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Psicologia clinica

CAPITOLO PRIMO.

La psicopatologia è una disciplina che studia la natura, l’evoluzione e il


trattamento dei disturbi mentali.
Per conservare l’obbiettività di giudizio dobbiamo riconoscere i preconcetti sui
disturbi mentali e anche cambiare lo STIGMA che spesso associamo a queste
condizioni.
Lo stigma presenta quattro caratteristiche:
• Viene applicata un’etichetta ad un gruppo di persone che le distingue
dalle altre (es. PAZZO)
• Queste persone vengono emarginati dalla società che li ritiene devianti o
indesiderabili (es. I PAZZI SONO PERICOLOSI)
• Queste persone sono viste diverse dalle altre, e ciò contribuisce la nascita
di una mentalità dove si contrappone un “noi” ad un “loro”
• Queste persone sono ingiustamente discriminate.

DISTURBO MENTALE.
Per definire il concetto di disturbo mentale abbiamo bisogno di definire alcune
caratteristiche che potrebbero descriverlo in maniera più approfondita;
intanto:
• Il disturbo è proprio dell’individuo.
• Esso causa distress o disabilità
• Non è una reazione attesa ad un evento
• Non è primariamente il risultato di devianza sociale o conflitto con la
società
Quindi, il disturbo mentale viene determinato in base alla presenza di
caratteristiche che sono:
• Distress
• Disabilità
• Violazione di norme sociali
• Disfunzione
Nessuna caratteristica è sufficiente da sola per definire il concetto, perché
insieme sono la definizione completa.
IL DISTRESS PERSONALE
Il distress personale è uno delle principali caratteristiche del disturbo mentale,
questo perché il comportamento di una persona può essere diagnosticato come
disturbato quando è causa per la persona stessa di un profondo malessere.
Non tutti i disturbi mentali causano distress.
DISABILITA’
La disabilità è la compromissione di qualche area importante nella vita di un
individuo, ed è una caratteristica del disturbo mentale.
Come il distress, la disabilità non è da sola un criterio sufficiente a definire un
disturbo mentale, in quanto non necessariamente si associa a tutti i disturbi.
LA VIOLAZIONE DELLE NORME SOCIALI
Nell’ambito del comportamento, una norma sociale è uno standard che la
persona utilizza per formulare giudizi su dove si collocano i comportamenti su
determinate scale di valori (es. BUONO-CATTIVO, GIUSTO-SBAGLIATO)
I comportamenti che violano le norme sociali possono essere considerati come
disturbati o devianti.
Eppure, questo modo di definire il disturbo mentale può essere una definizione
troppo ampia o troppo stretta da dare, questo perché può essere troppo ampia
quando si considerano i criminali che non rispettano le leggi e quindi violano le
norme sociali, o troppo stretta nel caso delle versioni ansiose che non
trasgrediscono però le norme sociali.
DISFUNZIONE
Il disturbo mentale è una disfunzione che produce un danno. Si parla di
disfunzione quando un meccanismo interno del nostro corpo non è in grado di
svolgere la sua naturale funzione. Molte critiche sono state fatte al concetto di
disfunzione in quanto non è così obbiettivamente facile identificare una
disfunzione quando si tratta di valutare un disturbo mentale.
La disfunzione nel DSM fa riferimento al fatto che le disfunzioni
comportamentali, psicologiche e biologiche sono fra loro interrelate. Significa
che il cervello ha un impatto sul comportamento e viceversa. Pertanto, una
disfunzione nell’uno è interrelata nell’altro.
STORIA DELLA PSICOPATOLOGIA.
Nelle epoche più antiche prima della nascita dell’indagine scientifica per
spiegare i comportamenti patologici si faceva riferimento alla demonologia,
dottrina secondo cui un demone o uno spirito malvagio può abitare all'interno
di una persona, controllandone mente e corpo. Il trattamento avveniva tramite
esorcismo. Secoli più tardi Ippocrate (V secolo a. C.) separa la medicina dalla
magia, dalla religione e superstizione. Ritiene che le malattie sia fisiche che
mentali dovevano avere una causa organica. In particolare, pensieri e
comportamenti devianti dovevano dipendere da una patologia del cervello,
organo della coscienza, della vita intellettiva e delle emozioni, il cui
funzionamento dipendeva dall’equilibrio tra quattro umori o fluidi corporei:
sangue, bile nera, bile gialla e flemma.
Durante il medioevo ci furono dei periodi molto bui come:
• Ritorno della credenza di cause soprannaturali nei disturbi mentali, a
causa del potere della Chiesa.

• Persecuzione delle streghe (XIII secolo): si ricorre alla demonologia per


spiegare pazzia, carestie, pestilenze. Il “malleus maleficarum”, il martello
delle streghe, scritto da due monaci benedettini del XV sec., stabiliva le
regole per individuare, interrogare e processare le streghe. Nella ricerca
storiografica si diffuse l’idea che molti condannati per stregoneria fossero
malati di mente, ma in realtà molte confessioni non fanno pensare a tali
conclusioni.

• Processi per pazzia: dal XIII sec. gli ospedali cominciarono a passare sotto
la giurisdizione secolare e si cominciarono a tenere processi per pazzia,
fondati su diritto della Corona di proteggere le persone con problemi
mentali. Comportamenti insoliti erano attribuiti a malattie mentali, danni
fisici o shock emotivi. Il termine inglese per pazzia “lunacy” deriva da una
teoria del medico svizzero. Paracelo che attribuiva il comportamento
anormale a un errato allineamento fra luna e stelle.

• Nascita dei manicomi: dal XV-XVI i lebbrosari vengono trasformati in


manicomi, dedicati alla custodia e all'accoglienza dei malati mentali, ma
anche di molti mendicanti. Non si applicava nessun trattamento speciale,
tranne che gli ospiti dovevano lavorare. In seguito, i manicomi
diventarono addirittura luoghi di attrazione turistica. I trattamenti erano
brutali e dolorosi Nel 1700 Rush, considerato il padre della psichiatria
americana, curava la malattia mentale prelevando enormi quantità di
sangue dai malati o con grossi spaventi.

• Le riforma di Pinel: nel 1793 gli fu affidata la direzione di un grande


manicomio di Parigi, la Bicetre. Sostenitore del movimento in favore del
trattamento umanitario dei malati rinchiusi nei manicomi. presumeva che
se la ragione li avesse abbandonati in conseguenza di gravi problemi
sociali o personali, l’equilibrio avrebbe potuto essere ristabilito attraverso
un’opera di sostegno o conforto che li indirizzasse verso attività utili.
Quindi fece togliere le catene agli internati e sostituì le celle con camere
ariose. Molti di loro diventarono docili e poterono essere dimessi. In realtà
il trattamento umanitario era riservato ai pazienti delle classi più ricche.

• Il trattamento morale: dagli inizi del 1800 sorsero negli Stati Uniti vari
istituti sul modello dello York Retreater, fondato da un ricco mercante
inglese, William Tuke, luogo in cui vivere, lavorare e riposarsi in
un’atmosfera tranquilla, dove i pazienti potevano parlare col personale
dell’istituto che li intratteneva e incoraggiava a impegnarsi in attività utili.
Una successiva revisione delle cartelle cliniche mostrò che però i
trattamenti più utilizzati consistevano in sostanze psicotrope e che gli
esiti non furono molto positivi.

• Dorothea Dix: insegnante di Boston, nella seconda metà del XIX sec. Portò
avanti campagne di informazione perché i malati di mente potessero
vivere in condizioni migliori in centri creati appositamente per assisterli,
riuscendo a ottenere l’istituzione di 32 ospedali pubblici, che ospitavano i
pazienti che i piccoli centri privati non riuscivano ad accogliere. Questo
portò però al declino del trattamento morale, a causa del ridotto numero
del personale, al sovraffollamento dei pazienti e all’interesse prevalente
dei medici verso gli aspetti biologici, anziché psichici, della malattia

• L’ospedale psichiatrico odierno negli USA: il trattamento offerto dalle


strutture pubbliche è essenzialmente custodialistico: i pazienti vivono in
ambiente protetto, ma ricevono scarso trattamento psicoterapeutico. Le
strutture private hanno maggiori disponibilità finanziare, quindi
attrezzature e assistenza migliori, ma le rette sono proibitive. In generale
vengono offerte terapie di gruppo o individuali, ma perlopiù il trattamento
è indirizzato alla farmacoterapia, anziché alla psicoterapia.
L’EVOLUZIONE DEL PENSIERO CONTEMPORANEO
- PRIMI SISTEMI DI CLASSIFICAZIONE
Griesinger: dietro ogni disturbo mentale c'è un disturbo di natura biologica.
Kraepelin: suo seguace, ravvisò la tendenza di certi complessi di sintomi, riuniti
sotto il termine di sindrome, a manifestarsi insieme con sufficiente regolarità,
così da far presumere che fossero attribuibili ad una stessa causa di natura
biologica. Propose una classificazione delle malattie mentali gravi divisibili in
due gruppi principali:
- la dementia precox, o schizofrenia, originata da uno squilibrio chimico
- la psicosi maniaco-depressiva, o disturbo bipolare, causata da
un’irregolarità metabolica.

APPROCCI BIOLOGICI
La scoperta dell’origine biologica della paresi generale e della sifilide, nei
decenni ’60 e ’70 dell’800 Pasteur elaborò la “teoria dei germi”, secondo la
quale le malattie sono causate dalle infezioni del corpo da parte di microbi.
Sulla base di questa teoria si arrivò a dimostrare una relazione tra la sifilide e la
paresi generale, sindrome caratterizzata da deterioramento delle capacità fisiche
e mentali, deliri di grandezza e paralisi progressiva. Nel 1905 fu scoperto il
microrganismo che causa la sifilide. Per la prima volta fu possibile stabilire un
nesso causale tra infezione, distruzione di particolari aree del cervello e una
certa psicopatologia. All’inizio del XX sec. I ricercatori si interessarono all’ipotesi
dell’ereditabilità di certe malattie mentali. Tali ricerche favorirono il diffondersi
del movimento per l’eugenetica, che mirava a eliminare dalla popolazione i
caratteri indesiderabili limitando le capacità di procreazione dei portatori di tali
caratteri. Queste pratiche, regolate da varie leggi, ebbero fine solo negli anni
’50.
Sakel introdusse negli anni ’30 il metodo di indurre in coma mediante alte dosi
di insulina a pazienti affetti da schizofrenia. Ugo Cerletti e Lucino Bini idearono
la ECT, terapia elettro-convulsivante o elettroshock, che funzionava tramite
l'applicazione di scariche elettriche ai lati della testa, in pazienti umani, per
provocare attacchi epilettici. Moniz introdusse come forma di trattamento la
lobotomia prefrontale, intervento chirurgico che distrugge le connessioni
nervose tra i lobi frontali e i centri più in profondità del cervello.

APPROCCI PSICOLOGICI
Dalla fine del XVIII sec. emersero approcci secondo cui i disturbi mentali sono
dovuti a malfunzionamenti di natura psicologica. Tali teorie si diffusero in
Francia e Austria e, in un secondo tempo, negli Stati Uniti.
1) MESMER: medico austriaco, riteneva che i disturbi isterici fossero dovuti
alla particolare distribuzione nel corpo del fluido magnetico universale. La
cura prevedeva l’uso di verghe di ferro che ne riequilibrassero la
distribuzione. È considerato uno dei primi ad aver applicato le tecniche di
ipnosi

2) CHARCOT: influenzato da Mesmer, si interessò dell’ipnosi applicata ai casi


di isteria.

3) BREWER E IL METODO CATARTICO: medico viennese, sosteneva che far


rivivere un lontano trauma emotivo, rilasciando la tensione emozionale
tramite la libera espressione di pensieri sull'evento, sotto ipnosi, faceva
stare meglio i suoi pazienti con sintomi isterici.

4) FREUD E LA PSICOANALISI: il comportamento umano è in gran parte


determinato da forze inaccessibili alla coscienza; quindi, la psicopatologia
è il prodotto di conflitti inconsci. Distinse nella mente, o psiche, tre
componenti principali, in competizione fra loro per il raggiungimento di
scopi inconciliabili, la cui interazione, detta “psicodinamica” della
personalità, determina il comportamento umano:
• L’ES: già presente alla nascita, è il depositario dell'energia
necessaria al funzionamento della psiche e degli impulsi
fondamentali. Tale energia, o libido, è di natura biologica e
completamente inconscia. L’Es richiede la gratificazione immediata
dei suoi impulsi e opera secondo il principio di piacere. La mancata
soddisfazione provoca tensioni che spingono l’individuo ad agire
per eliminarle, anche attraverso una gratificazione sostitutiva
dell’oggetto desiderato tramite l’immaginazione.

• L’IO: si sviluppa dai 6 mesi di vita a partire dall’Es. I suoi contenuti


sono prevalentemente coscienti e opera secondo il principio di
realtà, mediando fra le istanze che la realtà impone e il desiderio di
gratificazione immediata dell’Es.

• IL SUPER-IO: coscienza morale. Si sviluppa nel corso di tutta


l’infanzia partendo dall’Io, quando i bambini introiettano i valori
parentali allo scopo di assicurarsi il piacere derivante
dall’approvazione dei genitori ed evitarsi il dolore della
disapprovazione.
LE FASI DELLO SVILUPPO SESSUALE: lo sviluppo della personalità avviene
attraverso fasi in cui una diversa parte del corpo è più sensibile all’eccitazione
sessuale, e quindi in grado di dare all’Es gratificazione libidica:
• Fase orale: dalla nascita a 18 mesi. Esigenze soddisfatte tramite
nutrizione e il succhiare e mordere associati.
• Fase anale: fino ai 3 anni. Gratificazione dall’espulsione e ritenzione feci.
• Fase fallica: fino ai 5-6 anni. La gratificazione proviene dalla stimolazione
genitale.
• Periodo di latenza: tra i 6 e i 12 anni. Le pulsioni dell’Es non hanno un
ruolo primario nel motivare il comportamento.
• Fase genitale: dominata dall’interesse per l’altro sesso.
In ogni fase la persona deve risolvere conflitti fra ciò che l’Es desidera e ciò che
l’ambiente può fornire. Il complesso di Edipo o di Elettra è un conflitto represso
che prevede desiderio sessuale nei confronti del genitore dello stesso sesso e
rivalità nei confronti di quello di sesso opposto ed è risolto tramite
l’identificazione col genitore dello stesso sesso e l’adozione dei principi morali
della società. Una persona che abbia esperito una gratificazione eccessiva o
insufficiente in una determinata fase può sviluppare una fissazione e, sottoposta
a stress, può regredire in quella fase.
MECCANISMI DI DIFESA: strategie messe in atto dall'Io per proteggersi
dall'angoscia generata dal tentativo di risolvere i conflitti:
• rimozione: tenere impulsi o desideri inaccettabili fuori dalla sfera
cosciente
• negazione: mancata accettazione cosciente di eventi oggettivi
• proiezione: attribuire agli altri i propri pensieri o sentimenti inaccettabili
• spostamento: risposte emozionali orientate dal vero bersaglio a un altro
oggetto
• formazione reattiva: trasformare un sentimento inaccettabile nel suo
opposto
• regressione: ritiro alle modalità comportamentali tipiche di una fase
precedente dello sviluppo psicosessuale
• razionalizzazione: inventarsi ragioni accettabili per spiegare azioni o
atteggiamenti inaccettabili
• sublimazione: convertire impulsi inaccettabili in comportamenti
socialmente utili
PSICOANALISI O TERAPIA PSICOANALITICA: il paziente viene aiutato a
prendere coscienza dei conflitti infantili rimossi, che impediscono di giungere
alla piena maturazione dell’Io, per analizzarli e poi risolverli.
Tecniche:
• associazioni libere: il paziente viene incoraggiato a lasciare libero corso ai
suoi pensieri, verbalizzando tutto senza censura, per poi imparare utilizzare
tali associazioni per comprendere i contenuti rimossi.
• analisi del transfert: analisi delle risposte nei confronti dell'analista, che
sembrano riflettere atteggiamenti e comportamenti che il paziente ha avuto
verso figure importanti del suo passato.
• interpretazione: il terapista mette in evidenza al paziente il vero significato
dei suoi comportamenti, la loro natura difensiva, per stimolarne la
consapevolezza.
TEORIE SPICODINAMICHE NEOFREUDIANE
JUNG E LA PSICOLOGIA ANALITICA: integra spetti della psicologia freudiana con
quella umanistica. Ipotizzò l’esistenza di un inconscio collettivo, che consiste di
archetipi, categorie fondamentali di cui gli esseri umani si servono per
concettualizzare il mondo. Riteneva che ogni persona consistesse di tratti
maschili e femminili, che i bisogni spirituali e religiosi sono altrettanto
importanti di quelli dell’Es, e classificò la personalità in base a orientamenti
opposti: introversione ed estroversione. Non concentra la sua attenzione sul
passato, ma sull’intenzionalità, la capacità di definire i propri scopi e prendere
decisioni: per capire le persone bisogna conoscerne sogni e aspirazioni, non
solo gli eventi passati.
ADLER E LA PSICOLOGIA INDIVIDUALE: le persone sono legate da vincoli sociali
intersecabili; perciò, la piena realizzazione personale può essere raggiunta
soltanto nell'agire per il bene comune. Centrale nel suo lavoro è aiutare il
paziente a modificare convinzioni e aspettative illogiche ed erronee,
acquistando maggior razionalità. Il suo interesse per il progresso sociale e la
prevenzione di problemi psicologici portò alla creazione di centri per
l’orientamento dei ragazzi e l’educazione dei genitori.
LA PSICOLOGIA UMANISTICA ED ESISTENZIALE. (metà del XX Secolo):
Rilievo alla libertà di scelta, dando assoluta importanza alla volontà
dell'individuo. Si supera l’approccio strutturalista, secondo cui l’oggetto di
indagine era il funzionamento della mente, attraverso l’analisi dei suoi elementi
costitutivi, con procedure di introspezione e auto osservazione.
WASTON E LA NASCITA DEL COMPORTAMENTISMO: approccio incentrato
sull’apprendimento, basato sullo studio dei comportamenti osservabili. Proseguì
il lavoro di Pavlov.
PAVLOV E IL CONDIZIONAMENTO CLASSICO: da esperimenti sulla salivazione
dei cani trovò che in presenza di uno stimolo incondizionato (SI), si verifica una
risposta incondizionata (RI). Uno stimolo condizionato (SC), dopo un certo
numero di prove in cui viene abbinato allo SI, acquista la capacità di evocare
una risposta condizionata (RC), che spesso è uguale alla RI. Il condizionamento
classico è destinato all'estinzione, se allo SC non viene abbinato lo SI.
THORNDIKE E LA LEGGE DELL’EFFETTO: un comportamento seguito da effetti
gratificanti per l’organismo che lo mette in atto sarà ripetuto, mentre se seguito
da effetti dannosi o spiacevoli verrà abbandonato.
SKINNER E IL CONDIZIONAMENTO OPERANTE: riferito al comportamento che
opera sull’ambiente. Incentra la legge dell’effetto non sulla relazione fra stimolo
e risposta, ma tra la risposta e le sue conseguenze: gli stimoli diventano
occasione perché siano prodotte le risposte, se queste hanno ottenuto un
rinforzo. La libertà di scelta è un mito e il comportamento è determinato dai
rinforzi forniti dall’ambiente. Distinzione tra rinforzi positivi, rafforzamento della
tendenza a produrre una certa risposta in virtù del verificarsi di un evento
piacevole, e rinforzi negativi, rafforzamento di una risposta attraverso la
rimozione di un evento spiacevole.
SHAPING O MODELLAMENTO PER APPROSIMAZIONI SUCCESSIVE:
ricompensare una serie di risposte sempre più vicine a quella desiderata.
IMITAZIONI DI MODELLI: l'apprendimento avviene anche in assenza di rinforzi,
tramite l'osservazione e l'imitazione degli altri. Bandura e Menlove se ne
servirono per far superare ai bambini la paura dei cani. Può spiegare anche
l’acquisizione di comportamenti patologici. Entra a far parte della terapia
comportamentale a partire dagli anni ’60.
TERAPIA COMPORTAMENTALE O MODIFICAZIONE DEL COMPORTAMENTO:
approccio terapeutico che si basa sui condizionamenti, per trattare problemi
clinici.
TECNICHE:
• Contro-condizionamento: evocare un nuovo tipo di risposta a un
particolare stimolo. Mary Cover fece superare a un bambino la paura dei
conigli dandogli da mangiare in loro presenza
• Desensibilizzazione sistematica: contro-condizionamento basato sul
rilassamento muscolare e l'esposizione graduale ad una serie di situazione
temute dal soggetto. Tecnica sviluppata da Joseph Wolpe nel 1958.
• Condizionamento aversivo: uno stimolo piacevole all'individuo viene
abbinato ad uno stimolo spiacevole, nella speranza che lo stimolo assuma
valenza negativa (per alcol o tabagismo). Criticato sul piano etico perché
implica l’infliggere dolore e malessere.
FIGURE PROFESSIONALI CHE OPERANO NEL CAMPO DELLA
SALUTE MENTALE IN USA:
• PSICOLOGI CLINICI: laurea in psicologia clinica, da 4 a 7 anni di studi
universitari. Formazione improntata alla ricerca, alle tecniche per la valutazione
e diagnosi di disturbi mentali, alla pratica della psicoterapia. Conoscenze di
statistica, neuroscienze, studio su basi empiriche del comportamento umano e
animale.
• DOTTORI IN PSICOLOGIA: la formazione clinica ha maggior rilievo rispetto alla
ricerca sperimentale.
• ESPERTI DI COUNSELING: maggiormente indirizzati verso la pratica
• PSICHIATRI: laureati in medicina con specializzazione post-laurea durante la
quale hanno appreso a formulare diagnosi e somministrare farmacoterapie
• PSICOANALISTI: formazione specifica, dopo laurea in psicologia o psichiatria,
che prevede formazione clinica e l’obbligo di sottoporsi a psicoanalisi
• ASSISTENTI SOCIALI: Master of Social Work, con corsi universitari biennali.
Formazione incentrata sulla psicoterapia e non sulla valutazione.
• PSICOPATOLOGI: indagano eziologia e decorso dei disturbi mentali. Possono
provenire dalla psicologia clinica, dalle neuroscienze o altro.

CAPITOLO SECONDO

GLI ATTUALI PARADIGMI DELLA PSICOPATOLOGIA.


IL PARADIGMA: è quadro di riferimento concettuale al cui interno operano
scienziati. È un insieme di assunti fondamentali che definisce criteri per studiare
un particolare tema. I paradigmi specificano quali problemi saranno studiati e il
modo in cui l’indagine sarà condotta.
PARADIGMA GENETICO: Oggi sappiamo che tutti i comportamenti sono
ereditari dagli altri. I ricercatori stanno studiando come alcune influenze
ambientali agiscono sui giovani attivandone alcune e disattivandone altri, in che
modo i nostri geni ci influenzano.
• GENI: parti del cromosoma che veicolano la formazione del nostro DNA la
quale poi viene trasmessa di generazione in generazione.
• ESPRESSIONE GENICA: ciò che i geni fanno, è quello di produrre proteine
che a loro volta determineranno il funzionamento del corpo e del cervello.
Alcune di queste proteine accendono o spengono altri geni (espressione
genica). Anche quando potremmo avere il gene di una malattia X questo
non induce per forza alla malattia, ma quello che importa è come i nostri
geni interagiscono con l’ambiente. Per quanto riguarda le malattie
mentali, la vulnerabilità individuale non dipende da un unico gene,
piuttosto la psicopatologia appare POLIGENICA, l’essenza della
vulnerabilità è presente in più geni, i quali possono agire in momenti
diversi dello sviluppo, possono attivarsi o disattivarsi in base
all’interazione con l’ambiente. Quindi non si eredita una malattia mentale
tramite i nostri geni ma la si sviluppa attraverso l’interazione dei nostri
geni con l’ambiente.
• EREDITABILITA’: indica in che misura la variabilità di un comportamento
all’interno di una configurazione può essere spiegata da fattori genetici.
Oltre ai geni, nella ricerca genetica sono importanti i fattori ambientali:
• FATTORI AMBIENTALI CONDIVISI: tutti gli elementi condivisi dai membri di
una stessa famiglia
• FATTORI AMBIENTALI NON CONDIVISI: comprendono i fattori ambientali
che non vengono condivisi da una stessa famiglia (influenza maggiore
sull’eventuale sviluppo di malattia mentale).
Due approcci generali rientrano nell’ambito del paradigma genetico:
1. LA GENETICA DEL COMPORTAMENTO: studio del grado in cui i geni e i
fattori ambientali influenzano il comportamento:
• GENOTIPO: corredo genetico di un individuo, formato da geni che
ha ereditato dai genitori.
• FENOTIPO: insieme di tutte le caratteristiche comportamentali
manifeste.
2. LA GENETICA MOLECOLARE: tenta di identificare particolari geni e le loro
funzioni.
L’INTERAZIONE GENI-AMBIENTE
Lo studio di come l’ambiente modifica l’espressione o la funzione genica
rientra nell’importante disciplina definita EPIGENETICA, che significa “al di
sopra del gene” e si riferisce ai “marcatori” che si attaccano al DNA. Sono
queste marcature epigenetiche a controllare l’espressione genica e
l’ambiente ne può influenzare direttamente il funzionamento.
L’interazione geni-ambiente implica che la sensibilità di una persona ad un
evento ambientale è influenzata dai suoi geni.
L’INTERAZIONE RECIPROCA GENI-AMBIENTE: Si fonda sull’idea che i
geni possono predisporci a ricercare particolari ambienti, che poi fanno
aumentare il rischio di sviluppare un certo disturbo. Quindi, un certo tipo di
eventi stressanti, detti eventi “dipendenti” sembra essere influenzato più dai
geni che da sfortunate circostanze ambientali.
PARADIGMA DELLE NEUROSCIENZE
Il paradigma delle neuroscienze afferma che i disturbi si associano a processi
cerebrali anomali. Si basa sulla relazione tra il funzionamento del cervello e
psicopatologia.
Le aree di studio sono:
1. I neuroni e i neurotrasmettitori: le cellule del sistema nervoso sono
dette neuroni, i quali sono composti da: corpo cellulare, dendriti,
assoni e i terminali o bottoni sinaptici. Quando un neurone riceve uno
stimolo appropriato sul corpo cellulare o sui dendriti, un impulso
nervoso si propaga fino alle sue terminazioni. Perché possa
trasmettersi da un neurone a un altro, l’impulso nervoso deve superare
lo spazio sinaptico. I terminali sinaptici contengono le vescicole
sinaptiche, strutture piene di neurotrasmettitori, che assolvono una
funzione determinante nella trasmissione dell’impulso nervoso
attraverso lo spazio della sinapsi. I principali neurotrasmettitori
coinvolti nei disturbi mentali sono la dopamina e la serotonina,
coinvolte nella depressione, nella mania e nella schizofrenia, la
noradrenalina, coinvolta nei disturbi d’ansia e in altre condizioni legate
allo stress, e il GABA, coinvolto anch’esso nei disturbi d’ansia.

2. La struttura e la funzione del cervello: il cervello è diviso in due


emisferi cerebrali, connessi da un fascio di fibre detto corpo calloso.
Alcuni solchi dividono gli emisferi in quattro aree distinte: lobo
frontale, associato al ragionamento, alla memoria di lavoro e alla
regolazione delle emozioni, lobo parietale, lobo temporale, associato
alla discriminazione dei suoni, e il lobo occipitale, associato alla
visione. Il talamo è una fondamentale stazione di relè di tutte le vie
sensoriali, a eccezione di quella olfattiva. Il tronco encefalico, costituito
da ponte e bulbo, smista i segnali neurali. Il cervelletto si occupa
dell’equilibrio e della coordinazione dei movimenti. Il sistema limbico,
composto da giro del cingolo, setto, ippocampo, ipotalamo e amigdala,
controlla l’espressione delle emozioni e delle spinte motivazionali
primarie.

3. Il sistema neuroendocrino: l’asse HPA, ossia l’asse ipotalamo-ipofisi-


surrene, è di cruciale importanza per la risposta dell’organismo allo
stress. L’ipotalamo secerne il fattore di rilascio della corticotropina, il
quale segnala all’ipofisi (o ghiandola pituitaria) di produrre
l’adrenocorticotropo, che raggiunge le ghiandole surrenali, le quali a
loro volta rilasciano il cortisolo, detto l’ormone dello stress. La biologia
può determinare una maggiore reattività all’ambiente, ed esperienze
vissute in una fase precoce dello sviluppo possono influenzare la
biologia. Lo stress produce notevoli effetti sul sistema immunitario;
queste alterazioni causano un gran numero di malattie negli adulti in
età avanzata.
IL PARADIGMA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE.
Il paradigma cognitivo-comportamentale trae le proprie radici dei principi
dell’apprendimento e dalle scienze cognitive.
LE INFLUENZE DELLA TERAPIA COMPORTAMENTALE
Una delle principali nozioni deriva dal comportamentismo è che un
comportamento sbagliato continuerà ad essere ripetuto se questo ha un
rinforzo positivo.
Una volta capito la fonte del rinforzo, è possibile mettere appunto un
trattamento su misura per cambiare le conseguenze del comportamento
problematico. Un trattamento usato può essere il periodo del “time out” ovvero
la persona viene rilasciata per un certo periodo in assenza di rinforzi positivi.
Un’altra tecnica usata per far aumentare la frequenza del comportamento
desiderato consiste nell’associare in modo transitorio, un rinforzo positivo al
comportamento prodotto.
Poi abbiamo le TECNICHE OPERANTI, esse si sono dimostrate particolarmente
efficaci nelle problematiche infantile. Una volta che le contingenze del rinforzo
rimodellano il comportamento, l’obbiettivo principale è quello di mantenere gli
effetti di quel comportamento.
Una delle tecniche operanti è il RINFORZO INTERMITTENTE, ovvero quello di
dare una ricompensa per una risposta data, ma non tutte le volte che viene
prodotta, questo rende il comportamento più duraturo.
Poi abbiamo la tecnica dell’ATTIVAZIONE COMPORTAMENTALE, usata per la
terapia della depressione, finalizzata ad aiutare una persona a impegnarsi in
compiti che creano opportunità di rinforzi positivi.
E infine abbiamo la tecnica della DESENSIBILIZZAZIONE SISTEMATICA che
implica due comportamenti: un profondo rilassamento muscolare e l’esposizione
a una serie di situazioni temute, a partire da quelle meno ansiogene fino a
quelle più ansiogene. L’assunto teorico di questa tecnica è che l’ansia si
estinguerà se la persona riesce a confrontarsi con le sue paure per un certo
periodo di tempo. L’esposizione può avvenire dal vivo o si può ricorrere ad una
esposizione immaginativa.
LE SCIENZE COGNITIVE.
Il termine COGNIZIONE riassume in sé numerosi processi mentali:
• Percezione
• Riconoscimento
• Ideazione
• Giudizio
• Ragionamento
Le scienze cognitive si occupano di come le persone e gli animali strutturano le
proprie esperienze con un senso e mettono in relazione l’esperienza presente
con quelle passate, depositate in memoria.
Gli psicologi concepiscono l’individuo come interprete creativo in ogni
situazione, le sue conoscenze passate indicano una sorta di canale percettivo
attraverso cui viene analizzata l’esperienza presente. La nuova informazione
assorbita viene adattata allo schema già preesistente oppure si riorganizza lo
schema in modo tale da far entrare la nuova informazione.
Un altro contributo importante dato dalle scienze cognitive, è lo studio basato
sull’attenzione, è stato accertato che le persone che soffrono di disturbi d’ansia,
disturbi dell’umore e la schizofrenia, hanno presentato problemi di attenzione.
Uno degli strumenti usati per studiare l’attenzione è IL TEST DI STROOP, si
presenta al soggetto una lista di parole che consistono in nomi di colori,
ciascuna scritta in colori diversi dalla parola data (es. ROSSO, GIALLO…) il
soggetto deve dire più rapidamente possibile il colore dell’inchiostro in cui è
scritta la parola che legge. Il soggetto deve resistere all’impulso di naturale di
pronunciare la parola che vede scritta. Quest’effetto di interferenza misurato dal
ritardo con cui il soggetto fornisce la risposta, si spiega col fatto che le parole
“catturano l’attenzione” più del colore di stampa.
Questo test è stato modificato in relazione all’attenzione attratta dal contenuto
emozionale delle parole più che dai colori. STROOP EMOZIONALE, in questa
versione del test il soggetto deve ancora dire il colore dell’inchiostro di stampa
anziché la parola scritta, ma questa volta le parole non sono nomi di colori, ma
bensì stati emozionali (es. FELICE, TRISTE…). Funziona allo stesso modo.
IL RUOLO DELL’INCONSCIO
Per Freud la maggior parte del comportamento umano era inconscio.
L’inconscio è un argomento particolarmente importante per gli psicologi
cognitivi. Di recente alcuni studi hanno dimostrato come il cervello risponde ai
comportamenti che avvengono inconsciamente introducendo la MEMORIA
IMPLICITA, che condiziona l’individuo attraverso esperienze passate senza
esserne consapevole.
Per le Neuroscienze cognitive l’inconscio altro non è che un immagazzinamento
di memoria che può essere usato dal cervello per risolvere problemi.
LA TERAPIA COGNITIVA-COMPORTAMENTALE
È una terapia che incorpora la teoria e la ricerca sui processi cognitivi prestando
molta attenzione agli aspetti personali della vita del paziente.
RISTRUTTURAZIONE COGNITIVA è un termine che mira alla modifica di una
schema di pensiero (es. il paziente affetto da disturbo d’ansia o depressione
tenderà ad essere negativamente autocritico, il terapeuta cercherà all’inizio di
monitorare i pensieri che il paziente inserisce nella vita quotidiana, dopo di che
cercherà di risolvere quelle distorsioni e quegli schemi che il paziente ha
costruito in quanto possono modulare pensieri negativi nel corso del suo
quotidiano.)
LA TEORIA COGNITIVA DI BECK
Detta anche della depressione si fonda sul curare i pazienti che presentano una
percezione distorta delle esperienze a causa di tale disturbo, il quale porta il
paziente a trascurare tutte le esperienze positive e focalizzare l’attenzione su
quelle negative. Questi effetti sono definiti BIAS DELL’ELABORAZIONE
DELL’INFORMAZIONI. Questa terapia cura il paziente cercando di indurlo a
modificare l’immagine che hanno di sé stessi e a modificare il modo di
interpretare gli eventi portandolo a fare nuove esperienze all’esterno del setting
terapeutico in modo tale che quest’ultimo modifichi gli schemi mentali negativi
che ha creato per far prevalere quel sentimento di speranza sulla negatività.
VALUTAZIONE DEL PARADIGMA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE
Le spiegazioni cognitivo-comportamentali dei disturbi psicopatologici si
focalizzano sulla storia clinica del paziente partendo dall’infanzia per poter
determinare gli attuali disturbi. Ciò che contraddistingue in paradigma cognitivo
comportamentale è l’attribuire un valore eziologico agli schemi di pensiero (es.
tristezza dovuta a pensiero triste).
I fattori che influenzano i diversi paradigmi sono:
• Emozioni: esse influenzano il modo in cui rispondiamo al problema,
aiutandoci a realizzare pensieri e azioni a livello esplicito ed implicito.
si definisce STATO AFFETTIVO un’emozione di breve durata. Si definisce
TONO DELL’UMORE uno stato emozionale più lungo. L’emozione è
costituita da diversi elementi:
1. La componente espressiva e comportamentale
2. La componente esperienziale o soggettiva
3. La componente fisiologici
In alcuni disturbi queste componenti possono risultare tutte alterate, come
accade nei pazienti schizofrenici o soltanto una come nelle persone con
disturbi di panico.
STATO AFFETTIVO IDEALE, indica il tipo di stato emozionale che una
persona vorrebbe idealmente provare.

• Fattori socioculturali: si riferiscono a quei disturbi psicologici che


insorgono da fattori socioculturali come genere, appartenenza etnica,
cultura e status socioeconomico. Lo studio di queste influenze sulla
psicopatologia si basa sul presupposto che i fattori ambientali possano
innescare, aumentare o mantenere i sintomi dei diversi disturbi.

• Fattori interpersonali: si riferiscono a quei disturbi dovuti alle influenze


familiari e coniugali o anche al contatto sociale occasionale che causano lo
sviluppo del disturbo. Due sono gli approcci interpersonali della
psicoterapia: la terapia di coppia e la terapia familiare, che cercano di
misurare la vicinanza di sostegno dei soggetti e il grado di ostilità
all’interno di una relazione. una caratteristica fondamentale della
psicoanalisi è il TRANSFERT, con cui si indica la tendenza del paziente a
riflettere atteggiamenti e comportamenti da una relazione passata alla
relazione attuale con l’analista. Gli attuali studiosi hanno rielaborato il
concetto di transfert, sottolineando l’importanza dell’educazione
interpersonale del benessere psicologico dell’individuo. Da qui ne è un
esempio la TEORIA DELLE RELAZIONI OGGETTUALI, che sottolinea
l’importanza degli schemi relazionali duraturi che si stabiliscono
soprattutto all’interno della famiglia, ponendo l’accento su come una
persona arriva a concepire, consciamente e inconsciamente, la posizione
che assegna al proprio se in relazione ad altre persone. A questa teoria ci
fu un'altra importante scoperta, LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO che
sostiene che il tipo di attaccamento che il bambino crea con l’adulto che
lo accudisce, getta le basi per il suo benessere psicologico o invece per lo
sviluppo di problemi psicologici. Gli psicologi sociali hanno integrato
entrambe queste teorie nel concetto di SÉ RELAZIONALE, che fa
riferimento al sé in relazione agli altri.
LA TERAPIA INTERPERSONALE. IPT.
Questa terapia sottolinea l’importanza delle relazioni attuali nella vita
della persona e il fatto problemi nella relazione possano contribuire
all’insorgere di sintomi psicopatologici. Per prima cosa il terapeuta invita
il paziente a identificare e ad esprimere i sentimenti relativi alle sue
relazioni, dopo di che sarà il paziente stesso a cercare soluzioni per i suoi
problemi interpersonali. Questa terapia si è dimostrata molto efficace per
la depressione e per cura altri disturbi come i disturbi dell’alimentazione, i
disturbi d’ansia e di personalità.
Nel’IPT vengono valutati quattro aspetti interpersonali, per capire se uno
o più di essi influenzano il manifestarsi dei sintomi:

1. ESPERIENZE DOLOROSE IRRISOLTE: quando l’esperienza di


dolore a seguito di una perdita viene rinviata nel tempo e vissuta
in maniera incompleta
2. TRANSIZIONE DI RUOLO: il passaggio dal ruolo di figlio a
genitore
3. CONFLITTI DI RUOLO: i partner in una relazione hanno
aspettative diverse rispetto alla relazione stessa.
4. DEFICIT INTERPESONALI E SOCIALI: essere incapaci di affrontare
una conversazione un una persona sconosciuta.
In conclusione, il terapeuta aiuta il paziente a capire che per ridurre i sintomi
psicopatologici e necessario gestire meglio le modalità con cui si relazione con
gli altri.
UN MODELLO INTEGRATO: IL PARADIGMA DIATESI-STRESS
La maggior parte dei disturbi ha molte probabilità di svilupparsi attraverso
l’interazione tra fattori neurobiologici e ambientali.
IL PARADIGMA DIATESI-STRESS collega tra loro fattori genetici, neurobiologici,
psicologici e ambientali. Usato per spiegare numerosi disturbi poiché è
incentrato sulle interazioni fa predisposizione allo sviluppo di un certo disturbo
(diatesi) e condizioni ambientali o esistenziali perturbanti (stress).
DIATESI: si riferisce alla predisposizione costituzionale che l’individuo ha per
una malattia. Nell’ambito neurologico, sembra esistere una diatesi per via
genetica. Quindi la predisposizione genetica gioca un ruolo importante.
Nell’ambito psicologico si può considera una diatesi della depressione un
particolare schema cognitivo come la cronica sensazione di mancanza di
speranza.
Un altro fattore importante del paradigma è lo stress.
STRESS: si riferisce ad una stimolazione nociva spiacevole, che può innescare un
processo psicopatologico. Quindi spiega come una diatesi possa tradursi in
disturbo effettivo. I fattori stressanti (STRESSOR) comprendono sia eventi
drammatici, sia eventi comuni che possono verificarsi nel quotidiano.
IL PUNTO CHIAVE DI QUESTO MODELLO, è che sia la diatesi che lo stress sono
necessari per lo sviluppo di un determinato disturbo.

CAPITOLO TERZO

DIAGNOSI E VALUTAZIONE
La diagnosi e la valutazione sono i primi passi di cruciale importanza nello
studio del trattamento della psicopatologia. Formulare una diagnosi corretta
consentirà al clinico di delineare le cause e i trattamenti più adeguati per
intervenire. La diagnosi è importante anche per la ricerca sull’eziologia del
disturbo sul suo trattamento. Per arrivare a trarre la diagnosi corretta, clinici e
ricercatori si servono di un’ampia gamma di procedure di valutazione, a partire
dal colloquio clinico.
Le procedure di valutazione possono anche fornire informazioni il cui valore è al
di là della diagnosi stessa. Di fatto, la diagnosi è soltanto un punto di partenza.
Le tecniche di valutazione più usate comprendono il colloquio, la valutazione
psicologica e la valutazione neurobiologica.
I FONDAMENTI DELLA DIAGNOSI E DELLA VALUTAZIONE
I concetti di affidabilità e validità sono alla base di qualunque procedura
diagnostica o di valutazione.
• AFFIDABILITA’: si intende la coerenza delle misurazioni. Essa si misura su
una scala che varia da 0 a 1, quanto più il valore è vicino a 1, tanto
maggiore è l’affidabilità. Esistono vari tipi di affidabilità:

1. AFFIDABILITA’ INTERRATER: indica il grado di concordanza nel giudizio


espresso da due osservatori su uno stesso fenomeno da essi
osservato.
2. AFFIDABILITA’ TEST-RETEST: misura il grado in cui un soggetto
osservato in due momenti diversi o sottoposto due volte allo stesso
test, tende ad ottenere punteggi simili.
3. AFFIDABILITA’ DELLA VERSIONE ALTERNATIVA: è la coerenza tra i
punteggi ottenuti dal soggetto nelle due versioni del test.
4. AFFIDABILITA’ DELLA COERENZA INTERNA: valuta se gli item di un
test sono tra loro correlati.
• VALIDITA’: La validità è un concetto che indica in che grado una
procedura di valutazione misura effettivamente ciò che intende misurare.
La validità è strettamente correlata all’affidabilità: misure inaffidabili non
possono essere valide. Anche l’affidabilità di una misura, però, non basta
a garantirne la validità. Esistono vati tipi di validità:

1. VALIDITA’ DI CONTENUTO: indica se una misura rappresenta


adeguatamente l’ambito che si sta indagando.
2. VALIDITA’ DI CRITERIO: viene valutata determinando se una
misura è associata in modo costante e prevedibile a un’altra
misura (il criterio). Se entrambe le variabili vengono misurate nello
stesso momento si parla di VALIDITA’ CONCORRENTE (O
DESCRITTIVA)
3. VALIDITA’ PREDITTIVA: si può stabilire la validità di criterio della
misura in questione valutandone la capacità di prevedere un’altra
variabile, misurata in un secondo momento a distanza di tempo.
Quindi validità concorrente e validità predittiva sono due tipi di validità di
criterio.
4. VALIDITA’ DI COSTRUTTO: è un concetto più complesso: riguarda
l’interpretazione di un test come misura di qualche caratteristica
(costrutto) che non può essere osservata direttamente. Un
costrutto è un’entità di cui si inferisce l’esistenza, come l’ansia. La
validità di costrutto fa riferimento ad un preciso quadro teorico.
CLASSIFICAZIONE E DIAGNOSI
IL DIAGNOSTIC AND STATISTICAL MANUAL OF MENTAL DISORDERS (DSM) è il
manuale diagnostico sviluppato dall’American Psychiatric Association nel 1952,
e ad oggi è sottoposto a cinque revisioni. Ad ogni versione del DSM sono tati
apportati miglioramenti, quali: criteri diagnostici specifici, caratteristiche di ogni
diagnosi definite in maniera molto dettagliata rispetto alla seconda revisione. Il
DSM-IV-TR ha introdotto una maggiore enfasi sui fattori culturali, come pure
sugli ASSI per valutare il paziente. Il sistema di classificazione fino al DSM-IV-TR
comprende cinque Assi. Il sistema assiale richiede una valutazione su ciascuno
dei cinque assi e obbliga il clinico a prendere in considerazione una gamma di
informazioni molto ampia.
• ASSE I: include tutte le categorie diagnostiche
• ASSE II: include i disturbi di personalità e ritardo mentale

Insieme coprono l’intera classificazione dei disturbi mentali.


• ASSE III: è riportata qualsiasi condizione medica ritenuta rilevante.
• ASSE IV: codifica i problemi di natura psicosociale ed ambientali che
potrebbero contribuire al disturbo mentale.
• ASSE V: su questo asse il clinico indica l’attuale livello di funzionamento
adattivo della persona utilizzando valori da 0 a 100 sulla scala VGF,
ovvero la scala per la VALUTAZIONE GLOBALE DEL FUNZIONAMENTO.
Questa scala prende in considerazione le relazioni sociali, il rendimento
sul lavoro ed il modo di trascorrere il tempo libero.

o CAMBIAMENTI NEL DSM-V:


Il sistema assiale viene eliminato nel DSM-V. Al posto dei primi 3 assi, il
clinico dovrà formulare diagnosi mediche e psichiatriche. Sono stati cambiati
i codici dell’Asse dei problemi psicosociali e ambientali. Il quinto asse non
esiste più. Nel DSM-IV-TR si definisce la diagnosi interamente sulla base dei
sintomi. Sono stati molti i progressi compiuti nella comprensione
dell’eziologia (cause dei disturbi). Tuttavia, la base di conoscenze non è
ancora abbastanza corposa da permettere di organizzare le diagnosi attorno
all’eziologia. Il DSM-V continuerà ad usare i sintomi come base per le
diagnosi, anche se sono stati introdotti alcuni cambiamenti: nel DSM-IV i
sintomi sono raggruppati in capitoli sulla base della similarità di essi, nel
DSM-V i sintomi sono raggruppati per riflettere pattern di eziologia
condivisa. Nel DSM-V, allo scopo di mettere in evidenza la continuità tra le
forme infantili e quelle adulte dei disturbi mentali, vengono spostate le
diagnosi dei disturbi infantili, non più in un capitolo a sé, ma nei capitoli più
adatti alla sintomatologia. Nel DSM-V vengono proposte poi nuove categorie
diagnostiche, quali il disturbo di accumulo, il binge eating, il disturbo
disforico premestruale e il disturbo da gioco d’azzardo.

o CRITICHE SPECIFICHE RIVOLTE AL DSM:


Ci sono troppe categorie diagnostiche. Il DSM-V contiene più di 300
categorie diagnostiche, questo perché il sistema prevede distinzioni troppo
sottili basate su piccole differenze a livello sintomatico. Un effetto collaterale
dell’enorme numero di categorie diagnostiche e il fenomeno definito
COMORBILITA’, che indica la presenza di una seconda diagnosi. Per essere
davvero utili, i sistemi diagnostici devono avere un elevato grado di
affidabilità interrater. Ma anche quando vengono rispettati i criteri, nel
DSM-V resta comunque un certo margine possibile disaccordo tra due clinici.
LA VALUTAZIONE PSICOLOGICA
Per trarre una diagnosi ci si avvale di una vasta gamma di misure e di strumenti.
Nella pratica clinica la valutazione psicologica completa di un individuo prevede
l’impiego di più tecniche: i dati ottenuti si completeranno a vicenda, fornendo
un profilo completo dell’individuo esaminato.
o IL COLLOQUIO CLINICO: Nella valutazione diagnostica in psicopatologia
vengono utilizzate sia tipologie di colloquio clinico formali strutturate, sia
tipologie informali. L’aspetto principale per cui il colloquio clinico si
distingue da una conversazione informale risiede nell’attenzione che
l’intervistatore pone al modo in cui l’interlocutore risponde o non
risponde alle sue domande. Per condurre un buon colloquio è necessaria
molta abilità da parte del clinico. È importante inoltre stabilire una buona
relazione con paziente, l’intervistatore deve conquistare la fiducia del
soggetto. Dopo anni di pratica, ogni clinico sviluppa con l’esperienza un
suo modo personale di porre le domande. I colloqui clinici non strutturati
hanno un’affidabilità inferiore rispetto a quelli strutturati. Talvolta si ha
bisogno di raccogliere le informazioni in forma standardizzata, in
particolare quando si devono formulare le diagnosi in base al DSM. Per
risponde a questa esigenza, i ricercatori usano L’INTERVISTA
STRUTTURATA, dove l’intervistatore trova una serie di domande già
predisposte ed organizzati in modo prestabilito. Un esempio è la SCID
(Structured clinical interwiew) un’intervista strutturata con
un’organizzazione gerarchica. Le risposte del paziente determinano la
domanda successiva.

o LA VALUTAZIONE DELLO STRESS: Lo stress ha un ruolo centrale in tutti i


disturbi, è pertanto importante la sua misurazione nel quadro generale
della valutazione. Non è un costrutto facilmente definibile e misurabile. Lo
STRESS può essere concettualizzato come un’esperienza soggettiva di
profondo malessere che si determina come risposta a determinati
problemi presenti nell’ambiente. Il BEDFORD COLLEGE LIFE EVENTS AND
DIFFICULTIES SCHEDULE (LEDS), è uno strumento di valutazione utilizzato
per studiare gli eventi stressanti, esso comprende un’intervista che copre
almeno 200 tipi diversi di stress. Si tratta di un’intervista semistrutturata.
Intervistatore e intervistato collaborano per costruire un calendario che
comprende tutti i principali eventi stressanti vissuti dall’intervistato in un
dato periodo di tempo. Il LEDS sicuramente è molto approfondito ma
occorre molto tempo per somministrarlo. Ai clinici spesso serve un modo
più veloce per valutare lo stress e perciò fanno ricorso alle LISTE DI
AUTOVALUTAZIONE.

o I TEST DI PERSONALITA’: In un inventario di personalità il soggetto deve


compilare un questionario a carattere autodescrittivo, indicando se le
affermazioni in esso contenute si applicano o meno alla sua persona. Il più
noto di questi inventari è il MINNESOTA MUTLIPHASIC PERSONALITY
INVENTORY (MMPI), il quale fu costruito appositamente per identificare i
numerosi tipi di problemi psicologici. Se il soggetto forniva a molti item di
una scala le stesse risposte date dai soggetti di un determinato gruppo
diagnostico, ci si aspettava che il suo comportamento fosse simile a
quello del gruppo. Un TEST PROIETTIVO è uno strumento di valutazione
psicologica che prevede la presentazione al soggetto di una serie di
stimoli standard come macchie d’inchiostro o disegni, abbastanza ambigui
da consentire un’ampia variabilità nelle risposte, saranno i processi
inconsci a determinare la risposta della persona, rilevandone gli
atteggiamenti, e i comportamenti più autentici, il tutto definito come
IPOTESI PROIETTIVA.
Due test proiettivi noti per la personalità sono:
1. TAT (Thematic Apperception Test): Test proiettivo in cui si presentano
al soggetto, una per volta, immagini in bianco e nero, chiedendogli poi
di raccontare una storia su ciascuno di esse.
2. RORSCACH: è il test proiettivo più conosciuto. Si mostrano al soggetto,
uno per volta, 10 tavole con macchie d’inchiostro e gli si chiede che
cosa vede in ognuna di esse. Exner ha sviluppato il sistema più diffuso
per calcolare punteggi di questo test: tale sistema da particolare
importanza ai pattern percettivi e cognitivi rilevabili nelle risposte
dell’individuo esaminato. Nonostante molte evidenze suggeriscono che
il test può essere valido per diagnosticare la schizofrenia, il disturbo
borderline di personalità e tratti di personalità dipendente, rimane da
chiarire se il test fornisca informazione che potrebbero essere ottenuti
anche con una semplice intervista.
o TEST D’INTELLIGENZA: Un test d’intelligenza o test di QI è uno strumento
che intende valutare le capacità intellettive di un individuo. Tra i test più
comunamente somministrati abbiamo:
1. WAIS-IV: scala per adulti.
2. WISC-IV: scala per bambini.
3. WPPS-III: scala prescolare.
Oltre che prevedere il rendimento scolastico, i test vengono utilizzati per
diagnosticare disturbi di apprendimento, individuare le aree di maggiore
o minore preparazione, determinare se un individuo soffre di disturbo
dello sviluppo intellettivo e così via…
Circa il 65% della popolazione ottiene un punteggio di QI tra 85 e 115. I
test di intelligenza sono altamente affidabili e hanno una buona validità di
criterio. Sono correlati con la salute mentale: punteggi più bassi all’età di
vent’anni sono associati ad un maggiore rischio di ospedalizzazione per
schizofrenia, disturbi dell’umore o dipendenza da sostanze di molti
anni più tardi.

o VALUTAZIONE COMPORTAMENTALE E COGNITIVA: L’informazione


necessaria alla valutazione cognitiva o comportamentale vengono raccolte
attraverso diversi metodi, tra cui:
1. OSSERVAZIONE DIRETTA DEL COMPORTAMENTO: Molti
terapeuti creano situazioni artificiali nel loro studio, in modo da
poter osservare il comportamento del paziente.
2. AUTOSSERVAZIONE: Spesso i terapeuti cognitivi
comportamentali chiedono alle persone di osservare e registrare
da sé i propri comportamenti e le proprie reazioni, un approccio
definito AUTOMONITORAGGIO. Un altro metodo di
autosservazione è L’ECOLOGICAL MOMENTARY ASSESSMENT
EMA, che richiede al soggetto di raccogliere i dati in tempo reale.
Alcuni studi affermano che l’automonitoraggio però altera il
comportamento.
3. QUESTIONARI SULLO STILE COGNITIVO: I questionari cognitivi
sono usati per individuare gli obbiettivi del trattamento e per
determinare se gli interventi clinici contribuiscono a modificare i
pattern di pensiero eccessivamente negativi, come la
DYSFUNCTIONAL ATTITUDE SCALE DAS, sviluppato sulla base
della teoria di Beck.
LA VALUTAZIONE NEUROBIOLOGICA
Nel corso della storia gli studiosi di psicopatologia hanno presunto
che alcuni sintomi fossero dovuti a disfunzioni del cervello o di altre
parti del sistema nervoso, o che quanto meno riflettessero tali
disfunzioni.
o IL BRAIN IMAGING: Molti problemi comportamentali possono
derivare da disfunzioni cerebrali, motivo per cui sono state
sviluppate apparecchiature che consentono di osservare in
modo diretto alla struttura ed il funzionamento del cervello quali
la TAC, la risonanza magnetica MRI e quella funzionale, la PET.
fMRI e PET sono utilizzate per studiare i processi di
funzionamento anomali che potrebbero essere associati a vari
disturbi mentali.

o L’ANALISI DEI NEUROTRASMETTITORI: Misurare la quantità di un


particolare neurotrasmettitore non è semplice. Negli studi post
mortem, il cervello viene prelevato dal cadavere del paziente ed
è possibile misurare direttamente la quantità di specifici
neurotrasmettitori in particolari aree cerebrali. Nelle ricerche su
soggetti vivi, uno dei metodi più usati è L’ANALISI DEI
METABOLITI DERIVANTI DALLA DEGRADAZIONE ENZIMATICA
DEI NEUROTRASMETTITORI. Un problema però degli studi sui
metaboliti è che si tratta di studi correlazionali. I risultati
ottenuti in questo campo non sono stati finora così potenti da
consentire di utilizzare questi metodi e i metodi di brain
imaging per la diagnosi dei disturbi mentali.

o LA VALUTAZIONE NEUROPSICOLOGICA: Un neurologo medico


specialista delle malattie o dei problemi che colpiscono il
sistema nervoso, un neuropsicologo è uno psicologo che studia
gli effetti delle disfunzioni cerebrali sul pensiero, le emozioni e il
comportamento. Il loro lavoro è complementare. I TEST
NEUROPSICOLOGICI sono spesso usati insieme alle tecniche di
brain imaging. Si utilizzano per rilevare disfunzioni cerebrali e
per contribuire identificare specifiche aree del comportamento
fortemente alterate dalle disfunzioni cerebrali. Due di uso
comune:

1. I TRE TEST DI HALSTEAD-REITAIN:


- Tacticle Perfomance Test: Tempo. Ad occhi bendati, il
soggetto cerca di inserire i blocchi di forma diversa negli
spazi corrispondenti su una tavola;
- Tacticle Perfomance Test: Memoria. Si chiede al soggetto
di disegnare memoria da tavola con i diversi blocchi nella
posizione corretta;
- Speech Sounds Perception Test (test di percezione
fonetica) il soggetto ascolta una serie di parole prive di
senso, quindi, deve individuare la parola che ha udito
scegliendole in un elenco di alternative.

2. LA BATTERIA DI LURIA-NEBRASKA:
comprende 269 item suddivisi in 11 sezioni e consente di
determinare abilità motorie sia fondamentali e complesse,
la capacità di cogliere ritmo e tono, funzioni tattili e
cinestetiche, abilità verbali e spaziali, abilità di lettura,
scrittura e aritmetiche.

1. LA VALUTAZIONE PSICOFISIOLOGICA: La psicofisiologia è la


disciplina che studia le modificazioni fisiologiche associate a
eventi di ordine psicologico. I ricercatori studiano le
modificazioni fisiologiche come la frequenza cardiaca, la tensione
muscolare e il flusso sanguigno che si verificano durante una
condizione di paura, di depressione, di sonno. Non sono
abbastanza sensibili da essere usate della diagnosi, ma possono
fornire informazioni importanti. Allo scopo di comprendere
aspetti della natura delle emozioni, spesso si valuta l’attività del
sistema nervoso autonomo, mediante la misurazione di variabili
elettriche e chimiche, utilizzando l’elettrocardiogramma (ECG)
che misura la frequenza cardiaca. Una seconda misura è la
Risposta elettrodo termica o conduttanza cutanea.
L’elettroencefalogramma (EEG) misura dell’attività elettrica
cerebrale. Viene utilizzata anche per misurare l’attenzione e lo
stato di vigilanza.

CAPITOLO QUARTO

METODI DI RICERCA IN PSICOPATOLOGIA


UNA TEORIA è un insieme di proposizioni con cui si intende spiegare una
particolare classe di osservazioni. In genere le teorie scientifiche si propongono
di identificare relazioni di causa-effetto.
Una teoria consente di generare IPOTESI più specifiche, cioè di formulare
previsioni riguarda ciò che dovrebbe avvenire posto che la teoria sia vera.
Una buona teoria richiede che le idee siano enunciate in maniera chiara e
precisa, poiché solo così le ipotesi saranno passibili di verifica sistematica,
grazie alla quale si può arrivare anche a smentire le previsioni dello scienziato.
Le teorie, infatti, per quanto plausibili possano sembrare, devono poter essere
falsificate, cioè confutate ed eventualmente respinte. Nel sottoporre a verifica
una teoria occorre prendere in considerazione un insieme di principi: ogni
osservazione scientifica deve essere replicabile, ciò dipende dall’utilizzo di
strumenti di misura dotati di forte affidabilità e validità; occorre anche
individuare il disegno di ricerca più idoneo, scegliendolo entro una vasta
gamma di disegni possibili; non bisogna trascurare le questioni etiche.
MODELLI DI RICERCA IN PSICOPATOLOGIA
• LO STUDIO DEL CASO CLINICO: È forse il metodo più comune per
analizzare il comportamento umano, e consiste nello studiare una persona
per volta, registrando dettagliatamente le informazioni raccolte. Gli studi di
casi clinici hanno una qualità talvolta discutibile. L’obiettività dello studio di
casi clinici e limitato dal paradigma al quale il clinico aderisce, e che
influenza il tipo di informazioni raccolte considerate.
Questo metodo può essere utilizzato per:
• fornire una descrizione dettagliata di un fenomeno clinico.
• confutare un’ipotesi di presupposta validità universale.
• generare ipotesi da sottoporre poi a verifica tramite ricerche controllate.

• IL METODO CORRELAZIONALE: Gran parte della ricerca in psicopatologia è


condotta in base al metodo correlazionale. Le variabili studiate vengono
misurate così come si presentano in natura, una caratteristica che distingue
questo metodo da quello sperimentale, in cui certe variabili vengono
manipolate e controllate da ricercatore. Questi studi si pongono domande
sulla relazione tra un certo disturbo e un’altra variabile. Per stabilire se tra
due variabili vi è correlazione, il primo passo consiste nel raccogliere
COPPIE DI OSSERVAZIONI. Una volta ottenute tali coppie di osservazioni, si
può procedere a determinare la forza e il tipo di relazione esistente fra i
due set di dati, calcolando il COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE indicato con
r. Questo parametro statistico, che può assumere qualunque valore tra
+1.00 e -1.00, misura sia la grandezza sia la direzione della relazione fra le
due variabili considerate. Più è alto il valore assoluto di r, più forte è il
rapporto fra le due variabili. Per valutare in termini più rigorosi l’importanza
delle correlazioni individuate, gli scienziati si servono del concetto di
SIGNIFICATIVITA’ STATISTICA. Una correlazione è statisticamente
significativa quando è poco probabile che sia dovuta unicamente al caso.
Oltre alla significatività statistica, è importante considerare la
SIGNIFICATIVITA’ CLINICA. Si ha significatività clinica quando una relazione
fra le variabili è sufficientemente forte da essere anche rilevante da un
punto di vista clinico. Il ricercatore deve valutare non solo se l’effetto è
statisticamente significativo, ma anche se quell’effetto è abbastanza
rilevante da essere significativo ai fini della previsione o del trattamento di
un disturbo clinico. Benché molto usato, il metodo correlazionale a un grave
inconveniente: NON PERMETTE DI STABILIRE RELAZIONI CAUSA-EFFETTO
tra le variabili. Il problema della direzionalità affligge la maggior parte degli
studi correlazionali. Uno dei modi per superare il problema è rifarsi al
concetto che la causa deve precedere l’effetto, come negli STUDI
LONGITUDINALI, che permettono di verificare se le ipotetiche cause sono
presenti prima della comparsa del disturbo. Nettamente contrastante è
l’impostazione degli STUDI TRASVERSALI, in cui cause ed effetti vengono
valutati nello stesso periodo di tempo. Gli studi longitudinali hanno costi
assai elevati, questo problema può essere superato mediante studi di
soggetti ad alto rischio. Anche se uno studio di soggetti ad alto rischio
permette di identificare una variabile che precede lo sviluppo della
schizofrenia, i ricercatori si troverebbero comunque di fronte a un altro
inconveniente, detto PROBLEMA DELLA TERZA VARIABILE è possibile che
la correlazione sia dovuta a un terzo fattore, non previsto (questi fattori
sono denominati FATTORI DI CONFUSIONE) Gli studi epidemiologici dei
fattori di rischio sono studi correlazionali. Per EPIDEMOLOGIA si intende lo
studio della distribuzione delle diverse patologie all’interno di una
popolazione. Nella ricerca epidemiologica si raccolgono dati relativi alla
frequenza di un disturbo ed i suoi correlati entro un campione numeroso,
rappresentativo della popolazione di riferimento. Si ottiene così un quadro
complessivo del disturbo e di quante persone ne soffrono.
La ricerca epidemiologica si concentra su tre aspetti di un dato disturbo:
• PREVALENZA: cioè la percentuale della popolazione che manifesta
disturbo nel momento attuale o nell’intero arco della sua esistenza
• INCIDENZA: cioè il numero di nuovi casi del disturbo rilevati in un
dato periodo di tempo, di solito in un anno
• FATTORI DI RISCHIO: cioè le variabili correlati con la probabilità di
sviluppare il rischio.
Un altro esempio di ricerca correlazionale è quello della genetica del
comportamento e della genetica molecolare. La ricerca nell’ambito della
genetica del comportamento si fonda principalmente su tre approcci
metodologici, finalizzate scoprire se la predisposizione allo sviluppo di un
disturbo mentale sia ereditaria:
• STUDIO DELLA FAMIGLIA: Consiste nel confronto tra i membri di
una stessa famiglia. È un metodo usato per studiare la
predisposizione genetica a un disturbo fra gli appartenenti di una
stessa famiglia. Nella misura in cui la predisposizione per un
disturbo psicologico può essere ereditata, lo studio della famiglia
dovrebbe rivelare una relazione tra la proporzione dei geni
condivisi e il tasso di concordanza tra individui imparentati rispetto
alla presenza del disturbo

• STUDIO DI GEMELLI: Consiste nel confronto tra coppie di gemelli. In


questo metodo si mettono a confronto coppie di gemelli
monozigoti MZ oppure dizigotici DZ. Gli studi di gemelli si basano
sull’identificazione di casi per i quali è stata tratta la diagnosi di un
certo disturbo mentale; quindi, si esamina l’altro gemello per
verificare l’eventuale presenza dello stesso disturbo. Quando
entrambi gemelli manifestano la patologia in questione, si dice che
sono concordanti. La concordanza dovrebbe risultare maggiore
nelle coppe di gemelli MZ che nei DZ. Quando ciò avviene, la
caratteristica di studio è definita ereditabile.

• STUDI SU ADOTTATI: Questo metodo si applica ai bambini che sono


stati adottati nella prima infanzia e sono stati allevati lontani dalla
famiglia d’origine e dai loro genitori biologici. Se si trovasse
un’elevata frequenza di agorafobia tra bambini cresciuti lontano dai
genitori biologici affetti da questo disturbo, sarebbe una forte
conferma dell’ereditabilità di questa patologia. Un altro metodo che
si applica a soggetti adottati è il CROSS FOSTERING, in cui i
bambini crescono separati dai genitori biologici, ma in questo caso
è uno dei genitori adottivi a soffrire del disturbo in esame. I geni e
l’ambiente avevano agito in maniera sinergica, accrescendo il
rischio del soggetto di sviluppare disturbo in questione.
Per quanto riguarda la genetica molecolare, vengono utilizzati frequentemente
gli studi di associazione, in cui i ricercatori esaminano la relazione tra certi alleli
e certi tratti o comportamenti in una popolazione. Un particolare studio di
associazione è lo studio di associazione genomica dove i ricercatori esaminano
tutti i 22000 geni degli individui del campione allo scopo di isolare differenze
tra i gruppi nella sequenza dei geni tra persone con la diagnosi di un certo
disturbo e un gruppo di controllo
• L’ESPERIMENTO: È lo strumento più potente per determinare l’azione di
natura causale. Esso implica l’assegnazione casuale dei partecipanti a
gruppi sottoposti a condizioni differenti, la manipolazione di una variabile
indipendente e la misurazione di una variabile dipendente.
Le caratteristiche fondamentali del disegno sperimentale sono le seguenti:
• il ricercatore manipola una variabile indipendente
• i partecipanti sono assegnati a casa due gruppi che rappresentano
condizioni diverse
• i ricercatori misura una variabile dipendente, cioè una variabile che,
in base alle attese derivanti dall’ipotesi formulata, dovrebbe variare
a seconda della condizione della variabile indipendente.
• le differenze tra i gruppi rispetto alla variabile dipendente
costituiscono L’EFFETTO SPERIMENTALE.
LA VALIDITA’ INTERNA dipende da quanto l’effetto sperimentale è attribuibile
alla variabile indipendente. Poiché uno studio abbia validità interna, deve
includere almeno un GRUPPO DI CONTROLLO. Esso però non è sufficiente ma è
importante anche l’assegnazione casuale. LA VALIDITA’ ESTERNA indica il grado
in cui i risultati di una ricerca possono essere estesi e generalizzati al di là del
particolare studio da cui sono emersi. I partecipanti ad uno studio spesso si
comportano in un certo modo semplicemente perché sanno di essere osservati;
perciò, non è così automatico che i risultati ottenuti in laboratorio siano
riproducibili nell’ambiente naturale.
Un esempio di ricerca sperimentale è la ricerca sugli ESITI DEI TRATTAMENTI.
Essa si propone l’obiettivo di rispondere alla domanda: il trattamento funziona?
Uno studio sugli esiti di un trattamento deve fondarsi sui seguenti criteri:
• chiara definizione del campione, fornendo ad esempio una descrizione
precisa dei criteri diagnostici;
• chiara descrizione del trattamento che viene offerto;
• inclusione disegno sperimentale di un gruppo di controllo ed il
trattamento di confronto;
• assegnazione randomizzata di pazienza al gruppo di trattamento o di
controllo;
• misure dell’esito che siano valide o affidabili;
• un campione sufficientemente grande da condurre test statistici.
Gli studi in cui i soggetti sono assegnati a caso al gruppo che riceve il
trattamento in esame oppure gruppo di controllo sono detti TRIAL
CONTROLLATI RANDOMIZZATI (RCT). In questo tipo di esperimento la variabile
indipendente è il trattamento, mentre la variabile dipendente è l’esito osservato
nel paziente. Nel momento in cui i ricercatori progettano uno studio sugli esiti
del trattamento devono prendere le seguenti decisioni:
• DEFINIZIONE DELLA CONDIZIONE DI TRATTAMENTO: l’uso di manuali di
trattamento con specifiche indicazioni sulle procedure da seguire in ogni
fase del trattamento.
• DEFINIZIONE DEI GRUPPI DI CONTROLLO: un gruppo di controllo che non
riceve alcun trattamento permette ai ricercatori di valutare se il semplice
trascorrere del tempo aiuti le persone tanto quanto il trattamento stesso.
Un confronto più preciso è quello tra il gruppo in trattamento e un
gruppo di controllo PLACEBO. Se un ricercatore decide di utilizzare un
gruppo di controllo placebo, di solito si fa ricorso al cosiddetto
ESPERIMENTO DEL DOPPIO CIECO, ovvero nei ricercatori nei pazienti
sanno quali soggetti ricevono il principio attivo e quali invece il placebo.
In questo modo si cerca di evitare, nelle valutazioni trattamento, ogni
possibile distorsione dovuta ad attese soggettive
• DEFINIZIONE DEL CAMPIONE: gli studi clinici controllati randomizzati
(RCT) si incentrano su trattamenti rivolti a persone che hanno ricevuto una
diagnosi formalizzata dal DSM.
• VALUTARE L’EFFICACIA DEI TRATTAMENTI NELLA PRATICA CLINICA
QUOTIDIANA: Gli esperimenti controllati randomizzati sono concepiti in
modo da determinare L’EFFICACIA DI UN TRATTAMENTO cioè stabilire se
il trattamento funziona in condizioni il più controllate possibili. Si ha
quindi bisogno di determinare non soltanto l’efficacia del trattamento, ma
anche la sua EFFICIENZA, cioè quanto bene funziona nel mondo reale,
nella realtà quotidiana.
• LA NECESSITA’ DI DISSEMINARE I RISULATI RELATIVI ALL’EFFICACIA DEI
TRATTAMENTI: Centinaia di studi hanno dimostrato che alcuni trattamenti
psicologici sono efficaci, malgrado ciò, molti terapeuti riferiscono di non
utilizzare i trattamenti supportati empiricamente. Vi è un notevole scarto
tra scienze pratica, e per ridurre questo scarto si fa ricorso a diverse
metodiche. LA DISSEMINAZIONE è il processo inteso ad agevolare, nella
pratica clinica quotidiana, l’adozione di trattamenti efficaci, il più delle
volte offrendo ai clinici linee guida sui migliori trattamenti disponibili
unitamente a una formazione su come ricondurre questi trattamenti.
La ricerca sulle cause del comportamento patologico può ricorrere in alcuni casi
ALL’ESPERIMENTO ANALOGICO: il ricercatore cerca di creare o di osservare in
laboratorio un fenomeno correlato a quello che interessa (cioè di produrre un
suo analogo) allo scopo di poter sottoporre ad analisi approfondite. Poiché si
conduce un vero esperimento, si possono ottenere risultati dotati di buona
validità interna. Sorge, tuttavia, il problema della validità esterna. Un esempio di
questo tipo di studi analogici utilizza gli animali come modelli del
comportamento umano. I risultati degli studi analogici e di quelli correlazionali
sono complementari. Gli studi analogici possono avere la precisione di un
esperimento (alta validità interna), mentre quelli correlazionali permettono di
determinare influenze importanti non suscettibili di essere manipolate (alta
validità esterna). In un ESPERIMENTO SUL CASO SINGOLO si studia come un
singolo individuo risponde alle manipolazioni della variabile indipendente.
Possono avere un’altra validità interna. In un tipo di esperimento sul caso
singolo chiamato DISEGNO A INVERSIONE O DISEGNO ABAB un qualche
aspetto del comportamento del soggetto deve essere accuratamente misurato
secondo una precisa sequenza:
1. durante un periodo iniziale (baseline) A;
2. durante una prima introduzione il trattamento B;
3. durante una fase in cui si stabiliscono le condizioni di baseline A;
4. durante la reintroduzione del trattamento B.
È adatto soprattutto alle situazioni in cui il ricercatore ritiene che la sua
manipolazione produca solo effetti temporanei. L’aspetto negativo di questo
disegno sperimentale è la potenziale mancanza di validità esterna: il fatto che
un certo trattamento abbia dimostrato di funzionare su un particolare individuo
non significa necessariamente che sia efficace anche su altri i risultati
potrebbero dipendere da aspetti peculiari di quella persona. La ricerca
sperimentale sul caso singolo può essere usata come prova dell’efficacia di un
trattamento.
L’INTEGRAZIONE DEI RISULTATI DI MOLTEPLICI STUDI
Non esiste un disegno di ricerca perfetto. Anzi, per sottoporre a verifica una
teoria spesso necessario ricorrere a una serie di studi differenti. Quando emerge
un risultato interessante, un obiettivo prioritario è quello di replicarlo con
decine di studi diversi ripetendo il lavoro, per vedere se dal nuovo studio
emerge lo stesso pattern di risultati. Un ricercatore che voglia trarre conclusioni
generali da una serie di ricerche deve leggere i vari studi sull’argomento,
esaminarli attentamente, quindi estrarre il significato complessivo. Lo
svantaggio di tale approccio è che i pregiudizi del singolo ricercatore e le sue
impressioni soggettive possono avere un ruolo significativo nel determinare il
tipo di conclusioni a cui giunge. IL METODO DELLE META-ANALISI è stato
sviluppato per fornire una parziale soluzione a questo problema. Essa si svolge
nelle seguenti fasi:
• Estesa ricerca nella letteratura specializzata, in modo da individuare gli
studi più rilevanti;
• Riunire e ridurre ad una scala comune tutti i risultati, utilizzando un
parametro chiamato EFFECT SIZE (DIMENSIONE DELL’EFFETTO), poiché
gli studi diversi utilizzano test statistici differenti. Viene calcolato l’effect
size entro ogni studio e l’effect size medio nei vari studi.
Il metodo della meta-analisi è anche oggetto di numerose critiche. Il problema
centrale è che a volte vengono inclusi in queste analisi anche studi di scarsa
qualità scientifica. Tuttavia, una buona meta-analisi espliciterà con chiarezza i
criteri in base ai quali scegliere gli studi da includere o da escludere.

CAPITOLO QUINTO

I DISTURBI DELL’UMORE.
I disturbi dell’umore comportano alterazioni della sfera emozionale gravi e
invalidanti, dall’estrema tristezza e distacco emotivo come nella depressione,
allo stato di estrema esaltazione e irritabilità della mania.
QUADRI CLINICI ED EPIDEMIOLOGIA DEI DISTURBI DELL’UMORE
Vi sono due ampie categorie di disturbi dell’umore: quelli che coinvolgono
soltanto SINTOMI DEPRESSIVI e quelli che coinvolgono SINTOMI MANIACALI
(disturbi bipolari).
❖ DISTURBI DEPRESSIVI: I sintomi principali della depressione sono uno
stato di profonda tristezza e incapacità di provare piacere. Quando una
persona sviluppa un disturbo depressivo, la sua mente può riempirsi di
recriminazioni rivolte contro se stessa: i pensieri di queste persone possono
focalizzarsi sui propri difetti e manchevolezze. Prestare attenzione può
diventare estenuante. Tendono a vedere le cose in una luce molto negativa e
a perdere la speranza. In queste persone può manifestarsi una grave perdita
di iniziativa. Il ritiro sociale è un sintomo molto comune nella depressione. La
depressione comporta anche sintomi fisici, come stanchezza e scarsa energia,
dolori. Sebbene queste persone si sentano esauste, possono avere notevoli
difficoltà a prendere sonno e possono svegliarsi spesso durante la notte. Le
persone depresse possono trovare i cibi privi di sapore e non sentire più
appetito o, al contrario, provare un notevole aumento dell’appetito. Vi è la
scomparsa dell’interesse sessuale. In alcuni casi si ha un rallentamento dei
pensieri dei movimenti RALLENTAMENTO PSICOMOTORIO, mentre in altri la
persona non riesce a stare seduta continua a camminare avanti e indietro,
agitando e torcendo le mani AGITAZIONE PSICOMOTORIA.

• DISTURBO DEPRESSIVO MAGGIORE DDM:


Sintomi:
1. Umore depresso
2. Marcata diminuzione di interessi e piaceri
3. Perdita di peso o modificazione dell’appetito
4. Dormire troppo o troppo poco
5. Agitazione o rallentamento psicomotorio
6. Mancanza di energia
7. Sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccesivi
8. Ridotta capacità di concentrazione
9. Pensieri ricorrenti di morte
I sintomi sono presenti quasi ogni giorno, per almeno due settimane il disturbo
depressivo maggiore è definito DISTURBO EPISODICO, poiché i sintomi tento ad
esserci per un periodo di tempo limitato. Per diagnosticare il disturbo
depressivo maggiore devono essere presenti almeno cinque sintomi (compresi
l’umore triste e la perdita di piacere)

• DISTURBO DEPRESSIVO PERSISTENTE (DISTIMIA):


Sintomi:
1. Scarso appetito o iperalimentazione
2. Insonnia o ipersonnia
3. Bassa autostima
4. Scarsa energia
5. Difficoltà a concentrarsi
6. Sentimenti di disperazione
Le persone affette da questo disturbo si sentono cronicamente di umore
depresso. Secondo il DSM-5, la persone si presenta con un umore depresso per
la maggior parte del giorno, protratto per la maggior parte de tempo nell’arco
di 2 anni. Nel periodo di manifestano almeno due dei precedenti sintomi.

• DISTURBO AFFETTIVO STAGIONALE (SAD):


la persona deve aver sperimentato episodi depressivi per due inverni, con
una remissione dei sintomi durante l’estate.
Gli episodi depressivi invernali vengono chiamati WINTER BLUES.
Si ritiene che il SAD sia correlato a modificazioni del livello di melatonina nel
cervello. La melatonina è una sostanza particolarmente sensibile
all’alternanza di luce e buio e viene rilasciata soltanto durante la notte. Le
persone con questo disturbo presentano durante l’inverno una maggiore
variazione dei livelli di melatonina rispetto a chi non ne soffre.
Il SAD risponde agli antidepressivi e alla terapia cognitivo comportamentale.

• DISTURBO DISFORICO PREMESTRUALE:


Sintomi:
1. Labilità affettiva
2. Irritabilità
3. Umore depresso
4. Diminuito interesse per attività abituali
5. Difficoltà a concentrarsi
6. Mancanza di energia
7. Cambiamenti d’appetito
8. Insonnia o ipersonnia
9. Sensazione soggettiva di oppressione e perdita di controllo
10. Sintomi fisici come: gonfiore al seno, dolori muscolari ecc.…
Nella maggioranza dei cicli mestruali, vi deve essere la manifestazione di
almeno cinque sintomi nella settimana precedente al ciclo e un miglioramento
nei giorni successi all’inizio del ciclo. I sintomi devono portare ad un grado
significativo di disagio o di compromissione del funzionamento. Tutto ciò deve
essere confermato da resoconti quotidiani per almeno due cicli mestruali.

• DISTURBO DA DISREGOLAZIONE DELL’UMORE DIROMPENTE:


Sintomi:
1. Gravi e ricorrenti esplosioni d’ira
2. Le esplosioni di collera non sono adeguate al livello di sviluppo
3. Le esplosioni di collera tendono a verificarsi almeno tre volte a
settimana
4. Tra uno scoppio di collera e l’altro, persiste la maggioranza dei giorni
di umore negativo
5. I sintomi sono presenti per almeno dodici mesi e la loro remissione
non supera i tre mesi ogni volta
6. Le esplosioni improvvise di collera e di umore negativo si manifestano
in almeno due ambienti (es. a casa e a scuola)
7. Età di sei anni o più
8. Esordio prima dei dieci anni
9. Nell’ultimo anno non c’è mai stato un periodo che durasse più di un
giorno in cui l’umore fosse elevato o si manifestassero almeno tre
sintomi maniacali
10. Questi comportamenti non si manifestano nel corso di un altro
disturbo psicotico dell’umore, e non sono attribuibili ad altri disturbi
11. Questa diagnosi NON può coesistere con il disturbo oppositivo
provocatorio, il disturbo esplosivo intermittente o il disturbo bipolare,
ma PUO’ coesistere con il disturbo depressivo maggiore, il disturbo da
deficit di attenzione con iperattività, il disturbo della condotta e il
disturbo da uso di sostanze.

❖ I DISTURBI BIPOLARI:
Nel DSM-5 si individuano tre forme di disturbo bipolare:
• Il disturbo bipolare I
• Il disturbo bipolare II
• Il disturbo ciclotimico
Ognuno di questi disturbi è caratterizzato da sintomi MANIACALI.
I disturbi bipolari si distinguono in base alla gravità e durata dei sintomi
maniacali.
Questi disturbi sono definiti bipolari perché la maggioranza degli individui che
manifestano i sintomi della mania esperiscono, nel corso dell’esistenza, anche
quelli della depressione (mania e depressione sono definite polarità opposte).
L’episodio depressivo non è necessario per la diagnosi del disturbo bipolare I,
invece è necessario per la diagnosi del disturbo bipolare II.
LA MANIA è uno stato di forte esaltazione o irritabilità accompagnato da
ulteriori sintomi. Durante un episodio maniacale spesso è presente un flusso di
parole che può essere difficile da interrompere e la persona può saltare
rapidamente da un argomento all’altro, dato questo che riflette LA FUGA DELLE
IDEE. Durante un episodio maniacale il soggetto può diventare socievole fino
all’invadenza e fin troppo sicuro di sé: spesso purtroppo incurante delle
possibili conseguenze disastrose dei suoi comportamenti, che possono andare
da rapporti sessuali a rischio, a spese superiori alle sue possibilità, a guida
imprudente. L’episodio maniacale tende a manifestarsi in modo rapido e
improvviso nell’arco di un giorno o due. Il senso di sconfinata energia, le
esplosioni di gioia e l’incredibile grandiosità degli obiettivi possono apparire
qualcosa di positivo, per cui alcuni non colgono negli improvvisi cambiamenti
un senso di malessere.
Il DSM-5 ha elaborato dei criteri diagnostici per l’episodio maniacale e
ipomaniacale:
• Umore chiaramente elevato o irritabile.
• Aumento abnorme dell’attività dell’energia
• Almeno tre dei seguenti sintomi devono mostrare un evidente
cambiamento rispetto alla condizione normale (quattro, se l’umore è
soltanto irritabile):
o aumento delle attività finalizzate o agitazione psicomotoria
o loquacità insolita; eloquio rapido
o fuga delle idee o impressione soggettiva di pensieri si susseguano
rapidamente
o diminuito bisogno di dormire
o aumento dell’autostima; convinzione di possedere talenti, poteri
o distraibilità, ovvero attenzione facilmente distratta
o eccessivo coinvolgimento in attività dalle probabili conseguenze
negative, come spese avventate, comportamenti sessuali a rischio,
guida imprudente.
o I sintomi sono presenti per la maggior parte del giorno, quasi ogni
giorno
Per l’episodio maniacale:
• i sintomi durano almeno una settimana o richiedere l’ospedalizzazione o
includono psicosi
• i sintomi causano disagio o compromissione del funzionamento
significativi
Per l’episodio ipomaniacale:
• I sintomi durano almeno quattro giorni
• I cambiamenti nel funzionamento sono chiaramente osservabile dagli altri,
ma la compromissione funzionale non è marcata
• Non sono presenti sintomi psicotici

➢ DISTURBO BIPOLARE I: In passato definito disturbo maniaco depressivo. I


criteri per la diagnosi di disturbo bipolare I comprendono un singolo
episodio maniacale nel corso dell’esistenza del soggetto. Una persona che
riceve una diagnosi di disturbo bipolare I può, oppure no, manifestare al
momento sintomi maniacali: un soggetto viene dunque diagnosticato affetto
da disturbo bipolare I anche se ha manifestato sintomi maniacali per una
settimana molti anni prima. In più della metà dei soggetti con disturbo
bipolare I di solito si verificano quattro o più episodi nell’arco dell’esistenza.

➢ DISTURBO BIPOLARE II: Forma più lieve di disturbo bipolare. Viene


diagnosticato se la persona ha avuto almeno un episodio di depressione
maggiore e almeno un episodio di ipomania.
➢ DISTURBO CICLOTIMICO (CICLOTIMIA): È il secondo disturbo cronico
dell’umore (l’altro è il disturbo distimico). Il soggetto presenta sintomi
frequenti ma lievi di depressione, alternati a sintomi lievi di mania. Il DSM-5
ha elaborato dei criteri diagnostici: per almeno due anni (un anno, se si tratta
di bambini o di adolescenti):
• numerosi periodi con sintomi ipomaniacali che non soddisfano i criteri per
l’episodio maniacale
• numerosi periodi con sintomi depressivi che non soddisfano i criteri per
l’episodio depressivo maggiore
I sintomi non scompaiono per più di due mesi ogni volta. I sintomi causano
un grado significativo di disagio o di compromissione funzionale.
Il disturbo bipolare I è molto più raro della disturbo depressivo maggiore DDM.
L’esordio della condizione avviene nella metà dei casi prima dei 25 anni. I
disturbi bipolari colpiscono con la stessa frequenza sia gli uomini che le donne.
Circa due terzi delle persone che hanno ricevuto una diagnosi di disturbo
bipolare soddisfano i criteri per un disturbo d’ansia associato, e più di un terzo
riporta una storia di abuso di sostanze. Il disturbo bipolare I è tra le forme più
gravi di psicopatologia. I tassi di suicidio sono elevati sia nel caso di disturbo
bipolare I sia nella II.
EZIOLOGIA DEI DISTURBI DELL’UMORE
Le ricerche sull’eziologia e il trattamento di tali disturbi si sono focalizzate sulla
depressione maggiore e sul disturbo bipolare I.
▪ FATTORI GENETICI: Il disturbo bipolare è tra i disturbo mentali che
presentano un’ereditarietà più alta. I disturbi dell’umore sono assai complessi
ed eterogenei, è altamente improbabile che queste condizioni patologiche
possano trovare spiegazione nell’attività di un singolo gene. Un polimorfismo
del gene per il trasportatore della serotonina pare collegato al DDM. Il
possedere almeno un allele breve di un certo gene era associato con un’alta
reattività allo stress. Alcune persone possono ereditare la propensione ad
avere un sistema serotoninergico più debole, il che trova poi espressione in
una maggior probabilità di esperire la depressione in seguito a
maltrattamenti nell’infanzia o a gravi fattori di stress in età adulta. Le ricerche
sul possibile ruolo svolto dai neurotrasmettitori nei disturbi dell’umore si
sono incentrate soprattutto su tre di queste sostanze:
1. la noradrenalina
2. la dopamina
3. la serotonina.
LA DOPAMINA svolge un ruolo fondamentale nel sistema cerebrale della
ricompensa, che si ritiene controlli il piacere, la motivazione e il livello di
energia nei contesti in cui la persona ha la possibilità di ottenere una
ricompensa. Alcune ricerche sembrano suggerire una diminuita funzionalità
del sistema dopaminergico possa contribuire a spiegare la diminuzione di
piacere, di motivazione e di energia che si osservano nel DDM. Nel disturbo
bipolare potrebbe esserci un’ipersensibilità dei recettori per la dopamina, il
che spiegherebbe gli eccessi di energia e di euforia che accompagnano gli
episodi maniacali. I soggetti vulnerabili alla depressione, ma anche al
disturbo bipolare, hanno dei recettori per la serotonina iposensibili, così che
un abbassamento del neurotrasmettitore provoca una risposta più intensa.

▪ FUNZIONAMENTO CEREBRALE: IL NUCLEO ACCUMBENS, una specifica


regione del CORPO STRIATO, è una componente centrale del sistema
cerebrale della ricompensa. La mancanza di attività nel corpo striato in
risposta a un feedback positivo, quindi, può contribuire a spiegare perché le
persone che soffrono di depressione si sentono meno motivate a godere di
eventi positivi nella loro vita. Nelle persone affette da depressione sembra
essere presente un’iperattività dell’amigdala, che provoca un’ipersensibilità
agli stimoli emotivi, una compromissione dei sistemi coinvolti nella
regolazione delle emozioni (giro del cingolo anteriore, ippocampo e corteccia
prefrontale), un’ipoattivazione delle regioni neurali coinvolte nella risposta
alle ricompense. Molte delle strutture coinvolte nel DDM sembrano avere un
ruolo anche nel disturbo bipolare, con un’importante differenza: le persone
con disturbo bipolare tendono a presentare un’elevata attivazione dello
striato, in contrasto con il basso livello di attivazione nel DDM.

▪ SISTEMA NEUROENDOCRINO: L’asse HPA può essere iperattivo durante gli


episodi di DDM. A sua volta l’asse HPA provoca il rilascio di cortisolo, il
principale ormone dello stress. Diversi risultati legano la depressione a livelli
elevati di cortisolo. Anche il disturbo bipolare è caratterizzato da scarsa
regolazione del sistema del cortisolo.

▪ FATTORI SOCIALI E PSICOLOGICI NELL’EZIOLOGIA DELLA DEPRESSIONE: I


problemi interpersonali sono molto comuni tra le persone che soffrono di
depressione, ma il dimostrare che tra le 2 cose vi sia una relazione causa-
effetto richiede ben di più del semplice documentare questa correlazione. È
molto probabile che i sintomi depressivi contribuiscano alle difficoltà nelle
relazioni interpersonali. Per dimostrare che i problemi nelle relazioni
interpersonali non sono soltanto un effetto dei sintomi depressivi, è di
estrema importanza disporre di studi longitudinali. Tra le variabili
interpersonali che precedono e prevedono l’esordio di episodi depressivi ci
sono:
1. eventi avversi durante l’infanzia (perdita di un genitore, abusi fisici o
sessuali)
2. eventi esistenziali negativi (perdita di lavoro, di un’amicizia, di una
persona cara, di una relazione sentimentale)
3. mancanza di supporto sociale, critiche e rimproveri all’interno del contesto
familiare (alta emotività espressa)
4. bisogno eccessivo di rassicurazione interpersonale.
Ci sono svariati fattori di personalità e cognitivi che agiscono come diatesi,
facendo aumentare il rischio di depressione in un contesto di fattori
stressanti. IL NEVROTICISMO è un tratto di personalità che corrisponde alla
tendenza a reagire gli eventi con emozioni negative superiori alla media.
Diversi studi longitudinali suggeriscono che possa essere un fattore
predittivo dell’insorgere di un disturbo depressivo. Secondo le TEORIE
COGNITIVE, pensieri convinzioni negativi sono fra le cause principali della
depressione.
▪ TEORIE DI BECK: la depressione è associata ad un TRIADE NEGATIVA, una
visione negativa di sé, del mondo del futuro. Le persone che soffrono di
depressione hanno acquisito SCHEMI DI PENSIERO NEGATIVI. Una volta
attivati, gli schemi negativi sono la causa delle DISTORSIONI COGNITIVE, cioè
tendenze a elaborare informazioni, pensieri e atteggiamenti in modalità
negative.

▪ LA HOPELESS THEORY (TEORIA DELLA DISPERAZIONE): il più importante


fattore dominante nella depressione è la DISPERAZIONE, caratterizzata dalla
convinzione che non si verificherà alcun esito desiderabile e che la persone
non può far nulla per risolvere la situazione.

▪ LA TEORIA DELLA RUMINAZIONE: il rischio di depressione possa aumentare


a causa di una particolare modalità di pensiero, LA RUMINAZIONE, è definita
come la tendenza a ritornare di continuo con la mente alle esperienze tristi.
La forma più dannosa è continuare a chiedersi perché un certo episodio è
potuto accadere.

▪ FATTORI SOCIALI E PSICOLOGICI NELL’EZIOLOGIA DEL DISTURBO BIPOLARE:


la maggioranza delle persone che nel corso dell’esistenza manifestano un
episodio maniacale fa esperienza anche di un episodio di depressione
maggiore:
• Sensibilità alla ricompensa: La mania riflette un disturbo nel sistema
cerebrale della ricompensa. L’elevata sensibilità alla ricompensa è un
fattore predittivo per l’insorgere del disturbo bipolare e per un decorso
più grave del disturbo maniacale dopo il suo esordio. Eventi segnati dal
successo possono comunque portare a un peggioramento dei sintomi
maniacali perché portano sul piano cognitivo a cambiamenti della fiducia
in sé stessi

• Disturbi del sonno: La deprivazione di sonno può precedere l’esordio di


episodi maniacali. Preservare il sonno può ridurre sintomi di un disturbo
bipolare.

IL TRATTAMENTO DEI DISTURBI DELL’UMORE


Questi trattamenti sono simili in quanto relativamente brevi e incentrati sul “qui”
e “ora”.
o LA PSICOTERAPIA INTERPERSONALE (IPT): questa terapia è incentrata sul
concetto che la depressione sia strettamente legata a problemi nelle
relazioni interpersonali: cambiamenti di ruolo, conflitti, lutti e isolamenti
sociali. Le tecniche includono la discussione dei problemi interpersonali
del paziente, l'esplorazione dei suoi sentimenti negativi e
l'incoraggiamento ad esprimere, il miglioramento della comunicazione sia
verbale che non verbale e della capacità di risolvere problemi.

o LA TERAPIA COGNITIVA: Beck e collaboratori hanno elaborato una terapia


cognitiva finalizzata a modificare queste modalità disadattive di pensiero.
Il terapeuta insegna al cliente che il nostro pensiero può influenzare
moltissimo il nostro umore. Il terapeuta chiede talvolta al cliente di
effettuare un automonitoraggio quotidiano, cioè di tenere per tutta la
settimana una registrazione completa dei suoi pensieri negativi. Si pone
particolare enfasi sulla RISTRUTTURAZIONE COGNITIVA, il lavoro di
persuasione che il terapeuta deve compiere per portare il paziente a
concepire pensieri meno negativi. La terapia di Beck include anche
L’ATTIVAZIONE COMPORTAMENTALE in cui pazienti vengono incoraggiati
a impegnarsi in attività piacevoli e che possono portarli a concepire
pensieri positivi su di sé e sulla propria vita. In seguito, abbiamo la terapia
cognitiva basata sulla MINDFULNESS, che si focalizza sulla prevenzione
delle ricadute. Lo scopo della mindfulness è insegnare alle persone a
riconoscere quando incominciano a sentirsi depresse e a cercare di
adottare quella che può essere definita una prospettiva decentrata, cioè
considerare i propri pensieri come “eventi mentali”, anziché un aspetto
cruciale di se stessi o un riflesso accurato della realtà. Le terapie di
attivazione comportamentale cerca perciò di stimolare la partecipazione
del paziente ad attività che possono portargli rinforzi positivi, in modo da
rompere il circolo vizioso depressione-ritiro-evitamento sociale. La
depressione è spesso collegata a problemi di relazione, compresi i
conflitti coniugali e familiari. Quando la persona che soffre di depressione
si trova ad affrontare problemi di coppia, questa terapia è efficace
nell'alleviare i sintomi depressivi tanto quanto una terapia cognitiva
individuale o quanto un trattamento con farmaci antidepressivi.

o IL TRATTAMENTO PSICOLOGICO DEL DISTURBO BIPOLARE: La terapia


farmacologica è una componente necessaria del trattamento del disturbo
bipolare, ma a essa si possono affiancare anche trattamenti psicologici. Gli
interventi psicoeducativi aiutano le persone a conoscere i sintomi del
proprio disturbo, il decorso, i fattori psicologici e biologici che possono
scatenarne i sintomi e le varie strategie di trattamento. Questi interventi
possono anche aiutare le persone a capire le ragioni per cui devono
assumere i farmaci anche dopo la scomparsa dei sintomi, dato che circa la
metà dei soggetti trattati non assume farmaci con costanza. Centrali per
questo disturbo sono la terapia cognitiva e la terapia familiare, in cui si
educa l’'intera famiglia agli aspetti del disturbo, si mira alla comunicazione
tra i membri e sviluppare le loro capacità di risolvere problemi.

o METODI BIOLOGICI DEL TRATTAMENTO DEI DISTURBI DELL’UMORE: Uno


di questi è la TERAPIA ELETTROCONVULSIONANTE DELLA DEPRESSIONE,
che consiste nell'induzione deliberata della crisi convulsiva con
temporanea perdita di coscienza, inviando dal cervello del paziente una
corrente elettrica, su un solo lato della fronte. Il paziente si risveglia senza
ricordare nulla del trattamento e prima viene sedato. È il trattamento più
drastico ed è limitato ai casi di DDM che non rispondono ai farmaci. La
terapia farmacologica dei disturbi depressivi è quella più diffusa e più
studiata.
Le tre classi principali di farmaci utilizzati sono:
1. gli inibitori delle monoamminoossidasi I-MAO,
2. gli antidepressivi triciclici,
3. gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina SSRI.
L’efficacia di questi tre farmaci è la stessa.
Gli antidepressivi agiscono più in fretta della psicoterapia, fornendo alle
persone sollievo immediato. La psicoterapia può richiedere più tempo, ma
può aiutare le persone ad apprendere abilità di cui possono avvalersi
anche a trattamento terminato, abilità che le possono aiutare a
proteggersi contro il rischio di ricaduta

Per quanto riguarda il TRATTAMENTO FARMACOLOGICO DEL DISTURBO


BIPOLARE, i farmaci che riducono i sintomi maniacali sono detti
stabilizzatori dell'umore. IL LITIO è quello più utilizzato. Il litio deve essere
prescritto con estrema cautela poiché si rischia un’intossicazione. Altri
farmaci che si possono usare, ma che hanno più effetti collaterali sono i
farmaci anticonvulsivanti e gli antipsicotici.

Il SUICIDIO
Per IDEAZIONE SUICIDARIA si intendono i pensieri di uccidersi; è molto più
comune dei tentativi di suicidio. Per TENTATIVI DI SUICIDIO si intendono i
comportamenti tesi a causare la morte del soggetto ma che non raggiungono lo
scopo. Il termine SUICIDIO include quei comportamenti tesi a provocare la morte
del soggetto che riescono nel loro intento. L’AUTOLESIONISMO SENZA INTENTI
SUICIDI (NSSI) sono quei comportamenti che tesi a provocare un danno fisico
immediato senza però l'intenzione di uccidersi. I tassi di suicidio sono più alti
nelle regioni in cui è più diffuso il possesso di armi da fuoco. La probabilità di
commettere suicidio è quattro volte più alta negli uomini che nelle donne. Gli
uomini in genere scelgono di spararsi o di impiccarsi mentre le donne tendono
a servirsi dei sonniferi.
• FATTORI DI RISCHIO: È un atto di tale complessità che nessuna singola
teoria può sperare di darne una spiegazione completa. Molte persone che
soffrono di un disturbo dell'umore arrivano concepire idee suicide, e
alcuni anche a metterle in pratica. Circa il 90% delle persone che tentano
il suicidio soffre di disturbo mentale. Oltre ai disturbi depressivi, si
associano al suicidio anche i disturbi bipolari, la schizofrenia, i disturbi del
controllo degli impulsi, i disturbi da uso di sostanze, il PTSD, il disturbo
borderline di personalità, il disturbo di panico e i disturbi
dell’alimentazione. Gli studi di gemelli indicano che il tentativo di suicidio
a un’ereditabilità del 48%. Esiste un collegamento fra bassi livelli di
serotonina e suicidio. È stato dimostrato che gli eventi economici e sociali
influenzano il tasso di suicidio, L’isolamento sociale e la mancanza di
appartenenza sociale sono i fattori più predittivi dell’ideazione e dei
comportamenti suicidari. Il suicidio può avere molti significati: può avere
lo scopo di indurre negli altri sensi di colpa; essere un estremo tentativo
di farsi amare dagli altri o di riparare a colpe che il suicida ritiene di aver
commesso; oppure il modo per liberarsi da sentimenti percepiti come
inaccettabili. Alcuni ricercatori mettono in relazione il suicidio con la
difficoltà nel risolvere problemi. La logica porta a prevedere che una
persona con difficoltà a risolvere i problemi sia più vulnerabile alla
disperazione. Una linea di ricerca si è sviluppata attorno al Reason for
Living Inventory, i cui i valori importanti del soggetto. Le persone con più
ragioni per vivere hanno minori tendenze suicide rispetto a chi di quelle
ragioni ne ha meno.

• LA PREVENZIONE DEL SUICIDIO: Contrariamente all'opinione diffusa di


parlare del suicidio renda lo stesso più probabile, i clinici sanno quanto
sia utile parlarne in termini molto aperti e concreti. Per mettere a una
persona di parlare liberamente dei suoi pensieri suicidi può aiutarla a
liberarsi da un senso opprimente di isolamento. Le persone sono
ambivalenti riguardo alle loro intenzioni suicide e in qualche modo
riescono spesso a comunicarle. Un modo di affrontare il tema della
prevenzione del suicidio e tener conto del fatto che molte persone che
arrivano a togliersi la vita soffrono di un disturbo mentale. Perciò, quando
la terapia riesce ad alleviare la depressione impaziente, diminuisce il
rischio di suicidio. La terapia cognitiva di Beck, la terapia dialettico
comportamentale di Marsha Linean per il disturbo borderline di
personalità e i farmaci per il trattamento dei disturbi dell’umore
diminuiscono il rischio di suicidio. Le TERAPIE COGNITIVO-
COMPORTAMENTALI, sembrano essere le più promettenti nel ridurre la
condotta suicidaria, poiché includono una serie di strategie per la
prevenzione del suicidio: il terapeuta aiuta il paziente a capire quali
emozioni o pensieri gli suscitano l'impulso di suicidarsi e lavorano insieme
per aiutarlo a mettere in discussione i suoi pensieri negativi e a
individuare nuove modalità per sopportare il distress emozionale.

Capitolo sesto

I DISTURBI D’ANSIA.
Nel gruppo di disturbi definiti DISTURBI D’ANSIA, l’ansia e la paura hanno un
ruolo rilevante. L’ANSIA è definita come il senso di apprensione che si prova
nell’anticipazione di un certo problema, riguarda quindi una minaccia futura. LA
PAURA è invece una reazione ad un pericolo immediato, riguarda quindi una
minaccia presente. Sia l’ansia, sia la paura implicano uno stato di AROUSAL, cioè
di attivazione del sistema nervoso simpatico. in alcuni disturbi d’ansia, il sistema
deputato alla paura non funziona adeguatamente e la persona prova paura
senza che nell’ambiente circostante sia presente un vero pericolo. I disturbi
d’ansia costituiscono la diagnosi psichiatrica più comune, e particolarmente
comuni sono le fobie. Sono associati a un rischio maggiore per le malattie
cardiovascolari. Sono disturbi che comportano costi molto alti, per la società e
per gli individui che ne soffrono.
QUADRI CLINICI DEI DISTURBI D’ANSIA
Per ogni disturbo i sintomi devono soddisfare precisi criteri, indicati nel DSM-5,
perché possa essere tratta la diagnosi:
• devono interferire con le principali aree funzionali dell’individuo, o causare
marcato distress
• non devono essere causati da un farmaco o da una condizione medica
• i sintomi persistono per almeno 6 mesi o almeno 1 mese per il disturbo di
panico
• i sintomi d’ansia o paura si distinguono da quelli di un altro disturbo
d’ansia.

❖ FOBIE SPECIFICHE:
Criteri diagnostici del DSM-5:
1. paura marcata e sproporzionata, provocata costantemente da
particolari oggetti o situazioni
2. l’oggetto (o la situazione) viene evitato o sopportato con intensa ansia.
Per FOBIE SPECIFICA si intendono paura sproporzionata, provocata da un
oggetto o da una situazione particolare. La persona riconosce che la sua paura
è eccessiva e tuttavia è disposta a fare sforzi notevoli pur di evitare l’oggetto o
la situazione che la provoca. Due delle forme più comuni di fobia specifica sono
la CLAUSTROFOBIA (paura degli spazi angusti chiusi) e l’ACROFOBIA (paura
delle altezze). Un individuo affetto da una fobia specifica ha molte probabilità di
soffrire anche di un altro tipo di fobia specifica, ovvero tra le fobie specifiche vi
è un’elevata comorbilità.
❖ IL DISTURBO D’ANSIA SOCIALE:
criteri diagnostici del DSM-5:
1. paura marcata e sproporzionata, costantemente provocata
dall’esposizione al possibile giudizio degli altri.
2. l’esposizione alla situazione temuta provoca un intensa ansia di
ricevere un giudizio negativo
3. le situazioni temute sono evitate o sopportate con intensa ansia
Si definisce DISTURBO D’ANSIA SOCIALE una paura intensa, irrazionale e
persistente, delle situazioni sociali che potrebbero implicare l’essere sottoposti
al giudizio di persone sconosciute o anche soltanto esposti alla loro presenza.
Le persone che soffrono di questo disturbo in generale cercano di evitare
situazioni in cui potrebbero essere oggetto di valutazione da parte degli altri o
mostrare segni di ansia imbarazzo. Anche se questi sintomi possono apparire
simili alla timidezza, le persone che soffrono di disturbo d’ansia sociale
mostrano una tendenza più forte evitare situazioni sociali, provano disagio
maggiore ed esperiscono tali sintomi per periodi più lunghi della loro vita. Il
disturbo d’ansia sociale insorge solitamente durante l’adolescenza. Almeno un
terzo degli individui che soffrono di disturbo d’ansia sociale soddisfa i criteri per
la diagnosi di disturbo evitante di personalità.
❖ IL DISTURBO DI PANICO:
criteri diagnostici del DSM-5:
1. ricorrenti attacchi di panico inaspettati.
2. protrarsi per almeno un mese di preoccupazione per la possibilità di
nuovi attacchi, preoccupazione per le conseguenze di un attacco o
modificazioni disadattativi del comportamento causate dagli attacchi
Un ATTACCO DI PANICO è un attacco improvviso di intensa apprensione, terrore
e sensazione di disastro incombente, accompagnati da almeno altri quattro
sintomi dei seguenti: palpitazioni, sudorazione, tremori fini o grandi scosse,
dispnea o sensazione di soffocamento, sensazione di asfissia, dolore o fastidio
al petto, nausea o disturbi addominali, sensazione di vertigine, di stabilità, di
testa leggera o di svenimento, brividi o vampate di calore, parestesie,
derealizzazione (un senso di irrealtà del mondo), depersonalizzazione
(percepirsi come di fuori del proprio corpo), paura di perdere il controllo o di
impazzire, paura di morire. L’attacco di panico può essere visto come un mal
funzionamento del sistema che presiede alla paura: sul piano fisiologico, la
persona sperimenta un livello di attivazione del sistema nervoso simpatico
analogo a quello che la maggioranza delle persone sperimenterebbe di fronte a
una minaccia immediata. Per porre una diagnosi di disturbo di panico è
necessario che il soggetto soffra di ricorrenti attacchi inaspettati. L’esperienza
occasionale di un attacco di panico è abbastanza comune. Questo disturbo
comunemente sorge in adolescenza.
❖ AGORAFOBIA:
criteri diagnostici del DSM-5:
1. paura o ansia marcate relative ad almeno due situazioni in cui
sarebbe difficile fuggire o affidabilità ricevere aiuto, nel caso che i
sintomi analoghi al panico prendessero il sopravvento e rendessero
soggetto incapace di reagire; ad esempio essere fuori casa da soli,
utilizzare dei mezzi di trasporto pubblici.
2. queste situazioni provocano costantemente paura o ansia
3. queste situazioni vengono evitate, o richiedono la presenza di un
accompagnatore, o sono sopportate con paura e ansia intense
Molte persone che soffrono di AGORAFOBIA sono praticamente incapaci di
uscire di casa e quelli che ci riescono lo fanno con profondo malessere. Nel
DSM-IV-TR l’agorafobia è stata classificata come un sottotipo del disturbo di
panico; nel DSM-5 l’agorafobia individuata come categoria diagnostica a sé. La
metà dei soggetti con sintomi dell’agorafobia non esperisce mai attacchi di
panico.
❖ IL DISTURBO D’ANSIA GENERALIZZATO (GAD):
criteri diagnostici del DSM-5:
1. ansia e preoccupazioni eccessive che si manifestano per almeno il
50% dei giorni relative a un gran numero di eventi o attività.
2. l’ansia e la preoccupazione persistente sono associate a tre o più
dei seguenti sintomi (uno per i bambini):
o irrequietezza o sentirsi agitati o con i nervi a fior di pelle
o facile affaticamento
o difficoltà concentrarsi o sensazione di mente vuota
o irritabilità
o tensione muscolare
o alterazione del sonno
La principale caratteristica di questo disturbo è LA PREOCCUPAZIONE
PERSISTENTE: le persone che ne soffrono sono costantemente preoccupate,
spesso per cose di minore importanza. Il termine preoccupazione indica la
tendenza cognitiva a rimuginare su un problema senza riuscire a staccarsene.
Gli aspetti di vita su cui si incentra le preoccupazioni delle persone affette da
disturbo d’ansia generalizzato sono simili a quelle che angustiano la maggior
parte delle persone (relazioni, salute, situazione economica), ma queste sono
però più intense persistenti, tanto da interferire con la vita dell’individuo.
L’esordio del GAD avviene tipicamente nell’adolescenza e spesso si cronicizza.
FATTORI DI RISCHIO
• CONDIZIONAMENTO DELLA PAURA: La teoria comportamentale di disturbi
d’ansia è incentrata sui processi di condizionamento. La teoria BIFATTORIALE
DI MOWRER presuppone che lo sviluppo di un disturbo d’ansia avvenga in
due fasi:
1. attraverso un processo di CONDIZIONAMENTO CLASSICO.
2. attraverso un processo di CONDIZIONAMENTO OPERANTE.
Le modalità con cui può realizzarsi il condizionamento classico sono per
esperienza diretta, per esperienza vicaria, mediante indicazioni verbali. Persone
affette da un disturbo d’ansia sembrano mostrare una maggiore propensione ad
acquisire paure attraverso condizionamento classico una volta acquisite.
• FATTORI GENETICI: Gli studi sui gemelli suggeriscono un’ereditabilità del 20-
40% per le fobie specifiche, il disturbo d’ansia sociale e il GAD e del 50%
circa per il disturbo di panico

• FATTORI NEUROBIOLOGICI: Un insieme di strutture cerebrali, detto circuito


della paura, tende ad attivarsi quando le persone sono in preda all’ansia o
alla paura. Un’importante componente del circuito è l’amigdala. Molti dei
disturbi d’ansia si spiegano con un’iperattività nel circuito cerebrale della
paura, in particolare nell’amigdala. La corteccia prefrontale mediale
contribuisce a regolare l’attività dell’amigdala. I disturbi d’ansia manifestano
una minore attività nella corteccia quando vedono e valutano stimoli
minacciosi.

• TRATTI DELLA PERSONALITA’: Alcuni bambini manifestano INIBIZIONE


COMPORTAMENTALE, cioè la tendenza ad agitarsi e a piangere quando si
trovano di fronte a giocattoli, persone o altri stimoli, che non conoscono.
Questa modalità comportamentale può essere ereditaria e può creare un
terreno favorevole al futuro sviluppo di disturbi d’ansia. Persone con elevati
livelli di NEVROTICISMO hanno una probabilità più che doppia di sviluppare
un disturbo d’ansia rispetto persone con bassi livelli.

• FATTORI COGNITIVI: Persone con disturbi d’ansia spesso riferiscono di avere


CONVINZIONI NEGATIVE PERSISTENTI RIGUARDO AL FUTURO. Il punto non è
capire perché all’inizio si producano pensieri così negativi, ma piuttosto
perché persistano: una delle ragioni per cui persistono è che gli individui
agiscono pensano con modalità tali da mantenere queste convinzioni per
proteggersi dalle conseguenze che temono, mettono in atto
COMPORTAMENTI DI SALVAGUARDIA e arrivano a convincersi di essere
ancora in vita solo grazie ai loro comportamenti auto protettivi. Questi
comportamenti permettono dunque ad una persona di mantenere le proprie
convinzioni negative. I soggetti con disturbo d’ansia in genere dicono di
percepire uno SCARSO SENSO DI CONTROLLO sul proprio ambiente. I
disturbi d’ansia spesso si sviluppano dopo eventi esistenziali drammatici, che
mettono in discussione il senso di controllo dell’individuo. Le persone con i
disturbi d’ansia prestano maggiore attenzione alle minacce, agli indizi
negativi presenti nell’ambiente.
EZIOLOGIA DEGLI SPECIFICI DISTURBI D’ANSIA.
▪ EZIOLOGIA DELLE FOBIE SPECIFICHE: Il modello dominante è quello
bifattoriale del condizionamento. Sebbene le esperienze di
condizionamento fossero piuttosto comuni, circa la metà dei soggetti
intervistati non fu in grado di ricordare esperienze di quel genere. I
sostenitori di questa teoria affermano che è possibile dimenticare le
esperienze condizionanti. Inoltre, tra coloro che hanno vissuto
un’esperienza minacciosa non sempre si sviluppa una fobia ma dipenda
dalla vulnerabilità genitiva, dal nevroticismo, dalle cognizioni negative e
dalla propensione al condizionamento. È stata avanzata l’ipotesi che,
durante l’evoluzione della nostra specie, gli esseri umani abbiano appreso
a reagire con particolare forza a stimoli che possono rappresentare una
minaccia per l’individuo, come le altezze, i serpenti e gli esseri aggressivi.
Si parla perciò di APPRENDIMENTO PREDISPOSTO
EVOLUZIONISTICAMENTE.

▪ EZIOLOGIA DEL DISTURBO D’ANSIA SOCIALE: Questo disturbo può essere


spiegato sia con il modello bifattoriale dei processi di condizionamento, in
cui una persona può avere un’esperienza sociale negativa e poi evitare le
esperienze simili, oppure secondo una prospettiva più cognitivista, in cui
le persone con un disturbo d’ansia sociale tendono ad avere
un’ECCESSIVA FOCALIZZAZIONE SU AUTOVALUTAZIONI NEGATIVE. Le
persone sembrano avere pensieri negativi non realistici circa le
conseguenze dei propri comportamenti sociali e a preoccuparsi di come
vengono percepiti dagli altri.

▪ EZIOLOGIA DEL DISTURBO DI PANICO: Una particolare componente del


circuito della paura, il LOCUS COERULEUS, è cruciale per il disturbo di
panico. Esso è la principale fonte di NORADRENALINA. L’aumento del
livello di noradrenalina è una risposta naturale allo stress. Il disturbo da
attacco di panico è probabilmente dovuto a dei livelli di produzione più
alti di noradrenalina nelle persone con attacco di panico. Gli attacchi di
panico sono spesso scatenati dalla percezione del proprio stato di
attivazione corporea. Secondo questa teoria, gli attacchi di panico sono
risposte condizionate tramite condizionamento classico a situazioni che
provocano ansia. Si parla di CONDIZIONAMENTO ENTEROCETTIVO: la
persona avverte i sintomi somatici dell’ansia, seguiti da un primo attacco
di panico; da quel momento gli attacchi diventano una risposta
condizionata a modificazioni somatiche. La teoria cognitiva sulle cause del
disturbo di panico è incentrata sulla tendenza del soggetto
all’interpretazione catastrofica delle proprie modificazioni somatiche. Gli
attacchi di panico insorgono quando una persona interpreta le proprie
sensazioni corporee come segni di un disastro incombente.

▪ EZIOLOGIA DELL’AGORAFOBIA: Il principale modello cognitivo per


spiegare l’eziologia dell’agorafobia è la cosiddetta IPOTESI DELLA
“PAURA DELLA PAURA”, secondo la quale l’agorafobia è dovuta ai
pensieri negativi circa le conseguenze dell’esperire in pubblico sintomi
d’ansia.

▪ EZIOLOGIA DEL DISTURBO D’ANSIA GENERALIZZATO: Il disturbo d’ansia


generalizzato tende a presentarsi in associazione con altri disturbi d’ansia.
Il GAD sembra essere caratterizzato dalla tendenza a esperire un disagio
generale piuttosto che una specifica, intesa paura. Il GAD è correlato con
un profilo più amorfo di malessere generale. Lo stato di preoccupazione
agisce da rinforzo, poiché distrae le persone da emozioni e immagini
negative molto più potenti. La preoccupazione è una sorta di continuo
ripetere fra sé cose negative che potrebbero accadere, senza tuttavia che
ciò implichi forti emozioni. Tramite la preoccupazione persistente, coloro
che soffrono di GAD possono evitare emozioni spiacevoli che sarebbero
ben più forti della preoccupazione, ma in conseguenza di questo
evitamento, l’ansia sottostante relativa a quelle immagini non si estingue.

TRATTAMENTO DEI DISTURBI D’ANSIA


Le persone che cercano un trattamento per un disturbo d’ansia si rivolgono,
nella grande maggioranza, unicamente al medico di famiglia. nella maggior
parte dei casi viene loro offerto unicamente un trattamento farmacologico.
• ASPETTI COMUNI DEI TRATTAMENTI PSICOLOGICI: I trattamenti e caci per
i disturbi d’ansia condividono un elemento cruciale: L’ESPOSIZIONE, cioè
il soggetto deve confrontarsi proprio con ciò che ritiene troppo
spaventoso per essere affrontato. I terapeuti di diverso orientamento
teorico sono tutti concordi sulla necessità di confrontarsi con le proprie
paure (anche quelli di formazione psicoanalitica). Benché l’esposizione sia
un aspetto fondamentale di molte terapie cognitivo- comportamentali
(CBT), esse si differiscono molto nelle loro strategie. LA
DESENSIBILIZZAZIONE SISTEMATICA implica far apprendere al paziente
strategie di rilassamento, che poi il paziente usa per rilassarsi mentre ben
esposto ad una gerarchia di situazioni temute, che ha messo a punto
insieme terapeuta, partendo dalla situazione che li provoca meno paura
fino ad arrivare alla più temuta. L’interpretazione comportamentale
sostiene che l’esposizione funziona tramite L’ESTINZIONE DELLA
RISPOSTA DI PAURA, l’estinzione non è un meccanismo di cancellazione,
non cancella la paura sottostante ma implica l’apprendimento di nuove
associazioni con gli stimoli collegati all’oggetto o alla situazione di paura.
GLI APPROCCI COGNITIVI al trattamento dei disturbi d’ansia sono
incentrati sul mettere in discussione sia le convinzioni sulla probabilità di
conseguenze negative durante il confronto con la situazione ansiogena e
sia l’aspettativa di non essere in grado di far fronte sintomi dell’ansia.
Talvolta si utilizza anche la REALTA’ VIRTUALE per simulare le situazioni
temute dal soggetto.

• IL TRATTAMENTO PSICOLOGICO DI DISTURBI D’ANSIA SPECIFICI:


L’esposizione è utilizzata per ogni tipo di disturbo d’ansia.

• IL TRATTAMENTO PSICOLOGICO PER LE FOBIE: Per le fobie, i tipi di


trattamenti comprendono l’esposizione in vivo agli oggetti temuti. Benché
la desensibilizzazione sistematica sia efficace, l’esposizione in vivo sembra
esserlo di più

• IL TRATTAMENTO PSICOLOGICO PER IL DISTURBO D’ANSIA SOCIALE:


L’esposizione appare efficace anche per il trattamento del disturbo d’ansia
sociale. In questi casi si inizia con la pratica di ROLE PLAYING sotto la
supervisione del terapeuta durante sedute individuali o in piccoli gruppi,
per poi affrontare l’esposizione a situazioni sociali in pubblico. In seguito
ad esposizione prolungata, l’ansia in genere si estingue. È importante che
la persona con disturbo s’ansia sociale non faccia uso di comportamenti
protettivi.

• IL TRATTAMENTO PSICOLOGICO PER IL DISTURBO DI PANICO: La CBT


prevede per il disturbo di panico, la TERAPIA DEL CONTROLLO DEL
PANICO (PCT) basata sulla tendenza di chi soffre di questo disturbo a
reagire in modo eccessivo alle proprie sensazioni fisiche. Il metodo si basa
sull’esposizione: il terapeuta spinge il paziente a suscitare
deliberatamente le sensazioni associate al panico. Il soggetto comincia
esperire sensazioni come capogiri, bocca secca, battito cardiaco
accelerato (segni di un attacco), ma in condizioni di sicurezza; può quindi
allenarsi a mettere in atto strategie di coping per controllare i sintomi
somatici. Un altro tipo di trattamento del disturbo di panico è stato
sviluppato da Clark, ed è incentrato su aiutare il paziente ad individuare e
affrontare i pensieri. che lo porta a percepire come una minaccia le
proprie sensazioni fisiche. È un metodo utile al completamento del
metodo di esposizione. Nel metodo psicodinamico, i terapeuti aiutano i
pazienti ad acquisire consapevolezza su aspetti probabilmente coinvolti
con gli attacchi di panico, come problemi di rabbia, di autonomia o dovuti
ad una separazione.

• IL TRATTAMENTO PAICOLOGICO PER L’AGORAFOBIA: Anche i metodi per


il trattamento dell’agorafobia sono incentrati sull’esposizione. È possibile
addestrare una persona con agorafobia ad affrontare gradualmente le sue
paure: prima le si insegna ad allontanarsi un poco da casa, poi a guidare
fino ad un paio di miglia, a stare seduta per cinque minuti in un cinema
vuoto…

• IL TRATTAMENTO PSICOLOGICO PER IL DISTURBO D’ANSIA


GENERALIZZATO: L’approccio comportamentale più utilizzato nel
trattamento del GAD implica uno specifico TRAINING A RILASSAMENTO,
finalizzato a favorire uno stato di tranquillità nel paziente. LA TERAPIA
COGNITIVA comprende strategie per aiutare chi soffre di questo disturbo
a sostenere l’incertezza, dato che sembra suscitare in questi soggetti
distress. Questo trattamento più efficace della terapia del rilassamento da
sola. LE STRATEGIE COGNITIVE-COMPORTAMNETALI prevedono di limitare
la preoccupazione sulla certi periodi programmati, o di tenere un diario
per verificare, in base agli esiti che ha prodotto, se la preoccupazione
davvero funziona, o ancora di focalizzare i propri pensieri sul momento
presente, anziché sulle preoccupazioni, e affrontare proprio quelle paure
che probabilmente cercano di evitare per mezzo di uno stato persistente
di preoccupazione.

• FARMACI PER LA RIDUZIONE DELL’ANSIA: I Farmaci che riducono l’ansia


sono detti ansiolitici. Esistono essenzialmente di due tipi: LE
BENZODIAZEPINE o gli ANTIDEPRESSIVI.
1. antidepressivi triciclici
2. inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI)
3. inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (SNRI)
Gli antidepressivi vengono preferite alle benzodiazepine, poiché
quest’ultime possono provocare sintomi di astinenza quando se ne
interrompe l’assunzione. Gli inibitori della ricaptazione della serotonina e
della noradrenalina sono i farmaci d’elezione per il trattamento dei
disturbi d’ansia perché hanno i minori effetti collaterali.
LA D-CICLOSERINA (DCS) è un farmaco che favorisce l’apprendimento, è
risultato essere un supporto al trattamento di esposizione e ai trattamenti
di psicoterapia.
CAPITOLO SETTIMO

DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO E CORRELATI. DISTURBI


CORRELATI A EVENTI TRAUMATICI E STRESSANTI.
I disturbi di tipo ossessivo-compulsivo sono caratterizzati da pensieri e
comportamenti ripetitivi così estremi da interferire con la vita quotidiana. I
disturbi correlati a eventi traumatici, che comprendono il disturbo da stress
post- traumatico e il disturbo da stress acuto, sono due condizioni indotte
dall’esposizione a eventi gravemente traumatici. Gli individui che soffrono di
questi disturbi riferiscono di sentirsi ansiosi e spesso sono affetti anche da altri
disturbi d’ansia ed inoltre vi è una sovrapposizione notevole anche nei
trattamenti. Per mettere in risalto queste differenze gli autori del DSM-5 hanno
separato dai disturbi d’ansia i disturbi ossessivo-compulsivi e i disturbi correlati
a eventi traumatici.
DISTURBI OSSESSIVI-COMPULSIVI E CORRELATI.
Il disturbo ossessivo-compulsivo è caratterizzato da pensieri e impulsi ripetitivi,
oltre che da un irresistibile bisogno di impegnarsi in comportamenti, o in
operazioni mentali, ripetitivi. Il disturbo di dismorfismo corporeo e il disturbo da
accumulo condividono a livello sintomatico la presenza di pensieri e
comportamenti ripetitivi. I pensieri e i comportamenti ripetitivi producono
malessere, sono vissuti con la sensazione di incontrollabilità e sottraggono alla
persona gran parte del suo tempo. Chi soffre di questi disturbi avverte questi
pensieri e comportamenti come inarrestabili. Il tema su cui si focalizzano i
pensieri e comportamenti assume una forma diversa a seconda del tipo di
disturbo.
o DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSSIVO:
La diagnosi di DOC è basata sulla presenza di ossessioni e/o compulsioni.
Le ossessioni o le compulsioni causano notevole dispendio di tempo (ad
esempio, almeno 1 ora al giorno) oppure causano un livello di malessere
o di malfunzionamento clinicamente significativo. La maggior parte delle
persone con DOC esperisce sia ossessioni che compulsioni. Le
OSSESSIONI sono pensieri, immagini o impulsi indesiderati ricorrenti, i
intrusivi e persistenti, vissuti in qualche momento nel corso del disturbo e
che la persona cerca di ignorare, sopprimere o neutralizzare e che vive
con ansia o disagio marcati. Le COMPULSIONI, sono comportamenti, o
operazioni mentali, ripetitivi e chiaramente eccessivi, che la persona si
sente costretta a mettere in atto per ridurre l’ansia causata da pensieri
ossessivi, o per scongiurare una catastrofe. Molte persone con DOC
sentono il bisogno irrefrenabile di ripetere un rituale, se non l’hanno
eseguito con precisione. Benché razionalmente sia consapevole del fatto
che non c’è alcun bisogno di quel comportamento, la persona teme che vi
saranno conseguenze terribili, se non esegue quell’atto. Le compulsioni
più comuni sono il cercare di mantenere la pulizia dell'ordine; eseguire
pratiche ripetitive, alle quali la persona attribuisce un valore magico
protettivo (ad esempio contare o toccare parti del corpo); controllare in
continuazione di avere finalmente seguito certe azioni (aver chiuso il gas
o i rubinetti). I soggetti con disturbi compulsivi considerano i propri rituali
stupidi o assurdi, pur non essendo capaci di porvi fine. Il disturbo
ossessivo-compulsivo tenda insorgere prima dei 10 anni oppure
nell'adolescenza o inizio e età adulta. Le persone con DOC sono
estremamente inclini al dubbio, all’indugiare e all’indecisione.

o DISTURBO DI DISMORFISMO CORPOREO (DDC)


Criteri diagnostici del DSM-5:
1. preoccupazione per uno o più difetti o imperfezioni percepiti
nell'aspetto fisico
2. per gli altri il difetto percepito è solo lieve o non percepibile;
3. la persona ha eseguito operazioni mentali o comportamenti
ripetitivi in risposta alle preoccupazioni sul suo aspetto;
4. la preoccupazione non è limitata al peso e al grasso corporeo;
5. le preoccupazioni causano disagio clinicamente significativo o
compromissioni del funzionamento in ambito sociale, lavorativo
o ad altre aree importanti.
Queste persone provano un'intensa preoccupazione perché immaginano, o
esagerano, un difetto del proprio aspetto fisico. Per quanto agli altri possono
apparire attraenti, queste persone si percepiscono brutte o perfino mostruose.
Per le donne il focus dell'attenzione tende a concentrarsi sulla pelle, i fianchi, e
nelle gambe, mentre gli uomini tende a concentrarsi sull'altezza, di dimensioni
del pene e i capelli. Gli individui con DDC passano dalle tre alle otto ore al
giorno a preoccuparsi del loro aspetto. I comportamenti compulsivi più comuni
comprendono contro l'immagine allo specchio, mettersi a confronto con gli altri,
chiede rassicurazioni sul proprio aspetto, fare ricorso a varie strategie per
modificare un corpo che non piacciono, curarsi molto del proprio aspetto. Altri
invece cercano di non confrontarsi con loro supposto difetto evitando gli
specchi, le superfici riflettenti o le luci molto forti.
o DISTURBO DA ACCUMOLO:
criteri diagnostici del DSM-5:
1. difficoltà persistenti a gettare via gli oggetti che si possiedono,
può separarsene, a prescindere dal loro valore reale.
2. bisogno percepito di conservare gli oggetti
3. disagioassociato a gettare via gli oggetti
4. i sintomi portano ad accumulare una grande quantità di oggetti,
ingombrano le aree fondamentali dell'abitazione del luogo di
lavoro, che, se si trovano sgombri, è solo grazie all'intervento di
terze parti.
Il bisogno di accumulare oggetti è solo un aspetto del problema di disturbo di
accumulo. L'aspetto più grave è che essi non riescono poi a separarsi da questi
oggetti, anche se privi di valore. La maggior parte dei soggetti con questo
disturbo non sembrano essere consapevoli della gravità del loro problema.
Mostrano un attaccamento estremo ciò che possiedono e oppongono notevole
resistenza ai tentativi di liberarsene. Il disturbo da accumulo può avere
conseguenze molto gravi: l’aria poco respirabile, la scarsa igiene e la difficoltà a
utilizzare la cucina sono tutti fattori che contribuiscono a creare condizioni
abitative malsane. Molti familiari rompono i rapporti con queste persone. Molti
dei pazienti con questo disturbo tendono a fare acquisti eccessivi, per cui la
povertà è una condizione molto comune fra coloro che ne soffrono.
EZIOLOGIA DEL DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSSIVO E CORRELATI
▪ EZIOLOGIA DEL DOC: Molti dei pensieri e dei comportamenti che rovinano
la vita a coloro che soffrono di DOC hanno un valore adattivo quando si
manifestano con moderazione. Per le persone con DOC le risposte in
precedenza funzionali a ridurre la minaccia diventerebbero abituali, e
quindi difficili da superare una volta che la minaccia scompare. Un
particolare modello cognitivo corrisponde all’idea che le persone con DOC
continuino a impegnarsi in comportamenti atti a scongiurare una minaccia,
anche quando sanno che la minaccia non sussiste più. Il DOC è correlato a
un deficit nella sensazione intuitiva di sicurezza e di fine della minaccia.
Non esiste un preciso segnale ambientale che ci indichi di smettere,
piuttosto arriviamo a sentire dentro di noi che “adesso è abbastanza”. Il
termine YEDASENTIENCE che si riferisce a questa sensazione di
consapevolezza. Secondo la teoria proposta da questi autori, i soggetti
con DOC soffrirebbero di un deficit biologico di tale sensazione. Poiché
non riescono a raggiungere questa sensazione intuitiva di completamento,
questi soggetti hanno grandi difficoltà a fermare certi pensieri e
comportamenti. Le compulsioni costituiscono rinforzi particolarmente forti
perché aiutano a eliminare questa sensazione di incompletezza, e in
questo sono ancora più efficaci delle autoaffermazioni. Una teoria
differente è stata avanzata per le ossessioni. Secondo questo modello,
coloro che soffrono di DOC si sforzano più intensamente degli altri per
sopprimere i pensieri ossessivi, ma così facendo in realtà peggiorano la
situazione Persone con DOC, inoltre, spesso riferiscono di sentire un
profondo senso di responsabilità per ciò che succede. In conseguenza di
questi due fattori, i soggetti con DOC hanno più probabilità degli altri di
impegnare notevoli energie nella soppressione del pensiero. Cercare di
sopprimere un pensiero può quindi avere l’effetto paradossale di
concentrare su di esso un’attenzione eccessiva.

▪ EZIOLOGIA DEL DDC: Queste persone sembrano perfettamente in grado


di vedere e di elaborare le proprie caratteristiche fisiche. Coloro che
soffrono di DDC sembrano focalizzare l’attenzione più sui particolari che
sull’insieme. Anziché considerare una configurazione nel suo complesso,
questi soggetti prendono in considerazione una caratteristica per volta, il
che rende più probabile che rimangano concentrati su un piccolo difetto.
Queste persone attribuiscono all’attrattività un’importanza maggiore.

▪ EZIOLOGIA DEL DISTURBO D’ACCUMOLO: L’accumulo di beni sarebbe


collegato a scarse capacità organizzative, a convinzioni insolite circa il
possesso delle cose e a comportamenti di evitamento: hanno difficoltà di
attenzione e di categorizzazione degli oggetti nel prendere le decisioni e
gli oggetti sono per loro fonte di conforto, che l’idea di perdere qualche
oggetto li spaventa, e nucleo della loro identità e del senso di sé.

TRATTAMENTO DEL DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO E CORRELATI


Gli INIBITORI DELLA RICAPTAZIONE DELLA SEROTONINA SRI sono i farmaci più
usati per il trattamento del DOC e dei disturbi collegati. Il farmaco SRI più
utilizzato nel trattamento del DOC è la clomipramina. L'approccio più usato per
il trattamento psicologico dei disturbi di tipo ossessivo- compulsivo
l'esposizione di prevenzione della risposta ERP, una terapia cognitivo-
comportamentale che adatta il trattamento di esposizione a rituali compulsivi
messi in atto dai soggetti con DOC per ridurre la propria ansia. È stato adattato
per trattare anche il DDC e il disturbo di accumulo.
• DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO: Le persone che soffrono di questo
disturbo nutrono la credenza che il loro comportamento compulsivo abbia
il potere quasi magico di impedire che accadono cose terribili. I soggetti
sottopongono a un'esposizione intensiva da situazioni che suscitano i loro
comportamenti compulsivi e quindi cercano di trattenersi nell'eseguire i
loro soliti rituali. La componente dell’ERP costituita dall’esposizione
utilizza l’approccio gerarchico dove il cliente viene addestrato a trattenersi
dal mettere in atto i suoi comportamenti compulsivi. Il trattenersi dal
mettere in atto i soliti rituali è estremamente spiacevole per le persone
con DOC
• DISTURBO DA DISMORFISMO CORPOREO: i principi fondamentali dell’ERP
vengono adattati al trattamento dei sintomi nel DDC. Ad esempio, per
l'esposizione, si chiede pazienti con DDC di interagire con persone che
potrebbero criticare il loro aspetto. Si chiede a questi pazienti di evitare di
compiere le attività a cui ricorrono di solito per rassicurarsi sul proprio
aspetto (guardarsi allo specchio). Queste tecniche comportamentali
vengono abbinate a strategie per intervenire sulle caratteristiche cognitive
del disturbo, quali la valutazione eccessivamente critica delle proprie
caratteristiche fisiche e la convenzione che il valore di una persona
dipenda dal suo aspetto.

• DISTURBO DA ACCUMOLO: Il trattamento di questo disturbo si basa sulla


tecnica del ERP che si utilizza anche nei casi di DOC. Molte di coloro che
soffrono di questo disturbo non si rendono conto della gravità dei
problemi prodotti dai loro sintomi. Il trattamento terapeutico non può
avere inizio fino a quando la persona non diventa consapevole del suo
problema. Si utilizzano strategie motivazionali per aiutare il cliente a
trovare le ragioni per cambiare. Il terapeuta affianca alle sedute nel suo
studio anche visite a casa del cliente. L’approccio terapeutico a livello
familiare è importante in quanto questo disturbo causa un deterioramento
delle relazioni familiari.
IL DISTURBO DA STRESS POST TRAUMATICO E IL DISTURBO DA STRESS ACUTO
Il disturbo post-drammatico e il disturbo acuto da stress vengono diagnosticati
solo in seguito ad un grave evento traumatico. I criteri diagnostici di questi
disturbi incorporano anche elemento causale dei sintomi, in contrasto con tutte
le altre categorie diagnostiche del DSM, basate interamente sulla
sintomatologia.
IL DISTURBO DA STRESS POST TRAUMATICO è caratterizzato da un’intensa
risposta a un grave evento stressante, risposta che comprende un notevole
aumento dell’ansia, ricordi ricorrenti dell’evento traumatico, emozioni e pensieri
negativi, evitamento degli stimoli associati al trauma e sintomi di elevata
attivazione fisiologica. I criteri diagnostici definiscono il trauma grave come un
evento in cui la persona deve essere stata direttamente coinvolta in un evento
che implica morte o pericolo di morte, oppure lesioni gravi o violenze sessuali.
L’esposizione al trauma, tuttavia, è solo il primo elemento di cui questa diagnosi
tiene conto. La diagnosi di PTSD richiede la presenza di un insieme di sintomi,
che nel DSM-5 sono raggruppati in:
1. RIESPERIENZA INTRUSIVA DELL’EVENTO TRAUMATICO: molte persone
fanno sogni o incubi in cui rivivono il trauma notte dopo notte. Ricordi
dolori e intrusivi vengono rievocati da indizi sensoriali che sono in
grado di suscitare un’ondata di attivazione psicofisiologica

2. EVITAMENTO DI STIMOLI ASSOCIATI CON L’EVENTO: si sforza di


evitare di pensare a ciò che è successo e alcune cercano di evitare
qualsiasi cosa faccia loro ricordare l’evento

3. PENSIERI E STATI DELL’UMORE NEGATIVI SVILUPPATI IN SEGUITO AL


TRAUMA: le persone si distaccano dagli amici e da qualunque attività
svolgano, per cui non c’è nulla nella vita che dia loro gioia

4. AUMENTO DELL’ATTIVAZIONE FISIOLOGICA E DELLA REATTIVITA’: la


persona con PTSD si sente continuamente in guardia e tiene sotto
costante controllo l’ambiente in cerca di possibili pericoli
I sintomi del PTSD possono svilupparsi subito dopo il trauma, ma a volte non
compaiono se non ad anni di distanza dall’evento iniziale. Una volta che si è
sviluppato, il PTSD tende a cronicizzarsi. Esso è causa di un rischio maggiore di
morte prematura a causa di malattie, incidenti e suicidi. Il trauma prolungato
può portare a sintomi di PTSD più gravi.
Il DSM prevede la diagnosi di DISTURBO DA STRESS ACUTO: i sintomi si
manifestano a seguito di un evento traumatico, ha durata più breve del PTSD
ma i sintomi sono simili. Questa categoria diagnostica è applicabile solo quando
i sintomi durano da 3 giorni a un mese. Non riscuote lo stesso consenso del
PTSD. Il PTSD presenta un’elevata comorbilità con altri disturbi quali disturbi
d’ansia, la depressione maggiore, l’abuso di sostanze e il disturbo della
condotta. Sul totale di coloro che sono esposti a un grave trauma, le donne
hanno una probabilità doppia rispetto agli uomini di sviluppare un PTSD.
EZIOLOGIA DEL DISTURBO DA STRESS POST TRAUMATICO
Due terzi di coloro che sviluppano il PTSD manifestano i sintomi anche di un
disturbo d’ansia. Il PTSD pare associato con il rischio genetico per i disturbi
d’ansia. Come gli altri disturbi d’ansia, anche il PTSD è stato interpretato alla
luce del modello bifattoriale del condizionamento proposto da Mower: nel PTSD
la paura si produce inizialmente attraverso meccanismi di condizionamento
classico e meccanismi di condizionamento operante mantengono poi il
comportamento di evitamento, il quale è rinforzato dalla riduzione della paura
che deriva dal non trovarsi in presenza dello stimolo condizionato. LA GRAVITA’
DEL TRAUMA influenza l’eventuale sviluppo successivo del disturbo da stress
post-traumatico. Oltre alla gravità, anche la natura del trauma sembra influire
sullo sviluppo di un PTSD. I traumi inflitti da altri esseri umani sembrano avere
maggiori probabilità di causare un PTSD rispetto ai traumi dovuti a disastri
naturali perché mettono in discussione l’idea che nutriamo sulla bontà umana. Il
PTSD sembra essere correlato con la disregolazione del circuito della paura,
come abbiamo visto anche per i disturbi d’ansia. Il PTSD sembra essere
specificatamente correlato con la funzione dell’ippocampo. L’IPPOCAMPO svolge
un ruolo cruciale rispetto alla capacità di collocare i nostri ricordi autobiografici
ed è possibile che la difficoltà a organizzare i ricordi e a contestualizzarli crei il
terreno favorevole allo sviluppo del PTSD. Coloro che affrontano il trauma
attraverso strategie di evitamento del pensiero, hanno maggiori probabilità di
sviluppare un PTSD. LA DISSOCIAZIONE può impedire al soggetto di
confrontarsi con i ricordi del trauma. Per incoraggiare i clinici a tenere conto
delle strategie di coping, il DSM-5 include lo specificatore “con sintomi
dissociativi” al fine di evidenziare i casi in cui il PTSD è accompagnato da
sintomi persistenti o ricorrenti di dissociazione.
TRATTAMENTO DEL DISTURBO DA STRESS POST TRAUMATICO E STRESS
ACUTO
Gli antidepressivi, ossia gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina
SSRI, si sono rivelati e caci nel trattamento del PTSD, interrompendoli si ha una
recidiva. Uno degli scopi del trattamento consiste nell’estinguere la risposta di
paura, soprattutto se questa si è generalizzata. L’altro scopo consiste nel
mettere in discussione la convinzione del paziente di non poter far fronte
all'ansia e alla paura suscitata da quegli stimoli. L’esposizione riguarda ricordi
del trauma originale o di elementi che lo richiamano. Quando è possibile, il
paziente viene esposto direttamente, in vivo, a condizione che ricordano il
trauma. In altri casi si ricorre ALL’ESPOSIZIONE IMMAGINATIVA, il soggetto
richiama deliberatamente alla memoria l'evento traumatico. I terapeuti si sono
serviti anche della tecnologia della realtà virtuale. La terapia di esposizione è
difficile da sostenere sia per il cliente sia per il terapeuta. Il trattamento incontra
difficoltà particolari e richiede più tempo quando la persona ha vissuto traumi
ricorrenti. Varie strategie cognitive sono state messe a punto per affiancare
l’esposizione nel trattamento del PTSD. Una serie di studi ha dimostrato
l’efficacia di interventi finalizzati a stimolare le convinzioni della persona sulla
propria capacità di affrontare il trauma con lo scopo di aiutare le vittime di
stupro o di abusi sessuali infantili a contrastare la tendenza ad auto-
colpevolizzarsi e a biasimare sé stesse.
CAPITOLO OTTAVO

I DISTURBI DISSOCIATIVI E DA SINTOMI SOMATICI


DISTURBI DISSOCIATIVI
Il DSM-5 prevede TRE DISTURBI DISSOCIATIVI principali: il disturbo di
personalizzazione/derealizzazione, l’amnesia dissociativa e il disturbo
dissociativo dell’identità DDI. Si presume che all’origine di tutti i disturbi
dissociativi vi sia un meccanismo causale comune, la DISSOCIAZIONE, che si
manifesta nel fatto che alcuni aspetti del pensiero o dell’esperienza restano
inaccessibili alla coscienza. La dissociazione comporta, quindi, l’incapacità della
coscienza di svolgere il suo ruolo normale: integrare pensieri, emozioni,
motivazioni e tutti gli altri aspetti della nostra esperienza cosciente del mondo. I
disturbi dissociativi sono caratterizzati da livelli di dissociazione molto profondi.
Ad oggi, sia i sostenitori della CBT, sia gli psicodinamici, sono concordi nel
ritenere la dissociazione patologica una risposta di evitamento, che proteggere
gli individui dal riconoscere a livello cosciente eventi fortemente stressanti. Le
conoscenze di cui oggi si dispone, sono tuttavia molto inferiori rispetto a quelle
possedute sugli altri disturbi.
❖ DISTURBO DI DEPERSONALIZZAZIONE/DERALIZZAZIONE:
criteri diagnostici del DSM-5:
1. DEPERSONALIZZAZIONE: Esperienza di distacco dai propri processi
mentali o dal proprio corpo, come se la persona fosse in un sogno, a
fronte di un intatto esame di realtà
2. DERALIZZAZIONE: Esperienza persistente o ricorrente di sensazione di
irrealtà del mondo circostante.
3. I sintomi sono persistenti o ricorrenti
4. L’esame di realtà rimane integro
5. I sintomi non sono attribuibili agli effetti di una sostanza o a un altro
disturbo dissociativo, a un altro disturbo psicologico o a una
condizione clinica
Il disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione implica un senso
sconcertante e dirompente distacco da se stessi o da tutto ciò che sta attorno.
La depersonalizzazione è definita dalla sensazione di distacco da sé (come se la
persona osservasse il proprio corpo dall’esterno). La derealizzazione è definita
dalla sensazione di distacco dall’ambiente circostante (come se si guardasse il
mondo attraverso una nebbia). A differenza degli altri disturbi dissociativi,
questo disturbo non si associa ad un deficit di memoria. I sintomi del disturbo
sono in genere scatenati da situazioni di stress. Il disturbo insorge in
adolescenza. La maggioranza delle persone che sperimentano la
depersonalizzazione esperiscono anche la derealizzazione, e il decorso dei
sintomi è simile in entrambe le condizioni. Spesso presenta comorbilità con i
disturbi di personalità, con i disturbi d’ansia e i disturbi depressivi. Questi
soggetti riferiscono spesso traumi infantili. I criteri diagnostici specificano che i
sintomi possono presentarsi insieme ad altri disturbi, ma che tali sintomi non
devono essere completamente attribuibili ad un’altra condizione patologica.
Quindi è molto importante poter escludere tutte le condizioni che di solito
implicano questi sintomi, come la schizofrenia, il disturbo da stress post
traumatico e il disturbo borderline di personalità.
❖ AMNESIA DISSOCIATIVA:
criteri diagnostici del DSM-5:
1. Un'incapacità di ricordare importanti informazioni autobiografiche, di
solito di natura traumatica o stressogena, non riconducibile a normale
dimenticanza.
2. La condizione di amnesia non è attribuibile agli effetti di una sostanza
o a una condizione neurologica o medica di altro tipo.
3. Specificare il sottotipo “con fuga dissociativa l’amnesia è associata a un
viaggio intenzionale o un vagare disorientato.
Chi soffre di questo disturbo è incapace di ricordare dati personali importanti, di
solito riguardanti qualche esperienza drammatica. L’informazione non va
perduta in modo permanente, ma è irrecuperabile per tutta la durata
dell’episodio di amnesia, che può essere breve o protrarsi anche per anni. In
genere l’amnesia scompare all’improvviso così come è insorta, con il completo
recupero della memoria e scarse probabilità di recidiva. Nel SOTTOTIPO più
grave di amnesia, LA FUGA DISSOCIATIVA, la perdita di memoria e più estesa:
l’individuo non solo perde completamente la memoria, ma lascia all’improvviso
la casa ed il lavoro e assume una nuova identità. La fuga ha una durata
relativamente breve e consiste in spostamenti limitati, ma che hanno
apparentemente lo scopo. Dopo il recupero, l’individuo ricorda perfettamente la
propria vita e le esperienze che ha vissuto, a eccezione degli eventi che sono
accaduti durante la fuga. Il bere pesantemente e farmaci come le
benzodiazepine possono causare vuoti di memoria, così come i sedativi ipnotici.
Un elemento cruciale della diagnosi è valutare se l’episodio sia stato preceduto
da un’eventuale lesione cerebrale. I disturbi di associativi e l’amnesia
dissociativa implicano tipicamente deficit della memoria esplicita, ma non di
quella implicita e procedurale. L’amnesia può verificarsi in seguito a
un’esperienza gravemente stressante, ma non tutte le amnesie sembrano essere
immediata conseguenza di un trauma. L’amnesia dissociativa pone questioni di
fondamentale importanza sul funzionamento della memoria in situazioni di forte
stress. Secondo le teorie psicodinamiche, nella amnesia dissociativa gli eventi
traumatici vengono rimossi, vale a dire che i traumi vengono dimenticati in
quanto aversivi. I sostenitori della prospettiva cognitiva dimostrano che alti
livelli di stress di solito incrementano il ricordo anziché indebolirlo. tuttavia, che
le caratteristiche dell’attenzione e della memoria cambiano nei momenti di
stress intenso. Si tendono a ricordare di più stimoli rilevanti dal punto di vista
emozionale che non i dettali neutri relativi a un certo evento. L’amnesia implica
modalità di risposta allo stress insolite: in presenza di un grave evento
traumatico, i ricordi possono essere conservati in una forma che risulta
inaccessibile alla coscienza quando, più tardi, la persona ritorna a uno stato più
normale.
❖ IL DISTURBO DISSOCIATIVO DELL’IDENTITA’ (DDI):
criteri diagnostici del DSM-5:
1. Grave alterazione dell'identità caratterizzata da almeno due o più
identità o stati di personalità distinti (alter-ego) o da un’esperienza di
possessione. In alcune culture può essere descritta come un'esperienza
di possessione. L’esperienza di disgregazione comprende una marcata
discontinuità nel senso di sé e delle proprie azioni, che si riflette in
alterazioni del pensiero, dei comportamenti, dell’affettività, della
percezione, della coscienza, dei ricordi o del funzionamento senso-
motorio. Tale alterazione può essere osservata da altre persone oppure
riferita dal paziente
2. Ricorrenti vuoti nella rievocazione di eventi quotidiani, di importanti
informazioni personali e/o eventi traumatici non riconducibili a normale
dimenticanza
3. Il disturbo non è una parte normale di una pratica culturale o religiosa
largamente riconosciuta, e non è attribuibile a sostanze o a una
condizione medica.
4. Nei bambini i sintomi non sono meglio spiegati da un compagno di
giochi immaginario o da un altro gioco di fantasia
La diagnosi di DDI, un tempo chiamato disturbo di personalità multipla, occorre
che una persona manifesti almeno due persone distinte, ossia modi di essere,
pensare, sentire e agire totalmente indipendenti e che emergono i momenti
diversi. Di solito c’è UN’IDENTITA’ PRIMARIA, che può essere totalmente
inconsapevole dell’esistenza degli altri alter-ego. Tipicamente è l’identità
primaria cercare un trattamento. Le varie identità sono, in genere, piuttosto
diverse fra loro, perfino opposte. Sia l’identità primaria sia quelle subordinate
sono consapevoli di avere delle lacune della memoria: talvolta le voci di altre
entità possono risuonare nella mente di un alter-ego, che tuttavia ignora a chi
quelle voci appartengono.
EZIOLOGIA: Nel spiegare l’eziologia del DDI le teorie più accreditate sono le
seguenti 2:
• MODELLO POST TRAUMATICO: Secondo il modello post-traumatico,
alcune persone hanno molte probabilità di servirsi della dissociazione
quale strategia di coping rispetto a un evento traumatico. I bambini che
ricorrono alla dissociazione hanno più probabilità di sviluppare sintomi
psicologici dopo l’evento traumatico.
• MODELLO SOCIO COGNITIVO: Le persone che hanno subito abusi cercano
una spiegazione per i loro sintomi e il loro disagio e le identità alternative
appaiono in risposta alle suggestioni del terapeuta, all’esposizione delle
informazioni dei media sui DDI e ad altre influenze culturali. Il DDI
potrebbe avere un’origine IATROGENA, cioè essere il prodotto del
trattamento, in quanto la persona apprende a mettere in scena i sintomi
nell’ambito di un trattamento psicoterapeutico. I terapeuti che tendono a
diagnosticare il DDI con maggior frequenza sono quelli che tramite
l’ipnosi sollecitano i clienti a cercare di riportare alla memoria i ricordi
rimossi di passati abusi, e a dare un nome alle loro diverse identità
alternative.
Entrambe le teorie in realtà sostengono che gravi abusi fisici o sessuali subiti
nell’infanzia creino il terreno per lo sviluppo del DDI. Una delle caratteristiche
che definiscono il DDI è l’incapacità di un’identità di ricordare le informazioni
conosciute da un’altra identità. Un modo per verificare se le identità alternative
condividono contenuti della memoria è sottoporre le persone a test di memoria
implicita.
TRATTAMENTO
A prescindere dall’orientamento teorico, fra i medici sembra esservi ampio
accordo su alcuni principi riguardanti il trattamento del disturbo dissociativo
dell’identità, tale principi comprendono un atteggiamento improntato a empatia
gentilezza, finalizzato ad aiutare il paziente a funzionare come un’unica
personalità integrata. Scopo del trattamento dovrebbe essere convincere il
paziente che la cessione in personalità differenti non è più necessaria per far
fronte ai traumi subiti. Si tende a preferire la TERAPIA PSICODINAMICA per
trattare il DDI e gli altri disturbi dissociativi, più spesso di quanto non avvenga
per altri disturbi psicologici. Lo scopo primario è superare la rimozione, poiché
si ritiene che il DDI sia una conseguenza di eventi fortemente drammatici, del
cui ricordo la persona cerca di bloccare l’accesso alla coscienza. Alcuni
terapeuti, si servono dell’ipnosi come mezzo per aiutare i pazienti con diagnosi
di disturbi dissociativi. Quando si trova nello stato ipnotico, il paziente viene
incoraggiato a risalire fino agli eventi traumatici dell’infanzia, questa tecnica
definita REGRESSIONE TEMPORALE. Il DDI presenta spesso comorbilità con
ansia depressione, che talvolta possono essere alleviate da terapie
farmacologiche con antidepressivi; questi farmaci, tuttavia non hanno alcun
effetto sul disturbo dissociativo dell’identità in quanto tale.
DISTURBO DA SINTOMI SOMATICI E DISTURBI CORRELATI.
I disturbi da sintomi somatici sono caratterizzati da un’eccessiva apprensione
per sintomi fisici o per la salute. Nel DSM-5 è presente il capitolo “disturbo da
sintomi somatici e disturbi correlati”, che comprende: il disturbo da sintomi
somatici, il disturbo da ansia di malattia, il disturbo di conversione. Sebbene
l’ipocondria non compaia nel DSM-5, il disturbo da sintomi somatici e il
disturbo da ansia di malattia sono in qualche misura sovrapponibili con il
concetto di ipocondria. Chi soffre di questi disturbi tende a ricercare con grande
frequenza e cure mediche, talvolta sostenendo anche spese ingenti. Spesso
queste persone restano insoddisfatte dalle cure che ricevono e giudicano i
propri medici incompetenti e indifferenti ma, nonostante ciò, essi continueranno
a cercare trattamenti con grande insistenza, a vedere sempre nuovi medici e a
richiedere nuovi esami. Le diagnosi dei disturbi da sintomi somatici sono state
criticate per varie ragioni: per l’enorme diversità delle condizioni osservabili
nelle persone che ricevono queste diagnosi, per i criteri soggettivi riguardo
“ansia eccessiva”, per la stigmatizzazione di questa diagnosi. Tendono a
svilupparsi all’inizio dell’età adulta e sono in comorbilità con i disturbi d’ansia, i
disturbi dell’umore, l’abuso di sostanze e i disturbi di personalità.
❖ DISTURBI DA SINTOMI SOMATICI:
criteri diagnostici del DSM-5:
1. Almeno un sintomo somatico che causa disagio o compromettere
funzionamento della vita quotidiana
2. Specificare se predomina il dolore.
3. Eccessiva concentrazione di pensieri, sensazioni e comportamenti
intorno ai sintomi somatici o alle preoccupazioni per la salute, come
indicato da almeno uno dei seguenti fattori:
o ansia per la salute
o preoccupazioni sproporzionate riguardo alla gravità dei
sintomi
o eccessivo dispendio di tempo e di energie nelle
preoccupazioni per la salute
o durata di almeno sei mesi.
La caratteristica fondamentale è la presenza di alti livelli d’ansia, energie o
comportamenti eccessivi dedicati a sintomi somatici. Il disturbo da sintomi
somatici può essere diagnosticato indipendentemente dal fatto che i sintomi
siano riconducibili a una condizione medica. I sintomi somatici possono esordire
o intensificarsi in seguito ad un conflitto o a un evento stressante.
❖ DISTURBO DA ANSIA DA MALATTIA:
criteri diagnostici del DSM-5:
1. Preoccupazione o alto livello d’ansia di avere o contrarre una
grave malattia o di potersi ammalare.
2. I sintomi somatici non sono presenti o, se presenti, sono solo di
lieve intensità.
3. Eccesso di comportamenti legati alla paura della malattia (esami
clinici o ricerca di assicurazione medica) o di comportamenti di
evitamento mal adattativi (evitare di prestare cure ai parenti
malati).
4. La preoccupazione per la malattia è presente da almeno 6 mesi,
ma la specifica patologia temuta può cambiare nel corso di tale
periodo di tempo
5. La preoccupazione riguardante la malattia non è meglio spiegata
da un altro disturbo mentale.
Il disturbo d’ansia da malattia implica la paura di avere una malattia importante
dal punto di vista clinico, a fronte di una totale assenza di sintomi somatici.
Queste paure devono comportare un’eccessiva tendenza a ricercare cure
mediche e comportamenti di evitamento disadattivi che persistono per almeno
6 mesi. Queste paure non si placano facilmente. Quando la paura di una grave
malattia si accompagna a sintomi somatici, la categoria diagnostica più
appropriata fra quelle individuate dal DSM-5 è il disturbo da sintomi somatici. Il
disturbo da ansia di malattia spesso presenta comorbilità con i disturbi d’ansia
e i disturbi dell’umore.
❖ DISTURBO DI CONVERSIONE:
criteri diagnostici del DSM-5:
1. Uno o più sintomi di alterazione della funzione motoria
volontaria o sensoriale.
2. I risultati clinici forniscono le prove dell'incompatibilità tra il
sintomo e le condizioni neurologiche o mediche conosciute.
Il disturbo di conversione implica sintomi neurologici che non trovano una
spiegazione medica, come cecità o paralisi improvvise. I sintomi sembrano
indicare un danno neurologico, ma gli accertamenti clinici non evidenziano
alcuna alterazione a livello degli organi o del sistema nervoso. I soggetti
possono provare paralisi parziale o totale degli arti inferiori o superiori;
convulsioni e alterazioni della coordinazione motoria; sensazioni di pizzicore,
formicolio o brividi; in sensibilità al dolore e anestesia, cioè generale perdita
della sensibilità. Possono sviluppare anche la visione a tunnel o afonia. Molte
persone con questo disturbo non ricollegano i propri sintomi a una condizione
di stress che stanno vivendo. Nel passato questo disturbo era definito ISTERIA.
Il termine CONVERSIONE fu introdotto da Freud, secondo il quale ansia ed il
conflitto psicologico si convertono in sintomi fisici.
EZIOLOGIA DEL DISTURBO DA SINTOMI SOMATICI:
Non vi è concordanza nelle coppie di gemelli rispetto al disturbo da sintomi
somatici o al disturbo di conversione: questi disturbi non sembrano ereditabili. Il
punto fondamentale per capire i disturbo da sintomi somatici non è tanto
stabilire se le persone provino delle sensazioni fisiche, ma stabilire perché
alcune persone siano più acutamente consapevoli di queste sensazioni e
derivino da esse un forte disagio. L’insula anteriore e il giro del cingolo
anteriore hanno forti connessioni con la corteccia somatosensoriale, un’area
cerebrale coinvolta nell’elaborazione delle sensazioni corporee. L’iperattività di
queste regioni è stata messa in relazione con una maggiore propensione allo
sviluppo di sintomi somatici. Le persone con una preoccupazione eccessiva per i
sintomi somatici concentrano automaticamente l’attenzione sugli stimoli che
possono indicare disturbi fisici. Chi ha la tendenza a preoccuparsi
eccessivamente per la propria salute mostra anche una tendenza a interpretare
nel modo peggiore i propri sintomi fisici: un minimo segno fisico viene
interpretato come il segno di una catastrofe incombente, causando l’aumento
dell’ansia e dei livelli di cortisolo, i quali esacerbano i sintomi somatici e il
disagio ad essi associato. Concentrare l’attenzione sul corpo può far aumentare
la consapevolezza di sensazioni fisiche insolite che altrimenti sarebbero passate
inosservate. La tendenza a preoccuparsi eccessivamente per la propria salute
può derivare da precedenti esperienze di sintomi somatici o da atteggiamenti
familiari interiorizzati dalla persona.
EZIOLOGIA DEL DISTURBO DI CONVERSIONE:
I risultati relativi alle strutture cerebrali di questa condizione non sono coerenti.
La teoria psicodinamica postula che i sintomi fisici siano la risposta a un
conflitto psicologico inconscio. Questa forma di disturbo, sempre secondo la
teoria psicodinamica, implica due processi: l’elaborazione inconscia di stimoli
percettivi e la motivazione a manifestare sintomi clinici. Tale motivazione a
esibire certi sintomi è inconscia.
TRATTAMENTO DEI DISTURBI DA SINTOMI SOMATICI E CORRELATI:
Uno dei maggiori ostacoli al trattamento di questi disturbi sta nella scarsa
propensione di chi ne soffre a rivolgersi agli specialisti della salute mentale e i
pazienti potrebbero risentirsi quando il medico li indirizza da uno specialista
della salute mentale. Molti programmi innovativi prevedono di formare i medici
generici a trattare nel modo corretto chi soffre di un disturbo da sintomi
somatici. Le terapie cognitivo-comportamentali usano dei metodi finalizzati ad
aiutare il paziente a individuare e modificare le emozioni che prova con i
problemi somatici, a modificare i pensieri relativi ai sintomi fisici, a modificare i
comportamenti in modo da smettere di assumere il ruolo di malato e ottenere
maggiori rinforzi da interazioni sociali di tipo diverso. Tecniche come il training
di rilassamento si sono dimostrate e caci nel ridurre la depressione in ansia,
riduzioni che a sua volta porta a una diminuzione di sintomi somatici. Nella
terapia dell’accettazione e dell’impegno, il terapeuta incoraggia il cliente a
adottare un atteggiamento di maggiore accettazione nei confronti del dolore e a
cercare di vedere questi aspetti come una componente naturale della vita. Gli
antidepressivi sono utili per trattare un disturbo da sintomi somatici, quando il
sintomo più rilevante è il dolore.

CAPITOLO NONO

LA SCHIZOFRENIA
Criteri del DSM-5:
1. A partire dall’esordio del disturbo si è manifestato un declino nelle
capacità lavorative e relazionali o nella capacità di prendersi cura di se
stessi
2. Segni continuativi del disturbo per almeno 6 mesi; o, durante la fase
prodromica o residuale, sintomi negativi oppure 2 o più dei sintomi 1-
4 in forma attenuata
3. Due o più dei seguenti sintomi, ciascuno presente per almeno un mese;
uno dei sintomi dovrebbe essere l’1, il 2 o il 3
o Deliri
o Allucinazioni
o Eloquio disorganizzato
o Comportamento disorganizzato
o Sintomi negativi
La schizofrenia è una psicosi caratterizzata da pensiero disorganizzato, in cui le
idee non sono collegate fra loro in maniera logica; percezione distorta; difficoltà
a focalizzare l’attenzione; mancanza di espressività emozionale; alterazioni
comportamentali. Le persone con schizofrenia possono isolarsi dagli altri e dalla
realtà quotidiana, spesso per crearsi un mondo fatto di strane convinzioni
(deliri) e di allucinazioni. I sintomi della schizofrenia pervadono ogni aspetto
dell’individuo: il modo in cui pensa, quello che prova e come si comporta. I tassi
di abuso di sostanze sono elevati e probabilmente riflettono il tentativo di avere
un qualche sollievo dai sintomi. C’è un alto tasso di suicidi.
QUADRO CLINICO DELLA SCHIZOFRENIA
La gamma di sintomi che danno adito ad una diagnosi di schizofrenia è vasta,
anche se i soggetti con questo disturbo manifestano di volta in volta solo alcuni
di questi sintomi in un determinato momento. I sintomi della schizofrenia sono
ascritti a 3 dimensioni: positiva, negativa e disorganizzativa.
• SINTOMI POSITIVI: I sintomi positivi comprendono eccessi distorsioni,
come le allucinazioni e deliri. In genere gli episodi acuti di schizofrenia
sono caratterizzati da sintomi positivi. I DELIRI sono convinzioni contrarie
alla realtà dei fatti e nutrite malgrado le evidenze che le contraddicono,
sono comuni sintomi positivi della schizofrenia I deliri possono assumere
diverse forme:
1. Inserzione del pensiero. La persona crede che pensieri estranei
vengano posti nella sua mente da una fonte esterna
2. Diffusione del pensiero. La persona crede che i suoi pensieri
vengano trasmessi o di usi, così che ne vengono a conoscenza
anche gli altri.
3. La persona crede che i suoi sentimenti o i suoi comportamenti
siano controllati da una forza esterna
4. Deliri di grandezza. La persona manifesta un senso esagerato
della sua importanza, del suo potere, delle sue conoscenze o
della sua identità
5. Deliri di persecuzione. La persona è convinta che le altre persone
stiano complottando contro di lei, con dispositivi sofisticati, e
allo scopo di screditarla
6. Idee di riferimento. La persona incorpora eventi ordinari
all’interno di un sistema delirante e legge un significato
personale delle più comuni attività.
Spesso le persone con schizofrenia riferiscono che il mondo appare loro
diverso, in qualche misura, o perfino irreale. Le distorsioni più drammatiche
della percezione sono le ALLUCINAZIONI, esperienze sensoriali in assenza di
alcuno stimolo ambientale rilevante. Sono spesso più uditive che visive. Gli
individui che hanno allucinazioni acustiche operano un’attribuzione erronea
percependo come altrui la propria voce. Quando gli individui con schizofrenia
riferiscono di sentire delle voci, vi è una maggiore attività nell’area di Broca,
essenziale per la produzione del linguaggio, e nell’area di Wernicke, essenziale
per la comprensione del linguaggio. I sintomi come deliri e allucinazioni sono la
quintessenza della schizofrenia ma non sono specifici di questa condizione.
• SINTOMI NEGATIVI: Questi sintomi tendono a perdurare oltre l’episodio
acuto e hanno effetti profondi sull’esistenza degli individui con
schizofrenia. Essi sono importanti per la prognosi: la presenza di molti
sintomi negativi è un forte predittore di scarsa qualità di vita. L’ABULIA, o
apatia, si manifesta con una mancanza di motivazione e un’apparente
disinteresse per le conseguenti attività quotidiane, oppure con l’incapacità
di portare a termine. Le persone con schizofrenia erano meno motivate da
obiettivi che avevano a che fare con l’autonomia, l’acquisire nuove
conoscenze o abilità, o l’essere lodati dagli altri. L’ASOCIALITA’ fa
riferimento al fatto che alcuni individui schizofrenici presentano gravi
compromissioni nei rapporti sociali. Hanno pochi amici, scarsa abilità
sociali e sono poco interessati a stare insieme agli altri. L’ANEDONIA è la
perdita di interesse dell’esperienza del piacere o una riferita diminuzione
di tale esperienza. Si riferisce a due tipi di esperienze piacevoli: il piacere
consumatorio, cioè l’entità del piacere esperito nel qui e ora, e il piacere
anticipatorio, si riferisce al piacere che ci aspettiamo o prevediamo che ci
derivi da eventi futuri. Le persone affette da schizofrenia sembrano avere
un deficit di piacere anticipatorio ma non di piacere consumatorio. Con il
termine APPIATTIMENTO DELL’AFFETTIVITA’ si fa riferimento a una
mancanza di esternalizzazione delle emozioni. Con il termine ALOGIA si fa
riferimento ad una significativa riduzione della quantità di eloquio. Le
persone con questo disturbo non parlano molto: rispondono ad una
domanda con una o due parole.

• SINTOMI DISORGANIZZATI: Comprendono l’eloquio e il comportamento


disorganizzato. L’ELOQUIO disorganizzato si riferisce all’incapacità di
organizzare le idee e di parlare in modo che un ascoltatore possa
comprendere. Talvolta l’eloquio reso confuso da ciò che viene chiamato
ALLENTAMENTO DEI NESSI ASSOCIATIVI o deragliamento, nel qual caso il
paziente può riuscire in qualche modo a comunicare con un ascoltatore,
ma ha difficoltà a rimanere nell’argomento. Non è associato con problemi
della produzione del linguaggio ma è associato con problemi a livello
delle funzioni esecutive. IL COMPORTAMENTO DISORGANIZZATO può
assumere diverse forme. Persone con questo sintomo possono avere
inesplicabili attacchi di agitazione, esibire un abbigliamento inconsueto,
comportarsi in maniera infantile sciocca, ammassare generi alimentari o
raccogliere l’immondizia. Sembrano perdere la capacità di organizzare il
proprio comportamento e renderlo conforme agli standard collettivi. Una
manifestazione del comportamento disorganizzato viene detta
CATATONIA, che consiste in diverse alterazioni motorie quali gesticolare
ripetutamente, che spesso, nonostante la loro stranezza, appaiono
finalizzate ad uno scopo. Alcune persone manifestano in insolito
incremento del livello complessivo di attività. All’estremo opposto c’è
l’IMMOBILITA’ CATATONICA e persone assumono e mantengono posizioni
inconsuete per periodi di tempo molto lunghi.

Il DSM-5 elimina i sottotipi della schizofrenia. L’eliminazione di queste


categorie è stata giustificata dalla loro considerevole reciproca
sovrapposizione. Un altro cambiamento introdotto nel DSM-5 è stato
l’inserimento dei gradi di gravità per ognuno dei 5 sintomi. Altri disturbi
psicotici che compaiono nel DSM-5 sono: il disturbo schizofreniforme e il
disturbo psicotico breve. I sintomi del disturbo schizofreniforme sono gli
stessi della schizofrenia ma durano solo da uno a sei mesi. Il disturbo
schizoaffettivo consiste in una combinazione di sintomi della schizofrenia
e dei disturbi dell’umore. Una persona con disturbo delirante è angosciata
da persistenti deliri.

EZIOLOGIA DELLA SCHIZOFRENIA

FATTORI GENETICI: Una notevole mole di ricerche suffraga la tesi secondo


cui la schizofrenia ha una componente genetica. I risultati indicano che la
schizofrenia è geneticamente eterogenea - ossia i fattori genetici possono
variare da caso a caso – e ciò si riflette nel fatto che la schizofrenia è
certamente eterogenea nei sintomi. Gli studi sull’interazione gene-
ambiente contribuiscono a definire più chiaramente la natura dell’apporto
genetico alla schizofrenia. I parenti di persone con schizofrenia sono
maggiormente a rischio, e il rischio aumenta via via che il rapporto
genetico fra probando e parente diventa più stretto. Occorre tenere
presente, tuttavia, che un soggetto con schizofrenia e i suoi parenti hanno
in comune non solo i geni, ma anche esperienze di vita. Negli studi su
famiglie ad alto rischio, in cui ci sono uno o due genitori biologici con
schizofrenia, è emerso che i figli di genitori con schizofrenia avevano più
probabilità di suonare schizofrenia e probabilità doppie di sviluppare
qualsiasi altro disturbo. La predisposizione per la schizofrenia non viene
trasmessa da un gene singoli. Numerosi geni comuni sono associati sia
con la schizofrenia sia con il disturbo bipolare. Sono state trovate varie
mutazioni genetiche negli schizofrenici ma bisogna considerare 3 punti
importanti: sono tutte molto rare; solo un piccolo numero di persone che
presenta queste mutazioni rare ha la schizofrenia; esse non sono
specifiche della schizofrenia.
RUOLO DEI NEUROTRASMETTITORI: I farmaci efficaci nel trattare la
schizofrenia riducono l’attività dei sistemi dopaminergici: le molecole dei
farmaci antipsicotici si sostituiscono a quest’ultima, bloccando così un
particolare tipo di recettori postsinaptici nelle vie dopaminergiche. È stato
ipotizzato che la schizofrenia sia il risultato di un eccesso di attività nelle
vie nervose dopaminergiche. Quest’ipotesi si è rivelata una spiegazione
semplicistica. La corteccia prefrontale è considerata particolarmente
rilevante per i sintomi negativi della schizofrenia, l’ipoattività dei neuroni
dopaminergici in questa parte del cervello potrebbe contribuire ai sintomi
negativi della schizofrenia. È improbabile che un unico neurotrasmettitore
possa spiegarli a tutti: la serotonina ha un ruolo chiave, la trasmissione
GABAergica nella corteccia prefrontale è compromessa nei soggetti con
schizofrenia, i livelli di glutammato sono bassi nel fluido cerebrospinale
nelle persone con schizofrenia.

STRUTTURE E FUNZIONI CEREBRALI: Fra i risultati più consolidati sulle


anomalie cerebrali nella schizofrenia vi sono la dilatazione dei ventricoli,
le disfunzioni della corteccia prefrontale (è implicata in ambiti come il
linguaggio, la capacità decisionale e il comportamento finalizzato), della
corteccia temporale e delle circostanti regioni cerebrali. Ricerche più
recenti hanno identificato problemi nelle connessioni neurali reciproche
tra aree differenti nel cervello.

FATTORI AMBIENTALI CHE INFLUENZANO LO SVILUPPO DEL CERVELLO:


Alcune delle anomalie cerebrali osservate nella schizofrenia derivano da
un danno prodottosi durante la gestazione o il parto. Se lo sviluppo
cerebrale delle persone con schizofrenia si altera tanto precocemente,
perché il disturbo emerge soltanto molti anni dopo, nell’adolescenza o
all’inizio dell’età adulta? La corteccia prefrontale è una struttura cerebrale
che matura tardi. Pertanto, un danno in quest’area, può rimanere silente
fino alla fase dello sviluppo. Anche l’attività dopaminergica raggiunge il
suo picco nell’adolescenza.

FATTORI PSICOLOGICI: Gli individui con schizofrenia non sembrano andare


incontro a una maggiore quantità di stress nella vita quotidiana rispetto
alle persone che non soffrono di questo disturbo. Tuttavia essi sembrano
molto reattivi rispetto ai fattori di stress in cui tutti ci imbattiamo nella
vita quotidiana. La schizofrenia si osserva a tutti i livelli di status
socioeconomico in molti paesi, ma i tassi più alti di schizofrenia si
riscontrano tra le persone di SES più basso. Gli studiosi considerarono le
relazioni familiari, specialmente tra madre e figlio, di importanza decisiva
nello sviluppo della schizofrenia: viene definita madre schizofrenica, quel
tipo di madre fredda, dominatrice e conflittuale che si riteneva inducesse
schizofrenia nei figli. Le ricerche non hanno fornito dati in grado di
suffragare quest’ipotesi. Studi condotti su famiglie di persone con
schizofrenia hanno rivelato che i loro membri manifestano modalità di
comunicazione meno chiare e livelli di conflittualità più elevati. È stato
creato il CONCETTO DI EMOTIVITA’ ESPRESSA EE, che è la combinazione
di caratteristiche come commenti critici, ostilità ed eccessivo
coinvolgimento emotivo.

FATTORI EVOLUTIVI: Come sono, prima che i sintomi inizino a


manifestarsi, gli individui che poi sviluppano schizofrenia? I bambini che
in seguito avrebbero sviluppato schizofrenia avevano un QI inferiore ed
erano spesso asociali e chiusi in sé stessi rispetto a quanto avveniva per i
componenti di controllo. Attraverso l’osservazione di filmati, paragonati ai
loro fratelli, i bambini che più tardi avrebbero sviluppato schizofrenia
presentavano abilità motorie inferiori ed esprimevano un maggior numero
di emozioni negative.

TRATTAMENTO DELLA SCHIZOFRENIA


Il più delle volte il trattamento della schizofrenia si attua tramite una
combinazione di brevi ricoveri ospedalieri, farmaci e intervento
psicosociale. Un problema che si presenta con qualsiasi tipo di
trattamento della schizofrenia è che alcuni pazienti non si rendono conto
della loro condizione e rifiutano ogni tipo di cura.

• TERAPIE FARMACOLOGICHE: I farmaci antipsicotici, detti anche


neurolettici, producono effetti collaterali analoghi ai sintomi di certe
malattie neurologiche. Lo zelo nel dimettere dagli ospedali le persone con
schizofrenia non corrisponde alla necessità di tutti coloro che hanno
questo disturbo. Alcune persone avevano e ancora hanno bisogno di
essere trattate in ospedale. I trattamenti farmacologici hanno reso
possibile ad alcune persone con schizofrenia condurre la propria esistenza
al di fuori dell’ospedale. I FARMACI ANTIPSICOTICI DI PRIMA
GENERAZIONE sono efficaci nel ridurre la recidiva e come cura di
mantenimento. Fra gli effetti collaterali si presentano capogiri, vista
sfocata, irrequietezza motoria e disfunzioni sessuali e, particolarmente
fastidiosi, gli effetti collaterali extrapiramidali, che assomigliano ai sintomi
del morbo di Parkinson. A causa di questi seri effetti collaterali alcuni
clinici ritengono imprudente prescrivere dosi elevate di antipsicotici per
lunghi periodi di tempo. FARMACI ANTIPSICOTICI DI SECONDA
GENERAZIONE, clozapina, Essa è risultata essere un farmaco con minori
effetti collaterali, tassi più bassi di recidive e minori probabilità che i
soggetti abbandonino il trattamento. La clozapina, e suoi derivati come
olanzapina, non sono esenti da effetti collaterali e presentano effetti
collaterali extrapiramidali, diminuzione del sistema immunitario, aumento
di peso (ipercolesterolemia ed alti livelli di glucosio nel sangue diabete di
tipo 2. I farmaci di seconda generazione non si sono dimostrati più
efficaci dei farmaci di prima generazione, non hanno minori effetti
collaterali spiacevoli, quasi i tre quarti dei soggetti hanno interrotto il
trattamento prima della fine dello studio.

• TRATTAMENTI PSICOLOGICI: I limiti degli antipsicotici hanno dato impulso


agli sforzi per sviluppare trattamenti psicosociali da affiancare a quelli
farmacologici. I soggetti che ricevettero il trattamento combinato ebbero
tassi più bassi di recidive e di interruzione del trattamento, nonché
miglioramenti più accentuati nel loro stato funzionale generale. Il
TRAINING DELLE ABILITA’ SOCIALI si propone di far apprendere agli
individui con schizofrenia come gestire con successo un’ampia gamma di
situazioni interpersonali, dall’ordinare al ristorante, a compilare una
domanda di assunzione. Persone affette da schizofrenia possono non dare
per scontate queste attività. LE TERAPIE FAMILIARI i includono interventi
informativi sulla schizofrenia, forniscono informazioni sui farmaci psicotici,
aiutano le famiglie a evitare la colpevolizzazione, migliorano la
comunicazione e le abilità di problem-solving all’interno della famiglia,
incoraggiano l’espansione delle reti sociali e favoriscono un
atteggiamento fiducioso. NELLE TERAPIE COGNITIVO COMPORTAMENTALI
le convinzioni deliranti di alcuni pazienti possono di fatto essere
modificate attraverso colloqui collaborativi, in cui alcuni soggetti sono
stati aiutati ad associare un significato non psicotico a sintomi paranoidi.
La CBT può ridurre anche i sintomi negativi ed è il trattamento più efficace
per questi sintomi. LE TERAPIE DI RIABILITAZIONE COGNITIVA hanno lo
scopo di migliorare le funzioni cognitive e quindi influire favorevolmente
sul comportamento. Sono trattamenti che cercano di migliorare le funzioni
cognitive di base, come la capacità di apprendimento verbale la terapia di
potenziamento cognitivo consisteva in quasi 80 ore di training tramite
computer su attenzione, memoria e problem-solving. È efficace nel ridurre
i sintomi e nel migliorare le abilità cognitive. Con gli INTERVENTI
PSICOEDUCATIVI si cerca di educare le persone ad affrontare la propria
malattia conoscendone meglio i sintomi, i fattori di innesco biologici e
psicologici dei sintomi e le strategie di trattamento. I casi di trattamento
residenziale sono buone alternative per quelle persone che non hanno
bisogno di rimanere in ospedale, ma non stanno ancora abbastanza bene
da vivere da sole o con la famiglia sono residenze protette, dove le
persone dimesse dall’ospedale vivono, consuma i pasti e tornano
gradualmente la vita normale svolgendo un lavoro part-time o andando a
scuola (riabilitazione occupazionale).

CAPITOLO DECIMO

I DISTURBI DA USO DI SOSTANZE.


In tutto il mondo quasi ogni popolo fa uso di una o più sostanze intossicanti
che agiscono sul sistema nervoso centrale, capaci di alleviare il dolore fisico e
psichico o di produrre euforia. Mentre le conseguenze dell’assunzione
continuata di queste sostanze sono spesso devastanti, i loro effetti iniziali sono
in genere piacevoli, un fattore che forse è alla radice di questi disturbi.
DESCRIZIONE CLINICA, PREVALENZA E CONSEGUENZE DEI DISTURBI DA USO
DI SOSTANZE
Criteri diagnostici del DSM-5:
Uso disadattativo di una sostanza, tali da causare una menomazione
significativa del funzionamento della persona. Devono essere presenti 2 o più
dei seguenti sintomi nell’arco di un anno:
1. l’individuo non riesce a mantenere i suoi obblighi e impegni sociali
2. l’uso della sostanza è ripetuto anche in situazioni in cui è fisicamente
pericoloso
3. ripetuti problemi di relazione legati alla sostanza
4. l’individuo continua a usare la sostanza, nonostante i problemi che
essa causa;
5. tolleranza
6. astinenza
7. la sostanza viene assunta per un periodo più lungo o in quantità
maggiore di quello che il soggetto vorrebbe;
8. i tentativi di ridurre o controllarne l’uso non hanno successo
9. l’individuo dedica molto del suo tempo a cercare di procurarsi la
sostanza
10. individuo rinuncia o riduce le attività sociali, ricreazionali e
lavorative.
11. individuo continua a usare la sostanza, nonostante conosca i
problemi che essa causa;
12. il bisogno (craving) di usare la sostanza è forte
L’ampia disponibilità di moltissime sostante, nonché il loro uso frequente,
creano un terreno propizio al possibile abuso. Tra le sostanze illegali, la
marijuana era quella usata con maggior frequenza. L’alcol restava la sostanza
più utilizzata. Nel DSM-IV- TR erano previste due categorie di disturbi correlati
all’uso di sostanze: l’abuso e la dipendenza. La bassa affidabilità di questa
categorie e risultati sperimentali dai quali emerge che i criteri diagnostici
presentano una migliore corrispondenza con un’unica categoria anziché 2,
hanno portato alla revisione indotta poi nel DSM-5. Il DSM-5 riporta quindi
un’unica categoria, quella dei disturbi da uso di sostanze. Ci sono categorie
specifiche per le diverse sostanze, tra cui alcol, oppiacei e tabacco. Un
importante elemento di novità, è che nel DSM5 è stato incluso tra i disturbi
correlati a sostanze anche il disturbo da gioco d’azzardo. Due sintomi che
spesso accompagnano la forma grade del disturbo da uso di sostanze sono la
tolleranza e l’astinenza. La TOLLERANZA si manifesta attraverso la necessità di
assumere la sostanza in dosi sempre più alte per ottenere l’effetto desiderato,
oppure dalla marcata riduzione degli effetti quando la sostanza viene assunta
nella quantità abituale. I sintomi di ASTINENZA sono gli effetti negativi fisici e
psicologici che si manifestano quando la persona smette di assumere la
sostanza o ne riduce la quantità. I disturbi correlati all’uso di alcol o di sostanze
psicotrope sono fra i più colpiti da stigma sociale.
o DISTURBO DA USO DI ALCOLICI:
Gli individui che sviluppano dipendenza fisiologica l’alcol manifestano tolleranza
e sindrome da astinenza (ansia, depressione, debolezza, agitazione e il non
riuscire a dormire, tremori muscolari e, nei casi più gravi delirium tremens:
tremori, e allucinazioni soprattutto visive, ma anche tattili). In casi relativamente
rari, una persona che abbia assunto forti quantità di alcol per diversi anni può
arrivare a manifestare delirium tremens quando la concentrazione di alcol nel
sangue diminuisce bruscamente. Nel soggetto si manifestano allora delirio,
tremori e allucinazioni, soprattutto visive, ma anche tattili. Il disturbo da uso di
alcol è spesso associato all’uso di altre sostanze, molto spesso il fumo. Il
consumo di alcol è forte soprattutto tra i giovani adulti, in particolare ai primi
anni di università. Ciò vale sia per il binge drinking, il bere compulsivo, sia per
l’heavy use drinking, il bere pesante. L’alcol è un problema più per gli uomini
che per le donne. I disturbi da uso di alcol presentano comorbilità con diversi
disturbi di personalità, con in disturbi dell’umore, la schizofrenia e i disturbi
d’ansia, oltre che con l’uso di altre sostanze. L’alcol produce i suoi effetti a
breve termine interagendo con vari sistemi neurali nel cervello. Stimola i
recettori GABA, azione che potrebbe essere all’origine della sua capacità di
alleviare la tensione. Inoltre, l’alcol aumenta i livelli di serotonina e di dopamina;
da ciò potrebbe dipendere la sua capacità di produrre effetti piacevoli. Infine,
l’alcol inibisce i recettori del glutammato, il che potrebbe spiegare gli effetti
cognitivi dell’intossicazione, quali il rallentamento del pensiero e la perdita di
memoria. Il consumo prolungato di alcol causa effetti avversi, compromettendo i
processi digestivi e l’assorbimento delle vitamine e favorendo lo sviluppo di
cirrosi epatica.
o DISTURBO DA USO DI TABACCO:
La nicotina è il principio attivo del tabacco, capace di indurre dipendenza. Le vie
neurali da essa attivate stimolano i neuroni dopaminergici, coinvolti negli effetti
di rinforzo della maggioranza delle sostanze psicoattive. Il fumo è la causa di
morte prematura prevenibile più diffusa. Tra gli altri problemi di ordine medico
associati al fumo di sigaretta e quasi certamente causati, o esacerbati, da
un’abitudine al fumo protratta per lungo tempo, vi sono l’enfisema, il cancro alla
laringe e dell’esofago, del pancreas, della vescica… I pericoli della salute
derivanti dal fumo di sigaretta non si alimentano ai soli fumatori. Il fumo passivo
contieni concentrazioni di nicotina, monossido di carbonio, nicotina e catrame
più alte di quelle presenti nel fumo inalato dal fumatore. Le sigarette
elettroniche sono prensentate sul mercato come alternative sicure alle vere
sigarette, perché non contengono catrame e monossido di carbonio, e possono
essere d’aiuto alle persone che desiderano smettere di fumare le sigarette vere.
Altri sostengono che anche con questi dispositivi la nicotina continua ad avere
un’azione estremamente potente.
o MARIJUANA:
La marijuana è costituita dalle foglie essiccate triturate della canapa indiana, la
cannabis. L’hashish è molto più forte della marijuana e viene prodotto
essiccando la resina delle cime delle piante di cannabis. È la sostanza illecita più
frequentemente usata. La prevalenza è doppia per gli uomini rispetto alle
donne. Il principio attivo THC dà un senso di rilassamento e socievolezza. Dosi
forti producono un cambiamento dello stato emozionale, riducono la tensione,
causano la frammentazione del pensiero, provocano difficoltà di memoria e
sensazioni di rallentamento del tempo. La marijuana interferisce con il
funzionamento cognitivo, coinvolgendo aree come la pianificazione, la capacità
di prendere decisioni, la memoria di lavoro e la soluzione ai problemi. Gli e etti
fisici consistono in occhi arrossati e irritati, secchezza delle fauci e alla gola,
aumento dell’appetito, ridotta pressione intraoculare e leggero aumento della
pressione arteriosa. I problemi cognitivi legati all’uso di marijuana siano
riconducibili agli effetti della cannabis sui recettori dell’ippocampo. Fumare
marijuana si associa a un aumento di afflusso ematico alle regioni cerebrali
coinvolte nelle emozioni e a una diminuzione di flusso ematico nel lobo
temporale, associate all’attenzione uditiva. Ci sono numerose applicazioni
terapeutiche della marijuana: può ridurre nei malati di cancro alla nausea e la
perdita di appetito che accompagnano la chemioterapia; riduce il malessere che
accompagna l’AIDS, e allevia anche il dolore cronico.
o OPPIACEI:
Comprendono l’oppio e i suoi derivati, cioè morfina, eroina e Codeina (sedativi/
ipnotici/ansiolitici). Le sostanze di questo gruppo sono tutte in grado di
produrre dipendenza, e in dosi moderate alleviano il dolore e inducono il sonno.
Oggi è molto diffuso l’abuso degli oppiacei che possono essere legalmente
prescritti come farmaci per la terapia del dolore, quali l’idrocodone e
l’ossicodone. L’oppio e i suoi derivati producono euforia, sonnolenza,
fantasticherie e talvolta mancanza di coordinazione motoria. L’eroina ha un
effetto iniziale di euforia, il cosiddetto rush, una sensazione calda e soffusa di
benessere, ma a questa sensazione segue un down, segnato da una totale
mancanza di energia che sconfina nello stato stuporoso. Gli oppiacei producono
effetti stimolando i recettori neurali degli oppioidi endogeni (endorfine e
encefaline). Una qualche relazione tra questi recettori e il sistema dopaminergico
è responsabile degli effetti piacevoli di queste sostanze. Nelle prime ore
dall’esordio dei sintomi di astinenza, i sintomi sono quelli dell’influenza. Entro
36 ore la sintomatologia si aggrava e possono manifestarsi contrazioni
muscolari incontrollabili, crampi, brividi alternati a vampate di calore,
sudorazione, vomito e diarrea. Il costo elevato degli oppiacei spinge le persone
a procurarsi il denaro con mezzi illeciti.
o STIMOLANTI:
Gli stimolanti agiscono sul cervello e sul sistema nervoso simpatico,
aumentando lo stato di vigilanza e l’attività motoria. Le amfetamine sono
stimolanti di sintesi, mentre la cocaina è uno stimolante naturale estratto dalle
foglie di coca. Le amfetamine producono i loro effetti stimolando il rilascio di
noradrenalina e dopamina, e bloccando la ricaptazione di questi stessi
neurotrasmettitori. La loro azione acuisce lo stato di vigilanza, inibisce le
funzioni intestinali e riduce la sensazione di appetito, di qui il loro uso nelle
diete dimagranti. L’individuo diventa vigile, euforico ed estroverso, e sembra
attingere a riserve illimitate d’energia e fiducia in sé stesso. In dosi più forti le
amfetamine possono rendere il soggetto nervoso, agitato e confuso, provocare
palpitazioni, cefalea, vertigini e insonnia. L’abuso di metanfetamina. (Crystal
meth o Ice) tende ad essere più frequente tra gli uomini che tra le donne. Il
craving è un fattore predittivo affidabile dell’uso. L’uso cronico porta danni al
cervello, a carico del sistema dopaminergico e di quello serotoninergico, e causa
riduzione dell’ippocampo. C’è compromissione della capacità di decision making
ma non è chiaro se questa fosse già compromessa prima che il soggetto
cominciasse ad abusare della sostanza. La cocaina. (Crack) causa e etti piacevoli:
accresce il desiderio sessuale e produce nella persona sensazione di elevata
fiducia in sé, benessere e resistenza alla fatica. Un’overdose può produrre
brividi, nausea e insonnia, nonché una crisi di tipo paranoide e terrificanti
allucinazioni di insetti che formicolavano sotto. La cocaina agisce sul cervello
bloccando la ricaptazione della dopamina. Come effetti collaterali, la cocaina è
un vasocostrittore, cioè provoca il restringimento dei vasi sanguigni, che può
causare un infarto del miocardio. Accresce anche il rischio di ictus e causa
problemi di concentrazione e di memoria.
o ALLUCINOGENI, ECSTASY E PCP:
L’LSD e gli altri allucinogeni hanno come loro effetto principale è nella
produzione di allucinazioni. Il soggetto si rende conto che sono allucinazioni
indotte dalla droga. È più diffuso tra gli uomini e tra i giovani di età compresa
tra i 12 e i 17 anni. Non ci sono prove che confermino stimoli di astinenza.
L’LSD può alterare il senso del tempo. L’ecstasy ha effetti simili agli
allucinogeni. (MDMA). Essa favorisce l’intimità e l’introspezione, migliora le
relazioni interpersonali, eleva l’umore e la fiducia in sé stessi, intensifica la
sensibilità estetica. Può anche causare tensione muscolare, rapidi movimenti
oculari, digrignamento dei denti, nausea, svenimenti… La PCP è anche chiamata
polvere degli angeli ed è sviluppata per essere usata come tranquillante per
cavalli e altri animali di grossa taglia. Può causare intense reazioni negative, tra
cui gravi attacchi di paranoia e violenza.
EZIOLOGIA DEI DISTURBI DA USO DI SONTANZE
La dipendenza da una sostanza si sviluppa in alcuni casi attraverso un processo
graduale, ovvero l’individuo deve prima di tutto nutrire un atteggiamento
positivo verso una certa sostanza, quindi incominciare a sperimentarla
facendone uso, poi usarla regolarmente, quindi cominciare a usarla
pesantemente e infine abusarne o diventarne dipendente. Occorre tenere
sempre presente i fattori eziologici giocano un ruolo diverso in relazione alle
diverse sostanze.
➢ FATTORI GENETICI: I figli e i parenti di persone con problemi legati al bere
presentano tassi di disturbo da uso di alcol superiori a quelli attesi. Studi
su gemelli hanno rilevato che i gemelli MZ hanno concordanza maggiore,
rispetto ai DZ, per quanto riguarda il disturbo da uso di alcol, fumo,
marijuana e altre sostanze. La capacità di tollerare grandi quantità d’alcol
può essere un fattore ereditario che facilita l’insorgere del disturbo da uso
di alcol. Le ricerche hanno messo in luce anche il meccanismo attraverso
cui i fattori genetici possono giocare un ruolo nell’acquisire l’abitudine al
fumo di sigarette: la nicotina sembra stimolare il rilascio di dopamina e
inibirne la ricaptazione; dunque, gli individui più sensibili a questi effetti
della nicotina hanno maggiori probabilità di diventare fumatori regolari.

➢ FATTORI NEUROBIOLOGICI: Nel descrivere gli effetti delle diverse droghe


è stato menzionato quasi sempre il neurotrasmettitore della dopamina. Le
vie dopaminergiche hanno un ruolo importante nel sistema cerebrale del
piacere e della ricompensa. L’uso di una sostanza psicoattiva porta
tipicamente a sensazioni molto gratificanti e piacevoli, sensazioni che
sono prodotte attraverso il sistema dopaminergico. Sembrano vere sia le
ipotesi per cui alterazioni del sistema dopaminergico aumentano la
vulnerabilità di alcuni individui a sviluppare dipendenza da sostanze ma
anche le ipotesi per cui queste alterazioni sono conseguenti all’uso di
sostanze. Sebbene la ragione principale per cui le persone assumono
sostanze è sentirsi bene, un’altra motivazione è quella di evitare le
sensazioni spiacevoli associate all’astinenza. LA TEORIA DELLA
SENSIBILIZZAZIONE incentivante prende in considerazione sia il bisogno
compulsivo della sostanza (craving) sia il piacere che il soggetto trae dalla
sua assunzione. Secondo questa teoria, il sistema della dopamina
associato al piacere sviluppa un’ipersensibilità non solo verso gli effetti
diretti della sostanza, ma anche verso gli stimoli collegati alla sostanza
stessa (aghi, cucchiai, cartine). Questa sensibilizzazione agli stimoli
associati alla droga induce il craving, che porta le persone a far di tutto
per ottenere la droga. Col tempo la sensazione di piacere che il soggetto
ottiene dalla sostanza diminuisce, ma il craving resta molto alto.
Attraverso una fMRI, in un compito chiamato “go/not go”, i partecipanti
vedono apparire su uno schermo delle lettere e dovevano premere un
pulsante quando vedevano certe lettere e non premerlo quando ne
vedevano altre. La maggiore attivazione cerebrale quando inibivano la
pressione del pulsante avevano meno probabilità di assecondare il
craving e fumare di nuovo. Le persone con un disturbo da uso di sostanze
spesso danno maggior valore al piacere e alla ricompensa immediati che
derivano dall’assumere una sostanza, piuttosto che alle ricompense
ritardate: il dare valore a una ricompensa ritardata si associa
all’attivazione della corteccia prefrontale, il dare valore alla ricompensa
immediata si associa con l’attivazione dell’amigdala e del nucleo
accumbens.

➢ FATTORI PSICOLOGICI: Una delle principali motivazioni al consumo di


sostanze è il desiderio di modificare l’umore, cioè si ritiene che il consumo
di sostanze risulti rinforzato poiché si intensificano le emozioni positive o
si attenuano quelle negative. Varie ricerche hanno dimostrato che l’alcol
riduce non solo le emozioni negative ma anche quelle positive, in risposta
a situazioni ansiogene. Le ricerche sulla proprietà della nicotina hanno
risultati contraddittori: alcuni studi indicano che la nicotina effettivamente
riduce la tensione, altri non hanno rilevato questo genere di effetti. In un
esperimento è emerso che il fumo ridusse le emozioni negative in
entrambe le condizioni di umore indotte sperimentalmente,
indipendentemente dal fatto che i soggetti ricevessero sigarette con o
senza nicotina: era l’inalare il fumo a produrre i maggiori effetti di
riduzione delle emozioni negative. Fumare durante un’attività distraente
porta a una riduzione dell’ansia, mentre fumare in assenza di un’attività di
quel tipo non si associa a tale riduzione. Quando non sono disponibili
attività distraenti, l’alcol e la nicotina fanno aumentare la tensione. Alcune
persone usano le droghe per ridurre le emozioni negative, altre per
aumentare quelle positive quando si sentono annoiati. Altri fattori
psicologici che influenzano l’uso di una sostanza sono le convinzioni
soggettive sul suo grado di pericolosità e la percezione di quanto ne sia
diffuso il consumo: maggiore è il rischio percepito e meno è probabile il
suo uso. I tratti di personalità predittivi rispetto allo sviluppo di un
disturbo da dipendenza di sostanze sono alti livelli di nevroticismo; un
alto livello di attivazione fisiologica associato a livelli elevati di affettività
positiva; bassi livelli del tratto del constraint, ossia comportamenti
improntati alla cautela.

➢ FATTORI SOCIOCULTURALI: Dal gruppo dei pari ai genitori, dai media agli
standard comportamentali considerati accettabili da una certa cultura, le
influenze dei fattori socioculturali sull’interesse dei singoli per le sostanze
psicoattive e sui modi di accesso a esse sono notevoli. I tassi di consumo
più elevati sono stati tipicamente riscontrati nei paesi in cui è più forte il
consumo di vino. La maggior facilità riferita di accedere a particolari
droghe o all’alcol corrisponde a un uso maggiore di queste sostanze.
Anche gli ambienti familiari e sociali sono importanti: avere genitori o
amici che fumano o bevono rende i soggetti più inclini al bere o al fumare.
Le reti sociali influenzano il comportamento individuale rispetto al
consumo di alcol o di altre sostanze; tuttavia, altre evidenze indicano che i
soggetti inclini a sviluppare disturbi da uso di sostanze possono di fatto
scegliersi reti sociali che si conformano alle loro abitudini di consumo
delle sostanze stesse: queste due ipotesi prendono il nome di MODELLO
DI INFLUENZA SOCIALE e di MODELLO DI SELEZIONE SOCIALE. Anche le
pubblicità possono influenzare gli atteggiamenti verso fumo e alcol.
TRATTAMENTO DEI DISTURBI DA USO DI SOSTANZE
I disturbi da uso di sostanze sono tipicamente cronici e le ricadute sono
all’ordine del giorno. Chi lavora in questo campo è costantemente
impegnato nello sviluppo di trattamenti nuovi ed efficaci. Il primo passo
perché un trattamento abbia successo risiede nel riconoscere di avere un
problema con quella sostanza. Spesso si chiede al soggetto di smettere di
fare uso dell’alcol o della droga prima di cominciare un trattamento.

▪ TRATAMENTI DEL DISTURBO DA USO DI ALCOL: Il primo passo nel


trattamento consiste nella disintossicazione. L’astinenza da una
sostanza può essere molto difficile sia sul piano fisiologico sia su
quello psicologico. Benché la disintossicazione non debba
necessariamente avvenire all’interno di una struttura ospedaliera o
residenziali, in questo contesto fortemente controllato può risultare
meno spiacevole. L’associazione degli Alcolisti Anonimi AA è
l’associazione mondiale di auto-aiuto più nota per le persone con i
problemi con l’alcol. Ogni gruppo di AA organizza incontri regolari
e frequenti, durante i quali i nuovi iscritti si alzano in piedi per
dichiarare di essere alcolisti, raccontano la propria storia, mentre i
membri di più lunga data offrono la propria testimonianza su
quanto sia migliorata la loro vita attuale. Il gruppo offre all’alcolista
sostegno emotivo, comprensione e consigli, oltre a una rete di
relazioni sociali. I membri sono esortati a contattarsi a vicenda se
hanno bisogno di compagnia e di incoraggiamento a non ricadere
nel bere. Gli AA hanno la convinzione che la dipendenza dell’alcol
sia una malattia da cui non si guarisce mai del tutto, e che quindi
richiede una continua vigilanza per resistere alla tentazione di bere.
Il metodo degli AA produce effettivamente benefici significativi ma
scarsi se paragonati ad altri tipi di trattamento. La terapia di coppia
consiste nell’affrontare insieme i fattori di stress collegati all’alcol.
La terapia della gestione delle contingenze è di stampo CBT e
consiste nell’addestramento dei pazienti e delle persone a loro più
vicine a rinforzare i comportamenti che si contrappongono al bere.
Le contingenze ambientali possono avere un ruolo importante
nell’incentivare il bere o nel disincentivarlo. Il non fare uso di una
certa sostanza è premiato con l’assegnazione di buoni che possono
poi essere scambiati dalla persona con cose per lei positive. Gli
interventi motivazionali prevedono due elementi: una valutazione
complessiva per valutare l’uso di alcolici nei 3 mesi precedenti e un
trattamento motivazionale breve. Questo comprende feedback
personalizzati sul comportamento abituale del soggetto di bere
rapportato ai valori medi; informazioni sugli effetti dell’alcol;
suggerimenti per ridurre il danno e moderare il consumo di alcol. È
opinione diffusa che le persone con disturbo da uso di alcol
debbano astenersi completamente dal bere, ma molte ricerche
mettono in dubbio tale assunto, adottato anche dagli AA. È molto
difficile nella nostra società evitare completamente l’alcol, può
essere preferibile insegnare a non bere troppo alcol ma a fare un
consumo controllato, improntato alla moderazione. Il farmaco
Antabuse scoraggia l’assunzione dell’alcol provocando conati di
vomito se il soggetto assume alcol. Affinché questo trattamento
faccia effetto, la persona deve essere già fortemente motivata a
cambiare vita. Altri farmaci, che riducono l’impulso del craving,
aumentano l’efficacia della CBT.

▪ TRATTAMENTI DEL DISTURBO DA USO DI TABACCO: Il contesto


sociale sempre di più sostiene e incentiva la scelta di smettere di
fumare. La pressione esercitata dai pari verso l’abbandono
dell’abitudine al fumo appare altrettanto efficace di quanto lo è
stata per incominciare a fumare. Soltanto la metà circa di coloro che
intraprendono un trattamento per smettere di fumare arriva davvero
ad astenersi dal fumo. Il trattamento psicologico più diffuso consiste
nella semplice raccomandazione del medico curante di smettere di
fumare ma è scarsamente efficace. Un altro trattamento efficace è la
tecnica del fumo programmato che consiste nel ridurre
gradualmente nell’arco di alcune settimane la quantità di nicotina
assunta, convincendo il fumatore a lasciar passare più tempo fra una
sigaretta e l’altra. L’obiettivo che i trattamenti sostitutivi della
nicotina si pongono è quello di ridurre nel fumatore il bisogno della
sostanza fornendogliela sotto forma diversa dalla sigaretta quali
gomma da masticare alla nicotina, cerotti alla nicotina e sigaretta
elettronica. Un vantaggio del cerotto rispetto alla gomma è che esso
va applicato solo una volta al giorno, lo svantaggio è che se una
persona continua a fumare mentre utilizza il cerotto, il livello di
nicotina nel sangue può innalzarsi a livelli pericolosi.

▪ TRATTAMENTI DEI DISTURBI DA USO DI SOSTANZE: Cruciale nel


trattamento degli individui che fanno uso di sostanze quali l’eroina
e la cocaina è la fase di disintossicazione, che comporta la totale
astensione dalla sostanza. Un antidepressivo triciclico e la CBT sono
entrambe efficaci nel ridurre l’uso di cocaina e nel migliorare il
funzionamento dell’individuo. I pazienti sottoposti a CBT
apprendevano a evitare le situazioni ad alto rischio, a riconoscere il
richiamo che la sostanza esercitava su di loro e a sviluppare
alternative all’uso della cocaina: i soggetti apprendevano strategie
per far fronte al craving e per resistere alla tendenza a considerare
qualsiasi scivolone nel consumo di cocaina come una catastrofe.
L’approccio della gestione delle contingenze si è rivelato
promettente per il trattamento dei disturbi da uso di cocaina, eroina
e marijuana: i soggetti che ricevevano i voucher avevano maggiori
probabilità di rispettare il regime di astinenza. Anche il colloquio
motivazionale, unito alla CBT e alla teoria della gestione delle
esperienze, si è rivelato efficace per generare soluzioni positive per
la vita del paziente. I centri residenziali o le comunità di auto-aiuto
sono un’altra soluzione per chi soffre da disturbo da uso di eroina o
altre sostanze. Essi hanno varie caratteristiche: separazione dei
pazienti dai contatti sociali, non c’è disponibilità di droghe,
supporto costante, presenza di ex-tossicodipendenti da emulare,
confronto diretto con i simili, i pazienti non vengono stigmatizzati
ma rispettati. Come farmaci si utilizzano dei sostituti dell’eroina,
capaci di ridurre il craving, oppure gli antagonisti degli oppiacei,
che inibiscono l’high dell’eroina. I primi implicano sostanze come il
metadone, il quale anch’esso crea dipendenza, ma l’interruzione di
questo farmaco ha sintomi di astinenza ridotti rispetto all’eroina; i
secondi vengono disabituati gradualmente all’eroina, quindi
ricevono dosi crescenti di naltrexone che impediscono loro di
esperire la sensazione di high se assumono eroina. Sono terapie che
implicano visite giornaliere a un centro specializzato. Gli abbandoni
sono molti. La terapia sostitutiva non sembra essere efficaci nei casi
di disturbo da uso di cocaina. Lo sviluppo di trattamenti efficaci
della dipendenza da metamfetamina resta una sfida aperta per
questo campo.

PREVENZIONE DEI DISTURBI DA USO DI SOSTANZE


La quasi totalità dei fumatori ha iniziato prima dei 19 anni.
Sviluppare metodi per scoraggiare i giovanissimi a provare il
tabacco è diventata una priorità assoluta. Le misure che sembrano
più promettenti nel persuadere i giovani a stare lontani dal fumo
possono rivelarsi utili anche a dissuaderli dal consumare alcol e
altre sostanze. Brevi interventi centrati sulla famiglia sembrano
promettere buoni risultati. I programmi di respiro nazionale pensati
per controllare il consumo di tabacco, come aumento delle tasse,
limitazioni alla pubblicità sulle sigarette, campagne d’informazione
sui rischi del fumo e creazione di ambienti liberi dal fumo, sembrano
una strategia efficace. Le scritte e gli avvertimenti grafici sono
efficaci nel prevenire il fumo e aiutano le persone a smettere.
Moltissime scuole americane hanno organizzato programmi per
prevenire la diffusione del tabacco che hanno come caratteristiche:
l’addestramento a resistere alla persuasione del gruppo dei pari, la
correzione di convinzioni e di aspettative, l’immunizzazione dei
messaggi dei mass media, la leadership nel gruppo dei pari.

CAPITOLO UNDICESIMO

I DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE.
Con il DSM-IV, i disturbi dell’alimentazione sono divenuti una categoria a sé
stante; nel DSM-5 rientrano nel capitolo “Disturbi della nutrizione e
dell’alimentazione”, che comprende anche disturbi dell’infanzia quali la pica
(mangiare sostanze non alimentari per periodi di tempo prolungati) e il disturbo
da ruminazione (ripetuto rigurgito e masticamento del cibo). I disturbi
dell’alimentazione tendono ad essere stigmatizzati: i partecipanti hanno valutato
le donne con disturbi alimentari come autodistruttive e responsabili della loro
condizione. Gli uomini, in particolare, tendevano a ritenere che i disturbi
dell’alimentazione fossero facili da superare.
DESCRIZIONE CLINICA DEI DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE.
❖ ANORESSIA NERVOSA:
Criteri diagnostici del DSM-5:
1. Restrizioni di comportamenti alimentari con conseguente peso
corporeo molto basso; il peso corporeo è significativamente al di sotto
della norma
2. Intensa paura di aumentare di peso o ripetuti comportamenti che
interferiscono con l’aumento di peso
3. Percezione distorta dell’immagine corporea
Il termine anoressia si riferisce alla perdita di appetito, mentre nervosa indica le
basi emozionali del disturbo. Il decremento ponderale è ottenuto solitamente
con la dieta, anche se condotte di eliminazione, quali vomito auto-indotto e uso
di lassativi o diuretici, e attività fisica eccessiva possono far parte del quadro
clinico. La paura di ingrassare non diminuisce con il decremento ponderale. La
loro distorsione dell’immagine corporea porta le persone con anoressia nervosa
ad affermare di essere sovrappeso e che certe pari del corpo sono grosse,
anche quando sono emaciate. I livelli di autostima sono strettamente correlati
con la perdita di peso e con la magrezza. Il DSM-5 ha incluso anche una
classificazione dei livelli di gravità per l’anoressia nervosa basata sul BMI, dato
dal rapporto fra peso in kg e il quadrato dell’altezza in metri. Un buon indice di
salute è dato da BMI compresi fra 20 e 25. Le distorsione dell’immagine
corporea può essere valutata attraverso un questionario, l’Eating Disorders
Inventory. Anche la presentazione di disegni di corpi femminili di diverso peso
corporeo serve per la valutazione dell’anoressia.
Il DSM-5 include due tipologie di anoressia nervosa:
• CON RESTRIZIONI: Il decremento ponderale è ottenuto limitando
drasticamente l’assunzione di cibo
• CON ABBUFFATE/CON CONDOTTE DI ELIMINAZIONE: la persona si
sottopone regolarmente ad abbuffate o con condotte di eliminazione.
La distinzione tra i 2 sottotipi non ha alcuna utilità e spesso lo stesso soggetto
passa da un sottotipo all’altro nel corso della sua vita. Solitamente l’anoressia
nervosa insorge nella prima fase adolescenziale o in quello intermedio, spesso
dopo una dieta o un evento stressante. È circa dieci volte più frequente nelle
donne che negli uomini. La differenza di genere molto probabilmente riflette la
maggior importanza che la nostra cultura attribuisce alla bellezza femminile. Alle
donne con anoressia nervosa vengono spesso diagnosticati di pressione,
disturbo ossessivo-compulsivo, fobie, disturbo di panico, disturbi da uso di
sostanze diversi disturbi di personalità. Le conseguenze fisiche dell’anoressia
nervosa possono portare a ipotensione, brachicardia, problemi renali e
gastrointestinali…

❖ BULIMIA NERVOSA:
criteri diagnostici del DSM-5:
1. Ricorrenti episodi di alimentazione incontrollata abbuffata
2. Ricorrenti e inappropriate condotte compensatorie per prevenire
l'aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi,
diuretici o altri farmaci, digiuno o attività fisica eccessiva.
3. I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e
dal peso del corpo.
Bulimia è un termine di origine greca che significa “fame da bue”. Questo
disturbo comporta episodi durante i quali un rapido consumo di grandi quantità
di cibo è seguito da comportamenti compensatorie, quali il vomito, il digiuno
un’attività fisica eccessiva. Il DSM definisce il termine abbuffata con 2
caratteristiche:
• Mangiare, in un breve periodo di tempo, un’eccessiva quantità di cibo.
• Sensazione di perdere il controllo durante l'episodio, come se non si
potesse smettere.
Non si può diagnosticare la bulimia nervosa se gli episodi di abbuffata e le
condotte di eliminazione si verificano solo in un contesto di anoressia nervosa e
di calo ponderale estremo. La differenza essenziale tra anoressia del sottotipo
binge eating/condotte di eliminazione e bulimia e proprio la perdita di peso: le
persone con anoressia nervosa subiscono cali ponderali di enorme portata,
mentre ciò non accade agli individui con bulimia nervosa. Nella bulimia, le
abbuffate crisi bulimiche avvengono generalmente in solitudine; esse possono
essere indotte da stress e dalle emozioni negative. Queste persone riferiscono
di perdere il controllo e di solito si vergognano delle crisi bulimiche e cercano di
nasconderle. Quando l’abbuffata si conclude, una sensazione di disgusto, di
disagio e la paura di aumentare di peso portano alla seconda fase della bulimia
nervosa: le condotte di eliminazione per tentare di rimediare agli effetti calorici
della crisi bulimica. La diagnosi di bulimia nervosa richiede che gli episodi di
abbuffata e di comportamento compensatorio si presentino almeno una volta
alla settimana per un periodo di tre mesi.
❖ DISTURBO DA BINGE EATING:
criteri diagnostici del DSM-5:
1. Ricorrenti episodi di abbuffata
2. Non sono presenti condotte compensatorie come nella bulimia
nervosa.
3. Gli episodi di abbuffata sono associati ad almeno tre o più dei
seguenti aspetti
o Mangiare molto più rapidamente del normale.
o Mangiare fino a sentirsi sgradevolmente pieni.
o Mangiare grandi quantitativi di cibo anche se non ci si sente
amati.
o Mangiare da soli a causa dell'imbarazzo per quanto si sta
mangiando.
o Sentirsi disgustati verso sé stessi, depressi o molto in colpa
dopo l'episodio.
Viene incluso come categoria diagnostica per la prima volta nel DSM-5. Questo
disturbo comprende episodi ricorrenti di abbuffata (una volta alla settimana per
3 mesi), perdita di controllo e sensazione di disagio nei confronti del proprio
comportamento. Non ci sono comportamenti compensatori. Il più delle volte gli
individui con disturbo da Binge-eating sono obesi (indice di massa corporea
superiore a 30). Non tutte le persone obese soddisfano i criteri per il disturbo
da binge-eating. Molte persone che soffrono di binge eating hanno una storia di
ripetute diete. È un disturbo in comorbilità con depressione, disturbi d’ansia,
ADHD, disturbo della condotta e disturbi da uso di sostanze. Fra i fattori di
rischio per lo sviluppo di binge eating ci sono l’obesità infantile, uno scarso
concetto di sé, la depressione e i maltrattamenti o gli abusi sessuali
nell’infanzia. È più diffuso sia della bulimia, sia dell’anoressia nervosa.
EZIOLOGIA DEI DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE
▪ FATTORI GENETICI: I parenti di primo grado di giovani donne con
anoressia hanno probabilità dieci volte maggiori rispetto alla media di
presentare essi stessi il disturbo. Si hanno risultati simili anche per gli altri
disturbi dell’alimentazione. Anche gli studi sui gemelli suggeriscono
un’influenza genetica. La ricerca ha dimostrato che anche i fattori
ambientali non condivisi fra due gemelli contribuiscono allo sviluppo dei
disturbi dell’alimentazione. La ricerca inoltre suggerisce che aspetti chiave
dei disturbi dell’alimentazione, come l’insoddisfazione per il proprio
corpo, l’intenso desiderio di essere magri, le abbuffate e l’eccessiva
preoccupazione per il proprio peso siano tutte ereditabili. Ulteriori
evidenze indicano in fattori genetici comuni la spiegazione del rapporto
tra determinate caratteristiche di personalità, come emotività negativa e
constraint, e disturbi dell’alimentazione.

▪ FATTORI NEUROBIOLOGICI: L’ipotalamo è il centro cerebrale fondamentale


per la regolazione delle sensazioni di fame. L’ipotesi è che l’IPOTALAMO
svolga un ruolo nell’anoressia ed essa è confermata poiché il livello del
cortisolo, sul quale l’ipotalamo esercita una funzione regolatoria, è
alterato nelle condizioni di digiuno auto-importo. Gli OPPIOIDI ENDOGENI
migliorano l’umore e sopprimono l’appetito. Il digiuno nelle persone con
anoressia può aumentare i livelli di oppioidi endogeni, i quali producono
un tono dell’umore positivo che costituisce un rinforzo positivo. Inoltre,
l’eccessiva attività fisica che si riscontra in alcune persone con i disturbi
dell’alimentazione tenderebbe ad aumentare gli oppioidi endogeni e
pertanto costituirebbe anch’essa un rinforzo positivo. Non sappiamo se i
bassi livelli di oppioidi siano una causa della bulimia o un effetto delle
modificazioni nell’assunzione di cibo e delle condotte di eliminazione. Lo
stesso vale per il binge eating. Le abbuffate delle persone affette da
bulimia o dal disturbo da binge eating potrebbero essere la conseguenza
di un DEFICIT DI SEROTONINA che impedisce loro di sentirsi sazie quando
mangiano. La DOPAMINA è legata a quegli aspetti piacevoli del cibo che
spingono alla sua ricerca e studi di brain imaging condotti su esseri umani
hanno dimostrato come la dopamina sia legata alla motivazione a
ottenere buon cibo e altre cose piacevoli o gratificanti. Le donne con
anoressia riferivano di provare emozioni più positive in presenza di
immagini di donne sottopeso rispetto a immagini di donne normali e
mostravano una maggior attivazione in aree connesse alla dopamina e
alla ricompensa.

▪ FATTORI COGNITIVO COMPORTAMENTALI: Le teorie cognitivo-


comportamentali relative all’anoressia nervosa pongono in risalto la paura
d’ingrassare e la distorsione dell’immagine corporea come fattori
motivazionali che rendono il calo ponderale un potente elemento di
rinforzo. L’esordio del disturbo di solito avviene in seguito a un periodo
di perdita di peso e di restrizioni dietetiche. È inoltre possibile che il calo
poderale e le restrizioni dietetiche siano rinforzati positivamente dagli
altri. Il perfezionismo e un senso di inadeguatezza possono portare un
individuo a preoccuparsi eccessivamente del proprio aspetto, facendo
della dieta un potente fattore di rinforzo. Analogamente, le
rappresentazioni da parte dei media della magrezza come un canone di
bellezza ideale, l’essere sovrappeso e una tendenza a confrontare sé
stessi con gli altri ritenuti più attraenti sono tutti gli elementi che
contribuiscono all’affermarsi di un senso di insoddisfazione corporea. Le
persone con bulimia giudicano il proprio valore come persone soprattutto
in base al peso e alla forma corporea. Hanno scarsa autostima e, poiché il
peso e la forma risultano più controllabili rispetto ad altre caratteristiche
personali, esse tendono a concentrarsi su peso e forma, nella speranza
che i loro sforzi in quest’area le facciano sentir meglio. Le regole severe
che si auto-impongono vengono inevitabilmente infrante e dalla loro
inosservanza scaturisce un episodio di abbuffata. Dopo l’abbuffata si
intensificano via via i sentimenti di disgusto e paura di ingrassare, il che
porta ad azioni compensatorie, che riducono la paura di acquistare peso.
Stati negativi dell’umore, come ansia e depressione, causano le abbuffate.
Le persone con bulimia o binge eating esperivano uno stato affettivo
ancora più negativo dopo l’abbuffata e questo stress può essere ridotto
con le condotte di eliminazione. La preoccupazione per la forma e il peso
corporeo era predittiva delle restrizioni alimentari, le quali a loro volta
erano predittive di un incremento delle abbuffate.

▪ FATTORI SOCIOCULTURALI: C’è una costante progressione verso un ideale


di crescente magrezza intesa come canone di bellezza. Per gli uomini la
situazione appare alquanto diversa: si va verso un ideale di prestanza
muscolare. Via via che nel corso dell’ultima parte del XX secolo gli
standard culturali muovevano verso una sempre maggiore magrezza, un
numero crescente di persone diventava sovrappeso. Le donne hanno
maggiori probabilità degli uomini di intraprendere una dieta. L’esordio dei
disturbi dell’alimentazione è tipicamente preceduto da restrizioni
dietetiche e da altri timori riguardanti il peso, il che suffraga la tesi
secondo cui un ruolo importante di questi disturbi è quello giocato
dall’imperativo sociale della magrezza. La preoccupazione di non essere
abbastanza magre e l’insoddisfazione per il proprio corpo sono predittori
dei disturbi dell’alimentazione. L’ideale socioculturale caratterizzato da
magrezza è un probabile veicolo attraverso il quale le persone imparano a
temere non solo d’ingrassare, ma anche a sentirsi grasse.

▪ INFLUENZE DOVUTE AL GENERE: I disturbi dell’alimentazione sono più


comuni tra le donne che tra gli uomini, soprattutto in quelle donne da cui
ci si aspetta che siano particolarmente interessate ad essere magre e a
controllare il peso come le modelle, le ginnaste… L’auto-oggettivazione
induce le donne a provare maggiore vergogna per il proprio corpo. La
vergogna scatta quando le donne percepiscono una discrepanza tra il loro
sé ideale e la visione culturale della donna oggetto. Sia l’auto-
oggettivazione che la vergogna per il proprio corpo sono associate ai
disturbi dell’alimentazione. Con l’aumentare dell’età, i cambiamenti
intervenuti nei ruoli esistenziali – avere un compagno di vita, avere dei
figli – erano associati a una diminuzione dei sintomi di disturbi
dell’alimentazione.

▪ STUDI TRANSCULTURALI: Sono stati individuati casi di anoressia in paesi


che risentono scarsamente dell’influenza della cultura occidentale. È
necessaria, tuttavia, una cautela: l’anoressia osservata in queste diverse
culture non sempre include l’intensa paura di acquistare peso, che è parte
dei criteri del DSM. È probabile che l’intensa paura di ingrassare rifletta
un ideale di magrezza occidentale. In alcune culture non occidentali, un
peso corporeo maggiore tra le donne è particolarmente apprezzato e
considerato segno di fertilità e salute. La bulimia nervosa sembra essere
più diffusa nelle società industrializzate, rispetto ai paesi non
industrializzati.

▪ ALTRI FATTORI CHE CONTRIBUISCONO ALL’EZIOLOGIA DEI DISTURBI: La


personalità degli individui con disturbi dell’alimentazione, soprattutto di
quelli con anoressia, subisce alterazioni legate al calo ponderale: le
persone con anoressia risultano essere state perfezioniste, timide e
remissive prime dell’esordio del disturbo; le persone con bulimia avevano
comportamenti istrionici, instabilità affettiva e un atteggiamento
estroverso sul piano sociale. La tendenza al perfezionismo è alta nelle
persone con anoressia e anche nelle madri di queste ragazze. I resoconti
delle persone con disturbi dell’alimentazione rivelano invariabilmente
livelli elevati di conflittualità in seno alla famiglia.

TRATTAMENTO DEI DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE


Per trattare i pazienti con anoressia è spesso necessario il ricovero
ospedaliero, in modo da aumentare gradatamente e monitorare
attentamente la loro assunzione di cibo. Il decremento ponderale può
essere così gravi da rendere necessaria l’alimentazione per via
endovenosa per salvare la vita del paziente. Tanto per anoressia quanto
per la bulimia si ricorrere a interventi di tipo sia farmacologico che
psicologico.

▪ TRATTAMENTI FARMACOLOGICI: La bulimia nervosa è stata trattata con


diversi antidepressivi, che si sono dimostrati efficaci nel ridurre
l’alimentazione incontrollata, il vomito e nel ridurre la depressione e gli
atteggiamenti distorti nei confronti del cibo e dell’alimentazione. Tuttavia,
molte persone con bulimia interrompono il trattamento farmacologico,
principalmente a causa degli effetti collaterali del farmaco. Si è
intervenuto con trattamenti farmacologici anche per l’anoressia nervosa,
che però, non si sono dimostrati efficaci nel ridurre incrementi ponderali.
Nel disturbo da binge-eating, il trattamento farmacologico non è stato
altrettanto ben studiato, ma sembra che i farmaci antidepressivi non siano
efficaci nel ridurre una perdita di peso.

▪ TRATTAMENTO PSICOLOGICO DELL’ANORESSIA NERVOSA: La terapia per


l’anoressia è generalmente considerata un processo a due fasi:
1. l’obiettivo immediato consiste nell’aiutare l’individuo ad aumentare di
peso per evitare complicanze mediche e la possibilità di morte. I
programmi di terapia comportamentale con rinforzi positivi
dell’aumento di peso hanno sortito buoni risultati nel breve periodo.
2. Mantenimento a lungo termine degli incrementi ponderali.
Trattamenti egualmente efficaci sono la CBT, gli interventi psicoeducativi e
la terapia psicodinamica. La terapia familiare forma principale di
trattamento psicologico per l’anoressia, basata sull’idea che le interazioni
tra i membri della famiglia del paziente possono giocare un ruolo di primo
piano nel trattamento del disturbo. Il terapeuta incontra le famiglie delle
persone con anoressia durante i pranzi di famiglia.
▪ TRATTAMENTO PSICOLOGICO DELLA BULIMIA NERVOSA: La terapia
cognitivo-comportamentale è lo standard più attuale e meglio validato per
il trattamento della bulimia. In questa terapia alle persone con bulimia
vengono incoraggiate a mettere in discussione i canoni sociali relativi
all’avvenenza fisica. Queste persone devono essere aiutate a comprendere
che si può mantenere un peso corporeo nella norma senza alcuna dieta
ferrea e che le restrizioni non realistiche dell’apporto alimentare possono
portare ad abbuffate. Modificare questo approccio “tutto o niente” può
aiutare le persone con bulimia a passare ad una alimentazione moderata.
L’obiettivo generale del trattamento della bulimia nervosa consiste nello
sviluppare comportamenti alimentari normali. Il terapeuta e paziente
lavorano insieme per identificare quali siano gli eventi, i pensieri e le
emozioni che scatenano l’impulso incontrollato ad abbuffarsi, e
successivamente per apprendere le modalità più adattative con le quali
affrontare tali evenienze. La terapia cognitivo-comportamentale è più
efficace di qualsiasi trattamento farmacologico disponibile. Lo è anche la
terapia familiare così come quella interpersonale.

▪ TRATTAMENTO PSICOLOGICO DEL DISTURBO DA BINGE EATING: La


terapia cognitivo-comportamentale è efficace nei confronti del disturbo da
Binge-eating. Si concentra principalmente sulle abbuffate e sulle
restrizioni alimentari, dando importanza all’auto-monitoraggio,
all’autocontrollo e alle tecniche di problem solving relative
all’alimentazione. Anche la terapia interpersonale è altrettanto efficace.

▪ INTERVENTI PREVENTIVI PER I DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE: Un


diverso approccio al trattamento dei disturbi dell’alimentazione si basa
sulla prevenzione. Sono stati elaborati e attuati 3 diversi tipi di interventi
preventivi: interventi psicoeducativi, depotenziare le influenze sociali,
individuare i soggetti a rischio. Due tipi di interventi danno buoni risultati
nel ridurre i sintomi dei disturbi dell’alimentazione in ragazze adolescenti:
un intervento di riduzione della dissonanza, mirato a depotenziare le
influenze socioculturali e un intervento a favore di un peso adeguato,
mirato sui fattori di rischio.

CAPITOLO DODICESIMO

I DISTURBI SESSUALI
NORME E COMPORTAMENTO SESSUALI
Ciò che si definisce normale o desiderabile del comportamento sessuale umano
varia nel tempo e da un luogo all’altro. l’opinione corrente in epoca vittoriana
era che l’appetito sessuale fosse pericoloso e, in quanto tale, andasse frenato.
La tecnologia ha modificato le esperienze sessuali. Oltre ai cambiamenti nel
corso del tempo e da una generazione all’altra è la cultura di appartenenza a
influenzare atteggiamenti e convinzioni riguardo alla sessualità. In alcune culture
la sessualità è vista come una parte importante del benessere e del piacere che
una persona può provare, mentre un altre la sessualità è considerata rilevante
solo ai fini della procreazione. Le culture si differenziano le une dalle altre anche
nel grado di accettazione nei confronti delle variazioni nel comportamento
sessuale.
GENERE E SESSUALITA’
Negli uomini pensieri e comportamenti sessuali sono più frequenti che nelle
donne. Gli uomini riferiscono di pensare al sesso, di masturbarsi e di desiderare
di fare sesso più spesso, oltre a desiderare un maggior numero di partner
sessuali e ad averne un maggior numero. Le donne tendono a provare maggior
vergogna per eventuali difetti del loro aspetto e questa vergogna può interferire
con la soddisfazione sessuale. Le donne tendono a riferire una minore pulsione
sessuale e una minore tendenza a masturbarsi quando non sono all’interno di
una relazione. Molte riferirono, in completa analogia con gli uomini, che le loro
motivazioni principali nell’avere rapporti sessuali erano l’attrazione sessuale e la
gratificazione fisica. Le donne hanno molte più probabilità di riferire i sintomi di
una disfunzione sessuale, mentre gli uomini hanno molte più probabilità di
soddisfare i criteri diagnostici per i disturbi parafiliaci.
CICLO DELLA RISPOSTA SESSUALE:
Diversi ricercatori hanno cercato di comprendere il ciclo della risposta sessuale.
Il gruppo Kinsey fece importanti passi avanti negli anni ’40. Kaplan ha
teorizzato il ciclo della risposta sessuale che comprende quattro fasi:
1. FASE DEL DESIDERIO: L’interesse o desiderio sessuale, associata
fantasie o pensieri che stimolano l’eccitazione.
2. FASE DELL’ECCITAZIONE: Uomini e donne provano piacere e
presentano una maggiore irrorazione sanguigna nei genitali
3. FASE DELL’ORGASMO: Si raggiunge il picco di piacere sessuale
4. FASE DELLA RISOLUZIONE: Rilassamento muscolare e sensazioni di
benessere generale che solitamente seguono un orgasmo
Dati più recenti mettono in dubbio la validità della distinzione tra fase del
desiderio e fase dell’eccitazione nelle donne. L’eccitazione biologica e quella
soggettiva vanno considerate separatamente nelle donne, mentre nell’uomo
tendono ad essere fortemente correlate.
DISFUNZIONI SESSUALI
La nostra sessualità influenza almeno in parte il concetto che abbiamo di noi
stessi. Quando insorgono, i disturbi sessuali possono avere effetti devastanti
sulla nostra autostima sulle nostre relazioni.
▪ DESCRIZIONE CLINICA DELLE DISFUNZIONI SESSUALI: I criteri diagnostici
di tutte le disfunzioni sessuali specificano che la disfunzione deve essere
persistente e ricorrente e deve causare disagio clinicamente significativo o
problemi nello svolgimento delle normali funzioni quotidiane. Una
diagnosi di disfunzione sessuale non viene formulata se si ritiene che il
disturbo sia dovuto esclusivamente ad una condizione medica, o a un
altro disturbo psicologico. Sono invece molte le persone che riferiscono
questi sintomi, e la prevalenza di sintomi occasionali di disfunzioni
sessuali è in effetti piuttosto elevata I sintomi devono protrarsi per
almeno sei mesi. È un fatto molto comune che le persone presentino certi
sintomi di disfunzione sessuale per un mese; inoltre, nei tre quarti dei casi
col tempo si ha la remissione spontanea dei sintomi. I problemi sessuali,
oltre alle conseguenze per l’individuo che ne soffre, possono portare a
problemi sessuali anche nel partner.
DISTURBI RELATIVI ALL’INTERESSE, AL DESIDERIO E ALL’ECCITAZIONE
• DISTURBO DEL DESIDERIO SESSUALE E DELL’ECCITAZIONE SESSUALE
FEMMINILE
Si riferisce alla persistente carenza di interesse sessuale (fantasie o
impulsi sessuali), di eccitazione fisiologica o soggettiva.
I Criteri diagnostici del DSM-5:
Diminuita, assente o ridotta frequenza di almeno tre dei seguenti fattori
per sei mesi o più:
1. interesse per l’attività sessuale;
2. pensieri e fantasie sessuali;
3. dare inizio attività sessuale e rispondere positivamente ai
tentativi del partner di iniziare
4. eccitazione/piacere sessuale durante il 75% degli incontri
sessuali
5. interesse/attivazione sessuale sollecitati da stimoli interni o
esterni
6. sensazioni genitali o non genitali durante il 75% degli incontri
sessuali.
• DISTURBO DEL DESIDERIO SESSUALE IPOATTIVO MASCHILE:
si riferisce, secondo il DSM-5, a fantasie sessuali o desiderio di attività
sessuale persistentemente carenti o assenti, alla valutazione del clinico.
IL DISTURBO ERETTILE si riferisce a una persistente incapacità di raggiungere
o di mantenere un’erezione fino al completamento dell’attività sessuale.
I criteri diagnostici del DSM-5:
In almeno il 75% delle occasioni sessuali per un periodo di almeno sei mesi:
1. persistente incapacità di raggiungere o mantenere un’erezione fino
al completamento dell’attività sessuale.
2. una marcata riduzione della rigidità erettile interferisce con la
penetrazione e il piacere.
Tra le persone che richiedono un trattamento per disfunzioni sessuali, più della
metà lamenta bassi livelli di desiderio. Le donne hanno maggiori probabilità
degli uomini di riferire problemi, quanto meno occasionali, relativi al livello di
desiderio sessuale. Le norme culturali sembrano influenzare la percezione di
quanta attività sessuale una persona “dovrebbe” desiderare.
• DISTURBO DELL’ORGASMO:
Il Disturbo dell’orgasmo femminile, secondo il DSM-5, si riferisce alla
persistente assenza o ridotta intensità dell’orgasmo dopo l’eccitazione
sessuale. Circa un terzo delle donne riferisce di non raggiungere sempre
l’orgasmo con il proprio partner. Per molte donne il senso di vicinanza
emotiva con il proprio partner che accompagna il rapporto sessuale è più
importante del raggiungere l’orgasmo. Il DSM-5 descrive 2 disturbi
dell’orgasmo negli uomini:
L’EIACULAZIONE PRECOCE, definita come tendenza a eiaculare durante
l’attività sessuale con un/a partner entro un minuto dall’inizio dell’attività in
almeno il 75% delle occasioni sessuali durante un periodo di almeno sei
mesi.
L’EIACULAZIONE RITARDATA, definita come persistente ritardo, in
frequenza o assenza dell’orgasmo in almeno il 75% delle occasioni sessuali
per un periodo di almeno sei mesi. L’eiaculazione ritardata è la disfunzione
sessuale maschile meno comune.
• DISTURBI DA DOLORE SESSUALE
DISTURBO DEL DOLORE GENITO-PELVICO E DELLA PENETRAZIONE
è definito dai seguenti criteri del DSM-5:
Persistente ricorrenti difficoltà durante un periodo di almeno sei mesi in
presenza di almeno uno dei seguenti fattori:
1. incapacità di avere un rapporto/penetrazione vaginale;
2. marcato dolore vulvovaginale o pelvico durante la penetrazione
vaginale o i tentativi di avere un rapporto;
3. notevole paura o ansia riguarda dolore o alla penetrazione
4. marcata contrazione della muscolatura del pavimento pelvico
durante tentativi di penetrazione vaginale.
Dolore persistente o ricorrente durante il rapporto sessuale. Alcune donne
possono riferire il dolore durante l’atto della penetrazione, anche dopo. le
donne che hanno questo disturbo spesso soffrono di VAGINISMO, definito come
la contrazione involontaria della muscolatura nel pezzo più esterno della vagina,
tanto da rendere impossibile la penetrazione. La maggior parte delle donne con
disturbo da dolore sessuale presenta normali livelli di eccitazione sessuale e
può avere orgasmi in seguito a stimolazione manuale o orale che non
comprenda la penetrazione.
EZIOLOGIA DELLE DISFUNZIONI SESSUALI
Masters e Johnson (1970) delinearono una teoria delle cause delle disfunzioni
sessuali basata su studi di casi tratti dalla loro pratica clinica. Essi distinsero fra
cause attuali e cause remote. Le cause attuali sono sostanzialmente 2: le paure
legate alla prestazione e i l’adozione di ruolo di spettatore, ossia porsi
nell’esperienza sessuale come un osservatore piuttosto che come un
partecipante.
Le cause remote sono quelle elencate qui di seguito:
▪ FATTORI BIOLOGICI: malattie fisiche, elevato consumo di alcol, assunzione
di farmaci antipertensivi e antidepressivi
▪ FATTORI PSICOLOGICI: violenza o abuso sessuale nell’infanzia e non,
mancanza di conoscenze e di abilità sulla sessualità, preferenze
omosessuali, sensi di colpa sulla sessualità per influenze religiose o
culturali di altro tipo.
Nelle donne le preoccupazioni relative all’affetto del partner nei loro confronti
appaiono specificamente correlate con la soddisfazione sessuale. Anche nelle
coppie che sono soddisfatte in altri ambiti del rapporto, una comunicazione
mediocre può contribuire alla disfunzione sessuale. Ansia e depressione
accrescono il rischio di disfunzioni sessuali. L’attività fisica facilitava l’eccitazione
sessuale. Il troppo stress e la spossatezza chiaramente ostacolano il
funzionamento sessuale.
TRATTAMENTO DELLE DISFUNZIONI SESSUALI
La natura pluridimensionale delle disfunzioni sessuali spesso richiede che si
intervenga combinando tecniche diverse. Si operano interventi di riduzione
dell’ansia perché molte delle disfunzioni sessuali sono dovuti agli aspetti
ansiogeni della situazione sessuale, per cui le tecniche di esposizioni graduali,
come la desensibilizzazione sistematica e la di sensibilizzazione in vivo sono
molto utili. Anche programmi di psico educazione sono molto efficaci per ridurre
l’ansia. Gli esercizi di focalizzazione sensoriale aiutano la persona a concentrarsi
sulle sensazioni fisiche, così da contrastare la tendenza distruttiva a pensare alla
propria performance a dubitare della propria attrattività durante il sesso.
L’addestramento alla comunicazione consiste nell’incoraggiare i partner a
comunicarsi ciò che preferiscono e ciò che, invece, non gradiscono. La
masturbazione guidata è ideata per accrescere il benessere ed il piacere che le
donne traggono dalla sessualità. Nella prima fase la donna esamina
attentamente il proprio corpo nudo, compresi genitali, identifica varie arie con
l’ausilio di disegni. Successivamente, viene istruita toccare i propri genitali e a
localizzare aree erogene. Qui, accresce l’intensità della masturbazione
ricorrendo a fantasie erotiche fino a raggiungere l’orgasmo. È efficace nel
trattamento del disturbo dell’orgasmo e nel trattamento del disturbo del
desiderio sessuale. Le disfunzioni sessuali sono spesso parte di una relazione in
crisi. Le coppie che vivono questa situazione hanno bisogno di un
addestramento specifico per incrementare le proprie capacità di comunicazione
non attinenti alla sfera sessuale tramite la terapia di coppia. Occorre sempre
tenere presente che molte disfunzioni sessuali sono profondamente inseriti in
un quadro complesso di conflitti interpersonali, e quindi cercare di risolvere con
un approccio strettamente medico non rappresenta la soluzione migliore.
Nonostante ciò, è stato un enorme incremento di approcci farmacologici alle
disfunzioni sessuali. Per il trattamento dell’eiaculazione precoce farmaci
antidepressivi come gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina si
sono dimostrati utili.
DISTURBI PARAFILICI
I disturbi parafilici sono un gruppo di disturbi nei quali l’eccitazione sessuale
viene suscitata in modo ricorrente – e per un periodo di almeno 6 mesi - da
oggetti inusuali oppure attività sessuali di natura inusuale. Para deviazione/ -
philia ciò che suscita attrazione. Il DSM differenzia i disturbi parafilici sulla base
della fonte dell’eccitazione sessuale. Circa il 50% degli uomini riferisce la
fantasia voyeuristica di spiare donne nude e inconsapevoli di essere osservate.
Si è aperto un ampio dibattito circa l’opportunità e la correttezza da
diagnosticare come disturbi alcune parafilie. Il DSM-5 mantiene queste etichette,
ma a esse aggiunge il termine “disturbo” per sottolineare che le diagnosi
devono essere trattate solo quando la specifica attrazione sessuale causa alla
persona notevole disagio o compromissione funzionale, oppure se le attività
sessuali vengono praticate con persone non consenzienti. Questi disturbi
possono avere conseguenze penali. La maggior parte dei casi dei disturbi
parafilici sono maschi ed eterosessuali. L’esordio avviene nell’adolescenza o
nella prima età adulta. Chi presenta un disturbo parafiliaco spesso soddisfa i
criteri anche per altri disturbi parafilici.
▪ DISTURBO FETICISTICO:
Utilizzo di un oggetto inanimato o di una parte non genitale del corpo per
raggiungere l’eccitazione sessuale. Con il termine feticcio si fa riferimento
oggetto di questi impulsi sessuali, ad esempio scarpe o piedi femminili,
ma anche biancheria intima, pelle, e scarpe da donna. La persona con
disturbo feticistico prova un’attrazione compulsiva verso l’oggetto; tale
attrazione viene esperita come involontaria e irresistibile.

▪ DISTURBO PEDOFILICO E INCESTO:


Viene diagnosticato quando degli adulti traggono gratificazione sessuale
dal contatto con bambini prepuberi, oppure quando i loro desideri
ricorrenti e intensi di contatto sessuale con bambini prepuberi causano
disagio a loro stessi o ad altri. Il soggetto cui viene diagnosticato questo
disturbo deve avere almeno 16 anno e almeno 5 anni in più del bambino.
Una forte attrazione controlla il comportamento. Talvolta un uomo con
disturbo pedofilico si accontenta di accarezzare i capelli del bambino, ma
può anche manipolarne i genitali, incoraggiare il bambino a manipolare i
suoi e, più raramente, tentare la penetrazione. In genere queste persone
molestano bambini che conoscono, come figli di vicini o di amici di
famiglia. La diagnosi di questo disturbo non viene formulata unicamente
in base all’attrazione sessuale, ma è tratta solo quando l’adulto agisce
sulla base dei suoi impulsi sessuali verso i bambini, oppure quando quegli
impulsi raggiungono una tale frequenza o intensità da causare uno stato
di malessere nella persona o in chi è vicino.

▪ DISTURBO VOYEURISTICO:
Intenso e ricorrente desiderio di raggiungere la gratificazione sessuale
attraverso l’osservazione di altre persone mentre sono svestite o
impegnate in attività sessuali sembra importante, perché il voyeur è
eccitato dal pensiero di come la donna reagirebbe, se sapesse di essere
osservata.

▪ DISTURBO ESIBIZIONISTICO:
Desiderio ricorrente e intenso di raggiungere la gratificazione sessuale
mediante l’esposizione dei propri genitali a un estraneo non consenziente.
Sono rari i tentativi di avere un contatto effettivo con la persona
sconosciuta. C’è il desiderio di imbarazzare o di scioccare chi guarda.
l’impulso a mostrarsi sembra essere travolgente e incontrollabile per
l’esibizionista, e a quanto pare è scatenato dall’ansia e da uno stato di
agitazione oltre che dall’eccitazione sessuale. Dopo essersi esposti, gli
esibizionisti tendono a fuggire e a provare rimorso.

▪ DISTURBO FROTTEURISTICO:
I desideri e gli impulsi sessuali sono incentrati sul toccare in modo
sessualmente orientato una persona non consenziente. Questi episodi
avvengono tipicamente in luoghi affollati, come mezzi di trasporto
pubblico o marciapiedi, che assicurino una facile via di fuga. Chi soffre di
questo disturbo mette in atto le proprie pulsioni frotteuristiche molto di
frequente

▪ DISTURBO DA SADISMO SESSUALE E DA MASOCHISMO SESSUALE:


Nel disturbo da sadismo sessuale al centro dell’eccitazione sessuale vi è il
desiderio di infliggere una sofferenza fisica o psicologica a un’altra
persona. Il disturbo da masochismo sessuale è incentrato sul desiderio di
essere sottoposto a una sofferenza fisica o a un’umiliazione. Le
manifestazioni del disturbo da masochismo sessuale sono svariate e
includono il bondage, il farsi bendare, lo sculacciamento, la fustigazione,
le scosse elettriche, le ferite da taglio, le umiliazioni... La maggior parte
dei sadici stabilisce rapporti con masochisti per trarne una reciproca
gratificazione sessuale. Anche se molti riescono ad assumere sia il ruolo
di dominate sia quello di sottomesso, i masochisti superano
numericamente i sadici.
EZIOLOGIE DEI DISTURBI PARAFILICI
Poiché molte persone non vogliono parlare delle loro parafilie, i ricercatori
hanno poche opportunità di comprenderne le cause. La maggior parte degli
studi è stata condotta su uomini arrestati per il loro comportamento sessuale,
ben poco si sa di tutti quelli il cui comportamento non conduce ad un arresto.
Circa i due terzi dei soggetti colpevoli di reati sessuali riferivano una storia di
abusi sessuali. Nel caso di alcune parafilie, il cedere all’impulso sessuale può
essere visto come un atto impulsivo in cui la persona perde il controllo sul suo
comportamento. L’alcol fa diminuire la capacità di inibire i propri impulsi: gli
incidenti legati ai disturbi pedofilico, voyeuristici ed esibizionisti spesso si
verificano in un conteso di uso di alcol. L’attività sessuale viene usata per
sfuggire a un’emozione negativa. Le persone con questi disturbi tendono a
manifestare una maggiore impulsività e una scarsa capacità di regolare le
emozioni. Anche le distorsioni cognitive e gli atteggiamenti giocano un ruolo
nei disturbi parafilici per giustificare il proprio comportamento.
TRATTAMENTI PER DISTURBI PARAFILICI
Poiché molti dei comportamenti coinvolti nelle parafilie sono illegali, alcune
delle persone a cui viene diagnosticata una parafilia sono condannate a pene
detentive e il tribunale ordina che siano sottoposti a trattamento. Molti
ricercatori ritengono che non sia etico non fornire un trattamento quando le
conseguenze dei reati sessuali sono così gravi, per questo, nella maggior parte
degli studi, non ci sono soggetti assegnati a un gruppi di controllo. Per
rafforzare la motivazione ideale (ideal affect) motivazione al trattamento, un
terapeuta può: empatizzare nei confronti della riluttanza del trasgressore ad
ammettere la sua colpevolezza e sottoporsi al trattamento, riducendo così
l’ostilità e l’atteggiamento difensivo; sottolineare come i trattamenti disponibili
siano in grado di aiutarlo a controllare meglio il suo comportamento. Un
trattamento prettamente comportamentale è la terapia aversiva, con cui
venivano somministrate scosse elettriche sulle mani un farmaco che produce
nausea quando il soggetto con parafilia guardava l’oggetto del suo desiderio.
Una variante della terapia aversiva basata su procedure immaginative è la
sensibilizzazione covert, per mezzo della quale la persona immagina situazioni
inappropriate che trova eccitanti immagina anche di provare nausea o vergogna
nei confronti di ciò che senti e agisce. Le procedure cognitive vengono utilizzate
per contrastare le distorsioni cognizione della persona con parafilie. Una di
queste l’addestramento all’empatia, cioè insegnare a chi commette reati di
considerare fino a che punto le sue azioni influiscono negativamente sulla
vittima. Un’altra procedura cognitiva è la tecnica di prevenzione delle recidive, in
cui si aiuta il paziente a identificare situazioni ed emozioni che potrebbero
generare il comportamento sintomatico. La castrazione chirurgica oggi non è
più un trattamento diffuso, per i gravi problemi di ordine etico che la
accompagnano. Si usano come da tempo diversi farmaci per trattare le parafilie,
e di norma, questi farmaci vengono utilizzati come integrazione al trattamento
psicologico. Negli uomini, vengono utilizzate sostanze ormonali in grado di
ridurre gli androgeni. L’uso dei farmaci solleva delle questioni etiche perché
produce effetti collaterali negativi, come l’infertilità, problemi epatici,
osteoporosi e diabete. È necessario quindi ottenere un consenso informato
rispetto a tali rischi, e molti pazienti non consentono. Vengono comunemente
usati anche antidepressivi degli inibitori selettivi della ricaptazione della
serotonina SSRI. La maggioranza delle persone ha paura dei reati sessuali,
perciò non è facile far sì che vi sia equilibrio fra il proteggere la popolazione
generale e il rispetto delle libertà civili di chi si è reso colpevole di reati di
questo tipo.

Capitolo tredicesimo

I DISTURBI DELL’INFANZIA
Per poter diagnosticare come patologico il comportamento disturbato di
bambino, occorre prima definire quale comportamento sia da ritenersi normale
per una data età. La psicopatologia dello sviluppo dei disturbi dell’infanzia
inquadrandoli nel contesto del normale sviluppo lungo tutto l’arco
dell’esistenza, permettendo così l’identificazione di comportamenti che sono
appropriati in una certa fase dello sviluppo, ma che in un’altra vanno considerati
manifestazioni di un disturbo.
Nel DSM-5 i disturbi dell’infanzia sono suddivisi in 2 capitoli: “disturbi del
neurosviluppo” e “disturbi del comportamento dirompente”, del controllo degli
impulsi e della condotta”. I disturbi psicopatologici infantili più frequenti sono
suddivisi in due vaste categorie:
▪ DISTURBI ESTERNARNALIZZANTI: Caratterizzati da comportamenti diretti
prevalentemente verso l’esterno, come l’aggressività, l’insubordinazione,
l’iperattività e impulsività. Questa categoria comprende disturbo da deficit
di attenzione/ iperattività, disturbo della condotta, disturbo oppositivo
provocatorio.
▪ DISTURBI INTERNALIZZANTI: Caratterizzati da esperienze e
comportamenti improntati alla chiusura in sé stessi, come la depressione,
il ritiro sociale e l’ansia questa categoria comprende i disturbi d’ansia e
dell’umore dell’età infantile
Bambini e adolescenti possono mostrare i sintomi in entrambi gli ambiti.
DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE/IPERATTIVITA’ (ADHD)
È un disturbo esternalizzante. Il termine iperattivo indica il bambino è in
costante movimento (tamburella le dita, da spinte ai compagni senza una
ragione apparente, giocherella con tutto quello che gli capita tra le mani).
Questi bambini hanno difficoltà a restare concentrati per un tempo adeguato
sull’attività che stanno svolgendo. Questi comportamenti si rivelano esasperati
in una certa fase dello sviluppo, persistono in situazioni differenti e si associano
ad una compromissione significativa nello svolgimento delle comuni funzioni; i
bambini dal comportamento chiassoso, molto attivi o facilmente distraibili, non
soddisfano i criteri per la diagnosi. I bambini con ADHD hanno difficoltà a
controllare la propria attività delle situazioni che richiedono di stare seduti
tranquilli, come in classe o durante i pasti. Appaiono incapaci di smettere di
agitarsi di parlare, anche quando viene chiesto loro di stare fermi e tranquilli.
Hanno spesso difficoltà ad andare d’accordo con i coetanei e a stabilire rapporti
d’amicizia, probabilmente a causa del loro comportamento aggressivo e
invadente e irritante per gli altri. Le scarse abilità sociali, il comportamento
aggressivo e la sovrastima delle proprie performance erano tutti fattori che
consentivano di prevedere lo sviluppo di problemi con i coetanei fino a 6 anni
più tardi. Spesso i bambini con ADHD vengono individuati in fretta dai loro
coetanei, che poi li rifiutano o li ignorano.
Il DSM-5 prevede tre sottotipi di disturbo da deficit di attenzione/iperattività:
▪ DISATTENZIONE PREDOMINANTE: Vi appartengono i bambini i cui
problemi consistono principalmente nella scarsa capacità d’attenzione.
▪ IPERATIVITA’/IMPULSIVITA’ PREDOMINANTI: Vi appartengono i bambini le
cui difficoltà derivano soprattutto dal comportamento iperattivo/impulsivo.
▪ COMBINATO: Vi appartengono i bambini che presentano entrambi i tipi di
problema.
EZIOLOGIA DELL’ADHD
La predisposizione genetica gioca un ruolo importante: è emerso che l’ADHD
possa avere una componente genetica con stime di ereditabilità che arrivano al
70-80%. Alcuni dei risultati più promettenti riguardano geni coinvolti nel
controllo del neurotrasmettitore della dopamina. Le aree dopaminergiche sono
più piccole nei bambini con ADHD rispetto agli altri. Un basso peso alla nascita
è un fattore predittivo piuttosto specifico dello sviluppo di ADHD, ma l’impatto
di tale fattore può essere mitigato da un maggiore affetto materno. Vi sono
prove limitate sul fatto che gli additivi alimentari e l’esposizione al piombo
possano avere un ruolo nell’insorgenza di ADHD. La nicotina, e precisamente il
fumo della madre durante la gravidanza, costituisce un inquinante ambientale
che probabilmente influenza lo sviluppo del disturbo da deficit di
attenzione/iperattività. Vi sono scarse evidenze che la famiglia possa essere la
causa del disturbo.
TRATTAMENTO DELL’ADHD
L’ADHD viene di solito trattato con farmaci e con terapie comportamentali,
basati sul condizionamento operante. I farmaci stimolanti, come il Ritalin o
l’Adderall, riducono i comportamenti dirompenti e migliorano le capacità di
concentrazione. Essi interagiscono con il sistema cerebrale della dopamina. La
combinazione dei due trattamenti da risultati più efficaci rispetto ai soli farmaci
o alla sola terapia comportamentale, e richiede dosaggi più bassi dei farmaci
stimolanti. La prescrizione di questi farmaci talvolta continua anche
nell’adolescenza e nell’età adulta. I trattamenti psicologici comprendono uno
specifico training rivolto ai genitori e ai cambiamenti nella gestione della
classe… L’obiettivo di questi interventi è migliorare le prestazioni scolastiche
dei bambini, stimolar determinare i compiti a casa e apprendere specifiche
abilità sociali. Anche la terapia comportamentale intensiva risulta efficace quanto
la combinazione del trattamento con farmaci e con terapie comportamentali.

IL DISTURBO DELLA CONDOTTA


Criteri diagnostici del DSM-5:
1. Compromissione funzionale significativa in area sociale, scolastica o
lavorativa.
2. Pattern comportamentali ripetitivo persistente di violazioni dei diritti
fondamentali altrui o delle norme sociali, come indicato dalla presenza
di 3 o più dei seguenti elementi nei 12 mesi precedenti, di cui almeno
uno presente negli ultimi sei mesi.
o comportamenti aggressivi verso persone o animali; bullismo,
propensione allo scontro fisico; crudeltà fisica verso persone o
animali; violenze sessuali.
o distruzione di proprietà; ad esempio, comportamenti incendiari o
atti di vandalismo.
o frode o furto; ad esempio, intrusioni in abitazioni o auto di altri,
comportamenti ingannevoli per ottenere un vantaggio, furto nei
negozi
o gravi violazioni di regole; ad esempio rimanere fuori la notte
prima dei 13 anni nonostante il divieto dei genitori, disertare la
scuola prima dei 13 anni.
Il disturbo della condotta è un altro disturbo esternalizzante. I criteri diagnostici
del DSM5 sono incentrati sui comportamenti aggressivi, le gravi violazioni di
regole, la distruzione della proprietà altrui e inganni o menzogne. Spesso il
comportamento è contrassegnato da insensibilità, crudeltà e mancanza di
rimorso. Il DSM-5 include lo specificatore “con emozioni prosociali limitate” per
indicare i tratti di insensibilità e di assenza di emozioni (anaffettività). Molti
bambini con disturbo della condotta manifestano anche altri problemi, come
abuso di sostanze e disturbi internalizzanti.
Secondo Moffitt occorre distinguere due diversi tipi di decorso dei problemi di
condotta:
• PERSISTENTE NELL’ARCO DI VITA. I problemi di condotta iniziano a
manifestarsi a tre anni e continuano con trasgressioni gravi in età adulta.
• LIMITATO ALL’ADOLESCENZA. Questi soggetti, un’infanzia normale,
manifestano levati livelli di comportamento antisociale durante
l’adolescenza e ritornano ad uno stile di vita non problematico nell’età
adulta.
Il DSM individua anche altri 2 disturbi esternalizzanti correlati: il disturbo
esplosivo intermittente e il disturbo oppositivo provocatorio.
IL DISTURBO ESPLOSIVO INTERMITTENTE implica ricorrenti esplosioni di
aggressività verbale o fisica, grossolanamente sproporzionale rispetto alle
circostanze. L’eccesso di aggressività contro le altre persone è del tutto
impulsivo e non pianificato in anticipo
IL DISTURBO OPPOSITIVO PROVOCATORIO (DOP) viene diagnosticato a un
bambino che non soddisfa i criteri per il disturbo della condotta, in particolare
non manifesti estrema aggressività fisica, ma esibisca comportamenti quali
perdere facilmente il controllo, litigare con gli adulti, rifiutarsi ripetutamente di
aderire alle richieste degli adulti, compiere azioni deliberate per infastidire gli
altri, sia collerico, suscettibile, dispettoso e vendicativo.
EZIOLOGIA DEL DISTURBO DELLA CONDOTTA
Le prove di un effettivo ruolo dei geni nell’eziologia del disturbo della condotta
sono finora contraddittorie, spiegati col fatto che alcune delle influenze
genetiche sarebbero comuni anche ad altri disturbi come l’ADHD e la
depressione. Nonostante i tassi di prevalenza differiscano nei due sessi, non si
rilevano differenze di genere rispetto al contributo genetico. I bambini con
disturbo della condotta hanno rivelato deficit nelle regioni cerebrali coinvolte
nel controllo delle emozioni. Hanno difficoltà a percepire le sensazioni di
disagio e anche la felicità nel volto altrui, ma non hanno alcun problema a
percepire la rabbia. Non apprendono ad associare i propri comportamenti a
ricompense o punizioni con la stessa facilità degli altri bambini. Spesso sono
stati osservati nei profili dei bambini con disturbo della condotta deficit
neuropsicologici, deficit di memoria, un QI inferiore di una deviazione standard.
I bambini affetti da disturbo della condotta, in particolare quelli con tratti di
insensibilità e di anaffettività, sembrano mancare di coscienza morale e non
provano rimorso per le cattive azioni che commettono. Nell’età adulta questi
tratti sono predominanti nel disturbo antisociale di personalità e nella
psicopatia. C’è uno specifico bias dell’elaborazione delle informazioni sociali:
azioni ambigue, come ricevere una spinta mentre si è in fila, venivano
interpretate come la dimostrazione di un’intenzione ostile da parte degli altri.
Tali percezioni possono portare questi bambini a reagire vendicandosi in modo
aggressivo, il che suscita una reazione vendicativa da parte degli altri. È un
circolo vizioso. I bambini con disturbo della condotta scelgono di associarsi con
coetanei simili a loro, continuando così il cammino già intrapreso di
comportamento antisociale.
TRATTAMENTO DEL DISTURBO DELLA CONDOTTA
Il trattamento sembra essere particolarmente efficace quando è rivolto ai
molteplici sistemi che compongono la vita di un bambino. Il trattamento del
disturbo della condotta implica un intervento sui genitori e sulla famiglia del
bambino. Family check-up (FCU) è un programma di intervento che implica tre
incontri finalizzati a conoscere, valutari offrire ai genitori consulenza riguardo ai
loro bambini e al proprio stile genitoriale. Il Parent Management Training (PMT)
è un programma nel quale è previsto che un training per i genitori possa
modificare le loro risposte nei confronti dei figli, in modo da rinforzare
costantemente il comportamento prosociale anziché quello antisociale. I genitori
sono istruiti nell’uso di tecniche come il rinforzo positivo quando il bambino
esibisce comportamenti positivi, e il time-out o la perdita di vantaggi quando il
bambino si comporta invece in maniera aggressiva o antisociale. Il trattamento
multisistemico è rivolto a minorenni che hanno commesso reati gravi. Prevede di
fornire servizi terapeutici intensivi globali a livello della comunità, focalizzando
l’intervento sull’adolescenti, la famiglia, la scuola in alcuni casi il gruppo dei
pari. I terapeuti che applicano questo trattamento si avvalgono di strategie
diversificate che utilizzano tecniche di vario tipo: comportamentali, cognitive,
terapia familiare. La peculiarità di questo trattamento sta nel porre l’enfasi sui
punti di forza del soggetto e della famiglia, nel contestualizzare i problemi di
condotta, nell’attuare interventi focalizzati sul presente e orientati all’azione, ne
richiedeva mentre la famiglia un concreto impegno quotidiano.
DEPRESSIONE E ANSIA NELL’INFANZIA E NELL’ADOLESCENZA
I disturbi internalizzanti, come la depressione in ansia, all’inizio nell’infanzia
nell’adolescenza, ma sono molto comuni anche nell’età adulta.
DEPRESSIONE:
Somiglianza con gli adulti: umore depresso, incapacità di provare piacere, senso
di affaticamento, difficoltà di concentrazione e ideazione suicidaria.
Differenza con gli adulti: i bambini provano una più forte auto-
colpevolizzazione, mentre sono meno frequenti i risvegli precoci e l’umore
prevalentemente depresso al mattino, la perdita di appetito e il calo ponderale.
Le differenze non emergono in modo netto fino all’adolescenza. I risultati
ottenuti in ricerche genetiche sugli adulti valgono anche per l’infanzia e
l’adolescenza, dal momento che le influenze genetiche son presenti fin dalla
nascita. Anche le avversità ed eventi esistenziali negativi hanno un ruolo nello
sviluppo della depressione. Il rifiuto da parte dei genitori mostra una
correlazione moderata con la depressione infantile. Un quesito fondamentale
nell’analizzare la depressione infantile è stabilire in quale momento
effettivamente si sviluppi nel bambino uno stile di attribuzione stabile: si
stabilizza dall’inizio dell’adolescenza e comincia ad agire da diatesi cognitiva
per la depressione negli anni delle scuole medie. Il trattamento più efficace per i
bambini era la CBT associata a terapia farmacologica. Vi sono preoccupazioni
sulla sicurezza dell’uso di antidepressivi con bambini e adolescenti a causa degli
effetti collaterali.
ANSIA:
Paure e timori sono un’esperienza comune praticamente per tutti i bambini del
corso normale sviluppo. Fra le paure più comuni ci sono quella del buio, di
creature immaginarie, e di rimanere separati dai genitori. Le paure sono più
frequenti tra le femmine che tra i maschi. La loro ansia può anche ostacolarli
nell’acquisizione delle abilità appropriate ai diversi stadi dello sviluppo. Un
bambino che soffre di una terribile timidezza e che trova insopportabile
interazioni con i suoi pari ha molte probabilità di non apprendere abilità sociali
fondamentali. Perché le paure e i timori possano essere classificati come
disturbi, il comportamento generale del bambino deve essere gravemente
compromesso.
Differenze con gli adulti: non è necessario che il bambino consideri le proprie
paure come eccessive o irragionevoli.
Il disturbo di ansia da separazione è caratterizzato dalla costante
preoccupazione del bambino che qualcosa di grave possa accadere ai genitori o
a se stesso quando è lontano da loro. Spesso l’ansia di separazione si osserva
per la prima volta da quando il bambino inizia ad andare a scuola. Un altro
disturbo d’ansia comune nei bambini è il disturbo d’ansia sociale.
Criteri diagnostici del DSM-5:
1. Ansia eccessiva e inappropriata rispetto allo sviluppo, suscitata dal
fatto di essere lontano da persone verso cui esiste un attaccamento,
con almeno 3 dei sintomi seguenti che persistono per almeno 4
settimane (nel caso di adulti, i sintomi devono persistere per almeno 6
mesi)
o disagio ricorrente ed eccessivo provocato dalla separazione
o eccessiva preoccupazione che riguarda possibilità che accada
qualcosa di brutto alla figura di attaccamento
o riluttanza o rifiuto di uscire di casa per andare a scuola, al lavoro
o altrove
o riluttanza o rifiuto di dormire fuori casa
o ripetuti incubi che implicano il tema della separazione dalla
figura di attaccamento
o ripetute lamentele di sintomi fisici quando si verifica o si prevede
la separazione delle principali figure di attaccamento
Questa diagnosi è stata spostata nel capitolo dei disturbi d’ansia e può essere
diagnosticata anche ad un adulto, in cui l’ansia scaturisce dalla separazione da
una figura di attaccamento che non è necessariamente un genitore. Si definisce
disturbo d’ansia sociale una paura intensa, irrazionale e persistente, delle
situazioni sociali che potrebbero implicare l’essere sottoposti al giudizio di
persone sconosciute o anche soltanto esposti alla loro presenza. Spesso questi
bambini giocano solo con i membri della propria famiglia o con coetanei che
conoscono bene, mentre evitano gli sconosciuti si è giovani che adulti. Bambini
estremamente timidi si possono rifiutare del tutto di parlare in situazioni sociali
a loro non familiari; si parla in questo caso di mutismo selettivo. Anche il DOC è
riscontrabile fra i bambini e gli adolescenti con sintomi simili a quelli degli
adulti. I fattori genetici hanno un ruolo importante nell’eziologia dei disturbi
d’ansia nei bambini. Lo stile genitoriale svolge un ruolo limitato nei disturbi
d’ansia infantili: l’eccessivo controllo da parte dei genitori e il loro essere
iperprotettivi spiegano solo il 4% della varianza dell’ansia rilevata nei bambini.
Un attaccamento insicuro e problemi nella regolazione delle emozioni
prevedono maggiormente i sintomi d’ansia. Gli adolescenti che percepivano di
non essere accettati dai loro pari avevano più probabilità di soffrire d’ansia
sociale. Un fattore di rischio importante per l’ansia sociale è l’inibizione
comportamentale. Alcuni studiosi suggeriscono che le reazioni dei genitori alla
situazione traumatica possono ridurre il disagio vissuto dal bambino. Nella
maggior parte dei casi le paure infantili vengono trattati in maniera simile a
quelle degli adulti. Questi trattamenti si concentrano soprattutto
sull’esposizione graduale all’oggetto temuto, con successivo rinforzo
(ricompensa) quando il bambino si avvicina all’oggetto alla situazione temuta. Il
Coping Cat è incentrato sul confronto con le paure, lo sviluppo di nuovi modi di
pensare a ciò che fa paura, l’esposizione alle situazioni temute e la prevenzione
delle ricadute.
DISTURBO SPECIFICO DELL’APPRENDIMENTO
Con il termine disturbo specifico dell’apprendimento si intende una condizione
caratterizzata da problemi in un particolare dominio delle abilità scolastiche,
linguistiche o motorie, non dovuti ad un disturbo dello sviluppo intellettivo o a
una mancanza di istruzione. I bambini con questo disturbo hanno di solito
un’intelligenza media o perfino superiore alla media, ma hanno problemi ad
apprendere le abilità specifiche di un particolare dominio conoscitivo e ciò
ostacola i loro progressi scolastici. Gli specialisti della salute mentale usano nella
pratica medica per raggruppare 3 tipi di disturbi definiti dal DSM:
• DISTURBO SPECIFICO DEL’APPRENDIMENTO: Dislessia e la Discalculia
• DISTURBI DELLA COMUNICAZIONE: Disturbo del linguaggio, Disturbo
della comunicazione sociale, Disturbo fonetico-fonologico, Disturbo della
fluenza con esordio nell’infanzia
• DISTURBI DEL MOVIMENTO: Disturbo di Tourette: uno o più tic vocali e
numerosi tic motori che hanno inizio prima di 18 anni; Disturbo della
coordinazione motoria, Disturbo da movimento stereotipato...
EZIOLOGIA DEL DISTURBO SPECIFICO DELL’APPRENDIMENTO
In questo gruppo di disturbi la dislessia è quello con il tasso di prevalenza
maggiore: soffre di questo disturbo il 5-15% dei bambini in età scolare. Gli
studi su famiglia e genitori confermano l’esistenza di una componente ereditaria
nella dislessia. I geni associati alla dislessia sono gli stessi che controllano le
abilità di lettura normali. L’ereditabilità dei problemi di lettura può variare a
seconda del livello di istruzione dei genitori: i geni sembrano svolgere un ruolo
più rilevante nel determinare la dislessia nei figli di genitori con un livello di
istruzione più alto. La DISLESSIA implica problemi nell’elaborazione del
linguaggio: la percezione del discorso e l’analisi dei suoni del linguaggio parlato
e la loro relazione con le parole scritte, difficoltà a riconoscere le rime e le
allitterazioni, problemi a pronunciare rapidamente il nome di oggetti familiari e
ritardo nell’apprendere regole sintattiche. Molti di questi processi ricadono nella
consapevolezza fonologica, evidenziata da una minor attivazione delle regioni
temporo-parietale e occipito-temporale dell’emisfero sinistro mentre erano
impegnati in compiti di lettura. Per quanto riguarda la DISCALCULIA, si ritiene
che ci sia una moderata influenza genetica sulla variabilità individuale nelle
abilità matematiche. Le aree del lobo parietale nei bambini discalculici sono
meno attive durante i calcoli. Alcune ricerche hanno indagato la possibile
associazione tra discalculia e dislessia e vengono ritenuti disturbi indipendenti.
Per trattare le difficoltà di apprendimento vengono utilizzate diverse strategie
sia a livello d’istruzione scolastica sia nel contesto di lezioni private.
L’educazione fonetica ha l’obiettivo di aiutare i bambini a padroneggiare la
conversione di suoni in parole ed è utile con i bambini che hanno difficoltà di
lettura.
LA DISABILITA’ INTELLETTIVA
Nel DSM-IV-TR era chiamata ritardo mentale la condizione che nel DSM-5 è
definita disabilità intellettiva. Il termine ritardo mentale non è utilizzato dalla
maggioranza specialisti nel campo della salute mentale, a causa dello stigma
sociale che lo accompagna. I criteri diagnostici per la disabilità intellettiva
indicati dal DSM-5 comprendono:
1. DEFICIT DEL FUNZIONAMENTO INTELLETTIVO
2. DEFICIT DEL FUNZIONAMENTO ADATTIVO
3. ESORDIO DEL DISTURBO DURANTE IL PERIODO DI SVILUPPO
Il QI e il suo punteggio devono essere inquadrati nel contesto di una
valutazione più ampia e complessiva dell’individuo. Il funzionamento adattivo
deve essere valutato su una vasta gamma di ambiti differenti. Il livello di gravità
della disabilità viene valutato in 3 ambiti:
1. CONCETTUALE
2. SOCIALE
3. PRATICO
Bisogna concentrare l’attenzione su ciò che una persona con disabilità
intellettiva sa fare e può fare, cosicché i progressi saranno maggiori.
EZIOLOGIA DELLA DISABILITA’ INTELLETTIVA
Una delle anomalie cromosomiche associate alla disabilità intellettiva è la
trisomia 21, condizione chiamata anche sindrome di Down. Le persone con
sindrome di Down manifestano, oltre a disabilità intellettiva, una serie di tratti
fisici peculiari. Un’altra anomalia cromosomica è la sindrome dell’X fragile.
Presentano una faccia caratteristica. Nella fenilchetonuria (PKU) il neonato, che
alla nascita non mostra alcun segno di difficoltà peculiari, ben presto inizia a
mostrare gli effetti della mancata attività di un enzima empatico, la fenilalanina
idrossilasi. A causa di questa carenza enzimatica non c’è degradazione di acido
fenilpiruvico e si accumula nei liquidi corporei. Tale accumulo finisce per
provocare un danno irreversibile. Si raccomandai genitori di nutrire il neonato
con una dieta a basso contenuto di fenilalanina. Il feto è esposto al rischio di
sviluppare disabilità intellettive a causa di malattie infettive contratte dalla
madre come la rosolia, la toxoplasmosi, l’HIV…
TRATTAMENTO DELLA DISABILITA’ INTELLETTIVA
Nella maggioranza dei casi queste persone riescono ad acquisire le competenze
necessarie per funzionare in modo adeguato nella comunità, ma alcune di loro
hanno bisogno di un supporto ulteriore, fornito da speciali programmi
residenziali. In condizioni ottimali, le persone con questo tipo di disturbo vivono
in abitazioni assistite dai servizi territoriali integrati nella comunità ricevono
un’assistenza medica, personale qualificato e appositamente formato fornisce
loro nell’arco dell’intera giornata prestazioni assistenziali e educativi, a seconda
dei loro specifici bisogni. Nei trattamenti comportamentali, gli educatori
definiscono specifici obiettivi comportamentali, quindi fanno prendere bambini
le abilità per ottenere attraverso piccoli passi progressivi. Questi bambini
possono avere bisogno di un programma di apprendimento intensivo per essere
in grado di nutrirsi, lavarsi e vestirsi da soli. Il terapeuta suddivide
comportamento in questione in componenti più semplici; quindi, si applicano i
principi del condizionamento operante per insegnare al bambino le diverse
componenti dell’azione. Quest’approccio operante è chiamato analisi applicata
del comportamento. Molti bambini con disturbo dello sviluppo intellettivo non
riescono ad usare strategie di soluzione dei problemi. Mediante training di auto-
istruzione si insegna questi bambini a guidare tramite il linguaggio i propri
tentativi di risolvere i problemi. Consiste nel far apprendere ai bambini di dirsi
ad alta voce le direttive per portare a termine un’operazione, auto rinforzandosi
quando l’hanno svolta correttamente. I programmi di istruzione computerizzati
sono particolarmente utili.
IL DISTURBO DELLO SPRETTO DELL’AUTISMO
I tassi di prevalenza del disturbo dello spettro autistico (DSA) sono andati
aumentando per tutti gli ultimi 20 anni. Questo aumento nella prevalenza ha
portato a un aumento anche nel numero di ricerche sulle cause di questo
disturbo. Nel DSM-5 le 4 categorie diagnostiche distinte nelle versioni
precedenti sono state unite in un’unica categoria, quella di disturbo dello
spettro dell’autismo. Le ricerche condotte sulle diverse categorie diagnostiche
non hanno evidenziato un’effettiva distinzione. Il DSM-5 comprende
specificazioni riguardanti la gravità del disturbo e l’entità della compromissione
del linguaggio.
I criteri diagnostici del DSM-5:
1. I sintomi devono essere presenti nel periodo precoce dello sviluppo
2. I sintomi limitano compromettono il funzionamento quotidiano
3. Deficit persistenti della comunicazione sociale e dell’interazione sociale
in molteplici contesti, che si manifestano attraverso i seguenti sintomi:
o deficit di comportamenti non verbali, come il contatto oculare,
l’espressività facciale, il linguaggio del corpo
o deficit nella capacità di stabilire con i pari relazioni adeguate al
livello di sviluppo
o deficit nella reciprocità socio-emotiva, ad esempio incapacità di
prendere contatto con gli altri, incapacità di dialogare, ridotta
capacità di condividere con gli altri interessi ed emozioni
4. Pattern di comportamento, interesse o attività limitati o ripetitivi, che si
manifestano attraverso almeno due dei seguenti sintomi:
o Modalità stereotipate o ripetitive nell’uso del linguaggio, nei
movimenti o nella manipolazione di oggetti
o Rigida aderenza a routine, rituali nei comportamenti verbali e
non verbali, o estrema resistenza ai cambiamenti.
o Fissazione su interessi molto molto ristretti.
o Iper o iporeattività in risposta a stimoli sensoriali, o interesse
inusuale verso l’ambiente sensoriale
I bambini con disturbo dello spettro dell’autismo possono avere gravi problemi
della vita sociale e di relazione. Raramente si avvicinano agli altri, di solito
evitano il contatto oculare, oppure voltano le spalle. Hanno un problema di
attenzione congiunta, ossia, nei bambini affetti da autismo sono fortemente
compromesse le interazioni in cui le due persone coinvolte devono prestare
completa attenzione l’una all’altra, verbalmente o tramite la comunicazione non
verbale. I bambini con DSA non sviluppano una normale teoria della mente e
proprio questo deficit è all’origine di tutte le disfunzioni sociali. La teoria della
mente è l’essere consapevoli del fatto che le altre persone hanno desideri,
convinzioni, intenzioni ed emozioni che possono essere differenti dalle nostre. I
bambini con DSA sembrano incapaci di capire il modo di vedere degli altri e le
loro risposte emozionali. Alcuni di questi bambini mostrano deficit di
comunicazione ancora prima di acquisire linguaggio. Il balbettio, produzione di
suoni del bambino che ancora non usa le parole, è meno frequente in questi
bambini. Una delle anomalie associate con il DSA è l’ecolalia: il bambino ripete,
di solito con notevole fedeltà, ciò che ha udito dire un’altra persona, anche le
domande di un interlocutore. Un’altra anomalia frequente nel linguaggio dei
bambini con disturbo dello spettro dell’autismo è l’inversione dei pronomi, cioè
questi bambini parlano di sé usando i pronomi “lui/lei/tu/il nome proprio”. I
bambini con disturbo dello spettro dell’autismo restano profondamente turbati
da qualsiasi cambiamento nella loro routine quotidiana dell’ambiente che li
circonda. Apprezzano atti ritualistici e ripetitivi. Dare loro da bere il latte in una
tazza diversa dal solito o cambiare la disposizione dei mobili in una stanza
possono indurre uno scoppio di collera. Il comportamento di questi bambini
può essere pervaso da un carattere ossessivo. I bambini con DSA tendono a
mettere in atto una gamma di comportamenti più limitata rispetto agli altri
bambini e, in genere, sono meno propensi a esplorare ambienti nuovi. Possono
anche esibire comportamenti stereotipati, movimenti turistici delle mani e altri
movimenti ritmici. Molti bambini con DSA hanno anche disabilità intellettiva. I
bambini con DSA possono a volte avere abilità particolari che riflettono un
talento speciale, come la capacità di fare complesse operazioni a mente con
estrema rapidità. Possono avere un’eccezionale memoria a lungo termine. Un
terzo dei bambini con DSA aveva anche un disturbo specifico
dell’apprendimento. Il DSA presenta comorbilità con l’ansia. Il DSA fa esordio
nella prima infanzia. È circa 5 volte più frequente tra i maschi che tra le
femmine. Si riscontra in tutti i gruppi etnici, razziali e socio economici. La
prognosi è migliore per bambini con DSA che hanno un QI più elevato e
imparano a parlare prima dei 6 anni.
EZIOLOGIA DEL DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO
Le prime teorie sull’eziologia del DSA ipotizzavano che il suo sviluppo
dipendesse da fattori psicologici, ad esempio da cure parentali insufficienti. Le
evidenze disponibili depongono a favore di una componente genetica
nell’eziologia del DSA, con stime di ereditabilità che si aggirano attorno
all’80%. Il disturbo è legato a un più ampio spettro di deficit a livello della
comunicazione e dell’interazione sociale. Un difetto sul cromosoma 16 di
associava al DSA, mentre altri studi hanno identificato SNP in due geni sul
cromosoma 5. La risonanza magnetica ha messo in luce che in adulti e bambini
con DSA il cervello ha dimensioni maggiori: questo può indicare che il pruning
dei dendriti sui neuroni cerebrali non è avvenuto come dovrebbe. Le aree
cerebrali sovradimensionate sono quelle in relazione con il linguaggio e con i
processo sociali ed emozionali. Anche l’amigdala risulta di dimensioni diverse
rispetto ai soggetti senza DSA.
TRATTAMENTI DEL DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO
I trattamenti di tipo psicologico si sono rivelati più promettenti di quelli
farmacologici. I trattamenti che combinano terapia farmacologica e intervento
psicologico, hanno dato pochi risultati positivi. I trattamenti di bambini con
questo disturbo si propongono di ridurre i comportamenti anomali e di
migliorarne le capacità di comunicazione socializzazione. Quanto più precoce è
l’inizio del trattamento, migliori ne sono gli esiti. Per il trattamento
comportamentale, Lovaas ideò un protocollo intensivo basato sul
condizionamento operante (più di 40 ore settimanali). Anche i genitori erano
sottoposti a trattamenti intensivi. I bambini venivano ricompensati se si
comportavano in modo meno aggressivo, più docile e socialmente più
appropriato. Il gruppo dei bambini sottoposti a intervento presentava un
notevole aumento del valore medio del QI. Il farmaco più comunemente
utilizzato per trattare comportamenti problematici dei bambini con disturbo
dello spettro autistico è l’aloperidolo (Haldol), un antipsicotico. Il trattamento
farmacologico è meno efficace di quello comportamentale.
CAPITOLO QUATTORDICESIMO

I DISTURBI NEUROCOGNITIVI DELL’ETA’ AVANZATA.


L’INVECCHIAMENTO: TEMI E METODI DI RICERCA
Con l’invecchiamento le persone vanno incontro inevitabilmente a molti
cambiamenti fisiologici, ma anche a possibili cambiamenti emozionali e mentali.
I problemi sociali legati all’invecchiamento possono essere particolarmente
rilevanti per le donne. Nelle donne i segni dell’invecchiamento non sono valutati
in modo positivo. Gli anziani vengono divisi nelle seguenti fasce: tra 65 e 74
anni “giovani anziani”; tra 75 e 84 anni “anziani”; >84 anni “ultra-anziani”.
❖ FALSI IDEE SULLA VECCHIAIA:
La maggioranza delle persone anziane non soffre di problemi cognitivi
gravi, benché un leggero declino nel funzionamento cognitivo sia un dato
frequente. Le persone anziane esperiscono meno emozioni negative dei
giovani. Un altro mito diffuso, quello che gli anziani siano molto soli, è
stato oggetto d’attenzione. Invecchiando, il nostro interesse si sposta
dalla costante ricerca di nuove interazioni sociali a coltivare quelle
relazioni che davvero ci interessano, con la famiglia e gli amici più stretti,
un fenomeno definito selettività sociale. Gli atteggiamenti negativi verso
l’invecchiare, appresi nelle fasi precedenti della vita, persistono e
diventano autopercezioni negative quando le persone raggiungono un’età
più avanzata. La visione negativa della vecchiaia è un fattore predittivo di
una morte più precoce.

❖ PROBLEMI DELLA VECCHIAIA:


Sappiamo che la salute mentale è collegata ai problemi fisici e sociali che
la persona esperisce nella sua vita. Nessun’altra d’età ha più problemi
fisici, come gruppo, della popolazione anziana. Con l’andare avanti degli
anni, la quantità e la qualità del sonno diminuiscono. Il trattamento
psicologico si è dimostrato in grado di ridurre l’insonnia degli anziani.

❖ METODI DI RICERCA NELLO STUDIO DELL’INVECCHIAMENTO:


La ricerca sull’invecchiamento distingue tre tipi di effetti:
o EFFETTI DELL’ETA’: le conseguenze dell’avere una data età
cronologica
o EFFETTI DI COORTE: conseguenza dell’essere cresciuti in un
particolare periodo storico, caratterizzato da problematiche e
opportunità peculiari modulo esperienze e atteggiamenti soggettivi;
o EFFETTI DEL MOMENTO DELLA RILEVAZIONE: fattori di confusione
dovuti al fatto che gli elementi di un dato momento storico possono
esercitare un’influenza specifica su una variabile misurata in quel
periodo.
Per valutare i cambiamenti di tipo evolutivo, i protocolli sperimentali
più usati sono gli studi trasversali e gli studi longitudinali. Negli studi
trasversali il ricercatore mette a confronto, rispetto alla variabile che
interessa e nello stesso periodo di tempo, gruppo di età diversa. Non
prendono in esame le stesse persone nel corso del tempo, per cui non
ci forniscono informazioni chiare su come le persone cambiano nel
tempo. Negli studi longitudinali i ricercatori valutano periodicamente lo
stesso campione di soggetti. In questo modo uno studio ha sfatato la
falsa credenza che invecchiando le persone diventino infelici.
DISTURBI MENTALI DELL’ANZIANO
I criteri diagnostici del DSM non differiscono per gli adulti anziani o più giovani.
Tuttavia, il processo diagnostico stesso va considerato con attenzione. Il DSM
specifica che non si dovrebbe diagnosticare un disturbo psicologico se i sintomi
possono essere spiegati da una condizione medica o dagli effetti collaterali dei
farmaci. Per quanto riguarda gli anziani è molto importante in fase di diagnosi
poter escludere queste possibili spiegazioni alternative. Problemi medici
possono peggiorare il decorso della depressione. Problemi come disfunzioni
tiroidee, il morbo di Parkinson, la malattia di Alzheimer, sono in grado di
produrre sintomi che simulano la schizofrenia, la depressione o l’ansia. Il tasso
di prevalenza dei disturbi mentali nelle persone al di sopra dei 65 anni è più
basso che in tutte le altre classi d’età. Ogni singolo disturbo è meno comune
negli anziani che negli adulti più giovani. Questo è dovuto al fatto che, in
genere, gli episodi di un disturbo psicologico che si manifestano tardivamente
sono recidive di un disturbo iniziato in una fase precedente della vita, piuttosto
che un esordio vero e proprio. L’età avanzata porta con sé la tendenza a
privilegiare emozioni più positive e reti di relazioni sociali più strette. È
possibile che cambiamenti di questo tipo facciano migliorare la salute mentale
delle persone man mano che invecchiano. Dal punto di vista metodologico,
occorre considerare che per un anziano può essere più difficile di quanto non
sia per persone più giovani riconoscere di avere problemi di salute mentale.
Nonostante ciò, è opinione comune che l’invecchiamento sia veramente
correlato con una migliore salute mentale. È emerso che gli anziani tendono a
far fronte agli stress esistenziali più efficacemente. Inoltre, molti di coloro che
esperiscono precocemente i sintomi di un disturbo mentale, man mano che
invecchiano sembrano liberarsene.
DISTURBI NEUROCOGNITIVI DELL’ETA’EVANZATA.
I disturbi cognitivi sono al primo posto tra le patologie geriatriche come fonte di
spese nel campo della sanità. I due capi principali disturbi cognitivi dell’età
senile sono: la demenza, che comporta un deterioramento delle abilità cognitive;
il delirium, uno stato di confusione mentale.
➢ LA DEMENZA:
La demenza è un termine con cui si indica il miglioramento delle abilità
cognitive fino al punto in cui le capacità funzionali complessivi
dell’individuo ne risultano compromesse. La difficoltà a ricordare le cose,
soprattutto gli eventi recenti, è il principale sintomo di demenza. Mentre
la demenza progredisce, un genitori diventa incapace di ricordare il nome
della figlia, in seguito può persino dimenticarsi di avere dei figli, o non
riconosce quando questi vanno a trovarlo. Inoltre, i pazienti che soffrono
di demenza facilmente si perdono, anche in ambienti a loro noti. La
demenza può essere progressiva, stabile o remittente, a seconda della
causa. La maggior parte delle forme di demenza si sviluppa molto
lentamente nel corso di svariati anni: sottili deficit cognitivi
comportamentali possono essere individuati molto prima che si produca
una compromissione cognitiva evidente, denominata disfunzione cognitiva
lieve. Il DSM-5 fornisce diagnosi parallele analoghe per la demenza, che
prende il nome di disturbo neurocognitivo maggiore, e per la disfunzione
cognitiva lieve, che prende il nome di disturbo neurocognitivo lieve.
Quattro tra le principali forme di demenza (disturbo neurocognitivo maggiore)
sono:
▪ MALATTIA DI ALZHEIMER: Provoca un deterioramento irreversibile dei
tessuti cerebrali; la morte sopraggiunge in genere 12 anni dopo la
manifestazione dei primi sintomi. Gravi deficit di memoria. Difficoltà a
concentrarsi e a memorizzare nuovi contenuti, facilita la distrazione. Molto
comune è l’apatia e circa un terzo delle persone sviluppa un disturbo
depressivo conclamato. Provoca disorientamento. La memoria, con
l’avanzare della malattia continua a deteriorarsi poiché i neuroni muoiono
a causa di un accumulo di placche beta-amiloidi e di agglomerati
neurofibrillari. La malattia di Alzheimer ha una ereditabilità fra gemelli
monozigoti del 79%. Il polimorfismo genetico che fornisce il contributo
maggiore allo sviluppo della malattia è un polimorfismo sul cromosoma
19, ovvero l’allele ApoE-4. Molti dei geni che fanno aumentare il rischio
per la malattia di Alzheimer sono coinvolti nella funzione immunitaria e
nel metabolismo del colesterolo. Alcuni studi suggeriscono che l’attività
fisica sia un fattore predittivo di minori problemi di memoria. Sembra che
l’attività cognitiva serva a proteggere contro l’espressione di una malattia
latente coloro che hanno livelli più alti di attività cognitiva evidenziano
minori sintomi cognitivi. Il concetto di riserva cognitiva indica l’idea che
alcune persone potrebbero essere in grado di compensare la malattia
attivando reti cerebrali alternative o strategie cognitive tali da rendere
meno pronunciati i sintomi cognitivi.

▪ DEMENZA FRONTOTEMPORALE: Essa è causata da una perdita di neuroni


nelle regioni frontali e temporali del cervello. Non vi sono gravi deficit di
memoria, a differenza dell’Alzheimer. Ci sono alterazioni della personalità,
compromissione nei processi emozionali, quali empatia, funzioni esecutive
(capacità cognitiva di pianificare organizzare), e incapacità di inibire il
comportamento. Essa colpisce i processi emozionali in modo più profondo
rispetto alla malattia di Alzheimer, portando anche alla compromissione
dei rapporti sociali. Le persone con questo tipo di demenza non
sembrano accorgersi di aver fatto qualcosa di socialmente inadeguato.

▪ DEMENZA VESCOLARE: La demenza è conseguenza di una malattia


cerebrovascolare (ictus ripetuti). Il rischio di demenza vascolare coinvolge
gli stessi fattori che influiscono in generale sulle malattie cardiovascolari:
alti livelli di colesterolo cattivo, fumo di sigaretta, ipertensione arteriosa.

▪ DEMENZA A CORPI LEWY: Essa è caratterizzata dalla formazione di


depositi proteici nei tessuti cerebrali. Può svilupparsi con il morbo di
Parkinson o meno, ma circa l’80% dei pazienti con morbo di Parkinson
sviluppa questa demenza. Comprende allucinazioni visive e sintomi
cognitivi fluttuanti. C’è un intensa attività onirica.

Non esiste una cura per la demenza. I farmaci sono inefficaci nella demenza
frontotemporale. Per le altre tre demenze, i farmaci possono contribuire a
rallentare il declino, ma non riportano la funzione mnestica ai livelli precedenti.
Quelli più utilizzati sono i farmaci che interferiscono con la degradazione della
acetilcolina (donepezil e rivastigamina). Per alleviare i sintomi depressivi, che se
trattati portano a miglioramenti nei sintomi cognitivi, si utilizzano antidepressivi.
La maggior speranza per il futuro consiste nel trattamento preventivo per la
demenza. Una psicoterapia di sostegno può aiutare questi pazienti e le loro
famiglie ad affrontare gli effetti della demenza. Il terapeuta offre al paziente e
alla sua famiglia l’opportunità di parlare della malattia. Fornisce accurate
informazioni sulla patologia, aiuta i familiari a prendersi cura del paziente a casa
e incoraggia un atteggiamento realistico, anziché catastrofico, nell’affrontare i
molti problemi posti da questo disturbo cognitivo. Gli approcci comportamentali
sono utili nel compensare la perdita di memoria e nel ridurre la depressione e il
comportamento aggressivo di coloro che sono ancora in uno stato iniziale della
malattia di Alzheimer.
• IL DELIRIUM:
Il delirium è un termine che significa “uscire dal solco”, cioè deviare dallo
stato usuale. È descritto come uno stato di coscienza alterato e confuso. I
due sintomi più comuni sono una grande difficoltà a concentrare
l’attenzione e profonde alterazioni del ciclo sonno-veglia. Il paziente,
talvolta in maniera improvvisa, ha una grande difficoltà a focalizzare
l’attenzione da non riuscire a mantenere un flusso coerente di pensieri: la
persona con delirium può non riuscire a impegnarsi in una conversazione
per via dell’attenzione fluttuante e della frammentazione del pensiero.
L’eloquio sconnesso e incoerente. Smarrite e confuse, alcune persone
possono arrivare ad essere così disorientate da non sapere più che giorno
è, dove si trovano e perfino chi sono. Deficit della memoria, soprattutto per
eventi recenti, sono piuttosto comuni. Le allucinazioni visive sono comuni,
ma non sempre presenti. Hanno oscillazioni dell’attività e dell’umore:
possono essere mutevoli, strapparsi gli abiti di dosso un momento e il
momento successivo stare seduti immobili e letargici. Il delirium può
presentarsi in persone di ogni età, ma è più comune nei bambini e negli
anziani. Per quanto riguarda gli anziani, la sua frequenza è particolarmente
elevata nelle case di riposo e negli ospedali. Negli anziani, sfugge spesso
alla diagnosi quando si associa alla demenza. Importante differenza: quando
si parla con una persona affetta da delirium, si può avere la sensazione di
parlare con qualcuno in stato acuto di intossicazione, o con qualcuno in
preda a un episodio psicotico acuto. Mentre il paziente affetto da demenza
può non ricordare il nome del luogo in cui si trova, il paziente con delirium
può credere che si tratti di un uomo completamente diverso, magari
scambiando un reparto di psichiatria per un deposito di macchine usate.
Identificare il delirium è di fondamentale importanza: non trattata, questa
condizione comporta un tasso di mortalità elevato. Il delirium è causato da
patologie mediche. Sono state identificate varie cause di delirium:
intossicazione o astinenza da sostanze, squilibri metabolici e nutrizionali,
infezioni o febbre, stress provocato da un intervento chirurgico importante.
Un completo recupero dalla delirium è possibile che la causa sottostante
viene trattata in modo adeguato e tempestivo. Il paziente deve essere
subito sottoposto ad un esame approfondito, per poter identificare e
trattare tutte le possibili cause reversibili del disturbo. L’approccio più
comune al trattamento del delirium consiste nel somministrare antipsicotici
atipici. Di solito tale condizione richiede da una a quattro settimane per
risolversi; i tempi sono più lunghi nei pazienti più anziani rispetto ai più
giovani.

CAPITOLO QUINDICESIMO

PERSONALITA’ E DISTURBI DI PERSONALITA’


I disturbi di personalità costituiscono un gruppo molto eterogeneo di disturbi
psicologici definiti dalla difficoltà a formarsi un’immagine di sé stabilmente
positiva e a intrattenere con gli altri rapporti profondi e costruttivi. Un vero e
proprio disturbo di personalità si caratterizza per le modalità estreme,
inflessibili e disadattive con cui questi tratti vengono espressi. Gli individui
affetti da un disturbo di personalità esperiscono, in diversi ambiti della loro vita,
gravi problemi di identità e nei rapporti con gli altri, problemi che si
protraggono per anni. I sintomi dei disturbi di personalità sono infatti per
pervasivi e persistenti.
Il DSM5 comprende 6 disturbi di personalità:
1. disturbo ossessivo-compulsivo di personalità
2. disturbo narcisistico di personalità
3. disturbo schizotipico di personalità
4. disturbo e militante di personalità
5. disturbo antisociale di personalità e la psicopatia
6. disturbo borderline di personalità
Altri 4 sono stati mantenuti nella sezione II “criteri diagnostici e codici”:
1. paranoide
2. sorride
3. istrionico
4. dipendente
LE FASI DELLA VALUTAZIONE DELLA PERSONALITA’ NEL DSM-5
Il DSM-5 comprende tre tipi di valutazione della personalità:
• SCALA DEI LIVELLI DI FUNZIONAMENTO DELLA PERSONALITA’
il paziente viene valutato in base a una scala a 5 punti che va da ”nessuna
compromissione” a “compromissione estrema”;
• SEI TIPI DI DISTURBI DI PERSONALITA’
se il paziente non rientra in nessuno dei sei tipi di disturbi di personalità, il
clinico prendere in considerazione la diagnosi di disturbo di personalità
tratto-specifico.
• VALUTAZIONI RELATIVE A CINQUE DOMINI DI TRATTI DI PERSONALITA’
Affettività/negativa/distacco/antagonismo/disinibizione/psicoticismo,
nonché valutazioni relative a 25 sottodomini effettuate allo scopo di
descrivere le dimensioni più specifiche comprese all’interno di ciascuno dei
cinque domini. La valutazione del paziente avviene sulla base di questi
domini, su una scala dimensionale a quattro punti che va da “non si
applica” a “estremamente descrittivo”.
Si dia una compromissione perlomeno moderata in base alla scala dei livelli di
funzionamento, il passo successivo consiste nel valutare se quei problemi
rientrino in uno dei sei disturbi di personalità.

DOMINI E SOTTODOMINI DI TRATTI NEL DSM-5 E IL MODELLO DEI CINQUE


FATTORI
I domini e sottodomini di tratti del DSM5 sono strettamente legati ad un
modello della personalità molto influente, detto modello dei cinque fattori.
Questo modello venne elaborato per comprendere i profili di personalità
normativi mentre lo scopo del DSM5 su disturbi di personalità è quello di
individuare i tratti maggiormente associata a disfunzioni psicologiche.
Alcune delle dimensioni presenti nel modello dei cinque fattori, come il
nevroticismo, hanno una chiara relazione con un disturbo psicologico. Tuttavia,
si sono rese necessarie alcune modifiche per far sì che il sistema del DSM5
mantenesse una relazione con i tipi di disturbi di personalità che più
comunemente si presentano all’osservazione nei contesti clinici.
Ad esempio, nel modello dei cinque fattori il tratto dell’apertura all’esperienza
non ha una chiara relazione con i disturbi psicologici; depressione, ansia e
abuso di sostanze non sono relati al fatto che una persona riporti punteggi alti
o bassi nel tratto dell’apertura dell’esperienza.
Infatti, il sistema di tratti proposto nel DSM5 non include il tratto dell’apertura
dell’esperienza. Include, invece, una dimensione che non è presente nel modello
dei cinque fattori: lo psicoticismo, definito da pensieri e comportamento
inusuale e bizzarri. Inoltre i domini del DSM5 sono stati identificati attraverso i
termini più comunemente usati dai clinici, e che spesso si riferiscono
all’estremità più patologica del continuum.
Nel modello di cinque fattori ognuno dei fattori presenta assai sfaccettature, o
componenti; ad esempio, il fattore dell’estroversione comprende le componenti
calore, pulsione gregaria, assertività, attività, ricerca di eccitamento ed
emozionalità positiva. Anche il DSM5 include valutazioni delle sfaccettature o
sottodomini, ma alcuni sottodomini sono diversi. Come per i domini di tratti, il
DSM5 include solo i sottodomini rilevanti ai fini della comprensione della
psicopatologia.
TRATTI DI PERSONALITA’ BASATI SUL MODELLO DEI CINQUE FATTORI DEL
DSM-5
DOMINIO AFFETTIVITA’
NEVROTICISMO INSICUREZZA
ESTROVERSIONE SOCIALITA’
APERTURA ALL’ESPERIENZA CREATIVITA’
ACCETTAZIONE ALTRUISMO
CONSCIENZIOSITA’ PERSEVERANZA

CRITERI DIAGNOSTICI PROPOSTI DAL DSM PER I DISTURBI DI PERSONALITA’


Criteri diagnostici:
a. compromissione significativa del funzionamento individuale e
interpersonale
b. almeno un tratto/dominio o un sottodominio patologico
c. la compromissione della personalità è persistente e pervasiva
d. la compromissione della personalità non è riconducibile alla fase
evolutiva, al contesto socioculturale, all’uso di sostanze, a un altro
disturbo mentale o a una condizione medica
TIPI DI DISTURBI DI PERSONALITA’
IL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO DI PERSONALITA’
L’individuo affetto da un disturbo ossessivo-compulsivo di personalità è un
perfezionista preoccupato dei minimi dettagli e di osservare scrupolosamente le
regole, orari e via dicendo. Le persone spesso prestano talmente tanta
attenzione ai particolari da non riuscire mai a portare a termine un progetto. Si
tratta di individui orientati verso le attività lavorative che verso quelle di svago,
hanno enormi difficoltà a prendere le decisioni (per timore di sbagliare) e a
organizzare il proprio tempo (per timore di concentrarsi sulla cosa sbagliata).
Hanno relazioni interpersonali scadenti, perché esigono che tutto venga fatto
nel modo giusto, cioè il loro. Vengono spesso descritti come maniaci del
controllo. In genere sono seri, rigidi, formali e inflessibili, soprattutto su
argomenti di natura morale. Non riescono a disfarsi di oggetti ormai consunti e
inutili, anche quando sono privi di qualunque valore affettivo; spesso sono
eccessivamente frugali, a un livello che preoccupa chi li circonda. Il disturbo
ossessivo-compulsivo di personalità è nettamente distinto dal disturbo
ossessivo-compulsivo, nonostante la somiglianza delle denominazioni. Il primo
non è caratterizzato dalle ossessioni e dalle compulsioni invece caratterizzano il
secondo. In ogni caso, le condizioni sono spesso concomitanti. Tre disturbi di
personalità, quello che più frequentemente si associa al disturbo ossessivo-
compulsivo è il disturbo evitante di personalità
Criteri diagnostici:
• bisogno intenso di ordine e controllo come dimostrato dalla presenza di
almeno quattro dei seguenti elementi, evidenziati in molti contesti a partire
dalla prima età adulta:
o estrema attenzione per le regole, i dettagli e l’organizzazione, al punto
che va perduto lo scopo principale dell’attività
o estremo perfezionismo che interferisce con il completamento dei compiti
o eccessiva dedizione al lavoro, fino all’esclusione delle attività di svago e
delle amicizie
o inflessibilità in tema di moralità, etica o valori
o difficoltà ad accettare gli oggetti privi di utilità e di valore
o riluttanza delle gare, a meno che gli altri non si conformino ai suoi
standard
o avarizia
o rigidità e testardaggine
tratti di personalità patologici nei seguenti domini:
o coscienziosità, caratterizzata da rigido perfezionismo
o affettività negativa, caratterizzata da perseverazione.
DISTURBO NARCISISTICO DI PERSONALITA’
Gli individui affetti da disturbo narcisistico di personalità hanno un’idea
grandiosa di sé stessi e le proprie capacità, e fantasticano continuamente sui
loro futuri successi. Richiedono attenzione quasi costante e ammirazione da
parte degli altri. Le relazioni interpersonali sono disturbate dalla loro mancanza
di empatia, dall’arroganza unita a sentimenti di invidia, l’abitudine ad
approfittare degli altri e dalla convinzione di godere di speciali diritti, come se
gli altri fossero tenuti a render loro favori del tutto particolari. Le persone con
questo disturbo sono estremamente sensibili alle critiche che possono adirarsi
quando gli altri non li ammirano. Tendono a cercare partner di condizione
sociale elevata che poi idealizzano; ma quando, inevitabilmente, questi partner
non si dimostrano all’altezza delle loro aspettative campate in aria, e se
diventano irascibili e respingenti (analogamente agli individui con disturbo
borderline di personalità). Le persone con disturbo narcisistico di personalità
tendono anche a cambiare partner si hanno l’opportunità di sceglierne uno di
status sociale più elevato. Il disturbo borderline di personalità è quello con cui
questo disturbo si presenta più frequentemente in concomitanza.
Criteri diagnostici:
1. presenza di cinque o più dei seguenti elementi evidenziati in molti
contesti fin dalla prima età adulta
o visione grandiosa della propria importanza
o eccessiva attenzione al proprio successo, intelligenza, bellezza
o convinzione di essere speciale e di poter essere capito solo da altre
persone di status elevato
o estremo bisogno di ammirazione
o forte sensazione che tutto gli sia dovuto
o tendenza a sfruttare gli altri
o mancanza di empatia
o invidia nei confronti degli altri
o comportamento o atteggiamenti arroganti
tratti di personalità nei seguenti domini:
o antagonismo, caratterizzato da grandiosità e ricerca di attenzione.
IL DISTURBO SCHIZOTIPICO DI PERSONALITA’
Il disturbo schizotipico di personalità è definito da pensieri e comportamenti
inusuali ed eccentrici (psicoticismo) distacco interpersonale e sospettosità.
Individui che soffrono di questo disturbo possono manifestare convinzioni
strane o pensiero magico, ad esempio la convinzione di poter leggere nella
mente degli altri e di poter prevedere il futuro. Sono comuni anche le idee di
riferimento (la convinzione che gli eventi abbiano un significato particolare e
insolito specificamente per loro), la sospettosità e l’ideazione paranoide.
Possono avere anche fenomeni illusori ricorrenti (percezioni sensoriali alterate),
come sentire la presenza di una forza o di una persona che in effetti non c’è. Il
loro eloquio è caratterizzato talvolta da un uso delle parole insolito e poco
chiaro; potrebbero dire “non è una persona molto parlabile” per indicare una
persona con cui non è facile parlare. Anche il comportamento l’aspetto possono
essere stravaganti; ad esempio, possono parlare da soli oppure indossare abiti
sporchi o trasandati. Inoltre, manifestano un impoverimento e un appiattimento
dell’affettività e tendono ad estraniarsi dagli altri. I sintomi di questo disturbo
sono simili a quelli della schizofrenia, ma ne rappresentano una versione molto
attenuata. I familiari di individui affetti da schizofrenia sono maggiormente a
rischio di sviluppare il disturbo schizotipico di personalità. Comunemente, chi è
affetto da questo disturbo soddisfa i criteri del disturbo evitante di personalità,
perché in entrambi i casi il distacco interpersonale è marcato.
Criteri diagnostici:
1. presenza in molti contesti di cinque o più dei seguenti elementi a partire
dalla prima età adulta:
o idee di riferimento
o credenze strane o pensiero magico, ad esempio credere nelle
percezioni extrasensoriali
o percezioni inusuali, ad esempio, sensazioni distorte riguardo al
proprio corpo
o sospettosità o paranoia
o affettività inappropriata
o comportamento o aspetto strani o eccentrici
o mancanza di amici intimi
o ansia sociale che non diminuisce con l’aumentare della familiarità.
Tratti di personalità patologici nei seguenti domini:
o distacco, caratterizzato da affettività ridotta, ritiro e sospettosità
o psicoticismo, caratterizzato da eccentricità, disregolazione cognitiva e
percettiva, e convinzioni ed esperienze inusuali
o affettività negativa, caratterizzata da sospettosità
IL DISTURBO EVITANTE DI PERSONALITA’
Le persone con disturbo evitante di personalità sono così timorose di essere
criticate, rifiutate disapprovato da evitare occasioni di lavoro o di rapporto con
gli altri per proteggersi dal feedback negativo. Nelle situazioni sociali e si sono
udite da una marcata paura di dire qualche sciocchezza, di trovarsi in grave
imbarazzo, di arrossire o dimostrare altri segni di ansia. Si ritengono
incompetenti e inferiori agli altri e sono riluttanti a correre dei rischi o
approvare qualche nuova attività. Il disturbo evitante di personalità spesso si
manifesta in concomitanza con il disturbo da ansia sociale, poiché i criteri
diagnostici di questi due disturbi sono molto simili. C’è chi sostiene che il
disturbo evitante di personalità possa in effetti costituire una variante più
cronica del disturbo d’ansia sociale. Entrambi questi disturbi sono correlati ad
una sindrome che in Giappone viene detta taijin kyoufusho questi soggetti sono
eccessivamente sensibili nelle situazioni interpersonali ed evitano il contatto con
gli altri. Ma la loro paura abbastanza diversa da quelle comunemente presenti
nelle diagnosi del DSM5 queste persone tendono infatti a provare ansia o
vergogna per l’impressione che produrranno sugli altri o il modo in cui
appariranno loro; ad esempio, temono di essere brutte o di emettere odori
sgradevoli.
Criteri diagnostici:
1. una modalità pervasiva di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza
e ipersensibilità alle critiche come evidenziato dalla presenza, in molti
contesti, di quattro o più dei seguenti elementi a partire dalla prima età
adulta:
o evita attività lavorative che implicano un significativo contatto
interpersonale per timore di essere criticato o disapprovato
o è riluttante nell’entrare in relazione con altre persone, a meno che
non sia certo di piacere
o è inibito nelle relazioni intime per il timore di essere umiliato o
ridicolizzato
o si preoccupa di essere criticato o rifiutato
o è inibito in situazioni interpersonali nuove a causa di sentimenti di
inadeguatezza
o si vede come socialmente inetto o inferiore agli altri
o è estremamente riluttante a tentare nuove attività, poiché questo
può rivelarsi imbarazzante
tratti di personalità patologici nei seguenti domini:
o distacco, caratterizzato da ritiro, evitamento dell’intimità e anedonia
o affettività negativa, caratterizzata da ansia.
IL DISTURBO ANTISOCIALE DI PERSONALITA’ E LA PSICOPATIA
Nell’uso informale, i termini disturbo antisociale di personalità e psicopatia
(talvolta detta anche sociopatia) sono spesso intercambiabili. Anche se il
comportamento antisociale, come infrangere la legge, è una componente
importante di entrambe le definizioni, tra i due disturbi vi sono differenze
rilevanti: una differenza consiste nel fatto che il disturbo antisociale di
personalità è incluso nel DSM, mentre la psicopatia non lo è.
Nel disturbo antisociale di personalità è presente un quadro pervasivo di
inosservanza e di violazione dei diritti degli altri chi è affetto da questo disturbo
si caratterizza per tratti di aggressività, impulsività e insensibilità. Le persone
con disturbo antisociale di personalità spesso riferiscono una storia personale in
cui già nella prima adolescenza figurano assenze ripetute e ingiustificate da
scuola, fughe da casa, menzogne frequenti, furti, l’appiccare incendi e la
distruzione deliberata di proprietà altrui.
Queste persone sono caratterizzate da un comportamento irresponsabile, che si
manifesta sotto forma di incapacità di sostenere un’attività lavorativa
continuativa, di infrazione della legge, irritabilità e aggressività fisica,
inadempienza ai debiti, azioni sconsiderate e impossibile, e incapacità di
pianificare il futuro. Queste persone non attribuiscono alcun valore all’onestà e
alla verità e dimostrano una totale mancanza di rimorso per i propri misfatti.
Questo disturbo si osserva molto più frequentemente tra gli uomini che tra le
donne
Criteri diagnostici:
1. l’individuo ha almeno 18 anni.
2. presenza del disturbo della condotta con esordio prima dei 15 anni di
età.
3. un quadro pervasivo di inosservanze violazione dei diritti degli altri, che si
manifesta fin dall’età di 15 anni, e la presenza di almeno tre dei seguenti
elementi:
o ripetute infrazioni della legge
o disonestà, menzogne
o impulsività
o irritabilità e aggressività
o inosservanza spericolata della sicurezza propria e altrui
o irresponsabilità abituale, come indicato dalla ripetuta incapacità di
sostenere un’attività lavorativa continuativa o di far fronte ad
obblighi finanziari
o mancanza di rimorso
tratti di personalità patologici nei seguenti domini:
o antagonismo, caratterizzato da manipolazione, inganno, insensibilità e
ostilità
o disinibizione, caratterizzata da irresponsabilità, impulsività e
comportamento rischioso.
PSICOPATIA
Una delle caratteristiche chiave per individuare la personalità psicopatica sta
nella povertà di emozioni, sia positive sia negative. Le persone psicopatica che
non provano alcuna vergogna, e perfino quelli che appaiono come sentimenti
positivi verso gli altri non sono che una messa in scena. Sono persone capaci di
affascinare, vanto meno superficialmente, e di usare proprio fascino per
manipolare gli altri a proprio vantaggio.
L’assenza di emozioni negative quali l’ansia rende quasi impossibile a queste
persone imparare dai propri errori, mentre la mancanza di rimorso le porta a
comportarsi in modo irresponsabile verso gli altri. Un altro punto chiave è dato
dal fatto che il comportamento antisociale della persona con psicopatia viene
messo in atto d’impulso, più per il brivido che procura che per motivazioni quali
il bisogno di denaro. Per valutare la psicopatia la scala più comunemente usata
è la Psychopathy Checklist-Revised. I criteri presenti nel DSM5 portano ad una
maggiore concordanza tra la diagnosi di disturbo antisociale di personalità e
quello di psicopatia.
IL DISTURBO BORDELINE DI PERSONALITA’
Le caratteristiche cruciali del disturbo borderline di personalità sono
l’impulsività lista validità nelle relazioni interpersonali e nell’umore. Ad esempio,
gli atteggiamenti e i sentimenti nei confronti degli altri possono mutare
drasticamente e inspiegabilmente nel volgere di breve tempo, in particolare
passando da un appassionato idealizzazione a una rabbia colma di disprezzo.
Experience sampling method, procedura innovativa che permette di studiare
momento per momento l’esperienza quotidiana il disturbo borderline di
personalità è caratterizzato da cambiamenti più bruschi, più consistenti e più
inattesi in relazione agli Stati effettivi negativi di quanto non lo fossero in altri
disturbi. L’intensa rabbia che caratterizza è affetto da disturbo borderline di
personalità spesso ne danneggia i rapporti con gli altri. Le persone con questo
disturbo sono eccessivamente sensibili anche a minimi segnali di stati
emozionali negli altri. Il loro comportamento imprevedibile, impulsivo e
potenzialmente auto lesivo può comprendere gioco d’azzardo, spese insensate,
attività sessuale indiscriminata e abuso di sostanze. Spesso questi individui non
hanno sviluppato un senso di sé chiara e coerente, e talvolta vivono notevoli
oscillazioni in aspetti basilari della personalità quali valori, gli ideali e le scelte
professionali. Non sopportano di stare da soli, hanno intensi timori di
abbandono, e si sono costantemente l’attenzione altrui e sono soggetti ad un
cronico senso di depressione di vuoto. Durante i periodi di forte stress possono
manifestarsi transitori sintomi psicotici dissociativi. Spesso possono mettere in
atto condotte suicidarie
Criteri diagnostici:
1. Presenza di cinque o più dei seguenti elementi evidenziati in molti
contesti a partire dalla prima età adulta:
o sforzi disperati di evitare un abbandono
o instabilità nelle relazioni interpersonali nelle quali gli altri sono
idealizzati oppure del tutto svalutati
o almeno due tipi di comportamento impulsivo e autolesivo, come
spese insensate, abbuffate, promiscuità sessuale, abuso di sostanze,
guida spericolata
o ricorrenti comportamenti suicidari o comportamenti autolesivi
o cronica sensazione di vuoto
o ricorrenti scoppi di rabbia intensa o scarsamente controllata
o in situazioni di stress, una tendenza ad esperire transitori pensieri
paranoidi e sintomi disassociativi
tratti di personalità patologici nei seguenti domini:
o affettività negativa, caratterizzata da labilità emotiva, ansia, angoscia da
separazione e depressività
o disinibizione, caratterizzata da impulsività e tendenza a correre rischi -
antagonismo, caratterizzato da ostilità.
TRATTAMENTO DEI DISTURBI DI PERSONALITA’
È importante tenere presente che molte persone affette da disturbi di
personalità si sottopongono ad una terapia per un problema diverso dal loro
disturbo di personalità. Le persone che presentano gravi sintomi riferiti ai
disturbi di personalità possono seguire un programma di day-hospital che rende
disponibile un trattamento psicoterapeutico per diverse ore al giorno, sotto
forma sia di terapia di gruppo sia di terapia individuale. La durata di questi
protocolli è variabile, ma alcuni si protraggono per diversi mesi. Essi, inoltre, si
differenziano anche negli approcci al trattamento: alcuni si basano su approcci
psicodinamici, altri prevedono un approccio basato su una terapia di sostegno,
altri ancora prevedono trattamenti cognitivo-comportamentali
I terapeuti psicodinamici hanno l’obiettivo di modificare il modo in cui il
paziente considererei problemi infantili che si presume siano alla base del
disturbo di personalità. Ad esempio, nel caso di un uomo con disturbo
ossessivo-compulsivo di personalità, essi potrebbero guidarli a comprendere
che non è necessario trasferire nella vita adulta gli strenui tentativi di essere
perfetto compiuti nell’infanzia per guadagnarsi l’amore dei genitori. Gli studi sui
trattamenti di tipo psicodinamico spesso comprendono un’ampia gamma di
differenti disturbi di personalità.
Nella terapia cognitiva dei disturbi di personalità, viene applicato lo stesso tipo
di analisi indicato nel trattamento della depressione (Beck). Ogni disturbo viene
analizzato in termini di convinzioni negative che possono contribuire a spiegare
la sintomatologia complessiva. Ad esempio, intervenire attraverso una terapia
con vista su un perfezionista con disturbo ossessivo-compulsivo di personalità
vuol dire innanzitutto convincere questa persona ad accettare l’essenza stessa
del modello cognitivista, e cioè che sentimenti e comportamenti sono in primo
luogo una conseguenza di ciò che pensiamo. I tratti che caratterizzano i disturbi
di personalità sono probabilmente troppo radicati per cambiare completamente.
Di conseguenza il terapeuta, indipendentemente dal suo orientamento teorico,
potrebbe trovare più realistico modificare il disturbo trasformandolo in uno stile
o comunque in un modo più adattativo di affrontare l’esistenza.
TRATTAMENTO DEL DISTURBO SCHIZOTIPICO DI PERSONALITA’ DEL DISTURBO
EVITANTE E DELLA PSICOPATIA
I TRATTAMENTI DEL DISTURBO SCHIZOTIPICO DI PERSONALITÀ si basano sulla
relazione esistente tra questo disturbo e la schizofrenia
o Farmaci antipsicotici (per ridurre pensieri bizzarri)
o Antidepressivi
IL DISTURBO EVITANTE DI PERSONALITÀ sembra rispondere bene agli stessi
trattamenti risultare efficaci per il disturbo d’ansia sociale.
o Farmaci antidepressivi
o trattamento cognitivo-comportamentale
PSICOPATIA, nonostante il pessimismo, il trattamento psicologico può essere
utile.
o Terapia psicoanalitica
o Terapia cognitivo-comportamentale.
Per dare buoni risultati il trattamento (a prescindere dall’orientamento) deve
essere piuttosto intensivo quattro volte a settimana per almeno un anno).
TRATTAMENTO SUL DISTURBO BORDELINE DI PERSONALITA’
TERAPIA DIALETTICO-COMPORTAMENTALE. La più efficace.
Il concetto dialettico si riferisce alla costante tensione tra qualunque fenomeno
(tesi) e il suo posto (antitesi), pensione che viene risolta dalla creazione di un
nuovo fenomeno (sintesi). Nella terapia comportare dialettica, il termine
dialettica viene usato in due modi:
o si riferisce alle strategie apparentemente opposte che il terapeuta deve
utilizzare quando tratte pazienti con disturbo borderline di personalità:
accettarli per quello che sono e tuttavia aiutarli a cambiare.
o Si riferisce alla comprensione da parte del paziente che non è possibile
scindere il mondo in buono e cattivo; al contrario, è possibile raggiungere
una sintesi di questi apparenti opposti.
L’ELEMENTO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE DELLA TERAPIA DIALETTICO-
COMPORTAMENTALE
Si esplica in 4 fasi:
1. l’attenzione focalizzata sui comportamenti pericolosamente impulsivi, con
lo scopo di favorire un maggiore controllo
2. il paziente apprenda modulare le manifestazioni estreme di emozionalità
(si cerca di far apprendere all’individuo a tollerare il malessere
emozionale)
3. si cerca di migliorare le capacità di relazione interpersonale e l’autostima
4. è volta promuove sia il senso di vicinanza gli altri sia l’abilità individuale
(il cliente acquisisce modalità più efficace socialmente accettabile per
affrontare i problemi quotidiani)
TRATTAMENTO BASATO SULLA MENTALIZZAZIONE
Forma di trattamento psicodinamico.
La teoria alla base di questo trattamento pone in risalto il fatto che le persone
con disturbo borderline di personalità non riescono a mentalizzare, cioè a
pensare ai propri agli altrui sentimenti ed emozioni. L’insicurezza nei rapporti in
età precoce, in associazione ad eventi traumatici, induce un atteggiamento
difensivo in cui si evita di pensare ai sentimenti ai rapporti. Poiché l’individuo
non si sofferma con attenzione su tali questioni, le aspettative create da
esperienze relazionali precoci continuano a pervadere le relazioni attuali. Lo
scopo del terapeuta è allora quello di promuovere un approccio più attivo e più
mediato ai rapporti ed ai sentimenti.
TERAPIA COGNITIVA FOCALIZZATA SUGLI SCHEMI
Questa terapia arricchisce la terapia cognitiva tradizionale con una maggiore
attenzione alle modalità con le quali esperienze infantili e stili genitoriali hanno
dato forma ai pattern cognitivi attuali. Terapeuta e paziente lavorano insieme
per identificare gli assunti mal adattivi (schemi) che il paziente ha rispetto ai
rapporti interpersonali, e che derivano da esperienze infantili. Si presuppone
che il paziente abbia anche uno schema relativo ai rapporti sani, e lo scopo
della terapia e di favorire l’uso di questo schema sano, anziché i comportamenti
automatici che riflettono lo schema relativo ai rapporti problematici.

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