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ferenza nelle relazioni e via via riconosce l'importanza non solo del passato, ma
anche delle relazioni attuali accentuando il tema dello scambio in seduta (psicologia
unipersonale vs psicologia bipersonale) [Bromberg 201 1 ; Eagle 201 1 ; Lichtenberg,
Lachmann e Fosshage 20 1 1 ] .
Questi cambiamenti concettuali, a loro volta, hanno avuto ripercussioni sul
modo di intendere la relazione terapeutica: si è passati, cioè, da una teoria «realista>> ,
che vede la relazione psicoterapeuta-paziente caratterizzata da una distorsione,
operata dal paziente, della relazione attuale con lo psicoterapeuta basata sulle sue
precedenti relazioni, a una teoria «costruzionista», nella quale la vita del soggetto,
così come la relazione terapeutica, sono il risultato di un processo con,diviso che si
dispiega in una matrice relazionale. :
Nel primo caso lo psicoterapeuta, mantenendo un atteggiamento neutrale, aiuta
il paziente ad affrontare la «realtà» attraverso l'interpretazione della relazione tran
sferale e il setting funge da cornice stabile che favorisce l'emergere di un processo
da interpretare (le proiezioni del paziente sullo psicoterapeuta) ; nel secondo caso
lo psicoterapeuta, partecipando attivamente alla relazione e influenzando così il
transfert, aiuta il paziente a cocostruire un significato della «realtà».
n passaggio, quindi, da un'epistemologia oggettivista a una costruttivista com
porta il passaggio dal considerare il setting soprattutto come la cornice all'interno
della quale si svolge il processo psicoanalitico, costituito dal transfert del paziente
e dall'interpretazione dello psicoterapeuta, al considerare il setting come parte in
tegrante del processo stesso, in quanto facilitatore dell'emergere di funzionamenti
mentali verso i quali la coppia psicoterapeuta-paziente costruisce nuovi significati
[Aron 1 996; Ferraro e Genovese 1 986; Zavattini 1 988; Nissim Momigliano e Ro
butti 1992 ] .
1. Il setting: definizione
metodo della suggestione ipnotica per portare alla luce i l ricordo patogeno coe
rentemente con le prime concettualizzazioni sulle origini dell'isteria intesa come
esperienza traumatica rimossa. Il setting, pertanto, può essere così ricostruito: uno
spazio protetto, costituito da una stanza tranquilla, dove il paziente si possa sentire
accolto, e un divano che possa favorire il rilassamento fisico utile alla suggestione
ipnotica. Freud pone le mani sulla fronte del paziente, gli dice di chiudere gli occhi
e di concentrarsi; mentre gli preme la mano sulla fronte, lo rassicura sul fatto che il
ricordo riaffiorerà. In questa prima fase, relativamente alla dimensione temporale,
si fa cenno solo a una certa regolarità nella frequenza delle sedute.
L'incontro fra psicoterapeuta e paziente ha l'obiettivo, quindi, di riportare alla
coscienza del paziente ciò che è stato rimosso. Le riflessioni fatte nell'esperienza
con i primi pazienti e che portano all'individuazione dei meccanismi di «resistenza»
e di «transfert» indurranno Freud a modificare la procedura e quindi il setting.
Freud non si è mai occupato di trattare l'argomento del setting come argomento
a sé, anche se gli si attribuisce un'ortodossia nella definizione delle caratteristiche
del setting che in realtà è stata ricostruita retrospettivamente dai suoi successori
[Glover 1955 ] . Nei testi classici non esiste, infatti, alcuna esplicita definizione di
come dovrebbe essere un setting; la parola inglese «setting», di uso relativamente
recente in campo psicoanalitico, non ha un termine corrispettivo nel vocabolario
tedesco freudiano.
Sebbene né Freud né i suoi primi fedelissimi seguaci, da Abraham a Feniche!,
da Alexander a Reich, nei loro scritti dedicati alla tecnica, forniscano un preciso
modello1 [Argentieri Bondi 200 1 ] , è tuttavia possibile ricostruire l'idea di setting
utilizzata da Freud attraverso i passaggi rintracciabili nei suoi scritti che si con
centrano sulle procedure e su ciò che lui chiamerà «suggerimenti» o «consigli».
Sono in particolare tre i lavori nei quali Freud [1912; 1913b; 1 9 1 3 - 14] definisce
la tecnica, che si può così riassumere: alcuni incontri preliminari consentono allo
psicoterapeuta di valutare l' analizzabilità del paziente (funzionamento del suo Io,
motivazione a svolgere un lavoro psicologico) . Definita l'analizzabilità, le sedute
terapeutiche avvengono all'interno di una serie di regole.
Il trattamento sarebbe così garantito dal rispetto di queste regole. Definite le
regole iniziali, dopo qualche settimana, grazie al ritmo della frequenza delle sedute,
il paziente impara a superare la propria resistenza e a parlare liberamente: avviene
un graduale fluire più libero delle associazioni e anziché seguire una successione
definita e determinata di pensiero, il paziente salta da un'idea all'altra (le libere
associazioni permettono l'indagine dell'Inconscio) ; appaiono sempre più ricordi
dell'infanzia, misti a ricordi di sogni e fantasie, e il paziente comincia ad avere un'im
magine affettivamente distorta dello psicoterapeuta (inizio del transfert) nel senso
che viene proiettata su di lui una riattivazione di antichi atteggiamenti verso i geni
tori. Il lento sviluppo e la successiva risoluzione della nevrosi di transfert attraverso
l'interpretazione vengono considerati, infine, gli strumenti principali della tecnica.
n fine di questa serie di regole è, quindi, quello di permettere: l'instaurarsi di
una condizione di isolamento che protegga dalla realtà esterna; il mantenimento di
1 Nei dizionari classici di psicoanalisi, come le opere di Laplanche e Pontalis [ 1967 ] , il termine
non compare. Lo troviamo invece nei moderni e correnti manuali di psicologia, nella generica accezione
sperimentale di contesto di ricerca, di area spazio-temporale vincolata da regole e limiti da tenere in
considerazione.
SETTI!';(; 289
QUADRO 1 1 . 1 .
Regole del setting freudiano
4, 5 , 6);
• la relazione psicoterapeuta-paziente si caratterizza per il fatto che lo psico
le regole tecniche che mi accingo a proporre sono state ricavate dalla mia personale plu
riennale esperienza, dopo che risultati sfavorevoli mi h anno indotto ad abbandonare altri
metodi che avevo intrapreso. [ . . . ] ; devo tuttavia dire esplicitamente che questa tecnica si è
rivelata l'unica adatta alla mia individualità e non pretendo di escludere che una personalità
medica di tutt'altra natura possa essere spinta a preferire un atteggiamento diverso di fronte
al malato e al compito che deve affrontare [Freud 1912; trad. it. 1975, 532-54 1 ] .
comunque mi sembra opportuno presentare queste regole come «consigli» e non pretendere
che vengano accettate incondizionatamente. La straordinaria diversità delle costellazioni
psichiche di cui siamo costretti a tener conto, la plasticità di tutti i processi psichici e la
quantità dei fattori che si rivelano di volta in volta determinanti, sono tutti elementi che si
oppongono a una standardizzazione della tecnica [Freud 1 9 1 3b; trad. it. 1975, 3 3 3 ] .
SETTINC; 291
I diversi teorici della psicoanalisi che hanno lavorato a partire dalle idee di
Freud, operando e scrivendo secondo il proprio quadro teorico di riferimento
influenzato dai vari contesti storici e sociali in cui si sono trovati a vivere, hanno
impresso un complesso sviluppo alla teoria c alla prassi della psicoanalisi.
Fino agli anni '50, infatti, non esiste una sistematizzazione delle procedure
relative alla teoria della tecnica. Nel 1 939 Glover pubblica un questionario sommi
nistrato a giovani terapeuti inglesi al fine di raccogliere informazioni sulle pratiche
e le abitudini dei suoi colleghi in gran parte proprio su quegli aspetti che oggi
sintetizziamo sotto la voce «setting».
Successivamente Feniche! pubblica il suo volume sulla tecnica psicoanalitica,
in cui, a parte l'insistenza sulla neutralità dello psicoterapeuta e qualche breve
riflessione sull'uso del divano, non fa riferimenti ad altri elementi concernenti il
setting [Fenichel 1 94 1 ] .
Nel 1953 con Eissler si comincia a problematizzare l a dimensione del setting.
Eissler, psicoanalista custode degli archivi di Freud, cerca di dare una sistematiz
zazione teorica alle modificazioni che sempre più psicoanalisti introducono nel
setting. Queste modificazioni sono motivate, in parte, dalla maggiore gravità dia
gnostica dei pazienti a seguito dell'allargamento dell'applicazione della psicoanalisi
e dall'aumento dei pazienti che proprio in quel periodo, a cavallo degli anni '50, si
rivolgono agli psicoanalisti. Eissler chiama «modello tecnico di base» quello fondato
sull'interpretazione come strumento tecnico esclusivo, essendo tuttavia consapevole
del fatto che tale strumento non è sempre utilizzabile, ma a volte è accompagnato
o sostituito da strumenti come «rassicurazioni», «consigli», strumenti che chiama
«parametri di una tecnica».
La questione sulle variazioni e modificazioni del setting diventa quindi centrale
intorno agli anni '50 e il dibattito sul setting comincia ad assumere la fisionomia di
un campo d'indagine relativamente autonomo e definito.
Alcuni autori [Nissim Momigliano 1988; Ferraro e Genovese 1986] sintetizzano
il dibattito di quegli anni da una prospettiva soprattutto storico-sociale. Nel corso
degli anni '30, mentre la psicoanalisi e il movimento psicoanalitico sono ormai
largamente affermati in quasi ogni paese, avviene la diaspora degli psicoterapeuti
viennesi, tedeschi e ungheresi in grande maggioranza di origine ebraica. Alcuni
andranno a Londra dove, al fianco di Anna Freud, si confronteranno con gli psico
analisti più vicini alle posizioni teoriche e alla tecnica psicoterapeutica di Melanie
Klein, che si dichiara la vera erede di Freud. Molti altri, invece, si trasferiranno nel
Nord America, dove contribuiranno in modo determinante a quello sviluppo in
senso ortodosso che verrà denominato «classico» e che sarà tipico della psicoanalisi
americana negli anni '40 e '50.
Si vanno delineando così due diverse direzioni teoriche che percorreranno la
storia del movimento psicoanalitico, quella che possiamo chiamare il modello strut
turale delle pulsioni e quella che in senso ampio possiamo denominare modello delle
relazioni oggettuali, con un baricentro via via sempre più posizionato sul rapporto
tra mondo interno e relazioni interpersonali.
Nel movimento psicoanalitico si dispiegano quindi posizioni teoriche diverse,
che avranno diversi sviluppi: la psicologia dell'lo, che rimane la corrente teorica
più vicina al modello pulsionale freudiano; la psicoanalisi delle relazioni oggettuali,
292 CAPITOLO 11
che sposta più l'accento sugli aspetti relazionali, ma focalizzandosi sulle relazioni
interiorizzate e sulle fantasie inconsce; la psicoanalisi interpersonale, che si concentra
maggiormente sul concetto di «campo interpersonale» e sul ruolo dell'ambiente
nello sviluppo dell'individuo; la psicologia del Sé, intorno agli anni '70, che si con
centra anch'essa sugli aspetti relazionali, ma ponendo l'attenzione sul polo del Sé
nelle relazioni piuttosto che sul campo interpersonale2•
Queste diversificate evoluzioni teoriche nascono in parte dalla necessità di
declinare e mettere a punto nella prassi clinica le concettualizzazioni freudiane e
in parte dalla necessità di comprendere se la tecnica messa a punto da Freud sia
estendibile a nuovi quadri psicopatologici (psicosi o gravi disturbi di perSonalità),
diversi da quelli trattati dallo stesso Freud, che si vanno delineando anche a causa
dei cambiamenti storico-sociali di quegli anni, come ad esempio le due guerre mon
diali. Tutto ciò si traduce in dibattiti e controversie che vengono affrontati in vari
scritti e in alcuni importanti congressi internazionali della Società psicoanalitica.
Le questioni centrali sono:
l. la tecnica classica è estendibile a pazienti con un Io non integro, cioè non
in grado di mantenere un adeguato rapporto con la realtà?
2. l'interpretazione del transfert è l'unico strumento terapeutico?
La prima questione nasce, come si diceva, dalla necessità di trattare nuovi
quadri psicopatologici, come psicosi o gravi disturbi della personalità, mentre la
seconda questione nasce dalla pratica clinica che spinge ad approfondire la natura
e lo sviluppo del transfert.
Sono molti gli autori [Macalpine 1950; Lagache 1 95 3 ; Greenacre 1 954] che
contribuiscono, in quegli anni, a segnare una svolta, approfondendo in modo
particolare questo tema. L'attenzione si sposta sensibilmente da quella distanza e
neutralità dello psicoterapeuta concepita da Freud a ciò che accade nella relazione
terapeutica nel «qui e ora». Balint, nella sua rassegna del 1950 sul cambiamento
degli obiettivi e delle tecniche in psicoanalisi, sostiene che Freud, a causa della sua
tendenza «fisiologica o biologica», ha limitato la propria teoria definendo i concetti
e gli obiettivi di base della psicoanalisi in termini di mente individuale, e sottoli
nea che, nella relazione terapeutica, le relazioni verso l'oggetto sono d'importanza
preponderante, proponendo quindi un'integrazione tra la teoria classica e quella
delle relazioni oggettuali.
Come ricordano Nissim Momigliano [ 1 988] e Genovese [1988] , ci sono state al
cune occasioni importanti (tre congressi tenutisi rispettivamente nel 1957, nel 1961
e nel 1 975) durante le quali gli psicoterapeuti si sono confrontati su questi temi.
Si passa da posizioni moderatamente inclini a considerare utili alcune variazioni
della tecnica classica, purché molto limitate e non sostitutive dell'interpretazione
[Greenson 195 8 ; Loewenstein 1 958] , a quelle rigorosamente fedeli al primato
assoluto dell'interpretazione [Rosenfeld 1 958; Eissler 1958] , a quella decisamente
più aperta di Bouvet [ 1 958] , che suggerisce in talune situazioni delle vere e proprie
modificazioni del setting o della neutralità dello psicoanalista [Nacht 1958] come
fattori terapeutici complementari.
Talvolta il dibattito ruota intorno alla questione dell'analizzabilità, con il meto
do classico, di pazienti psicotici e borderline e dell'importanza (spesso teoricamente
negata, ma clinicamente riconosciuta) di elementi della relazione terapeutica diversi
dall'interpretazione.
Il dibattito centrato sui concetti di transfert e interpretazione e sulla rigidità o
flessibilità del setting è animato quindi dalla necessità di trovare nuove soluzioni.
La riflessione analitica si sposta così dalla prevalente esigenza di assimilare il pa
ziente alla tecnica a quella di confrontarsi con i problemi reali posti dall'utenza,
ponendosi quindi nella direzione di contestualizzare la tecnica; in quest'ottica il
rapporto interpretazione/setting assume una diversa configurazione rispetto a
quella tradizionalmente proposta. Il setting cessa di essere una situazione di cor
nice per cominciare a essere considerato come elemento che ha specifici effetti sul
processo terapeutico.
Da un punto di vista concettuale si va verso l'approfondimento, in particolare,
degli stati preverbali come matrici originarie della patologia psichica: ciò impone una
discussione sulla funzione esclusiva dell'interpretazione come fattore terapeutico.
Di particolare interesse è la riflessione di Codignola [ 1 977 ] , il quale si interroga
sulla funzione del setting nel processo interpretativo e si sofferma su alcuni aspetti
che superano una certa rigidità della visione tradizionale. Codignola suggerisce la
necessità di rivedere il concetto stesso di interpretazione, inteso come unico stru
mento dello psicoterapeuta per svelare il «falso» del paziente e sollecita la necessità
di prendere in considerazione «variazioni» del setting su due piani: uno verticale,
storico, in cui un determinato setting è stato molto presto assunto come ideale ed
è rimasto tale ma solo perché l'unico possibile, per le nevrosi, in una determinata
situazione storico-sociale; e un altro piano, orizzontale, in cui le variazioni del set
ting sono sollecitate da nuovi orientamenti teorici e nuovi quadri psicopatologici.
L'incontro della psicoanalisi, quindi, con nuove tipologie di pazienti porta allo
sviluppo di nuovi modelli di ftmzionamento della mente e nuove ipotesi psicopato
logiche: tale sviluppo, come si diceva, cambia la funzione del setting nel processo
di cura.
3 Sebbene il movimento psicoanalitico abbia accentuato l'interesse verso gli aspetti rclazionali
e intersoggettivi del rapporto psicoterapeutico, come ampiamente segnalato nei vari contributi di
questo testo, vi sono nella psicologia dinamica posizioni differenziate: per esempio, secondo Aron
[1 996) , se l'accento è posto prevalentemente sulle relazioni intcriorizzate saremmo ancora dentro
una visione più vicina alla psicologia unipersonale nel senso che lo psicoterapcuta sarebbe meno
interessato all'esperienza della relazione da pane del paziente che alla wmpremione della stessa (cfr.
Fonagy c Target 2009; trad. it. 2010, 43 ] . In realtà vi è negli ultimi anni un crescente confronto tra gli
psicoterapeuti che fanno riferimento alla prospettiva della psicoterapia dinamica, per esempio tra gli
autori che seguono il modello kleiniano-bioniano e quelli che seguono maggiormente la prospettiva
intersoggettivistica. In quest'ultima direzione sono assai interessanti sia il già citato saggio di Seligman
[201 0 J , sia il recente dibattito su «Psychoanalytic Dialogues» sul concetto di Jlnalytic Pield a partire
da due saggi di Donne! Stcrn [Ferro e Civitarese 201 3 ; Stern 201 3a; 2013 b] .
296 CAPITOLO 1 1
QUADRO 1 1 .2 .
Quadranti del setting
rispetto alla tecnica classica più centrata sul paziente, siano maggiormente da sot
tolineare le modalità trasformative del campo dinamico bipersonale, fondato dalla
situazione analitica, nell'ambito della quale si verificano gli eventi che coinvolgono
i due coattori delle vicende processuali e cicliche della ricerca e della cura. Ferro,
in particolare, propone alcune considerazioni specifiche riguardanti il setting, i
quadranti del setting, in base ai quali la visione del setting appare assai articolata
comprendendo sia un insieme di regole formali, sia l'assetto mentale dello psico
terapeuta, sia la condizione che implica possibili rotture del setting stesso da parte
del paziente e/o dello psicoterapeuta.
da mimare divenendo una sorta di rituale stereotipato e fine a se stesso. L'uso del
lettino, il silenzio, fattori estremamente importanti all'interno della costruzione di
uno scenario terapeutico, possono, per esempio, diventare nna sorta di atteggia
mento ieratico e rituale in psicoterapia prendendo il posto della capacità di ascolto
e di riflessione.
L'ossessività e l'imitazione possono quindi divenire attacchi al setting essen
zialmente di ordine difensivo Inconscio in quanto lo degradano dalla sua funzione
di protezione e sostegno a una difesa e lo tradiscono nel suo significato profondo
proprio fingendo di rispettarlo. Ci sono, tuttavia, anche attacchi di altra natura che
operano, invece, a livello della coscienza.
Qualunque sia, infatti, l'accordo iniziale preso con il paziente il setting può
subire dei cambiamenti, in termini di variazioni dovute a situazioni cqntingenti
della vita reale del paziente e dello psicoterapeuta, o in termini di rotture del setting
messe in atto dal paziente oppure dallo psicoterapeuta stesso. In questa direzione
Argentieri Bandi distingue tra variazioni, modificazioni e deviazioni.
• Le variazioni, spesso microvariazioni, sono quelle che avvengono quotidia
namente nel rapporto con i vari pazienti, di cui ci si rende conto solo dopo che
la variazione è avvenuta: ritardare di qualche istante ad aprire la porta; indugiare
oltre l'orario stabilito; concedere uno spostamento o un recupero di una sedu
ta saltata; accettare qualche piccolo dono. È la capacità di consentirsi queste mi
crovariazioni quotidiane, e di riconoscer/e come tali, come sintomi di un ulteriore
problema da capire e da ricondurre sul terreno della terapia, a distinguere un
rapporto vivo e vitale da uno sclerotico dell' ossessività e della coazione e da quello
della falsa perfezione imitativa. È evidente come sia proprio la virtuale fissità del
setting che conferisce senso e valore a queste variazioni, come oscillazioni intorno
a un baricentro al quale fare continuamente riferimento e ritorno. Un processo,
come scrive Bleger [ 196 7] , può essere studiato solo se si mantengono sempre le
stesse costanti: ciò che conta non è la realizzazione di un setting ideale, ma la ten
denza a mantenerlo.
• Le modificazioni si riferiscono ai vari psicoanalisti di diverse aree geografi
che e culturali che hanno attuato innovative modificazioni della tecnica classica.
Rosenfeld, ad esempio, in polemica con Eissler nel Congresso del 1 957 a Parigi,
ha mostrato come si possano curare con la psicoanalisi pazienti «impossibili», un
tempo relegati nella categoria delle controindicazioni. Rosenfeld ha trattato psico
tici e borderline, tossicodipendenze e perversioni nell'assetto del setting classico,
sia pure con una serie di presidi istituzionali integrativi.
• Le deviazioni possono riguardare il ritmo degli incontri o la posizione reci
proca dei due protagonisti. A livello manifesto possono essere anche molto simili
alle variazioni o alle modificazioni, ma ciò che le distingue è l'atteggiamento dello
psicoterapeuta che le attua; la conseguenza dannosa, infatti, non è quasi mai legata
alla trasgressione in sé, ma al fatto che non venga riconosciuta come tale, per esempio
come evento significativo e ineludibile di una crisi del rapporto. In altri termini, il
fatto che la seduta duri 45 o 50 minuti, che ci si dia del lei o del tu, che il paziente
stia seduto o sdraiato, potrebbe non essere molto rilevante, ciò che conta è che
proprio quel particolare contratto, che all'inizio del rapporto era stato stipulato in
un certo modo, con quel singolo paziente, venga poi violato e infranto senza che
ci sia un'elaborazione: ciò può compromettere non solo l'alleanza terapeutica, ma
anche ostacolare la lettura dell'evoluzione del processo terapeutico.
Sr:TTING 299
QUADRO 1 1.3.
Rotture d el setting: esempi clinici
coterapeuta di saltare una o due sedute. Anche queste variazioni possono deter
minare l'attivarsi di funzionamenti mentali inconsci sia nel paziente che nello
psicoterapeuta e questi, se elaborati, possono essere funzionali a consentirne una
loro analizzabilità.
dello psicoterapeuta, elementi personali, controtransferali e/o della sua vita privata.
3 02 CAPITOLO 11
Conclusioni
5 Tra i contesti d'intervento possibili è importante fare anche riferimento a internet, figlio della
società attuale. Il diffondersi di internet come canale di comunicazione e il diffondersi delle psicoterapie
a distanza costringe a una riflessione su similitudini e differenze tra un incontro vis à vis e un incontro
virtuale. Carta [2005] e Fiorentini [20 12] mettono in evidem.a che in nessun modo si può praticare
la psicoterapia on line o a distanza in quanto, in un setting caratterizzato da due stanze collocate in
due luoghi diversi e collegate da un computer e una telecamera, vengono a mancare le condizioni che
permettono l'incontro tra due soggettività, condizioni caratterizzate, come si diceva, dalla complessità
degli aspetti consci e inconsci della comunicazione, complessità che caratterizza ed è strumento della
relazione terapcutica. Le possibilità offerte da internet possono consentire, suggeriscono gli autori, di
praticare brevi consulenze per incoraggiare coloro che desidererebbero iniziare una psicoterapia; di
mantenere una continuità nei casi in cui, per motivi di lavoro, il paziente sarebbe costretto a interrom
pere un percorso psicoterapeutico già iniziato (variazioni del setting). Anche in caso di grande distanza
e di isolamento di un soggetto è chiaro che il mezzo informatico può costiruire un surrogato, ma solo
in vista della costituzione di un setting adeguato per lo svolgimento di una psicoterapia, surrogato che
mai può e deve spacciarsi per psicoterapia esso stesso.
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