui i sintomi sono comparsi per la prima volta: in
questi casi è evidente che il disturbo ha avuto inizio in modo im-
provviso, spesso in seguito a un evento stressante.
26 Vincere le ossessioni

Se il disturbo ossessivo-compulsivo non viene curato si posso-


no delineare quattro tipi di decorso:

• Decorso episodico: i sintomi sono presenti solo in alcuni pe-


riodi della vita di una persona, con assenza di sintomi o con
sintomi minimi tra vari episodi acuti della durata di mesi o
anni (tra i singoli episodi il tipo di ossessione spesso cambia).
Ci può essere anche un solo episodio in tutta la vita di una
persona.
• Decorso cronico fluttuante: i sintomi sono molto incostanti nel
tempo, con miglioramenti e peggioramenti, ma non scompa-
iono mai del tutto. I frequenti alti e bassi sono in genere legati
al livello di stress generale.
• Decorso cronico stabile: i sintomi si manifestano gradualmente,
ma poi rimangono stabili nel tempo.
• Decorso cronico ingravescente: è il più grave e purtroppo il più
comune. Generalmente i sintomi iniziano in modo graduale;
ci sono periodi di peggioramento e periodi di stabilità, seguiti,
poi, da nuovi peggioramenti.

Non si può parlare di un disturbo ereditario, anche se la com-


ponente genetica potrebbe influire nella comparsa del disturbo. Il
fatto di avere familiari che soffrono o hanno sofferto di DOC au-
menta certamente la possibilità di ammalarsi, ma è molto difficile
distinguere i disturbi ossessivo-compulsivi dovuti alla presenza di
un genitore affetto da DOC da quelli legati al vero e proprio pa-
trimonio genetico.
Comunque, studi sui gemelli omozigoti separati alla nascita
hanno dimostrato che la malattia non ha una natura totalmente
genetica, anche se può essere presente una componente eredi-
taria.
I problemi familiari non causano il DOC, ma il modo in cui
i familiari reagiscono ai sintomi può influire sul disturbo. È raro
che un’interruzione improvvisa della partecipazione di un fami-
liare ai rituali, senza il consenso della persona, sia utile, perché la
persona non è in grado di gestire lo stress che ne può derivare.
Frequenza, esordio e decorso 27

Tuttavia, se i commenti negativi o gli atteggiamenti troppo


critici nei confronti di una persona che soffre di DOC possono
far peggiorare i suoi sintomi, l’incoraggiamento davanti a ogni
più piccolo tentativo riuscito di resistere al disturbo possono por-
tare la persona ad un graduale miglioramento (vedi parte III).
5
le cause del doc

Non è possibile individuare una causa singola e scientifica-


mente dimostrata alla base del disturbo ossessivo-compulsivo.
Nel corso dei decenni sono state sviluppate varie ipotesi più o
meno attendibili, alcune di carattere psicologico, altre di carattere
neurobiologico, che riassumerò brevemente.

IPOTESI PSICOLOGICHE
Tra le ipotesi psicologiche, la prima è stata quella psicoanali-
tica. Secondo Freud una persona arriva a soffrire di DOC perché
le difese della sua personalità sono crollate e quindi certi impulsi
libidici, di natura anale, arrivano alla soglia della coscienza. La
persona deve, perciò, mettere in atto dei meccanismi di difesa di
tipo nevrotico, ad esempio la formazione reattiva (lavarsi le mani
come comportamento reattivo rispetto all’impulso di masturbar-
si), in modo da tenere sommersi certi impulsi inconsci che stanno
per sfuggire alla rimozione.
Nonostante sia stata dimostrata la debolezza delle basi teoriche
di questa ipotesi, Freud aveva già delineato, dal punto di vista cli-
nico descrittivo, alcuni fenomeni cognitivi, ovvero specifiche mo-
dalità di pensiero tipiche del paziente affetto da DOC, tutt’oggi
considerate valide, come il fatto di difendersi da pensieri inaccet-
tabili, il timore di danneggiare gli altri o l’eccessiva importanza
attribuita ai pensieri.
30 Vincere le ossessioni

I primi studi in ambito comportamentista sulle condotte stere-


otipate, denominate “risposte fissate”, furono condotti da Maier,
ma il modello comportamentista che più si avvicina al modello
attuale del DOC è quello proposto da Skinner, alla fine degli anni
’40, riguardo al “comportamento superstizioso”. Tale comporta-
mento fu notato per la prima volta in uno studio condotto sui
piccioni, che è egregiamente riassunto nel seguente brano tratto
dal libro Il chiodo fisso (Dorz, Novara & Sanavio, 1999):

Un gruppo di piccioni opportunamente affamati venne rin-


chiuso in gabbie fornite, tra l’altro, di un congegno atto alla
distribuzione di cibo. L’apparecchiatura venne regolata affin-
ché erogasse una pallina di cibo a intervalli fissi, ogni 15 se-
condi, qualsiasi fosse stato il comportamento dell’animale.
Il comportamento più ovvio, in questo caso, sarebbe stato quel-
lo di posizionarsi davanti all’erogatore di cibo e aspettare. In-
credibilmente, nessun piccione agì in questo modo.
Avvenne invece questo: ogni animale cominciò a dar vita a un
comportamento ritualistico quale beccare, grattarsi o girare,
come se esistesse una relazione causale tra il suo comportamen-
to e l’erogazione del cibo, anche se questa non esisteva.
Cosa era successo? Casualmente, prima che l’erogatore rilascias-
se il cibo, un piccione stava beccando per terra, un altro stava
girando su se stesso, un altro ancora si stava grattando, ecc.
Ogni animale aveva quindi collegato il proprio comportamen-
to, precedente l’erogazione del cibo, con la distribuzione della
pallina, come se l’uno avesse causato l’altra, e ora lo ripeteva
infinite volte. Aveva erroneamente imparato che grattandosi,
ad esempio, poteva avere un po’ di cibo e, collegando il fatto
che subito dopo essersi grattato la prima volta aveva ricevuto
cibo, ora si grattava in continuazione.
Il fatto di ricevere ogni 15 secondi una pallina rappresenta-
va per lui una prova a sostegno di questa sua convinzione: se
anche non aveva ricevuto nulla per 14 secondi, l’unica cosa
che aveva fatto era grattarsi e quindi questo doveva necessaria-
mente aver causato il rilascio del cibo.
Le cause del DOC 31

Secondo l’ipotesi di Skinner, coloro che soffrono di disturbo


ossessivo-compulsivo mettono in atto comportamenti “supersti-
ziosi”, perché questi comportamenti sono stati casualmente asso-
ciati a una condizione di benessere e rassicurazione (ad esempio
la riduzione dell’ansia), esattamente come i piccioni degli esperi-
menti di Skinner, ai quali il cibo sarebbe stato dato con la stessa
frequenza anche se non avessero fatto niente.
Tale meccanismo è splendidamente esemplificato da Watzla-
wick (1989):
“Uno psichiatra chiese a un suo paziente che batteva conti-
nuamente le mani: ‘perché continui a battere le mani’. Il malato
rispose: ‘Per scacciare gli elefanti’. Lo psichiatra ribatté: ‘Ma non
ci sono elefanti qui!’. Il malato replicò, continuando a battere le
mani: ‘Vedi che funziona!’”.

Rachman e De Silva, comportamentisti canadesi, condusse-


ro nel 1978 una sofisticata analisi sui pensieri intrusivi negati-
vi che caratterizzano le ossessioni. Questa indagine rivelò che i
pensieri intrusivi di tipo negativo sono comuni a quasi tutte le
persone e che questi possono essere altrettanto irrazionali, assurdi
o sproporzionati rispetto alla realtà rispetto a quelli dei pazienti
affetti da DOC. Le ossessioni, quindi, non sono un fenomeno
circoscritto a chi presenta disturbi ossessivo-compulsivi, ma sono
comuni e frequenti in tutti gli individui. Non esistono, infatti,
differenze di contenuto fra le ossessioni cliniche, che si evidenzia-
no nelle persone affette da DOC, e i pensieri intrusivi di comune
riscontro; vi sono soltanto differenze quantitative, nel senso che
in queste ultime la frequenza delle ossessioni è notevolmente su-
periore, esse persistono per periodi di tempo più lunghi, creano
maggior disagio e determinano maggiori difficoltà di allontana-
mento volontario.
Da questo studio in poi l’interesse dei ricercatori si è focaliz-
zato sul tentativo di stabilire il motivo per cui in certe persone le
preoccupazioni intrusive siano un fenomeno occasionale e transi-
torio, che decade spontaneamente, mentre in altre divengano vere
e proprie ossessioni patologiche.
32 Vincere le ossessioni

La risposta a questo interrogativo è stata individuata nel-


la differente reazione alla comparsa del pensiero intrusivo. La
persona “normale” non dà eccessiva importanza all’improvvisa
preoccupazione, la riconosce come insensata, anche se suscita
terrore, la accetta e attende che se ne vada spontaneamente. Chi
soffre di disturbo ossessivo-compulsivo, viceversa, prende molto
sul serio i pensieri negativi che arrivano alla sua mente, è subito
assalito dall’ansia e, se riesce a fare qualcosa per tranquillizzarsi,
in termini di comportamento esplicito o di atto mentale, fa in-
volontariamente sì che questo pensiero si fissi e tenda a ripresen-
tarsi in simili situazioni (vedremo più avanti il perché). Rende
inoltre progressivamente sempre più necessaria l’emissione del
rituale, per “esorcizzare” il rischio che il contenuto del pensiero
si avveri.
La compulsione, insomma, non evita che possa accadere qual-
cosa di terribile, ma riduce rapidamente l’ansia che il pensiero ha
prodotto. Produce sollievo e ripristina un senso di relativa sicurez-
za, anche se per poco, innescando un circolo vizioso che rende le
persone sempre più dipendenti dal comportamento compulsivo e
sempre più assillate dal pensiero ossessivo.
Il modello della genesi e del mantenimento del DOC che allo
stato attuale delle conoscenze si è rivelato come il più accreditato
è, ancora oggi, quello comportamentista, di cui abbiamo parlato
sopra; le teorie cognitive lo arricchiscono e lo integrano, come
verrà meglio esposto e discusso nei prossimi capitoli, perché su di
esso si basa il programma cognitivo-comportamentale proposto
nei capitoli seguenti.
Negli anni ’90, alcuni teorici cognitivisti, tra cui P. Salkovskis
e G. Steketee, hanno individuato le peculiarità che contraddistin-
guono i meccanismi cognitivi di chi soffre di DOC, ovvero i loro
particolari meccanismi di pensiero e di elaborazione dell’infor-
mazione. Alcuni di questi verranno parzialmente discussi anche
in questo libro, poiché intervengono nell’interpretazione e nella
valutazione delle esperienze intrusive ed è proprio su di essi che
bisogna agire, con opportune modifiche, per favorire il processo
terapeutico:
Le cause del DOC 33

• eccessivo senso di responsabilità: le persone affette da DOC, in


particolar modo coloro che temono le conseguenze dannose
delle proprie trascuratezze sugli altri, piuttosto che su se stes-
si, ritengono spesso che anche avere una minima influenza
sull’esito di un determinato evento negativo equivalga a esserne
totalmente responsabile. Pensare che possa accadere qualcosa
di negativo e non fare tutto il possibile per impedirlo sarebbe
quindi, per queste persone, come essere totalmente colpevoli,
nel caso in cui l’evento negativo si avverasse;
• eccessiva importanza attribuita ai pensieri: per chi soffre di
DOC, il fatto stesso che un pensiero venga formulato significa
di per sé che esso è importante. Quasi tutte le persone ossessi-
ve ritengono che avere certi pensieri negativi sia moralmente
deplorevole, perché significherebbe desiderare o augurarsi che
essi si avverino, e pericoloso, in quanto potrebbe avere un’in-
fluenza sul reale accadimento degli eventi; non riconoscono,
insomma, che è normale avere preoccupazioni negative, so-
prattutto quando il nostro umore non è dei migliori, senza
che ciò sia indicativo dei nostri desideri o della nostra natura e
senza che influenzi la probabilità che gli eventi temuti si veri-
fichino;
• sovrastima della possibilità di controllare i propri pensieri: le per-
sone che soffrono di DOC, non tollerando la presenza di pen-
sieri negativi, per i motivi sopra illustrati, fanno di tutto per
contrastarli e liberarsi la mente, senza considerare che nessuno
di noi può decidere di non pensare a qualcosa, poiché abbiamo
un controllo soltanto parziale sul nostro flusso di pensieri;
• sovrastima della pericolosità dell’ansia: come vedremo, l’ansia è
un’emozione normale e non pericolosa; i sintomi fisici dell’an-
sia possono essere molto sgradevoli, ma non portano mai alla
perdita di controllo del proprio comportamento e, prima o
poi, tendono a scomparire spontaneamente, anche se la per-
sona non fa niente per tranquillizzarsi. Quanti sono affetti da
DOC, invece, tendono a interpretare lo stato confusionale che
l’ansia può indurre, come segno di un’imminente perdita di
controllo o di essere sul punto di impazzire. Essi ritengono che
34 Vincere le ossessioni

il malessere fisiologico a essa correlato aumenti all’infinito o


rimanga stabile nel tempo, al punto da diventare intollerabile
o dannoso per l’organismo.

Questi fattori cognitivi spiegano meglio perché una persona


con disturbi ossessivo-compulsivi consideri pericolosi e intollera-
bili certi suoi pensieri negativi e faccia di tutto per neutralizzarne
l’effetto o per evitare di averli, innescando il circolo vizioso com-
portamentale descritto prima.
L’intervento di terapia cognitiva, nella psicoterapia cognitivo-
comportamentale del DOC, si basa infatti sul tentativo di ri-
dimensionare queste credenze, per fare in modo che la persona
accetti la presenza di pensieri negativi, considerandoli assoluta-
mente normali. In altri termini, come vedremo meglio più avanti,
si cerca di far aumentare la capacità di tollerare la rappresentazio-
ne mentale del rischio.

IPOTESI NEURO-BIOLOGICHE
Le ipotesi neuro-biologiche si basano su studi condotti uti-
lizzando tecniche molto sofisticate (brain imaging), tra cui PET,
SPECT e Risonanza Magnetica, o valutando l’effetto di alcuni
psicofarmaci. Poiché nessuna di queste teorie risulta totalmen-
te convincente e, soprattutto, data la loro scarsa utilità clinica ai
fini del trattamento, mi limiterò ad esporne soltanto alcune delle
principali (per una rassegna dettagliata si veda: Dèttore, 2003).
È possibile, tuttavia, che, con la rapida sofisticazione delle tec-
niche di analisi, si arrivi presto a formulare una teoria neurobio-
logica convincente, che tenga conto di tutte le osservazioni effet-
tuate finora, conciliandosi con le teorie psicologiche sopra citate,
più valide e meglio verificate.

Alterazioni funzionali di specifiche aree cerebrali: Baxter e i suoi


collaboratori, noti ricercatori statunitensi, hanno condotto un’in-
dagine, utilizzando la PET (Tomografia ad Emissione di Positro-
ni), e hanno osservato che nella testa del nucleo caudato destro
(uno dei gangli della base: gruppi di cellule nervose, situati al
Le cause del DOC 35

centro della parte più interna del cervello, che controllano i mo-
vimenti muscolari) di persone affette da DOC si riscontravano
livelli metabolici più alti che nei soggetti normali. Questi studiosi
hanno inoltre dimostrato che tali livelli tornavano nella norma
dopo somministrazione di SSRI (antidepressivi che potenziano
il sistema serotoninergico) o dopo una buona psicoterapia co-
gnitivo-comportamentale. Questo è il primo studio in cui è stata
dimostrata l’efficacia, a livello biologico, di una psicoterapia.
Molti altri studi hanno evidenziato alterazioni metaboliche di
particolari aree cerebrali nelle persone affette da DOC. Oltre al
nucleo caudato sembrano coinvolti tutti i gangli della base e la
corteccia orbito-frontale (quella parte di strato esterno del cer-
vello che si trova al di sotto del lobo frontale, proprio sopra le
orbite oculari). In sostanza, risulta credibile un interessamento
del circuito fronto-striato.

Iperfrontalità: i lobi orbito-frontali della corteccia cerebrale,


dunque, sembrano responsabili della valutazione delle conseguen-
ze dei comportamenti che mettiamo in atto e della regolazione dei
circuiti emozionali. Lesioni della corteccia orbito-frontale produ-
cono alterazioni dell’emozione, al punto da rendere la persona
che ne è affetta incapace di percepire il pericolo e avere reazioni di
allarme. L’effetto opposto si ha in quella che viene definita iper-
frontalità; si tratta di un’eccessiva attività di tale area della cor-
teccia cerebrale, tipica, a quanto pare, di chi soffre di DOC, che
innesca un costante ed eccessivo allarme anche di fronte a piccoli
e spesso insignificanti segnali.

Anomalie dei neurotrasmettitori (sostanze chimiche che mediano


la trasmissione nervosa): come illustrato, le ricerche suggerisco-
no che il DOC implichi problemi di comunicazione tra la par-
te frontale del cervello (corteccia orbito-frontale) e strutture più
profonde (gangli della base). Queste strutture cerebrali utilizzano
come messaggero chimico la serotonina. Spesso, in persone con
disturbo ossessivo-compulsivo sono stati riscontrati insufficien-
ti livelli di serotonina; inoltre, i farmaci che aumentano la con-
36 Vincere le ossessioni

centrazione cerebrale di serotonina talvolta aiutano a migliorare i


sintomi ossessivo-compulsivi. Ciò è assunto come prova dell’ipo-
tesi serotoninergica del DOC. Si tratta di un’ipotesi debole e più
volte messa in discussione, che tuttavia è ancora alla base della
scelta dei trattamenti farmacologici per il DOC, come vedremo
più avanti.

Deficit mnestici: le persone che soffrono di DOC sembrano


avere prestazioni minori della media nella memoria per le azioni e
nella memoria non verbale, tanto che molte compulsioni, soprat-
tutto di controllo, sono messe in atto per il timore di non ricor-
dare bene ciò che si è fatto. Spesso questo, più che un problema
organico, sembra però essere un problema di scarsa fiducia nella
propria memoria e nelle proprie capacità cognitive in generale,
che è una conseguenza dell’estremo bisogno di certezza che han-
no le persone affette da DOC.

Influenze genetiche: non sono stati identificati geni specifici


collegati al DOC, ma recenti studi suggeriscono che, in alcuni
casi, i geni hanno un ruolo nel suo sviluppo. Quando un genitore
è affetto da DOC, aumenta la probabilità che il figlio sviluppi lo
stesso disturbo, sebbene il rischio continui a rimanere basso. Co-
munque, quando si presentano più casi di DOC in una famiglia,
ciò che viene ereditato non sono gli specifici sintomi, ma la natu-
ra generale del disturbo, per cui un bambino può avere rituali di
controllo, mentre sua madre rituali di lavaggio.
6
come si cura il doc

TRATTAMENTO FARMACOLOGICO
La terapia farmacologica del DOC è stata caratterizzata stori-
camente dall’impiego dell’antidepressivo triciclico clomipramina
(Anafranil). La clomipramina ha dimostrato una potenzialità te-
rapeutica significativa fin dai primi studi clinici degli anni ’60, ef-
ficacia attualmente ben documentata, che ha spinto poi i ricerca-
tori a interessarsi a un’altra famiglia di farmaci antidepressivi, gli
inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, caratterizzati
dall’acronimo SSRI. Si tratta della fluovoxamina (Maveral, Du-
mirox, Fevarin), del citalopram (Elopram, Seropram, ecc.), della
sertralina (Zoloft, Tatig, ecc.), della fluoxetina (Prozac, Fluoxeren,
Fluoxetina), della paroxetina (Sereupin, Seroxat, ecc.) e dell’esci-
talopram (Entact, Cipralex, ecc.).
Queste due famiglie di farmaci hanno in comune, dal pun-
to di vista del meccanismo d’azione, la capacità di potenziare la
trasmissione nervosa, mediata da uno dei più studiati neurotra-
smettitori: la serotonina. Tanto che, come abbiamo visto, questo
fenomeno è stato arbitrariamente utilizzato per dimostrare la va-
lidità delle teorie biologiche del DOC, basate sulla carenza di tale
neurotrasmettitore.
Vari studi hanno sottolineato la sostanziale equivalenza te-
rapeutica della clomipramina e degli SSRI nel trattamento del
DOC.
38 Vincere le ossessioni

Per ottenere un’efficacia anti-ossessiva delle molecole antide-


pressive si tende a utilizzarle a dosaggi che vanno verso i massimi
consentiti. Può essere necessario un periodo di tempo che va dalle
dieci alle dodici settimane prima di ottenere una risposta clinica
positiva. Ciò differenzia nettamente questo tipo di terapia farma-
cologica dalla terapia, per esempio, di un episodio depressivo, in
cui il tempo di attesa per una risposta ai farmaci è assai minore.
Per quanto riguarda gli effetti collaterali, il trattamento con
clomipramina può causare secchezza delle fauci, stipsi, ritenzione
urinaria, ipotensione ortostatica, tachicardia o sedazione. Esiste,
inoltre, un effetto a livello cardiaco, con possibilità di aritmie e
modificazioni elettrocardiografiche. È sconsigliabile la prescrizio-
ne della clomipramina agli anziani e alle persone con problemi
cardiovascolari, ipertrofia prostatica o glaucoma.
Per quanto riguarda gli antidepressivi SSRI, all’interno di que-
sto gruppo gli effetti collaterali sono sostanzialmente omogenei,
anche se non esattamente sovrapponibili tra composto e com-
posto. I più frequenti sono quelli di tipo gastrointestinale, come
nausea, anoressia o diarrea, la cefalea, i disturbi sessuali (in parti-
colare difficoltà a raggiungere l’orgasmo) o i disturbi del sonno.
Va detto, comunque, che sono farmaci generalmente ben tollera-
ti, caratterizzati da una bassa tossicità e da una relativa sicurezza
nel sovradosaggio.
L’efficacia dei farmaci antidepressivi SSRI e della clomipramina
in questo disturbo è ben documentata, ma purtroppo il 30-40%
delle persone non risponde positivamente. Anche per quanti ri-
spondono in maniera significativa al trattamento farmacologico,
la dimensione della risposta è abitualmente incompleta e pochi
arrivano ad essere totalmente privi di sintomi.
Per questo motivo, sono state proposte numerose strategie far-
macologiche che mirano a potenziare l’efficacia della terapia di
primo livello. Si sono diffusi, ad esempio, l’uso in combinazione
di clomipramina e di un farmaco SSRI, della clomipramina som-
ministrata per via endovenosa (che ha dimostrato di essere una
terapia efficace per quanti non rispondono al trattamento per via
orale) o di neurolettici di ultima generazione, quali il risperidone
Come si cura il DOC 39

(Risperdal, Belivon, ecc.), l’olanzapina (Zyprexa), la quetiapina


(Seroquel) e il più recente aripiprazolo (Abilify). Questi ultimi, in
associazione con clomipramina e SSRI, vengono utilizzati più fre-
quentemente nelle persone affette da DOC che hanno scarsa con-
sapevolezza della malattia. In alcuni casi l’uso di questi farmaci
può aiutare a sbloccare la situazione, ma gli effetti collaterali che
producono sono generalmente pesanti e nel complesso raramente
“il gioco vale la candela”. Molto più utile, in genere, intrapren-
dere una buona e mirata psicoterapia, che non un accanimento
psicofarmacologico.
Un’ultima considerazione deve essere fatta sulle tanto abusa-
te benzodiazepine, cioè i cosiddetti tranquillanti (Tavor, Xanax,
Lexotan, En, ecc.). Anche se danno una momentanea attenua-
zione dell’ansia, soddisfacendo l’esigenza primaria di chi soffre di
disturbi ossessivo-compulsivi, questi farmaci sono controindicati
nel trattamento di tale disturbo, perché, oltre a dare dipendenza
e assuefazione (con conseguente necessità di aumentare costante-
mente il dosaggio per avere un’efficacia significativa), impediscono
la comparsa dell’ansia durante l’esposizione agli stimoli ansiogeni
e non consentono il processo di estinzione del condizionamento,
che, come vedrete, è un elemento fondamentale su cui si basa il
trattamento comportamentale.
In conclusione, la prognosi del DOC è sicuramente migliora-
ta, grazie all’affinamento delle strategie farmacologiche, ma sono
ancora necessarie terapie ad alti dosaggi e periodi prolungati di
somministrazione; restano inoltre da affinare le strategie di inter-
vento sui pazienti “resistenti” (quasi la maggioranza).
Per questo motivo, anche dove si valuti di ricorrere ai farmaci,
la loro combinazione con una terapia cognitivo-comportamentale
o almeno con un programma di auto-aiuto, come quello descrit-
to in questo libro, è sempre raccomandabile. I farmaci da soli,
infatti, possono risultare spesso inefficaci e, nel migliore dei casi,
presentano un forte rischio di ricaduta.
Viceversa, non esiste un criterio preciso per determinare quando
si debba ricorrere ai farmaci, piuttosto che affidarsi alla sola psico-
terapia. Tuttavia, quando siete fortemente convinti della sensatezza
40 Vincere le ossessioni

delle vostre ossessioni e compulsioni, quando non riuscite a portare


avanti gli esercizi della terapia comportamentale neanche con l’aiuto
di un assistente, quando il livello della vostra depressione è piuttosto
grave o quando, in generale, il vostro disturbo è di notevole entità,
può essere necessario ricorrere anche ad una terapia farmacologica.

PSICOTERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE
La psicoterapia cognitivo-comportamentale (PCC) costituisce
il trattamento psicoterapeutico più indicato per bambini, adole-
scenti e adulti affetti da DOC. Aiuta le persone a internalizzare
una strategia per resistere al disturbo che avrà effetti benefici a
breve e a lungo termine.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale è una forma di
trattamento psicologico ormai molto diffusa.
Il suo successo deriva da alcune sue specifiche caratteristiche;
essa, infatti, è:

• Scientificamente fondata. È stato dimostrato, attraverso studi


controllati, che i metodi cognitivo-comportamentali costitu-
iscono una terapia efficace per numerosi problemi di tipo cli-
nico. La PCC è efficace almeno quanto gli psicofarmaci nel
trattamento della depressione e dei disturbi d’ansia (compreso
il DOC), ma assai più utile nel prevenirne le ricadute.
• Orientata allo scopo. Rispetto a molti altri tipi di trattamento,
la PCC è maggiormente orientata verso uno specifico obiet-
tivo. Il terapeuta cognitivo-comportamentale, infatti, lavora
insieme al paziente per stabilire gli obiettivi della terapia, for-
mulando una diagnosi e concordando con il paziente stesso un
piano di trattamento che si adatti alle sue esigenze. Si preoc-
cupa poi di verificare periodicamente i progressi in modo da
controllare se gli scopi sono stati raggiunti.
• Pratica e concreta. Lo scopo della terapia si basa sulla risoluzio-
ne dei problemi psicologici concreti: la riduzione dei sintomi
depressivi, l’eliminazione degli attacchi di panico e della even-
tuale concomitante agorafobia, la riduzione o eliminazione dei
rituali compulsivi o delle malsane abitudini alimentari, la pro-
Come si cura il DOC 41

mozione delle relazioni con gli altri, la diminuzione dell’isola-


mento sociale, e cosi via.
• Centrata sul “qui ed ora”. I ricordi del passato, come il racconto
dei sogni, possono essere, in alcuni casi, utili per capire come
si siano strutturati gli attuali problemi del paziente, ma molto
difficilmente possono aiutare a risolverli. La PCC quindi non
utilizza tali metodi come strumenti terapeutici, ma si preoccu-
pa, indipendentemente dalle cause, di attivare tutte le risorse
del paziente stesso e di suggerire valide strategie che possano
essere utili a liberarlo dal problema che, spesso, lo imprigiona
da tempo. La PCC è centrata sul presente e sul futuro mol-
to più di alcune tradizionali terapie. Essa mira a ottenere dei
cambiamenti positivi, ad aiutare il paziente a uscire dalla trap-
pola, piuttosto che a spiegargli come ci è entrato.
• Attiva. Sia il paziente che il terapeuta giocano un ruolo atti-
vo nella terapia. Il terapeuta cerca di insegnare al paziente ciò
che si conosce dei suoi problemi e delle possibili soluzioni. Il
paziente, a sua volta, lavora al di fuori della seduta terapeu-
tica per mettere in pratica le strategie apprese, svolgendo dei
compiti che gli vengono assegnati volta per volta. Nella PCC
il terapeuta svolge un ruolo attivo nella soluzione dei proble-
mi del paziente, intervenendo spesso e diventando talvolta
“psico-educativo”. Questo, però, non significa che il paziente
sia costretto ad assistere a una lezione nella quale si sente dire
che cosa dovrebbe fare e come dovrebbe pensare; al contrario,
egli è fortemente stimolato a essere più attivo possibile, fino a
diventare, sotto la guida del professionista, un terapeuta di se
stesso.
• Collaborativa. Paziente e terapeuta lavorano insieme per capire
e sviluppare strategie che possano indirizzare alla risoluzione
dei problemi. La PCC è infatti una psicoterapia breve, basata
sulla collaborazione tra paziente e terapeuta. Entrambi sono
attivamente coinvolti nell’identificazione delle specifiche mo-
dalità di pensiero che possono essere causa dei vari problemi.
In questo modo, il paziente potrà scoprire di aver trascurato
possibili soluzioni alle situazioni problematiche, mentre il te-
42 Vincere le ossessioni

rapeuta potrà aiutarlo a capire come modificare le abitudini di


pensiero disfunzionali e le relative reazioni emotive e compor-
tamentali che sono causa di sofferenza.
• A breve termine. La terapia cognitivo-comportamentale è a
breve termine, ogni qualvolta sia possibile. Il terapeuta è, in
genere, sempre pronto a dichiarare inadatto il proprio meto-
do, nel caso in cui non si ottengano entro un numero di se-
dute prestabilito risultati positivi, almeno parziali, valutati dal
paziente stesso. La durata della terapia varia di solito dai sei ai
dodici mesi, a seconda del caso, con frequenza, il più delle vol-
te, settimanale. Problemi psicologici più gravi, che richiedano
un periodo di cura più esteso, traggono comunque vantaggio
dall’uso integrato della terapia cognitiva, degli psicofarmaci e
di altre forme di trattamento.

La psicoterapia cognitivo-comportamentale, come si deduce dal


nome, è costituita da due tipi di psicoterapia che si integrano a vi-
cenda: la psicoterapia comportamentale e la psicoterapia cognitiva.

La psicoterapia comportamentale, basata sui principi dell’ap-


prendimento, mira a modificare i pensieri e le emozioni disfun-
zionali partendo dal cambiamento dei comportamenti. Tra le tec-
niche della psicoterapia comportamentale più usate per il DOC
vi è la cosiddetta esposizione e prevenzione della risposta (letteral-
mente, traducendo dall’inglese, esposizione e “impedimento” del-
la risposta).
L’esposizione allo stimolo ansiogeno, come vedremo, si basa
sul fatto che l’ansia tende a diminuire spontaneamente dopo un
lungo contatto con lo stimolo stesso. Così, le persone con l’osses-
sione per i germi possono essere invitate a stare a contatto con og-
getti “contenenti germi” (es: prendere in mano dei soldi), finché
l’ansia non è scomparsa. La ripetizione dell’esposizione consente
la diminuzione dell’ansia fino alla sua completa estinzione.
Perché la tecnica dell’esposizione sia efficace, tuttavia, è neces-
sario che sia affiancata dalla prevenzione della risposta, o dalla sua
modificazione, perché l’esecuzione dei rituali ostacola una suffi-
Come si cura il DOC 43

ciente durata dell’esposizione e non consente l’estinzione dell’an-


sia condizionata. Nella prevenzione della risposta vengono sospe-
si, o inizialmente modificati o ridotti, gli abituali comportamenti
ritualistici che seguono alla comparsa dell’ossessione. Riprenden-
do l’esempio precedente, la persona con l’ossessione dei germi
viene esposta allo stimolo ansiogeno e viene invitata a sforzarsi di
non mettere in atto il suo rituale di lavaggio, nell’attesa che l’ansia
svanisca spontaneamente.
Il soggetto, in pratica, viene istruito a fronteggiare lo stimolo
temuto, sperimentare l’urgenza di mettere in atto i rituali e im-
mediatamente bloccare l’emissione di tali comportamenti.
In altre parole, si segue il principio “guarda in faccia la paura
e cesserà di turbarti”.
In seguito verrà illustrato in dettaglio il modello cognitivo-
comportamentale del DOC e apparirà chiaro il motivo per cui
sia così importante esporsi direttamente a quello che ci fa paura e
sforzarsi di interrompere gradualmente gli unici comportamenti
che, apparentemente, sono in grado di darci un po’ di sollievo.

La psicoterapia cognitiva aiuta chi soffre di DOC a modifica-


re quelle specifiche convinzioni sull’importanza dei pensieri, sul
senso di responsabilità, sulla possibilità di esercitare un controllo
sui pensieri e cosi via, di cui abbiamo parlato prima.
L’intervento di terapia cognitiva, nella psicoterapia cognitivo-
comportamentale del DOC, si basa principalmente sul tentativo
di ridimensionare queste credenze per far sì che il paziente diventi
sempre più capace di tollerare la presenza di occasionali pensie-
ri, immagini o impulsi, per quanto negativi, che, come abbiamo
detto e ripetuto, sono assolutamente normali e incontrollabili.
L’aumento di questa capacità implica anche una maggior dispo-
nibilità ad accettare i rischi e a tollerare l’incertezza, cosa alquanto
difficile per i pazienti ossessivi.
Sarebbe comunque oltremodo riduttivo discutere in poche ri-
ghe la complessità di buona parte degli interventi cognitivi, che
sono riservati alla psicoterapia vera e propria e non possono essere
attuati da soli.
parte ii
COSA FARE
7
fase i – autoValutazione

INDIVIDUARE I SINTOMI PRINCIPALI


Prima di iniziare qualunque programma di trattamento è ne-
cessario stabilire degli obiettivi precisi, ma per farlo bisogna valu-
tare attentamente la qualità e la quantità dei sintomi.
Inoltre, un’opportuna autovalutazione della gravità del distur-
bo e del grado di consapevolezza che la persona riesce ad avere
circa l’illogicità e gli eccessi delle proprie ossessioni e compulsioni
è un buon criterio per stabilire se è possibile affidarsi soltanto al
programma di auto-aiuto o se è necessario rivolgersi a uno psico-
terapeuta o a uno psichiatra.
Infine, ripetere l’autovalutazione a intervalli regolari potrà es-
sere utile per valutare, nel tempo, i vostri progressi.
Un utilissimo strumento per l’autovalutazione è la Yale-Brown
Obsessive-Compulsive Scale (Y-BOCS), costruita da W. Good-
man, S. Rasmussen e colleghi nel 1989 e modificata nel 1992, per
la somministrazione computerizzata, da John Greist e collabora-
tori. Le due versioni di cui abbiamo parlato dovrebbero essere
utilizzate con l’aiuto di un professionista; esiste però una versione
per auto-somministrazione in lingua inglese, sviluppata da Lee
Baer nel 1991. Ed è proprio questa versione, tradotta in lingua
italiana, che vi proponiamo nelle pagine seguenti. I sintomi con-
trassegnati da un asterisco non fanno necessariamente riferimento
a un disturbo ossessivo-compulsivo, ma possono riguardare altre
48 Vincere le ossessioni

problematiche psicologiche.
È bene ricordare che le ossessioni sono idee, pensieri o impulsi
inaccettabili, che creano disturbo e si presentano alla mente in
continuazione. Esse possono emergere contro la propria volontà,
apparire ripugnanti e chi ne soffre spesso può riconoscerle come
prive di senso e incoerenti col proprio modo di essere abituale.
Le compulsioni sono comportamenti o azioni che le persone si
sentono spinte a compiere, sebbene riconoscano che sono prive
di senso o eccessive. Solitamente le compulsioni vengono messe
in atto in risposta a un’ossessione, secondo particolari regole o in
maniera stereotipata. A volte la persona tenta di resistere a tale
impulso, ma questo può risultarle molto difficile; può provare
un disagio che non diminuisce, fino a quando il comportamento
abituale non viene portato a termine.
A questo punto, tenendo presenti le definizioni sopra riporta-
te, cominciate l’auto-valutazione. Leggete attentamente ogni frase
che troverete nella tabella seguente ed evidenziate con un segno:

1) l’ossessione e la compulsione che avete attualmente o che avete


avuto qualche volta in passato;
2) le ossessioni che attualmente vi risultano più fastidiose e inva-
dono più spesso la vostra mente (non più di 2 o 3);
3) le compulsioni più fastidiose e che incidono maggiormente
sulle vostre attività quotidiane, sulla vita familiare, affettiva e
lavorativa (non più di 2 o 3).

ossessioni
Ossessioni aggressive
Ho paura di fare del male a me Es.: paura di usare il coltello o la forchetta,
stesso di maneggiare oggetti appuntiti, di passare
vicino alle finestre.
Ho paura di fare del male agli Es.: paura di avvelenare il cibo di altri, di
altri fare del male a bambini piccoli, di spingere
qualcuno sotto il treno, di ferire i senti-
menti degli altri, di non prestare soccorso
alle vittime di una catastrofe immaginaria,
di fare del male attraverso cattivi consigli.
Fase I – Autovalutazione 49

Mi vengono in mente immagi- Es.: visioni di omicidi, di corpi fatti a pezzi


ni violente o terrificanti o altre scene terrificanti
Ho paura di pronunciare frasi Es.: Paura di urlare oscenità in pubblico, ad
oscene o insulti esempio in chiesa; paura di scrivere osceni-
tà o di pronunciare bestemmie o insulti a
divinità, morti, maghi.
Ho paura di fare altre cose im- Es.: paura di apparire sciocco, di perdere il
barazzanti controllo in pubblico, di fare atti sconve-
nienti o suscitare derisione.
Ho paura di agire sotto la spin- Es.: paura di agire senza riuscire a resistere
ta di un impulso irrazionale ad impulsi come l’imbrogliare qualcuno, il
rubare in una banca, ecc.
Ho paura di essere responsabile Es.: Paura di provocare un incidente sen-
di danni ad altri per la mia sba- za accorgersene e/o senza poi soccorrere la
dataggine o i miei errori vittima, timore che la ditta in cui si lavora
fallisca a causa dei propri errori, ecc.
Ho paura di essere responsabile Es.: paura di provocare un incendio o un
di altri eventi terribili furto per non essere stato abbastanza attenti
nel chiudere la casa o l’auto prima di uscire,
nel chiudere il gas o nello spegnere le luci.
Ossessioni sulla contaminazione
Sono preoccupato o disgustato Es.: paura della propria o altrui saliva, su-
dagli escrementi o dalle secre- dore, muco nasale, urina, feci, sperma o
zioni del corpo secrezioni vaginali.
Sono preoccupato dalla sporci- Es.: paura di essere contaminati sedendosi
zia o dai germi su una sedia, stringendo la mano a una per-
sona o toccando le maniglie delle porte.
Sono eccessivamente preoccu- Es.: paura di essere contaminati dall’amian-
pato dall’inquinamento am- to, da gas o sostanze tossiche; paura delle
bientale sostanze radioattive, di oggetti provenienti
da città in cui esistono discariche di rifiuti
tossici.
Sono eccessivamente preoccu- Es.: paura dei detersivi da cucina o da bu-
pato da alcuni detersivi dome- cato, dei solventi, degli smacchiatori, degli
stici insetticidi o della trementina.
Sono eccessivamente preoccu- Es.: paura di essere contaminati dal contat-
pato dagli animali to con un insetto, un cane, un gatto o un
altro animale.
Mi danno fastidio le sostanze o Es.: paura del nastro adesivo e di altre so-
i residui appiccicosi stanze appiccicose per il timore che su di
esse siano rimaste intrappolate alcune so-
stanze contaminanti.
50 Vincere le ossessioni

Temo di ammalarmi in seguito Es.: paura di ammalarsi come conseguenza


a contaminazione diretta di una contaminazione (sul tempo
impiegato dalla malattia per manifestarsi le
opinioni sono diverse).
Sono preoccupato di poter con- Es.: paura di toccare gli altri o di preparare
taminare gli altri loro il cibo, dopo aver avuto contatti con
sostanze ritenute “contaminanti”.

Ossessioni di tipo sessuale


Ho pensieri, immagini o im- Es.: pensieri sessuali indesiderati verso
pulsi sessuali proibiti o perversi estranei, parenti o amici.
Ho ossessioni sessuali sui bam- Es.: pensieri indesiderati riguardanti mole-
bini o sull’incesto stie sessuali verso i propri figli, i figli altrui
o i bambini in generale.
Ho ossessioni riguardanti Es.: preoccupazioni del tipo: “Sono omo-
l’omosessualità sessuale?”, o: “E se improvvisamente di-
ventassi omosessuale?”, prive di una base
reale.
Ho ossessioni su un comporta- Es.: immagini inopportune di un proprio
mento sessuale aggressivo verso comportamento sessuale violento verso
gli altri estranei, conoscenti, amici o parenti adulti.

Ossessioni di accumulo/conservazione
Sono ossessionato dal bisogno Es.: difficoltà a gettare via le cose apparen-
di accumulare o conservare le temente prive di importanza perché se ne
cose potrebbe avere bisogno in futuro, impulso
di conservare e raccogliere cose inutili.

Ossessioni di natura religiosa


Sono assillato dall’idea di poter Es.: temere di avere pensieri blasfemi, di
essere sacrilego o blasfemo pronunciare frasi blasfeme o di essere pu-
niti per questo.
* Mi preoccupo in maniera ec- Es.: preoccuparsi di fare sempre la “cosa
cessiva della moralità giusta”, temere di aver potuto mentire o
imbrogliare gli altri.

Ossessioni di ordine e simmetria


* Sono ossessionato dalla sim- Es.: preoccuparsi che carte e libri siano
metria o dalla precisione sempre ben ordinati e allineati, che calcoli
e manoscritti siano “perfetti”.
Fase I – Autovalutazione 51

Ossessioni superstiziose
Sono convinto di dover sapere Es.: essere convinti di dover ricordare cose
o ricordare alcune cose insignificanti come numeri di targa, nomi
di attori di spettacoli televisivi, vecchi nu-
meri telefonici, slogan scritti sugli adesivi,
sui paraurti delle auto o sulle magliette.
Ho paura di dire determinate Es.: paura di pronunciare alcune parole
cose (come “tredici”) per superstizione, di dire
frasi irrispettose nei confronti di un defun-
to, ecc.
Ho paura di non dire la cosa Es.: paura di aver detto una cosa sbagliata,
giusta di non usare la parola “esatta”.
Ho numeri fortunati e numeri Es.: essere condizionati da semplici nu-
sfortunati meri (come il tredici), al punto da sentirsi
costretti a ripetere le azioni per un deter-
minato numero di volte, essendo tale nu-
mero ritenuto “fortunato” oppure arrivare
a ritardare un’azione fino ad una data ora,
considerata “fortunata”, della giornata.
Alcuni colori hanno un signifi- Es.: paura di usare oggetti di determinati
cato speciale per me colori (per esempio: il nero può essere as-
sociato alla morte, il rosso al sangue e alle
ferite).
Ho timori superstiziosi Es.: paura di passare davanti ad un cimite-
ro, a un carro funebre; temere che un gatto
nero attraversi la strada; paura dei simboli
della morte.
Ossessioni varie
Ho paura di perdere le cose Es.: preoccuparsi di poter perdere il por-
tafogli, o anche oggetti totalmente privi
d’importanza, come un foglietto di carta.
* Sono infastidito da immagini Es.: presenza nella mente di immagini ca-
mentali invadenti e ricorrenti suali indesiderate.
* Sono infastidito da suoni, pa- Es.: presenza di parole, canzoni o musica
role o musica apparentemente che non si riescono a scacciare.
privi di senso che invadono la
mia mente

* Sono infastidito da alcuni Es.: preoccuparsi del forte ticchettio di un


suoni o rumori orologio o di voci provenienti da un’altra
stanza, che possono disturbare il sonno.
52 Vincere le ossessioni

Ossessioni somatiche
* Sono preoccupato dalle ma- Es.: preoccuparsi di poter soffrire di una
lattie (ipocondria) malattia come il cancro, una cardiopatia
o l’AIDS, nonostante le rassicurazioni dei
medici.
* Mi preoccupo troppo di una Es.: preoccuparsi che il viso, la bocca, le
parte del mio corpo o della mia orecchie, il naso, gli occhi, le gambe o
immagine (dismorfofobia) un’altra parte del corpo possano apparire
ripugnanti, nonostante siano state ottenu-
te rassicurazioni del contrario.

compulsioni

Compulsioni di lavaggio e sterilizzazione


Mi lavo le mani troppo a lun- Es.: lavarsi le mani o anche le braccia molte
go, troppo spesso o secondo un volte al giorno oppure a lungo dopo aver
rituale toccato, o creduto di toccare, un oggetto
contaminato.
Compio in misura eccessiva o Es.: fare la doccia o il bagno oppure ese-
secondo un rituale le seguenti guire le altre pratiche igieniche per lunghi
azioni: fare la doccia, lavarmi i intervalli di tempo. Se la sequenza delle
denti, prepararmi, usare il gabi- azioni viene interrotta, accade che tutto il
netto processo debba essere ripetuto dal princi-
pio.
Ho compulsioni sulla pulizia Es.: pulire eccessivamente, e con accani-
di arredi domestici o di altri mento, rubinetti, gabinetti, pavimenti,
oggetti mensole o utensili di cucina.

Compio altre azioni per preve- Es.: chiedere ai familiari di non maneggia-
nire o eliminare il contatto con re o di buttare via insetticidi, spazzatura,
sostanze contaminanti latte di benzina, carne cruda, colori, verni-
ci, medicinali o lettiera del gatto. Se non si
può evitare il contatto, indossare i guanti,
per esempio quando si fa rifornimento di
benzina ad un distributore automatico.

Compulsioni di controllo
Controllo di non aver fatto del Es.: controllare di non aver ferito involon-
male agli altri tariamente qualcuno. Chiedere rassicura-
zioni agli altri o telefonare per accertarsi
che vada tutto bene.
Fase I – Autovalutazione 53

Controllo di non essermi ferito Es.: cercare segni di ferite o sangue dopo
aver maneggiato oggetti appuntiti o fragili.
Recarsi spesso dal medico per essere rassi-
curato.
Controllo che non sia accaduto Es.: scorrere il giornale o ascoltare la radio
qualcosa di terribile o la televisione, ricercando notizie di una
catastrofe che si è convinti di aver provo-
cato. Chiedere agli altri di essere rassicu-
rati sul dubbio di aver provocato qualche
incidente.
Controllo di non aver commes- Es.: controlli ripetuti di porte, fornelli e prese
so errori elettriche prima di uscire da casa; controlli
ripetuti mentre si legge, si scrive o si com-
piono semplici calcoli, per accertarsi di non
aver commesso errori (non si riesce ad essere
assolutamente sicuri di non averli compiuti).
* Controllo alcuni aspetti della Es.: cercare di essere rassicurati da amici o
mia condizione fisica legati alle da medici che non si avrà un infarto o il
ossessioni relative al mio corpo cancro; misurare ripetutamente il polso, la
(dismorfofobia o ipocondria) pressione o la temperatura; controllare il
proprio odore corporeo; scrutare il proprio
aspetto alla ricerca di lineamenti deformi.
Compulsioni di ripetizione
* Continuo a rileggere o a ri- Es.: impiegare ore a leggere poche pagine
scrivere le cose di un libro o a scrivere una breve lettera,
perché si rimane intrappolati in un circolo
vizioso di letture e riletture; preoccuparsi di
non aver compreso ciò che si è appena letto;
cercare la parola o frase “perfetta”; essere os-
sessionati dalla forma di alcuni caratteri.
Sento il bisogno di ripetere Es.: ripetere azioni come accendere e spe-
azioni abituali gnere apparecchiature, pettinarsi, entrare e
uscire dalla porta o guardare in una dire-
zione particolare; sentirsi a disagio se non
lo si fa un “giusto” numero di volte.

Compulsioni di conteggio
Ho compulsioni di conteggio Es.: contare oggetti come i pannelli del
soffitto o le piastrelle del pavimento, i li-
bri di uno scaffale o addirittura i granelli
di sabbia di una spiaggia; contare mentre si
ripetono alcune azioni come lavarsi.
54 Vincere le ossessioni

Compulsioni di ordine e simmetria


Ho compulsioni riguardanti la Es.: raddrizzare carta e penne sul piano
disposizione o la sistemazione della scrivania o i libri su uno scaffale, pas-
degli oggetti sare ore a disporre gli oggetti di casa in un
determinato “ordine” e poi essere molto
disturbato se questo viene alterato.
Compulsioni di accumulo/raccolta
Ho compulsioni riguardanti Es.: conservare vecchi giornali, appunti,
l’accumulo o la raccolta degli lattine, asciugamani di carta, contenitori e
oggetti bottiglie vuote, per il timore di poterne aver
bisogno un giorno; raccogliere oggetti inuti-
li per strada o dai bidoni della spazzatura.
Compulsioni varie
Ho rituali mentali (diversi dal Es.: compiere rituali mentali come prega-
controllo e dal conteggio) re o pensare che un pensiero “buono” ne
scacci uno cattivo. Queste azioni sono di-
verse dalle ossessioni perché vengono com-
piute di proposito per alleviare l’ansia o per
sentirsi meglio.
Ho bisogno di affermare, do- Es.: chiedere agli altri di essere rassicurati,
mandare o confessare alcune confessando comportamenti inappropriati
cose mai tenuti; pensare di dover dire agli altri
determinate parole per stare meglio.
* Ho bisogno di sfiorare, toc- Es.: cedere all’impulso di sfiorare, toccare
care, picchiettare o sfregare le superfici ruvide, come il legno, o bollenti,
cose come una piastra, o di sfiorare gli altri; cre-
dere di dover toccare un oggetto, per esem-
pio un telefono, per prevenire una malattia
in famiglia.
Prendo misure (diverse dai Es.: stare alla larga da oggetti appuntiti,
controlli) per prevenire danni o come i coltelli o le forbici, e da quelli fragi-
terribili conseguenze per me e li, per esempio il vetro.
per gli altri
Ho comportamenti rituali Es.: riuscire a mangiare solo dopo aver di-
quando mangio sposto il cibo, il coltello e la forchetta in un
determinato ordine; mangiare seguendo
un rituale preciso; non riuscire a mangiare
finché le lancette dell’orologio non indica-
no una certa ora.
Fase I – Autovalutazione 55

Ho comportamenti supersti- Es.: non prendere un autobus o un treno


ziosi se il suo numero contiene una cifra “sfor-
tunata” (come il tredici); restare in casa
il giorno tredici del mese; buttare via gli
indumenti che si sono indossati mentre si
passava davanti a un’agenzia di pompe fu-
nebri o a un cimitero.
* Mi strappo i capelli o i peli Es.: strapparsi i capelli , le sopracciglia, le
(tricotillomania) ciglia o i peli pubici con le dita o con le
pinzette, arrivando a provocarsi intere zone
di calvizie, che rendono necessario l’uso di
una parrucca, o a eliminare totalmente le
ciglia e le sopracciglia.

STABILIRE LA GRAVITÀ DEL DISTURBO


Dopo esservi assicurati di aver segnato le ossessioni che al
momento vi creano maggiore disturbo e le compulsioni che at-
tualmente vi causano le maggiori difficoltà, potete procedere a
compilare il questionario che troverete di seguito, che vi aiuterà a
valutare la gravità dei sintomi. Cercate di ricordare, tra le ossessio-
ni e compulsioni che avete indicato nella lista dei sintomi, quelle
che al momento vi disturbano di più e fate riferimento ad esse per
rispondere alle domande del test.
La Y-BOCS non esaurisce il repertorio delle ossessioni e com-
pulsioni possibili, ma certamente ne individua le categorie princi-
pali. Se non avete trovato elencati i vostri sintomi, ma siete sicuri
che si tratti di ossessioni e compulsioni, annotateli semplicemente
a parte e procedete alla compilazione della seconda parte del que-
stionario facendo riferimento ad essi.
56 Vincere le ossessioni

PENSIERI OSSESSIVI
Considerate gli ultimi sette giorni (compreso oggi) e indicate
una risposta per ogni domanda.

1. Quanta parte del vostro tempo è occupata da pensieri ossessi-


vi? Con quale frequenza si presentano?

0 = Nessuna – Se avete indicato 0 come risposta, indicate 0


anche per le domande 2, 3, 4, 5 e passate alla domanda 6.
1 = Meno di 1 ora al giorno o con intrusioni occasionali (non
più di 8 volte al giorno).
2 = 1-3 ore al giorno o con intrusioni frequenti (più di 8 volte al
giorno ma i pensieri non occupano la maggior parte della giornata).
3 = 4-8 ore al giorno o con intrusioni molto frequenti (più di
8 volte al giorno e i pensieri occupano la maggior parte della
giornata).
4 = Più di 8 ore al giorno o con intrusioni pressoché costanti
(troppe per essere contate e raramente trascorre un’ora senza
che siano presenti molte ossessioni).

2. Quanto interferiscono i pensieri ossessivi nella vostra vita sociale o


lavorativa? (Se attualmente non lavorate, pensate a quanto le osses-
sioni interferiscono con le vostre attività quotidiane. Pensate se c’è
qualcosa che non fate, o che fate meno, a causa delle ossessioni.)

0 = Nessuna interferenza.
1 = Lieve interferenza con le attività sociali o lavorative ma, nel
complesso, nessuna riduzione delle prestazioni.
2 = Chiara interferenza di grado medio con le prestazioni so-
ciali o di lavoro, ma ancora controllabile.
3 = Grave interferenza, che provoca una sostanziale riduzione
delle prestazioni sociali o di lavoro.
4 = Interferenza grave e invalidante.

3. Quanta sofferenza vi provocano i pensieri ossessivi?

0 = Nessuna.
1 = Sofferenza lieve, rara e non troppo fastidiosa.
Fase I – Autovalutazione 57

2 = Sofferenza media, frequente e fastidiosa, ma ancora con-


trollabile.
3= Sofferenza grave, molto frequente, molto fastidiosa.
4 = Sofferenza estrema, pressoché costante e invalidante.

4. Quanto vi sforzate di resistere ai pensieri ossessivi? Con quale


frequenza cercate di non far caso ad essi quando vi invadono la
mente o di distogliere la vostra attenzione? (Non è importante
sapere quanto riusciate a controllare i vostri pensieri, ma solo
quanto o con quale frequenza cercate di farlo.)

0 = Cerco sempre di resistere (oppure le ossessioni sono così


lievi che non c’è bisogno di resistere attivamente ad esse).
1 = Cerco di resistere la maggior parte delle volte (cioè per più
di metà del tempo).
2 = Compio un certo sforzo per resistere.
3 = Lascio che le ossessioni mi invadano la mente senza cercare
di controllarle, tuttavia lo faccio con una certa riluttanza.
4 = Cedo completamente e di buon grado a tutte le ossessioni.

5. Quale grado di controllo esercitate sui vostri pensieri ossessivi?


Quanto riuscite ad interrompere o a deviare in altre direzioni
i vostri pensieri ossessivi? (Se cercate di resistere raramente,
pensate alle rare occasioni in cui avete realmente tentato di
arrestare le ossessioni.)
NOTA: non prendete in considerazione quelle ossessioni che
vengono interrotte compiendo compulsioni.

0 = Controllo completo.
1 = Notevole controllo; di solito con un po’ di sforzo e una
certa concentrazione riesco a interrompere o a deviare le os-
sessioni.
2 = Controllo medio; talvolta riesco ad interrompere o a de-
viare le ossessioni.
3 = Scarso controllo; raramente riesco ad arrestare le ossessioni
e posso distogliere l’attenzione solo con grande difficoltà.
4 = Nessun controllo; raramente riesco ad ignorare, anche solo
momentaneamente, le mie ossessioni.
58 Vincere le ossessioni

COMPULSIONI
Considerate gli ultimi sette giorni (compreso oggi) e indicate
una sola risposta per ogni domanda.

6. Quanto tempo trascorrete eseguendo azioni compulsive? Con


quale frequenza mettete in atto compulsioni? (Se i vostri ritua-
li riguardano attività della vita quotidiana, considerate quanto
tempo in più vi occorre per compiere le vostre attività abituali
a causa dei rituali.)

0 = Nessuno. Se avete indicato 0 come risposta, indicate 0


anche per le domande 7, 8, 9 e 10.
1 = Meno di 1 ora al giorno viene impiegata nella messa in
atto di compulsioni o nell’esecuzione occasionale di compor-
tamenti compulsivi.
2 = 1-3 ore al giorno vengono impiegate nella messa in atto di
compulsioni o nell’esecuzione frequente di azioni compulsive.
3 = Più di 3 e fino a 8 ore al giorno vengono impiegate nella
messa in atto di compulsioni o nell’esecuzione molto frequen-
te di azioni compulsive (più di 8 volte al giorno per la maggior
parte del tempo).
4 = Più di 8 ore al giorno vengono impiegate nella messa in
atto di compulsioni o nell’esecuzione pressoché costante di
azioni compulsive (troppe per essere contate e raramente passa
un’ora senza che vengano eseguite varie azioni compulsive).

7. Quanto interferiscono i comportamenti compulsivi con la vo-


stra vita sociale o professionale? (Se attualmente non lavorate,
pensate alle vostre attività quotidiane.)

0 = Nessuna interferenza.
1 = Lieve interferenza con attività sociali o di lavoro, tuttavia
nel complesso le prestazioni non sono compromesse.
2 = Chiara interferenza di media gravità con le prestazioni so-
ciali o di lavoro, ma ancora controllabile.
3 = Grave interferenza, compromissione sostanziale delle pre-
stazioni sociali o di lavoro.
4 = Interferenza grave ed invalidante.
Fase I – Autovalutazione 59

8. Come vi sentireste se vi impedissero di compiere una o più


azioni compulsive? Quale sarebbe il vostro grado di ansia?

0 = Nessuna ansia.
1 = Ansia solo lieve.
2 = L’ansia aumenterebbe ma sarebbe ancora controllabile.
3 = Aumento notevole e molto fastidioso dell’ansia.
4 = Ansia estrema e invalidante in seguito a qualsiasi interven-
to mirante a ridurre le compulsioni.

9. Quanto vi sforzate di resistere alle compulsioni, o con quale


frequenza cercate di interromperle? (Calcolate solo con quale
frequenza o con quale intensità cercate di resistere alle vostre
compulsioni, non quanto ci riuscite realmente.)

0 = Cerco sempre di resistere (o i sintomi sono così lievi che


non c’è bisogno di resistere attivamente).
1 = Cerco di resistere il più delle volte (cioè per più di metà
del tempo).
2 = Compio un certo sforzo per resistere.
3 = Cedo a quasi tutte le compulsioni senza tentare di control-
larle, ma lo faccio con una certa riluttanza.
4 = Cedo completamente e di buon grado a tutte le compulsioni.

10. Quale controllo esercitate sul vostro comportamento compul-


sivo? Quanto riuscite ad interrompere il rituale (o i rituali)? (Se
cercate di resistere raramente, pensate a quelle rare occasioni in
cui avete cercato veramente di interrompere le compulsioni.)

0 = Esercito un controllo completo.


1 = Di solito, con un po’ di fatica e di buona volontà, riesco ad
interrompere le compulsioni o i rituali.
2 = A volte riesco ad interrompere il comportamento compul-
sivo, ma solo con difficoltà.
3 = Riesco solo a ritardare il comportamento compulsivo, ma
alla fine devo portarlo a termine.
4 = Raramente riesco, anche solo momentaneamente, a ritar-
dare l’esecuzione di un comportamento compulsivo.
60 Vincere le ossessioni

A questo punto calcolate il punteggio ottenuto. Sommate i


numeri riportati a fianco delle risposte prescelte (da 0 a 4) per le
domande che vanno dalla 1 alla 5, ottenendo il punteggio totale
per le ossessioni. Ripetete l’operazione sommando i numeri ri-
portati a fianco delle risposte prescelte (da 0 a 4) per le domande
che vanno dalla 6 alla 10, ottenendo il punteggio totale per le
compulsioni. Infine sommate il totale delle ossessioni al totale
delle compulsioni, per ottenere il totale generale.
Se avete ottenuto 0 o un punteggio molto basso nella scala del-
le compulsioni, ma un punteggio significativo (maggiore di 10)
in quella delle ossessioni, soffrite probabilmente di un disturbo
ossessivo puro, che richiede quasi necessariamente l’intervento di
uno psicoterapeuta.

Se non soffrite di ossessioni pure, fate riferimento a questa


tabella per orientarvi:

punteggio totale Gravità del disturbo consigli


Y-bocs
Meno di 10 Sintomi molto lievi Dovreste riuscire a controllare
i sintomi con il solo program-
ma di auto-aiuto
Da 10 a 15 Sintomi lievi È possibile, con un buon im-
pegno, che riusciate a risolvere
il vostro problema con il solo
programma di auto-aiuto
Da 16 a 25 Sintomi medio-gravi Il programma di auto-aiuto
può esservi utile, ma sarebbe
raccomandabile un intervento
professionale
Più di 25 Sintomi gravi È necessario un intervento
psicoterapeutico e/o farmaco-
logico
Fase I – Autovalutazione 61

VALUTARE IL LIVELLO DI CONVINZIONE


A questo punto, è importante valutare quanto siete convinti
che le vostre ossessioni e compulsioni siano fondate e ragionevoli,
piuttosto che eccessive e insensate.
Ponetevi per un attimo queste domande:
• pensate che le vostre ossessioni o compulsioni siano ragione-
voli o razionali?
• resistendo ad esse, ci sarebbe qualcosa di cui preoccuparsi, a
parte l’ansia che ne deriverebbe?
• pensate che succederebbe davvero qualcosa?

Adesso valutate francamente il vostro grado di convinzione


scegliendo una delle opzioni sottostanti:

0 = Penso che le mie ossessioni o compulsioni siano irragione-


voli o eccessive.
1 = Penso che le mie ossessioni o compulsioni siano irragio-
nevoli o eccessive, ma non sono del tutto convinto che siano
inutili.
2= Penso che le mie ossessioni o compulsioni possano essere
irragionevoli o eccessive.
3= Non penso che le mie ossessioni o compulsioni siano irra-
gionevoli o eccessive.
4 = Sono sicuro che le mie ossessioni o compulsioni siano ragio-
nevoli, indipendentemente da ciò che può dire chiunque altro.

Se avete risposto 3 o 4, è difficile che riusciate a portare avanti


un programma cognitivo-comportamentale, soprattutto da soli.
È necessario che vi rivolgiate a un bravo psicoterapeuta e proba-
bilmente anche a uno psichiatra che possa prescrivervi dei farmaci
adeguati. Di per sé è difficile liberarsi dalla schiavitù delle com-
pulsioni, anche se le si ritengono degli atti assurdi e realistica-
mente eccessivi, per quanto indispensabili a farci stare tranquilli e
a liberarci temporaneamente dalle ossessioni. Se poi ritenete che
esse siano effettivamente utili a proteggervi da reali sciagure, è
improbabile che siate motivati ad abbandonarle.
8
fase ii – educazione
sul disturbo

PREOCCUPAZIONI NORMALI E PENSIERI OSSESSIVI:


COSA LI DIFFERENZIA?
Fino a pochi anni fa era diffusa la convinzione che le preoc-
cupazioni delle persone affette da disturbo ossessivo-compulsivo
fossero del tutto peculiari e bizzarre e che le persone “normali”
non avessero mai simili pensieri. Si riteneva, quindi, che il pro-
blema specifico del DOC consistesse nella qualità dei pensieri e
nella loro assurdità, al punto che spesso coloro che soffrivano di
questo disturbo erano considerati degli indemoniati e venivano
sottoposti all’intervento degli esorcisti.
Alla fine degli Anni Settanta, però, grazie al contributo dei già
citati Rachman e De Silva, fu scoperto che praticamente tutti i
pensieri che ossessionano chi soffre di DOC, per quanto siano
spesso irrazionali e insensati, passano, occasionalmente, per la te-
sta di tutte le persone.
A molti è capitato, prima o poi, di pensare, tanto per fare al-
cuni esempi, di poter essere omosessuale, di poter far del male a
qualche persona cara, di contaminarsi venendo a contatto con
certi oggetti o certi cibi, di pungersi con aghi usati senza accor-
gersene o di poter essere causa di qualche sciagura per la propria
disattenzione, pur avendo piena consapevolezza dell’infondatezza
di queste preoccupazioni.
64 Vincere le ossessioni

D’altra parte, il nostro organismo è programmato in modo


tale che le reazioni emotive che abbiamo quando immaginiamo
eventi negativi siano molto simili a quelle che provocano in noi gli
eventi reali. Per questo motivo, se vediamo un film dell’orrore ben
fatto proviamo paura, pur essendo razionalmente consapevoli che
si tratta di un film, che il sangue è solo succo di pomodoro e che
il morto sta solo fingendo. Lo stesso accade quando, attendendo
un parente che tarda a rincasare, ci creiamo il nostro film inter-
no in cui lo vediamo già steso in un letto di ospedale, in seguito
a un incidente d’auto. Questo pensiero non può che provocarci
ansia, come quando percepiamo realmente un pericolo. Se invece
pensassimo che sta tardando perché si è fermato a chiacchierare
con gli amici, al massimo potremmo provare rabbia perché non
rispetta gli altri che lo aspettano e pensa solo agli affari suoi.
Prefigurarsi eventi negativi, per quanto improbabili, e provare
ansia nel momento in cui li immaginiamo è quindi un fatto asso-
lutamente normale e molto diffuso.
Qual è allora la differenza tra un’inverosimile ed eccessiva, ma
normale preoccupazione negativa e un pensiero ossessivo? Non
certo nella sua natura, ma nella frequenza con cui essa si ripresen-
ta alla mente della persona.
Per quale motivo allora, vi chiederete, certe persone si preoc-
cupano senza motivo una volta ogni tanto, mentre altre vengono
ossessionate da tali idee angosciose?
La risposta è più semplice di quanto possiate immaginare, ma
richiede qualche ulteriore chiarimento.
Immaginate di essere al ristorante, in attesa di una tanto sospi-
rata bistecca. Mentre conversate con gli amici, magari condizionati
da una notizia che avete appreso qualche giorno prima, vi viene in
mente che il cuoco potrebbe mettere, per distrazione, del detersivo al
posto del sale, o potrebbe usare degli ingredienti scaduti, oppure po-
trebbe non lavare bene l’insalata che avete ordinato come contorno.
Naturalmente, questo pensiero vi farà sentire in pericolo e
provare ansia.
A questo punto ci sono due possibilità. Se riuscite a tollerare
il pensiero e l’ansia che esso vi genera, allora potete ignorarlo e
Fase II – Educazione sul disturbo 65

decidere di assumervi questo rischio, per quanto minimo, facen-


do esattamente quello che avreste fatto se quel pensiero non fosse
mai affiorato: mangiare la bistecca e l’insalata, indipendentemen-
te dal disagio che provate. Altrimenti, potete farvi condizionare
dal pensiero e, per essere totalmente certi che non si avveri ciò che
avete pensato, non mangiare niente di quello che vi viene servito.
In questo caso, il disagio sparisce, perché azzerate il rischio, ma si
verificano una serie di inevitabili conseguenze negative.
Immaginate, adesso, di essere alla guida della vostra automobi-
le, mentre procedete ad andatura sostenuta, avendo a fianco una
persona molto cara. All’improvviso si fa strada nella vostra mente
un pensiero: potreste scivolare su un’imprevista macchia d’olio,
perdere il controllo del mezzo e andare a sbattere contro il pri-
mo albero. A poco a poco il pensiero si arricchisce di particolari:
vedete il sangue, la persona accanto a voi scaraventata sul para-
brezza, forse morta, forse gravemente ferita. Nella vostra mente
prende forma uno spaventoso scenario immaginario che non può
far altro che mettervi ansia.
Ancora una volta avete due possibilità: potete ignorare il pen-
siero, tollerando il rischio di poter fare un incidente con simili
conseguenze, e continuare a guidare come se non vi avesse mai
sfiorato la mente, oppure potete non tollerare l’idea e cercare, in
qualche modo, di scongiurare il pericolo percepito, ad esempio
riducendo drasticamente la velocità.
In entrambi questi casi è evidente come quello che determina
la scelta fra le due opportunità sia la capacità o meno della per-
sona di tollerare l’improvvisa, ma normale preoccupazione e il
disagio ad essa connesso.
Se per qualsiasi motivo tale pensiero risulta intollerabile e vie-
ne visto come indicatore di un pericolo da scongiurare ad ogni
costo, ne deriverà certamente una reazione volta a rassicurarsi.
Ed è proprio questo meccanismo che trasforma la normale preoc-
cupazione negativa in un pensiero ossessivo, che tende a tornare
ripetutamente e a provocare un’ansia sempre maggiore.
Possiamo dunque concludere, tornando agli esempi pratici, che
se riusciamo a ignorare il pensiero che i cibi che stiamo per man-
66 Vincere le ossessioni

giare siano contaminati, considerandolo fin dall’inizio una preoc-


cupazione probabilmente infondata, se siamo capaci di accettare il
rischio, comunque esistente anche se minimo, che ciò che abbiamo
immaginato possa essere vero, il pensiero, dopo poco, passerà. Se ne
andrà, come qualunque altro pensiero; ma soprattutto non tornerà,
puntuale, ogni volta che ci sediamo in un ristorante. Allo stesso
modo, se continuiamo a guidare come se non avessimo pensato al
possibile incidente, riuscendo a tollerare il momentaneo inevitabile
disagio, la nostra preoccupazione sarà presto sostituita da altri pen-
sieri e non tornerà ogni volta che ci metteremo alla guida.
Se, viceversa, ci lasceremo condizionare da queste preoccupa-
zioni, agendo di conseguenza per tranquillizzarci, metteremo in
atto una serie di meccanismi per cui, in ogni situazione simile, si
presenterà la stessa preoccupazione e sentiremo un impulso anco-
ra più forte a trovare un modo per tranquillizzarci.

LIBERARSI DALLA TRAPPOLA DELLE COMPULSIONI


Ma perché il fatto di non tollerare la rappresentazione mentale
del rischio e il conseguente tentativo di fare qualcosa di pratico
per scongiurarlo, azzerando momentaneamente l’ansia, fortifica il
meccanismo che ci riporta alla coscienza i rischi (ossessione) e ci
rende sempre più dipendenti da qualche comportamento rassicu-
rante (compulsione o richiesta di rassicurazione)?
Per capirlo dobbiamo rifarci alle teorie più accreditate per la
spiegazione della genesi e del mantenimento del DOC, quelle di
derivazione comportamentista, arricchite dai contributi cogniti-
visti.
Immaginate di prendere un topolino e metterlo in una gab-
bietta in cui possa liberamente scorrazzare e che abbia, al suo
margine, una piccola leva, premendo la quale viene fatto cadere
del cibo.
Il topolino, inizialmente, si muoverà a caso nella gabbia. Pri-
ma o poi premerà per sbaglio la leva e otterrà il cibo. Il compor-
tamento casuale di premere la leva verrà quindi premiato o, come
si dice in termine tecnico, “rinforzato” dall’erogazione del cibo,
estremamente piacevole per il topolino.
Fase II – Educazione sul disturbo 67

Questo genererà in lui un apprendimento. Il topo imparerà,


soprattutto se la sequenza viene ripetuta più volte, che il compor-
tamento di premere la leva è associato a una conseguenza piace-
vole e gratificante, tanto che, entrando in una gabbia a lui sco-
nosciuta, sarà in grado di correre a premere la leva, anche se essa
cambiasse di posizione.
Questo basilare principio di apprendimento (detto condizio-
namento operante) è valido per gli animali quanto per gli esseri
umani. Ogni comportamento che viene seguito da una gratifica-
zione tende ad essere appreso e automatizzato. In questo modo
impariamo gran parte dei nostri comportamenti. Il bambino im-
para a parlare perché, quando dal suo eloquio confuso e incom-
prensibile emerge una parola che assomiglia alla parola “mamma”
o a qualche altra parola comprensibile, la mamma stessa, e proba-
bilmente tutti i presenti, lo “rinforzano” enormemente, rivolgen-
dogli l’attenzione, battendogli le mani, sorridendogli. In questo
modo è più probabile che il bambino ripeta la suddetta parola,
e man mano tutte le altre, fino al completo apprendimento del
linguaggio.
È altrettanto importante, però, tener presente che non è gra-
tificante soltanto ciò che è piacevole, ma che probabilmente lo è
ancora di più la cessazione di qualcosa di spiacevole; è quello che
in gergo tecnico si chiama “rinforzo negativo”.
Prendete il vostro solito topolino e mettetelo nella solita gab-
bietta, ma stavolta con il pavimento elettrificato, tanto che l’ani-
maletto sia costantemente disturbato da una spiacevole scossa
elettrica. Se la pressione della leva fa cessare per un minuto la
scossa elettrica, il sollievo sarà talmente grande che il topolino
imparerà, ancora prima che con il cibo, a tenere costantemente
premuta la leva.
Quello che potreste verificare è che il topo continuerebbe a
premere la leva, a scopo “preventivo”, anche se voi disattivaste
il meccanismo che genera la scossa elettrica. È vero che teori-
camente il gesto del topo sarebbe ormai inutile, ma trattandosi
di un comportamento appreso e automatizzato continuerebbe a
ripeterlo a lungo.
68 Vincere le ossessioni

A questo punto, probabilmente, avrete intuito quale sia il col-


legamento con il comportamento compulsivo. La compulsione
(anche mentale, come contare, pensare numeri fortunati, imma-
ginare scene positive, ecc.) è un mezzo inizialmente alquanto effi-
cace per ridurre l’ansia connessa a un pensiero negativo. Il sollievo
che ne deriva, però, costituisce un potente “rinforzo”, che rende
il comportamento sempre più automatico e indispensabile, gene-
rando un involontario processo di apprendimento.
Le richieste di rassicurazione che chi soffre di DOC rivolge ai
familiari e agli amici, riguardo alle proprie preoccupazioni, hanno
l’identica funzione di una compulsione: tranquillizzano momen-
taneamente, alimentando un infinito circolo vizioso.
Questi esempi sono utili per comprendere il principio fon-
damentale che è alla base di tutto l’intervento comportamentale
sul DOC: ogni volta che decidiamo di lasciarci condizionare da
un pensiero negativo e optiamo per una di quelle soluzioni che
mirano ad allontanare l’ansia, mettendo in atto una compulsio-
ne, mentale o materiale che sia, o chiedendo rassicurazione, at-
tiviamo involontariamente questo processo di automatizzazione.
Rendiamo più probabile che, trovandoci nuovamente in preda a
una simile preoccupazione, la prima soluzione a cui penseremo
sia quella che ha apparentemente funzionato: la compulsione o la
richiesta di rassicurazione.
Tale processo, ripetuto continuamente, fa sì che questi com-
portamenti diventino gesti totalmente automatici, da compiere
in certe situazioni per evitare di essere presi dall’ansia, finché di-
ventano talmente meccanici da ripresentarsi anche in assenza di
un vero e proprio pensiero ossessivo.
Inoltre, come in ogni apprendimento, si ha un effetto di gene-
ralizzazione per cui, esattamente come il topolino impara a pre-
mere la leva anche in gabbie sempre più diverse dall’originale,
così la persona sente l’impulso a compiere certi cerimoniali in
seguito a stimoli sempre più lontani da quello che ha dato inizio
al meccanismo.
Ciò significa, tradotto in pratica, che le situazioni che innesca-
no la comparsa del pensiero ossessivo e la spinta al comportamen-
Fase II – Educazione sul disturbo 69

to compulsivo diventano, cedendovi ogni volta e continuando


ad alimentare involontariamente il processo, sempre più svariate
e distanti dallo stimolo originario. Se, ad esempio, il timore di
contaminazione con una sostanza tossica insorge inizialmente
toccando una scatola di veleno per topi, pian piano si estenderà a
qualunque scatola che possa assomigliarle o che possa esserle stata
vicino sugli scaffali del supermercato, fino a coinvolgere qualun-
que granello di polvere biancastra. Si crea la cosiddetta catena
di contaminazione, pressoché infinita, per cui teoricamente tutto
può essere “contaminante”, perché non siamo in grado di esclu-
dere con certezza che non sia stato toccato da qualcuno che, senza
lavarsi le mani, è entrato in contatto con qualcos’altro o qualcun
altro, a sua volta “contaminato”.
Quello che si nota, con l’aggravarsi del disturbo, non è tanto
una differenza qualitativa nel tipo di preoccupazioni, ma, piutto-
sto, un aumento della frequenza dei pensieri, che, a un certo pun-
to, vengono innescati da qualunque stimolo; si verifica, inoltre,
una diminuzione graduale dell’efficacia delle procedure di rassi-
curazione, che devono essere sempre aumentate.
In pratica, c’è una sorta di assuefazione alle compulsioni, così
come alle richieste di rassicurazione, per cui il loro effetto tran-
quillizzante è sempre minore e dura sempre meno a lungo.
Occorre poi sottolineare alcuni effetti delle compulsioni di na-
tura cognitiva.
Innanzitutto, se ogni volta che pensiamo a un evento nega-
tivo ricorriamo alla compulsione per scongiurare il rischio che
possa avverarsi, non sapremo mai se esso non si è avverato grazie
al nostro comportamento o se non si sarebbe mai verificato co-
munque. La ripetizione del comportamento compulsivo, quindi,
impedisce a chi lo mette in atto di rendersi conto che la preoccu-
pazione è soltanto una preoccupazione, non necessariamente cor-
rispondente alla reale probabilità che certi eventi negativi possano
verificarsi. Senza accorgersene, quindi, la persona attribuisce alla
compulsione un’importanza fondamentale, facendole assumere il
ruolo di “protettore autorevole” e dando sempre più dignità di
pericolo reale al pensiero negativo, finché matura la convinzione
70 Vincere le ossessioni

che se essa non venisse più messa in atto, certamente accadrebbero


tutte le cose terribili che immagina. Si verifica lo stesso processo
che spinge il topo a tener premuta la leva, nonostante la pressione
non sia assolutamente necessaria a prevenire la scossa elettrica; si
assume lo stesso atteggiamento del paziente dello psichiatra, che
continuava a battere le mani per scacciare gli elefanti. A poco a
poco cresce l’idea che il comportamento compulsivo sia in grado
di prevenire future catastrofi e che la presenza dei pensieri indichi
un reale pericolo di disastri da prevenire.
Inoltre, anche nel caso in cui le preoccupazioni abbiano un
loro fondamento, e spesso è così, abbiamo chiarito come nor-
malmente le persone sappiano conviverci, prendendosi la respon-
sabilità di rischiare. La messa in atto della compulsione, invece,
“deresponsabilizza” completamente il paziente, poiché lo mette
nella condizione di aver fatto tutto il possibile per azzerare il ri-
schio, assicurandosi, in tal modo, di non sperimentare sentimenti
di colpa nel caso in cui ciò che ha pensato dovesse verificarsi.
Questo processo ha tuttavia l’effetto collaterale inevitabile di ren-
dere questa persona sempre meno capace di tollerare i rischi che
si rappresenta e di decidere di rinunciare alla messa in atto delle
strategie compulsive.

Penso sia chiaro, a questo punto, il motivo per cui, ai fini del
trattamento, sarà necessario un notevole impegno da parte vo-
stra per interrompere gradualmente qualunque forma di rituale
o richiesta di rassicurazione mettiate in atto abitualmente, impa-
rando a gestire in altro modo la momentanea ansia connessa ai
pensieri ossessivi. La graduale sospensione volontaria dei rituali si
chiama, in termini tecnici, “prevenzione della risposta” e, come
vedrete, sarà elemento fondamentale del programma di auto-aiu-
to che andrete ad affrontare.

EVITARE DI EVITARE
Oltre alle compulsioni e alle richieste di rassicurazione, che
caratterizzano gran parte delle persone affette da DOC, c’è un
altro fenomeno che contribuisce ad alimentare il circolo vizioso
Fase II – Educazione sul disturbo 71

e a mantenere il disturbo: il già citato evitamento, praticamente


sempre presente.
Le compulsioni sono talvolta estenuanti, sfibranti, distruttive
ed è quindi comprensibile che chi soffre di DOC tenda a evitare
tutto ciò che innesca le ossessioni e costringe, di conseguenza,
ad impegnarsi in simili comportamenti. Nel caso delle ossessioni
pure, l’evitamento è addirittura il meccanismo principale: se io
ho paura di essere contaminato, infatti, posso lavarmi per otte-
nere un immediato sollievo dalla paura, ma se temo di essere un
potenziale pedofilo, per contrastare i miei timori non posso fare
altro che tenermi alla larga da stimoli pericolosi, convincendomi
sempre più che l’unico motivo per cui non ho commesso atti di
pedofilia è che non avevo a disposizione un bambino piacente.
L’evitamento delle situazioni ansiogene ottiene però lo stesso ef-
fetto negativo delle compulsioni e delle richieste di rassicurazione.
Innanzitutto, produce un sollievo dall’ansia e quindi viene
appreso ed automatizzato secondo il principio, già illustrato, del
“rinforzo negativo”; inoltre, al pari delle compulsioni, non con-
sente mai di rendersi conto che le preoccupazioni ossessive sono
spesso eccessive, perché assume anch’esso il ruolo di “protettore”:
se non accade niente di quello che temo è grazie al fatto che evi-
to certe situazioni pericolose. Infine, non consente alla persona
di imparare a prendersi la responsabilità di rischiare che i propri
pensieri si avverino.
Non esporsi mai alle situazioni che innescano le proprie paure
rende sempre più difficile tollerarle ed evitare di mettere in atto
la compulsione, padroneggiando l’ansia in modo diverso. Più a
lungo evitiamo una situazione e tanto maggiore sarà l’ansia che
proveremo quando saremo costretti a farvi fronte… e prima o
poi capiterà! Non possiamo evitare tutto e, a causa dell’effetto di
generalizzazione già descritto, man mano che il disturbo dilaga
aumentano anche gli stimoli che innescano le ossessioni.
Infine, si verifica il cosiddetto effetto feed-back: vedendo noi
stessi evitare una data situazione, ci convinciamo sempre più circa
la sua pericolosità. Se io evito, vuol dire che la situazione è vera-
mente pericolosa!
72 Vincere le ossessioni

La prima regola per il trattamento di qualunque disturbo


d’ansia è “evitare di evitare”. Questo principio è alla base degli
esercizi di “esposizione graduata” che, associati alla “prevenzione
della risposta”, costituiscono, attualmente, le tecniche più efficaci
per sconfiggere il DOC. Esse aiutano chi soffre di questo disturbo
a smettere di alimentarlo giorno dopo giorno e a svincolarsi dai
tremendi circoli viziosi in cui si è involontariamente caduti.

RIDURRE IL TENTATIVO DI CONTROLLO DEI PENSIERI


Abbiamo già chiarito come le preoccupazioni negative, le im-
magini e gli impulsi, anche irrazionali e insensati, siano un feno-
meno normale che attraversa il flusso di coscienza di ognuno di
noi.
Solitamente, dato che chi soffre di DOC non è in grado di
tollerare il pensiero che possano accadere certe cose, soprattutto
per colpa sua, ed è molto angosciato dai pensieri ossessivi, cerca
di evitarli, scacciandoli.
D’altra parte, è psicologicamente impossibile decidere che
qualcosa non debba venirci in mente. È vero che noi abbiamo
un parziale controllo dei nostri pensieri, ma soltanto a posterio-
ri. Non possiamo impedire che qualcosa ci salti in mente, ma al
limite possiamo decidere di smettere di pensarci, concentrandoci
su qualcos’altro.
Nel leggere queste pagine, sicuramente vi saranno venute in
mente un sacco di cose che non hanno niente a che vedere con
il contenuto del libro. Se siete veramente interessati alla lettura,
avrete deciso di ignorare tali pensieri e continuare a concentrar-
vi su ciò che state leggendo o, se si trattava di cose importanti,
ne avrete preso nota mentalmente o su carta, per affrontarle più
tardi.
Questo è il massimo che il nostro sistema cognitivo può fare.
Ecco perché i “non ci devo pensare” non funzionano, anzi otten-
gono l’effetto contrario.
Se infatti, per qualsiasi motivo, certi pensieri sono intollerabili
e ci sforziamo di non averli, involontariamente li richiamiamo
di continuo alla nostra mente. Credo che nessuno di voi pensi
Fase II – Educazione sul disturbo 73

abitualmente a un orso bianco, ma se per i prossimi dieci minuti


provaste a imporvi di non pensare a un orso bianco, certamente
non fareste altro che pensarci.
Il nostro cervello è uno: se pensiamo che non dobbiamo pen-
sare a qualcosa, ci stiamo già pensando!
Chi soffre di DOC rimane spesso intrappolato in questo mecca-
nismo e, non volendo assolutamente avere certi pensieri, che ritiene
erroneamente anormali, sconvenienti, pericolosi, porta sfortuna o
malauguranti, intraprende una battaglia persa in partenza.
Smettere di lottare contro i pensieri ossessivi e accettarli, tol-
lerando la “coscienza del rischio”, come vedremo nel prossimo
paragrafo, è un altro dei passi fondamentali per far sì che la loro
frequenza diminuisca.

AUMENTARE LA TOLLERANZA
DELLA COSCIENZA DEL RISCHIO
È importante rendersi conto che c’è una certa percentuale di
rischio che si verifichino delle situazioni spiacevoli: può accadere
che noi o i nostri cari abbiamo un incidente, che mangiamo dei
cibi avariati, che ci dimentichiamo porte aperte o fornelli accesi,
provocando dei danni a noi o ad altri, ecc. Ma è altrettanto essen-
ziale capire che tale percentuale non si modifica nel momento in
cui noi ne prendiamo coscienza. La nostra vita è tutta un rischio.
Niente di quello che facciamo è esente da rischi, considerevoli
o meno; ma, fortunatamente, non abbiamo sempre in mente i
rischi che stiamo correndo. Viviamo in una sorta di stato di cer-
tezza soggettiva, pur vivendo nell’incertezza. Per poterci muovere
nel nostro ambiente e non rimanere bloccati, abbiamo bisogno di
conservare un sano margine di “incoscienza”.
Nonostante questo, però, ogni tanto certi stimoli esterni o in-
terni ci ricordano uno dei tanti rischi che stiamo correndo, obbli-
gandoci a prenderne momentaneamente coscienza.
Chi soffre di DOC, purtroppo, non sopporta determinate ca-
tegorie di pensieri minacciosi, alcune normali preoccupazioni, la
presa di coscienza di certi rischi anche infinitesimali, pur tolleran-
done senza problemi mille altri, anche di maggiore entità.
74 Vincere le ossessioni

Non è ben chiaro quale sia il criterio per cui alcuni rischi spe-
cifici siano più intollerabili di altri, ma ciò sembra legato a fattori
individuali di tipo cognitivo, probabilmente influenzati dall’edu-
cazione ricevuta, come vedremo nei prossimi paragrafi.
In ogni caso, l’intervento terapeutico non è orientato a fornire
strumenti per tranquillizzarsi in modo più efficace, per non avere
più paure, per azzerare i rischi, ma si pone l’obiettivo di inse-
gnare a convivere con la consapevolezza che stiamo correndo un
rischio, che il contenuto delle preoccupazioni negative potrebbe
teoricamente anche avverarsi, senza che il nostro intervento possa
in alcun modo condizionare gli eventi. Ancora una volta, si tratta
di imparare ad accettare le ossessioni al pari di qualunque altro
pensiero spiacevole, a non tentare in ogni modo di non pensare
a certe cose, ma aspettare semplicemente che la preoccupazione
passi… e passerà!

RIDURRE IL SENSO DI RESPONSABILITÀ E


IL TIMORE DI ESSERE COLPEVOLI
È vero, però, che per chi soffre di DOC lo sforzo di non evita-
re le situazioni che innescano i pensieri ossessivi, di non tentare di
respingerli quando si presentano, di prendere coscienza dei rischi
e impegnarsi a non mettere in atto le compulsioni, richiede un
impegno di gran lunga maggiore rispetto alle persone “normali”,
poiché l’ansia da tollerare è molto più intensa.
Per spiegare questo fenomeno e per cercare di contrastarlo, oc-
corre rifarsi alle già citate teorie cognitive e introdurre i due con-
cetti principali individuati dagli studiosi: il senso di responsabilità
e l’eccessiva importanza attribuita ai pensieri (che affronteremo
nel prossimo paragrafo).
Immaginate di avere in mano un revolver vecchio stile. Ac-
cettereste, per centomila euro a colpo, di sparare alla nuca della
persona a voi più cara, sapendo che nel tamburo vi è un solo
proiettile su sei colpi? Penso proprio di no! E sono sicuro che la
risposta sarebbe “no” qualunque fosse la cifra in palio.
Prendete adesso in considerazione la stessa proposta, imma-
ginando di avere un revolver (ammesso, per assurdo, che possa
Fase II – Educazione sul disturbo 75

esistere!) con un tamburo da 1000 colpi di cui, ancora una volta,


soltanto uno è carico. Accettereste di sparare? Spero per voi di no,
perché quasi nessuno lo farebbe, a meno che la persona prescelta,
in realtà, non sia poi tanto cara!
È chiaro che se la posta in palio è così alta, come nel caso
della nostra o altrui vita, chiunque diventa iper-scrupoloso e
non è disposto a tollerare neanche la minima percentuale di
rischio.
Ma ciò che genera ansia in quanti soffrono di disturbi osses-
sivo-compulsivi, di solito, non è così grave ed ha un margine di
rischio di avverarsi molto minore, tanto che le compulsioni, le
richieste di rassicurazione e i tentativi di controllare i pensieri ap-
paiono insensati e decisamente eccessivi.
Il problema è che essi non appaiono insensati ed eccessivi a chi
soffre di questo disturbo, perché la posta in gioco generalmente
non è il danno coscientemente temuto, ma l’imperdonabile colpa
di aver procurato l’eventuale danno.
È stato ampiamente dimostrato, infatti, come molte persone
affette da DOC, in particolare quelle che temono le conseguen-
ze del proprio comportamento sugli altri, abbiano un esagerato
senso di responsabilità, al punto che anche una loro minima in-
fluenza su un risultato equivale, per queste persone, alla totale
responsabilità del risultato stesso.
Per chi soffre di DOC, quindi, l’evento temuto, ovvero quel-
lo che caratterizza l’ossessione, potrebbe essere tranquillamente
tollerabile se non dipendesse in alcun modo da un suo compor-
tamento. Ma quando esiste anche una minima influenza, quan-
do l’ipotetico disastro potrebbe dipendere da qualche sua azione
intenzionale o dal fatto di non aver compiuto determinate azioni
preventive, si sente investito di una tale responsabilità, che, nel
caso in cui il disastro si avverasse, la sua colpa, umiliazione e in-
degnità sarebbero intollerabili.
Spesso il fatto stesso di aver in mente che potrebbe accadere
una cosa spiacevole e non fare niente per evitarla significa, per chi
è affetto da DOC, esserne colpevoli nel caso in cui si verificasse:
è come volerla causare intenzionalmente. Ecco perché anche la
76 Vincere le ossessioni

presa di coscienza di certi rischi risulta intollerabile; ecco perché


la persona si consuma in compulsioni infinite, cercando a tutti i
costi la sicurezza che non accada quello che ha pensato; ecco per-
ché cerca in ogni modo di non pensarci, evitando ciò che glielo
ricorda e cercando di respingere il pensiero ossessivo, con i disa-
strosi risultati che già conosciamo.
Le persone affette da DOC vogliono essere sicure di non assu-
mersi alcuna responsabilità di possibili esiti negativi degli eventi
o, almeno, di aver fatto tutto quanto è nelle loro possibilità per
scongiurarli, in modo che possano sentirsi la coscienza a posto e
non rischiare di doversi considerare a vita degli esseri spregevoli,
indegni o “irresponsabili”.
D’altra parte, però, ogni volta che facciamo qualcosa, o anche
quando scegliamo semplicemente di non fare niente, corriamo
dei rischi per noi e per gli altri. Nel momento in cui guidiamo la
macchina con nostro figlio accanto e andiamo di fretta per non
farlo arrivare tardi a scuola, stiamo correndo dei rischi anche per
lui; nel momento in cui scrivo questo libro e vi do alcune indica-
zioni, sto correndo il rischio di non essere sufficientemente chiaro
e che voi, seguendomi alla lettera, facciate qualcosa che vi fa stare
peggio, anziché meglio. Me ne assumo la piena responsabilità!
D’altra parte, pensate che sarebbe meno dannoso non portare
mai vostro figlio a scuola in orario, per non correre rischi? O forse
credete che non avrei dovuto scrivere questo libro per essere sicu-
ro di non danneggiare nessuno?
Non è questa la sede, né può essere scopo di un libro di auto-aiu-
to, intervenire sul vostro senso di responsabilità e sul vostro timore
di eventuali colpe. D’altronde, gran parte dell’intervento cognitivo,
in psicoterapia cognitivo-comportamentale, è centrato proprio sul-
la loro riduzione. Se, dunque, vi risulta assolutamente impossibile
seguire le indicazioni di questo libro e portare a termine gli esercizi
di esposizione e prevenzione della risposta, è possibile che abbiate
bisogno di un intervento psicoterapeutico che affronti questi con-
cetti, prima di procedere all’interruzione delle compulsioni.
Nel frattempo, però, potrà esservi utile riflettere su alcuni con-
cetti:
Fase II – Educazione sul disturbo 77

• Nella lingua italiana il termine responsabilità ha diverse ac-


cezioni. La principale, tuttavia, è “responsabilità” intesa nel
senso di “assumersi una responsabilità”. Dirigere un ufficio,
così come fare il genitore, implica prendere delle decisioni,
pur conoscendo a fondo i rischi che esse comportano e assu-
mendosi oneri e onori dei danni o dei vantaggi che ne conse-
guirebbe chi ci è affidato (figli, azienda, ecc.). Essere persone
responsabili non ha niente a che vedere con l’essere scrupolosi,
con il non essere avventati o incoscienti, anche se talvolta, nel
linguaggio comune, usiamo l’espressione con questo significa-
to. “Assunzione di responsabilità” è sinonimo di “assunzione di
rischio”; dunque, implica anche la possibilità di danneggiare
altri. In questo senso, chi soffre di DOC ci tiene molto a essere
una persona seria e responsabile, ma non si rende conto che
questo non significa impegnarsi costantemente per azzerare i
rischi, ma piuttosto imparare sempre meglio a tollerare l’idea
di assumerseli.
• Il costante tentativo di ridurre al minimo i rischi, probabil-
mente, soddisferà il vostro bisogno di aver sempre la sensazio-
ne di non aver commesso imprudenze o leggerezze, ma è an-
che il modo migliore per diventare incapaci di prendere rapide
decisioni; e questo, vi assicuro, provoca più danni di quelli che
tentate affannosamente di evitare. Torniamo, ad esempio, al
difficile mestiere di genitore. Non c’è nessuna regola che pos-
sa indicarci cosa sia giusto per i nostri figli e cosa non lo sia.
Ogni genitore deve decidere, secondo il suo giudizio soggetti-
vo, se concedere o negare un permesso. Alle richieste dei figli
dobbiamo rispondere in modo fermo e coerente… e i dubbi
facilmente ci assalgono: sarà un bene lasciare che il bambino
faccia un giretto da solo nel giardino dei nostri amici, mentre
noi giochiamo a carte con loro, in modo che esplori l’ambien-
te, acquisti sicurezza e si diverta, o sarà un male, perché c’è il
rischio che ingoi qualche sasso o cada dall’altalena? Qualun-
que decisione prendiamo, corriamo il rischio di sbagliare e, in
qualche modo, di danneggiare il bambino. Non so dirvi quale
sia la scelta migliore, ma certamente posso dirvi che il danno
78 Vincere le ossessioni

che possiamo causare non scegliendo e sottraendoci al ruolo


di genitore, o delegandolo ad altri, per non correre il rischio
di sbagliare, è molto maggiore dei singoli possibili danni che
potremmo nel peggiore dei casi provocare orientandoci verso
una delle soluzioni. Non rispondere alla richiesta di uscire, ri-
spondergli due cose diverse o, peggio, dirgli di sì e poi arrab-
biarsi perché è uscito e si è sporcato, sono gli atteggiamenti che
danneggiano di più lo sviluppo psicologico di un bambino.
Questo è solo un esempio, ma se ne potrebbero fare molti altri
per dimostrare come la volontà di non assumersi rischi, per
sollevarsi dal peso schiacciante della responsabilità, possa tra-
sformarsi in un meccanismo perverso, che porta all’immobi-
lizzazione comportamentale e produce danni molto maggiori.
• Chi è affetto da DOC, come abbiamo visto, ritiene di essere
totalmente colpevole di un eventuale danno non solo se lo ha
provocato con un comportamento intenzionale, ma anche se,
avendolo lontanamente ipotizzato, non ha fatto tutto il possi-
bile per prevenirlo. Come se scegliere di non agire quando si
è consapevoli di possibili conseguenze disastrose, essendo una
decisione attiva, trasformasse la persona nella causa stessa del
disastro. Ragionando in questi termini, però, appare chiaro
che dovremmo ritenerci responsabili di qualunque disgrazia
dell’universo. Pensate a un medico al quale telefona una pa-
ziente che lamenta un forte mal di testa, nausea e vertigini;
questi sintomi possono essere i prodromi di un ictus cerebrale,
ma sono anche i più comuni sintomi aspecifici delle sindro-
mi influenzali. Al medico, che purtroppo è abituato a pensare
sempre al peggio, può anche venire in mente che potrebbe
trattarsi di un ictus ed egli può divenire consapevole che, non
facendo ricoverare subito la paziente per accertamenti, corre
un minimo rischio che la situazione si aggravi e si perda tem-
po prezioso che potrebbe risparmiarle pesanti danni organici.
Credo però che in una tale situazione qualunque medico ri-
sponderebbe: “Molto probabilmente si tratta di uno dei tan-
ti virus che ci sono in giro in questo periodo… si riguardi,
prenda un aspirina o un antidolorifico e mi richiami domani”.
Fase II – Educazione sul disturbo 79

Pensate che, se dopo due ore la signora manifestasse i sintomi


espliciti dell’ictus, il medico si sentirebbe in colpa? Indubbia-
mente non molto, a meno che non sia un ossessivo. È vero
che ha omesso di far fare alla signora i necessari accertamenti,
pur avendo avuto il sospetto che si trattasse di qualcosa di più
grave, ma è anche vero che se ogni medico dovesse prescrivere
TAC urgenti a chiunque lamenti sintomi simili, le radiologie
degli ospedali sarebbero intasate a tal punto che nessuno po-
trebbe più usufruirne, con gravi danni per la salute pubblica.

DARE IL GIUSTO PESO AI PENSIERI NEGATIVI


Molte persone che soffrono di ossessioni ritengono che le pre-
occupazioni non vengano mai a caso, ma che la loro presenza
indichi che c’è qualcosa di cui preoccuparsi veramente, altrimenti
esse non si manifesterebbero.
Ciò è generalmente sbagliato e contrasta con il principio fon-
damentale che abbiamo già illustrato, secondo il quale è assolu-
tamente normale preoccuparsi, anche per cose pressoché impos-
sibili.
È bene ricordare che i rischi che noi corriamo non aumentano
nel momento in cui ne prendiamo coscienza. La comparsa del
pensiero ossessivo, quindi, non è un indice del fatto che è più
probabile di quanto non lo sia in altri momenti che accada ciò
che temiamo. C’è una probabilità che mi venga dato da mangiare
del cibo scaduto e che esso mi faccia male, ma tale probabilità è
totalmente indipendente dal fatto che io ci pensi o meno.
Uno degli scopi della psicoterapia cognitiva, infatti, è quello di
modificare l’errata convinzione di chi soffre di DOC riguardo al
fatto che pensare certe cose negative possa aumentare la probabi-
lità che esse si verifichino. Tale convinzione è normale, entro certi
limiti, e fa parte del comune pensiero superstizioso. Quante volte
avrete sentito dire: “Non pensarlo neanche… non si sa mai… che
portasse male e accada veramente”. Razionalmente risulta ovvio
come pensare a certi possibili eventi non possa in alcun modo
influenzare la possibilità che essi si verifichino, altrimenti sarebbe
molto utile passare le nostre giornate a pensare che vinceremo al
80 Vincere le ossessioni

Superenalotto; tuttavia, nessuno accetta volentieri di pensare che


una persona cara abbia un incidente.
Il fenomeno di cui stiamo parlando è legato anche al fat-
to che chi soffre di ossessioni spesso ritiene, erroneamente, che
avere pensieri terrificanti, aggressivi, blasfemi, omosessuali, pe-
dofilici, sessualmente perversi, incestuosi o relativi a qualunque
comportamento scorretto, amorale o antisociale, sia di per sé
deplorevole.
Come già detto e ripetuto, il flusso normale dei nostri pensieri
spazia molto spesso su idee assurde, come quelle sopra citate, sen-
za che questo significhi assolutamente niente, né tantomeno sia
indice dei nostri desideri e della nostra natura.
Avere, soprattutto in momenti di rabbia, pensieri aggressivi
non significa che siamo delle persone malvagie o potenzialmente
pericolose. Avere pensieri a contenuto omosessuale, pur non pro-
vando disgusto, non significa che, sotto sotto, il nostro orienta-
mento sessuale potrebbe non essere così certo. E lo stesso vale per
qualunque altra categoria di pensieri.
Un discorso a parte meritano, però, i pensieri relativi a inci-
denti o disgrazie che potrebbero accadere ad altre persone. Que-
sti pensieri, infatti, non solo sono normali e averli non significa
assolutamente che vogliamo augurare qualcosa di male ad altri,
ma tanto più noi teniamo a una persona e tanto più tendiamo
a preoccuparci per quello che potrebbe accaderle: è l’affetto che
ci porta a fare un numero maggiore di previsioni catastrofiche
sugli eventi che possono coinvolgere i nostri cari, non la nostra
intrinseca malvagità, né tantomeno il desiderio che queste cose
accadano.
Se per qualche motivo riteniamo anormale, immorale o pe-
ricoloso avere certi pensieri, certe immagini o certi impulsi, ini-
ziamo contro di essi una battaglia che è destinata a fallire. Fare
di tutto per controllare l’incontrollabile è ciò che ci fa perdere
completamente il controllo. Capire e accettare questo fenomeno
è indispensabile perché diventiate capaci di tollerare la presenza
di certi fenomeni mentali senza fare niente per liberarvene, come
vi sarà richiesto nel programma di trattamento.
Fase II – Educazione sul disturbo 81

IMPARARE A TOLLERARE L’ANSIA


A questo punto, se avete compreso a fondo l’obiettivo del trat-
tamento, probabilmente sarà nata in voi una certa preoccupazio-
ne, perché avrete intuito che liberarsi dal DOC significa convi-
vere con i pensieri che vi mettono ansia, imparando a tollerarla,
almeno per un determinato periodo.
In effetti, poiché le compulsioni, gli evitamenti e le richieste
di rassicurazione nascono, almeno le prime volte, proprio come
mezzi rapidi ed efficaci per liberarsi dall’ansia connessa alle pre-
occupazioni negative, è naturale che l’interruzione di questi mec-
canismi automatizzati provocherà, inizialmente, un notevole au-
mento dell’ansia stessa.
È importante, quindi, che conosciate bene la natura di questa
emozione, per essere più motivati ad affrontarla.
Tanto per cominciare è utile che riflettiate sul fatto che, come
qualunque altro fenomeno del nostro organismo, se l’ansia esi-
ste deve aver avuto un’importante funzione per la sopravviven-
za della specie animale prima e umana poi. L’ansia, insomma, è
un’emozione normale, che tutti sperimentiamo e che, entro certi
limiti, è estremamente utile; non si tratta di un’inutile e fastidioso
fardello, creato per renderci la vita più difficile. Senza ansia non
vivremmo più di una settimana e la nostra specie, a quest’ora, si
sarebbe già estinta.
Provate a immaginarvi alla guida della vostra macchina o del
vostro motorino, nel bel mezzo del traffico cittadino, completa-
mente rilassati e anche parzialmente distratti. A un certo punto
spunta un furgoncino che, ignorando lo stop, vi taglia la strada.
Nell’arco di una frazione di secondo una scarica nervosa, legata a
una reazione d’ansia, pervade il vostro organismo e tende i vostri
muscoli, che serrano lo sterzo e premono sul freno. L’ansia inol-
tre fa sudare, per raffreddare maggiormente il corpo che produce
calore per lo sforzo fisico; rende affannoso il respiro, allo scopo di
ossigenare maggiormente tutti i muscoli del corpo e il cervello,
che in un istante deve elaborare la migliore soluzione; fa battere il
cuore a mille, per trasportare questa maggiore quantità di ossige-
no a tutti gli organi.
82 Vincere le ossessioni

In sostanza, tutto l’organismo viene allertato dall’ansia, per


consentirvi di avere la migliore probabilità di evitare l’impatto;
l’ansia è un segnale d’allarme, che richiama la vostra attenzione
su qualcosa di pericoloso e predispone l’organismo a una rapida
reazione funzionale alla sopravvivenza.
Questo è il motivo per cui guidare sotto effetto dell’alcol o dei
farmaci ansiolitici è pericoloso. Inibire le reazioni d’ansia significa
non essere più capaci di reagire prontamente a situazioni impre-
viste e allarmanti.
L’ansia esiste anche negli animali ed è, esattamente come
nell’uomo, un utilissimo sistema d’allarme che predispone l’orga-
nismo a una reazione al pericolo imminente, che generalmente è
l’attacco o la fuga.
Quando l’animale percepisce il pericolo, deve attivarsi al mas-
simo per avere buone probabilità di scamparlo. L’ansia ha proprio
la funzione di segnalare questo pericolo e provocare la necessaria
attivazione fisiologica.
Avete mai visto, ad esempio, un gatto spaventato di fronte a
un cane? Inarca la schiena, contrae tutti i muscoli, il suo cuore
pulsa fortissimo. Il gatto ha due possibilità: o saltare agli occhi del
cane, graffiandolo, o fuggire in un luogo dove non possa essere
raggiunto. In entrambi i casi, sono necessarie la massima forza
fisica e la massima efficienza mentale. Sotto l’impulso dell’ansia,
infatti, il gatto riesce a salire di corsa sull’albero, ma non appena il
cane desiste e se ne va, il pericolo passa, l’ansia si attenua e il gatto
non riesce più a scendere dall’albero.
L’ansia, infatti, ci rende capaci di prestazioni fisiche e mentali
impensabili in condizione di rilassamento. Questo è il motivo per
cui gli allenatori, prima di una gara, non permettono agli atleti di
rilassarsi, ma li stimolano e li attivano continuamente. Questo è
anche il motivo per cui molti, in sede d’esame, riescono a ricorda-
re cose impensabili e a rispondere a domande a cui mai avrebbero
pensato di saper dare una risposta.
Chi non ha mai sperimentato la sensazione di non ricordarsi
assolutamente niente il giorno prima di un esame e poi di esse-
re riuscito a fare un’inaspettata bella figura? Tutto questo accade
Fase II – Educazione sul disturbo 83

grazie all’ansia che, giungendo ad alti livelli nel momento del pe-
ricolo, attiva al massimo le nostre risorse cognitive.
A questo punto, dovrebbe essere chiaro che l’ansia è un segnale
di allarme e che, per la sua funzione, essa non può aumentare
all’infinito e non può avere una durata illimitata.
Per svolgere la sua funzione, infatti, un allarme deve essere
molto forte e rapido; non serve che duri nel tempo. L’antifurto
di una macchina che continua a suonare per una notte intera,
perché è guasto, ottiene al massimo di disturbare tutto il vicinato,
senza contribuire a sventare il furto: o il ladro scappa subito, op-
pure la macchina sparisce nonostante l’antifurto. In ogni caso, la
funzione dell’allarme, se esiste, è concentrata nei primi secondi.
Allo stesso modo, l’ansia aumenta in modo rapido, improvviso
e dirompente ma, dopo un po’ di tempo, sia per la sua natura
(che abbiamo fin qui descritto), sia perché l’organismo non ha
le energie per rimanere a lungo iperattivato, tende ad attenuarsi
spontaneamente, anche se non interveniamo in alcun modo.
Ai fini del trattamento del DOC, è importante che sia chiaro
questo principio: anche se non viene messo in atto il rituale che
normalmente libera prontamente dall’ansia, questa raggiunge-
rà un picco, ma poi calerà comunque. Si tratta solo di aspettare
qualche minuto o, al massimo, qualche ora.
La grossa differenza sta nel fatto che, per i principi che ho illu-
strato sopra, attendere che l’ansia diminuisca, senza far niente per
tranquillizzarsi, è un passo decisivo per spezzare il circolo vizioso
del DOC. In questo modo aumenta la probabilità che, la prossima
volta che vi capiterà di trovarvi in una situazione simile, sia la paura
che l’impulso a eseguire il rituale siano minori. Comportandovi
diversamente, invece, non fate altro che gettare legna sul fuoco e
alimentare continuamente la vostra dipendenza dalle compulsioni.
Mi preme infine sottolineare che la forte attivazione fisiologica
connessa all’ansia, che predispone l’organismo all’attacco o alla
fuga, non è assolutamente dannosa per gli organi umani.
Molte persone affette da DOC temono l’ansia, poiché sono
convinte che essa possa facilitare l’insorgere o il peggiorare di ma-
lattie organiche o possa, in qualche modo, danneggiare il fisico o
84 Vincere le ossessioni

la mente. A meno di non essere gravemente cardiopatici, l’ansia è


alquanto fastidiosa, ma non è mai pericolosa. Il cuore può battere
fortissimo, ma ciò non provoca alcun infarto; possiamo sentire
un nodo alla gola o una sensazione di affanno, ma è impossibile
soffocare; lo stomaco si può contrarre, ma non viene la gastrite;
la testa può girare e possiamo sentirci confusi, ma non è possibile
svenire, né tantomeno impazzire.
Ciò che spero sia chiaro è che più sarete disposti a tollerare
l’ansia e più rapidi saranno i vostri progressi nello sconfiggere il
DOC.
9
fase iiia – proGramma di
trattamento del doc
con compulsioni

INFORMAZIONI PRELIMINARI
Come avrete intuito leggendo le pagine precedenti, il pro-
gramma di auto-aiuto che vi propongo si basa essenzialmente sui
principi della terapia comportamentale e prevede l’uso intensivo
di tecniche di esposizione graduata e prevenzione della risposta,
essenziali per contrastare i fattori che favoriscono il mantenimen-
to del disturbo.
È bene ricordare che l’esposizione consiste nel porsi ripetuta-
mente e intenzionalmente nelle situazioni che innescano le paure
ossessive e la necessità di mettere in atto il cerimoniale compul-
sivo; proprio quelle situazioni che, spontaneamente, evitereste il
più possibile.
La prevenzione della risposta consiste nell’astenersi deliberata-
mente dal fare quello che normalmente serve ad alleviare il disa-
gio causato dall’ossessione, ovvero qualunque forma di rituale o
richiesta di rassicurazione.
Vedremo nel dettaglio, tramite alcuni esempi clinici, in che modo
si possa mettere in atto un processo di esposizione e prevenzione
della risposta per ogni tipologia di disturbo ossessivo-compulsivo.
Ognuno dovrà tuttavia costruirsi il proprio percorso individuale,
seguendo con cura le indicazioni del prossimo paragrafo.
Prima di entrare nel vivo dell’argomento, però, è bene assicu-
rarsi di aver chiarito alcuni punti essenziali.
86 Vincere le ossessioni

L’impulso a mettere in atto le compulsioni può essere molto


forte e chi lo subisce ha spesso l’impressione di non poterlo asso-
lutamente controllare. In realtà, non esiste nessuno che non sia in
grado di controllare il proprio comportamento, evitando di com-
piere un rituale o modificandolo in parte, purché sia veramente
motivato, ben sostenuto e incoraggiato dagli altri.
Quando chi soffre di DOC afferma di non riuscire a resistere
a un impulso, sta semplicemente dicendo che non è disposto
a tollerare il disagio che proverebbe se non facesse quello che
gli viene spontaneo fare. Come già discusso, però, se non siete
disposti a tollerare un po’ di temporaneo malessere (ed è tempo-
raneo, come illustrato nel paragrafo precedente), è praticamente
impossibile che riusciate a liberarvi dal disturbo ossessivo-com-
pulsivo.
Come sostiene Jeffrey M. Schwartz (1996) nel suo libro Il cer-
vello bloccato, il primo passo per fronteggiare il DOC è imparare a
riconoscere i pensieri ossessivi e gli impulsi ad essi connessi, chia-
mandoli con il loro nome, “ossessioni” e “compulsioni”, senza
confonderli con i propri desideri o le proprie intenzioni.
Non insistete quindi nel dire: “Mi sono contaminato e devo
lavarmi le mani”, “Posso avere investito qualcuno e devo tornare
a controllare” o “Ho visto un sette e la mia giornata sarà un disa-
stro, devo quindi trovare almeno tre numeri pari”, ma imparate
a dire: “Poiché soffro di DOC, penso sempre di essermi conta-
minato e non lavarmi le mani adesso mi farebbe provare un gran
malessere”, “Come ogni volta, in queste situazioni, penso di poter
avere investito qualcuno e non tornare indietro a controllare mi
lascia addosso un senso di tensione insopportabile” o “Ho visto
un sette e si insinua in me il pensiero ossessivo che ciò faccia an-
dar male la mia giornata; non cercare tre numeri pari mi fa sentire
molto a disagio e in pericolo”. Esprimervi nel modo corretto e,
soprattutto, parlare a voi stessi in modo funzionale, vi sarà utile
per prendere distanza dai pensieri ossessivi, considerandoli per
quello che sono, ovvero dei messaggi terrorizzanti che invadono
la vostra mente, che vi obbligano a prendere consapevolezza di
alcuni pericoli, ma che è possibile decidere di ignorare. Sarete così
Fase IIIa – Programma di trattamento del DOC con compulsioni 87

più motivati a fare il massimo sforzo per controllare i sintomi del


DOC, almeno quando è possibile.
Imparate a fermarvi un attimo, prima di correre a mettere in
atto il vostro rituale. Ridefinite la paura che vi ha assalito come
una delle solite paure ossessive e l’impulso a compiere qualche
gesto o azione mentale come un atto compulsivo automatizzato,
da cui ormai siete dipendenti, ma che potreste anche non fare.
Tenete bene a mente la spiegazione che vi ho fornito sui mec-
canismi che rendono tali pensieri tanto frequenti e intrusivi (vedi
fase II), rispolveratela ogni volta che vi trovate in una situazione
problematica, chiamate i pensieri ossessivi e le spinte compulsive
che vi passano per la mente con il loro nome, quello del disturbo
da cui siete affetti, e cercate di non farvi comandare da essi.
Fate in modo di arrivare al punto in cui, “sebbene le preoc-
cupazioni ossessive siano sempre lì, non riescano più ad avere il
controllo su ciò che fate, ma siate voi a decidere quali azioni com-
piere, invece di rispondere a pensieri e impulsi prodotti dal DOC
come potrebbe fare un automa” (Schwartz, 1996).
Reclamate il vostro potere decisionale e cercate di fare in modo
che, per quanto assillante possa essere il disturbo, esso non abbia
più il coltello dalla parte del manico.
Ricordatevi che avete a che fare con una sorta di terribile ri-
cattatore, alle cui richieste è facile cedere, dal momento che, per
concedervi la tranquillità, esige solo pochi euro. Ma se versate,
con timoroso rispetto, i vostri pochi euro ogni settimana, non
c’è alcun motivo per cui il ricattatore non debba gradualmente
alzare la posta e chiedervi una cifra sempre maggiore. Imparate
a ignorare le sue richieste, a non dargli ascolto, né tantomeno
importanza; cominciate a considerare le sue minacce infondate.
È scontato che, se fino a ora avete sempre pagato diligentemente
e adesso cominciate a smettere, il ricattatore, almeno all’inizio,
reagirà alzando il tono della minaccia. Quanto più riuscirete a
non farvi intimorire e a continuare la vostra vita come se non vi
urlasse nelle orecchie, puntandovi un coltello alla gola, tanto più
gli toglierete potere. Pian piano capirà che siete più forti di lui e
si rassegnerà a lasciarvi in pace.
88 Vincere le ossessioni

È ormai ampiamente dimostrato che l’impiego costante delle


tecniche di esposizione e prevenzione della risposta, quindi di un
intervento che modifichi i comportamenti spontanei ma disfun-
zionali di chi soffre di DOC, produce a lungo termine una dimi-
nuzione della frequenza dei pensieri ossessivi e, soprattutto, un
netto calo delle emozioni di ansia e/o disgusto ad essi connesse.
Questo fenomeno, però, si può osservare solo in un ampio mar-
gine di tempo. Le prime volte che vi cimenterete negli esercizi è
certo che proverete emozioni più forti e sgradevoli del solito, do-
vute al fatto che improvvisamente smetterete di fuggire da certe
situazioni che da tempo cercavate di evitare; inoltre, è probabile
che noterete un temporaneo aumento della frequenza delle pre-
occupazioni ossessive.
È molto importante che non vi lasciate scoraggiare da questi
inevitabili effetti, perché sono assolutamente temporanei. È come
se doveste smettere di fumare. Le prime volte che vi imporre-
te di non accendere la sigaretta in certi momenti canonici della
giornata dovrete tollerare una spiacevole sensazione di malessere,
che vi accompagnerà per un po’ di tempo. È probabile, poi, che
durante i primi giorni di astinenza il pensiero vada più spesso del
solito alle sigarette, anche durante le normali attività quotidiane,
in cui non si era mai manifestato il desiderio di fumare. Dopo
qualche giorno o settimana, però, continuando ad astenervi dal
cedere all’impulso, noterete che anch’esso è sempre minore, che
il disagio da tollerare per non aver acceso la sigaretta quando vi è
venuto in mente si è attenuato e che, a lungo andare, il pensiero
stesso di accenderla non si presenta più, nemmeno in quelle situa-
zioni in cui, prima del percorso di disassuefazione, era un gesto
totalmente automatico.
Comprendere i principi che sono alla base delle tecniche di
esposizione e prevenzione della risposta è piuttosto semplice, ma
non lo è altrettanto applicarli quotidianamente, perché la tendenza
all’evitamento, nonché l’impulso alla compulsione, sono così forti
da rendere estremamente faticoso il tentativo di contrastarli.
Per questo motivo, l’assistenza di un familiare o di un amico
può essere determinante per il successo della terapia comporta-
Fase IIIa – Programma di trattamento del DOC con compulsioni 89

mentale, soprattutto se state seguendo il programma di auto-aiu-


to senza l’assistenza di uno psicoterapeuta.
Le ossessioni e le compulsioni hanno spesso una natura molto
intima e imbarazzante, al punto che molte persone se ne vergo-
gnano. Tuttavia, è importante che individuiate una figura che sia
in grado, per qualche settimana o per qualche mese, di assistervi
giorno per giorno nel processo terapeutico.
Non rinunciate a questo sostegno per la vergogna di parla-
re esplicitamente dei vostri problemi. Scegliete una persona di
fiducia, con cui ritenete sia più facile confidarvi e che pensiate
possa capirvi; una persona capace di essere paziente, ma che, al
momento opportuno, abbia il polso abbastanza duro da sapervi
incoraggiare, se non addirittura obbligare velatamente, a fare i
vostri quotidiani esercizi.
Fatele leggere questo libro con attenzione, soprattutto la parte
dedicata ai consigli per i familiari e gli amici. Analizzate insieme
il questionario di autovalutazione che avete compilato, cercate di
farle capire meglio possibile la natura delle vostre preoccupazioni
e di portarla a conoscenza, nei dettagli, delle strategie che mettete
in atto per tranquillizzarvi. Rendetela partecipe dell’organizza-
zione del vostro programma terapeutico (che affronteremo dal
prossimo paragrafo) e fatevi aiutare a portarlo avanti con cura e
perseveranza.
So perfettamente che può essere umiliante porsi nella situazione
di farsi dire cosa dobbiamo o non dobbiamo fare, come se fossimo
dei bambini. Accettare che qualcuno ci dica se e quante volte dob-
biamo lavarci, o che ci conceda o meno qualunque altra cosa, attiva
immediatamente la brutta sensazione di sentirsi controllati.
Cercate di tollerare questo disagio, convincendovi che è per
il vostro bene e che non si può pretendere di guarire dal DOC
e continuare, contemporaneamente, a regolare il proprio com-
portamento sulla base delle sensazioni interne. È necessario
imparare ad accettare che qualcun altro vi dica cosa è giusto
fare e cosa no, perché in certe situazioni il DOC stesso vi ren-
de incapaci di comprendere se un comportamento è sensato o
meno.
90 Vincere le ossessioni

Immaginate di essere una giovane donna affetta da una grave


forma di anoressia nervosa, che, come probabilmente sapete, por-
ta a una drastica e costante riduzione dell’alimentazione. Uno dei
principali sintomi del disturbo è che le sensazioni di fame e sazie-
tà, che normalmente utilizziamo per decidere quando iniziare a
mangiare e quando smettere, sono alterate a tal punto che l’ano-
ressica si sente sazia e si vede la pancia gonfia dopo aver mangiato
tre foglie d’insalata. Se continua a fidarsi di tale sensazione, come
farebbe una persona non ammalata, introdurrà sempre meno cibo
nello stomaco, perderà ancora peso e le sensazioni si altereranno
ulteriormente, in un tremendo circolo vizioso che potrebbe por-
tarla fino alla morte.
Il DOC non è molto diverso e chi ne soffre deve accettare
di smettere di lavarsi, pulire, controllare, contare, e così via,
tollerando l’assillante sensazione di non aver fatto le cose “nel
modo giusto”, esattamente come la nostra ragazza anoressica
deve accettare, per tutto il tempo necessario affinché si rista-
biliscano i normali processi di auto-regolazione, di mangiare
ciò che le viene messo nel piatto secondo dei principi stabiliti
da uno specialista, ignorando la propria sensazione di sazietà
o di gonfiore.
Pian piano, il controllo esterno si renderà sempre meno neces-
sario e potrete tornare a fidarvi delle vostre sensazioni, ma finché
il disturbo imperversa e cerca di dirvi cosa dovreste fare è meglio
che diffidiate e cerchiate di ancorare il vostro comportamento a
regole prestabilite, concordate con la persona che vi aiuta o lo
psicoterapeuta.

CREARE LE GERARCHIE DI ESPOSIZIONE


E PREVENZIONE DELLA RISPOSTA
Siamo giunti al momento di metterci al lavoro.
Prima di tutto occorre stabilire degli obiettivi pratici a breve e
a lungo termine. Naturalmente, l’obiettivo ideale sarebbe quello
di liberarsi da tutti i sintomi, ma per poterci arrivare occorre pas-
sare attraverso una serie di tappe intermedie. Non è possibile, in
nessun modo, gettarsi dietro le spalle tutti i sintomi in un colpo
Fase IIIa – Programma di trattamento del DOC con compulsioni 91

solo e i tentativi in questo senso, talvolta attuati autonomamente


da chi soffre di DOC, falliscono regolarmente.
Proprio come il disturbo si è insinuato gradualmente, in modo
subdolo, aumentando sempre più le sue richieste e costringendovi
a manovre sempre più complesse per tenerlo a bada, così, altret-
tanto gradualmente, voi dovrete recuperare la vostra libertà, par-
tendo dagli ultimi legami di dipendenza che si sono creati e che,
probabilmente, riuscirete a sradicare con minore disagio.
Come spiega egregiamente Baer (1991), “nel fissare i vostri
obiettivi a lungo termine, tenete presente l’immagine di un bersa-
glio da tirassegno. Probabilmente, all’inizio, quando è comparso
il vostro disturbo, c’era un oggetto o una situazione centrale che
temevate molto: esso rappresenta il centro del bersaglio. Con il
passare del tempo, le vostre paure, compulsioni e ossessioni hanno
però iniziato a diffondersi, includendo altri oggetti che si sono as-
sociati a quello principale: essi corrispondono ai cerchi più interni
del bersaglio. Man mano che il tempo passava, il vostro disturbo
si è diffuso ad altri oggetti con legami ancora meno evidenti con
l’oggetto originale: essi sono i cerchi esterni del bersaglio. Nel cu-
rare un disturbo ossessivo-compulsivo dobbiamo fissare obiettivi
che invertano questo processo. Iniziamo dai problemi posti sui
cerchi più esterni del bersaglio, perché provocano meno ansia e,
in genere, appaiono più facili da modificare”.
Il primo passo, dunque, è quello di identificare il vostro obiet-
tivo a lungo termine (ad es. ridurre l’impulso a controllare porte,
finestre, gas e cassaforte della vostra abitazione) e tradurlo in una
serie di obiettivi a breve termine, da raggiungere attraverso eser-
cizi concreti di esposizione graduata e prevenzione della risposta;
per far ciò è necessario costruire accuratamente una gerarchia di
stimoli ansiogeni, ordinandoli dal meno temuto al più temuto.
Il modo migliore per svolgere questo compito è fare uno sforzo
d’immaginazione.
Prendete carta e penna e, senza pensarci troppo, buttate giù
tutte le cose che normalmente evitate per sentirvi tranquilli e
quelle che dovreste evitare, se foste costretti a non mettere in atto
i vostri cerimoniali. In pratica, elencate, una per una, tutte le si-
92 Vincere le ossessioni

tuazioni in cui fate in modo di non trovarvi, per non essere co-
stretti a tollerare ansia o disgusto o a compiere lunghi e fastidiosi
cerimoniali. Scrivete inoltre, sempre una per una, tutte le situa-
zioni che non potete normalmente evitare, ma che attivano le
vostre paure e i vostri impulsi a lavarvi o a lavare, a controllare, a
ordinare, a contare, a pregare o a compiere qualunque altro gesto
o operazione mentale.
Una volta che avete individuato almeno 15 o 20 situazioni
problematiche, cercate di immaginare quanto vi sentireste a di-
sagio, quanta ansia o disgusto provereste, nel caso in cui doveste
trovarvi in ognuna di esse, senza poterle evitare o senza poter ri-
correre ai vostri rituali tranquillizzanti. Date un valore numerico
al disagio che avete immaginato di provare, espresso su una scala
da 0 a 10, dove 0 corrisponde a ciò che non vi crea alcun proble-
ma e 10 esprime il massimo del disagio che abbiate mai provato.
Se, ad esempio, il vostro disturbo consiste nel temere di con-
taminarvi con le sostanze chimiche contenute nei detersivi, è
probabile che non riusciate più a svolgere alcuna funzione do-
mestica, che non vi avviciniate più a oggetti che possono essere
stati a contatto con dei detersivi, e cosi via, se non ricorrendo
poi, necessariamente, a lunghi risciacqui. Immaginate quindi di
entrare in un supermercato e di prendere una scatola di fagioli,
posta su uno scaffale ben lontano dai detersivi, senza avere la
possibilità di lavarla né di lavare le vostre mani. Sarebbe terri-
bile? Probabilmente sì, perché potrebbe assalirvi il dubbio che
nel magazzino del supermercato la scatola di fagioli sia stata a
contatto con un fustino di detersivo, ma certamente il disagio
legato a questo pensiero non sarebbe cosi insopportabile come
infilare una mano dentro il fustino stesso. Cercate di attribuire
un punteggio al disagio che vi arrecherebbe ogni situazione, non
segnando sempre il massimo o il minimo, ma sforzandovi di in-
dividuare molti livelli intermedi.
E se la scatola di fagioli fosse a 30 centimetri da un detersivo?
E se doveste toccare il lavandino di un bagno pubblico che non
sapete con che detersivo è stato pulito? E se doveste toccare un
pavimento appena lavato? Esprimete le vostre valutazioni, im-
Fase IIIa – Programma di trattamento del DOC con compulsioni 93

maginando di non potere né evitare le situazioni, né ricorrere ai


vostri rituali.
Dopo aver individuato una serie di situazioni ansiogene e aver
quantificato il disagio che vi creerebbero, riscrivetele, ordinandole
in modo crescente, partendo dalle situazioni a cui avete assegnato
il valore 1, per arrivare a quelle che avete valutato 10.
Se vi accorgete che un determinato valore non è stato asse-
gnato a nessuna situazione, mentre altri sono stati associati a più
di due, cercate di rivalutare le singole situazioni o di introdurne
altre intermedie, finché non riuscite a disporre di un elenco in
cui vi sono una o due situazioni problematiche per ogni livello
di disagio.
A questo punto dovreste essere pronti per cominciare l’espo-
sizione. Controllate però che la lista che avete stilato comprenda
solo situazioni che siete in grado di riprodurre con una certa faci-
lità nella vostra vita quotidiana, dato che dovrete esporvi ad esse
con regolarità, giorno per giorno o, meglio ancora, più di una
volta al giorno.
Se soffrite di timori di contaminazione con aghi e siringhe, ad
esempio, è quasi certo che, fra le tante cose, evitiate con cura di
camminare scalzi nella sabbia. Includere tale situazione nella lista
dei compiti per l’esposizione può andar bene se vivete sul mare,
ma è totalmente inutile se vivete in una città dell’entroterra.
In quest’ultimo caso, è bene che scegliate una situazione che vi
crea lo stesso disagio, ma che potete mettere in pratica anche nel
giardino che attraversate tutti i giorni andando al lavoro, come il
camminare sull’erba con le scarpe aperte, senza controllare conti-
nuamente dove mettete i piedi.
Una volta elaborata la lista di situazioni ansiogene a cui espor-
vi, fate un altro sforzo d’immaginazione e provate a ripercorrerle
mentalmente una ad una, come se le steste affrontando, ma con-
siderandovi totalmente liberi di mettere in atto qualunque forma
di rituale tranquillizzante.
Annotate, quindi, quello che fareste normalmente, cedendo alle
richieste del disturbo, dopo aver dovuto fronteggiare tali situazio-
ni. Se l’esposizione prevede il toccare cose “contaminate”, proba-
94 Vincere le ossessioni

bilmente correreste a lavarvi le mani. Quante volte? In che modo


e con quale sapone? Vi fareste anche la doccia? Lavereste anche i
vestiti che avevate indosso? Vi lavereste anche i capelli o il viso?
Se l’esposizione prevede il fare un giro in auto su strade affolla-
te di pedoni, forse tornereste a controllare più di una volta di non
aver investito nessuno inavvertitamente o, magari, vi accontente-
reste di guardare e riguardare nello specchietto retrovisore.
Se l’esposizione prevede il vedere numeri “porta-sfortuna”, for-
se vi sentireste costretti a cercare dei numeri “anti-iella” o dovreste
mettere in atto dei rituali mentali tranquillizzanti.
Mi fermo qua con gli esempi, perché credo che conosciate
bene le azioni che normalmente attuate per tenere sotto controllo
il vostro disagio. Si tratta, in pratica, di dettagliare un po’ meglio
i vostri aspetti compulsivi, che già dovreste aver individuato a
grandi linee nella fase di auto-valutazione, immaginando però di
non essere più protetti dalle innumerevoli strategie di evitamento,
che normalmente vi consentono di “sopravvivere” senza passare la
giornata a eseguire rituali.

ESPOSIZIONE E PREVENZIONE DELLA RISPOSTA:


IL FULCRO DELL’INTERVENTO
A questo punto siete pronti per iniziare il vero e proprio per-
corso terapeutico.
Riprendete le liste che avete scritto seguendo le indicazioni del
paragrafo precedente. Rivedendo i punteggi che avete assegnato
alle varie situazioni ansiogene, ordinati dal più basso al più alto,
trasformatele ognuna in un possibile esercizio di esposizione. Se,
ad esempio, avete scritto che evitate di toccare lavandini pubbli-
ci e che toccarli, senza potervi poi lavare con cura, vi creerebbe
un’ansia pari a 7 (sulla nostra scala da 0 a 10), l’esercizio con-
sisterà nel toccare ripetutamente lavandini pubblici, di cui non
sapete assolutamente niente su quando e come sono stati puliti
(esposizione), impegnandovi a non effettuare o almeno a ridurre i
lavaggi che sentireste l’impulso di eseguire immediatamente dopo
(prevenzione della risposta). Si tratta di quei lavaggi che dovreste
aver annotato nella seconda delle liste che vi ho fatto preparare.
Fase IIIa – Programma di trattamento del DOC con compulsioni 95

Tradotto in pratica, dovete fronteggiare una a una, in modo


più graduale possibile, tutte le situazioni che avete scritto nella
prima lista, evitando di lasciarvi andare, in seguito, ai comporta-
menti che avete segnato nella seconda.

La prevenzione della risposta è certamente la tecnica miglio-


re e più efficace, ma talvolta, per quanto graduale possa essere
l’esposizione, le persone che soffrono di DOC non riescono a non
effettuare alcun cerimoniale, perché ritengono che il disagio da
tollerare sia troppo grande.
Per rendere l’intervento terapeutico ancora più graduale, quin-
di, è possibile utilizzare delle tecniche alternative, quali la dilazio-
ne o la modificazione della risposta.
La prima consiste semplicemente nel rimandare, per periodi
sempre più lunghi, la messa in atto della compulsione. Se, ad
esempio, sentite l’impulso a lavarvi le mani dopo aver toccato
un lavandino pubblico, potete decidere di attendere 10 minuti,
tollerando il disagio per questo breve periodo, prima di cedere.
È possibile che dopo 10 minuti non sentiate più l’impulso così
forte e che, a quel punto, riusciate a evitare del tutto di lavarvi,
trasformando una dilazione della risposta in una vera e propria
prevenzione. Se però l’impulso rimane forte e intollerabile, potete
decidere di lavarvi, rimandando al giorno successivo l’impegno di
resistere magari 15 minuti, invece di 10. Aumentando gradual-
mente i tempi di dilazione, anche se lo stimolo ansiogeno che
innesca la compulsione rimane della stessa intensità, l’esercizio
diventa sempre più difficile. Continuando ad aumentare il tempo
di dilazione, arriverete ad un punto in cui potete rinunciare a
mettere in atto la compulsione, perché il malessere cala spontane-
amente fino a raggiungere un livello di tollerabilità. A quel punto
potete passare alla prevenzione della risposta.
La seconda tecnica, che abbiamo chiamato “modificazione
della risposta”, consiste nel modificare in qualche caratteristica il
rituale, rendendolo sempre meno uguale a se stesso.
Potete scegliere di modificare il numero di ripetizioni, ad
esempio controllando il gas due volte invece che tre, come è
96 Vincere le ossessioni

vostra abitudine, l’ordine e la sequenza delle operazioni, ad


esempio lavandovi prima il viso e poi le ascelle contrariamente
al solito, il luogo di esecuzione del rituale, ad esempio cam-
biando bagno o pregando di fronte a una madonnina diversa,
la posizione in cui lo effettuate, ad esempio facendo la doccia
seduti in vasca anziché stando in piedi, i momenti della gior-
nata ad esso dedicati, ad esempio facendo la vostra lunghissima
doccia al mattino invece che prima di coricarvi, il mezzo cui
vi affidate, ad esempio usando un sapone liquido invece che la
solita saponetta. Modificando gradualmente il rituale, sempre
in seguito a esercizi di esposizione, dovrete tollerare un grado
di disagio più modesto rispetto all’astensione completa da esso.
Tenete presente, tuttavia, che l’obiettivo rimane sempre quello
di arrivare, entro breve, a non compiere più alcun cerimoniale
dopo l’esposizione. Considerate quindi queste strategie alterna-
tive come mezzi tramite i quali raggiungere l’obiettivo finale
attraverso tappe intermedie e in modo un po’ più indolore, ma
non un obiettivo in sé per sé.

Gli esercizi di esposizione e prevenzione della risposta, dila-


zione o modificazione che siano, devono essere portati avanti con
grande costanza e determinazione, meglio se una o due volte al
giorno, ma come minimo due o tre volte alla settimana. Anche il
tempo impiegato per le esercitazioni ha una notevole importanza:
esse non devono essere affrettate, ma devono durare abbastanza
a lungo da consentire al disagio attivato dall’esposizione di de-
crescere spontaneamente, senza che ricorriate alla compulsione
(almeno un’ora).
Ripetete ogni esercizio più volte, finché non arrivate al pun-
to in cui esso vi crea la metà, o meno, del disagio che vi creava
all’inizio. Solo a questo punto siete pronti per passare all’esercizio
successivo, quello che nella scaletta che avete costruito si trova sul
gradino immediatamente superiore. Non c’è un momento presta-
bilito in cui si deve passare a esercizi più impegnativi ed è possibi-
le che un giorno riusciate a superare due gradini, mentre per salire
il terzo dobbiate esercitarvi tre o quattro giorni di seguito.
Fase IIIa – Programma di trattamento del DOC con compulsioni 97

Come abbiamo detto, è bene che durante gli esercizi siate af-
fiancati dall’assistente che avete individuato. Chiaramente, do-
vete riferirgli nei dettagli i vostri obiettivi e il vostro programma
terapeutico o, meglio, prepararli insieme a lui.
Non dovete chiedergli rassicurazioni di alcun genere durante
gli esercizi e dovete accettare che vi incoraggi e vi ricordi cosa do-
vreste fare o non fare. Non arrabbiatevi con lui. È perfettamente
consapevole che vi sta facendo fare cose che vi fanno star male e
non credo lo faccia volentieri, ma accetta di aiutarvi per il vostro
bene.
Cercate di gioire delle piccole conquiste, sforzandovi sempre
di fare il massimo, ma non pretendendo troppo da voi stessi e ac-
cettando anche piccoli insuccessi. La lotta contro il DOC è dura
e perigliosa. I successi potrebbero essere molto lenti e apparire in-
significanti al confronto di tutte le problematiche che restano da
affrontare. Non scoraggiatevi! Se per alcuni giorni non vedete mi-
glioramenti, non datevi per vinti. Ricordatevi di guardare sempre
anche indietro: fissarvi su quanta strada c’è ancora da percorrere
non vi aiuta, mentre notare i passi che avete fatto, anche se pochi,
vi farà sentire meglio e vi motiverà ad andare avanti.
Tenete sempre presente che è probabile che i progressi non
siano costanti, ma che vi siano dei giorni in cui noterete grandi
e inaspettati miglioramenti, mentre in altri avrete la sensazione
di essere bloccati, di non riuscire ad andare oltre o forse anche
di star facendo passi indietro. Questo è normale e non significa
che la terapia non stia funzionando. Dovete aspettarvi queste
oscillazioni senza dar loro particolare importanza. Perseverate
comunque!
Ricordatevi che ogni guerra è composta di tante battaglie, così
come un campionato di calcio è composto di tante partite. Potete
vincere la vostra guerra, a lungo termine, anche perdendo alcune
battaglie! La vostra squadra del cuore può vincere il campionato
anche perdendo alcune partite!
Cercate inoltre di premiarvi per i vostri successi. Anche se sem-
brano piccoli, per voi sono grandi successi e meritate una gratificazio-
ne. Concedetevi, ad esempio, qualcosa di particolarmente piacevole,
98 Vincere le ossessioni

come mangiare il vostro cibo preferito, fumare la vostra amata siga-


retta, comprarvi qualcosa a cui tenete, ecc., se, e solo se, avete rag-
giunto gli obiettivi pratici che vi eravate prefissati per quel giorno.
State attenti, infine, a compiere correttamente gli esercizi di
esposizione e prevenzione della risposta. Essi devono mettervi in
difficoltà e provocarvi, almeno le prime volte, un disagio percepi-
bile. Se ciò non accade, le motivazioni possono essere due.
La prima è che non vi stiate veramente esponendo a ciò che
temete. Toccare, ad esempio, una cosa che ritenete contaminata,
ma non toccare poi, con la mano “sporca”, oggetti o persone a cui
temete di poter trasmettere la contaminazione, può essere facile,
ma non è utile. Allo stesso modo, entrare in contatto con una
sostanza chimica temuta, ma non toccarvi poi il viso, i genitali,
le labbra o qualunque parte del corpo, tramite la quale temiate
che la sostanza possa entrare in circolo nel vostro organismo, è,
ancora una volta, facile ma inutile.
La seconda possibilità è che, pur attuando la prevenzione della
risposta sul rituale più esplicito, stiate comunque facendo qualco-
sa che vi rassicura.
Se, ad esempio, avete timori superstiziosi e vi state impegnan-
do a non cercare il numero fortunato dopo averne visto uno
sfortunato, state attenti a non eseguire qualche altro gesto (come
tenere le dita incrociate) o operazione mentale (come ripetervi
continuamente che non accadrà niente) per rimanere tranquilli.
Allo stesso modo, se vi state impegnando a non controllare più di
una volta di aver chiuso il gas, non cercate di rassicurarvi ripercor-
rendo mentalmente la sequenza delle operazioni che avete fatto
per chiuderlo e tutti i vostri movimenti. Si tratterebbe di un ce-
rimoniale mentale di controllo. Rendereste inefficaci gli esercizi,
che come abbiamo già detto servono ad abituarvi a tollerare il ri-
schio e a decidere deliberatamente di non far tutto il possibile per
scongiurarlo. Un margine di incertezza deve quindi rimanervi!

Seguendo queste indicazioni, dovreste riuscire a debellare len-


tamente il disturbo, a ripercorrere tutti i cerchi del bersaglio, fino
ad arrivare a demolirne il centro. Buon lavoro!
Fase IIIa – Programma di trattamento del DOC con compulsioni 99

Tramite la descrizione di alcuni casi clinici, avrete adesso qual-


che esempio di come possa essere impostata la terapia comporta-
mentale, in base alle diverse tipologie di disturbo ossessivo-com-
pulsivo.

IL DISTURBO DA CONTAMINAZIONE
Anna soffriva di un grave disturbo, che le faceva temere di
contaminarsi entrando in contatto con germi di varia natura. Per
lei era diventato impossibile toccare qualunque oggetto ritenuto
“sporco”; raccogliere cose cadute in terra, passare vicino a un cas-
sonetto dell’immondizia, sedersi o toccare oggetti in luoghi pub-
blici (bar, giardini, autobus, stazione, ecc.) erano diventati gesti
inattuabili.
Il timore principale di Anna non era tanto di ammalarsi,
quanto di trasmettere la contaminazione a uno dei suoi familia-
ri, divenendo involontariamente colpevole di un loro danneg-
giamento.
Anna evitava quindi di esporsi a tutte le situazioni che abbia-
mo indicato (e non solo a quelle), ma per lei il problema cruciale
riguardava la necessità di “decontaminazione”, che consisteva nel
lavarsi accuratamente prima di entrare in contatto con i familiari
o con qualunque cosa potesse essere usata da loro.
Gli esercizi di esposizione e prevenzione della risposta, in que-
sto caso, sono stati impostati, con il coinvolgimento attivo della
madre, più o meno nel modo seguente:

• dare la mano al terapeuta senza sapere se e quando l’aveva la-


vata; non lavarsi le mani e dare la mano alla mamma;
• dare la mano al terapeuta senza sapere se e quando l’aveva la-
vata; non lavarsi le mani e toccare il viso della mamma;
• mettersi a sedere sulla panchina di un giardino pubblico e,
senza cambiarsi d’abito, sedersi sul letto dei genitori;
• raccogliere una cosa caduta per terra e, senza lavarsi le mani,
scartare una caramella da far mangiare alla mamma;
• mettersi a sedere su un gradino della scala di casa e poi sedersi
sul letto dei genitori;
100 Vincere le ossessioni

• toccare la parte superiore di un armadio, senza controllare vi-


sivamente, e, con la mano “polverosa”, o al massimo appena
sfregata, accarezzare i capelli della madre;
• portare il sacco dell’immondizia fino al cassonetto e gettar-
lo dentro dopo aver aperto il bidone con le mani; tornare in
casa e accarezzare il volto della mamma, senza prima lavarsi le
mani.

Questi sono solo alcuni esempi, peraltro non ordinati secondo


il grado di disagio che provocavano in Anna, utili per chiarire in
che modo si debba strutturare l’esposizione e prevenzione della
risposta in un caso del genere.

Anche Lucia soffriva di un disturbo da contaminazione, ma


con una sintomatologia molto diversa: per lei il problema prin-
cipale era rappresentato dalla lunghezza estenuante dei rituali di
lavaggio prima di coricarsi.
La doccia serale durava circa due ore e mezza e si svolgeva se-
condo una sequenza ben precisa. Il tutto iniziava con il lavaggio
del viso, insaponandosi e risciacquandosi tre volte; a questo segui-
va poi il lavaggio dei capelli, anch’esso con tre shampoo e altret-
tanti risciacqui di circa 5 minuti ciascuno. La procedura andava
avanti in modo simile per tutte le altre parti del corpo, tenute ri-
gorosamente separate, scendendo dall’alto in basso, ma evitando i
genitali, a cui era riservato uno speciale trattamento alla fine. Fra
il lavaggio di una parte del corpo e l’altra, Lucia si lavava le mani
e sciacquava con cura il barattolo del bagnoschiuma.
Durante il giorno non evitava praticamente niente e non faceva
rituali di lavaggio particolari, per cui l’esposizione è consistita sem-
plicemente nel continuare a fare la vita di tutti i giorni, entrando in
contatto con le cose di sempre. È stata eseguita, però, una graduale
modificazione prima, e prevenzione poi, della risposta compulsiva,
facendo tollerare a Lucia di coricarsi sempre più “sporca”.
Per fare ancora qualche esempio, si è cercato di farle eseguire il
normale rituale di lavaggio serale, introducendo modifiche sem-
pre più significative, secondo uno schema simile:
Fase IIIa – Programma di trattamento del DOC con compulsioni 101

• lavarsi il viso soltanto due volte;


• utilizzare un bagnoschiuma diverso dal solito, più delicato e
meno “antisettico”;
• non sciacquare il barattolo del bagnoschiuma ogni volta;
• non lavarsi le mani tra una parte del lavaggio e l’altra;
• lavarsi i capelli seduta in vasca anziché in piedi;
• lavarsi i capelli seduta e sciacquarsi soltanto per un minuto
anziché per cinque;
• farsi solo due shampoo anziché tre;
• lavarsi i capelli a sere alterne;
• partire dai piedi e arrivare al viso, rovesciando la sequenza;
• fare prima di tutto il bidet, poi la doccia a sequenza rovesciata.

Modificando gradualmente il rituale si è notata una spontanea


diminuzione del tempo complessivo ad esso dedicato, finché è
stato possibile chiedere a Lucia di provare a coricarsi senza fare
la doccia, ma limitandosi a lavarsi i denti e a fare il bidet. Le fu
lasciata la possibilità di fare la doccia al mattino, impiegandoci
tutto il tempo che voleva, ma, una volta spezzato il significato
ritualistico della doccia stessa, Lucia è stata in grado di impiegare
un tempo normalissimo per lavarsi.

IL DISTURBO DA CONTROLLO
A causa del suo disturbo, Michele si sentiva obbligato a torna-
re continuamente indietro, sulla strada che faceva ogni giorno per
recarsi al lavoro, per controllare di non aver investito involonta-
riamente, guidando l’auto, un pedone o un ciclista. Aveva ridot-
to al minimo indispensabile l’uso dell’automobile, ma durante il
percorso che doveva fare necessariamente cercava di tenere a bada
la sua ossessione in tutti i modi possibili.
Innanzitutto, seguiva una strada molto più lunga, ma più lar-
ga e meno trafficata, in modo da poter viaggiare al centro della
carreggiata e non lungo il bordo stradale; ogni volta che poteva si
faceva accompagnare dalla moglie che, pur non avendo la patente,
doveva stare molto attenta e rassicurarlo continuamente sul fatto
di non aver visto nessun pedone vicino alla macchina e di non
102 Vincere le ossessioni

aver udito alcun rumore sospetto; guidava con lo sguardo rivolto


più allo specchietto retrovisore che alla strada, per poter verificare
continuamente di non aver lasciato feriti dietro di sé; spesso si fer-
mava, scendeva dalla macchina e tornava indietro a controllare che
tutto fosse a posto; se sentiva le sirene di un’ambulanza doveva ne-
cessariamente accertarsi, prima di poter proseguire, di quale fosse il
luogo dove era stato richiesto il soccorso e, talvolta, tornava indie-
tro per verificare di non essere stato la causa di ciò che lo aveva reso
necessario; In alcuni casi telefonava a tutti gli ospedali per sapere
se fosse stata ricoverata qualche vittima di un pirata della strada e
comprava ogni giorno i 3 quotidiani con la cronaca della sua città,
leggendo ogni articolo in cui si parlasse di incidenti stradali, alla
ricerca della prova della sua colpevolezza; le rare volte in cui gli
capitava di leggere o sentir dire che qualcuno era stato investito e
non soccorso, restava terribilmente sconvolto, finché non riusciva
ad avere precise informazioni su dove e quando fosse avvenuto l’in-
cidente, per escludere che potesse esserne stato lui stesso la causa.
Con Michele si è proceduto a una graduale riduzione dei com-
portamenti di controllo, aumentando parallelamente l’esposizio-
ne alle situazioni che innescavano il dubbio patologico. Ecco al-
cuni esempi delle tappe che è riuscito a raggiungere:

• non fare le telefonate agli ospedali;


• non leggere più i quotidiani locali, ma comprare un solo gior-
nale senza la cronaca della città;
• andare da casa al lavoro, con la moglie accanto, che però si
astiene dal rispondere alle richieste di rassicurazione;
• andare da casa al lavoro, con la moglie accanto (che continua
a non fornire alcuna rassicurazione), ma percorrendo la strada
più breve;
• guidare da casa al lavoro, con la moglie accanto, senza fermarsi
o tornare indietro a controllare;
• andare da casa al lavoro, con la moglie accanto, senza fermarsi,
senza tornare indietro a controllare e abolendo i continui con-
trolli nello specchietto retrovisore (appositamente messo fuori
posto);
Fase IIIa – Programma di trattamento del DOC con compulsioni 103

• andare da casa al lavoro, da solo, per la strada più breve e abo-


lendo ogni forma di controllo;
• percorrere altre strade, gradualmente sempre più strette e fre-
quentate dai pedoni, senza fermarsi, senza tornare indietro a
controllare e senza utilizzare lo specchietto retrovisore.

Deborah, invece, soffriva di un disturbo tra i più classici, che


la obbligava, prima di uscire di casa, a tornare a controllare di aver
chiuso il rubinetto del gas, la serratura della cassaforte e i paletti
delle serrande, di aver spento le luci e tutti gli elettrodomestici,
nonché di aver chiuso ogni rubinetto dell’acqua.
Per far ciò seguiva una sequenza ben precisa, che andava peg-
giorando nel tempo, ed era giunta, negli ultimi tempi, ad assume-
re una struttura tale che Deborah doveva ripetere tre volte il giro
completo di tutti i rubinetti, le serrature, gli elettrodomestici e
gli interruttori di casa. Talvolta, poi, rientrava in casa anche dopo
essere già uscita, non contenta dei controlli eseguiti e sospettando
di aver dimenticato qualcosa.
A questo si aggiungeva un rituale ben preciso per la chiusura
dell’automobile, che comprendeva il controllo (tre volte) del freno
a mano, degli interruttori dei fari e della luce interna (che venivano
accesi e rispenti tre volte), nonché delle serrature delle portiere. Non
fidandosi della chiusura centralizzata, Deborah verificava una ad
una tutte le portiere e il portellone, per assicurarsi che fossero bloc-
cati. Talvolta, nonostante questo, tornava indietro dopo aver fatto
qualche decina di metri, per ricontrollare il tutto ancora una volta.
L’esposizione e prevenzione della risposta, in questo caso, è
consistita in un processo simile al seguente:

• uscire di casa facendo tutti i controlli di sempre, ma sforzan-


dosi di non tornare mai indietro dopo essere uscita;
• uscire di casa facendo i soliti tre giri di controllo, ma trala-
sciando, nell’ultimo, di verificare di aver chiuso la cassaforte;
• uscire di casa facendo i soliti tre giri di controllo, ma trala-
sciando, nell’ultimo, di verificare di aver chiuso la cassaforte e
di aver spento gli elettrodomestici;
104 Vincere le ossessioni

• uscire di casa facendo i soliti tre giri di controllo, ma trala-


sciando, nell’ultimo, di verificare di aver chiuso la cassaforte,
di aver spento gli elettrodomestici e di aver serrato i paletti
delle serrande;
• uscire di casa facendo soltanto due giri di controllo;
• uscire di casa riducendo progressivamente, come sopra, i con-
trolli durante il secondo giro;
• uscire di casa facendo un solo giro di controllo;
• uscire di casa riducendo progressivamente, come sopra, i con-
trolli durante l’unico giro, conservando soltanto una rapida
verifica del rubinetto del gas.

Seguendo gli stessi principi, si è costruito con Deborah un


programma per la riduzione dei comportamenti di controllo re-
lativi all’automobile.

IL DISTURBO DA SUPERSTIZIONE ECCESSIVA


Il disturbo di Gianni era caratterizzato dal timore che certi
numeri, in particolare quelli che comprendevano la cifra “7” o la
cui somma delle cifre dava 7 come risultato (es. 115 o 223), fos-
sero particolarmente sfortunati. Non poteva quindi tollerarne la
vista, né poteva sentirli nominare. Evitava rigorosamente targhe
delle macchine, calendari, libri o riviste con le pagine numerate,
autobus e quant’altro potesse contenere i numeri temuti, per non
essere costretto a eseguire alcuni farraginosi rituali di neutralizza-
zione. Anche il numero dei rintocchi delle campane o il passaggio
delle lancette dell’orologio sulla cifra in questione erano sufficien-
ti ad attivare in lui il terrore che potessero accadere tremende
sciagure ai suoi cari se non ricorreva ai suoi cerimoniali.
Questi ultimi consistevano nell’affannosa ricerca di almeno tre
numeri “fortunati”, scelti secondo una logica altrettanto supersti-
ziosa. La loro ricerca, però, costituiva un serio problema, dal mo-
mento che, nel cercarli, incappava inevitabilmente in altri numeri
“sfortunati” ed era costretto a iniziare da capo il processo.
Inizialmente gli era sufficiente estrarre un foglietto su cui si era
annotato tre numeri “fortunati”, ma ben presto aveva iniziato a
Fase IIIa – Programma di trattamento del DOC con compulsioni 105

sentirsi costretto a cercare volta per volta dei numeri nuovi, per-
ché la neutralizzazione potesse considerarsi efficace.
Poiché non c’erano dei numeri che lo sconvolgevano più o
meno di altri, era molto difficile stabilire con lui una gradualità
di stimoli ansiogeni; per questo è stato necessario iniziare con una
graduale esposizione con dilazione della risposta, continuando
con una modificazione della risposta, per arrivare a una completa
prevenzione della risposta.
Più o meno si sono seguiti i seguenti passi:

• ascoltare, leggere, scrivere e/o pronunciare un numero sfortu-


nato e resistere cinque secondi prima di iniziare a cercare i tre
numeri fortunati;
• ascoltare, leggere, scrivere e/o pronunciare un numero sfor-
tunato e resistere per un intervallo di tempo sempre crescen-
te prima di iniziare a cercare i tre numeri fortunati (fino ad
arrivare a 30 minuti, operando una graduale dilazione della
risposta);
• ascoltare, leggere, scrivere e/o pronunciare un numero sfortu-
nato e cercare due numeri fortunati soltanto (modificazione
del rituale);
• ascoltare, leggere, scrivere e/o pronunciare un numero sfor-
tunato e resistere per un intervallo di tempo sempre crescen-
te prima di iniziare a cercare i due numeri fortunati (fino ad
arrivare a 30 minuti, operando una graduale dilazione della
risposta);
• ascoltare, leggere, scrivere e/o pronunciare un numero sfortu-
nato e cercare soltanto un numero fortunato (ulteriore modi-
ficazione del rituale);
• ascoltare, leggere, scrivere e/o pronunciare un numero sfortuna-
to e resistere per un intervallo di tempo sempre crescente prima
di iniziare a cercare l’unico numero fortunato (fino ad arrivare a
30 minuti, operando una graduale dilazione della risposta);
• ascoltare, leggere, scrivere e/o pronunciare un numero sfortu-
nato senza cercare alcun numero fortunato (prevenzione della
risposta).
106 Vincere le ossessioni

LE COMPULSIONI DI ORDINE E SIMMETRIA


Elena teneva tutti i suoi abiti perfettamente ordinati e allineati
nell’armadio, i suoi oggetti da toilette sistemati in modo “per-
fetto” sulle varie mensole del bagno, le stoviglie della sua cucina
sempre pulitissime e disposte in modo simmetrico (ad esempio,
tutte le forchette dovevano stare nel cassetto con le punte orienta-
te nello stesso verso, in modo da sovrapporsi perfettamente l’una
sull’altra), gli oggetti nella borsetta sistemati in modo particolar-
mente preciso e cosi via.
La disposizione della maggior parte degli oggetti personali do-
veva avvenire secondo regole ben precise di ordine e simmetria e,
durante la sua giornata, Elena passava diverse ore a riordinare e
sistemare questi oggetti secondo i propri criteri.
In questo caso, la procedura di esposizione e prevenzione della
risposta è stata articolata in questo modo: Elena è stata esposta
a un graduale “disordine” e invitata prima a rimandare, poi ad
annullare completamente i rituali di riordino. Questi sono solo
alcuni dei passi che ha seguito:

• lasciare una forchetta orientata in senso opposto alle altre nel


cassetto della cucina, inizialmente per 5 minuti, poi per tempi
sempre più lunghi, fino ad arrivare a non metterla più a po-
sto;
• uscire di casa senza mettere a posto gli oggetti nella borsetta,
controllandone l’ordine inizialmente dopo 5 minuti, poi dopo
tempi sempre più lunghi, fino ad arrivare a non metterli più a
posto;
• spostare una delle bottigliette su una mensola del bagno e la-
sciarla fuori posto inizialmente per qualche ora, poi per qualche
giorno, fino a diventare capace di lasciarla definitivamente così;
• spostare, nel bagno, un numero di oggetti sempre maggiore
(es. altre bottigliette, pettini, sapone), impegnandosi a non ri-
metterli a posto;
• spostare, nella cucina, un numero di oggetti sempre maggiore
(es. stoviglie, pentole, biancheria), impegnandosi a non rimet-
terli a posto;
Fase IIIa – Programma di trattamento del DOC con compulsioni 107

• sistemare nell’armadio un indumento in più al giorno, impe-


gnandosi deliberatamente a non allinearlo, piegarlo o impi-
larlo;
• permettere ad un parente di mettere a posto gli indumenti nel
suo armadio, secondo criteri di ordine completamente diversi
dai suoi.

In tutto il percorso è stato attivamente coinvolto un assistente


(nel caso specifico il marito), che procedeva a mettere fuori posto
le cose concordate. L’unico impegno di Elena consisteva nell’aste-
nersi dal rimettere a posto gli oggetti per il periodo di tempo
stabilito o, come negli ultimi passi, a tempo indeterminato, tolle-
rando di lasciare le sue cose sempre più in “disordine”.

LE OSSESSIONI E COMPULSIONI DI ACCUMULO


Raffaele collezionava migliaia di oggetti inutili e senza valore,
che raccoglieva per strada o dovunque fosse possibile, facendo
attenzione a non buttare via niente. Le sue collezioni avevano let-
teralmente invaso la sua abitazione, che per fortuna era piuttosto
grande.
Gli oggetti in questione erano per lo più i tre quotidiani locali,
i pacchetti vuoti di sigarette, le bottiglie dell’acqua e le scatolette
di carne usate.
Raffaele trascorreva gran parte del suo tempo libero, e ulti-
mamente anche di quello non libero, camminando per strada,
frugando nei cassonetti dell’immondizia e intrufolandosi nei ma-
gazzini dei bar o dei ristoranti per recuperare la sua “merce”.
Per mettere in atto la procedura di esposizione e prevenzione
della risposta, come in tutti questi casi, è stato necessario con-
cordare inizialmente con Raffaele una graduale sospensione dei
quotidiani comportamenti di ricerca ed accumulo. Nella fase suc-
cessiva si è impegnato a gettar via, giorno per giorno, qualche
elemento della collezione (esposizione), partendo da quelli di cui
sentiva di potersi liberare più facilmente; l’accordo prevedeva, ov-
viamente, di non andare a riprenderli nel cassonetto (prevenzione
della risposta). Più o meno si sono seguiti i seguenti passi:
108 Vincere le ossessioni

• rinunciare alla raccolta quotidiana di uno dei tre giornali;


• rinunciare alla raccolta quotidiana dei pacchetti di sigarette;
• rinunciare alla ricerca nei cassonetti delle scatolette usate di
carne;
• rinunciare alla raccolta quotidiana di due dei tre giornali;
• rinunciare alla raccolta quotidiana delle bottiglie d’acqua
vuote;
• rinunciare alla raccolta quotidiana di tutti e tre i giornali;
• rinunciare alla raccolta di qualunque oggetto “da collezione”,
compresi quelli in cui inciampava per strada;
• buttar via i giornali più vecchi;
• buttar via i pacchetti di sigarette più accartocciati e danneggiati;
• buttar via le scatolette di carne più sciupate e logore;
• buttar via le bottiglie d’acqua più rovinate o schiacciate;
• buttar via giorno per giorno sempre più giornali, pacchetti di
sigarette, scatolette e bottiglie, fino a gettarli via tutti.

Anche in questo caso si è rivelata estremamente utile la presen-


za di un assistente, che ha accompagnato Raffaele nelle sue pas-
seggiate, ricordandogli cosa doveva impegnarsi a non raccogliere,
e ha provveduto personalmente a buttare gli oggetti concordati,
verificando che Raffaele resistesse alla tentazione di correre a ri-
prenderseli dal cassonetto dell’immondizia.

LE COMPULSIONI MENTALI
Come abbiamo già chiarito in precedenza, le compulsioni
mentali non costituiscono una specifica tipologia di disturbo
ossessivo-compulsivo, ma assumono comunque un ruolo consi-
derevole in molte persone affette da DOC che, quali che siano i
loro timori, possono effettuare dei cerimoniali mentali per tran-
quillizzarsi o per esorcizzare i pensieri negativi.
Il principio d’intervento è assolutamente identico a quello uti-
lizzato per gli altri casi e comprende l’esposizione e prevenzione
della risposta; quest’ultima implica l’impegnarsi a non eseguire
gli abituali conteggi mentali, a non pregare o a non ricorrere ai
pensieri “positivi” neutralizzanti.
Fase IIIa – Programma di trattamento del DOC con compulsioni 109

Sara soffriva di un disturbo ossessivo-compulsivo caratterizza-


to dalla intrusiva presenza di pensieri relativi a ipotetici incidenti
o malattie che colpivano lei stessa o sua madre. Temeva fortemen-
te che tali pensieri potessero in qualche modo avverarsi, per colpa
sua, se, subito dopo l’intrusione, non immaginava in modo molto
realistico una scena opposta a quella tragica che le era passata in-
volontariamente per la testa.
Se, ad esempio, le saltava alla mente l’immagine di sua madre
stesa in un letto d’ospedale, doveva immaginarsela subito dopo
mentre correva liberamente in un prato, visualizzando nel detta-
glio tutti gli organi interni (cuore, polmoni, stomaco, ecc.) per-
fettamente funzionanti.
Se invece le capitava di pensare a se stessa coinvolta in un in-
cidente stradale, doveva immaginarsi sana come al solito, mentre
eseguiva i suoi quotidiani esercizi in palestra, visualizzando tutte
le ossa e le articolazioni del suo corpo in perfetta efficienza.
Queste operazioni mentali le occupavano una gran quantità
di tempo, sia perché le intrusioni relative a malattie o incidenti
si erano gradualmente intensificate, sia perché il rituale mentale,
per essere considerato efficace, non doveva in alcun modo essere
interrotto. Se durante le sue immaginazioni, quindi, le capitava
di essere distratta da qualcosa o, peggio ancora, di pensare a
qualcos’altro di negativo, doveva ripetere da capo tutta la pro-
cedura.
Per cercare di limitare la frequenza dei pensieri intrusivi, Sara
aveva iniziato a evitare qualunque stimolo potesse farle pensare a
malattie o incidenti; evitava quindi riviste e trasmissioni televisive
sulla salute, analisi mediche e cosi via.
Senza dubbio il disturbo di Sara si potrebbe classificare nella tipo-
logia dei disturbi superstiziosi. Tuttavia la particolarità del cerimonia-
le mi ha spinto a inserirla in questo paragrafo, per analizzare il proces-
so attraverso il quale è stato possibile liberarla da questa trappola.
Prima di tutto si sono discusse con lei alcune convinzioni rela-
tive all’importanza attribuita ai pensieri e al senso di responsabi-
lità, evidenziando gli effetti paradossali dei tentativi di controllo
di essi. Nella fase successiva Sara ha affrontato una normale gerar-
110 Vincere le ossessioni

chia di esposizione con dilazione e poi prevenzione della risposta,


organizzata più o meno in modo simile a questo:

• leggere la parola “tumore”, preventivamente scritta su un car-


toncino, immaginando la mamma ammalata e fare il conto
alla rovescia da 10 a 0, in modo da rimandare il rituale di
qualche secondo;
• leggere la parola “tumore” immaginando la mamma ammalata
e fare il conto alla rovescia da 100 a 0, in modo da rimandare
il rituale di qualche decina di secondi;
• leggere la parola “tumore” immaginando la mamma ammalata
e fare il conto alla rovescia da 300 a 0, sottraendo 3 ogni volta
(es. 300, 297, 294, 291, 288, ecc.), in modo da rimandare il
rituale di qualche minuto;
• leggere la parola “tumore” immaginando la mamma ammalata
e fare il conto alla rovescia da 1000 a 0, sottraendo 3 ogni volta,
in modo da rimandare il rituale di qualche decina di minuti;
• leggere la parola “tumore” immaginando la mamma ammalata
e cercare di distrarsi, evitando del tutto di effettuare il rituale
mentale;
• esponendosi ad altre parole minacciose (es. incidente), ripetere la
stessa sequenza di operazioni, immaginando se stessa o la mam-
ma come protagonista di tale sciagura e rimandando gradual-
mente il cerimoniale fino ad annullarne del tutto l’esecuzione.
10
fase iiib – proGramma di
trattamento delle
ossessioni pure

INFORMAZIONI PRELIMINARI
Il disturbo ossessivo puro, come già descritto, è caratterizzato
dalla ricorrente e indesiderata presenza di pensieri, immagini e/o
impulsi il cui contenuto è considerato dal soggetto anormale,
pericoloso per se stesso o per gli altri, immorale o socialmente
sconveniente.
Tra i più comuni contenuti mentali che generano spavento e
fanno cadere nei tranelli ossessivo-compulsivi le persone che li spe-
rimentano ricordiamo pensieri, immagini o impulsi intrusivi di:

• aggredire persone care (figli, genitori, partner, ecc.) o animali,


ad esempio tramite coltelli, forbici o altri oggetti appuntiti;
spingere qualcuno sotto un treno o una macchina, avvelenare
il cibo altrui, ecc.;
• farsi del male, ad esempio gettarsi dalla finestra o da un qua-
lunque posto elevato, lanciarsi sotto un treno o una macchina
in corsa, guidare contromano o fuori strada, tagliarsi (non per
sbaglio) con oggetti affilati o appuntiti, ecc.;
• agire effusioni nei confronti di persone dello stesso sesso (es.
baciarle) o avere veri e propri rapporti omosessuali;
• toccare in modo non “innocente” bambini o bambine, lan-
ciare loro sguardi provocanti o agire nei loro confronti atti
sessuali;
112 Vincere le ossessioni

• avere rapporti intimi, sessuali o storie sentimentali con perso-


ne diverse dal proprio partner (tradimento mentale);
• pronunciare insulti o bestemmie nei confronti di divinità (es.
in chiesa), morti o maghi, nonostante lo si ritenga immorale e
sconveniente;
• rubare oggetti o soldi nei negozi, imbrogliare qualcuno, offen-
derlo pesantemente o compiere altri atti discontrollati.

Qualunque sia la natura delle fantasie o dei desideri che si pre-


sentano, tutti hanno la caratteristica comune di indurre la persona
a pensare che esse siano il segno della propria natura “nascosta”:
aggressiva, autolesionista, omosessuale o tendente latentemente
alla pedofilia, traditrice, blasfema, ladra, malvagia e cosi via.
In realtà, ognuno di questi contenuti mentali è assolutamente
normale, al pari di ogni altro pensiero ossessivo. Ciò che li rende
così frequenti e disturbanti è il fatto che la loro comparsa occa-
sionale, spesso totalmente inaspettata, viene vissuta dal soggetto
come pericolosa e soprattutto moralmente inaccettabile.
Abbiamo già discusso dell’eccessiva importanza che chi soffre
di ossessioni tende ad attribuire ai propri pensieri, ma per quanto
riguarda il DOC con ossessioni pure tale aspetto cognitivo è tal-
mente importante che merita di essere ripreso.
Come abbiamo visto, nel disturbo ossessivo con compulsioni
la persona, incapace di accettare l’inevitabile rischio che si avve-
rino certi eventi negativi prefigurati mentalmente, mette in atto
alcuni comportamenti con lo scopo illusorio di evitare che si re-
alizzino o almeno con la sensazione di aver fatto tutto il possibile
per evitarlo. Nel DOC caratterizzato da ossessioni pure, invece,
le scene immaginate non hanno nessun rischio reale di avverarsi.
Ciò che causa il loro incessante ripresentarsi e la paura e angoscia
di chi li sperimenta, derivante dalle erronee attribuzioni di signifi-
cato associate alla loro comparsa, che impediscono di considerare
tali pensieri dei normali eventi mentali e di lasciarli scorrere senza
allarmarsi.
I tre grandi elementi che caratterizzano gli esseri umani sono
i comportamenti, i pensieri e le emozioni. Sulla quasi totalità dei
Fase IIIb – Programma di trattamento delle ossessioni pure 113

comportamenti (comprese le compulsioni, come abbiamo discus-


so altrove) noi abbiamo il totale controllo, ovvero siamo sempre
in grado di decidere se e come comportarci in ogni situazione,
anche se talvolta le emozioni forti sembrano prendere il soprav-
vento. Sui pensieri e sulle emozioni, invece, il nostro controllo è
molto scarso.
Per quanto riguarda i primi rimandiamo alla lettura del para-
grafo relativo all’argomento, mentre ci soffermeremo a considera-
re l’altro elemento che sfugge al nostro controllo: le emozioni (che
comprendono anche i cosiddetti impulsi). È su di esse, infatti che
abbiamo il controllo minore, in quanto è impossibile decidere di
non arrabbiarsi se qualcosa o qualcuno suscita in noi rabbia, in
quanto ci impedisce di raggiungere uno scopo importante, così
come non si può stabilire di non provare ansia se stiamo correndo
un rischio o siamo in attesa dell’esito incerto di una questione
che ci sta molto a cuore. Inoltre, una certa dose di sadismo e ag-
gressività sembra essere intrinseca a ogni essere umano e ciò che
normalmente limita i nostri comportamenti è soltanto la consa-
pevolezza del danno che le nostre azioni potrebbero arrecare.
Come non possiamo impedire la comparsa delle emozioni ne-
gative, non possiamo agire neanche su quelle positive: una bel-
la donna susciterà sempre una forte attrazione fisica ed emotiva
nell’uomo che la trova affascinante, anche se questo fosse inna-
moratissimo della propria partner. Allo stesso modo, un bel corpo
maschile o femminile possono attrarre persone dello stesso sesso
per la loro bellezza intrinseca o, più semplicemente, per l’invidia
che suscitano, fino a generare impulsi omoerotici assolutamente
normali.
Questi piccoli esempi sono utili a mostrare con chiarezza
come ogni impulso, anche quello apparentemente più strano, in
realtà sia normale e non implichi nessun significato riguardante
la natura di chi lo prova. Affacciarsi a una finestra e sentire una
spinta a lanciarsi nel vuoto, avere in mano un coltello affilato
e immaginare di conficcarlo nella pancia del proprio bambino,
notare un bel corpo maschile e, pur essendo dello stesso sesso,
lasciarsi andare alla fantasia di strusciarvisi contro, di baciarlo o
114 Vincere le ossessioni

di penetrarlo, vedere un bel bimbo nudo e ipotizzare di mastur-


barlo, sono fenomeni che, occasionalmente, capitano a tutti, ma
che vengono presi scarsamente in considerazione dalle persone,
poiché sono ritenuti dei “semplici pensieri”.
Se per qualche motivo, però, tali pensieri, immagini o impulsi
vengono giudicati inaccettabili, pericolosi, manifestazioni di squi-
libri inerenti alla persona, essi generano molta ansia e inducono
il soggetto a mettere in atto alcune strategie disfunzionali, utili a
breve termine per tenere sotto controllo il disagio, ma capaci di
trasformare rapidamente tali fantasie occasionali in pensieri osses-
sivi ricorrenti, disturbanti e invalidanti.
Una di queste strategie, di cui abbiamo già discusso, è il ten-
tativo di controllare i propri pensieri, cercando di sopprimere le
fantasie indesiderate e di pensare ad altro quando si affrontano
le situazioni che tendono a innescarle (es. il confronto con altri
uomini, se si ha paura di essere omosessuali). Tale sforzo, oltre a
essere necessariamente fallimentare, produce l’effetto paradossale
di aumentare l’attenzione sui propri contenuti mentali e di auto-
indursi proprio quelli meno voluti.
La tendenza più spontanea delle persone con ossessioni pure,
comunque, è quella di evitare metodicamente tutte le situazioni
in cui si possa verificare l’eventualità di incappare in stimoli in
grado di innescare l’ossessione. Così, solo per fare alcuni esempi,
accade che chi teme di perdere il controllo dei propri impulsi
aggressivi stia alla larga da oggetti appuntiti o pericolosi, faccia in
modo di non essere lasciato solo con persone deboli e indifese (es.
i propri figli), si isoli sempre di più ed eviti di leggere libri o guar-
dare film in cui vi siano scene di violenza, come se potessero for-
nirgli delle ispirazioni o slatentizzare i suoi impulsi violenti. Colui
che ha paura di essere un pedofilo, allo stesso modo, evita tutto
ciò che ha a che fare con l’argomento e soprattutto i luoghi in cui
può incontrare bambini, poiché inevitabilmente essi suscitano in
lui impulsi “perversi”. Chi ha pensieri ossessivi di tradimento, si
astiene dal guardare altre donne (nel caso in cui, ad esempio, sia
un uomo eterosessuale regolarmente accoppiato), ma evita anche
semplici immagini su giornali o trasmissioni televisive in cui sia-
Fase IIIb – Programma di trattamento delle ossessioni pure 115

no presenti affascinanti veline, perché gli inevitabili impulsi nei


confronti di esse innescano in lui la paura di non
la paura essere
di non innamorato
essere innamo-
della propria
rato della partner,
propria con icon
partner, relativi sensisensi
i relativi di colpa derivati
di colpa dal pro-
derivati dal
seguimento
proseguimento delladella
relazione.
relazione.
Tali evitamenti sono profondamente dannosi, poiché, pur
consentendo al soggetto, di essere meno turbato, a breve termine,
dai pensieri ossessivi e dai dubbi sulla propria identità, lo rendo-
no sempre più incapace di accettare tali pensieri come normali
e inevitabili, di non averne paura, di non sentirsi in colpa per la
loro presenza. Acquisire la capacità di accettare i propri pensieri e
impulsi intrusivi è l’unico modo per giungere gradualmente alla
loro scomparsa o, più precisamente, alla drastica riduzione della
frequenza con cui si presentano, perché, non dobbiamo dimen-
ticarlo, la loro presenza occasionale resta un fenomeno comune,
normale e inevitabile!
All’evitamento, generalmente, si alterna la cosiddetta “messa
alla prova”. Chi soffre di tali forme di DOC, infatti, affronta le si-
tuazioni che non può evitare e in cui deve confrontarsi con gli sti-
moli temuti tenendosi sotto controllo, per verificare cosa gli passa
nella testa e che tipo di emozioni e sensazioni prova. Colui che è
ossessionato dalla preoccupazione di essere omosessuale, quindi,
interagisce con ogni altra persona dello stesso sesso monitorando
attentamente il proprio flusso di pensieri, alla ricerca di eventuali
fantasie positive nei confronti di esse, e il proprio stato di attiva-
zione emozionale e di eccitamento fisico, ovviamente sperando di
non avvertirne (e invece lo avvertirà!).
Abbiamo già discusso di come l’attenzione ai propri contenuti
mentali, o meglio il controllo dell’assenza di certi pensieri, non
faccia altro che indurli, per cui è superfluo dire che il risultato
di questo test è generalmente negativo, in quanto per lo più si
conclude con una conferma delle paure di chi lo ha messo in
atto. Anche l’attenzione eccessiva ai propri stati emozionali e alle
proprie sensazioni fisiche, tuttavia, non fa altro che indurre ciò
che meno desideriamo, perché toglie spontaneità all’interazione
e crea un’attivazione emozionale, anche semplicemente di natura
ansiogena, che viene facilmente confusa con eccitazione sessuale
116 Vincere le ossessioni

(nel caso del timore di tradimento, omosessualità o pedofilia),


impulso aggressivo (nel caso del timore di far del male agli altri)
o autolesivo, e cosi via.
La presenza occasionale di certe fantasie ritenute “strane” e
“anormali”, dunque, innesca un tremendo circolo vizioso carat-
terizzato da tentativi di controllare i pensieri, evitamenti e messe
alla prova, che non fanno altro che alimentare i dubbi del sogget-
to sulla propria natura e sui propri desideri perversi o immorali.
Potrebbe venirvi in mente di chiedervi come mai è accaduto
proprio a voi di rimanere intrappolati in un simile meccanismo
e certamente la risposta più spontanea sarebbe che ciò avviene
perché avete un’indole più malvagia o perversa. In realtà è proprio
il contrario! Tutti, come abbiamo già detto e ripetuto, hanno di
tanto in tanto questi pensieri e questi impulsi, a ognuno capita
di immaginare come sarebbe compiere gesti inconsueti: cosa pro-
verebbe, ad esempio, gettandosi da una finestra o sotto un tre-
no, gratificando, così, mentalmente il proprio istinto masochista;
come sarebbe aggredire o torturare qualcun altro, seguendo, in
questo modo, i propri impulsi sadici, quali sensazione potrebbe
sperimentare baciando o facendo l’amore con un partner diverso
dal solito, assecondando, di conseguenza, la natura umana tutt’al-
tro che monogamica, e cosi via. Ma la cosa che probabilmente vi
sembrerà più strana è che chi sperimenta questi pensieri, spesso lo
fa con grande piacere e che questo piacere è amplificato proprio
dal fatto che si tratta di desideri proibiti e irrealizzabili.
Ciò che differenzia una persona che soffre di ossessioni da
qualunque altra e, di conseguenza, costituisce il reale problema,
non è il fatto di pensare o provare cose più “strane”, ma la convin-
zione che esse siano “strane” e uniche, quindi segno di qualcosa
di sbagliato nella persona che le sperimenta. È come se le persone
ossessive avessero una teoria troppo rigida riguardo alla propria
mente, che le porta a pretendere di incanalare i propri pensieri e le
proprie emozioni all’interno di binari troppo stretti. Ogni qual-
volta si accorgono che qualche pensiero, sensazione o emozione
non è coerente con quelle che ritengono di dover sperimentare
nelle varie situazioni, dubitano della propria normalità e si giudi-
Fase IIIb – Programma di trattamento delle ossessioni pure 117

cano troppo severamente, cercando di riacquisire il controllo dei


propri contenuti mentali e di mantenerli entro il limite di ciò che
ritengono lecito pensare e provare. Quando questa operazione
fallisce, tuttavia, cadono nella trappola del disturbo ossessivo.
Una caratteristica che si riscontra spesso in chi soffre di questo
tipo di problemi, inoltre, è la tendenza a credere che, abbando-
nandosi alle fantasie indesiderate, concedendosele e accettandole,
dando loro libero sfogo, possano perdere realmente il controllo
del proprio comportamento, agendo ciò che immaginano. In re-
altà, ancora una volta, è vero il contrario. Più penso a una cosa
e la vivo nella mia immaginazione, più si dissolve l’impulso ad
agirla. Viceversa, più la considero una cosa immorale e “da non
pensare neanche”, più essa diventa desiderabile, secondo il prin-
cipio psicologico ben noto per cui tutto ciò che è vietato diventa
più appetibile.
Occorre poi considerare un ultimo fattore, di natura mora-
le, con implicazioni spesso religiose, che porta queste persone a
non accettare la presenza di alcuni pensieri e impulsi, con tutte le
conseguenze illustrate: il cosiddetto “peccato d’intenzione”. Rite-
nere un “atto impuro” il semplice pensiero e desiderio di attuarlo,
sentendosi in colpa, va contro al normale funzionamento psico-
logico, dato che, come ho già spiegato, il controllo sui pensieri
e sulle emozioni è molto basso. Ognuno è libero di avere il suo
sistema di valori e di giudicarsi colpevole o meno in base ai propri
comportamenti, ma applicare le stesse regole ai contenuti mentali
è decisamente disfunzionale e ossessivizzante.
È importante ricordare che il peccato, anche dal punto di vi-
sta strettamente religioso, non consiste nel non avere tentazioni,
ma nel riuscire a resistere ad esse. Persino i Santi sono considerati
tali non perché non abbiano avuto tentazioni terrene, ma per il
fatto di aver avuto un comportamento esemplare, senza lasciarsi
condizionare dalle “cattive intenzioni”. È assurdo, quindi, sentirsi
moralmente “sporchi” per il semplice fatto di provare desideri o
fantasie di un certo tipo, sia che riguardino il far del male a qual-
cuno o a se stessi, il togliersi la vita, il tradire la moglie o il marito,
l’avere rapporti sessuali con una persona del nostro stesso sesso o
118 Vincere le ossessioni

con una giovanissima fanciulla; inoltre, qualunque tentativo di


mantenersi la coscienza “pulita”, in tal senso, è destinato inevita-
bilmente a fallire.

IL PROGRAMMA TERAPEUTICO
Se passeggiando al mercato la vostra attenzione si fermasse su
un variopinto banco di frutta e cominciaste a immaginare come
sarebbe bello stare dietro a quella bancarella a fare il venditore,
magari desiderando di sostituirvi al fruttivendolo che contratta
animatamente con le massaie, ciò vi creerebbe un problema? Giu-
dichereste tale pensiero come segno di stranezza o di un desiderio
latente di fare il fruttivendolo? Ne avreste paura, cerchereste di
sopprimerlo, pensereste che è il segno che avete sbagliato tutto
nella vita perché quella era la vostra aspirazione e avreste dovuto
realizzarla? Suppongo proprio di no! Infatti, certamente vi conce-
dereste di lasciarlo scorrere per qualche frazione di secondo, fino
a lasciarlo sostituire spontaneamente da altri pensieri. E il nostro
obiettivo è proprio questo. Per uscire dalla trappola del DOC
dobbiamo arrivare a far sì che i vostri “cattivi” desideri siano giu-
dicati al pari di quello di sostituirvi al fruttivendolo, senza destare
in voi alcuna paura o senso di colpa. Lo scopo principale dell’in-
tervento, infatti, è proprio quello di imparare a lasciar scorrere
questi pensieri, a non valutarli come pericolosi, strani, inaccetta-
bili o immorali. Per ottenere questo occorre un intenso e costante
allenamento mentale a porre l’attenzione su ciò che ci passa per
la mente dopo che si sono presentate le intrusioni ed è necessario
imparare a modificare i giudizi sui pensieri e sulle emozioni di cui
abbiamo parlato fino a ora.
Per iniziare a lavorare è utile che vi alleniate, per almeno una
settimana o due, a individuare le sequenze problematiche e a
scinderle in una serie di fattori, utilizzando una scheda analoga a
quella che potete vedere a pagina 119.
DATA SITUAZIONE COSA MI È PAS- INTERPRETAZIONE DISAGIO COMPORTAMENTO
E ORA Dov’ero, con chi SATO IN TESTA DELL’INTRUSIONE Quanto mi Cosa ho fatto per abbassare l’ansia?
ero, cosa stavo Pensiero intrusivo, Cosa ho pensato in merito all’intru- sono sentito in Come mi sono comportato?
facendo, dubbio, immagine sione? Cosa significava per me quella ansia?
cos’è accaduto? ricorrente, intrusione? Cosa poteva indicare il (da 0 a 100)
ossessione, ecc. fatto che si era presentata quella
intrusione? Cosa poteva succedere
in seguito al presentarsi di quell’in-
trusione?

23/02 Ero in palestra e mi Pensiero: “Che pene Se ho un pensiero e un impulso del 80 Mi sono girato dall’altra parte, cercando
18.30 è passato accanto grosso che ha!”, genere probabilmente sono omosessuale di scacciare l’immagine. Ho cercato
un bel ragazzo associato all’impulso a o bisessuale! Se mi avvicinassi troppo subito una bella ragazza per vedere se
nudo. toccarlo. forse perderei il controllo e glielo toc- mi eccitava guardarla.
cherei davvero.
28/02 Ero sola in casa e Immagine di buttar- Oddio! Questo è un pensiero da 90 Mi sono allontanata immediatamente
10.30 stavo chiudendo le mi di sotto, associata depressa. Probabilmente ho il desiderio dalla finestra e ho cercato di sopprimere
persiane, per far per un attimo a una di uccidermi e se non sto attenta potrei la fantasia di gettarmi.
questo ho dovuto strana sensazione farlo.
sporgermi un po’. piacevole.
DATA SITUAZIONE COSA MI INTERPRETAZIONE DISAGIO REINTERPRETAZIONE DISAGIO COMPORTAMENTO
E ORA Dov’ero, con chi È PASSATO DELL’INTRUSIONE Quanto NORMALIZZANTE Quanto Come mi sono
ero, cosa stavo IN TESTA Cosa ho pensato in mi sono Come posso interpretare ciò mi sono comportato?
facendo, cos’è Pensiero merito all’intrusione? sentito in che mi è venuto in mente sentito in
accaduto? intrusivo, Cosa significava per me ansia? (da alla luce di tutto quello che ansia dopo
dubbio, quella intrusione? Cosa 0 a 100) ho imparato sul normale la reinter-
immagine poteva indicare il fatto funzionamento psicologico? pretazione?
ricorrente, che si era presentata (da 0 a
ossessione, quella intrusione? Cosa 100)
ecc. poteva succedere in
seguito al presentarsi
di quell’intrusione?
23/02 Ero in palestra Pensiero: Se ho un pensiero e Tutti gli essere umani hanno Sono rimasto nello spo-
18.30 e mi è passato “Che pene un impulso del genere pensieri e impulsi del genere. gliatoio e ho continuato
accanto un bel grosso che probabilmente sono Non c’è niente di male. Io li a osservare il ragazzo
ragazzo nudo. ha!”, associa- omosessuale o bisessuale! 80 ho così spesso solo perché non 40 per qualche secondo,
to all’impulso Se mi avvicinassi troppo voglio averli e li considero lasciandomi andare alla
a toccarlo. forse perderei il con- anormali. Posso concedermi fantasia di accarezzarlo
trollo e glielo toccherei di pensarlo quanto voglio ma sui genitali.
davvero. non lo farei mai.
28/02 Ero sola in casa e Immagine Oddio! Questo è un Tutti gli essere umani hanno Sono rimasta qualche
10.30 stavo chiudendo di buttarmi pensiero da depressa. pensieri e impulsi del genere. secondo affacciata conce-
le persiane, per di sotto, Probabilmente ho il Non hanno nulla a che fare dendomi di immaginare
far questo ho associata per desiderio di uccidermi e 90 con il mio umore. Io li ho 60 di spiccare un bel volo.
dovuto sporgermi un attimo a se non sto attenta potrei così spesso solo perché li temo
un po’. una strana farlo. e li considero anormali. Posso
sensazione pensarlo quanto voglio ma
piacevole. non lo farei mai.
Fase IIIb – Programma di trattamento delle ossessioni pure 121

Una volta che avete imparato a riconoscere i pensieri e le im-


magini ossessive da tutte le interpretazioni che operate su di esse,
a causa delle quali si determina in voi lo stato emotivo di ansia
e l’eventuale senso di colpa, potete provare a sostituire la scheda
con una più complessa, simile a quella che trovate a pagina 120.
L’utilizzo di queste schede, se compilate con frequenza, possi-
bilmente ogni volta che si presentano i pensieri intrusivi e il più
possibile “a caldo”, potrà aiutarvi nel processo di accettazione dei
pensieri e delle emozioni indesiderate e nello sviluppo della ca-
pacità di attribuire la loro comparsa così frequente e automatica
(certamente non normale) al vostro disturbo. In questo modo,
sarà anche più semplice tener presente che l’eccessivo reiterarsi
di pensieri e immagini disturbanti è stato innescato dall’iniziale
giudizio di anormalità e stranezza che avete attribuito a essi; da lì,
infatti, è nata in voi la paura che ha avviato quei circoli viziosi di
cui abbiamo discusso in precedenza.
Ovviamente, il processo di accettazione dei pensieri e degli
impulsi che abbiamo fin qui analizzato deve essere applicato più
spesso possibile ed essere associato a una graduale riduzione dei
comportamenti di evitamento e delle messe alla prova.
Per far ciò, è necessario costruire accuratamente una gerarchia
di stimoli ansiogeni, ordinandoli dal meno temuto al più temuto.
Il modo migliore per svolgere questo compito è fare uno sforzo
d’immaginazione. Prendete carta e penna e, senza pensarci trop-
po, buttate giù tutte le cose che normalmente evitate per sentirvi
tranquilli e tentare di contenere i pensieri ossessivi. In pratica,
elencate una per una tutte le situazioni in cui fate in modo di
non trovarvi per non essere costretti a tollerare l’ansia. Scrivete,
inoltre, sempre una per una, tutte le situazioni che non potete
normalmente evitare, ma che quotidianamente attivano le vostre
paure e i vostri impulsi (ad esempio quelle che avete riportato
nelle schede). Una volta che avete individuato almeno 10 o 15
situazioni problematiche, cercate di immaginare quanto vi sen-
tireste a disagio, quanta ansia provereste, nel caso in cui doveste
trovarvi in ognuna di esse, senza poterle evitare e senza contrasta-
re i “cattivi desideri” che si presenterebbero, bensì abbandonan-
122 Vincere le ossessioni

dovi ad essi. Attribuite al disagio che avete immaginato di provare


un valore numerico su una scala da 0 a 10, dove 0 corrisponde a
ciò che non vi crea alcun problema e 10 esprime il massimo del
disagio che abbiate mai provato. Cercate di attribuire il punteggio
non indicando sempre il massimo o il minimo, ma sforzandovi
di distinguere molti livelli intermedi. Dopo aver individuato una
serie di situazioni ansiogene e aver quantificato il disagio che vi
creerebbero, riscrivetele, ordinandole in modo crescente, parten-
do dalle situazioni a cui avete assegnato il valore 1, per arrivare a
quelle che avete valutato 10. Se vi accorgete che un determinato
valore non è stato assegnato a nessuna situazione, mentre altri
sono stati associati a più di due, cercate di rivalutare le singole
situazioni o di introdurne altre intermedie, finché non riuscite a
disporre di un elenco in cui vi sono una o due situazioni proble-
matiche per ogni livello di disagio.
A questo punto, facendo ovviamente tesoro di ciò che avete
appreso finora, dovreste essere pronti per cominciare l’esposizio-
ne. Controllate però che la lista che avete stilato comprenda solo
situazioni che siete in grado di riprodurre con una certa facilità
nella vostra vita quotidiana, dato che dovrete esporvi ad esse con
regolarità, giorno per giorno o, meglio ancora, più di una volta
al giorno.
Riconsiderando la classifica delle situazioni ansiogene, ordina-
te da quella con punteggio più basso a quella con la valutazione
più alta, trasformate ognuna in un possibile esercizio di esposi-
zione. Se, ad esempio, avete scritto che evitate di guardare negozi
di giocattoli o di vestiti per bambini (poiché temete di essere un
pedofilo) e che guardarli vi creerebbe un’ansia pari a 3 (sulla no-
stra scala da 0 a 10), l’esercizio consisterà nel guardare ogni gior-
no un negozio del genere per diversi minuti, finché non ci avrete
fatto talmente l’abitudine che vi sembrerà la cosa più normale del
mondo.
Scopo dell’esercizio è proprio quello di innescare volutamente
le fantasie “perverse”, in modo che possiate allenarvi a normaliz-
zarle, accettarle e lasciarle scorrere, come avete appreso utilizzan-
do le schede riportate sopra.
Fase IIIb – Programma di trattamento delle ossessioni pure 123

Quando guardare i negozi non sarà più un problema, o lo


sarà molto meno di prima, potrete passare all’esercizio di livello
superiore (4, in questo caso), che potrebbe essere, a titolo pura-
mente esemplificativo, camminare intorno a un giardinetto dove
giocano i bambini, ancora una volta abbandonandovi ai pensieri
e alle fantasie che vi verranno in mente in modo automatico, pro-
lungandoli fino a quando non vi abituerete a conviverci.
Tradotto in pratica, dovrete fronteggiare una a una, nel modo
più graduale possibile, tutte le situazioni che avete scritto nella
lista, stando attenti a non viverle come una messa alla prova. Lo
scopo, infatti, non deve essere quello di dimostrare a voi stessi
che non vi suscitano niente, ma viceversa di dare libero sfogo alle
peggiori fantasie temute e di assaporarne le conseguenti emozioni
positive, finché non vi sentirete più in colpa e non avvertirete più
alcuna paura nell’eseguire l’esercizio.
Gli esercizi di esposizione devono essere portati avanti con
grande costanza e determinazione, meglio se una o due volte al
giorno, ma non meno di due o tre volte alla settimana. Anche il
tempo impiegato per le esercitazioni ha una notevole importan-
za: esse non devono essere affrettate, ma è necessario che durino
abbastanza a lungo da consentire al disagio attivato dall’esposi-
zione di decrescere spontaneamente, anche se avete concesso alla
vostra mente di galoppare fra le fantasie più strane. Ogni esercizio
deve essere ripetuto più volte, fino a quando vi creerà la metà, o
meno, del disagio che vi creava all’inizio. Solo a questo punto
sarete pronti per passare all’esercizio successivo, quello che nella
scaletta che avete costruito si trova sul gradino immediatamente
superiore.
Perseverate senza scoraggiarvi mai e ricordate sempre una cosa
fondamentale: finché vivrete gli esercizi come un esperimento per
verificare se siete o meno pedofili, omosessuali, violenti, traditori
o che so io, fallirete; se li svolgete come prova, ragionando in
termini: “Se provo a farlo e funziona, bene, altrimenti vuol dire
che era come temevo…”, invalidate qualunque esercizio. Cercate
di uscire dal meccanismo di messa alla prova continua e provate
a vivere le situazioni della vostra vita nel modo più spontaneo
124 Vincere le ossessioni

possibile. Ricordate che dobbiamo arrivare al punto in cui non


vi porrete più il problema di attribuire un significato a ciò che
pensate o provate, perché siete in grado di concedervi di pensare
e provare qualunque cosa, senza limiti o tabù!

UN CASO CLINICO
Giulia era affetta da un disturbo caratterizzato dalla angoscian-
te presenza di immagini e pensieri aggressivi nei confronti della
figlia appena nata. Aveva sempre avuto pensieri aggressivi, invo-
lontari e fastidiosi, nei confronti di persone care, quali il marito
e i propri genitori, ma era sempre riuscita a gestirli alla meno
peggio, convincendosi del fatto che non avrebbe mai fatto niente
di quello che le passava per la testa.
La nascita della figlia, però, aveva aggravato questa sintomato-
logia e per Giulia era diventato praticamente impossibile avere a
che fare da sola con la bambina. Doveva sempre avere qualcuno
che la tenesse d’occhio, per avere la certezza di essere fermata nel
caso in cui avesse fatto qualcosa di male. Ormai da tempo evitava
di utilizzare forbici o coltelli, soprattutto se si trovava nelle vici-
nanze della figlia. Aveva smesso di guardare film violenti o dell’or-
rore, che tra l’altro le erano sempre piaciuti molto, perché adesso
attivavano prepotentemente le sue paure di perdere il controllo.
Non leggeva più i giornali e non guardava più la TV, perché tutte
le notizie di delitti, in particolar modo quelle relative a gesti folli
compiuti da madri “impazzite”, la angosciavano terribilmente.
Per aiutare Giulia è stato necessario affrontare il problema
dell’eccessiva importanza attribuita ai pensieri e agli impulsi: le è
stato spiegato, infatti, che il disturbo ossessivo, in questi casi, con-
siste proprio nell’interpretare la comparsa di tali fenomeni mentali
come il segno di una nostra intrinseca “malvagità”, che un giorno
potrebbe prendere il sopravvento e condurci a fare cose realmente
terribili. Credere che certi impulsi siano “sbagliati” e “anormali” ci
induce a mettere in atto delle strategie di controllo che ottengono
l’effetto contrario, incrementandone la frequenza, e a evitare tutto
quello che possa farli scaturire, aumentando, in maniera ingiusti-
ficata, il senso di pericolosità attribuito ad essi. Inoltre, dobbiamo
Fase IIIb – Programma di trattamento delle ossessioni pure 125

aggiungere che Giulia si sentiva in colpa per il fatto stesso di avere


dei “cattivi pensieri” nei confronti di persone care, come se fosse
una cosa moralmente deplorevole; ciò contribuiva a renderli inac-
cettabili e inaspriva il tentativo di respingerli.
Dopo aver fatto assimilare a Giulia i concetti sopra esposti,
almeno dal punto di vista teorico, e averla fatta esercitare per
qualche settimana con le schede di riattribuzione normalizzan-
te, è stato sviluppato un programma per esporla gradualmente ai
pensieri temuti, facendo in modo che ne accettasse la presenza e
si rendesse conto della loro innocuità. Ecco alcune delle cose che
le sono state richieste:

• guardare regolarmente alcuni film dal contenuto violento;


• guardare ogni giorno il telegiornale;
• leggere ogni giorno la cronaca nera dei quotidiani;
• visitare un sito Internet sul quale sono raccolte le storie di tutti
i delitti più strani e discussi, leggendo un dossier al giorno
relativo ai crimini familiari;
• maneggiare coltelli e forbici a lungo e da sola, immaginando
scene aggressive;
• maneggiare coltelli e forbici, di dimensioni e forme via via
maggiori e più appuntite, avvicinandosi gradualmente, con i
peggiori pensieri aggressivi, ad alcuni familiari;
• appoggiare un coltello alla gola del marito, cingendolo da die-
tro e pensando intensamente di conficcarglielo nel collo;
• appoggiare un coltello sul piede della figlia, pensando di affon-
darlo nella carne;
• appoggiare un coltello alla gola della bimba, pensando di sgoz-
zarla.

Procedendo in questo modo e ripetendo ogni esercizio fin-


ché non le creava più ansia, Giulia è arrivata ad esporsi all’ultima
terribile prova con relativa facilità, rendendosi definitivamente
conto di quanto i suoi pensieri aggressivi fossero, in realtà, inno-
cui e imparando, al contempo, a concedersi di sperimentare tali
“cattivi desideri”.
126 Vincere le ossessioni

Una volta riuscita a non dare importanza a quei pensieri e


avendo cominciato a non temerli più, essi sono diventati a poco a
poco sempre meno frequenti, fino a tornare ad essere dei normali,
per quanto bizzarri, impulsi occasionali.
11
fase iV – preVenzione
della ricaduta

IL DOC È UN DISTURBO AD ALTO RISCHIO DI RICADUTA


Un buon trattamento, secondo i principi esposti in questo vo-
lume, può effettivamente liberare dai sintomi del DOC o farli
diminuire molto.
Chi ha sofferto di DOC, tuttavia, è ad alto rischio di ricaduta.
La sola terapia farmacologica, anche quando è efficace, non ga-
rantisce assolutamente che, alla sospensione dei farmaci, i miglio-
ramenti vengano mantenuti. Circa l’80% dei casi incorre entro
breve in una ricaduta.
Con la psicoterapia cognitivo-comportamentale i tassi di rica-
duta sono invece molto più bassi, nell’ordine del 15-20%; ma per
ridurre al minimo le probabilità di ricadere è necessario seguire
con scrupolosa attenzione, vita natural durante, le indicazioni che
troverete nei prossimi paragrafi.
La predisposizione al DOC, infatti, non abbandona mai la
persona. Tuttavia, con alcuni piccoli accorgimenti preventivi, è
possibile tenersi alla larga dai sintomi a vita. È però inevitabile
che, soprattutto in certi momenti, alcuni fenomeni tendano a fare
nuovamente capolino e il vostro intervento immediato vi eviterà
di innescare nuovi circoli viziosi da cui, come avrete sperimenta-
to, è molto faticoso uscire.
È chiaro quindi che un “ex-DOC” rimarrà sempre tale, anche
se può rimanere libero da sintomi. Esserne consapevoli vi aiuterà
a prevenire le ricadute.
128 Vincere le ossessioni

Anche se non è stato completamente dimostrato, è ragionevo-


le pensare che si sia tanto più a rischio di ricaduta quanto meno si
sono modificate, parallelamente alle modalità comportamentali,
le rigide convinzioni, cui abbiamo fatto cenno più volte, relative
al senso di responsabilità e di colpa per gli eventuali danni, all’im-
portanza dei pensieri, alla pericolosità dell’ansia e così via.
Per questo motivo, anche se siete riusciti da soli, o peggio, gra-
zie ai farmaci, a liberarvi parzialmente o totalmente dai sintomi, è
consigliabile, soprattutto nei casi medio-gravi, ricorrere all’aiuto
di uno psicoterapeuta cognitivo-comportamentale con cui lavo-
rare su questi aspetti.

ESPOSIZIONE COSTANTE AGLI STIMOLI ANSIOGENI


Tramite la costante esposizione alle situazioni che tendevate a
evitare, unitamente all’interruzione volontaria dei rituali, dovre-
ste aver raggiunto una notevole padronanza sui sintomi ed è pro-
babile che adesso affrontare le stesse situazioni non sia più fonte
di particolare disagio.
Questo, però, non deve far dimenticare che i fenomeni di con-
dizionamento sono molto resistenti e difficilmente si estinguo-
no del tutto; se non continuiamo a esporci quotidianamente, o
quasi, alle situazioni che innescavano i nostri pensieri ossessivi,
ovviamente senza mettere in atto alcun rituale, è probabile che,
trovandoci casualmente a doverle affrontare di nuovo, si ripresen-
tino prepotentemente le stesse ossessioni.
Facciamo un esempio: soffrivate di un disturbo da contami-
nazione in cui gli agenti “contaminanti” erano tutti i saponi in
polvere e/o le sostanze chimiche in generale e ne siete venuti fuo-
ri, faticosamente, seguendo i principi dell’esposizione e preven-
zione della risposta. Per evitare una ricaduta è opportuno che vi
prendiate l’impegno quotidiano di utilizzare e maneggiare una di
quelle sostanze, anche se preferireste usare, ad esempio, un sapone
liquido.
Tralasciare questo semplice accorgimento, o considerarlo ora-
mai inutile e superfluo, comporta il serio rischio che, costretti per
qualunque motivo a utilizzare un prodotto in polvere, il pensiero
Fase IV – Prevenzione della ricaduta 129

che quella sostanza possa contaminarvi o corrodere la vostra pelle


esploda nuovamente; è anche probabile che quel pensiero sia così
forte e angoscioso da costringervi a sciacquarvi per ore, per essere
certi di averne rimosso ogni traccia, o da indurvi a evitarne a prio-
ri l’utilizzo, con le ormai ben note conseguenze.
È quindi estremamente opportuno, una volta completato il
processo di esposizione secondo il piano di trattamento, che vi or-
ganizziate in modo tale da continuare a esporvi quotidianamente
a ciò che vi creava disagio. Per qualcuno, le cui ossessioni deriva-
vano da situazioni abituali nella vita quotidiana, ciò è implicito e
inevitabile; per altri, che temevano circostanze più rare e difficili
da incontrare, richiede un’attenta programmazione e un piccolo
impegno quotidiano. Fate questo sacrificio e non trascuratelo non
appena i sintomi scompaiono! Persistete almeno per i primi 6-12
mesi, ma è preferibile che continuiate per sempre. Come in ogni
cura, occorre perseverare per un tempo stabilito, indipendente-
mente dai sintomi. Non credo che se vi foste presi una brutta
bronchite interrompereste al terzo giorno il ciclo di antibiotici
che il medico vi ha prescritto per una settimana solo perché ormai
non tossite più e vi sentite bene. Allo stesso modo, anche se le
cure psicologiche richiedono mesi e non giorni, dovrete mante-
nere l’esposizione a lungo anche quando questa, oramai, non crea
più alcun disagio, pena un alto rischio di ricaduta.

STRONCARE SUL NASCERE I NUOVI


COMPORTAMENTI COMPULSIVI
Come abbiamo chiarito nella prima parte del libro, il DOC è
un disturbo multiforme, che può manifestarsi attraverso un’infi-
nita varietà di sintomi. Non esiste una persona affetta da DOC
che abbia una sintomatologia identica a quella di un’altra. Inoltre,
non bisogna dimenticare i cosiddetti DOC a decorso episodico
(vedi parte I): capita spesso che i pazienti sviluppino un DOC
su un determinato tema, che dopo qualche mese o qualche anno
esso sparisca spontaneamente, o grazie a un trattamento, e che
dopo un intervallo di tempo libero da sintomi ne sviluppino un
altro su temi completamente diversi.
130 Vincere le ossessioni

Bisogna, dunque, prendere coscienza del fatto che chi ha


sofferto di DOC è comunque vulnerabile a vita e non può mai
ritenersi immune dal rischio di cadere in circoli viziosi di tipo
ossessivo-compulsivo, anche completamente diversi da quelli da
cui è appena uscito; questo rischio è ancora maggiore se non sono
stati affrontati a fondo, con una buona psicoterapia, gli aspetti
cognitivi di cui abbiamo già discusso.
Non è sufficiente, quindi, che stiate attenti a non cadere nei
vecchi meccanismi ormai abbandonati, esponendovi continua-
mente alle situazioni che temevate e astenendovi da qualunque
rituale tranquillizzante (vedi par. precedente), ma è anche neces-
sario essere abili nel riconoscere nuovi prodromi del DOC.
In pratica, ogniqualvolta vi assale una preoccupazione infon-
data e sentite la spinta a fare qualcosa di diverso da quello che
sarebbe naturale fare e che chiunque altro farebbe nella medesima
situazione, stroncate immediatamente il vostro impulso e non ab-
bandonatevi al comportamento tranquillizzante.
Inoltre, indipendentemente dal sottotipo di DOC da cui siete
stati affetti, documentatevi con cura su tutti gli altri possibili sot-
totipi del disturbo, analizzando scrupolosamente la Y-BOCS che
avete utilizzato nell’autovalutazione e memorizzando i principali
pensieri ossessivi e le principali compulsioni esistenti.
Per capire se ciò che state facendo rientra nella normalità o
è subdolamente guidato dal DOC, ponetevi spesso le seguenti
domande: “Potrei non farlo?”, “Rimarrei molto turbato se non
lo facessi o la mia vita proseguirebbe allo stesso modo?”. Dovete
essere capaci di discernere il vero motivo per cui state tornando
a controllare il gas, vi state lavando le mani, state pregando o
state contando: vi sentite costretti a compiere questi gesti per
rimanere tranquilli e impedire che certe paure e l’ansia pren-
dano il sopravvento o li state eseguendo semplicemente perché
vi sembra opportuno, ma potreste tranquillamente evitare di
metterli in atto?
Sembra semplice, ma spesso la distinzione è molto sottile. Chi
soffre di DOC, almeno inizialmente, esegue certe compulsioni
senza rendersi conto che sono delle compulsioni e della funzione
Fase IV – Prevenzione della ricaduta 131

tranquillizzante che assumono, ma poi vi rimane inevitabilmente


intrappolato.
Chi è appena uscito da una qualsiasi forma di DOC è più a
rischio di altri, per cui è necessario che si tenga costantemente
sotto controllo. Stroncare sul nascere un meccanismo ossessivo-
compulsivo può comportare un certo disagio, ma è assai più sem-
plice che sradicare un disturbo consolidato.
Se vi accorgete di essere nella situazione sopra descritta, in cui
effettuate certi gesti o ne evitate altri non per scelta, ma per non
essere turbati nella vostra tranquillità, reagite subito attuando
l’opposto di quello che vi verrebbe spontaneo: sfidate subito l’os-
sessione, evitate di lavarvi o di pulire dove vi verrebbe spontaneo
pulire, non tornate indietro a controllare, ma proseguite nel vostro
cammino, non pronunciate la vostra preghiera o il vostro numero
fortunato e così via. È vero che difficilmente un gesto compiuto
una sola volta, per stare più tranquilli, può comportare delle con-
seguenze, ma è comunque alquanto pericoloso per chi, come voi,
è più soggetto di altri a diventarne dipendente, a non poterne più
fare a meno e ad aumentarne rapidamente la frequenza.

EFFETTI INEVITABILI DELLO STRESS


E DELL’ANSIA OCCASIONALE
È stato ormai ampiamente dimostrato, ed è facile verificarlo
nella realtà, come l’aumento del livello di stress generale determi-
ni spesso un parallelo aumento della frequenza delle preoccupa-
zioni ossessive.
Qualunque situazione di vita può essere stressante. Per stressor
intendiamo ogni evento ambientale che eserciti delle richieste sul
nostro organismo, provocando in noi un’attivazione fisiologica
necessaria alla soluzione del problema e al ristabilirsi dell’equili-
brio. Anche eventi positivi, che però determinano un cambiamen-
to e la conseguente necessità di adattarsi ad esso, quali la nascita
di un figlio, il matrimonio, la promozione lavorativa, e così via,
sono fortemente stressanti, poiché l’organismo è iperattivato per
rispondere alle nuove richieste dell’ambiente. A maggior ragione,
ogni tipo di difficoltà (lavorativa, familiare, sociale, ecc.) induce
132 Vincere le ossessioni

un aumento del livello di attivazione e obbliga alla messa in atto


di strategie di fronteggiamento delle situazioni, che possono esse-
re più o meno efficienti da persona a persona.
D’altra parte, il nostro organismo è strutturato in modo tale
che, se da un lato le preoccupazioni e i pensieri catastrofici gene-
rano ansia, con la conseguente e inevitabile attivazione fisiologica,
dall’altro si verifica anche il fenomeno opposto: sentirsi in ansia
o fisiologicamente attivati per un accumulo di stress influenza i
nostri pensieri, che divengono inevitabilmente più catastrofici e
negativi.
Siamo costantemente inseriti in un circolo cognitivo-emotivo,
in cui pensare a situazioni che generano ansia, rabbia o tristezza fa
nascere in noi tali emozioni; ma quando esse si manifestano occa-
sionalmente in seguito a un qualsiasi evento della vita, il nostro pen-
siero viene orientato verso previsioni future che vanno ad alimenta-
re l’emozione stessa e vengono richiamate alla memoria situazioni
passate in cui abbiamo sperimentato un simile stato d’animo.
Ecco perché è molto più facile che chi soffre o ha sofferto di
DOC venga nuovamente assalito dai propri pensieri angoscio-
si durante i periodi stressanti della sua vita, in cui sperimenta
emozioni simili a quelle che provava quando era tormentato dalle
ossessioni, anche se più blande e gestibili.
Fare previsioni catastrofiche sull’esame o sul colloquio di lavo-
ro che stiamo per affrontare sviluppa in noi molta ansia; questo
stato d’animo, anche se riguarda eventi che non hanno niente a
che vedere con il DOC, aumenta la probabilità che ricompaiano
alla nostra mente quei pensieri ossessivi e quelle preoccupazioni
infondate che da un po’ di tempo non ci tormentavano più.
Si tratta di un meccanismo del tutto normale e prevedibile,
che chi ha sofferto di DOC deve aspettarsi e imparare a gestire.
Non è assolutamente un indice di ricaduta, ma può trasformarsi
in essa se, in questi periodi, non state particolarmente attenti a
mettere in atto le strategie di prevenzione della ricaduta illustrate
nei paragrafi precedenti.
Come già detto, la vulnerabilità al DOC non scompare mai,
per cui sarà proprio nei periodi più stressanti della vostra vita che
Fase IV – Prevenzione della ricaduta 133

dovrete prestare maggiore attenzione a non cadere nuovamente


nei tranelli che il disturbo continuerà a tendervi.

DISTINGUERE LA MOMENTANEA
CADUTA DALLA RICADUTA
Proprio per evitare questi tranelli è importante non abbassare
mai la guardia e ricordarsi che il DOC è sempre in agguato. Può
capitare, tuttavia, che abbiate dei momentanei cedimenti.
Resistere all’assedio delle ossessioni, soprattutto nei primi
periodi, è estremamente faticoso ed è possibile, se non addirit-
tura probabile, che nonostante i vostri sforzi vi capiti talvolta
di lasciarvi andare e di ricorrere a qualche vecchio meccanismo
per tranquillizzarvi, anche se ormai avevate imparato a farne a
meno.
In questi casi, è molto importante non lasciarsi prendere dalla
disperazione. Un momentaneo cedimento non è assolutamente
un segno di ricaduta, né tantomeno la dimostrazione che tutti gli
sforzi fatti fino a quel momento sono stati vani o che siete delle
persone deboli o inguaribili.
Anzi, proprio l’interpretazione come segni di ricaduta di que-
sti momentanei scivoloni, che vi riportano verso vecchie modalità
comportamentali, può determinare una nuova, reale chiusura nei
circoli viziosi del DOC.
Se non drammatizzate l’evento e lo considerate normale e pre-
vedibile, soprattutto in momenti di forte stress o di stanchezza
psico-fisica, esso non avrà alcuna implicazione sul vostro processo
di guarigione.
Continuando a impegnarvi come sempre, sin dalle ore suc-
cessive, riuscirete a riprendere facilmente il controllo sui vostri
sintomi e a ottenere nuovi miglioramenti.
Immaginate di essere un alcolista che abbia faticosamente
smesso di bere. Dopo sei mesi di totale astinenza vi trovate in un
momento particolare della vostra vita in cui coincidono una serie
di elementi sfavorevoli: una brutta giornata lavorativa, la preoc-
cupazione per la malattia di un parente e l’incontro occasionale
con uno dei vecchi amici del bar che frequentavate. È probabile
134 Vincere le ossessioni

che cediate alla tentazione di bervi un’amata birra, magari con l’il-
lusione di fermarvi alla prima, e finiate con l’ubriacarvi di nuovo.
Se la mattina dopo, rendendovene conto, vi flagellate di insulti, vi
date del debole e malato a vita, vi ripetete senza sosta che i vostri
sforzi sono stati tutti inutili, rischiate davvero di scatenare in voi
una reazione emotiva talmente frustrante da farvi perdere buo-
na parte della motivazione necessaria a continuare a mantenere
l’astinenza. L’atteggiamento migliore sarebbe invece ammettere
semplicemente: “Può capitare! Meglio caderci una volta al mese
che tutti i giorni. In fin dei conti ho resistito fino a ieri: sono stato
molto bravo! Da oggi cercherò di impegnarmi ancora di più per
evitare anche questi occasionali cedimenti”.
Applicate lo stesso principio ai vostri eventuali passi indietro
riguardo al controllo dei sintomi ossessivo-compulsivi e conti-
nuerete a fare grandi progressi!

IMPEGNARE IL TEMPO LIBERATO


Quando i sintomi del DOC sono piuttosto gravi, le persone
tendono a ridurre drasticamente le proprie attività quotidiane,
fino ad abbandonarle del tutto. Ciò significa che la giornata di
alcune persone affette da DOC, prima del trattamento, è total-
mente dedicata ad assolvere gli obblighi compulsivi.
Man mano che l’intervento terapeutico procede, comincia ad
avere un sacco di tempo libero, di cui prima non disponeva, come
accade, in genere, a chi va in pensione di colpo.
È dimostrato, però, che quanto meno numerosi sono gli inte-
ressi e le attività a cui la persona si dedica nella fase successiva al
trattamento tanto maggiori sono le possibilità di ricaduta.
È quindi fondamentale, se avevate ridotto le attività a causa
del disturbo o ne avevate poche anche prima, che vi diate da fare
per riempirvi la giornata, allo scopo di prevenire la ricaduta, ma
anche per gratificazione personale.
È chiaro che dovete fare in modo di continuare a svolgere i vo-
stri quotidiani esercizi di esposizione e prevenzione della risposta,
ma ciò non deve diventare una scusa per aspettare troppo a lungo
a rimettersi in moto.
Fase IV – Prevenzione della ricaduta 135

Più avete impegni e interessi che non abbiano niente a che


vedere con il DOC e più sarete motivati a tralasciare i vostri ri-
tuali, che sottrarrebbero tempo ad attività che hanno assunto per
voi un’importanza maggiore. Dato che, come abbiamo chiarito,
sarete tentati per lungo tempo di lasciarvi andare ai vecchi mec-
canismi, è bene che li viviate come una fastidiosa palla al piede
che vi ha già sufficientemente appesantito nei mesi o negli anni
precedenti. È giunta l’ora di fare di tutto per liberarsene!
parte iii
ALTRE RISORSE
12
suGGerimenti per
i familiari e Gli amici

Qualunque programma di trattamento per il DOC prevede


un’attiva collaborazione da parte della famiglia e degli amici più
cari. È bene, infatti, che quanti vivono a stretto contatto con chi
sta cercando di liberarsi dal disturbo siano adeguatamente pre-
parati, per potergli essere d’aiuto nell’esecuzione degli esercizi di
esposizione e prevenzione della risposta, elemento chiave della te-
rapia, e nella fase di prevenzione delle ricadute.
I suggerimenti che troverete nelle pagine seguenti offrono
informazioni pratiche e consigli su come un parente o un amico
possa prendere parte nel miglior modo possibile al processo di
trattamento. È consigliabile che almeno questa parte del libro
venga letta da tutte le persone che hanno quotidiani contatti
con chi soffre del disturbo e ne affronta il trattamento. Tuttavia,
chi si accinge a svolgere il ruolo di “assistente”, deve leggere
necessariamente anche il resto del libro e conoscere i principi
dell’intervento cognitivo-comportamentale che sarà necessario
applicare.

Parenti e amici sono quasi sempre di sostegno a chi soffre di


DOC, tuttavia spesso, senza volerlo, si ritrovano a sostenere il
disturbo, invece che la persona che ne è affetta. Per questo, è im-
portante che essi imparino come liberarsi dalle insidiose richieste
del disturbo, per diventare completamente di sostegno a chi in-
140 Vincere le ossessioni

traprende il trattamento. Non è facile fare in modo che ciascuno


adatti il proprio comportamento per realizzare, fra la persona in
questione, i parenti, gli amici e l’eventuale psicoterapeuta, una
fiduciosa e vittoriosa alleanza contro il DOC. Certi cambiamenti
nell’atteggiamento delle persone che circondano chi sta provando
a liberarsi dal proprio disturbo, però, sono molto importanti e
vale la pena fare il possibile per attuarli.
D’altra parte, sia chiaro che nessuno deve sentirsi responsabile
dei problemi relativi al DOC, perché esso non si origina a causa
di qualcosa che familiari o amici hanno fatto o meno. Potrete
tentare di aiutare la persona a voi cara a liberarsi dal suo disturbo,
modificando certi atteggiamenti che tendono, a vostra insaputa,
a mantenerlo, ma se non ci riuscirete non dovrete in alcun modo
sentirvi colpevoli. Significa semplicemente che è necessario avva-
lersi del consulto di uno specialista.

STABILIRE UNA BUONA COMUNICAZIONE


Prima di tutto è necessario stabilire con chi soffre di DOC
un buon dialogo riguardo alle sue problematiche. Poter parlare
apertamente e liberamente del proprio disturbo, senza sentirsi
giudicati, è un passo fondamentale per arrivare a controllare il
DOC.
Informatevi sui suoi problemi specifici, fategli verbalizzare le
proprie paure, analizzate insieme a lui il capitolo sull’auto-valu-
tazione. Più informazioni avete sul DOC, e sul vissuto emotivo
di chi ne soffre, e più utile sarà il vostro intervento. Più diventate
in grado di capire e prevedere ciò che crea difficoltà al paziente,
ciò che attiva le sue paure, il motivo per cui evita di fare certe
cose o per cui ne fa ripetutamente altre, e più sarete in grado di
aiutarlo.
Tenete sempre presente che chi soffre di DOC si vergogna
delle proprie ossessioni e dei propri rituali, di conseguenza ten-
de a nasconderli, a camuffarli o a sminuirli. Fate il possibile per
contrastare questo imbarazzo e per stabilire una comunicazione
schietta e sincera.
Suggerimenti per i familiari e gli amici 141

RICONOSCERE IL DOC COME UNA MALATTIA


Sebbene non sia ancora chiara la natura del DOC, tutti sono
d’accordo sul fatto che esso sia un disturbo psichiatrico, una vera e
propria malattia, un problema che colpisce i pensieri, le emozioni
e i comportamenti dell’individuo con modalità molto specifiche.
Come ogni disturbo psichiatrico, il DOC non deve essere
considerato un difetto della persona o qualcosa che egli (o ella)
potrebbe interrompere se solo fosse un po’ più forte. Deve piut-
tosto essere visto come un “cortocircuito” nell’elaborazione delle
preoccupazioni, che non può essere interrotto da chi lo subisce.
Questo circuito “malfunzionante” invia, in modo inappropriato,
dei segnali di paura infondati, che non meritano una grande at-
tenzione. Questi segnali di paura sono quelli che noi chiamiamo
“ossessioni”.
Le ossessioni sono pensieri, immagini o impulsi intrusivi ac-
compagnati da emozioni negative. Un’ossessione comune è la
paura di contaminare se stessi o qualcun altro toccando qualcosa
di sporco, ma ce ne sono mille altre. Non è possibile vedere le
ossessioni, ma non è difficile accorgersi che la persona che sta-
te aiutando sembra distratta, disattenta o assorbita dalle proprie
paure. Inoltre, quando il cervello le invia questi segnali di paura
indesiderati, i suoi comportamenti assumono le sembianze di ri-
tuali, chiamati compulsioni, che hanno lo scopo di neutralizzare
tali pensieri negativi e di tranquillizzarsi.
Le compulsioni sono azioni designate a scacciare questi pen-
sieri e a ridurre l’ansia o le altre emozioni negative che ne con-
seguono. Un esempio può essere l’eccessivo lavaggio delle mani,
che è un rituale comune per chi è affetto dal cosiddetto DOC da
contaminazione.
Si può facilmente intuire come le compulsioni siano un com-
portamento dannoso, che aumenta la probabilità di ricomparsa
delle ossessioni, anche se si origina come una naturale auto-difesa
da esse. Chi soffre di DOC, tuttavia, non riesce ad abbandonarle
e il suo benessere dipende da tali comportamenti; diventa come
un drogato, che ha sviluppato la dipendenza da una sostanza. A
questo si aggiungono spesso una forte frustrazione e una profon-
142 Vincere le ossessioni

da depressione causate dall’incapacità di resistere al DOC; ciò


rende ancora più gravoso sopportare il disturbo.
Poiché il DOC causa problemi in alcuni luoghi ma non in
altri, in determinati periodi e non in altri, spesso parenti e amici
sono portati a pensare che certi comportamenti siano intenzio-
nali. Ad esempio, qualcuno potrebbe essere in grado di utilizzare
il bagno in casa propria ma non in altri luoghi. Dovete ricordare
sempre che è la natura del DOC che non ha un senso, per cui non
è corretto né utile interpretare l’irregolarità dei sintomi come la
prova che non si tratta di una “vera” malattia, ma di semplici fisi-
me o fissazioni da cui ci si potrebbe liberare con un po’ di buona
volontà.
Considerando il DOC uno specifico problema psichiatrico,
vi sarà più semplice abbandonare l’idea che chi ne soffre sia in
qualche modo in difetto, debole, pigro o di scarsa volontà; darete
così un primo, indispensabile contributo affinché il trattamento
sia veramente efficace.
Bisogna creare una salda alleanza contro un unico nemico: il
disturbo. Un metodo molto efficace per favorire questo clima di
battaglia e avere sempre chiaro il nemico da sconfiggere è quello
di chiamare il DOC con un brutto soprannome, che la persona
stessa avrà scelto. In questo modo il disturbo diventa la “parte cat-
tiva”, mentre la persona stessa, voi che la state aiutando e l’even-
tuale psicoterapeuta, costituite la “parte buona” che lavora per
attaccare il DOC e sconfiggerlo.

COMPRENDERE IL DISTURBO E NON ARRABBIARSI


Quando vi rendete conto che state giudicando i sintomi del
DOC come “cattivi” comportamenti, ricordatevi quello che avete
appena letto: si tratta di una malattia. Chi soffre di questo distur-
bo non fa niente di proposito, anzi è spesso frustrato dal fatto di
non riuscire a fare altrimenti. Nessuno si sente così “stupido” per
il fatto di compiere certi inutili rituali quanto la persona stessa. È
naturale che vedere una persona cara che perde tempo in “ridicoli”
cerimoniali possa irritare, ma la critica o altre forme di punizione
rendono ancora più difficile contrastare attivamente il DOC; è
Suggerimenti per i familiari e gli amici 143

molto importante, invece, che cerchiate di mantenere la calma e


tiriate fuori tutta la vostra capacità di comprensione, generosità,
gentilezza e soprattutto pazienza; ricordate che state aiutando la
persona cara a seguire le indicazioni del libro o del terapeuta che,
a lungo andare, ridurranno i sintomi del disturbo.
Di solito, chi soffre di DOC è ben consapevole del fatto che
le compulsioni sono insensate ed eccessive. Per questo motivo,
ricordargli che il suo comportamento è folle, stupido e assurdo
spesso suscita in lui ulteriori sentimenti spiacevoli. Allo stesso
modo, un’ingiunzione del tipo “fermati” o “smettila” non può
che avere effetti negativi. Nessuno odia il DOC quanto la persona
che lo subisce; se fosse stato possibile, avrebbe già smesso!
Credo che non vi verrebbe mai in mente di criticare un vostro
parente o amico con l’asma o con il diabete: il DOC è una malat-
tia, esattamente come queste.
Come abbiamo già sottolineato, la critica o la punizione inva-
riabilmente peggiorano il disturbo, diminuendo in chi ne soffre
la motivazione a resistervi. Un atteggiamento comprensivo, di
supporto, fiducioso, ma sufficientemente distaccato, può invece
aiutare a ridurre l’ansia durante gli esercizi terapeutici e costituire
un notevole incoraggiamento a combattere questa faticosissima
lotta contro il disturbo.

NON FARE L’AIUTANTE


I genitori, i membri della famiglia, i fratelli e alcuni amici sono
spesso coinvolti nei rituali di chi soffre di DOC e rimangono in-
trappolati nel territorio che il disturbo a poco a poco si è conqui-
stato. È importante che identifichiate il modo in cui esso spadro-
neggia su di voi, poiché togliendogli il vostro supporto fornirete
un elemento in più per il successo del trattamento.
Per ottenere il miglior risultato possibile, è bene non fare as-
solutamente niente per aiutare chi è affetto da DOC a mettere
in atto i suoi rituali né, peggio ancora, farli per lui. Per lo stesso
principio per cui le compulsioni e gli evitamenti alimentano il
problema, assecondare le richieste di chi soffre di DOC modi-
ficando quello che sarebbe il nostro comportamento spontaneo
144 Vincere le ossessioni

per farlo stare tranquillo e non alimentare le sue paure è dannoso,


anche se più facile.
In sostanza, è necessario comportarsi con la persona in que-
stione come ci comporteremmo con qualunque altra, senza adat-
tare in alcun modo il nostro comportamento alle sue necessità di
essere tranquillizzata.
Qualunque suo invito a modificare il vostro comportamento
per farla star meglio deve essere rifiutato. Non abbiate paura di es-
sere cattivi, perché starete facendo qualcosa per il bene del vostro
caro. Il miglior modo di aiutare chi soffre di DOC è non aiutarlo
a compiere i suoi rituali.

INCORAGGIARE LA VALUTAZIONE ACCURATA


DEL RISCHIO MA NON RASSICURARE
Spesso i sintomi del DOC comprendono una sopravvaluta-
zione della probabilità che possa verificarsi un evento terribile.
È probabile che ciò abbia dato origine a molte discussioni sulla
natura insensata e irrazionale delle preoccupazioni ossessive. Tut-
tavia, bisogna tener presente che non è utile discutere sul fatto che
i rituali siano o meno indispensabili. Più cercherete di dimostra-
re alla persona che le sue preoccupazioni sono eccessive e più vi
smentirà, sollevando dei nuovi “e se…”.
Si può aiutare chi soffre di DOC a stimare realisticamente il pe-
ricolo che si verifichino le conseguenze temute, ma va fatto una sola
volta e in modo onesto ed esauriente. È bene incoraggiarlo a esse-
re realista riguardo al pericolo, senza insistere sull’irragionevolezza
delle compulsioni. È sufficiente fargli notare come il rischio che
accada quello che teme non è assolutamente più alto di tanti altri
che lui stesso corre quotidianamente. Qualunque altra richiesta di
rassicurazione vi venga posta in seguito, non rispondete.
Le persone affette dal DOC sono affamate di rassicurazioni
e ne chiedono continuamente. Rassicurarle, tuttavia, equivale a
compiere per loro dei rituali, che danno loro un sollievo tempo-
raneo, ma alimentano il disturbo e le danneggiano.
Ancora una volta, quindi, senza temere di essere dei “cattivi”
parenti o amici, evitate di cedere all’impulso di scegliere la via più
Suggerimenti per i familiari e gli amici 145

facile e di rassicurare chi vi sta accanto, ma cambiate discorso o


rispondete con fermezza: “Non posso risponderti, non farei altro
che aggravare il tuo problema. La risposta la conosci perché ne
abbiamo già discusso…”.

SOSTENERE IL PAZIENTE NEL PROCESSO TERAPEUTICO


Non appena il DOC è stato chiaramente identificato come
l’obiettivo da affrontare, inizia il processo della sua difficile “eli-
minazione”. Il nocciolo centrale del trattamento del DOC è co-
stituito dagli esercizi di esposizione e prevenzione della risposta.
Per mettere in atto la tecnica di esposizione il paziente deve ac-
cettare di affrontare direttamente l’oggetto, l’azione o il pensiero
temuti. La prevenzione della risposta è invece costituita da una
volontaria e deliberata omissione, o parziale modificazione, del
rituale e/o dalla diminuzione dei comportamenti di evitamento
che potrebbero sorgere dopo l’esposizione. Con la ripetuta appli-
cazione dell’esposizione e prevenzione della risposta, l’ansia legata
all’ossessione e i rituali associati diminuiscono e, spesso, scompa-
iono. Un esempio può essere la persona che teme di contaminarsi
toccando le maniglie delle porte. In questo caso, poiché le mani-
glie delle porte innescano l’ossessione, il compito di esposizione
potrebbe essere quello di afferrare la maniglia contaminata e trat-
tenerla per qualche secondo. La prevenzione della risposta entra
in gioco quando la persona rinuncia a eseguire l’usuale compul-
sione guidata dall’ansia, come per esempio lavarsi le mani o steri-
lizzare la maniglia.
Gli esercizi di esposizione e prevenzione della risposta dovran-
no essere eseguiti regolarmente e l’aiuto dei familiari e degli amici
sarà, senza dubbio, molto prezioso. Si tratterà semplicemente di
essere molto incoraggianti. Ricordate sempre a chi sta lottando
contro il DOC che gli esercizi in questione, soprattutto all’inizio,
sono molto faticosi, ma che col tempo ogni sforzo verrà premiato
e controllarsi sarà sempre più facile.
Dopo che la persona ha svolto l’esercizio e rimane in attesa
che la sua ansia diminuisca, il vostro incoraggiamento può essere:
“Questo esercizio spinge il DOC ad inviarti i peggiori pensieri
146 Vincere le ossessioni

ossessivi, che ti creano ansia; ma ricordati: l’ansia non è eterna. Se


aspetti un po’ e ti distrai, passerà. Puoi farcela!”.
Ricordate, però, che la decisione di aumentare l’esposizione,
ovvero di esporsi a stimoli sempre più ansiogeni, spetta al tera-
peuta, in accordo con chi si sta sottoponendo al trattamento o
a quest’ultimo, se sta seguendo il programma di auto-aiuto. La
qualità e la quantità degli esercizi di esposizione e prevenzione
della risposta devono necessariamente rimanere sotto il controllo
del terapeuta e/o della persona stessa, perché, sebbene i compiti
scelti possano sembrarvi insignificanti, è importante che si rispet-
ti la gradualità del disagio che il paziente può tollerare.
Ricordatevi che il vostro compito è di affiancare la persona nel
suo processo terapeutico, non di curarla. Dovete offrire supporto e
incoraggiamento, sostenerla nel momento in cui completa l’eser-
cizio e non fare pressione su di lei per far sì che affronti situazioni
ancora troppo impegnative. In questo modo, chi deve affrontare i
compiti di esposizione e prevenzione della risposta potrà contare
sul vostro valido sostegno e riporre in voi la massima fiducia.
Durante gli esercizi cercate, in sostanza, di seguire le seguenti
indicazioni:

• richiedete con fermezza alla persona di esporsi agli stimoli an-


siogeni concordati e di non eseguire il rituale, senza però im-
piegare alcuna coercizione fisica o entrare in aperto contrasto
con lei;
• mostrate comprensione e partecipazione, senza arrabbiarvi,
ma senza dare alcuna rassicurazione riguardo ai suoi dubbi;
• trovate alcune attività distraenti per far passare il tempo dopo
l’esposizione, ma senza allontanare troppo la persona dagli
aspetti che le creano disagio;
• rassicuratela riguardo al fatto che l’ansia a poco a poco decresce-
rà, necessariamente, anche se si asterrà dall’eseguire il rituale;
• nel caso in cui vi ponga domande tendenti ad ottenere rassi-
curazione, affermate che ha tutti gli elementi per rispondersi
adeguatamente da sola, basandosi su ciò che sa e sul compor-
tamento delle altre persone.
Suggerimenti per i familiari e gli amici 147

COLTIVARE UN SENSO DI DISTACCO DAL DOC


Un’altra utile strategia per affrontare gli esercizi di esposizione
e prevenzione della risposta è quella di considerare il problema
“separato” dalla persona e avviare un vero e proprio dialogo tra il
disturbo e chi ne è affetto. Respingere il DOC a parole o mental-
mente può essere difficile, tuttavia è molto utile ricordare a chi ne
è affetto di utilizzare le strategie cognitive di risposta ai pensieri
ossessivi che dovrebbe aver appreso, replicando al disturbo con af-
fermazioni del tipo: “Ecco le mie solite paure! Non posso sempre
farmi condizionare da queste!”, oppure: “Non posso perdere tutto
questo tempo per dar retta a te, caro DOC!”.
Incoraggiare questo atteggiamento di distacco è molto utile,
soprattutto durante gli esercizi, e deve essere fatto il più possibile.
Ancora meglio, dopo che il paziente si è esposto a una delle situa-
zioni temute, mentre aspettate che i pensieri ossessivi se ne vada-
no, è utile che cerchiate di coinvolgerlo in qualcosa di piacevole
per entrambi, come una conversazione su argomenti di attualità
o una passeggiata insieme. Distrarsi aiuta a ignorare le preoccupa-
zioni ossessive ed a smaltire l’ansia più rapidamente.
Respingere il DOC, quindi, non significa contrastare le osses-
sioni cercando di non pensarci, ma accettare i pensieri intrusivi
e riconoscerli come una sorta di informazione interferente, auto-
matizzata, e che, per quanto apparentemente tragica e realistica,
dobbiamo soltanto ignorare, aspettando che passi.

MOSTRARE APERTAMENTE LA PROPRIA APPROVAZIONE


È molto utile lodare sinceramente per i successi raggiunti chi si
sta sottoponendo al trattamento; ciò, infatti, contribuisce molto
ad aumentare la motivazione a contrastare il DOC, specialmente
per quelle persone che sono state esposte a costanti commenti ne-
gativi o a punizioni a causa dei sintomi del disturbo. Non dovete
pensare a queste lodi come a un “tentativo di corruzione”. Resi-
stere al DOC è molto difficile ed è ragionevole premiare questo
sforzo, esattamente come viene premiata ogni altra fatica.
Ogni obiettivo raggiunto, per quanto piccolo, deve essere
vissuto come un successo, anche se ne restano ancora molti da
148 Vincere le ossessioni

conseguire. È quindi molto importante che si faccia notare a co-


loro che stanno affrontando il disturbo quanto siano stati bravi,
se lo sono stati, nel fare delle cose che prima non avrebbero mai
fatto, non dando mai niente per scontato. Bisogna sempre ricor-
darsi che la modificazione di comportamenti apparentemente
banali o insignificanti può essere, per coloro che soffrono di
DOC, molto difficile; di conseguenza, rappresenta per loro un
enorme successo.
Lodi, apprezzamenti favorevoli e il riconoscimento delle pic-
cole conquiste sono dei potenti sostegni morali, promemoria tan-
gibili che il DOC sta lentamente uscendo dalla storia di chi ne è
affetto e incoraggiano a proseguire negli sforzi.

NON DRAMMATIZZARE EVENTUALI


MOMENTANEI CEDIMENTI
Potrà sempre capitare, nonostante tutta la buona volontà, che
ricompaiano dei rituali da tempo ormai estranei alla vita di chi
soffriva del disturbo. Questo può accadere soprattutto in partico-
lari momenti di stress.
È un fatto normale, che non comporta alcuna conseguenza
e, soprattutto, non è indice di una ricaduta! Un momentaneo
cedimento all’impulso di compiere un rituale ormai abbando-
nato non significa rendere vani tutti gli sforzi fatti fino a quel
momento.
Se si verifica una situazione simile, è importante non dram-
matizzare l’evento e incoraggiare la persona a continuare a im-
pegnarsi al massimo per resistere ai rituali su cui si è concordato
di resistere (secondo il piano di trattamento). I confronti giorno
per giorno non sono affatto utili. Come suggerisce Baer (1991),
“quando capita un cedimento potete ricordare alla persona che
‘domani è un altro giorno’, in modo che non interpreti la propria
ricaduta come un fallimento”.
Insistete sul fatto che resistere otto volte su dieci è già un gran-
dissimo successo e che presto, continuando a impegnarsi al mas-
simo, anche quelle due volte su dieci in cui non riesce a resistere
pian piano scompariranno.
Suggerimenti per i familiari e gli amici 149

INCORAGGIARE A RIEMPIRSI IL TEMPO LIBERO


È probabile che, prima dell’inizio del trattamento, la persona
affetta da DOC dedicasse molto tempo all’esecuzione dei rituali
o comunque avesse ridotto al minimo indispensabile le proprie
attività quotidiane, nell’intento di evitare qualunque possibile si-
tuazione ansiogena.
Man mano che il trattamento inizia ad avere effetto è molto
importante che la persona riprenda gradualmente una vita nor-
male e occupi subito, con vari impegni, il tempo libero (quello
che prima era dedicato ai rituali). Bisogna evitare i lunghi perio-
di di tempo vuoti, non impiegati in attività costruttive: lasciarsi
troppo tempo libero è il modo migliore per facilitare la ricompar-
sa di sintomi ossessivo-compulsivi.

INCORAGGIARE ALL’USO INTENZIONALE DELL’ESPOSIZIONE


E DELLA PREVENZIONE DELLA RISPOSTA
Quando affiora un nuovo impulso compulsivo (di qualunque
natura sia e in qualunque momento si presenti), occorre incorag-
giare la persona a stroncarlo sul nascere, con un compito inten-
zionale di esposizione. L’obiettivo è di fare immediatamente l’op-
posto di quello che il DOC richiede. Ad esempio, se la persona
che soffre del disturbo ha il pensiero ossessivo che la casa possa
bruciare se non controlla il tostapane, invitatelo a uscire delibera-
tamente dalla cucina senza voltarsi a controllare se il tostapane è
spento. Incoraggiatelo, inoltre, a mettere in pratica tale compito
di esposizione e prevenzione della risposta tutti i giorni, finché ciò
non gli provoca più alcuna ansia.
In sostanza, ogni volta che la persona si sente in dovere di fare
qualcosa per tranquillizzarsi rispetto al pensiero di qualcosa di ne-
gativo che potrebbe accadere, è molto importante che non faccia
niente, ma tolleri per un po’ l’ansia che ne consegue, continuando
deliberatamente a esporsi alla situazione che le suscita quel tipo
di pensiero.
In questo modo, è possibile evitare di cadere in pericolosi cir-
coli viziosi di natura ossessivo-compulsiva, che sono e saranno
sempre in agguato.
13
a chi riVolGersi

È bene che chi soffre di disturbi ossessivo-compulsivi ed è alla


ricerca di un terapeuta cognitivo-comportamentale si comporti
come un consumatore accorto e “faccia il giro dei negozi” alla
ricerca del clinico più qualificato (Baer, 1991). In realtà, non tutti
gli psicoterapeuti, anche se di formazione cognitivo-comporta-
mentale, sono esperti di DOC e non tutti coloro che si profes-
sano “cognitivo-comportamentali” applicano, nella pratica clini-
ca, protocolli terapeutici scientificamente convalidati ed efficaci
come quello presentato in questo libro.
Chiunque sia interessato ad avere ulteriori informazioni sul
DOC e sulle possibilità terapeutiche relative a questo disturbo
può rivolgersi all’Associazione Italiana Disturbo Ossessivo-Com-
pulsivo (AIDOC), a cui fanno capo una serie di colleghi sparsi su
tutto il territorio nazionale che hanno comprovate competenze in
materia e adeguata esperienza clinica:

AIDOC – c/o IPSICO – Via Mannelli, 139 – 50132 Firenze


http://www.aidoc.it - Tel. 055 2466460
152 Vincere le ossessioni

L’AIDOC, associazione senza scopo di lucro, si propone di


creare un luogo d’incontro e di confronto tra esperti e specialisti
di questo disturbo a livello nazionale. Il fine è quello di promuo-
vere lo sviluppo di studi e ricerche nell’ambito dell’epidemiologia,
della diagnosi e del trattamento del disturbo ossessivo-compulsi-
vo, favorendo, tramite corsi, consulenze, seminari e convegni, la
discussione e la diffusione della conoscenza di tale problematica
nella cultura contemporanea. L’AIDOC si prefigge, inoltre, di
perfezionare o sviluppare nuove metodologie e strumenti tera-
peutici nell’ambito psicoterapeutico e psichiatrico, sensibilizzare
l’opinione pubblica rispetto a questo grave e diffuso problema,
fornire informazioni e un punto di riferimento alle persone che
soffrono di tale disturbo, attraverso l’istituzione di un apposito
sito internet e di un forum interattivo.
14
approfondimenti

BIBLIOGRAFIA DI AUTO-AIUTO
Ci sono altri libri in lingua italiana, che possono essere utili a
chi è interessato all’argomento. Ecco un elenco:
• Baer, L. (1991). Getting control. Overcoming your obsessions and
compulsions. New York: Penguin Books. (Tr. it. Come raggiun-
gere il controllo e la padronanza di sé. Milano: Bompiani).
• Dorz, S., Novara, C. & Sanavio, E. (1999). Il chiodo fisso.
Come comprendere e sopravvivere alle ossessioni. Milano: Franco
Angeli.
• Fricke, S., & Hand, I. (2004). Zwangsstörungen verstehen und
bewältigen. Bonn: Psychiatrie-Verlag. (Tr. It. Avrò chiuso la
porta di casa? Affrontare le proprie ossessioni. Trento: Erickson).
• Schwartz, J.M. (1996). Brain Lock. Free yourself from obsessive-
compulsive behavior. New York: ReganBooks. (Tr. it. Il cervello
bloccato. Come liberarsi del disturbo ossessivo-compulsivo. Mila-
no: Longanesi & C.).
154 Vincere le ossessioni

SITI INTERNET
Per ulteriori approfondimenti sul tema è possibile visitare, na-
vigando in rete:
• Sito italiano sul Disturbo Ossessivo-Compulsivo, a cura
dell’Associazione Italiana Disturbo Ossessivo-Compulsivo:
www.aidoc.it
• �er informazioni dettagliate, in italiano, sulla psicoterapia co�
Per informazioni dettagliate, in italiano, sulla psicoterapia co-
gnitivo-comportamentale: www.ipsico.org
E per chi mastica l’inglese:
• National Institute of Mental Health: www.nimh.nih.gov/pu-
blicat/ocd.cfm
• OCD Online: www.ocdonline.com
• Ontario Obsessive�Compulsive Disorder Network: www.ooc-
dn.org
• All about OCD: www.healthyplace.com/communities/ocd/
doubt/ocd.html
• OCD Resource Center: www.ocdresource.com
• Obsessive Compulsive Disorder �1: www.1�obsessive�com�
www.1�obsessive�com-
pulsive-disorder.com
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Baer, L. (1991). Getting control. Overcoming your obsessions and
compulsions. New York: Penguin Books. (Tr. it. Come rag-
giungere la padronanza e il controllo di sé. Milano: Bompiani,
2002).
Dèttore, D. (2003). Il disturbo ossessivo-compulsivo. (II ed.). Mila-
no: McGraw-Hill.
Dorz, S., Novara, C., & Sanavio, E. (1999). Il chiodo fisso. Come
comprendere e sopravvivere alle ossessioni. Milano: Franco An-
geli.
Foa, E.B., & Wilson, R. (2001). Stop obsessing. How to overcome
your obsessions and compulsions. (II ed.). New York: Bantam
Books.
Giusti, E., & Chiacchio, A. (2002). Ossessioni e compulsioni. Va-
lutazione e trattamento della psicoterapia pluralistica integrata.
Roma: Sovera Editore.
Lorenzini, R., & Sassaroli, S. (2000). La mente prigioniera. Strate-
gie di terapia cognitiva. Milano: Raffaello Cortina Editore.
Ravizza, L., Bogetto, F., & Maina, G. (1997). Il disturbo ossessivo-
compulsivo. Milano: Masson.
Sanavio, E. (1991). Psicoterapia cognitiva e comportamentale.
Roma: Carocci Editore.
Schwartz, J.M. (1996). Brain Lock. Free yourself from obsessive-
compulsive behavior. New York: ReganBooks. (Tr. it. Il cervello
bloccato. Come liberarsi del disturbo ossessivo-compulsivo. Mila-
no: Longanesi & C., 1997).
Watzlawick, P. (1989). Il codino del barone di Münchhausen.
Munchhausen. Ov-
vero: psicoterapia e “realtà”. Milano: Feltrinelli.
www.erickson.it

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