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La disponibilità dell'analista 1
Dott.ssa Silvia Saraceno Fasce Ph.D 2
Dai lavori di Freud sul transfert e il suo riferimento al lavoro analitico fino ai
giorni nostri sono state sviluppate diverse prospettive sulle forme che assume
l'incontro paziente-analista. Ciò è dovuto al fatto che la clinica sta cambiando e la
teoria deve accompagnare questo cambiamento.
Una situazione diversa si verifica con molti dei pazienti che si rivolgono oggi
ai nostri studi: in loro vi sono situazioni di sofferenza iniziale nell'educazione, che
porta con sé un'organizzazione psichica con caratteristiche differenziali rispetto alla
psiconevrosi. Si tratta di pazienti in cui, secondo Killingmo (1989), "l'evoluzione
stessa del sé è stata danneggiata", vale a dire che non si tratta di pazienti
conflittuali ma di pazienti con un deficit nella strutturazione dell'immagine di se
stessi, del sé, come le personalità narcisistiche e i pazienti borderline, in cui è
evidente "la mancanza, l'eccesso o l'inadeguatezza" (Zukerfeld 2006) delle cure
elementari che il soggetto avrebbe dovuto ricevere durante le diverse fasi
evolutive.
Nel chiedermi chi sono io? considero che non solo l'incontro tra analista e
paziente è determinato da aspetti inconsci, ma che la persona reale di entrambi è
ugualmente coinvolta in questo scambio, influenzando la situazione clinica e
facilitando o meno il processo analitico. In questa prospettiva, è di grande
interesse studiare come la persona dell'analista partecipi all'esperienza analitica,
come i diversi aspetti della sua personalità e della sua storia abbiano un impatto,
come abbia scelto le sue teorie di riferimento tenendo conto della sua formazione,
della sua supervisione e della sua stessa analisi. E, inoltre, come si può mettere in
gioco tutta questa complessità in un determinato contesto con un determinato
paziente.
È qui che, riflettendo sulla funzione analitica, sorge la domanda "che cosa
faccio?", mettendo in primo piano la messa in discussione della posizione
dell'analista durante l'incontro analitico con i pazienti, dove non è in gioco solo
l'intrapsichico, ma anche la relazione con gli altri svolge un ruolo di tale importanza
da far ripensare la clinica nel corso di diversi anni. Così, seguendo la prospettiva
psicoanalitica relazionale di J. Puget e Isidoro Berenstein (1997), si ritiene che la
posizione di un analista disponibile verrebbe ampliata tenendo conto di "tre spazi
psichici": l'intrasoggettivo, l'intersoggettivo e il transoggettivo. Vale a dire,
considerando un mondo interno in cui il soggetto ospita le rappresentazioni del
proprio corpo, così come quelle del proprio funzionamento mentale, un altro
mondo interpersonale in cui il sé è con gli altri in qualche relazione di intimità
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Per questo sarà necessario rendere il quadro più flessibile, senza perdere la
sua specificità, e allo stesso tempo utilizzarlo come strumento diagnostico per
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poter variare tra le diverse posizioni strumentali, lasciando che la soggettività del
paziente si dispieghi, accompagnandolo nelle diverse fasi del processo.
È chiaro che questo processo avviene con resistenze multiple, che sono più
frequenti e intense nei pazienti con deficit che in quelli nevrotici. Ma quando la
disponibilità dell'analista viene colta da loro, c'è la possibilità di costruire un legame
che permette di creare un'interazione strutturante, mettendo in moto un nuovo
processo evolutivo. Si passa così da un deficit strutturale del sé, con un Io fragile e
instabile, a un Io più forte, più coeso e più discriminante nei confronti degli oggetti.
Si afferma la categoria dell'esterno, installando il riconoscimento dell'alterità,
propiziando un processo analitico che farà nascere il senso e la parola dove c'era il
vuoto e l'atto, passando, secondo Killingmo (1989), da "scoprire significati a
costruire significati", dispiegando una situazione di collegamento in grado di
produrre livelli più alti di elaborazione simbolica e dove avviene il cambiamento
psichico.
Così, ogni tratto del paziente avrà un impatto sul lavoro clinico, costituendo
una serie di ostacoli e difficoltà che richiedono un chiaro impegno della soggettività
dell'analista, che implica sia una riflessione sulla propria pratica sia una formazione
teorica continua posta al servizio del processo analitico.
Bibliografia:
Aisemberg, E. R. de; Agrest Weiner, B; Bichi, E.; Devoto, T.; Eckell de Muscio, I;
Gruemberg de Steren, N.; Presas de Ginzo, A.; Stisman, A. (2012). Il corpo in
scena. Buenos Aires, Lumen
Freud, S (1912) Sulla dinamica del transfert. Opere raccolte, T XII. Amorrortu,
Buenos Aires, 1998
Green, A. (2002) Riflessioni sul framing, Primo incontro APA - SPP, Parigi.
Green, A (2000). La cornice. La sua interiorizzazione da parte dell'analista.
Giornale della Zona Erogena. Anno