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Collana diretta da
Cristina Papa
11.
Morlacchi Editore
ITACA
Itinerari di Antropologia Culturale
La collana ITACA accoglie studi e ricerche di antropologia
culturale intesa in una accezione larga, che oltrepassa le
tradizionali partizioni areali, tematiche e temporali. Si rivolge ad
un pubblico universitario e specialistico.
Comitato scientifico
Fabio Dei (Universit di Pisa) - Alessandro Lupo (Universit di Roma
La Sapienza) - Roberto Malighetti (Universit Milano Bicocca) - Chris
Shore (Universit di Auckland) - Valeria Siniscalchi (EHSS Marsiglia Centre Norbert Elis) - Filippo Zerilli (Universit di Cagliari)
Direzione
Cristina Papa (Universit di Perugia)
Comitato di Redazione
Giancarlo Baronti - Giancarlo Palombini
Daniele Parbuono - Sandro Piermattei - Georgeta Stoica
Morlacchi Editore
Prima edizione:
isbn/ean:
2012
978-88-6074-526-2
Indice
Donatella Cozzi
Introduzione 9
Massimiliano Minelli
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Andrea Caprara
2. Contagio
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Gianfranca Ranisio
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Donatella Cozzi
4. Dolore
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5. Incorporazione e Stato
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Alessandro Lupo
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Fabio Dei
157
Giovanni Pizza
181
Donatella Cozzi
205
225
239
Salvatore Inglese
253
Pino Schirripa
269
Ivo Quaranta
285
Bibliografia 301
Indice degli autori
343
Indice analitico
349
Gli autori
353
Donatella Cozzi
Introduzione
10
Donatella Cozzi
ripa
2. Al momento sono state pubblicate le voci: Sistema medico di SchirP., 2000 e Dolore di Cozzi D., 2002.
Introduzione
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terapeutica (Alessandro Lupo), Medicine non convenzionali (Fabio Dei), Medicina popolare (Giovanni Pizza),
Narrazione della malattia (Donatella Cozzi), Salute mentale
di comunit (Giuseppe Cardamone e Sergio Zorzetto), Salute
mentale e migrazioni (Giuseppe Cardamone e Michela Da
Prato), Sindromi culturalmente ordinate (Salvatore Inglese),
Sistema medico (Pino Schirripa), Sofferenza sociale e violenza strutturale (Ivo Quaranta). Insieme racchiudono il ventaglio degli approfondimenti personali degli autori e richiamano la vasta area di interessi attraversata da Tullio Seppilli nella
sua vita di ricerca3.
Loccasione iniziale di questo volume stata lomaggio
deferente e affettuoso in occasione del suo ottantesimo compleanno. Ma la gestazione di queste pagine stata pi lunga
e ha oltrepassato quella ricorrenza: ce ne scusiamo con lui.
Lomaggio che abbiamo voluto consegnargli con questo volume
al Maestro che ci ha stimolato e guidato in questi anni con
passione e rigore scientifico.
Ringrazio tutti coloro che per vari motivi non hanno potuto essere presenti in queste pagine, pur manifestando solidale
volont a festeggiare loccasione che ci vede riuniti. Un ringraziamento vivissimo a Cristina Papa, che ospita nella collana di
studi antropologici Itaca da lei diretta questo volume e a Paola
Falteri, che ha concesso la riproduzione della litografia che
compare in copertina.
3. Cfr. i due volumi che raccolgono gli scritti di T. Seppilli, curati da Papa
C. e Minelli M., 2008.
Massimiliano Minelli
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Massimiliano Minelli
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1. Battezzare il denaro
Guillermo! Te vas o te quedas? Te vas o te quedas? Te vas o
te quedas? A causa di questa formula, bisbigliata vicino a un
registratore di cassa di un affollato supermarket di una citt della Colombia, una cliente venne accusata di tentato furto da un
addetto alla sicurezza. Lepisodio, risalente agli anni Settanta,
riportato da Michael Taussig, nel suo saggio The devil and commodity fetishism in South America, come un folgorante esempio
di cosa pu accadere nel punto di congiunzione fra arti magiche
e feticismo delle merci (Taussig M., 2010 [1980]). In quel testo,
dedicato allimpatto socio-economico del mercato capitalista
sulle vite e le relazioni quotidiane di agricoltori colombiani e
minatori boliviani, nella sua analisi della circolazione della moneta e del nuovo assetto economico fondato sul lavoro salariato, Taussig ha attribuito particolare importanza al modo in cui
una banconota pu catturare ricchezza attraverso il cosiddetto
bautizo del billete.
Nel bautizo del billete, se durante il battesimo cattolico il
padrino tiene nascosta nel palmo della mano una banconota da
un peso e recita sottovoce una formula magica associando il nome
del bambino alla moneta, la benedizione divina pu essere deviata verso il denaro. La banconota verrebbe cos sottomessa al
sacramento del battesimo al posto del bambino, il proprietario
della banconota diverrebbe il padrino del denaro, il bambino rimarrebbe non battezzato. Nella costituzione di questo peculiare
legame di parentela spirituale il denaro, una volta battezzato col
nome del neonato, destinato a tornare nelle mani del padrino,
portando con s i soldi con cui entrato in contatto, semplicemente recitando la formula magica Te vas o te quedas? Te vas o
te quedas? Te vas o te quedas? Nel racconto di Taussig, la donna
alla cassa del supermercato sorpresa a evocare Guillermo venne
accusata di furto probabilmente perch sospettata di stregoneria:
dopo aver pagato la merce acquistata con una banconota battezzata, tornandone in possesso, avrebbe potuto magicamente
appropriarsi dellintero incasso della giornata.
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rapporto alla formazione e allo sviluppo di unattiva societ civile. Secondo lipotesi interpretativa di Putnam, esisterebbe un
rapporto circolare fra i modi in cui le istituzioni danno forma
alla politica e i meccanismi attraverso i quali la storia influisce
sullarchitettura istituzionale di un paese. In questa circolarit, i
contesti sociali avrebbero la capacit di modellare il rendimento delle istituzioni: un contesto sociale favorevole, rappresentato in primo luogo da una comunit (termine ricorrente nella
sua connotazione genericamente positiva) fornita di un bagaglio adeguato di norme e impegno civico, rappresenterebbe la
principale fonte di sviluppo locale.
Gi in questa prima formulazione, il sociale avvicinato al
termine capitale declinando in toni morali le attese derivanti da
un investimento economico, in previsione di profitti da ottenere
con unoculata allocazione di risorse. In effetti, Putnam riprende il concetto dai Fondamenti della teoria sociale del sociologo
Coleman (Coleman J.S., 2005 [1990]), quadro di riferimento
teorico-metodologico pubblicato nel 1990 in cui il capitale sociale compariva come una funzione della struttura sociale ed
era costituito da dimensioni organizzative che possono facilitare lazione degli individui. Laffermazione di questa proposta perlopi dovuta allaspettativa di circoscrivere il capitale
sociale come una risorsa-macro, statisticamente rilevabile con
adeguati indicatori e misurabile su scala regionale e nazionale.
Come tutte le forme di capitale, anche il capitale sociale indicherebbe un valore produttivo misurabile, finalizzato a ottenere
risultati altrimenti irraggiungibili. Le reti comunitarie proliferate ai margini dello stato, spesso in condizioni di povert e di carenze infrastrutturali, potrebbero alla fine entrare ufficialmente
dentro la statistica, la scienza dello stato, portando in dote i
legami e le solidariet.
Il libro di Putnam ha incontrato un certo successo: in primo
luogo per la visione ottimista e volontarista di cui si faceva
portavoce, in secondo luogo per lefficace combinazione del
piano economico-imprenditoriale (il miracolo dei distretti in-
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condizioni essere convertito e istituzionalizzato, e come il capitale economico svolga una funzione cruciale, senza per essere
il fulcro di una sovradeterminazione sugli altri capitali. Le differenti forme di capitale, infatti, possono essere derivate dal capitale economico quando specifici attori attivano il tipo di potere
efficace ed effettivo nel campo sociale in cui avvengono contese
e transazioni (Bourdieu P., 1986: 252, vedi anche Siisiinen M.,
2000). Daltro canto, il capitale culturale, come lavoro sociale
accumulato nel processo di costruzione della persona, attraversa le capacit di agire e i saperi corporei degli attori, prendendo differenti forme: incorporato (embodied) e naturalizzato
nelle disposizioni mentali e corporee, oggettivato (objectified)
nei beni culturali (dipinti, libri, macchine, strumenti), e istituzionalizzato attraverso lattribuzione di originali qualifiche
garantite al soggetto dal sistema educativo. Investimento personale di tempo in ricchezza esterna convertita in persona, il
capitale culturale incorporato tende in alcune circostanze a
trasformarsi in capitale simbolico vale a dire un capitale su
base cognitiva fondato su conoscenza e riconoscimento e per
questo percepibile attraverso categorie risultanti dallincorporazione delle strutture oggettive del campo considerato 9. Anche a causa della natura mascherata delle condizioni della sua
trasmissione e acquisizione, il capitale culturale agisce cos nei
processi di naturalizzazione e di controllo sociale.
Nellarticolata economia delle pratiche di Bourdieu, com
noto, la definizione dei contesti dipende dal rapporto storicamente determinato fra campo e habitus. Dove il campo
costituito dai modi in cui specifici agenti si riconoscono e interagiscono attraverso posizioni e prese di posizione, mentre
lhabitus storia incorporata, disposizione ad agire con una
9. Il caso di alcuni terapeuti tradizionali particolarmente interessante al
riguardo: il dono che caratterizza un mediatore di guarigione legato a indole
e vocazione, ma spesso acquisito fuori dalla linea genealogica, sviluppandosi
in modo idiosincratico (Friedmann D., 1993 [1987]). In tal senso pu essere contemporaneamente oggetto di appropriazione materiale (come capitale
economico) e di appropriazione simbolica (come capitale culturale).
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5. Scenari
I programmi di aggiustamento strutturale, promossi dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale a cominciare
dagli anni Ottanta, hanno avuto un impatto negativo di scala
continentale su vaste aree geopolitiche. Come mostrano recenti
rassegne sugli effetti delle politiche neoliberiste sulle economie
sanitarie in vari stati (Pfeiffer J. - Nichter M. 2008, Pfeiffer
J. - Chapman R., 2010), privatizzazioni, riduzioni della spesa
pubblica e deflazione delle valute imposte ai paesi in via di svi-
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ne, ricerca. LItalia dei governi di centro-destra nel quindicennio trascorso un esempio. Ma la linea in atto da anni in molti
paesi dellUnione Europea e sembra aver attraversato indenne
diverse fasi politiche ed economiche caratterizzate da spinte inflattive e da crisi recessive.
In Italia, per quel che concerne la salute, alla distinzione
tra welfare state, per cos dire classico (ad esempio secondo il
modello delle socialdemocrazie del nord-Europa), e mercato
neoliberista, andata progressivamente sostituendosi una realt mista, fatta dintervento statale e interessi privati attraverso appalti ed esternalizzazioni. Nella nuova ratio dei mercati
interni alla pubblica amministrazione, lerogazione dei servizi
socio-sanitari stata fatta prevalentemente da un gestore pubblico soggetto a forti pressioni e a conflitti dinteresse. Nella
maggioranza dei casi, con investimenti variabili nelle regioni,
si cercato di produrre un sistema competitivo tra profit e non
profit, tenendo in vita un mercato privato dentro il pubblico.
La tendenza prevalente a proporre risposte predefinite, rispondenti soprattutto a esigenze dellerogatore e in parte al presunto
gradimento dei consumatori (utenti e famiglie), riduce drasticamente lo spazio riservato alla costruzione di soluzioni originali
locali. Evidenti sono i limiti di questo modello di gestione, in
cui la concorrenza del mercato dovrebbe fornire migliori servizi
sociali, soprattutto quando lobiettivo prioritario di ridurre il
costo delle prestazioni si scontra inevitabilmente con la iperregolamentazione centralizzata, frenante il miglioramento della
qualit, e con un sistema degli appalti che aumenta il potere di
enti esterni di certificazione economico-finanziaria-organizzativa (Folgheraiter F., 2006: 25).
In questa situazione, ipotizzare prestazioni in cui sia attiva unastratta virt civica, lasciando che beni e servizi siano distribuiti e accumulati secondo le regole del mercato e
lintervento dello stato, significa ridimensionare il ruolo della
partecipazione attiva nelle politiche democratiche della salute.
Nel caso italiano, ad esempio, le indicazioni affinch le aziende
sanitarie provino a beneficiare di un buon capitale sociale ali-
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rilevante per valutare ogni progetto di sviluppo della rete sanitaria in un contesto dato. Vi sono, difatti, varie situazioni in cui
i miglioramenti di efficacia di un trattamento non hanno effetti positivi sulla popolazione generale, in cui dunque lefficacia
delle cure disponibili non ha effetto sulla produttivit medica.
Allan Young descrive tre casi esemplari: (a) quando lefficacia
caratterizza solo interventi destinati a gruppi ristretti, spesso per
pochi utenti legati alle realt urbane, sottraendo risorse al resto
della popolazione in condizioni di povert e bisogno (Young
A., 2006 [1982]: 135), (b) quando farmaci o presidi medici sono
messi a disposizione di ampie fasce della popolazione, senza
per creare le effettive condizioni per un loro impiego adeguato (come accade quando la somministrazione estesa di un
farmaco ha, nel lungo periodo, imprevisti effetti iatrogeni), (c)
quando la cura di casi isolati non procede di concerto con la
ricerca sulle cause sociali di una malattia, amplificandone anzi
la naturalizzazione e la desocializzazione. Il fatto che il modello
biomedico sia strutturato su una logica ospedaliera e farmacologica ha come potenziale conseguenza la naturalizzazione di
vaste aree della sofferenza sociale e la de-socializzazione della
malattia, ecco perch la stessa logica biomedica alla base delle
economie sanitarie pu in certe circostanze diventare il principale responsabile della diminuzione della produttivit di un
sistema di salute.
Si comprende come il rapporto squilibrato tra medicina
ospedaliera e salute comunitaria sia un punto nevralgico per le
strategie sanitarie pubbliche, che meriterebbe un ampio e costante confronto politico. In generale, se i livelli essenziali di
salute fossero ridotti alle procedure e tecnicalit biomediche,
tagliando fuori le azioni di cura della sfera informale e non istituzionalizzata (volontariato e ambiente familiare), si potrebbe
arrivare a parlare di efficacia solo per interventi medici preventivamente separati dal sociale, con evidenti contraccolpi sulle
politiche di welfare pi complesse che dovrebbero invece investire su competenze, partecipazione e reciprocit nelle realt della cura. In tutti i casi, limporsi di una bio-medicina ad
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rapporto fra gestione della salute come bene comune ed efficienza dei sistemi medici (Smith-Nonini S., 2006). Tali processi
assumono importanza proprio perch si attivano dalle relazioni
storicamente mutevoli e dalle conoscenze situate di agenti specifici, in arene conflittuali dove sono prodotte la partecipazione
attiva e la coesione sociale. In alcuni incontri pubblici, con vari
soggetti attivi in difesa dei diritti di cittadinanza, Tullio Seppilli recentemente intervenuto su questi problemi e sulla salute
come bene comune, proponendo di definire gli strumenti di
analisi e i modi di confronto politico per il riconoscimento dei
diritti e dei commons (Seppilli T., 2010, 2012). Il suo un vero
e proprio esercizio dimmaginazione antropologica cui importante richiamarsi a questo punto, per riflettere sul rapporto tra
forme condivise di presa in carico e partecipazione democratica
alle decisioni strategiche. Come egli ha ricordato, lobiettivo
comprendere quali siano le radici e i fattori che pesano a sostegno dellattuale assetto economico-politico (e dei suoi successi),
quali le dinamiche attualmente in gioco e quali le contraddizioni che ne risultano, con quali forze sociali e con quali forme
organizzative sia realisticamente pensabile in termini strategici
e tattici, aprire spazi per una societ diversa (Seppilli T., 2012:
116). In questa prospettiva indispensabile riflettere su mutamenti sistemici di larga scala e nello stesso tempo puntare sulla
soggettivit sociale e sulle forme di organizzazione collettiva.
Nella direzione indicata da Seppilli, necessario che alcuni
beni essenziali per la vita delluomo debbano sfuggire alla logica della propriet privata, del mercato e del profitto e vadano
comunque tutelati dalla legge come beni collettivamente controllati e potenzialmente disponibili per tutti, di interesse di
tutti, siano cio beni comuni (Seppilli T., 2010: 370). Inserire
la salute in tal quadro politico ha conseguenze importanti. Se il
potenziamento delle risorse comunitarie locali corrispondesse
effettivamente alla partecipazione politica dei cittadini/fruitori/
abitanti, la tutela, la delega e la rappresentanza potrebbero essere rimesse in discussione. Nuovi modi del confronto democratico potrebbero aprirsi a differenti livelli: locali, coinvolgendo
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che le societ pi ricche non producono necessariamente migliori livelli di salute per la totalit della popolazione e che vi
sia una chiara sinergia fra livello biologico, psicologico e sociale
nel determinare linsorgenza di malattie in persone variamente
collocate sulla scala sociale. Le ricerche appartenenti a questo
filone di studi hanno riscontrato una relazione positiva tra livelli
di capitale sociale, inteso come fiducia e reciprocit, e stato di
salute. Hanno inoltre proposto di rafforzare il capitale sociale per ridurre limpatto delle ineguaglianze socio-economiche
(Kawachi I., 1999).
Negli studi che si muovono lungo questo cammino, tuttavia,
le differenze strutturali (fondate su classificazioni di genere,
etnia, reddito) raramente sono inserite in analisi complessive di come possano funzionare e riprodursi i rapporti di potere
e le differenze di classe. Unaccurata lettura della vasta letteratura scientifica disponibile mostra inoltre che laumento dei
riferimenti alle caratteristiche strutturali degli aggregati sociali
coinciso con unenfasi accordata alla quantificazione a scapito
di ricerche intensive con dettagliate analisi dinterazioni in situazioni specifiche.
I pi critici verso ladozione del concetto di capitale sociale
hanno ritenuto soprattutto discutibile il rapporto tra i principali indicatori di salute della popolazione e i tratti psico-culturali definiti in termini di fiducia e di numero di affiliazioni
ad associazioni. Studi sulla diseguaglianza socioeconomica e
sui dislivelli di classe (Lynch J.W. - Kaplan G.A. - Salonen
J.T., 1997, Muntaner C. - Lynch J.W. - Hillemeier M. - Lee
J.H. - David R. - Benach J. - Borrell C., 2002) mostrano che
se da un lato statisticamente evidenziata una correlazione
strutturale fra reddito pro-capite, spesa pubblica e condizioni
socio-sanitarie di gruppi di popolazione, dallaltro lato non vi
altrettanta evidenza statistica dellimpatto sulla salute di alcuni
indicatori standard del capitale sociale (ad esempio, fiducia negli altri e appartenenza ad associazioni volontarie) (Kennelly
B. - OShea E. - Garvey E., 2003). In proposito, le critiche pi
incisive alluso della nozione di capitale sociale in epidemiolo-
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alla salute e alle prestazioni di cura stata affinata in ricostruzioni dei legami fra individui, famiglie, reti amicali e di vicinato,
luoghi di lavoro, e stili di vita. Varie ricerche sui social networks hanno evidenziato come le informazioni per affrontare problemi sanitari siano accessibili in base alla posizione occupata
dagli attori nei reticoli e siano perci strettamente dipendenti
dai contesti e dalle loro trasformazioni storiche (Campbell C.,
2000, Campbell C. - Gillies P., 2001, Campbell C. - McLean
C., 2003). In particolare, questi approcci alla dinamica strutturale dei reticoli fanno spesso riferimento a progetti di promozione della salute affidati alle comunit (termine ricorrente
nelle raccomandazioni dellOrganizzazione mondiale della sanit per indicare le popolazioni locali), con politiche di coesione e dassistenza sociale volte a potenziare specifici networks.
La costruzione di legami interni ed esterni alle comunit, insieme allopportunit di unire differenti agenti servendosi di diverse fonti dinformazione, sono aspetti sottolineati nello studio
del collegamento fra coesione sociale e ineguaglianze di salute.
In proposito, una distinzione fondamentale riguarda le dimensioni riferibili a legami interni (bonding) e a quelli fra (bridging)
gruppi sociali (Adams J. - White M., 2003). In questa direzione,
studi recenti sulla salute hanno rilevato un modesto ruolo di
protezione da parte del capitale sociale sia bonding che bridging
(Kim D. - Subramanian S.V. - Kawachi I., 2006). Soprattutto
hanno evidenziato che i processi in questione sono dipendenti dalla struttura sociale e dalla natura degli scambi materiali
e simbolici, quindi non deducibili da misurazioni statistiche
applicate a grandi aggregati. Lanalisi dei reticoli ha messo in
evienza inoltre possibili conseguenze negative del capitale sociale: ad esempio, il fatto che la stessa forza dei legami di gruppo tenderebbe ad escludere laccesso di attori considerati estranei, un forte in group che si chiude rispetto allout group. Tra le
caratteristiche dei gruppi vi inoltre la richiesta di conformit:
un controllo sociale esercitato sui membri e, dunque, una limitazione dellautonomia e della libert individuale (uno dei costi
di una organizzazione sociale centrata sui legami forti) pu in-
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industria biomedica il materiale biologico destinato a divenire uno dei principali oggetti di contesa e di sviluppo di nuove
forme di socialit.
Oggi sempre pi evidente il modo in cui la capitalizzazione
del bios nelle reti tecno-scientifiche e finanziare transnazionali
definisce unarea intermedia fra vita umana, bioscienze e socialit. In questo ambito problematico, si profilano gli scenari
contemporanei in cui i ricercatori sociali studiano le contese
attorno al bio-capitale e alle forme emergenti del sociale. Qui
Paul Rabinow ha individuato la biosocialit che si sviluppa, ad
esempio, quando un gruppo di utenti e familiari definiti attraverso lo screening genetico come portatori di una malattia, si
riuniscono per scambiare esperienze, fare lobby, programmare
leducazione dei figli, trasformare gli spazi abitativi e le scelte di
vita (Rabinow P., 1996: 102). Si tratta di relazioni e attivit di
persone concrete che spesso oltrepassano confini e violano interdetti, soprattutto quando sono personalmente impegnate ad
affrontare la malattia e la sofferenza. infatti negli itinerari terapeutici dei pazienti che si possono scorgere da un lato i punti
di accesso alle contraddizioni celate nella prassi burocratizzata
dei servizi, dallaltro i canali di comunicazione (spesso custoditi
da relazioni informali caratterizzate da una certa riservatezza)
tra sfere mantenute normativamente separate e distinte nella
biomedicina. In tale direzione, gli antropologi che si occupano
di malattia sono chiamati a interrogare oggetti, pratiche e discorsi, nella loro sfaccettata conformazione relazionale, lungo
una linea di contaminazione quotidiana tra biologico e sociale.
9. Bioeconomia e biocapitali
Nellaumento degli investimenti alla ricerca sulle biotecnologie
e la genomica, oggi possibile scorgere un nuovo terreno di
contese e di affermazioni politiche costituito dalla bio-economia, da intendere come un dispositivo di capitalizzazione della
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vitalit (Sunder R.K., 2006). Tale processo si lega ad una nuova concentrazione di risorse nella ricerca sulla vita. Com noto
la medicina e la biologia, in particolare nella fase dello sviluppo
della ricerca molecolare, richiedono alti investimenti di capitale
di rischio privato, affinch la riconfigurazione complessiva delle
attivit economiche possa catturare il valore latente nei processi biologici e nelle bio-risorse rinnovabili (Rose N., 2008
[2007]: 47). Gli esseri umani, come mostra nelle sue indagini
Nicolas Rose, sono cos soggetti a un rimodellamento della loro
pi intima natura, allinterno di una economia politica della
vita basata sul valore estratto dalle propriet dei processi viventi (Rose N., 2008 [2007]: 46). In questi casi si parla prevalentemente di bio-capitali.
Negli ultimi due decenni, si potuto vedere come il riconoscimento e la manipolazione del corredo genetico costituiscano
un ambito cruciale dellintervento sulla parte innata del capitale
umano. Gli studi sociali e storici delle bio-scienze hanno evidenziato, nel settore della procreazione assistita, nuove costanti
interazioni fra componenti genetiche della valorizzazione nello
scambio di mercato e proliferazione di network tecno-politici
(Franklin S., 2006). Nellambito degli science studies, molteplici ricerche hanno reso disponibili nuove descrizioni e interpretazioni che mettono in gioco oggetti di natura mista (ibridi
e cyborgs), fabbricati in reti operative, collettive e discorsive
attraverso la circolazione di materiali genetici e biologici (Ong
A. - Collier S.J., 2005). La tecnologia necessaria a gestire e
a far circolare informazione proveniente dagli esseri viventi
molto costosa e occupa un posto strategico nella realt politicoeconomica costruita sulla genetica.
I processi storici co-implicati e le interazioni fra assetti istituzionali e produzione di conoscenza biomedica sono particolarmente complessi. Un esempio di tale complessit offerto
dal dettagliato resoconto che Andrew Lakoff ha fatto della
collaborazione, iniziata nel 1997, fra la Genset-genomics e il
Dipartimento di psicopatologia di un ospedale pubblico di
Buenos Aires, finalizzata alla raccolta e alla mappatura del Dna
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di volta in volta inseriti: il gruppo emergente diviene alternativamente una popolazione epidemiologica, un segmento di
mercato e una comunit di identit auto-attribuite (Lakoff
A., 2005: 22).
Lo sviluppo, la gestione e linvestimento del bio-capitale
sono possibili quando aumenta la possibilit di processare cellule, tessuti e organi umani, come strumenti terapeutici e farmacologici. Perch questo accada, ovvero perch un bio-valore
venga inserito nel processo di reificazione e mercificazione, la
parte del corpo oggetto di transazioni deve perdere i tratti di
individualit, indivisibilit e riconoscibilit, negando il continuo lavoro necessario per tenere in vita i corpi tecno-scientifici
materiali e semiotici (Haraway D.J., 2000 [1997]: 200). Ne
discende che, entro lo scambio di mercato, il processo di valorizzazione del materiale biologico (quale parte costitutiva del
cosiddetto capitale umano) procede nella direzione opposta a
quella della valorizzazione del legame sociale (la rete relazionale riconducibile al cosiddetto capitale sociale) e potenzialmente distrugge la possibilit umana di affiliazione quale risultato
dello scambio (Lock M. - Nguyen V.K., 2011: 211). Esso tende inoltre a occultare il processo di produzione delle relazioni
biosociali con tutte le sue articolazioni socio-naturali fra i diversi agenti umani e non-umani co-implicati (ricercatori, pazienti,
dispositivi, macchine, embrioni, cellule vegetali) (Latour
B., 1995 [1991]). In questa direzione, piuttosto che separare le
reti sociali da quelle delle bio-scienze e della bio-economia,
urgente concentrare lattenzione sulle loro attuali interconnessioni, provando a evidenziare i processi di naturalizzazione del
corpo e di reificazione dei legami umani.
10. Conclusioni
Alla fine del percorso qui proposto, si vede come il capitale
sociale circoli non come un oggetto che abbia unautonomia
derivante da specifiche caratteristiche, ma perch si presta a es-
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continue, mostrando cos un aspetto interessante del potere incantatorio che la merce esprime attraverso il suo movimento. Il
capitale sociale, alla fine di questo percorso, svela la sua natura
reificata e mostra come una parte acquisita del capitale umano
possa contenere larcano dei processi di produzione e accumulazione delle forme emergenti di umanit e di socialit.
Andrea Caprara
2. Contagio
1. Simpatia e analogia
Nel 1546 Girolamo Fracastoro pubblica il trattato De contagionibus et contagionis morbis et eorum curatione nel quale distingue tre forme di contagio: quella che agisce per semplice contatto, quella che opera per contatto indiretto attraverso sostanze
infettive e quella che agisce per trasmissione a distanza. Si tratta
della prima grande opera sul contagio, le cui basi concettuali
lo stesso Fracastoro spiegher in un altro libro, De sympathia
et antipathia rerum (G. Fracastoro, 1968 [1546]). Durante il
Rinascimento, quattro elementi fondamentali costituivano lepisteme che forniva la chiave di lettura delle relazioni che si
instaurano tra elementi apparentemente diversi tra loro: convenientia, aemulatio, analogia e simpatia. Fino alla fine del XVI
secolo, avevano un ruolo chiave nellesegesi dei testi, nellinterpretazione e nella rappresentazione del mondo (Foucault
M., 1966 [1967]). Queste quattro forme di pensiero permettevano una interpretazione dei segni delluniverso mettendo in
relazione elementi apparentemente diversi tra loro, in base a
somiglianze di colore, forma o posizione, stabilendo relazioni
tra il corpo umano, luniverso, le piante, gli animali e le cose.
Secondo Foucault, il potere della simpatia consiste nel rendere
la persona o la cosa simile a quello da cui viene colpito: essa
pu nascere da un solo contatto come quelle rose di lutto di cui
ci si sar serviti durante il funerale, che, con la semplice vicinanza della morte, renderanno chiunque ne respiri il profumo
triste e moribondo (...) Essa altera ma nella direzione delli-
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Una componente che si potrebbe definire universale nellinterpretazione della malattia considera questultima come il
prodotto di una trasgressione, come una infrazione a certe regole o leggi precise stabilite dalla societ (Hritier-Aug F.,
1992). La trasgressione pu essere di tipo religioso e provoca
una malattia considerata come una punizione divina, oppure
di tipo sociale attraverso linfrazione di regole comuni, come,
ad esempio, la rottura del legame con gli antenati. Allinizio vi
una trasgressione, un errore dellindividuo o del gruppo nei
confronti di una norma collettiva. Perfino oggi, nella societ
occidentale, che sempre pi retta dalle scoperte scientifiche,
spesso la malattia ancora considerata il risultato della infrazione a certe regole sociali, che variano da una comunit allaltra e
secondo epoca e luogo (Ruffi J. - Sournia J.C., 1985 [1984]).
Il consumo di alcool, di tabacco, vengono appunto considerati
come inosservanze alle regole definite di prevenzione e possono
indurre lapparizione di diverse patologie. Nella nostra societ
si sarebbe colpiti dallAids perch alcune persone andrebbero
contro regole sociali e morali. tuttavia necessario aggiungere
che allinterno di questo paradigma il caso e la probabilit svolgono un ruolo molto importante, perch inscrivono il futuro
del malato nellimprevedibile.
Ogni malattia trasmissibile si comprende soltanto se inserita in un tessuto sociale, poich essa mette in causa i rapporti
dinamici esistenti tra gli individui di un gruppo. Il rischio di
contagio e i meccanismi attraverso i quali si effettua la trasmissione contribuiscono alla costruzione sociale della malattia e
provocano, inevitabilmente, comportamenti che tendono a separare il malato dalla societ attraverso il rifiuto o lisolamento3.
Alcune malattie, ad esempio, come la lebbra, la tubercolosi o
lAids conferiscono subito al malato uno stigma che influenza
i suoi rapporti con la societ: generalmente la percezione del
rischio che genera accettazione o rifiuto, anche nel caso in cui
3. Vedi a questo proposito il volume curato in Francia da un gruppo di
storici della medicina (Bardet J.P. et al., (curatori), 1988).
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Douglas ha mostrato che le nozioni di contaminazione e di ordine acquistano realmente significato soltanto se le si considera
nel loro rapporto con una specifica organizzazione della realt
sociale umana (Douglas M., 1981 [1966]). possibile parlare
di proibizioni soltanto situandole in una classificazione fondamentale, primaria, pi o meno esplicita e sempre legata allordine sociale. Ponendosi nella linea di pensiero di Durkheim
e dellantropologia funzionalista inglese - Radcliffe-Brown e
Evans-Pritchard soprattutto - Douglas ha corretto e completato
le tesi di Frazer e di Tylor: la sporcizia - scrive lAutrice - essenzialmente disordine (...) e i riti di purezza e impurit danno
una certa unit alla nostra esperienza (1981: 24).
Douglas ha potuto dimostrare perch la cultura occidentale
e quelle tradizionali hanno ognuna una loro concezione della
sporcizia: nella cultura occidentale, le nozioni di igiene si basano sulla teoria dei germi, nelle societ tradizionali invece la
sporcizia non mai un fenomeno unico ed isolato: dove vi
sporcizia vi un sistema. La sporcizia il sottoprodotto di una
organizzazione e di una classificazione della materia [...] di una
sistemazione delluniverso (1981: 55).
In unaltra opera che dialoga soprattutto con i lavori di
Durkheim e Mauss, Douglas indica come i sistemi simbolici
si strutturino a partire dalle concezioni del corpo, che sono a
loro volta in stretto rapporto con le regole sociali (Douglas M.,
1979 [1970]), cosa che la porta a identificare delle corrispondenze tra il sistema simbolico ed il sistema sociale. In questo
modo trasforma lorganismo umano in un sistema analogo al
sistema sociale, come in un gioco di specchi che si ritroverebbe
in numerose societ del mondo. Effettivamente il corpo umano
fornisce, secondo Douglas, un sistema naturale di simboli che
si inscrivono nellorganizzazione sociale e fanno del corpo una
specie di codificatore primordiale ed universale. Poich ogni
simbolo acquista il suo significato soltanto attraverso la relazione che si stabilisce con altri simboli, il senso non pu essere ricavato che prendendo gli elementi uno ad uno, indipendentemente dalla struttura dinsieme. Ogni sistema simbolico
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Se i modelli epidemiologici di diffusione delle malattie contagiose sono abbastanza ben conosciuti, sono gli aspetti socioculturali che rimangono in gran parte oscuri. Un approccio orientato
etnograficamente deve porsi lobiettivo di studiare le conoscenze
e le pratiche relative alle malattie trasmissibili a partire da interpretazioni elaborate da ogni singola comunit a proposito della
trasmissione della malattia. Questa prospettiva permette di superare il semplice adattamento dei programmi sanitari in un determinato contesto culturale a profitto di una reale calibrazione
nei processi cognitivi e nel tessuto comunitario della popolazione
(Seppilli T., 1996). Se, ad esempio, si prendono in considerazione i programmi di medicina di base, il problema che si pone il
seguente: come si pu pretendere di modificare i comportamenti
di una popolazione riguardo alla prevenzione oppure alligiene
quando ci si confronta con la coesistenza di diversi paradigmi
di pensiero? Questa domanda non porta a sottovalutare i determinanti sociali, ci spinge invece ad allargare il quadro di analisi e ad introdurvi una maggior complessit. Posta in termine
di intervento, la domanda iniziale potrebbe essere formulata in
questo modo: qual , ad esempio, il significato di un programma
di costruzione di servizi igienici se, per la popolazione coinvolta,
il concetto di trasmissione oro-fecale di una malattia non esiste?
Diversi autori hanno centrato la loro riflessione sui rapporti tra la medicina occidentale e quella tradizionale allinterno di
societ caratterizzate dalla presenza di una pluralit di sistemi
(Bibeau G., 1982, Janzen J.M., 1978, Kleinman A., 1978, Leslie
C., 1980, Perrin M., 1980, Young A., 1976). Lesistenza di un
pluralismo concettuale ci costringe, senza dubbio, a mettere in
evidenza non solo le regole e le permanenze, ma anche e soprattutto le contraddizioni, le incoerenze, le debolezze, che esistono
allinterno di un dato contesto culturale e sociale.
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1. Definizione
Il processo di medicalizzazione pu essere definito come lapplicazione delle conoscenze e delle tecnologie mediche ad aspetti
della vita che storicamente non erano considerati di pertinenza
medica, o meglio come un processo di sconfinamento della medicina al di l dei suoi limiti, per cui problemi non medici sono
definiti e trattati come problemi medici (Conrad P., 1992, 2007,
Colucci M., 2006). La medicalizzazione stata analizzata sin
dagli anni Sessanta del XX secolo, dando luogo allo sviluppo di
unampia letteratura, che ha coinvolto vari ambiti disciplinari.
In particolare nelle scienze sociali essa stata associata con il
processo di modernizzazione, che si verificato nelle societ
occidentali. Come stato pi volte sottolineato, perch questo
insieme di circostanze si potesse realizzare stato necessario
che prima si determinassero le condizioni necessarie e che cio
si imponesse a livello culturale laccettazione della separazione
tra soma e psiche, cos come si andata affermando nel pensiero scientifico occidentale.
In una prima fase molti studiosi - tra questi forse il pi noto
Ivan Illich (1977 [1976]) - hanno sostenuto la tesi dellimperialismo medico, considerando alla base del processo di medicalizzazione limposizione di un potere unilaterale, che si realizza con laffermarsi nella societ dellegemonia delle professioni
mediche. E Irving Zola, allinizio degli anni Settanta, a sostenere la tesi secondo cui la medicina stava diventando unistituzione del controllo sociale, in parte soppiantando istituzioni come
la religione e la legge e a denunciare che molti aspetti della vita
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considerato naturale e non patologico2. Tuttavia, pur essendo naturale, il sangue mestruale ugualmente considerato
sporco e contaminante, nelle descrizioni medievali, influenzate
dalla tradizione giudaico-cristiana, esso appare come impuro
(Camporesi P., 1997).
Per tutto un lungo periodo della storia dellumanit, vi una
svalorizzazione dei fluidi del corpo femminile e la discussione
anatomica del mestruo tutta incentrata sulla provenienza di
esso. Il sangue mestruale non ancora collegato alle fasi della riproduzione, nonostante la teoria di un seme femminile
sia piuttosto condivisa. Solo nel 1827 la scoperta dellovulo
permette di collegare la funzione delle ovaie alle mestruazioni. Tuttavia il processo stesso viene visto come patologico e si
accentua la convinzione che le mestruazioni siano debilitanti,
sottolineando limpatto negativo che queste hanno sulla vita e
sul lavoro delle donne.
Agli inizi del Novecento si inizia a sviluppare il concetto di
ormoni e soltanto tra gli anni Trenta e Quaranta del XX secolo
sono individuati e isolati quelli femminili e si comincia a parlare
di ciclo mestruale (Malaguti R., 2005: 56). La prospettiva
meccanicistica insita nella biomedicina del periodo fa s che il
flusso mestruale sia descritto come segno di un mancato concepimento, insinuando progressivamente la concezione delle
mestruazioni come fallimento produttivo. Nei testi di ginecologia analizzati da Emily Martin il sistema riproduttivo rappresentato metaforicamente come un sistema di informazionetrasmissione con una struttura gerarchica, per cui a determinati segnali corrispondono determinate risposte endocrine. In
questi testi sottolineata la funzione che ha la produzione ormonale di preparare la fecondazione dellovulo, per cui quando
2. Allo stesso modo si ritiene che gli uomini eliminino il sangue in eccesso,
ma per altre vie (dal naso o anale). Pomata (1992) definisce questi uomini
mestruanti, sottolineando che per secoli la base corporea della differenza
di genere non legata ad aspetti fisiologici qualitativi ma solo quantitativi
e di posizione.
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egli descrive e mette insieme vari sintomi, distinguendoli in psicologici, quali la depressione e lansiet, fisici quali la nausea,
problemi epidermici e dolori alla pancia e al seno e problemi di
concentrazione, quali la stanchezza e linsonnia. La costruzione
della sindrome premestruale ha avuto risvolti sociali e culturali
rilevanti, infatti, ha consentito che si diffondesse, anche a livello
comune, lopinione secondo la quale le donne sarebbero inabili
a lavorare durante il ciclo. A questo proposito Emily Martin ha
istituito una correlazione tra questa costruzione culturale e il
periodo della Grande Depressione. Infatti, il processo di medicalizzazione delle mestruazioni, con la creazione della PMS
quale categoria diagnostica, si sviluppato in questo specifico
contesto economico e sociale, quando vi era lesigenza di escludere le donne dal mercato del lavoro. Si sono diffuse e sviluppate in questo contesto quelle pratiche mediche che controllavano il corpo delle donne, in una prima fase attraverso luso di
sedativi e calmanti e poi successivamente di trattamenti ormonali. Tuttavia, queste pratiche hanno ricevuto il supporto dalle
donne, che chiedevano un trattamento per i loro sintomi e che
sono state indotte maggiormente a controllare il loro comportamento in quei giorni del ciclo. Questa tendenza a patologizzare
le mestruazioni ha, infatti, determinato nelle donne la convinzione che sia i loro comportamenti che i loro disturbi fisici e
psichici - prima e durante il ciclo - siano dovuti alle variazioni
ormonali. Questa costruzione culturale della PMS ha permesso
e permette tuttora alle donne di utilizzare le mestruazioni come
una scusa legittima per il loro comportamento prima e durante
il ciclo, quando i sintomi mestruali sono spesso usati per manipolare delle situazioni a proprio vantaggio e per ricevere maggiore attenzione (Martin E., 2001: 135).
singolare come la pi recente forma di medicalizzazione
del corpo femminile riguardi le mestruazioni e rappresenti lultimo dei molti tentativi di medicalizzare ci che fisiologico
nella vita femminile. Lintroduzione della pillola che elimina
le mestruazioni, la cui vendita negli USA stata approvata recentemente, pone degli interrogativi sul significato che questo
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evento potr avere sulla vita delle donne e sul modo in cui possono cambiare le stesse rappresentazioni simboliche del femminile. E significativo che nella pubblicit di questo tipo di
pillole si faccia riferimento pi alla liberazione dal ciclo che alla
contraccezione. La premessa scientifica su cui si basa questo
intervento sulla fisiologia femminile che le donne del passato
avevano molti meno cicli di quelle contemporanee, a causa delle numerose gravidanze e dei lunghi periodi di allattamento. La
soppressione delle mestruazioni pu essere vissuta come una
conquista o una liberazione3, pu intrecciarsi con aspetti del
vissuto soggettivo, ma pu anche essere utilizzata in contesti
in cui le mestruazioni connotano ancora linferiorit femminile.
questo il caso della societ iraniana, studiata da Byron
Good, nella quale le donne usano la pillola durante il mese del
Ramadan o durante il pellegrinaggio, per prevenire con le mestruazioni la contaminazione che ne deriverebbe in entrambe
le circostanze (Good B.J., 2006: 54). La pillola, quindi, in questi casi libera sul piano pratico ma non a livello ideologico,
poich rafforza sul piano simbolico limmagine tradizionale del
sangue sporco e contaminante e la concezione della debolezza e dellinferiorit delle donne.
In tuttaltro contesto, luso della pillola contraccettiva tende
a imporsi tra le giovanissime, al di l di specifiche patologie e
di reali esigenze sessuali. Infatti, una ricerca svolta in Olanda
ha posto in evidenza che questuso, se ha comportato la riduzione della fecondit e del numero di aborti tra le adolescenti,
si tuttavia generalizzato. Le ragazze hanno una grande fiducia
nelle pillole, perch ritengono in questo modo di poter pianificare le mestruazioni, di poter agire sulle irregolarit mestruali e
sullacne, di poter programmare il week-end, insomma il controllo sulle mestruazioni appare come la pi importante funzione della pillola, che viene considerata come una tecnologia di
3. Il sito del mum.org (Museum of Menstruation) contiene la rubrica:
Would you stop menstruating if you could?, nella quale si invitano le donne a
intervenire e ad esprimere la loro opinione.
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alla donna lautodeterminazione e la liberazione dai vincoli biologici, eppure la stessa autodeterminazione divenuta ambigua,
poich attraverso laccettazione della pillola stata veicolata anche laccettazione di una concezione del corpo che non pu
essere vissuto a livello sensibile, e con questa la consegna della
propria corporeit a una tecnica che promette di esaudire i desideri femminili5 (Duden B., 2006: 141 [2002]).
Se le scienze mediche hanno sviluppato approfondite conoscenze sul corpo femminile e sui processi fisiologici che lo governano, tuttavia necessario riconcettualizzare lintero modo
di pensare il dato biologico e considerare che fenomeni definiti
naturali sono di fatto la conseguenza delle circostanze sociali
della vita delle donne (Riessman C. K., 1998: 60, Martin E.,
2001, Lock M., 2001). Queste conoscenze andrebbero utilizzate per il benessere delle donne e non distorte per vantaggi economici, come nel caso delle industrie farmaceutiche. Esempi
significativi di questo, come abbiamo visto, possono essere considerati lutilizzo della pillola per il controllo e leliminazione
delle mestruazioni, o la terapia ormonale sostitutiva per la menopausa, prescritte in modo indiscriminato.
Ricerche puntuali sottolineano che la prospettiva di genere
non pu essere applicata in modo astratto, ma che si deve intersecare con altre categorie quali la classe sociale, la lingua, letnicit, la religione. Le donne non sono soltanto vittime di questo
processo ma oppongono forme e modalit di resistenza, che
dimostrano un approccio pragmatico, piuttosto che ideologico,
rispetto alle tecnologie e ai servizi medici, cos come ad altri
settori dellesperienza (Signorelli A., 1996). Lattitudine verso
la medicalizzazione pu essere positiva, negativa o ambivalente,
pu mutare nel corso del tempo. La risposta spesso legata alle
5. Su questa posizione, ma con implicazioni di tipo psicologico, Chatel, la quale sostiene che i mezzi che hanno permesso alle donne di liberarsi
dellarrivo intempestivo di un figlio hanno modificato limpulso profondo
della fecondit e hanno introdotto anche lidea che sia possibile fare un figlio
quando lo si desidera (1995: 31-58 [1993]).
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In uno dei suoi diari, in una pagina scritta nel periodo in cui si stava
sottoponendo alla chemioterapia
per il cancro al seno, mia madre
[Susan Sontag] intimava a se stessa
di essere allegra, stoica, tranquilla. E poi aggiungeva: Nella valle
del dolore, spalanca le ali.
Non fu quella la morte che mor.
Ma alla fine, credo che le sue parole che ci credesse davvero o no,
che chiunque di noi possa arrivare
a crederci davvero o no siano la
cosa migliore che si possa dire del
nostro vecchio essere mortali.
Nella valle del dolore, spalanca le
ali
David Rieff, Senza consolazione,
2009, p. 120
Loncologa a Cinzia: A noi del suo
dolore non importa un bel nulla.
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sistemi medici. Lautore si rivolse alla differenza di comportamento e di reazione al dolore in quattro gruppi etnici (quelli
pi rappresentati nella citt di New York agli inizi degli anni
Cinquanta: italiani, irlandesi, ebrei e Old Americans, ovvero cittadini americani da pi di due generazioni) in un grande ospedale specializzato nella cura e nella riabilitazione dei reduci di
guerra. Lo studio prende dunque in esame solo la popolazione
maschile appartenente a diverse classi di et. Lobiettivo pratico, che per noi rimane oggi lautentico valore pioneristico di
questo studio, era contribuire a chiarire da dove emergevano le
difficolt nel rapporto tra infermiere, medico e paziente: latteggiamento nei confronti del dolore fisico da parte dei curanti ha,
infatti, grande importanza, soprattutto quando linfermiere o il
medico ritengono che il paziente esageri la sensazione di dolore,
mentre il paziente pensa che il medico o linfermiere minimizzino la sua sofferenza. Questo aspetto ha importanti conseguenze
sulla decisione di somministrare analgesici e sul tipo di risposte assistenziali fornite al paziente. Al nostro sguardo appaiono
invece superati i criteri analitici impiegati, e soprattutto la sopravvalutazione del ruolo delletnicit nella stilizzazione dellespressione del dolore. Le categorie analitiche impiegate sono:
i modelli educativi, ovvero come ciascuno di noi apprende fin
dalla pi tenera et in quali occasioni lamentarsi, come esprimere dolore e sofferenza, quando cercare aiuto se non si sta bene,
seguono le aspettative concernenti il comportamento secondo
il genere sessuale, altre variabili prese in considerazione sono
di tipo pi propriamente sociologico, come il grado di istruzione e lattivit lavorativa. Lautore dichiara esplicitamente che si
tratta di uno studio a carattere descrittivo, ma la scelta delle categorie analitiche alle quali far risalire le differenze significative
tra i gruppi, e limpiego acritico, come nello spirito del periodo,
del termine etnia sortisce un effetto generalizzante e atemporale. Inoltre, latteggiamento in risposta al dolore coagula tutte
queste componenti in uno stile espressivo, verbale e non verbale, il quale per subordinato alla comunicazione di diverse
esigenze psicologiche: ad esempio, provocare preoccupazione e
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interessamento, o suscitare comprensione per la propria sofferenza. In altre parole, le componenti culturali identificate servono pi a spiegare latteggiamento psicologico soggiacente che
ad avere importanza in quanto tali. La maggiore critica rivolta
a Zborowski quella che il suo studio, nel tratteggiare le differenze tra etnie, fuori dalla storia e dal cambiamento, esemplifica il paradigma discontinuista, ovvero lidea secondo la quale
il mondo composto da un mosaico di etnie, ciascuna delle
quali insediata su un territorio delimitato, con una lingua,
tradizioni, modi di vivere che le sono particolari. Una accanto
allaltra forniscono leffetto di tessere di un mosaico, ciascuna
singolarmente conchiusa e autonoma, immagine che non tiene
conto delle dinamiche identitarie e di ibridazione, omogeneizzazione ed anche sovrapposizione territoriale dei gruppi. Il paradigma discontinuista stato da almeno 20 anni abbandonato
dalle discipline antropologiche, ma resiste tenace nel senso comune, che continua a pensare a un mondo fatto di etnie, ognuna delle quali descrivibile come una entit autonoma, distinta
da quella accanto, portatrice di interessi, con un profilo caratteriale, usi, costumi e comportamenti diversi da quelle intorno.
Nelluniverso sanitario, il rischio che un paradigma discontinuista profila quello di generare negli operatori sanitari aspettative di comportamento dei pazienti standardizzate: quando
litaliano, il ghanese o il cinese sembrano comportarsi in modo
diverso dalle pre-comprensioni, rappresentano una deviazione
dalla norma, che acquista una coloritura morale: allora si tratta
di una incapacit della persona ad esprimersi in modo comprensibile, oppure essa dotata di scarsa autonomia e pretende di
avere tutto, di ottenere risposte per qualsiasi esigenza. Lalone
di notoriet del saggio di Zborowski meglio pi comprensibile
se concentriamo la nostra attenzione su alcuni elementi periferici della sua analisi. Tra di essi, oltre al gi citato problema della
possibile sottovalutazione del dolore del paziente da parte dello
staff medico-infermieristico, che diventer il tema dominante
nella letteratura clinica degli ultimi anni, lo spunto legato alla
dimensione biografica, concernente le conseguenze che una pa-
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semantica del dolore che traduce lesperienza in significati condivisi: dalla descrittivit si procede verso i linguaggi e i significati del dolore, avvicinando lapproccio fenomenologico. E il
periodo in cui si approfondiscono gli idiomi della sofferenza,
ovvero i codici espressivi utilizzati per esprimere malessere e
dolore fisico.
Ad esempio, nella vasta letteratura sui nervios, quale particolare idioma del malessere, troviamo lo studio di Abad e Boyce (Abad V. - Boyce E., 1979) concernente due diverse concettualizzazioni del mal di testa (dolor de cabeza e dolor de cerebro),
che si distinguono per sede, intensit dello stimolo doloroso e
qualit dellesperienza. Ohnuki-Tierney (Ohnuki-Tierney E.,
1981), descrivendo la salute/malattia presso gli Ainu giapponesi, elenca le metafore animali impiegate nella descrizione dei
sintomi, come pure Ots (Ots T., 1990) si sofferma sulle forme
di disagio che segnano lincorporamento delle categorie mediche tradizionali cinesi di equilibrio/squilibrio quale causa della
malattia. Ebigbo (Ebigbo P.O., 1982) elenca le forme di malessere e dolore fisico e le espressioni relative che appaiono come
predittive di disagio mentale in una popolazione nigeriana. Va
ricordato inoltre uno studio la cui complessit anticipa le linee
attuali di riflessione sul dolore: Fabrega e Tyma (Fabrega H.
- Tyma S., 1976a, Fabrega H. - Tyma S., 1976b) individuano
la relazione tra dolore e cultura come interrelazione di stupefacente complessit tra elementi neurobiologici, modulati da processi ormonali, emozionali e percettivi, a loro volta influenzati
da categorie culturali e relazioni sociali. Uno studio cos denso
e multifattoriale da rendere improponibile ogni tentativo settoriale (delle scienze sociali o di quelle mediche) di cogliere i
processi che trasformano la fatica in mal di testa, o uno stigma
sociale in crampi addominali. In effetti, la rete delle variabili da
prendere in considerazione nellesperienza del dolore talmente ampia, e la metodologia ancora cos inadeguata, da spiegare
come il dolore sia, per le scienze mediche, uno dei pochi stati
definiti come soggettivi, da un lato, mentre per le scienze sociali ci si concentra maggiormente sulla espressione del dolore
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ed i codici condivisi.
David Le Breton (Le Breton D. 1995) aggiunge una nuova
tessera alla costruzione della sua antropologia del corpo intrapresa sin dalla met degli anni Ottanta con un testo che affronta
il dolore su un piano antropologico, interrogandosi su come la
trama sociale e culturale in cui esso immerso influisce sui comportamenti e sui valori. Le tre polarit del dolore universalit,
individualit, socialit costituiscono lo sfondo di un percorso
complesso di riflessione. Il dolore, assolutamente irriducibile
alla nudit di un semplice fatto biologico, propone leterno problema del significato del male. Per questo motivo il dolore viene
integrato da tutte le societ in una visione del mondo, che attribuisce significati, elabora misure simboliche e pratiche per limitarne la distruttivit, o trasformarlo in prova creativa e vitale.
Esemplare il cristianesimo, il quale, come altri sistemi religiosi, colloca la sofferenza umana allinterno di un disegno divino
al quale luomo non pu che sottostare. La sofferenza estrema,
la tribolazione della carne in questo disegno divengono segno
di elezione, trasformandosi, come testimoniano le vite dei santi,
in godimento ed estasi. Sulla valenza positiva e vitale del dolore
si fondano anche i riti di iniziazione: il dolore imposto e ritualizzato, insieme alla dimensione del segreto, diventano matrici
generatrici di inclusione e costruzione di umanit, di risorse
morali e fisiche per affrontare lesistenza, individuale e sociale.
Le Breton si sofferma su alcuni usi sociali del dolore, come il
dolore educativo somministrato attraverso le punizioni corporali, o la tortura quale materializzazione di una logica del dominio, o, seguendo lo spunto di Zborowski, il dolore ammesso
e previsto in alcune pratiche sportive, come il pugilato. Lanalisi
di Le Breton senzaltro calzante, quando constata che lappropriazione del dolore da parte della medicina come oggetto
di sua esclusiva competenza ha contribuito a mutare il rapporto
degli individui con la sofferenza fisica. Il dolore sta perdendo
ogni significato morale, cos come si perde progressivamente il
valore un tempo attribuito alla capacit di sopportazione personale, mentre la domanda crescente di analgesici consegna alla
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3. Dare
Scarry
voce al dolore: da
Margo McCaffery
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Il primo problema quindi quello della comunicabilit: poich la persona che soffre esprime con difficolt quanto prova,
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Provare dolore sfida il linguaggio e la capacit di comunicarlo allesterno del corpo. Sapere quanto dolore prova una
persona insieme il primo atto di sollecitudine di chi cura ed
assiste e la pietra dinciampo per ogni pretesa di oggettivazione.
Indubitabile per chi ne fa esperienza, il dolore aggiunge alla
sofferenza che imprime quella di alimentare il dubbio di chi
si volge a coglierlo dallesterno, in assenza di strumenti che
permettano di darne una misurazione oggettiva. In un ambito
come quello clinico in cui prevale la pretesa di riuscire a tradurre ogni esperienza del corpo in dato oggettivo, lesperienza del
dolore per la sua stessa specificit si sottrae a questo universalismo misuratore. Cerchiamo di sfidare la dimensione privata e
individuale del dolore definendolo, misurandolo, teorizzandolo
ed analizzando la narrazione di qualcuno che lo prova. Ma le
rappresentazioni del dolore non sono equivalenti al dolore in
s. Come esperienza privata e soggettiva e crea una separazione
tra chi soffre e chi osserva. Isabelle Baszanger, nel suo studio sullinvenzione della medicina del dolore, nota come gli strumenti
di accertamento e classificazione del dolore siano stati essenziali
per farne un oggetto malleabile, affrontabile oltrepassando la
sfida soggettiva che propone. Intorno a questo oggetto la comunit professionale pu organizzarsi: la classificazione gioca un
ruolo essenziale nel creare una comunit di pratiche e pu diventare una base comune attraverso la quale i medici comunicano tra
loro e con gli altri (Baszanger I., 1995: 34).
Lo studio di Whelan, citato nel paragrafo precedente, riporta come, quando si chieda - ad esempio nel caso dellendometriosi - di esprimere la qualit del dolore scegliendo cinque
aggettivi, questi possono essere usati in modo diverso da persone diverse, ed anche impiegati differentemente dalla stessa
persona in momenti diversi.
Oltre alla complessit che il tema della comunicazione del
dolore schiude per la riflessione antropologica, riposa un grande quesito di fondo, pertinente la possibilit della sua rappresentazione (e rappresentabilit). Comunicare e prestare ascolto al dolore ha comportato e comporta sviluppare strumenti in
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competenze di lettura o scrittura (si chiede al bambino di indicare quale faccina esprima meglio come ci si sente), e viene anche utilizzata nel caso di adulti, come anziani o persone
con difficolt di espressione, in questo caso stilizzando con
tratti meno infantili ogni singola espressione. In questultimo caso per, essendo le stilizzazioni legate ad emozioni culturalmente formalizzate e a percezioni di genere piangere
non ha lo stesso significato ovunque -, alta la possibilit di
incomprensioni.
- IPT (Iowa Pain Thermometer) consiste in sette descrittori della diversa intensit di dolore (da nessun dolore a
dolore insopportabile) disposti verticalmente, simulando
graficamente un termometro, in cui pi si sale, pi intensa
la sensazione di dolore.
Una ricerca recente, condotta tra persone sorde, in grado di
mostrare i limiti di questi strumenti (Palese A.- Salvador L.
Cozzi D., 2011) evidenziandone le pre-comprensioni culturali
implicite. Oltre a quelle gi segnalate per la NRS e la VAS,
privilegiata lespressione verbale e ludito, che mette in difficolt chi non abbia una competenza linguistica adeguata o chi
abbia lesi questi canali sensoriali. Se lambiente non adeguatamente illuminato, le persone sorde non sono in grado di leggere
lespressione labiale delloperatore che sta somministrando lo
strumento, e questo rinvia ad una variabile spesso trascurata,
ovvero le condizioni ambientali nelle quali avviene sovente la
comunicazione tra operatori e pazienti. Inoltre, molti adulti
possono sentirsi offesi dellessere trattati come bambini a cui
vengono mostrate faccine, considerate consone allinfanzia
o a persone con problemi mentali. Faccine che non tengono
conto di come, nella LIS (Lingua Italiana dei Sordi) le espressioni facciali sono quasi sempre in relazione con sentimenti ed
emozioni essere allegri, tristi.. - e non hanno una correlazione
diretta con il dolore. Anche in questo caso non si riflette sulla
natura convenzionale della sovrapposizione tra espressione ed
emozione, considerandole culturalmente neutre.
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5. Incorporazione e Stato1
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5. Incorporazione e Stato
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rapporto alla cultura, ma deve essere considerato come il soggetto, oppure in altri termini come la base esistenziale della
cultura (ibidem, corsivo originale). Csordas si rifaceva a tre
autori in particolare: Alfred Irving Hallowell (1892-1974), per i
suoi lavori sulla costituzione culturale del s, Maurice Merleau
Ponty (1908-1961), sul problematico rapporto tra il corpo e la
percezione, e Pierre Bourdieu (1930-2002), per i suoi studi sui
processi di incorporazione come pratica sociale (ibidem: 5-8).
Riflettendo sulle concettualizzazioni del s, della cultura, del
corpo, della percezione, dellhabitus e della pratica, che nei
dibattiti appaiono talora contraddirsi luna con laltra, fino al
paradosso, Csordas identifica lincorporazione come un concetto sovraordinato che comprende e rende compatibili la visione
fenomenologica con quello che egli denomina strutturalismo
dialettico (ibidem: 12).
In queste prime proposte di Csordas riscontriamo due questioni di interesse tuttora fondamentale. La prima che, nella
interpretazione dellantropologo statunitense, lincorporazione
si conferma come una caratteristica intimamente connessa al
corpo umano. Muovendosi cos agilmente da un concetto allaltro, dal corpo al s, dalla cultura allincorporazione, Csordas
sembra evidenziare un percorso personale che punta a coniugare una antropologia culturale del s con una esplorazione
filosofica dei fondamenti corporei della percezione e con una
teoria sociale dei rapporti fra pratiche sociali e corporee. In una
pubblicazione successiva, Csordas definisce lincorporazione
retoricamente attraverso un paragone: il rapporto fra corpo e
incorporazione equiparato al rapporto fra testo e testualit.
Questa figura retorica gli consente di definire il corpo come
lentit biologica, materiale, e lincorporazione come un campo metodologico indeterminato, definito dalla esperienza percettiva e dalle forme della presenza e dellessere impegnati nel
mondo (Csordas T., 1994: 12). In questa lettura, lincorporazione diventa un concetto riferito alla percezione corporea e
allesperienza dellessere-nel-mondo, in una stretta connessione
con il corpo umano individuale destinata a consolidarsi nel di-
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2005: 2-3). Riteniamo che, a questo punto, sia urgente impegnarsi ancora in metodologie e analisi che incorporino le due
prospettive, che in un certo senso le comprendano e le superino, programmando ricerche che indaghino i processi e le relazioni che le legano. Ma prima di proseguire in ulteriori discussioni, dobbiamo volgere uno sguardo pi ravvicinato allaltro
polo, al secondo concetto del titolo: lo Stato.
2. Sullo Stato
Il termine Stato ha una storia antica e complessa, discussa in
una ampia serie di scienze. Non vogliamo n possiamo ricostruirne qui la lunga vicenda, ma alcuni brevi tratti possono essere utili. Dopo le rappresentazioni medievali del sovrano come
governo e potere incarnato, i filosofi italiani del Rinascimento
hanno contribuito in maniera determinante allo sviluppo della
parola Stato. Il termine deriva dal latino status e fin dal medioevo si riferisce alla stabilit dei governanti, alle condizioni della
repubblica, status publicus o status rei publicae, e indicava al
tempo stesso la stabilit dei governanti (il Principe, nei termini
di Niccol Machiavelli), la terra (la difesa del territorio era essenziale), e le strutture amministrative del potere del Principe.
con Max Weber che viene formulata una idea razionale di
Stato moderno, caratterizzato da una specifica prerogativa: solo
lo Stato ha il monopolio legale della coercizione fisica. Lo Stato
moderno lentit che ha il monopolio del politico, messo in
atto da procedure e mezzi razionali: la legge, la burocrazia, che
consente la legalit e loggettivit dei processi politico-amministrativi (Matteucci N., 2005).
Il concetto weberiano di Stato molto diverso dallidea di
Stato che ritroviamo nella ricerca antropologica, alla quale torneremo tra breve. Anche se la nozione weberiana dello Stato
pu essere sottoposta a una critica antropologica, tuttavia utile soffermarsi su alcuni aspetti interessanti che emergono dalla
tradizione filosofico-politica europea. Per esempio, come ha
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una ideologia lavora costantemente, culturalmente e sentimentalmente, a una costruzione della realt, essa, cio, descrive autorevolmente come il mondo e la realt sono (Mageo J. - Knauft
B. M. 2002: 5, Pizza G. 2003, 2012). pertanto sulle forme di
costruzione della realt che una prassi critica deve esercitarsi.
In primo luogo criticando e riarticolando la nozioni filosofiche
di natura umana, seconda natura, naturale:
Argomenti di coltura. Contro natura, naturale ecc. Cosa significa
dire che una certa azione naturale, o che essa invece contro natura? Ognuno, nel suo intimo, crede di sapere esattamente
cosa ci significa, ma se si domanda una risposta esplicita, si vede
che la cosa non poi cos facile. Intanto occorre fissare che non
si pu parlare di natura come qualcosa di fisso e oggettivo, in
questo caso naturale significa giusto e normale secondo la nostra
attuale coscienza storica, che poi la nostra natura. Molte azioni
che alla nostra coscienza appaiono contro natura, per altri sono
naturali perch gli animali le compiono e non sono forse gli animali gli esseri pi naturali del mondo? Queste forme di ragionamento si sentono talvolta fare a proposito di problemi connessi
ai rapporti sessuali. Perch lincesto sarebbe contro natura se
esso comune nella natura Intanto anche queste affermazioni
sugli animali non sempre sono esatte, perch le osservazioni sono
fatte su animali addomesticati dall uomo per il suo utile e costretti
a una forma di vita che per loro non naturale, ma secondo la
volont umana. Ma se anche ci fosse vero, che valore avrebbe ci
per luomo? La natura delluomo linsieme dei rapporti sociali
che determina una coscienza storicamente definita, e questa coscienza indica ci che naturale o no [ed esiste cos una natura
umana contraddittoria perch linsieme dei rapporti sociali].
Si parla di seconda natura, una certa abitudine diventata una
seconda natura, ma la prima natura sar stata proprio prima?
Non c in questo modo di esprimersi del senso comune laccenno
alla storicit della natura umana? (Gramsci A., 1975: 1032).
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se
Nei Quaderni del carcere Gramsci riflette anche sulle performance concrete e le azioni fisiche degli intellettuali e dei burocrati statali, che sono considerati i riproduttori dello Stato attraverso i loro gesti (come nella scrittura, ad esempio). In sostanza
egli si interroga sulla unit di azione fisica e intellettuale di questi specifici funzionari e sul loro addestramento formativo:
Sulla burocrazia. 1) Il fatto che nello svolgimento storico delle
forme politiche ed economiche si sia venuto formando il tipo del
funzionario di carriera, tecnicamente addestrato al lavoro burocratico (civile e militare) ha un significato primordiale nella scienza
politica e nella storia delle forme statali. Si trattato di una necessit o di una degenerazione in confronto dellautogoverno (selfgovernment) come pretendono i liberisti puri? certo che ogni
forma sociale e statale ha avuto un suo problema dei funzionari, un
suo modo di impostarlo e risolverlo, un suo sistema di selezione,
un suo tipo di funzionario da educare. Ricostruire lo svolgimento
di tutti questi elementi di importanza capitale. Il problema dei
funzionari coincide in parte col problema degli intellettuali. Ma
se vero che ogni nuova forma sociale e statale ha avuto bisogno
di un nuovo tipo di funzionario, vero anche che i nuovi gruppi
dirigenti non hanno mai potuto prescindere, almeno per un certo
tempo, dalla tradizione e dagli interessi costituiti, cio dalle formazioni di funzionari gi esistenti e precostituiti al loro avvento (ci
specialmente nella sfera ecclesiastica e in quella militare). Lunit
del lavoro manuale e intellettuale e un legame pi stretto tra il potere legislativo e quello esecutivo (per cui i funzionari eletti, oltre che del controllo, si interessino dellesecuzione degli affari di
Stato) possono essere motivi ispiratori sia per un indirizzo nuovo
nella soluzione del problema degli intellettuali che di quello dei
funzionari (Gramsci A., 1975: 1632, corsivo mio).
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1. Introduzione
Affrontare in prospettiva antropologica la questione dellefficacia degli atti terapeutici impresa non facile, in quanto implica
una riflessione critica ad ampio raggio su cosa si debba intendere per salute e malattia, su chi sia il malato cui la cura rivolta
e a quale oggetto essa si applichi, su quali siano (e per chi)
gli obiettivi che con essa ci si prefiggono, su chi abbia la capacit e lautorit di dichiarare (e quando) il loro conseguimento.
Tutto ci, nella consapevolezza che non possibile applicare a
un fenomeno complesso come la guarigione dei diversissimi tipi
di mali che affliggono gli esseri umani criteri di valutazione oggettivi e universalmente validi1. Una volta di pi, lo strumentario analitico dellantropologia si presta a cogliere la sfaccettata
complessit dei fenomeni bio-psico-sociali, a de-naturalizzare
i concetti con i quali si soliti trattarli e a evitare i rischi di
approcci riduzionistici, cui inevitabilmente sfuggirebbero molti
dei fattori che concorrono a determinare la realt che si osserva.
1. La maggior parte degli antropologi che si sono occupati del tema (cfr.
Young A., 1976, 1983, Foster G.M. Anderson B.G., 1978: 124, Kleinman
A. Sung L.H., 1979, Moerman D.E., 1979, 2004 [2002], Kleinman A., 1980,
Etkin N.L., 1991, Waldram J.B., 2000) hanno rilevato come qualsiasi tentativo di definire lefficacia terapeutica debba fare i conti col fatto che essa
stessa un costrutto culturale (Kleinman A., 1973: 210) e pertanto non possa
ignorare la variabilit dei contesti, delle concezioni, dei sistemi di significato e
di valori sulla base dei quali i diversi gruppi umani orientano le proprie pratiche curative. Tra le pi citate, la definizione di Young (Young A., 1983: 1208),
che recita: Lefficacia la capacit percepita di una determinata pratica di
contrastare la malattia in una qualche maniera auspicabile.
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infatti evidente che i diversi processi di plasmazione culturale degli individui (dei loro corpi pensanti, degli habitus10
che li caratterizzano, dei modelli valutativi che ne orientano le
scelte) faranno s che le esperienze di malattia vissute da questi e dal loro gruppo sociale siano qualcosa di loro peculiare, e
profondamente dissimili da quelle di soggetti formatisi seguendo altre modalit antropo-poietiche11. Se dunque esseri umani
plasmatisi diversamente patiranno mali diversi (e non di rado
discorderanno nello stesso riconoscimento che una determinata
condizione sia o meno patologica), altrettanto difformi saranno i loro modi di gestire la malattia sul piano terapeutico, nonch le loro reazioni alla terapia e i criteri in base ai quali considereranno guarito chi era ammalato. Queste considerazioni
indubbiamente complicano la possibilit di valutare secondo
modalit uniformi e comparabili lefficacia terapeutica, nondimeno consentono di sfuggire allillusione che ci sia possibile
in maniera oggettiva mediante luso di parametri universali
(come quelli usati dalla biomedicina). Troppe sono le variabili e
gli aspetti del complesso fenomeno della cura e della guarigione
che un simile approccio trascurerebbe. Vediamo invece di esaminarli e di coglierne la rilevanza.
2. Il paziente
Una prima questione che indispensabile chiarire ogniqualvolfuso a tal punto che chi ne era immune veniva considerato malato ed era
conseguentemente escluso dal matrimonio (cit. in Ackerknecht E.H., 1971).
10. Sul concetto di habitus, originariamente introdotto da Mauss (Mauss
M., 1965b [1935]) e successivamente riformulato da Bourdieu (Bourdieu P.,
2003 [1972]), si vedano Csordas (Csordas T., 1990, 1994) e Pizza (Pizza G.,
2005: 39 ss.).
11. Circa il processo di plasmazione culturale degli esseri umani chiamato antropo-poiesi quale elemento caratterizzante la specie umana, si vedano Remotti (Remotti F., 2000) ed Affergan et al. (Affergan F. et. al., 2005
[2003]).
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ta si intenda affrontare il tema dellefficacia di un atto terapeutico chi sia il malato da curare (Waldram J.B., 2000: 612).
Non sempre, infatti, a venir curato il singolo individuo (il
corpo individuale dello schema tripartito proposto da Lock e
Scheper-Hughes12). Lapproccio individualizzante alla malattia,
che trascura la sua natura di fatto sociale, isolando il paziente
dalla sua rete relazionale, logica conseguenza di una prospettiva tutta incentrata sul corpo, quando non addirittura sugli organi e i tessuti. Non a caso tra le accuse che pi di frequente
vengono rivolte alla biomedicina vi quella di limitarsi a curare
i corpi, trascurando le persone, ma non di rado le si imputa
di spingere ancor oltre il suo approccio iperspecialistico, ragionando per sineddoche, come quando, con scelte lessicali rivelatrici, gli operatori sanitari parlano fra loro dei propri pazienti
chiamandoli un omero o un triplo by-pass, anzich con il
loro nome. Laddove invece esistano concezioni della persona
meno individualistiche e autonome che nel mondo occidentale
(Aug M., 1980, Geertz C., 1988 [1974]: 75), possibile ed
anzi frequente che a venir curati non siano la singola donna o il
singolo uomo, quasi fossero degli atomi sociali irrelati, ma che
invece lazione terapeutica sia diretta alle pi ampie molecole
sociali che si ritiene la malattia colpisca, sovvertendone i legami
e larmonia. Nelle societ ove la presenza di gruppi corporati
come clan e lignaggi induce a concepire gli individui come
parti inscindibili e interconnesse di un insieme pi ampio, pensato alla stregua di un organismo, sar lintero corpo sociale
a venir curato, non diversamente da come, in ambito biomedico, si somministrano i farmaci al corpo nel suo complesso (ad
esempio con uniniezione endovenosa) anche quando si desidera che agiscano in particolare su una sua singola parte. In simili
casi, lidea dellesistenza di una persona diffusa, che travalica
i confini corporei individuali e coinvolge i congiunti pi pros12. Nel loro saggio (Lock M. - Scheper-Hughes N., 2006 [1990]), le autrici
propongono di distinguere fra corpo individuale, corpo sociale e corpo
politico, la mediazione tra i quali avverrebbe per tramite delle emozioni.
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o essenze impalpabili (spiriti) che vi penetrano alterando la salute e il comportamento20, componenti spirituali che si pensa lo
abbandonino (spontaneamente, o per traumi, forti emozioni o
attacchi esterni21).
In tutti questi casi, frequente lidea che la malattia si manifesti su di una pluralit di piani, richiedendo cos unazione
combinata su pi fronti. Ci vale ovviamente tanto in ambito
biomedico quanto nelle altre tradizioni mediche, e se ne dovr
tener conto nel considerare lefficacia della cura, con la differenza che, mentre nel primo caso la terapia, per quanto complessa, ha sempre luogo sul solo piano delle cosiddette cause
empiriche22, senza che ci si curi delle eventuali cause ulteriori che potrebbero soggiacervi (di, spiriti, maghi e altri aggressori, variamente sollecitati dalle condotte del paziente o dei suoi
congiunti), per quanti ricercano nella risposta agli universali
quesiti di perch a me?, perch ora? il significato del male
che li affligge, proprio nellindividuazione e nella rimozione di
quelle cause ulteriori pu risiedere il nocciolo fondamentale
della cura (nonch la fonte di unultima speranza di guarigione,
allorch manchino o si siano dimostrati vani gli strumenti per
combattere le cause empiriche). Non solo tra i popoli ove
20. Qui si va dal veleno che si credeva inoculato dalla tarantola (de
Martino E. 1961) alle innumerevoli forme di possessione spiritica (Ong A.,
1988, Pizza G., 1996, Pennacini C., 2001, Talamonti A., 2005).
21. Anche questa tipologia cos onnipresente che mi limito a citare
le opere di Hamayon (Hamayon R., 1990) per lAsia, Lewis (Lewis I., 1972
[1971], 1993 [1986]) per lAfrica, Signorini e Lupo (Signorini I. - Lupo A.,
1989) e Severi (Severi C., 1993) per lAmerica.
22. Mi riferisco qui alla distinzione tra livelli diversi dellasse eziologico
proposto da Bibeau (Bibeau G., 1982) e sostanzialmente coincidente con la
proposta analitica di Sindzingre e Zemplni (Sindzingre N. - Zemplni A.,
1981), in cui al piano verificabile della causa empirica (il come ci si ammalati) possono sommarsi per quanti lo ritengono fattibile cause ulteriori
appartenenti a un livello socio-psicologico: la causa agente (il chi, con
la propria intenzionalit, avrebbe scatenato la causa empirica) e la causa
iniziale (il perch tale iniziativa avrebbe avuto luogo, in base a considerazioni
di ordine morale che investono la condotta degli attori sociali, in primis il
malato).
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Tullio Seppilli non certo il solo studioso a sottolineare la necessit di sgombrare il campo dallequivoca identificazione tra
verit ed efficacia, che essendo profondamente radicata
nel paradigma biomedico ha a lungo costituito un ostacolo alla
comprensione del funzionamento e al riconoscimento del successo delle pratiche di altre tradizioni terapeutiche. Scriveva
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ben spiegato loro la causa delle loro disfunzioni, invocando secrezioni, microbi o virus. Ci accuseranno forse di paradosso se
rispondiamo che la ragione di ci sta nel fatto che i microbi esistono, mentre i mostri non esistono (Lvi-Strauss C., 1975b
[1949]: 222). Sarebbe il potenziale evocativo dei mostri, derivante proprio dalla loro natura fantastica (proteiforme e potenzialmente inesauribile) e inversamente proporzionale a quello
dei germi freddamente studiati dalla biomedicina, a costituire la fonte dellefficacia delle terapie rituali: la relazione fra
microbo e malattia esterna alla mentalit del paziente, una
relazione di causa ed effetto, mentre la relazione fra mostro e
malattia interna a quella stessa mentalit, ne sia essa consapevole o meno: una relazione fra simbolo e cosa simbolizzata
(ibidem).
In altri termini, una parte consistente dellefficacia di ogni
terapia (e non solo di quelle rituali) deriverebbe dalla capacit
di rendere pensabile la malattia, di darle un nome e permetterne
la rappresentazione28. Per questo la fase diagnostica sarebbe a
pieno titolo parte essenziale del processo terapeutico (Csordas
T.J. - Kleinman A. 1998 [1990], Lupo A., 1999), consentendo di
compiere il primo passo verso quella risignificazione dellesperienza di malattia che costituisce un elemento ricorrente di gran
parte dei percorsi di guarigione (Kleinman A., 1980, 1988a,
Csordas T.J., 1994, Finkler K., 1998, Good B.J., 1999 [1994],
Gallini C., 1998a, 1998b). Un conferimento di senso che assai
spesso nei contesti tradizionali si richiama alla forza rassi28. Ritengo significativo che, pochi anni prima che Lvi-Strauss enunciasse le sue provocatorie teorie sulla potenza terapeutica dei mostri rispetto ai
microbi, nel 1943 Georges Canguilhem formulasse considerazioni per certi
versi analoghe circa la maggior rappresentabilit dei batteri rispetto ai virus:
la teoria microbica delle malattie contagiose deve sicuramente una parte del
suo successo a quel poco di rappresentazione ontologica del male che essa
contiene. Un microbo, per quanto necessiti della complicata mediazione del
microscopio, dei coloranti e delle colture, qualcosa di visibile, mentre non
possibile vedere un virus [miasme] o uninfluenza. Vedere un essere significa
gi prevedere un atto (Canguilhem G., 1998 [1966]: 15-16).
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del sistema immunitario). Per quel che riguarda il tipo di trasformazioni che le terapie rituali producono nellorganismo, fin
dagli studi illustrati da Prince (Prince R., 1982) emerso come
esse comportino la produzione di endorfine, con effetti sostanzialmente generici, soprattutto analgesici, euforici e amnesici,
effetti nientaffatto trascurabili e senzaltro utili a contrastare lo
stato di malattia nel suo complesso, ma non sempre sufficienti
a spiegare lazione di contrasto verso specifiche manifestazioni
patologiche:
non si comprende bene come un processo generale, comune a tutti
i pazienti, possa produrre qualcosa di specifico adatto alla patologia di ciascuno [...] Non possibile limitarsi ad affermare che
il sistema nervoso autonomo ha la possibilit di raggiungere tutti gli organi: occorre assolutamente comprendere meglio perch
guarisca tal parte del corpo in luogo di tal altra, in una situazione
patologica particolare (Bibeau G., 1998 [1983]: 138-139).
Proprio per fornire soluzioni a questo tipo di interrogativi, negli ultimi decenni si registrato un avvicinamento tra branche
disciplinari diverse, alla ricerca di studi e analisi che sappiano
integrare una pluralit di informazioni relative alle diverse funzioni dellorganismo (come fra laltro attesta la nascita in seno
alla biomedicina di una disciplina innovativa quale la psiconeuroendocrinoimmunologia33).
Quanto agli esatti meccanismi attraverso cui le attivit
psichiche sarebbero in grado di produrre la loro efficacia
(curando la malattia, ma a volte causandola o contribuendo
33. A questa disciplina si deve lo sforzo di delineare le complesse e articolate mediazioni anatomo-fisiologiche e chimico-fisiche le precise catene
molecolari, ad esempio attraverso le quali si determina effettivamente il condizionamento del sistema nervoso centrale sul sistema immunitario e dunque
sulla sua attivit modulatoria sui livelli di difesa organica dalle malattie: un
momento essenziale del funzionamento sistemico unitario del corpo umano
e dei suoi meccanismi di attivo adattamento al contesto ambientale (sociale e
naturale) (Seppilli T., 2003: 83, cfr. anche Seppilli T., 1996: 13).
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di contrapporsi alla malattia in un contesto di completo rinnovamento esistenziale (Csordas T.J., 1994: 3, 109, 161-164),
sia infine per la capacit proiettiva mediante la quale il paziente risponderebbe non tanto al contenuto proposizionale (il
significato linguistico) della terapia sciamanica, quanto alle sue
parti incomprese, che verrebbero decifrate iconicamente
quasi fossero una sorta di immagine sonora (Severi C., 2004:
232), dimodoch non sarebbe tanto il terapeuta rituale, ma il
paziente stesso a costruire per s la sua efficacia simbolica, a
prestare la propria parte al canto enunciato dal terapeuta [...
attribuendo] senso agli aspetti latenti di quanto il terapeuta
enuncia. Prima di credere, la paziente dello sciamano proietta
(ibidem: 236-237). Secondo questultima ipotesi analitica, lefficacia terapeutica degli atti rituali risiederebbe nella possibilit
che essi offrono al paziente di effettuare una elaborazione inconscia di rappresentazioni non codificate (ibidem: 220), in cui
collegare le proprie esperienze concretamente vissute a quegli
spazi ancora indefiniti del proprio immaginario che Severi designa come punti neutri (ibidem: 223, 235) o vuoti, spazi
mancanti (ibidem: 235), scarsamente connotati che possono essere creativamente riempiti dal soggetto, rendendogli
possibile immaginare interpretazioni e soluzioni nuove e potenzialmente salvifiche39.
Questultimo accenno al credere (nei modelli cognitivi e
simbolici del proprio orizzonte culturale, cos come nella capacit risolutiva dellazione terapeutica) ci permette di rimarcare
in conclusione lirrinunciabile ruolo che il terapeuta svolge
nel rendere sempre in qualche modo efficace, con la sua presenza, con le sue capacit di ascolto, di dialogo e di persuasione,
con il semplice suo agire, la terapia. Unefficacia che, come s
pi volte ribadito, si dispiega su piani molteplici e pu variare
a seconda delle circostanze, delle persone, dei contesti sociali e
39. Nella prospettiva di Severi, dunque, la stessa credenza un tipo
particolare di proiezione, scatenata dallinterpretazione di particolari indizi
(Severi C., 2004: 226).
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culturali, ma che ben difficilmente pu prescindere dalla qualit della relazione terapeutica e dalla capacit del paziente di
aderire e partecipare al processo terapeutico e farsene in qualche misura protagonista. Ben lo sanno pazienti e terapeuti, in
qualsiasi latitudine essi si trovino e a qualunque tipo di risorsa
facciano ricorso, come attestano le testimonianze che cito qui di
seguito e che due giovani antropologhe romane hanno raccolto
dalla viva voce di un paziente del pi grande ospedale della
capitale, affetto da un carcinoma al polmone, e di un guaritore nahua della comunit messicana di Cuetzalan del Progreso
(Puebla):
La terapia agisce meglio se lo spirito sollevato, almeno credo. Se
tu vuoi che una cosa ti faccia bene, quella cosa ti fa bene. Lumore
predispone il fisico ad accettare i farmaci, ecco. Se invece si ritiene la terapia un suicidio, quella non funziona. Vale come per
il vino: se mi piace, digerisco meglio. Ma se sa di tappo, non digerisco (Intervista realizzata da Arianna Drudi presso il reparto di Pneumoncologia 1 dellOspedale San Camillo Forlanini, il
2/2/2007).
Se tu lo credi, s funziona, ma se non lo credi, non funziona. [...]
Se vai [dai medici] con la miglior disposizione [con todo corazn]
e ti danno la medicina... Per questo c il Nio Santo Doctor40, se
credi al Nio Santo Doctor, cos anche devi credere se ti d la medicina il dottore. S: credere alla persona che ti far il lavoro! [Un
curandero] ti far la pulizia, ti far le chiamate41, ti dir le preghiere. Ma [funziona solo] se io credo, come dice la preghiera. Se
io credo! Allora s, ti fa effetto la medicina, ti torner utile quello
che fa (Scippa S., 2011: 60).
40. Si tratta di unimmagine di Ges bambino con il camice e gli strumenti
del medico (stetoscopio, valigetta, ecc.), assai venerata a livello popolare e
presente in molte chiese messicane.
41. La pulitura (tachipahualiz) unazione lustrale volta a rimuovere
entit patogene eventualmente penetrate nel corpo, la chiamata (tanotzaliz)
serve invece a recuperare una delle entit spirituali che si pensa sia caduta
per via di una forte emozione, causando cos la malattia (cfr. Signorini I. Lupo A., 1989).
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50% dei cittadini dei paesi occidentali ha almeno una volta fatto ricorso a MNC, e una pi bassa ma importante percentuale,
superiore al 10%, vi fa ricorso in modo sistematico come conseguenza di scelte precise e di una vera e propria filosofia di vita.
LEuropean Forum for Complementary and Alternative Medicine
parla oggi di 100 milioni di utenti in Europa (http:/www.efcam.
eu/content/view/27/45). Dopo alcuni decenni di sviluppo costante, oggi cominciano ad avvertirsi segnali di cedimento
un punto su cui torner in conclusione.
Da dove vengono le MNC? E che coshanno in comune oltre al loro attributo negativo, cio al fatto di non coincidere con
la medicina ufficiale, convenzionale, scientifica? Potremmo
pensarle come un campo che riprende e mischia in nuove configurazioni una serie di ambiti culturali precedentemente separati. Fra questi:
a) la medicina popolare tradizionale (la continuit con essa
particolarmente evidente in forme quali pranoterapia e fitoterapia),
b) le medicine orientali,
c) alcune tradizioni minoritarie della storia medica occidentale,
d) nuove forme di spiritualit, in particolare quelle usualmente etichettate come new age,
e) alcuni aspetti del pensiero ecologista e dei movimenti di
ritorno alla natura.
Questi ingredienti non sono presenti in tutte le MNC, ma nel
complesso ne costituiscono il campo. Li si pu vedere uno accanto allaltro sfogliando le riviste del settore o partecipando
alle rassegne o ai festival di settore il cui successo tra laltro
uno degli indici del progressivo radicamento delle MNC nel
mercato e nel senso comune. Percorrendo simili vetrine, non
inconsueto trovare una accanto allaltra omeopatia, medicina
tradizionale cinese, forme di massaggio e manipolazione corporea come nella chiropratica, gli approcci magici della prano-
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Questo uno dei principali argomenti di polemica nei confronti della biomedicina, accusata non solo di separare corpo e mente ma di parcellizzare lo stesso corpo, curandone
singole parti o organi piuttosto che la totalit funzionale. Nel
discorso delle MNC, il cosiddetto dualismo cartesiano il
grande scoglio da superare per una nuova concezione della
salute e della malattia,
c) La naturalit. Il secondo grande argomento critico verso
la biomedicina riguarda il suo approccio intrusivo, che tenderebbe a violare il naturale equilibrio della salute attraverso
luso smodato di farmaci sintetici e di tecniche chirurgiche.
Insieme alle cattive abitudini alimentari, ci introduce nel
corpo un principio inquinante, si muove dunque in una logica patogena. Al contrario, nel campo delle MNC diffusa
lidea che la cura debba rappresentare semplicemente un
aiuto alla fondamentale vis medicatrix naturae.
d) il metodo individuante. Alla biomedicina viene imputata
anche la tendenza a spersonalizzare i pazienti, considerandoli solo come portatori intercambiabili di malattie a prescindere dagli aspetti peculiari della loro personalit. Le
MNC sostengono di curare la persona e non la malattia anche se questa individualizzazione si esprime, come nel caso
dellomeopatia, in un approccio classificatorio a tipi caratteriali, attribuiscono inoltre grande importanza al rapporto
umano tra medico e paziente, rapporto che nella medicina
ufficiale sarebbe oggettivato e burocratizzato. Occorre notare che lindividualizzazione della cura implica limpossibilit
di standardizzare le procedure diagnostiche e terapeutiche:
non detto che si possa formulare la stessa diagnosi per due
persone che presentano gli stessi sintomi, n che gli stessi
rimedi risultino ugualmente efficaci per persone affette in
apparenza dalla stessa malattia. Ci rende incommensurabili le MNC rispetto ai metodi di test di efficacia (come il
doppio cieco) utilizzati dalla medicina ufficiale.
e) il lessico morale. Per quanto solo raramente in modo
esplicito, il discorso delle MNC attribuisce spesso connota-
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usate per dar conto del divario tra medicina ufficiale e folklorica, non riescono a dir molto sulla natura delle MNC. Queste
non sono prodotte e sostenute dalle istituzioni ufficiali, ma non
sono neppure patrimonio distintivo di ceti sociali esclusi dal
potere e dai circuiti della comunicazione culturale. Si collocano
semmai sul piano intermedio della cultura di massa un terreno che lantropologia medica non molto abituata a studiare.
Certo, sul piano mondiale le MNC restano un fenomeno minoritario rispetto sia alla biomedicina che alle forme tradizionali e
folkloriche di diagnosi e terapia. Tuttavia, la loro stessa presenza obbliga a mutare la percezione anche degli altri due campi,
ai quali irriducibile, e del loro reciproco rapporto. Cos come
obbliga a mettere a fuoco alcune caratteristiche peculiari della
cultura contemporanea, che la distinguono dai pi classici contesti di studio dellantropologia.
3. MNC e biomedicina.
Come detto, la diffusione delle MNC ha riguardato in particolare (anche se non esclusivamente) i paesi occidentali pi ricchi
a partire dallultimo quarto del ventesimo secolo nella fase
che stata variamente definita come tardo-capitalistica, post-industriale o post-moderna. possibile individuare alcune caratteristiche di questo contesto storico-sociale che possano, se non
spiegare, almeno chiarire aspetti e modalit del loro successo?
Cercher di sintetizzare di seguito alcuni dei punti di maggior
rilievo. Alcuni di questi hanno a che fare con gli sviluppi dei
problemi sanitari e della stessa biomedicina, altri riguardano
le culture del corpo, del benessere, dellambiente e della spiritualit, infine, vi sono condizioni riguardanti il pi generale
contesto politico e comunicativo in cui le MNC si radicano,
in particolare quella che potremmo chiamare crisi dei saperi
esperti.
In primo luogo, si soliti porre in relazione la diffusione
delle MNC con alcuni punti deboli o insuccessi della biome-
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M. Geezik J.P., 2003: 24): ne rappresentano semmai un aspetto. Per il loro tramite, linfluenza dei saperi, delle pratiche e
degli esperti medici si estende in aree della vita quotidiana e
della gestione del proprio corpo e delle relazioni sociali cui la
biomedicina non ha accesso. Questa laltra faccia della medaglia dellapproccio olistico: rifiutando di isolare la medicina
dalla vita, da un lato ne umanizza le pratiche, dallaltro porta
a concepire lintera esistenza in termini di preoccupazioni in
senso lato mediche, riferite cio allo stato di salute e di benessere, allequilibrio tra mente e corpo e cos via.
Le interpretazioni centrate sulla contrapposizione delle
MNC alla medicina ufficiale colgono solo un aspetto del loro
discorso o della loro ideologia: nella pratica, esse sono in larga
parte dipendenti dalle forme ufficiali della medicina e da quelle
che potremmo chiamare le concezioni egemoniche del corpo,
della salute e della malattia. Lidea di leggerle come forme di
resistenza antiegemonica, come pure stato suggerito da alcuni frettolosi lettori di Michel De Certeau, sembra alquanto
forzata. Del resto, una parte almeno delle MNC cerca legittimazione proprio nelladesione a quelli che potremmo chiamare
i presupposti politici della biomedicina: ad esempio un modello forte di autorit (talvolta carismatica) del medico rispetto
al paziente, luso di un linguaggio tecnico e specialistico che
ri-descrive il mondo del senso comune, la pretesa di imporre
ai pazienti regole di buona vita. Naturalmente, questi punti andrebbero dimostrati empiricamente caso per caso. Non facile
farlo sulla base della letteratura, perch la gran parte degli studi
sulle MNC si basano sulla interpretazione della loro esplicita
filosofia pi che sullanalisi etnografica delle pratiche che esse
fondano.
4. Il personale politico
Dunque, improbabile spiegare il successo delle MNC semplicemente come conseguenza dei fallimenti della biomedicina, o
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La sociologia ha descritto largamente questi fenomeni sotto etichette come cultura delledonismo o del narcisismo, sottolineando la loro connessione con la sfera del consumo e con fenomeni quali il fitness, lo sport e varie forme di estetiche del corpo
(per una connessione forte tra fitness e MNC si veda Glassner
B., 1990, Goldstein M. S., 2003). La centralit del corpo assume aspetti forse contrapposti ma correlati. Da un lato, c
lidea di un corpo da costruire per conformarsi ai modelli commerciali di bellezza, attrattiva e realizzazione, attraverso mezzi
artificiali quali la cosmesi, il body-building, trattamenti estetici come depilazione, abbronzatura eccetera, varie forme e livelli di chirurgia plastica. Dallaltro, c invece il perseguimento
dellideale di un corpo naturale, che occorre sottrarre ai condizionamenti della tecnologia e agli squilibri della vita urbana.
Si tratta di due orizzonti di rappresentazioni e strategie molto
diversi. Il primo rimanda a scenari di aggressivo consumismo,
a idee di successo personale nel quadro di una piena accettazione dei valori del consumismo, il secondo apparentemente antimodernista, rinvia a una cultura ecologista e alternativa
che rifugge il consumismo e sottolinea i valori della purezza,
dellautenticit, della spiritualit.
Apparentemente opposti, questi due atteggiamenti possono
per apparire come facce di una stessa medaglia secondo una
certa visione sociologica della contemporaneit. Fra i pi autorevoli studiosi che hanno sottolineato questo punto si deve citare Zygmunt Bauman, che nel successo del fitness e nelle diffuse
preoccupazioni per limmagine corporea vede una conseguenza
della crisi della sfera pubblica e della privatizzazione radicale
dellesistenza in quella che chiama modernit liquida. In una
societ in cui i legami, le istituzioni e le identit si fanno sempre pi deboli e fluide, le attenzioni e le preoccupazioni per il
corpo occupano una sfera dellesistenza quotidiana e della consapevolezza molto pi ampia che in passato. Sono attenzioni,
per Bauman, di tipo ossessivo, dominate dal senso di ansia e di
insicurezza per una quantit di pericoli, noti o sconosciuti. Nel
tentativo disperato di negare la mortalit, ci concentriamo sulla
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che stato anche definito come indebolimento dei saperi esperti. Lautorevolezza dei ceti intellettuali e delle loro istituzioni
(luniversit, le comunit scientifiche) nel costruire ed imporre
cosmologie non pi cos solida: molte crepe si aprono nel
loro rapporto con la societ civile, con quella politica e con la
comunicazione mediale. I cittadini rivendicano il loro diritto di
scelta attiva in campi che in precedenza erano regolati da rigide
norme dettate dallalto di unautorit indiscutibile, che poteva
esser rifiutata solo ponendosi al di fuori della razionalit e della
normalit. La rappresentazione e la gestione del corpo, della
salute e della malattia non fanno eccezione.
Come in altri campi del consumo culturale, la scelta di modalit di presentazione del corpo, di alimentazione, di forme
di attivit fisica e di pratiche terapeutiche diviene parte della
strategia di costruzione identitaria e di distinzione sociale. Nella
cornice sociologica proposta da Mary Douglas o con le dovute differenze da Pierre Bourdieu lopzione per le medicine non convenzionali appare in primo luogo come una scelta
di ordine estetico e morale, parte di un gusto che identifica
segmenti sociali tracciando linee di separazione da ci che sta
in basso, nellambito della volgarit e del cattivo gusto. Ci
spiega anche il dato di fatto della diffusione delle MNC, e delle
relative estetiche del corpo, tra i gruppi sociali che pi hanno
bisogno di investire in capitale simbolico: i ceti medi con buon
livello distruzione, i giovani e in particolare gli studenti e altri
gruppi caratterizzati da mobilit verso lalto. Questo sembra
valere decisamente per lEuropa, la situazione degli Stati Uniti cos come descritta ad esempio in Schneirov M. Geezik J.D.,
2003, Frohock M. 1992 - corrisponde meno a questo modello
in ragione del diverso tessuto sociale sul quale si colloca e della
tendenza delle culture mediche alternative e complementari
a combinarsi con movimenti religiosi e con forme di associazionismo che veicolano tuttaltro tipo di significati sociali.
in un simile quadro che devono essere intese fra laltro le
rivendicazioni dei cittadini (in qualit di potenziali pazienti
o di consumatori della salute) nei confronti delle istituzioni
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mediche, e i movimenti diretti alla cosiddetta democratizzazione della medicina e allaffermazione dei diritti del malato.
in questo quadro, inoltre, che possiamo meglio comprendere
la diffusa rivendicazione del diritto alla libert di scelta terapeutica il principio che sta alla base delle proposte di riconoscimento giuridico delle MNC, che discuter nel prossimo
paragrafo.
6. Il problema del riconoscimento giuridico delle MNC.
La diffusione delle MNC ha posto alle autorit sanitarie e politiche il problema del loro riconoscimento e della loro regolamentazione. un problema dai molteplici e interrelati aspetti
(per una prospettiva generale si vedano Stone J. Matthews J.
1996, Lee-Treweek J., 2005a). Dal punto di vista dei praticanti,
riconoscimento significa legittimit dellimpiego di terapie non
convenzionali per coloro che sono comunque abilitati allesercizio della professione medica, da un lato, dallaltro, la possibilit di svolgere una professione sanitaria per gli esperti in MNC
che non siano in possesso del titolo di medico. Per i pazienti,
il riconoscimento pu significare libert di scelta terapeutica
ed inclusione delle MNC nel quadro dellassistenza pubblica
e delle prestazioni fornite dal sistema sanitario nazionale, ma
anche garanzia di trovarsi di fronte unofferta sicura, praticanti non improvvisati e formati in modo rigoroso e controllato.
Nellottica della gestione pubblica della sanit, il problema
principalmente quello di tenere sotto controllo un settore che,
come abbiamo visto, tende alla costante proliferazione e rischia
in molti punti di sconfinare verso forme di esercizio abusivo
della professione medica. Tutto questo non affatto semplice: il
pluralismo che contrassegna luniverso delle MNC entra in una
essenziale tensione con il principio monopolistico che ha guidato le politiche sanitarie moderne, basato su una stretta alleanza
tra stato e biomedicina. Se il sapere medico non pi unitario,
garantito cio da una comunit scientifica, da un sistema forma-
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cina occidentale moderna si trovata a convivere con sistemi diagnostici e terapeutici radicati nella tradizione locale.
Il caso delle MNC evidentemente molto diverso. La loro
base non n la tradizione n, in senso stretto, ci che i
filosofi chiamano paradigma o tradizione di ricerca scientifica, piuttosto un approccio in senso lato culturale che
sfrutta le possibilit della rete comunicativa e i circuiti del
consumo di massa. Non dunque corretto presentare la medicina convenzionale e le MNC come paradigmi scientifici
paralleli che, nella loro diversit, si pongono tuttavia su uno
stesso piano. Non c simmetria tra i due: basta confrontare le rispettive letterature specialistiche, i sistemi formativi,
lorganizzazione della ricerca e cos via. Nella pubblicistica
di sostegno alle MNC la biomedicina viene spesso presentata come un campo di chiusura dogmatica stretto attorno alla
difesa dei propri privilegi (nonch degli interessi dellindustria farmaceutica). Dovrebbe essere tuttavia evidente che
le garanzie di apertura e criticit vengono proprio dallorganizzazione sociale della conoscenza su cui poggia la scienza
biomedica, laddove i rischi di chiusura dogmatica sono legati allalone ideologico e talvolta quasi fideistico che circonda
le MNC (almeno una loro parte). Di fronte a un quadro cos
disuguale di fenomeni, dunque assai problematico parlare
di pluralismo scientifico.
c) Il controllo dellefficacia. La risoluzione del Parlamento
europeo, cos come quasi tutte le proposte legislative in materia, rimandano allincremento della ricerca e della sperimentazione per valutare lefficacia delle MNC. Lidea che
latto politico del riconoscimento necessiti dellappoggio di
una valutazione tecnica e neutrale. Solo che una simile neutralit non possibile, dal momento che i diversi sistemi non
concordano sui criteri di valutazione. In particolare le prove
cliniche a doppio cieco, che per la biomedicina rappresentano la principale metodologia di sperimentazione dellefficacia dei farmaci, non sono ritenute probanti nellambito delle
MNC sulla base dellassunzione, gi discussa sopra, del
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Le seguenti riflessioni vertono sulle trasformazioni della categoria di medicina popolare, una nozione che ha avuto grande
importanza nella storia dellantropologia internazionale, europea in particolare, e ancor di pi nella vicenda antropologica
italiana. In Italia, infatti, essa ha conosciuto la sua genesi e uno
sviluppo che ha attraversato gli ultimi due secoli, segnando una
lunga fortuna ottonovecentesca, conclusasi con un vertiginoso
declino a fine Novecento. In questo arco di tempo lespressione
medicina popolare design non soltanto un settore di studi, ma anche una categoria analitica e interpretativa, che talora
amb a configurarsi come disciplina autonoma, prima di cedere
a una definitiva disarticolazione critico-culturale.
Questo lavoro evoca un rethinking e pertanto pu essere
1. Il presente testo costituisce la resa verbale del mio intervento di apertura alla seconda giornata del convegno Vicende e protagonisti della ricerca
antropologica in Umbria. Etnografia umbra tra 800 e 900. Contributi per
una storia degli studi, tenuto a Perugia il 17-18 dicembre 2008, curato scientificamente da Paolo Bartoli e Paola Falteri, in occasione delle iniziative di
studio e dibattito svoltesi in onore di Tullio Seppilli, nel cinquantesimo anniversario della costituzione dellIstituto di etnologia e antropologia culturale
(oggi Sezione antropologica del dipartimento Uomo & territorio), nel quadro
delle celebrazioni del 7 centenario della Universit degli studi di Perugia.
Lo scritto conserva i toni delloralit, se non per la divisione in paragrafi, le
correzioni e alcune integrazioni. La bibliografia di riferimento aggiornata
alla data del convegno, tranne laggiunta di alcuni studi pertinenti apparsi
negli anni successivi. Alla medesima occasione appartiene un ulteriore esito,
cui utile rimandare il lettore (Pizza G., 2008), pubblicato come Postfazione
a uno dei gruppi di saggi di Seppilli raccolti in capitoli nella festschrift in due
volumi a lui dedicata (Seppilli T., 2008a). Ringrazio Fabio Dei, Paola Falteri
e Cristina Papa per aver discusso il presente testo, Alessia Fiorillo per aver
curato e messo a mia disposizione la videoregistrazione dellevento.
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letto in due modi: come indicazione di un punto di svolta rispetto a una tradizione precedente, o invece come un ritorno,
un omaggio a un pensiero gi pensato e che tuttavia appare ineludibile, necessario da rimeditare per andare avanti. in questa
seconda chiave che auspico sia interpretata lesigenza di ripensare la medicina popolare.
Una strategia endotica
Non frequente nei manuali di antropologia medica internazionali, se si escludono alcuni casi europei, che leffetto del differenzialismo culturale sia cercato e ottenuto attraverso il confronto fra la biomedicina e le medicine cosiddette domestiche
o endotiche, quelle per le quali il differenziale culturale dato
dai rapporti di forza (e di classe, se si vuole usare una nozione frequentemente adottata nelle discussioni di fine Novecento
intorno a questo argomento) allinterno del campo sociale. Si
preferisce in altri casi effettuare questa operazione differenzialista con lapproccio classico delletnologia, e cio evidenziando la differenza nella distanza dello spazio geografico, e quindi
privilegiando il contrasto fra biomedicina e medicine esotiche.
Inserendo in un testo a carattere generale di antropologia medica un intero capitolo sulla genesi, lo sviluppo, e il declino della
categoria di medicina popolare in Europa (Pizza G., 2005: cap.
V), ho voluto sottolineare un tratto saliente che ha segnato la
mia formazione nellantropologia italiana. Cio lesigenza metodologica di considerare le diversit culturali nel quadro dei
rapporti di forza che definiscono leterogeneit delle disuguaglianze nel corpo sociale. Questo dato politico a mio avviso
molto importante perch costituisce il punto di partenza per
una rilettura del concetto di medicina popolare. Anche perch,
se usciamo dallEuropa, la dialettica del confronto endotico sulla questione del popolare (con tutta la pregnanza gramsciana
del termine), emerge con evidenza in tutte quelle aree mondiali
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in cui le medicine indigene entrano in una competizione complessa, dialettica e dialogica, con le egemonie delle medicine
ufficiali, sollevando problemi geo-politico-culturali analoghi
(Signorini I. - Lupo A., 1989, Schirripa P. - Vulpiani P. curatori, 2000, Johannessen H. - Lzr I. curatori 2006, Seppilli T.,
2008b).
In verit, negli ultimi trentanni, una rilettura della medicina
popolare stata in gran parte gi svolta, da parte di importanti
studiosi europei, operanti sia in rapporto fra loro sia in totale
autonomia, nella prospettiva di una progressiva disarticolazione della categoria. Quindi il declino della nozione stato positivo, foriero di letture critiche nuove, svolte nei quadri contemporanei dellantropologia simbolica, medica, religiosa e della
corporeit, capaci di attivare inattese visioni in controluce del
rapporto fra il corpo e i poteri governamentali dello stato, ovvero sulle forme storicamente profonde della biopolitica.
A proposito di disarticolazione della categoria, utile fare
una precisazione metodologica. Immagino una certa differenza
fra la procedura critica che possiamo definire disarticolazione e
quella invece detta decostruzione. Attribuisco a questi due termini una diversa valenza, anche in ragione dei significati che
nella storia degli studi e nei dibattiti metodologici sono stati
loro conferiti. Per disarticolazione intendo uno studio di scomposizione critica dei modi di fabbricazione di una categoria,
che implichi una sua apertura in rapporto agli intellettuali che
materialmente e simbolicamente lhanno prodotta. La parola
decostruzione, invece, mi pare che abbia finito per evocare soprattutto lo smascheramento di una sorta di mistificazione ideologica immanente alloggetto da decostruire. Denuncia spesso
fondata, ma che ha il limite di non andare oltre il testo scritto, di
non ricostruirne, cio, la genesi fisica e sociale. Pertanto essa si
rivela talora incapace di risalire alla sua sorgente, cio agli intellettuali in tutta la loro complessit, considerati non unicamente dal punto di vista mentale-cognitivo-ideologico, ma anche
come corpi che agiscono in uno specifico campo sociale.
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stato della ricerca sul passato e il presente della medicina popolare italiana, saggiare in questo campo pi aggiornati e multidisciplinari modelli interpretativi, indicare nuove prospettive
per ulteriori indagini.2 Si tratt di un evento importante per
quelle antropologie europee accomunate da una attenzione alla
profondit storica dei processi culturali che investono il corpo,
la salute e la malattia, e caratterizzate da una sensibilit politica
capace di cogliere le differenze culturali in rapporto alle disuguaglianze sociali, e non solamente nelle forme della lontananza
esotica e dello scarto cognitivo.
Nel 1983 era apparso anche il libro di Alfonso Maria Di
Nola Larco di rovo, contenente il suo saggio sulla terapia sacrale dellernia infantile. Si trattava di un lavoro che riconfigurava
lefficacia del metodo comparativo in campo europeista, e rileggeva i repertori medico-popolari in un dialogo nuovo fra storia
e antropologia, per certi versi vicino agli sviluppi della ricerca
antropologica europea di quegli anni che assumeva a oggetto di
studio privilegiato il simbolico senza peraltro separarlo dal
materiale (Charuty G. curatore, 1995). In quel lavoro, le
questioni di medicina popolare costituivano un passaggio per
lo studio della costruzione sociale del corpo, in quel caso, del
corpo infantile osservato nelle pratiche rituali destinate contemporaneamente a scongiurare lernia e a garantire laccesso
alla mascolinit. Due anni prima, il lavoro di Di Nola (1981) sul
tema dei processi di salute-malattia si era imposto con un altro
importante contributo: il suo scritto introduttivo al volume collettivo Mal di luna. Anche in quel caso Di Nola aveva posto il
problema del tutto specifico di una tradizione endotica della
ricerca antropologica sulle rappresentazioni e le pratiche della
malattia, e sulla salute mentale, con una attenzione particolare
al contesto storico-culturale e politico italiano.
Ancora alla fine del 1983, usciva limportante monografia
2. La citazione relativa allopuscolo programmatico del Convegno, conservato a Perugia nellarchivio di Tullio Seppilli, presso la sede della Fondazione Angelo Celli per una cultura della salute (Perugia).
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bivalenti e ambigue nelle quali ingabbiare le figure della corporeit siciliana, egli in fondo ci sollecitava a spostare lattenzione
sul rapporto fra intellettuali, medicina popolare, popolarizzazione della biomedicina e populismo medico nella costruzione
corporea della (bio)cittadinanza e dello stato-nazione5.
Pluralit corporee
Fin dallinizio degli anni Ottanta del Novecento, dunque, fu
condotta unattenta disamina critica del vasto repertorio di testi
e materiali di medicina popolare, e si avvi un processo irreversibile di disarticolazione della categoria, capace di liberare
i corpi reclusi nelle tassonomie medico-etnografiche. Nella mia
memoria, quel numero 8 della Ricerca Folklorica, dalla copertina verde chiaro, resta lemblema di questa operazione, e del
dialogo fra Seppilli e Di Nola. Perch si apriva con una introduzione di Seppilli, seguita poi da una seconda introduzione
metodologica di Di Nola. Raramente uno studioso che cura un
lavoro collettivo affianca una seconda introduzione alla sua. Ci
accadde, e quelleffetto di raddoppiamento conserva nel tempo il senso profondo di un sodalizio umano e intellettuale.
interessante seguire alcune attuali riflessioni tratte da quei due
contributi generali.
Secondo Seppilli:
Lo stesso significato attribuito allespressione medicina popolare non sembra univoco e si presta comunque a parecchie ambiguit di lettura [...]. Non esiste dunque una medicina popolare,
cio un assetto specifico di forme di difesa della salute e dellequilibrio psichico comune a tutte le classi subalterne. A rigore,
in effetti, lespressione medicina popolare rinvia esclusivamente
allesistenza, in talune classi subalterne, di forme mediche e oriz5. Su questi aspetti si colgono interessanti analogie nella monografia
storico-antropologica dedicata alla vicenda ottonovecentesca della medicina
popolare in America Centrale (Costa Rica) (Palmer S., 2003).
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che possiamo rileggere oggi anche dal versante dei rapporti fra
antropologia e storiografia in Italia.
Fra antropologia e storia
Sui repertori della medicina popolare si giocato anche un
dialogo difficile, quello fra antropologi e storici. Emergevano,
da quei repertori, i tratti di una possibile lettura, insieme storica e antropologica, delle questioni che vi erano imbricate: il
corpo, il s, la persona, il genere, la sessualit, lintreccio fra il
campo religioso, il campo medico, il campo politico. Nonch
i tentativi e le capacit di questi diversi campi istituzionali di
influenzare i processi di incorporazione, di fabbricare soggetti
docili, di appropriarsi della capacit di agire delle persone, di
fare cio egemonia, per esempio attraverso la medicalizzazione
(Cosmacini G., 1987), da un lato, levangelizzazione dallaltro
(De Rosa G., 1983). Eppure il dialogo fra storici e antropologi
faticava a riconoscersi in concetti comuni. Anche la cosiddetta
microstoria, che pure stata molto importante nella formazione degli antropologi italiani della mia generazione, ha avuto
difficolt nel confronto aggiornato con le antropologie internazionali. Una incomprensione dovuta a uno scarto cronologico
nellaggiornamento delle letture reciproche, oppure a un non
riconoscimento di teorie, linguaggi e campi comuni7.
7. Per una riflessione antropologica attenta e aggiornata sulle difficolt
del dialogo fra antropologia e (micro)storia in Italia, cfr. Palumbo B., 2006. In
generale si pu dire che nel campo delle medicine popolari una differenza
fondamentale nella opportunit dellantropologia di osservare e studiare,
attraverso letnografia, i processi stessi della incorporazione nel loro divenire,
collocandosi al punto pi vicino allesperienza, laddove gli studi storiografici
si centralizzano su fonti che catturano in origine le esperienze corporee nel
dispositivo della scrittura e del testo. Eppure limportanza di una analisi storica della dialettica colto-popolare e della natura corporeo-indiziaria (che va
ben oltre la dicotomia orale/scritto) dei saperi medico-popolari fu avvertita
in tutta la sua complessit e urgenza (quale programma scientifico da avviare)
dallo storico Carlo Ginzburg fin dal 1986, a margine di una sua riflessione sul
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metodo: In ogni caso queste forme di sapere erano pi ricche di qualsiasi codificazione scritta, non venivano apprese dai libri ma dalla viva voce, dai gesti,
dalle occhiate, si fondavano su sottigliezze certo non formalizzabili, spesso
addirittura non traducibili verbalmente, costituivano il patrimonio in parte
unitario, in parte diversificato, di uomini e di donne appartenenti a tutte le
classi sociali. []. Forse solo nel caso della medicina la codificazione scritta
di un sapere indiziario aveva dato luogo a un reale arricchimento (ma la storia
dei rapporti tra medicina colta e medicina popolare ancora da scrivere)
(Ginzburg C., 1986: 181). Recenti considerazioni storiografiche di notevole
interesse antropologico sui rapporti fra medicina colta e popolare in diversi
momenti storici in Italia sono negli studi coordinati da Giovanna Fiume (Fiume G. curatore, 2003).
8. Si pensi allimportanza che aveva avuto in Francia il convegno internazionale di etnologia africanista, La notion de personne en Afrique noir, svoltosi
a Parigi nei giorni 11-17 ottobre del 1971. Il volume omonimo che ne raccoglieva gli atti fu pubblicato per la cura dellantropologa africanista, Germaine
Dieterlen, allieva di Marcel Mauss (Dieterlen G. curatore, 1973).
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Batailles Nocturnes9:
La risposta di Ginzburg, affermativa quanto lapidaria, lasciava al lettore antropologo limpressione che non si riconoscesse
pienamente nella nozione di persona plurale una categoria
concettuale comune.
Nella dimensione contemporanea storici e antropologi si
sono incontrati pi agevolmente. Recentemente, in un saggio
apparso nel 2004 sulla rivista britannica Folklore, lo storico inglese David Gentilcore, che ha condotto ricerche sul territorio
italiano, ha posto una domanda provocatoria: mai esistita una
medicina popolare in Europa? Facendo propria la prospettiva
gi indicata da Seppilli nel 1989 per una lettura dei processi
politico-culturali attuali nel campo medico, Gentilcore osserva:
9. La medesima questione, ripensata alla luce della nozione di credenza
(nel quadro di nuove riflessioni sulla nozione lvistraussiana di efficacia simbolica) e in un nuovo dialogo critico con Ginzburg, sar ripresa venti anni
dopo da Carlo Severi (2000). Sul confronto fra storia e antropologia intorno
ai temi del corpo e della possessione cfr. Pizza G., 1995, 1996, 1998, 2003bc.
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In unepoca di crescenti tensioni e di pluralismi nellambito medico, c ancora molto da apprendere dal popolare. Tullio Seppilli
suggerisce che per esplorare le strutture mediche di ogni singolo
gruppo subalterno nel contesto sociale, occorre guardare al grado
di specificit, autonomia e dinamismo culturali in relazione ad altri gruppi. La sua enfasi sulle differenze pu apparire ovvia, ma difendendo lo studio dei processi di generazione culturale egli sta di
fatto parlando un linguaggio che gli storici possono ben capire. In
ogni caso, forse esplorare le differenze lunico modo attraverso
il quale possiamo individuare influenze e spiegazioni alternative.
Come afferma Seppilli, queste sono ormai tali da disturbare lautocompiacimento che ha a lungo caratterizzato la biomedicina moderna. Ci appare evidente in rapporto alla troppo lenta risposta
alla sempre crescente domanda di forme di medicina alternativa o
complementare. Queste spesso appaiono nella forma di frammenti
decontestualizzati di altre tradizioni: occidentali (come lomeopatia) o non occidentali (come la medicina erboristica cinese). Quel
che soggiace a tali bisogni, suggerisce Seppilli, sono specifiche
concezioni del corpo, della salute e della malattia, nella cultura
tradizionale delle classi popolari. Il modello offerto dal mercato
biomedico, infatti, non sempre appare adeguato a soddisfare motivazioni e bisogni latenti (Gentilcore D., 2004: 160-161)10.
Gentilcore rilancia in effetti il problema posto da Seppilli della complessit della categoria, ma la sua risposta alla domanda
sulla esistenza della medicina popolare pi che puntare a una
disarticolazione della categoria, sembra centrata su un tentativo
di attualizzazione e rivalorizzazione del concetto di popolare,
nei termini di una attenzione urgente ai processi di differenziazione plurale e di adattamento culturale nelle societ europee
contemporanee. Uno studio la cui motivazione vicina a quella
esigenza di uso sociale della ricerca antropologica e di valorizzazione critica dei repertori etnografici della medicina popolare
nella formazione medica, costantemente perseguiti da Di Nola
e Seppilli.
In effetti proprio il lavoro svolto sulla medicina popolare
10. La traduzione dallinglese mia.
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Rimeditando alla luce delle fonti pitreane e gramsciane il testo di De Amicis sulla credenza popolare relativa al rapporto
fra stato e colera, Seppilli coglie quello che a me pare un dato
biopolitico, legato, cio, al rapporto fra produzione della conoscenza corporea popolare e governo delle popolazioni. In verit biopolitico dire poco, perch peculiare della biopolitica
il suo carattere silente: essa, cio, agisce in maniera silenziosa
attraverso microfisici processi quotidiani di costruzione dellabitudine, rispetto ai quali indubbiamente la violenza diretta
dellesercito appare pi tumultuosa. Eppure, anche su questo
aspetto clamorosamente biopolitico, Seppilli offre una lettura
complessa, critica ma non anacronistica n ideologica: se lesercito agisce per imporre la vaccinazione, anche allinterno di tale
campo di azione, al di l del meccanismo violento che si espone
alla condanna morale, pur sempre riscontrabile un tentativo
di fabbricare la cittadinanza sanitaria attraverso la salvaguardia
dellunit della Nazione. Secondo Seppilli questo un dato interpretativo da valutare applicando, per lappunto, una lettura
dialettica di questi processi. In effetti sarebbe un errore frammentare legemonia in un dominante e un dominato, quando
invece occorre indagare una dialettica egemonica che, di volta
in volta, pu essere giocata dallinterno con unestrema complessit, vanificando ogni polarizzazione egemone/subalterno.
Legemonia si rivela come un complesso meccanismo di unificazione delle forze disperse, che si attua attraverso processi di
incorporazione e naturalizzazione del consenso allinterno dei
quali possibile agire in almeno due direzioni: per conservare
e rafforzare lo stato delle cose, o invece per disarticolare lazio-
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13. Per un confronto fra diversi approcci antropologici allo studio degli operatori terapeutici tradizionali cfr. fra gli altri Renzetti E. -Taiani
R. 1988, Papa C., 1989, Friedmann D., 1993, Lanternari V., 1994, Pizza G.,
1995, 2005, Di Vito A. 2006, Minelli M. 2008. Cfr. inoltre Di Rosa M. curatore, 1987, Annali di San Michele, 16, Museo degli Usi e Costumi della Gente
Trentina, dedicato a Saperi terapeutici tradizionali nellarco alpino, a cura di
Kezich G. e Seppilli T., San Michele AllAdige, 2003, Renzetti E., 2007.
203
Ritorno a Gramsci
Lo stato, dunque. Allora il Gramsci necessario non pi quello
del folklore, delle presunte dicotomie colto/popolare o subalterno/egemone, ma il Gramsci di una teoria antropologica
dello stato e di una storia critica delle pratiche intellettuali e
della organizzazione della cultura italiana. Per ripensare la medicina popolare importante recuperare pienamente lo spirito
gramsciano, nellegida del quale mi pare che il convegno di
Pesaro del 1983 volesse operare.
In questo senso utile tornare a Gramsci, per rileggere un
suo paragrafo tratto dai Quaderni del carcere. Un passo in cui
la questione degli intellettuali incrocia il campo medico e quello religioso, nella ricerca delle modalit attraverso le quali gli
intellettuali-istituzione costruiscono la seconda natura dei
cittadini inverando, proprio in questa fabbrica biopolitica, il
progetto egemonico (Pizza G., 2003a, 2012).
Si tratta di un paragrafo che testimonia di una parte dei
Quaderni del carcere che Gramsci programm ma non scrisse
mai. Nella sua idea, avrebbe dovuto studiare genesi, ruolo e
funzione organica di una specifica categoria di intellettuali tradizionali, quella dei medici, riservando ad essa una attenzione
pari e analoga a quella poi effettivamente profusa al campo religioso, al quale sono infatti dedicate note e pagine molto importanti.
A rileggerli ora, questi appunti stesi da Gramsci nel carcere
di Turi, cos densi di forza progettuale, mi appaiono come un
manifesto programmatico attuale, in cui ancora possibile discernere chiaramente ci che stato fatto da quello che ancora
resta da fare:
Intellettuali. Intellettuali tradizionali. Per una categoria di questi
intellettuali, la pi importante forse, dopo quella ecclesiastica,
per il prestigio e la funzione sociale che ha svolto nelle societ primitive la categoria dei medici in senso largo, cio di tutti quelli
che lottano o appaiono lottare contro la morte e le malattie oc-
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Giovanni Pizza
Donatella Cozzi
Le narrazioni di malattia:
mostrano come le persone riescono ad affrontare momenti di crisi eccezionali, difficili, che trasformano le loro vite interpersonali,
come esse inventano nuovi modi di discorso quando quelli vecchi
diventano insufficienti, come rendono lincomprensibile concepibile e il disastro affrontabile, come sono capaci di mutare levento
tragico in dono (Bochner A.P., 2002: 82).
Le pratiche narrative consentono di iscrivere levento malattia in una temporalit biografica, mantenendo le connessioni
di significato tra il proprio passato, il presente e il futuro, di
rinegoziare la propria identit e di trovare un senso pur entro
le fratture biografiche che sottolineano la nostra vulnerabilit
1. La traduzione di Daniele Nigris (2008: 82). Ove non altrimenti specificato, altre traduzioni sono mie.
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in quanto esseri umani. Raccontare una storia organizza, struttura e d senso allesperienza e conduce chi ascolta entro un
viaggio immaginario in un mondo di storie (Mattingly C.
Garro M.C., 2000: 13), dispiegandosi sul piano della soggettivit esperita da un lato, e dellintersoggettivit dallaltro,
attraverso il linguaggio, i segni, il riconoscimento dei sintomi,
i significati condivisi, le sovrapposizioni nosografiche. Infatti,
il vissuto soggettivo della malattia pensato e descritto sempre
anche a partire dalle categorie della scienza medica esistente in
quel determinato sistema medico e in un particolare periodo
storico e declinato sempre anche secondo le categorie sociali
culturalmente disponibili. Arthur Kleinman nota che la sofferenza ci costringe a riconsiderare le nostre vite, e questo conduce alla possibilit di trasformarle (1988a: 3). Vite sempre situate
allincrocio di traiettorie storiche e sociali, arena di confronto
ed esercizio di saperi e poteri.
Due sono le contingenze storico-epistemologiche che accompagnano lattenzione per le narrazioni di malattia: la prima interna allambito dellantropologia e particolarmente
dellantropologia medica, e riguarda la riflessione sullo statuto
del soggetto, la seconda esterna allambito disciplinare, e si
riferisce alla crescente insoddisfazione verso il riduzionismo oggettivante della clinica. Vieda Skultans (2007) ci ricorda quanto
a lungo la nozione di soggetto sia stata considerata spuria per
lantropologia culturale. Gli antropologi tendevano a vedere i
propri informatori in quanto veicoli di valori e pratiche sociali,
piuttosto che come soggetti e agenti morali a pieno titolo. A tale
proposito, Anthony Cohen (1994) scrive:
Gli antropologi non attribuivano alcuna importanza al problema
di che cosa significassero quelle strutture per coloro che le popolavano. In questo tipo di schema teorico, la gente e gli individui erano importanti solo in quanto strutture in s, o in quanto collegati
alla struttura in qualche modo identificabile (1994: 98).
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Tuttavia, non mancano ambiguit quando le narrazioni di malattia entrano nellambito della bio-medicina, dei suoi spazi di
azione e delle sue finalit. Spesso i termini illness narrative e
narrative-based medicine sono utilizzati in modo intercambiabile, e le medical humanities utilizzano il materiale narrativo
in una pluralit di modi spesso molto diversi da quelli dellan-
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rampicare. Alla tua destra e sinistra vedi gente che precipita gi.
Attaccati dietro di te ci sono alcuni dei tuoi familiari, cos se cadi
potresti trascinarli gi con te. Hai arrampicato questa montagna
per venti anni con gli occhi fissi a un appiglio per le mani, a un appoggio per i piedi. Senza guardare avanti o indietro. Finalmente,
raggiungi la cima. Forse la prima volta che guardi indietro, e vedi
tutto quello che hai sopportato, quanto difficile stata la tua vita e
quella della tua famiglia, quanto appassite sono le tue speranze
Ha concluso chiedendomi se queste non erano ragioni sufficienti
per diventare depressa
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boli fondamentali ricalca quella di Turner di simboli dominanti, che organizzano i significati dei rituali delle societ
pre-industriali. Essi sono polisemici, collegano differenti
domini simbolici, e questo spiega perch le reti semantiche
comprendano elementi eterogenei. Nel caso iraniano, il mal
di cuore collega in modo complesso gli eventi della fisiologia
femminile: nascita, gravidanza, aborto, contraccezione, sterilit, vecchiaia, dispiacere, tristezza. Secondo Byron Good,
quanto afferma un informatore deve essere interpretato nel
contesto della sua esperienza di malattia, e pu variare nel
tempo, in relazione con le circostanze vissute.
c) Il McGill Illness Narrative Interview (MINI) (Groleau
D. Young A. Kirmayer L., 2006) un modello di intervista semistrutturata che raccoglie i risultati delle ricerche di Laurence Kirmayer e di Allan Young soprattutto nel
campo della salute mentale. Nella redazione di questo strumento qualitativo, viene concretizzata la critica che Young
aveva rivolto alla antropologia della illness e alla scuola di
Harvard in generale, ovvero di non considerare gli aspetti
di sickness e le traiettorie che la persona malata compie nei
servizi sanitari. Il MINI considera i modelli esplicativi del
soggetto (il pensiero causale riguardante i processi o i meccanismi allopera nella malattia), i prototipi (il ragionamento
che concatena episodi salienti della propria esperienza o di
un familiare, che consente lelaborazione di un significato
per analogia), i complessi a catena (le esperienze passate collegate metonomicamente ai sintomi presenti attraverso una
sequenza di eventi che circondano i sintomi, senza nesso
causale con questi). Il MINI pu essere utilizzato per esplorare i legami tra significati e percorsi di recupero della salute,
compresi lautocura, le medicine convenzionali o tradizionali, laderenza terapeutica, ladozione di comportamenti
promuoventi la salute, il livello di soddisfazione dei servizi
sanitari, i cambiamenti identitari.
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e mettere in atto le proprie vite in termini di scelta sotto condizioni che sistematicamente limitano le capacit di tanti a dare
forma al proprio destino (ibid.: 17). Mills ci rammenta la complessit interna al concetto di libert: non solo la possibilit di
fare quel che ci piace, n lopportunit di scegliere tra alternative differenti, ma libert , anzitutto, opportunit di formulare le scelte disponibili, di discuterle, e finalmente di scegliere
(1995 [1959]:185). I nuovi linguaggi psichiatrici creano nuove
forme della persona e della personalit, ma non tutti i linguaggi creano senso e aprono nuove possibilit: possono anche mistificare. Nel caso lettone, la superiorit economica del resto
dellOccidente, lidea stessa di Europa quale sinonimo di civilt
e sapere e, non ultimo, la diffusione di psicofarmaci, insieme
colludono a rendere il nuovo linguaggio della psichiatria occidentale difficile da sfidare, nella riduzione che opera ad una individualit sofferente e chiusa in se stessa. La libert che si offre
alle persone illusoria: In questo processo gli individui sono
stati trasformati da commentatori attivi e critici delle circostanze della propria vita a passivi ricevitori di diagnosi (Skultans
V., 2007: 9) e, una volta ancora, questa patologizzazione aiuta
a mascherare le fonti politiche e sociali della sofferenza, e in
che modo la metafora della vittimizzazione come patologia di
un individuo altera lesperienza collettiva quanto individuale
cos che il suo significato vissuto come memoria morale e politica, forse persino come resistenza, viene perduto e sostituito
da colpa, paranoia (Das et al., 2001:10).
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2. Etnopsichiatria comunitaria
possibile sottolineare come, almeno per quanto riguarda la
popolazione profuga e rifugiata, letnopsichiatria comunitaria ha
dato prova di efficacia preventiva attraverso lattuazione di una
metodologia di intervento macro- e microgruppale, vedi lesperienza di Badolato in Calabria descritta da Inglese (1999, 2002).
Negli interventi di accoglienza diretti a profughi e rifugiati
richiesta una costante opera di diplomazia fra mondi eterogenei, sempre sottoposti al rischio del sospetto reciproco o della
collisione imminente.
Lesperienza in precedenza richiamata, che ha visto la partecipazione del servizio pubblico di salute mentale, mostra come
gli interventi di accoglienza possano assumere valenze preventive, oltre che terapeutiche, tali da ridurre gli effetti traumatici
della violenza collettiva e dei suoi aspetti emergenziali.
necessario che simili operazioni vengano svolte secondo
modalit culturalmente sensibili e utilizzando tutte le risorse
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figure coinvolte nella cura, con ruoli che possono essere, a seconda delle situazioni, complementari o antagonisti rispetto a
quelli esercitati dagli operatori.
Tale territorio dilatato ed esteso diventa un piano su cui
scorrono comunicazioni e attraverso il quale transitano oggetti
(ad es., di protezione) e persone.
In altri casi, invece, le risorse parentali o culturali vengono
rifiutate o al contrario risultano interdette o comunque inattingibili, in relazione a processi identitari aperti ad una molteplicit di esiti.
Al riguardo, lesperienza clinica mostra situazioni molto variegate e differenziate.
Quelle in cui si registra uninterruzione solo superficiale
della possibilit di ricorso alle risorse relazionali e tecniche del
mondo di origine in connessione a momenti di difficolt anche di ordine psicopatologico della vicenda migratoria, con
ampie possibilit di lavoro nel senso di una loro riattivazione
con effetti trasformativi degli esiti clinici e sociali. Quelle, al
contrario, dove il mondo di origine (o porzioni di esso) che si
presenta come espulsivo, minaccioso e persecutorio. Il rischio
in questi casi che alla desolidarizzazione dai legami culturali di
provenienza si saldi una deriva sociale nei contesti di adozione.
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culturale.
Il mondo magico non costituisce semplicemente una vestigia del passato italiano ed europeo, ormai interessante soltanto
dal punto di vista folklorico. Al contrario, presenta una sua capacit di vivere la storia, adeguandosi e mutando in relazione
ai cambiamenti che questa produce e continuando a costituire
una risorsa esplicativa per dare senso allesperienza, cos come
una possibilit di cura per mezzo della quale si strutturano, anche se sotterraneamente, reti di relazioni sociali intorno alle
figure terapeutiche (Favret-Saada J., 2009).
Quello che questa autrice mette in evidenza la riproposizione in ambito antropologico-culturale ed anche negli studi
folklorici di un atteggiamento che lei stessa ha incontrato come
posizione (difensiva e di mascheramento in quel caso) nelle
persone presso cui andava strutturando la propria indagine di
campo sulla stregoneria nel Bocage: e cio che il mondo magico
sempre un po pi in l. Nel caso della scienza questo l
laltrove geografico (i paesi extra-occidentali) oppure anche il
qui, ma in un tempo passato ormai superato e lontano.
Ma ci che la sua ricerca mostra , propriamente, la persistenza di tali mondi nel panorama contemporaneo cos come il
loro inserimento nei processi sociali attuali, con ampie capacit
di aggiornamento dei propri costrutti e delle proprie logiche di
funzionamento. Daltra parte, come si cercato in precedenza
di evidenziare, i flussi umani globalizzati conducono laltrove
e dunque anche i mondi culturali che l sono fabbricati e che
a loro volta fabbricano gli umani che li abitano nel panorama
sociale occidentale, contribuendo ad una ulteriore complessificazione del paesaggio di visioni della salute e della malattia,
di pratiche ad esse connesse e di reti di relazioni attraverso cui
queste ultime vengono attuate.
Progressivamente i servizi di salute mentale stanno prendendo atto di quanto i flussi migratori internazionali influenzino il
lavoro clinico ed extra-clinico non solo, o non tanto, in quanto
fattore di rischio psicosociale, ma anche, e forse soprattutto, in
quanto fattore culturale di perturbazione degli assetti conosci-
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Si tratta, cio, di unazione disciplinare che stabilisce quali siano i vissuti, le pratiche ed i saperi ammessi e quali gli esclusi.
Sebbene si verifichino di continuo delle infrazioni alla disciplina, attraverso lazione di spoletta fra mondi esercitata dagli
utenti (attraverso i loro sintomi, le loro parole ed i loro comportamenti), le demarcazioni mirano a mantenere lordine a scapito
della conoscenza e dellinnovazione disciplinare.
Le azioni di demarcazione hanno come conseguenza non
solo la tendenziale esclusione dei sistemi di cura religiosi o tradizionali dalla gamma degli interlocutori nel lavoro territoriale
dei servizi di salute mentale, ma il loro effetto si esercita anche
sulle modalit e forme della sofferenza dei pazienti allorquando
inscritte allinterno di regimi discorsivi alternativi a quelli ammessi (Inglese S. Cardamone G. - Da Prato M., 2008).
Ci che si produce lesposizione delle pratiche scientifiche
della cura al rischio della battaglia ideologica rispetto ad altri
ricorsi terapeutici esistenti e la moralizzazione del rapporto con
gli utenti e la societ nel suo complesso (Stengers I., 1997).
Daltra parte, lisolamento fra culture e fra gruppi una pratica
difficile da realizzare, anche quando effettivamente perseguita
o semplicemente dichiarata.
Senza soffermarsi su come vengono gestite le conoscenze
provenienti dalle farmacopee tradizionali, si pensi al lento percorso che ha condotto dalle prime descrizioni di forme morbose
esotiche allinserimento delle Culture Bound Syndromes (CBS),
allinterno della quarta edizione rivista del manuale diagnostico
dellAssociazione Psichiatrica Americana (DSM-IV TR).
Quello che si verificato un adattamento tecnico a fini
diagnostici, terapeutici e di ricerca prodotto ed in qualche
modo obbligato dallincontro della psichiatria con altri mondi
culturali.
Ci non significa, per altro, che ladattamento tecnico non
possegga parallelamente anche finalit politiche: ad esempio,
quella di massimizzare la diffusione di un simile strumento conoscitivo, aumentandone la pertinenza per altri contesti geoculturali (per i clinici che in esso operano e per i pazienti che da
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essi provengono).
Ladattamento tecnico si configura come un affinamento degli strumenti conoscitivi e di intervento al fine di rispondere ad
un problema nuovo, ma anche un sottoporre a lavorazione
loggetto che attraversa i confini della disciplina per giungere
infine ad essere accolto al suo interno.
Le CBS, infatti, non sono solo fenomenologie morbose riscontrabili in determinate popolazioni e passibili di assimilazione a diagnosi descrittive.
Sono, soprattutto, costrutti complessi, conosciuti e riconosciuti da quelle stesse popolazioni che ad essi assegnano uno o
pi nomi.
Tali nomi rinviano a saperi (eziologici ad esempio), modi di
fare, pratiche diagnostiche, interventi terapeutici e mitologie.
A ben vedere, si assai lontani dalla modalit di costruzione
delledificio nosografico psichiatrico, caratterizzata da una lenta
opera di distinzione e di battesimo degli insiemi sindromici individuati con nomi che ne esprimessero il senso fenomenologico, eziopatogenetico e/o prognostico1 o che semplicemente ne
riconoscessero la paternit. In questo caso, sono interi oggetti
ad un tempo empirici e teorici, incarnati nel singolo e rappresentati collettivamente che vengono assimilati allinterno
della nosografia psichiatrica, seppure relegati in una posizione
marginale.
La modalit di assimilazione delle sindromi culturalmente
caratterizzate in quanto semplici fenomenologie morbose, daltra parte rischia di far dimenticare che si tratta di realt empiriche inserite in una cultura vissuta e agita da una pluralit
di attori e da essi costruita: non solo le persone sofferenti che
a tali fenomenologie danno corpo, ma anche i loro familiari e
vicini che condividono con loro ethos e visioni del mondo e
della malattia, insieme alle figure tecniche deputate alla cura ed
1. Landamento ciclico della psicosi maniaco-depressiva, il senso psicopatologico della Spaltung nella schizofrenia o il destino degenerativo della
demenza precoce.
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e metodologico di turno).
Si tratta, quindi, di passare da una netta distinzione tra un
Io e Tu, un Noi e Voi, un Soggetto e un Oggetto ad una scomoda ma pi adeguata riflessione sulla relazione che si installa
tra pi sistemi che si incontrano e interfacciano. E la relazione
che si dispiega ha il carattere della perturbazione reciproca tra
osservatore ed osservato, accadimento - la perturbazione - che
diventa il perno dellinteresse.
In questo gioco al rialzo e rispettoso della complessit epistemologica esistente, una disciplina come la psichiatria non
pu essere da sola a condurre loperazione.
Dal nostro punto di vista questo passaggio fondamentale
inaugurato con rigore e coerenza da Georges Devereux (1967,
1970), padre delletnopsichiatria teorica, che gi nella sua formazione personale e professionale ha portato in s il senso incarnato di una profonda molteplicit: fisico, etnologo, psicoanalista, pianista, grecista, Gheorghe, Georg, Gyrgy, Gyuri,
George e infine Georges, i nomi usati per presentarsi e farsi
conoscere, a seconda dei paesi attraversati.
Lidea della necessit di una molteplicit di punti di vista su un oggetto osservato o studiato trae spunto dalle leggi
della Fisica Quantistica e il Principio di Indeterminazione di
Heisenberg, secondo questo ultimo Principio, due grandezze
come la velocit/movimento e la massa/posizione (relative, ad
esempio, a particelle luminose) non sono osservabili e misurabili contemporaneamente, e la misura delluna genera incertezza
nellaltra. Le due misurazioni, che si accoppiano, daranno una
descrizione/spiegazione esauriente di porzioni del problema
posto alla base dellanalisi, e saranno valide entrambe.
Affiancando questo modo di procedere al comportamento
umano (e alle scienze che lo studiano e pretendono di dirne
qualcosa) ci ha significato iniziare a pensare alla possibilit di
spiegare in termini esaustivi un fenomeno o un comportamento
umano almeno in due modi, ognuna delle funzioni conoscitive e
delle risultanti sar ugualmente valida allinterno di un dominio
parziale e ben delineato. il complementarismo che si andr
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Merli C., 1999)?, epidemiologico: quanto, dove e in quali condizioni socioambientali sono diffuse (Murphy H.B.M., 1961,
1982)?, diagnostico: cosa sono in se stesse e come si distinguono
dagli altri disturbi mentali (Inglese S., 2005)? clinico: cosa le
genera, come evolvono, ne esiste una cura attraverso dispositivi
terapeutici, tradizionali o moderni, comunque culturalmente
orientati (Nathan T., 1996, 2001)?, antropologico: la cultura esercita davvero qualche effetto nei loro confronti oppure
bisogna disconoscerle ogni funzione pragmatica sullaccadere
psichico (la cultura stessa, in quanto categoria euristica, sembrerebbe aver perduto di consistenza finanche allinterno del
suo dominio disciplinare, Appadurai A., 2001, Bhabha H.K.,
2001, Bibeau G. - Corin E., 1994)?
Le CBS sono ancora oggi un autentico rompicapo che ha
interdetto la psichiatria occidentale fin dai tempi dellimpresa
sistematica di Emil Kraepelin, finalizzata ad aggregare i sintomi psicopatologici elementari in complessi sindromici distinti
per imporre la sovranit della tassonomia naturalistica (rigidamente universalistica e biomedica (Jaspers K., 1965, Kraepelin
E., [1904], 1996). Il problema affrontato dallantenato tedesco
costituisce il fondamento stesso della psichiatria scientifica alla
continua ricerca delle corrispondenze necessarie tra fatto psicopatologico e lesione o disfunzione cerebrale. Il metodo kraepeliniano ha instaurato un ordine logico-formale ma non
ancora riuscito a decretare lannessione dei disturbi mentali dal
regime delle sindromi (a forma nota) a quello delle malattie (a
causa nota). Lordinamento categoriale non riesce a dispiegarsi compiutamente perch ai suoi margini pullulano singolarit
cliniche che non si lasciano sistemare entro luna o laltra definizione diagnostica. Tali entit sono particolarmente diffuse e
in via di moltiplicazione anche a causa di una sintomatologia
ricombinante in grado di generare forme ibridate (Hinton D.
et al., 2002, Suryani L.K. - Jensen G.D., 1993). Dal secolo di
Kraepelin al Terzo millennio, la situazione diventata ancora
pi complicata poich gli eventi clinici una volta collocati oltre
frontiera superano con facilit irrisoria i confini ormai virtuali
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siva del disturbo solo una ristretta banda di oscillazione (es., una
concezione delirante influenzabile dai fattori esterni solo nei
suoi contenuti tematici, ma, in quanto disordine del pensiero,
sarebbe provocata da una disfunzione della neurotrasmissione
molecolare). A causa di ci lincidenza epidemiologica e il core
psicopatologico resterebbero indifferenti alla variazione ambientale e alla pressione del contesto socioculturale. Kraepelin
inaugura questa impostazione e risolve lequazione nosografica
sostenendo che le malattie mentali sono ovunque le stesse,
per cui sono organizzabili in una classe finita di entit patologiche distinguibili. Tale posizione scientifica enfatizza i costrutti
morbosi come altrettanti tipi clinici ideali (puri) e contempla la
possibilit di recuperare nellordinamento nosografico anche i
tipi ibridi (forme di transizione, miste e atipiche). Essa rimane
piuttosto frigida alla seduzione di riscontrare nuove malattie
mentali in altre realt geoculturali poich ritiene di essere riuscita a concludere la catalogazione di tutte le entit cliniche
esistenti nel mondo, avendone gi compiuto il censimento
allinterno dellesteso campione costituito dalla variegata popolazione europea. La stagione della ricerca kraepeliniana ha fatto
maturare il suo frutto (tassonomia) e ai clinici delle generazioni
successive lascia il compito di estendere il nomos dellordinamento classificatorio alle varianti eccezionali (a bassa frequenza:
esistono in alcune societ ma non in altre), bizzarre (gravide di
sintomi inusuali: sussulti emozionali e motori, corse omicidesuicide, retrazioni di organi e perdita di sostanze biologiche,
intervento di entit invisibili sulla soggettivit umana), recalcitranti alla diagnostica formalizzata (amok, dhat, koro, latah: le
denominazioni delle varie lingue locali illustrano il senso dei
rispettivi eventi morbosi meglio di quanto riesca a fare la loro
traduzione nel codice della psichiatria classificatoria).
La psichiatria transculturale continua a cimentarsi su queste sindromi per riscattarne lesistenza come entit autonome
o, pi spesso, per assoggettarle ai disturbi mentali gi esistenti e universali. Essa evidenzia limpatto degli ambienti reali di
vita sullincidenza dei vari disturbi, misurando la frequenza
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da da dispositivi extragenetici ed extracorporei (programmi culturali) selezionati storicamente per dare un ordine e un
senso allesistenza dei suoi membri (Geertz C., 1987). Luomo
pertanto un soggetto essenzialmente culturale: crea e viene
creato dalla cultura con cui interpreta e influenza il caos del
mondo, trasformato dai gruppi umani per mezzo di strumenti
culturali fino a diventare mondo domestico e socialmente condiviso (Devereux G., 2007). Il mondo (nel suo essere di fronte
alluomo - per o contro di esso) e il comportamento delluomo
(nel suo esser-ci nel mondo per o contro di esso, de Martino
E., 1977) sarebbero praticamente ingovernabili e, soprattutto,
incomprensibili in assenza di schemi culturali trasmessi lungo
le generazioni. Questa interpretazione attraversa il DSM IV-TR
dove la cultura viene definita come:
una serie di significati, norme comportamentali e valori adottati
dai membri di una particolare societ nella costruzione della loro
originale visione del mondo. Questi valori o punti di riferimento
coinvolgono aspetti come le relazioni sociali, la lingua, lespressione non verbale dei pensieri e delle emozioni, le credenze religiose,
la morale, la tecnologia e leconomia. Inoltre, la cultura non una
nozione statica ma cambia nella sua trasmissione da una generazione allaltra (American Psychiatric Association, 2004: 6).
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mo Ikkashinju), c) fattore patoplastico: la cultura modifica la forma dei sintomi fino a lasciar emergere una sindrome apparentemente unica e caratteristica del contesto sociale considerato.
Leffetto patoplastico traveste un disturbo ubiquitario, a nucleo
psicopatologico invariante, facendogli assumere laspetto di
un fenotipo sintomatologico singolare e culturalmente caratterizzato (presentazione atipica, ma caratteristica, di un disturbo tipico, es., Ataques de nervios, Brain fag, Pibloktoq,
Taijinkyofusho), d) fattore patoelaborativo: la cultura elabora reazioni comportamentali elementari universalmente osservabili
(es., risposte motorie improvvise e stereotipate innescate da un
riflesso neurofisiologico automatico), le articola e struttura in un
comportamento pi complesso, culturalmente convenzionale.
In alcuni casi il fenomeno non necessariamente patologico e
spesso appaga bisogni individuali o sociali (es. Latah), e) fattore
patofacilitante: la cultura favorisce un incremento della frequenza con cui un particolare disturbo, potenzialmente universale,
si manifesta in certi contesti sociali e in determinati frangenti
storici. In questi casi, linfluenzamento della cultura agirebbe su
un piano epidemiologico quantitativo (es., alcolismo dei nativi,
isteria di massa), f) fattore patoreattivo: la cultura offre unelaborazione interpretativa del disturbo a cui il soggetto reagisce con
una particolare espressione sintomatologica congruente allinterpretazione culturale (es., Hwabyung, Susto). Questa induzione socioculturale condiziona anche il processo evolutivo di
altre malattie (es., interferenza sociale sullesito variabile delle
Schizofrenie, del Disturbo da Stress Post-traumatico).
Il modello di Tseng disposto a riconoscere lesistenza di
manifestazioni comportamentali di natura incerta e non facilmente assimilabili a sindromi cliniche (es., Stati di trance/possessione: praticamente ubiquitari, in cui si attivano circuiti neurofisiologici e manifestazioni comportamentali tra loro comparabili oltre che riproducibili attraverso tecniche di induzione
operanti soprattutto in contesti rituali, Windigo: la sua esistenza
reale viene ancora discussa dagli studiosi pur conoscendo che la
tensione verso atti cannibaleschi (prescritti ritualmente da alcu-
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ne societ iniziatiche, segrete o nella zona dombra della stregoneria) potrebbe convertirsi in sintomatologia soggettiva. Sono
documentati passaggi allatto cannibalesco in quelle forme di
efferatezza comportamentale innestate su condizioni psicotiche
estreme nonch rare. Non si pu comunque escludere la possibile esistenza di una categoria sindromica a un solo membro,
Arens W.E., 2001, Cooper J.M., 1933, Parker S., 1960).
3. Le
sociali
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deragliare lappropriatezza della diagnosi - si scelgono qualificazioni del disturbo che vorrebbero impedirne levasione dalla cella categoriale predisposta (quadro atipico perch non
altrimenti specificabile). Quando la configurazione morbosa
subisce unoscillazione pi brusca o pi ampia - ad esempio,
quando si assiste al transito dalla lamentela corporea soggettiva,
inizialmente stimata come disturbo umorale mascherato, alla
percezione o alla convinzione delirante a tema somatico anche
la diagnosi tenta un salto categoriale azzardato (si polarizza in
favore di una forma tipica stigmatizzando lestraneit della
sindrome e del paziente che, da semplicemente Altro - atipico - diventa radicalmente alieno, ovvero incomprensibile sia
sul piano antropologico che psicopatologico).
In relazione ai processi distopici indotti da cambiamenti socioculturali rapidi e massivi, si profila una dinamica progressiva
a causa della quale i sintomi della CBS incominciano a disgregarsi dalla loro originaria struttura come frammenti non pi
compattati dalla forza di legame del sistema culturale originario.
Senza questo centro di attrazione coesiva i sintomi elementari si ricombinano tra loro come se fossero preda di un vortice
clinico centrifugo. In questa fase predomina un polimorfismo
dinamico della sintomatologia che si proietta attraverso campi nosografici eterogenei. Questo dovuto allesplosione della coerenza sindromica del disturbo determinata dalla perdita
della coesione del nucleo culturale originario dove sono ormai
rintracciabili elementi della cultura originaria e di quella acquisita. La sovrapposizione disordinata genera situazioni cliniche
ibride e instabili in cui, ad esempio, condotte di abuso alcolico
(tipiche del contesto adottivo) sono innescate dallinduzione
persecutoria di un sortilegio (tipica del modello culturale dorigine), o sono talvolta il punto di partenza per una conversione
religiosa che si render virtuosa fino al fanatismo.
In tali situazioni, dove sintomi appartenenti a diverse matrici
culturali si condensano in un solo disturbo a caratteri molteplici, necessario spingere la conoscenza sulla componente culturale originaria che resterebbe altrimenti inattaccabile dallazio-
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Pino Schirripa
1. Definizione
In un testo di qualche anno fa avevo proposto, assieme a Csar
Zniga Valle, una definizione di sistema medico. Per quanto
non sia in genere cosa auspicabile porre allesordio di un intervento una autocitazione, riprendo quella definizione perch,
almeno a mio avviso, tutto sommato chiara e sintetica. In quel
caso scrivevamo che in prima approssimazione si pu definire il
sistema medico come:
linsieme delle rappresentazioni, dei saperi, delle pratiche e delle
risorse, nonch le relazioni sociali, gli assetti organizzativi e normativi, le professionalit e le forme di trasmissione delle competenze, che in un determinato contesto storico-sociale sono finalizzate a individuare, interpretare, prevenire e fronteggiare ci che
viene considerato come malattia o comunque compromissione
di un normale stato di salute (Schirripa P. - Zniga Valle C.,
2000: 210).
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Non sono solo gli attori sociali ad attraversare il crocicchio delle terapie, per riprendere una nota metafora di Benoist (vedi
oltre), ma sono anche i terapeuti che si pongono allincrocio
di differenti tradizioni, utilizzando nel corso del processo terapeutico pratiche e teorie di differente provenienza, coniugando
in tal modo pratiche, teorie e simboli in insiemi nuovi. Tutto
ci ha consentito un ampliamento, nonch una maggiore complessit, del quadro teorico e analitico. Ribadivamo comunque
come proprio una tale complessit induca a non eludere problemi stringenti legati al costituirsi delle realt creole come esiti
di processi storici lunghi e complessi, quindi ribadendo la necessit di indagare le dinamiche storiche e sociali, i processi di
egemonia e le pratiche di resistenza e, soprattutto, i rapporti di
forza ineguali tra i gruppi sociali coinvolti in questi processi.
2. Sistemi medici plurali
La pluralit di pratiche e di logiche, insomma ci che si convenuto chiamare sistemi medici plurali, rappresenta sicuramente
uno dei campi problematici di indagine lasciati tuttora aperti.
Del resto i sistemi medici tendono sempre pi a essere plurali,
tanto nelloccidente euro-americano che negli altri continenti.
Sicuramente i due autori che vengono pi spesso citati quando si discute del concetto di sistemi medici plurali sono Irwin
Press e Arthur Kleinman. Per molti versi le loro posizioni e
spesso anche la stessa prospettiva di indagine sono opposte,
e ci ha favorito una certa polarizzazione del dibattito intorno
alle loro posizioni.
Irwin Press propone una definizione precisa, e molto ristretta di sistema medico: un corpo integrato e interrelato di valori e pratiche intenzionali governato da un unico paradigma di
significazione, identificazione, prevenzione e trattamento della
malattia (Press I., 1980: 47). La prospettiva di Press quella
della tassonomia. Per identificare un sistema medico occorre
che sia chiaro il paradigma unitario cui ricondurre non solo lin-
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evidente in questo commento come lattenzione di questi autori sia concentrata sulla tassonomia dei sistemi medici. Questi
sono definiti principalmente attraverso i loro aspetti sociali e
culturali, ponendo lattenzione soprattutto sulla loro coerenza
interna, e principalmente su come i vari elementi (per esempio
le eziologie e le pratiche terapeutiche) siano tra loro interrelati
e derivino da comuni assunzioni di carattere pi generale. Non
dunque strano che Press rifiuti il concetto di sistema medico
plurale in favore di quello di configurazioni sanitarie plurali.
Press sostiene che non si possa parlare di un sistema medico
che contiene al suo interno dei sottosistemi (cio ad esempio la
biomedicina e una medicina tradizionale africana, o piuttosto
lomeopatia) e che funzioni su differenti paradigmi culturali,
poich ci contraddirebbe quella coerenza interna che ascritta al concetto stesso di sistema. Al contrario, lidea di configurazioni sanitarie plurali manterrebbe tale coerenza, poich starebbe a significare la coesistenza di diversi sistemi medici (cio
di diversi paradigmi coerenti) allinterno di una data situazione
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biguo e che qui uso solo per comodit . Questo significa che
anche altrove i processi egemonici hanno fatto s che istituzioni
e figure che potevano riferirsi al contempo ad un ambito terapeutico, a uno religioso, nonch ad altri (penso ad esempio alla
figura del sacerdote-guaritore in Africa occidentale), si siano
declinati principalmente come sanitari perch figli della storia
complessa della colonizzazione e dellimposizione del dominio
occidentale.
Che si voglia studiare il presente o si intenda procedere a
una analisi cronologicamente pi profonda, occorre comunque
mantenere la consapevolezza di essere di fronte al risultato di
processi storici complessi e di relazioni ineguali tra parti del
mondo.
Il termine medicalizzazione ci pone qualche problema in
pi. Vorrei partire da una riflessione di Franca Ongaro Basaglia:
Alla fine del diciottesimo secolo si era assistito ad una trasformazione del concetto di assistenza che implicava una contemporanea
trasformazione dellatteggiamento nei confronti della morte. Non
pi intesa come un destino cui luomo non pu sottrarsi, la morte
viene gradualmente riconosciuta come il risultato di processi patologici per la maggior parte ancora sconosciuti che possono cadere
sotto il controllo e il dominio delluomo. Il problema del contatto
delle malattie e quello delle misure igienico-alimentari che avrebbero potuto prevenirle spostano lasse di una generica assistenza fondata sulla carit e sul soccorso allindigenza e alla miseria,
dallaccettazione religiosa della morte ad un concetto di lotta contro ci che pu prematuramente produrla. Lindividuazione o la
collocazione della malattia che sar oggetto di ricerca della clinica
dalla seconda met del diciottesimo alla met del diciannovesimo
secolo ci che libera luomo da un destino ineluttabile accettato
come naturale, ponendolo in condizione di lottare contro la malattia che non viene pi identificata con la morte. (Ongaro Basaglia
F., 1982: 178-179)
Partendo da tale riflessione, si potrebbe definire la medicalizzazione come il processo attraverso cui tutta una serie di pratiche
e atteggiamenti della vita quotidiana, e non solo, sono ricom-
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presi entro un ambito che quello del sapere medico. Potremmo fare a questo proposito numerosi esempi che riguardano
la vita quotidiana dei nostri giorni. Fumare, per chi lo fa, un
piacere ma oggi viene visto principalmente come una controindicazione alla salute. E quello che era un atteggiamento privato
diviene un comportamento regolamentato a livello pubblico.
Esempio banale, forse, ma che serve a mostrare come una serie
di comportamenti della vita quotidiana sia continuamente disciplinata, facendola in tal modo rientrare nel quadro di una
normativit/normalizzazione implicita in un sapere medico che
si erge a disciplina del corpo e del comportamento3. Quanto
qui detto si richiama chiaramente alla prospettiva biopolitica
inaugurata da Foucault.
Se utilizziamo tale prospettiva dobbiamo dunque, parlando di medicalizzazione, fare riferimento al campo del potere e
quindi del politico. Come giustificare il riferimento al politico?
La medicina nel suo costituirsi ha a che fare con una costruzione di regole che costruzione di soggetti: dunque abbiamo a
che fare col potere. Questa una dimensione che nellambito
delle analisi dei processi di salute e malattia si affermata prepotentemente nellantropologia medica a partire dagli anni 90
e che ancora oggi produce fertili analisi.
Vorrei ritornare brevemente al testo di Ongaro Basaglia:
La trasformazione avvenuta nellatteggiamento nei confronti della
morte attraverso lindividuazione di una malattia contro cui lottare, coincide con la modificazione dellidentit tra vita e destino. Se
la morte non pi naturale non pi naturale neanche la vita.
La vita pu essere modificata dalluomo, la miseria e la malattia
possono essere debellate, la salute pu essere conquistata nel momento in cui il ruolo di chi comanda non pi espressione di un
diritto divino, cos come la sua subordinazione non pi condizione naturale. Scoperte scientifiche, lotta contro le malattie, lotte
3. Si veda ad esempio D. Fassin - D. Memmi curatori, (2004), dove i
diversi contributi, utilizzando una prospettiva biopolitica, si concentrano su
come la medicina governi i corpi analizzando i dibattiti e la costruzione di
regole riguardo la fine della vita, lutilizzo del tabacco, la gravidanza.
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efficacia rappresenta sempre un test dellautorit tanto tradizionale quanto statale. Iscrizione dellordine sociale nei corpi, legittimazione dellazione dei terapeuti, gestione collettiva della malattia,
tre figure nelle quali il potere si manifesta. (Fassin D., 1996: 3)
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Fondamentale in questo dibattito stato il contributo dellantropologia critica della salute di Paul Farmer (1992, 1996) e la
sua ridefinizione del concetto di violenza strutturale
Ripreso dal lavoro di J. Galtung, il concetto di violenza
strutturale stato posto dallantropologo e infettivologo nordamericano Paul Farmer al centro delle sue analisi. Con tale concetto egli intende riferirsi a quelle forme indirette di violenza
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che non derivano dallazione diretta di un individuo, ma piuttosto la loro natura processuale proviene dallessere esercitate
dalle forme stesse dellorganizzazione sociale, meglio ancora da
quelle forme di organizzazione sociale pervase da profonde disuguaglianze. La violenza strutturale agirebbe dunque tanto a
livello locale quanto a quello globale sulla vita di chi occupa i
segmenti pi marginali di ordinamenti sociali segnati da profonde disuguaglianze.
Limpatto del lavoro di Farmer stato senza dubbio rivoluzionario. La sua proposta infatti non si pone come ulteriore
variante paradigmatica nel variegato campo dellantropologia
medica, nella misura in cui egli arriva a mettere sotto accusa
lantropologia culturale tutta su due fronti, intrecciati fra loro:
da un lato egli rinfaccia alla tradizione nord-americana di aver
limitato lo scopo dellimpresa analitica della disciplina al solo
studio delle rappresentazioni culturali della malattia, del corpo,
della persona, eccetera ignorando cos lanalisi di quei processi
economico-politici che contribuiscono alla distribuzione delle
patologie e della sofferenza in modo ineguale nella realt sociale, dallaltro lato egli sottolinea come questa impostazione teorico-metodologica, derivante da una problematica interpretazione dellatteggiamento relativista, abbia portato gli antropologi
a non indagare i processi geograficamente ampi e storicamente
profondi che fanno s che alcuni siano maggiormente esposti
a processi patogenetici. In questo modo gli antropologi si sarebbero fatti complici inconsapevoli della violenza strutturale
stessa, arrivando a rappresentare certi fenomeni come prodotti
di processi culturali locali, occultando la loro matrice generativa sociale. Farmer mette in luce come spesso lantropologia
medica abbia rappresentato gli effetti della violenza strutturale
in termini di differenza culturale:
Siamo stati mandati sul campo in cerca di culture differenti dalla
nostra. Abbiamo visto oppressione, tutto sommato ci apparsa
differente dalla nostra vita confortevole alluniversit, cos labbiamo chiamata cultura (Farmer P., 1999: 7).
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Per contrastare questo atteggiamento egli propone unanalisi economico-politica della sofferenza attraverso un approccio
che colloca il locale allinterno di triangolazioni storico-politiche capaci di mettere in luce i meccanismi sociali delloppressione. Celebri sono ormai le sue analisi dellAIDS e della tubercolosi farmaco-resistente, patologie la cui capillare diffusione
in contesti del sud del mondo stata spesso ricondotta dalle
agenzie internazionali a valori culturali locali.
2. Aids e individualizzazione dei processi sociali
Per quanto riguarda lHIV-AIDS, infatti, fin dai primi anni della
presa di consapevolezza dellepidemia la ricerca biomedica, nel
caso dellAfrica sub-sahariana, si concentrata principalmente
su particolari gruppi a rischio, quali militari, prostitute e camionisti, identificati attraverso il trinomio prostituzione vagabondaggio sessuale - avversione al preservativo. Al fine di comprendere i meccanismi della diffusione dellepidemia, lOMS
invit ad indagare le pratiche sessuali di questi gruppi. Tuttavia
lattenzione esclusiva sulle pratiche sessuali ha prodotto lidea
che il modo migliore di procedere alla prevenzione dellAIDS
fosse quello di fornire una corretta informazione circa la sua natura e trasmissione, in modo da generare un mutamento comportamentale. evidente come questo protocollo di ricerca,
che andava sotto lacronimo di K.A.P. (Knowledge, Attitudes,
Practices), poggiasse su un modello razionalistico dellazione
umana che privilegia il livello individuale: il comportamento
non sarebbe altro che il risultato di un calcolo costi/benefici
che, una volta fornita la corretta informazione, porter i soggetti interessati ad agire in modo adeguato. Lillusione dellapproccio cognitivo-comportamentale, alla base del K.A.P., consisteva
nel considerare il problema dellAIDS in Africa una questione
radicata nella locale cultura sessuale: obiettivo del K.A.P. era,
infatti, quello di giungere ad una comprensione dei saperi, atteggiamenti e pratiche relative alla sessualit, s da mettere a
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emerge allora come un terreno non riducibile ai meri comportamenti individuali, configurandosi piuttosto come un terreno in
cui si materializzano ineguali rapporti di potere ancorati a disuguaglianze socio-economiche , differenze di genere, rapporti tra
generazioni, che insieme concorrono a strutturare la vita sociale
dellagente virale.
Attraverso tale prospettiva la malattia viene a configurarsi
come un processo sociale: non pi mera realt biologica, frutto
di un beffardo destino o di rischio statistico, ma realt attivamente prodotta da particolari assetti sociali informati da profonde disuguaglianze.
Se dunque la violenza strutturale agisce limitando la capacit di azione dei soggetti, proprio sul fronte della promozione
di questultima che la lotta per la salute pubblica deve essere
combattuta, mettendo al centro lazione politica per la promozione dei diritti sociali ed economici.
Lo stesso tipo di analisi Farmer dedica al tema della tubercolosi farmaco-resistente: le agenzie internazionali hanno infatti
ricondotto lemergere di ceppi resistenti alla cattiva compliance dei pazienti che nellassumere scorrettamente i farmaci (seguendo le loro concezioni culturali non allineate con i principi
biomedici) sarebbero i primi responsabili da biasimare. Nel
contesto haitiano, ma non solo, Farmer e i suoi collaboratori
hanno chiaramente dimostrato che la compliance direttamente legata alle condizioni materiali di esistenza: raffrontando il
comportamento di pazienti a cui venivano dati solo farmaci per
la TBC con quello di chi riceveva oltre ai farmaci anche un contributo economico, che seppur minimo li affrancava dallobbligo di dedicarsi alla produzione della immediata sussistenza,
stato messo in luce quanto la compliance fosse direttamente
legata a fattori non esclusivamente culturali, ma principalmente
economico-sociali.
Il lavoro di Farmer stato estremamente pervasivo nel produrre un riallineamento degli approcci critici in antropologia
medica, mettendo chiaramente in luce quanto salute e malattia debbano essere considerati nei termini di processi sociali: le
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che oggi, sempre pi, interviene (parallelamente ad azioni militari) a sopperire le mancanze degli stati nazionali nellassolvere
le proprie funzioni biopolitiche (Fassin D., 2007b, Pandolfi
M. 2005). Tuttavia, come questi autori sottolineano, sempre pi
spesso il complesso umanitario-militare ben lontano dallessere una forma transitoria che entra in scena in casi di emergenza,
per ergersi invece a forma di bio-sovranit che corre insieme
alla globalizzazione delle tecnologie biomediche.
In questa direzione Leslie Butt (2002) sviluppa ulteriori riflessioni critiche mettendo in luce come le iniziative sanitarie
perorate da organizzazioni come Partners In Health si iscrivano nella promozione di una nuova agenda politica che finisce
con il legittimare nuove forme di intervento improntate a un
problematico universalismo che tradirebbe la specificit stessa
della riflessione antropologica: la sua imprescindibile considerazione del punto di vista degli attori sociali circa la propria
realt. Lautrice, in modo assai poco caritatevole, mette in luce
come lutilizzo delle biografie nei resoconti antropologici per
cogliere lazione della violenza strutturale ci offra narrazioni
decontestualizzate di esperienze il cui fine quello di convalidare pi ampi assunti teorici circa i diritti umani e la giustizia
sociale: cos facendo tuttavia si maschera lassenza di una sfera
pubblica internazionale in cui le voci di queste persone possano trovare legittimit ed essere udite (se non ascoltate). Leslie
Butt sostiene quanto un serio attivismo dovrebbe non solo esaminare le distruttive relazioni di disuguaglianza, ma dovrebbe
anche mettere in discussione gli assunti, culturalmente orientati
e politicamente implicati in strutture economiche globali, su cui
si fonda oggi unindustria umanitaria e filantropica sempre pi
universalista che si arroga il diritto di sapere cosa sia meglio
per gli altri, per i poveri e gli svantaggiati, ulteriormente privati
della propria voce.
Ci troviamo qui di fronte ad una profonda tensione fra
unetica della nuda vita e unetica della giustizia sociale, che
certamente non possono e non devono essere pensate in termini mutuamente esclusivi (Fassin D., 2000). Quello che va per
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le sue radici in privazioni socio-economiche e dinamiche politiche. Detto schiettamente: se il punto sono le disuguaglianze
socio-economiche, noi antropologi che centriamo?
Una domanda di tal fatta avrebbe senso allinsegna di una
visione dellantropologia come studio delle differenze culturali.
Ma se nostro compito diviene quello di indagare i processi generativi della datit, allora le cose cambiamo profondamente,
in virt del fatto che i processi di costruzione della realt non
sono certamente solo simbolici. Nuovamente per in che termini questo ci distinguerebbe da altri ambiti disciplinari, se non
la nostra imprescindibile dipendenza dalle prospettive degli attori locali circa la realt che vivono? In questi termini allora la
nostra vocazione etnografica emerge come partner dialogico di
uneconomia-politica dellafflizione, allinsegna di un concetto
di cultura fortemente processuale e anti-essenzialista, in cui essa
viene concepita come
in continua creazione - [] fluida, interconnessa, diffusa, interpenetrata, compatta, resistente, riformulabile, creolizzabile, pi
aperta che chiusa, pi parziale che totale, [che] supera i propri
stessi confini, si conserva immutata dove non ce lo aspettiamo, e si
trasforma dove ce lo aspettiamo (Sanjek R., 1991: 622).
In altre parole: una visione della cultura non tanto e non solo
come qualcosa che abbiamo in quanto membri di un gruppo,
ma anche come quel processo intersoggettivo di produzione di
senso socialmente posizionato allinterno di specifici configurazioni storiche di potere, in cui i soggetti mantengono la loro
capacit di rapportarsi criticamente ai processi della propria costrizione/costruzione proprio in virt dellessere in essi partecipi (attraverso le forme della loro plasmazione storico-culturale).
In questi termini possiamo pensare di superare quelle aporie che tanto disagio creano nellaccademia antropologica nordamericana, ricomponendo quella arbitraria e assai problematica
frattura fra dinamiche sociali e processi simbolici. Sulla scia del
concetto di sofferenza sociale possiamo cos ripensare la malat-
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Ackerknecht E. H., 65, 133
Adams J., 39, 170, 176
Adouane S., 255, 301
Alimenti A., 192
Anderson R., 72
Appadurai A., 254
Aretxaga B., 120, 123
Asad T., 125
Atkinson J. M., 136
Aug M., 134-135, 139-140, 283
Bagnasco A., 19-20, 34
Banfield E. C., 20
Baron S., 34
Baronti G., 137, 192
Bartoli P., 9, 13, 181, 187, 192,
201- 202
Basaglia F., 279-281, 297
Bastide R., 259
Bateson G., 240, 242-243, 248,
250
Bauman Z., 169-171, 217
Beneduce R., 101, 152-153
Benoist J., 272, 274-275
Bhabha H. K., 254
Bibeau G., 26-27, 58, 62, 65,
136, 138, 151, 254-255
Bochner A. P., 205
Bker W., 231, 234, 251
Bonnet D., 65
Bourdieu P., 23-26, 46, 51, 115,
132-133, 173, 276-277
Boyce E., 96
Briguglia G., 149
344
345
346
Wiesenfeld S., 65
Wilkinson R., 35
Wittgenstein L., 55-56
Yap P. M., 253
Yoder P. S., 273
Young A., 30-31, 66, 113, 127,
130-131, 142, 145, 219, 221
Zanetti Z., 137, 187, 200
Zanini L., 209
Zborowski M., 88, 90-92, 94,
103
Zemplni A., 113, 138, 140, 258,
283
Zola I., 67-68,
Zorzetto S., 11, 225, 230, 234,
241, 246, 252
Zniga Valle C., 269, 271, 276
347
Indice analitico
adolescenti e medicalizzazione,
76-77
agentivit, 116-117, 125, 132,
211
agopuntura, 157, 178
AIDS, 59, 61, 65, 165, 210, 288289,
amok, 256, 260, 261
arene sociali, 274
asse eziologico, 138
bio-economia, 14, 46, 49
biopolitica, 183, 199, 203, 280,
294
- e medicina popolare, 199
bios, 46
- capitalizzazione del, 46
biosocialit, 46, 294
brain fag, 262
capitale sociale, 13-52, 277
- come valore misurabile, 18
- e analisi dei reticoli, 35, 39
- e disuguaglianze socioeconomiche, 27, 37
- e ricerca epidemiologica, 37
- e solidariet, 17-18, 20-21,
27, 37, 44, 51
care, 131
CBS, 234-236, 253-267
Vedi sindromi culturalmente
caratterizzate
chiropratica, 157-158, 178
ciclo mestruale, 73, 81
complementarismo, 247-248
compliance, 136, 290
comunit epistemologiche, 104
350
Indice analitico
incorporazione
empatia, 98, 102, 215-216
endocrinologia, 78
endometriosi, 103-106
ethos compassionevole, 212,
213, 294
etnopsichiatria, 233, 247, 250
etnopsichiatria comunitaria, 227
eziologia, 105, 136-137, 165,
259-260, 270
fenomenologia della percezione,
116
fenotipi, 255
fiori di Bach, 157
fitness, 169-170
fitoterapia, 158, 178-179
follia melanconica, 241
frattura biografica, 207, 217
genotipi, 255
gentrification, 19
goal striving stress, 241, 242
Guajiro, 56
guaritori, 166, 192, 202, 264
habitus, 25, 115, 133, 212
- e imposizione simbolica, 23
healing, 131, 145
hwabyung, 262
illness narratives, 205, 207, 209210, 212, 214, 216, 218, 223
- definizione, 205
incorporazione, 25-26, 43, 101,
113-125, 193, 199, 284, 289, 296
iridologia, 157
istituzioni sanitarie, 161, 211,
213, 269-284, 293
knowledge, attitudes, practices,
288
koro, 256, 260, 261
matrazza, 191, 192
medical humanities, 208
Indice analitico
medicalizzazione,
- definizione, 67, 279
- della procreazione, 69
- e fisiologia femminile, 69,
75
- processi di, 278
- processo storico di, 278
medicina alternativa.
Vedi medicine non convenzionali
medicina antroposofica, 157, 178
medicina ayurvedica, 157
medicina complementare.
Vedi medicine non convenzionali
medicina naturale. Vedi
medicine non convenzionali
medicina popolare
- definizione, 181, 189
- e fenomenologie corporee,
194
- e intellettuali, 184
- genesi della categoria
analitica di, 182
- incontro/scontro con
medicina ufficiale, 188, 192,
201
medicina tradizionale cinese,
158, 178, 179
medicine non convenzionali,
157-180
- concezione del corpo nelle,
159
- definizione, 159
- e corpo, 159
- e razionalit, 161-163, 173
- ed estetica del corpo, 170
olismo, 144
menopausa, 68-68, 72, 77-82
mestruazioni, 68, 71-77, 81-82,
103
metalogo, 239, 242, 243, 250
351
352
-
-
Indice analitico
culturali, 186
- come corpo vivente, 119
- e incorporazione, 113-125
- e tecniche del corpo, 123
stregoneria, 15, 64, 202, 232, 263
strutture di accoglienza, 226
susto, 262
taijinkyofusho, 262
therapeutic emplotment, 92, 220
tubercolosi, 59, 60, 65, 288, 290
vaccinazione, 198-199
- e paura popolare, 198
violenza strutturale, 285-299
- definizione, 286
- incorporazione biologica
della, 289
windigo, 262
Gli autori
354
Gli autori
rapia Relazionale, vice-Presidente Ce.R.I.S.C. Centro Ricerche e Interventi nei Sistemi Complessi onlus, Prato. Nellambito della clinica e interventi con i migranti svolge attivit di
consulenza, supervisione e formazione, nonch attivit clinica
con utenti dei Dipartimenti di Salute Mentale, profughi, richiedenti asilo e rifugiati.
Fabio Dei, insegna Antropologia culturale presso lUniversit
di Pisa. Si interessa di epistemologia delle scienze sociali, antropologia della violenza, forme della cultura popolare e di massa
nellItalia contemporanea. Fra i suoi pi recenti scritti: Antropologia della violenza (2005), Culture del dono (con M. Aria,
2008), La donazione del sangue. per unantropologia dellaltruismo (con M. Aria, G.L. Mancini, 2008), La materia del quotidiano. Per unantropologia degli oggetti ordinari (con S. Bernardi,
P. Meloni, 2011), Antropologia culturale (2012).
Salvatore Inglese, medico e psichiatra. Da molti anni cura la
salute mentale delle popolazioni straniere allinterno dei sistemi
di salute pubblica. La sua attivit di ricerca e formazione si concentra sullo sviluppo della metodologia clinica delletnopsichiatria. Nellintento di costruire e perfezionare dispositivi operatori sensibili alle nosologie degli altri mondi culturali, lavora sulle
modalit teorico-pratiche con cui utilizzare le lingue dorigine
nella clinica transculturale.
Helle Johannessen, professore ordinario presso lInstitute of
Public Health, University of Southern Denmark. Esperta in antropologia del pluralismo medico, ha svolto ricerche etnografiche in Danimarca, Canada e Italia. Dal 2005 direttrice di una
quipe multidisciplinare presso la Facolt di Health Sciences
del medesimo ateneo. Dirige progetti europei sulla integrazione fra metodologie qualitative e quantitative nella ricerca interdisciplinare sullefficacia delle terapie. Fra i suoi lavori pi
recenti, Multiple Medical Realities: Reflections from medical
anthropology (con Imre Lzr 2006), Embodiment and the Sta-
Gli autori
355
356
Gli autori
Gli autori
357
and social suffering in Mekelle (Tigray Ethiopia) (2010), Terapie religiose. Neoliberismo, cura, cittadinanza nel pentecostalismo contemporaneo (2012).
Sergio Zorzetto, psicologo e psicoterapeuta. Dottore di ricerca
in Antropologia ed Epistemologia della Complessit Universit di Bergamo. Presidente di Ce.R.I.S.C Centro Ricerche e
Interventi nei Sistemi Complessi onlus, Prato. Con G. Cardamone ha pubblicato Salute mentale di comunit. Elementi di
teoria e pratica (2000).