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CAPITOLO PRIMO.
DISTURBO MENTALE.
Per definire il concetto di disturbo mentale abbiamo bisogno di definire alcune
caratteristiche che potrebbero descriverlo in maniera più approfondita;
intanto:
• Il disturbo è proprio dell’individuo.
• Esso causa distress o disabilità
• Non è una reazione attesa ad un evento
• Non è primariamente il risultato di devianza sociale o conflitto con la
società
Quindi, il disturbo mentale viene determinato in base alla presenza di
caratteristiche che sono:
• Distress
• Disabilità
• Violazione di norme sociali
• Disfunzione
Nessuna caratteristica è sufficiente da sola per definire il concetto, perché
insieme sono la definizione completa.
IL DISTRESS PERSONALE
Il distress personale è uno delle principali caratteristiche del disturbo mentale,
questo perché il comportamento di una persona può essere diagnosticato come
disturbato quando è causa per la persona stessa di un profondo malessere.
Non tutti i disturbi mentali causano distress.
DISABILITA’
La disabilità è la compromissione di qualche area importante nella vita di un
individuo, ed è una caratteristica del disturbo mentale.
Come il distress, la disabilità non è da sola un criterio sufficiente a definire un
disturbo mentale, in quanto non necessariamente si associa a tutti i disturbi.
LA VIOLAZIONE DELLE NORME SOCIALI
Nell’ambito del comportamento, una norma sociale è uno standard che la
persona utilizza per formulare giudizi su dove si collocano i comportamenti su
determinate scale di valori (es. BUONO-CATTIVO, GIUSTO-SBAGLIATO)
I comportamenti che violano le norme sociali possono essere considerati come
disturbati o devianti.
Eppure, questo modo di definire il disturbo mentale può essere una definizione
troppo ampia o troppo stretta da dare, questo perché può essere troppo ampia
quando si considerano i criminali che non rispettano le leggi e quindi violano le
norme sociali, o troppo stretta nel caso delle versioni ansiose che non
trasgrediscono però le norme sociali.
DISFUNZIONE
Il disturbo mentale è una disfunzione che produce un danno. Si parla di
disfunzione quando un meccanismo interno del nostro corpo non è in grado di
svolgere la sua naturale funzione. Molte critiche sono state fatte al concetto di
disfunzione in quanto non è così obbiettivamente facile identificare una
disfunzione quando si tratta di valutare un disturbo mentale.
La disfunzione nel DSM fa riferimento al fatto che le disfunzioni
comportamentali, psicologiche e biologiche sono fra loro interrelate. Significa
che il cervello ha un impatto sul comportamento e viceversa. Pertanto, una
disfunzione nell’uno è interrelata nell’altro.
STORIA DELLA PSICOPATOLOGIA.
Nelle epoche più antiche prima della nascita dell’indagine scientifica per
spiegare i comportamenti patologici si faceva riferimento alla demonologia,
dottrina secondo cui un demone o uno spirito malvagio può abitare all'interno
di una persona, controllandone mente e corpo. Il trattamento avveniva tramite
esorcismo. Secoli più tardi Ippocrate (V secolo a. C.) separa la medicina dalla
magia, dalla religione e superstizione. Ritiene che le malattie sia fisiche che
mentali dovevano avere una causa organica. In particolare, pensieri e
comportamenti devianti dovevano dipendere da una patologia del cervello,
organo della coscienza, della vita intellettiva e delle emozioni, il cui
funzionamento dipendeva dall’equilibrio tra quattro umori o fluidi corporei:
sangue, bile nera, bile gialla e flemma.
Durante il medioevo ci furono dei periodi molto bui come:
• Ritorno della credenza di cause soprannaturali nei disturbi mentali, a
causa del potere della Chiesa.
• Processi per pazzia: dal XIII sec. gli ospedali cominciarono a passare sotto
la giurisdizione secolare e si cominciarono a tenere processi per pazzia,
fondati su diritto della Corona di proteggere le persone con problemi
mentali. Comportamenti insoliti erano attribuiti a malattie mentali, danni
fisici o shock emotivi. Il termine inglese per pazzia “lunacy” deriva da una
teoria del medico svizzero. Paracelo che attribuiva il comportamento
anormale a un errato allineamento fra luna e stelle.
• Il trattamento morale: dagli inizi del 1800 sorsero negli Stati Uniti vari
istituti sul modello dello York Retreater, fondato da un ricco mercante
inglese, William Tuke, luogo in cui vivere, lavorare e riposarsi in
un’atmosfera tranquilla, dove i pazienti potevano parlare col personale
dell’istituto che li intratteneva e incoraggiava a impegnarsi in attività utili.
Una successiva revisione delle cartelle cliniche mostrò che però i
trattamenti più utilizzati consistevano in sostanze psicotrope e che gli
esiti non furono molto positivi.
• Dorothea Dix: insegnante di Boston, nella seconda metà del XIX sec. Portò
avanti campagne di informazione perché i malati di mente potessero
vivere in condizioni migliori in centri creati appositamente per assisterli,
riuscendo a ottenere l’istituzione di 32 ospedali pubblici, che ospitavano i
pazienti che i piccoli centri privati non riuscivano ad accogliere. Questo
portò però al declino del trattamento morale, a causa del ridotto numero
del personale, al sovraffollamento dei pazienti e all’interesse prevalente
dei medici verso gli aspetti biologici, anziché psichici, della malattia
APPROCCI BIOLOGICI
La scoperta dell’origine biologica della paresi generale e della sifilide, nei
decenni ’60 e ’70 dell’800 Pasteur elaborò la “teoria dei germi”, secondo la
quale le malattie sono causate dalle infezioni del corpo da parte di microbi.
Sulla base di questa teoria si arrivò a dimostrare una relazione tra la sifilide e la
paresi generale, sindrome caratterizzata da deterioramento delle capacità fisiche
e mentali, deliri di grandezza e paralisi progressiva. Nel 1905 fu scoperto il
microrganismo che causa la sifilide. Per la prima volta fu possibile stabilire un
nesso causale tra infezione, distruzione di particolari aree del cervello e una
certa psicopatologia. All’inizio del XX sec. I ricercatori si interessarono all’ipotesi
dell’ereditabilità di certe malattie mentali. Tali ricerche favorirono il diffondersi
del movimento per l’eugenetica, che mirava a eliminare dalla popolazione i
caratteri indesiderabili limitando le capacità di procreazione dei portatori di tali
caratteri. Queste pratiche, regolate da varie leggi, ebbero fine solo negli anni
’50.
Sakel introdusse negli anni ’30 il metodo di indurre in coma mediante alte dosi
di insulina a pazienti affetti da schizofrenia. Ugo Cerletti e Lucino Bini idearono
la ECT, terapia elettro-convulsivante o elettroshock, che funzionava tramite
l'applicazione di scariche elettriche ai lati della testa, in pazienti umani, per
provocare attacchi epilettici. Moniz introdusse come forma di trattamento la
lobotomia prefrontale, intervento chirurgico che distrugge le connessioni
nervose tra i lobi frontali e i centri più in profondità del cervello.
APPROCCI PSICOLOGICI
Dalla fine del XVIII sec. emersero approcci secondo cui i disturbi mentali sono
dovuti a malfunzionamenti di natura psicologica. Tali teorie si diffusero in
Francia e Austria e, in un secondo tempo, negli Stati Uniti.
1) MESMER: medico austriaco, riteneva che i disturbi isterici fossero dovuti
alla particolare distribuzione nel corpo del fluido magnetico universale. La
cura prevedeva l’uso di verghe di ferro che ne riequilibrassero la
distribuzione. È considerato uno dei primi ad aver applicato le tecniche di
ipnosi
CAPITOLO SECONDO
CAPITOLO TERZO
DIAGNOSI E VALUTAZIONE
La diagnosi e la valutazione sono i primi passi di cruciale importanza nello
studio del trattamento della psicopatologia. Formulare una diagnosi corretta
consentirà al clinico di delineare le cause e i trattamenti più adeguati per
intervenire. La diagnosi è importante anche per la ricerca sull’eziologia del
disturbo sul suo trattamento. Per arrivare a trarre la diagnosi corretta, clinici e
ricercatori si servono di un’ampia gamma di procedure di valutazione, a partire
dal colloquio clinico.
Le procedure di valutazione possono anche fornire informazioni il cui valore è al
di là della diagnosi stessa. Di fatto, la diagnosi è soltanto un punto di partenza.
Le tecniche di valutazione più usate comprendono il colloquio, la valutazione
psicologica e la valutazione neurobiologica.
I FONDAMENTI DELLA DIAGNOSI E DELLA VALUTAZIONE
I concetti di affidabilità e validità sono alla base di qualunque procedura
diagnostica o di valutazione.
• AFFIDABILITA’: si intende la coerenza delle misurazioni. Essa si misura su
una scala che varia da 0 a 1, quanto più il valore è vicino a 1, tanto
maggiore è l’affidabilità. Esistono vari tipi di affidabilità:
2. LA BATTERIA DI LURIA-NEBRASKA:
comprende 269 item suddivisi in 11 sezioni e consente di
determinare abilità motorie sia fondamentali e complesse,
la capacità di cogliere ritmo e tono, funzioni tattili e
cinestetiche, abilità verbali e spaziali, abilità di lettura,
scrittura e aritmetiche.
CAPITOLO QUARTO
CAPITOLO QUINTO
I DISTURBI DELL’UMORE.
I disturbi dell’umore comportano alterazioni della sfera emozionale gravi e
invalidanti, dall’estrema tristezza e distacco emotivo come nella depressione,
allo stato di estrema esaltazione e irritabilità della mania.
QUADRI CLINICI ED EPIDEMIOLOGIA DEI DISTURBI DELL’UMORE
Vi sono due ampie categorie di disturbi dell’umore: quelli che coinvolgono
soltanto SINTOMI DEPRESSIVI e quelli che coinvolgono SINTOMI MANIACALI
(disturbi bipolari).
❖ DISTURBI DEPRESSIVI: I sintomi principali della depressione sono uno
stato di profonda tristezza e incapacità di provare piacere. Quando una
persona sviluppa un disturbo depressivo, la sua mente può riempirsi di
recriminazioni rivolte contro se stessa: i pensieri di queste persone possono
focalizzarsi sui propri difetti e manchevolezze. Prestare attenzione può
diventare estenuante. Tendono a vedere le cose in una luce molto negativa e
a perdere la speranza. In queste persone può manifestarsi una grave perdita
di iniziativa. Il ritiro sociale è un sintomo molto comune nella depressione. La
depressione comporta anche sintomi fisici, come stanchezza e scarsa energia,
dolori. Sebbene queste persone si sentano esauste, possono avere notevoli
difficoltà a prendere sonno e possono svegliarsi spesso durante la notte. Le
persone depresse possono trovare i cibi privi di sapore e non sentire più
appetito o, al contrario, provare un notevole aumento dell’appetito. Vi è la
scomparsa dell’interesse sessuale. In alcuni casi si ha un rallentamento dei
pensieri dei movimenti RALLENTAMENTO PSICOMOTORIO, mentre in altri la
persona non riesce a stare seduta continua a camminare avanti e indietro,
agitando e torcendo le mani AGITAZIONE PSICOMOTORIA.
❖ I DISTURBI BIPOLARI:
Nel DSM-5 si individuano tre forme di disturbo bipolare:
• Il disturbo bipolare I
• Il disturbo bipolare II
• Il disturbo ciclotimico
Ognuno di questi disturbi è caratterizzato da sintomi MANIACALI.
I disturbi bipolari si distinguono in base alla gravità e durata dei sintomi
maniacali.
Questi disturbi sono definiti bipolari perché la maggioranza degli individui che
manifestano i sintomi della mania esperiscono, nel corso dell’esistenza, anche
quelli della depressione (mania e depressione sono definite polarità opposte).
L’episodio depressivo non è necessario per la diagnosi del disturbo bipolare I,
invece è necessario per la diagnosi del disturbo bipolare II.
LA MANIA è uno stato di forte esaltazione o irritabilità accompagnato da
ulteriori sintomi. Durante un episodio maniacale spesso è presente un flusso di
parole che può essere difficile da interrompere e la persona può saltare
rapidamente da un argomento all’altro, dato questo che riflette LA FUGA DELLE
IDEE. Durante un episodio maniacale il soggetto può diventare socievole fino
all’invadenza e fin troppo sicuro di sé: spesso purtroppo incurante delle
possibili conseguenze disastrose dei suoi comportamenti, che possono andare
da rapporti sessuali a rischio, a spese superiori alle sue possibilità, a guida
imprudente. L’episodio maniacale tende a manifestarsi in modo rapido e
improvviso nell’arco di un giorno o due. Il senso di sconfinata energia, le
esplosioni di gioia e l’incredibile grandiosità degli obiettivi possono apparire
qualcosa di positivo, per cui alcuni non colgono negli improvvisi cambiamenti
un senso di malessere.
Il DSM-5 ha elaborato dei criteri diagnostici per l’episodio maniacale e
ipomaniacale:
• Umore chiaramente elevato o irritabile.
• Aumento abnorme dell’attività dell’energia
• Almeno tre dei seguenti sintomi devono mostrare un evidente
cambiamento rispetto alla condizione normale (quattro, se l’umore è
soltanto irritabile):
o aumento delle attività finalizzate o agitazione psicomotoria
o loquacità insolita; eloquio rapido
o fuga delle idee o impressione soggettiva di pensieri si susseguano
rapidamente
o diminuito bisogno di dormire
o aumento dell’autostima; convinzione di possedere talenti, poteri
o distraibilità, ovvero attenzione facilmente distratta
o eccessivo coinvolgimento in attività dalle probabili conseguenze
negative, come spese avventate, comportamenti sessuali a rischio,
guida imprudente.
o I sintomi sono presenti per la maggior parte del giorno, quasi ogni
giorno
Per l’episodio maniacale:
• i sintomi durano almeno una settimana o richiedere l’ospedalizzazione o
includono psicosi
• i sintomi causano disagio o compromissione del funzionamento
significativi
Per l’episodio ipomaniacale:
• I sintomi durano almeno quattro giorni
• I cambiamenti nel funzionamento sono chiaramente osservabile dagli altri,
ma la compromissione funzionale non è marcata
• Non sono presenti sintomi psicotici
Il SUICIDIO
Per IDEAZIONE SUICIDARIA si intendono i pensieri di uccidersi; è molto più
comune dei tentativi di suicidio. Per TENTATIVI DI SUICIDIO si intendono i
comportamenti tesi a causare la morte del soggetto ma che non raggiungono lo
scopo. Il termine SUICIDIO include quei comportamenti tesi a provocare la morte
del soggetto che riescono nel loro intento. L’AUTOLESIONISMO SENZA INTENTI
SUICIDI (NSSI) sono quei comportamenti che tesi a provocare un danno fisico
immediato senza però l'intenzione di uccidersi. I tassi di suicidio sono più alti
nelle regioni in cui è più diffuso il possesso di armi da fuoco. La probabilità di
commettere suicidio è quattro volte più alta negli uomini che nelle donne. Gli
uomini in genere scelgono di spararsi o di impiccarsi mentre le donne tendono
a servirsi dei sonniferi.
• FATTORI DI RISCHIO: È un atto di tale complessità che nessuna singola
teoria può sperare di darne una spiegazione completa. Molte persone che
soffrono di un disturbo dell'umore arrivano concepire idee suicide, e
alcuni anche a metterle in pratica. Circa il 90% delle persone che tentano
il suicidio soffre di disturbo mentale. Oltre ai disturbi depressivi, si
associano al suicidio anche i disturbi bipolari, la schizofrenia, i disturbi del
controllo degli impulsi, i disturbi da uso di sostanze, il PTSD, il disturbo
borderline di personalità, il disturbo di panico e i disturbi
dell’alimentazione. Gli studi di gemelli indicano che il tentativo di suicidio
a un’ereditabilità del 48%. Esiste un collegamento fra bassi livelli di
serotonina e suicidio. È stato dimostrato che gli eventi economici e sociali
influenzano il tasso di suicidio, L’isolamento sociale e la mancanza di
appartenenza sociale sono i fattori più predittivi dell’ideazione e dei
comportamenti suicidari. Il suicidio può avere molti significati: può avere
lo scopo di indurre negli altri sensi di colpa; essere un estremo tentativo
di farsi amare dagli altri o di riparare a colpe che il suicida ritiene di aver
commesso; oppure il modo per liberarsi da sentimenti percepiti come
inaccettabili. Alcuni ricercatori mettono in relazione il suicidio con la
difficoltà nel risolvere problemi. La logica porta a prevedere che una
persona con difficoltà a risolvere i problemi sia più vulnerabile alla
disperazione. Una linea di ricerca si è sviluppata attorno al Reason for
Living Inventory, i cui i valori importanti del soggetto. Le persone con più
ragioni per vivere hanno minori tendenze suicide rispetto a chi di quelle
ragioni ne ha meno.
Capitolo sesto
I DISTURBI D’ANSIA.
Nel gruppo di disturbi definiti DISTURBI D’ANSIA, l’ansia e la paura hanno un
ruolo rilevante. L’ANSIA è definita come il senso di apprensione che si prova
nell’anticipazione di un certo problema, riguarda quindi una minaccia futura. LA
PAURA è invece una reazione ad un pericolo immediato, riguarda quindi una
minaccia presente. Sia l’ansia, sia la paura implicano uno stato di AROUSAL, cioè
di attivazione del sistema nervoso simpatico. in alcuni disturbi d’ansia, il sistema
deputato alla paura non funziona adeguatamente e la persona prova paura
senza che nell’ambiente circostante sia presente un vero pericolo. I disturbi
d’ansia costituiscono la diagnosi psichiatrica più comune, e particolarmente
comuni sono le fobie. Sono associati a un rischio maggiore per le malattie
cardiovascolari. Sono disturbi che comportano costi molto alti, per la società e
per gli individui che ne soffrono.
QUADRI CLINICI DEI DISTURBI D’ANSIA
Per ogni disturbo i sintomi devono soddisfare precisi criteri, indicati nel DSM-5,
perché possa essere tratta la diagnosi:
• devono interferire con le principali aree funzionali dell’individuo, o causare
marcato distress
• non devono essere causati da un farmaco o da una condizione medica
• i sintomi persistono per almeno 6 mesi o almeno 1 mese per il disturbo di
panico
• i sintomi d’ansia o paura si distinguono da quelli di un altro disturbo
d’ansia.
❖ FOBIE SPECIFICHE:
Criteri diagnostici del DSM-5:
1. paura marcata e sproporzionata, provocata costantemente da
particolari oggetti o situazioni
2. l’oggetto (o la situazione) viene evitato o sopportato con intensa ansia.
Per FOBIE SPECIFICA si intendono paura sproporzionata, provocata da un
oggetto o da una situazione particolare. La persona riconosce che la sua paura
è eccessiva e tuttavia è disposta a fare sforzi notevoli pur di evitare l’oggetto o
la situazione che la provoca. Due delle forme più comuni di fobia specifica sono
la CLAUSTROFOBIA (paura degli spazi angusti chiusi) e l’ACROFOBIA (paura
delle altezze). Un individuo affetto da una fobia specifica ha molte probabilità di
soffrire anche di un altro tipo di fobia specifica, ovvero tra le fobie specifiche vi
è un’elevata comorbilità.
❖ IL DISTURBO D’ANSIA SOCIALE:
criteri diagnostici del DSM-5:
1. paura marcata e sproporzionata, costantemente provocata
dall’esposizione al possibile giudizio degli altri.
2. l’esposizione alla situazione temuta provoca un intensa ansia di
ricevere un giudizio negativo
3. le situazioni temute sono evitate o sopportate con intensa ansia
Si definisce DISTURBO D’ANSIA SOCIALE una paura intensa, irrazionale e
persistente, delle situazioni sociali che potrebbero implicare l’essere sottoposti
al giudizio di persone sconosciute o anche soltanto esposti alla loro presenza.
Le persone che soffrono di questo disturbo in generale cercano di evitare
situazioni in cui potrebbero essere oggetto di valutazione da parte degli altri o
mostrare segni di ansia imbarazzo. Anche se questi sintomi possono apparire
simili alla timidezza, le persone che soffrono di disturbo d’ansia sociale
mostrano una tendenza più forte evitare situazioni sociali, provano disagio
maggiore ed esperiscono tali sintomi per periodi più lunghi della loro vita. Il
disturbo d’ansia sociale insorge solitamente durante l’adolescenza. Almeno un
terzo degli individui che soffrono di disturbo d’ansia sociale soddisfa i criteri per
la diagnosi di disturbo evitante di personalità.
❖ IL DISTURBO DI PANICO:
criteri diagnostici del DSM-5:
1. ricorrenti attacchi di panico inaspettati.
2. protrarsi per almeno un mese di preoccupazione per la possibilità di
nuovi attacchi, preoccupazione per le conseguenze di un attacco o
modificazioni disadattativi del comportamento causate dagli attacchi
Un ATTACCO DI PANICO è un attacco improvviso di intensa apprensione, terrore
e sensazione di disastro incombente, accompagnati da almeno altri quattro
sintomi dei seguenti: palpitazioni, sudorazione, tremori fini o grandi scosse,
dispnea o sensazione di soffocamento, sensazione di asfissia, dolore o fastidio
al petto, nausea o disturbi addominali, sensazione di vertigine, di stabilità, di
testa leggera o di svenimento, brividi o vampate di calore, parestesie,
derealizzazione (un senso di irrealtà del mondo), depersonalizzazione
(percepirsi come di fuori del proprio corpo), paura di perdere il controllo o di
impazzire, paura di morire. L’attacco di panico può essere visto come un mal
funzionamento del sistema che presiede alla paura: sul piano fisiologico, la
persona sperimenta un livello di attivazione del sistema nervoso simpatico
analogo a quello che la maggioranza delle persone sperimenterebbe di fronte a
una minaccia immediata. Per porre una diagnosi di disturbo di panico è
necessario che il soggetto soffra di ricorrenti attacchi inaspettati. L’esperienza
occasionale di un attacco di panico è abbastanza comune. Questo disturbo
comunemente sorge in adolescenza.
❖ AGORAFOBIA:
criteri diagnostici del DSM-5:
1. paura o ansia marcate relative ad almeno due situazioni in cui
sarebbe difficile fuggire o affidabilità ricevere aiuto, nel caso che i
sintomi analoghi al panico prendessero il sopravvento e rendessero
soggetto incapace di reagire; ad esempio essere fuori casa da soli,
utilizzare dei mezzi di trasporto pubblici.
2. queste situazioni provocano costantemente paura o ansia
3. queste situazioni vengono evitate, o richiedono la presenza di un
accompagnatore, o sono sopportate con paura e ansia intense
Molte persone che soffrono di AGORAFOBIA sono praticamente incapaci di
uscire di casa e quelli che ci riescono lo fanno con profondo malessere. Nel
DSM-IV-TR l’agorafobia è stata classificata come un sottotipo del disturbo di
panico; nel DSM-5 l’agorafobia individuata come categoria diagnostica a sé. La
metà dei soggetti con sintomi dell’agorafobia non esperisce mai attacchi di
panico.
❖ IL DISTURBO D’ANSIA GENERALIZZATO (GAD):
criteri diagnostici del DSM-5:
1. ansia e preoccupazioni eccessive che si manifestano per almeno il
50% dei giorni relative a un gran numero di eventi o attività.
2. l’ansia e la preoccupazione persistente sono associate a tre o più
dei seguenti sintomi (uno per i bambini):
o irrequietezza o sentirsi agitati o con i nervi a fior di pelle
o facile affaticamento
o difficoltà concentrarsi o sensazione di mente vuota
o irritabilità
o tensione muscolare
o alterazione del sonno
La principale caratteristica di questo disturbo è LA PREOCCUPAZIONE
PERSISTENTE: le persone che ne soffrono sono costantemente preoccupate,
spesso per cose di minore importanza. Il termine preoccupazione indica la
tendenza cognitiva a rimuginare su un problema senza riuscire a staccarsene.
Gli aspetti di vita su cui si incentra le preoccupazioni delle persone affette da
disturbo d’ansia generalizzato sono simili a quelle che angustiano la maggior
parte delle persone (relazioni, salute, situazione economica), ma queste sono
però più intense persistenti, tanto da interferire con la vita dell’individuo.
L’esordio del GAD avviene tipicamente nell’adolescenza e spesso si cronicizza.
FATTORI DI RISCHIO
• CONDIZIONAMENTO DELLA PAURA: La teoria comportamentale di disturbi
d’ansia è incentrata sui processi di condizionamento. La teoria BIFATTORIALE
DI MOWRER presuppone che lo sviluppo di un disturbo d’ansia avvenga in
due fasi:
1. attraverso un processo di CONDIZIONAMENTO CLASSICO.
2. attraverso un processo di CONDIZIONAMENTO OPERANTE.
Le modalità con cui può realizzarsi il condizionamento classico sono per
esperienza diretta, per esperienza vicaria, mediante indicazioni verbali. Persone
affette da un disturbo d’ansia sembrano mostrare una maggiore propensione ad
acquisire paure attraverso condizionamento classico una volta acquisite.
• FATTORI GENETICI: Gli studi sui gemelli suggeriscono un’ereditabilità del 20-
40% per le fobie specifiche, il disturbo d’ansia sociale e il GAD e del 50%
circa per il disturbo di panico
CAPITOLO NONO
LA SCHIZOFRENIA
Criteri del DSM-5:
1. A partire dall’esordio del disturbo si è manifestato un declino nelle
capacità lavorative e relazionali o nella capacità di prendersi cura di se
stessi
2. Segni continuativi del disturbo per almeno 6 mesi; o, durante la fase
prodromica o residuale, sintomi negativi oppure 2 o più dei sintomi 1-
4 in forma attenuata
3. Due o più dei seguenti sintomi, ciascuno presente per almeno un mese;
uno dei sintomi dovrebbe essere l’1, il 2 o il 3
o Deliri
o Allucinazioni
o Eloquio disorganizzato
o Comportamento disorganizzato
o Sintomi negativi
La schizofrenia è una psicosi caratterizzata da pensiero disorganizzato, in cui le
idee non sono collegate fra loro in maniera logica; percezione distorta; difficoltà
a focalizzare l’attenzione; mancanza di espressività emozionale; alterazioni
comportamentali. Le persone con schizofrenia possono isolarsi dagli altri e dalla
realtà quotidiana, spesso per crearsi un mondo fatto di strane convinzioni
(deliri) e di allucinazioni. I sintomi della schizofrenia pervadono ogni aspetto
dell’individuo: il modo in cui pensa, quello che prova e come si comporta. I tassi
di abuso di sostanze sono elevati e probabilmente riflettono il tentativo di avere
un qualche sollievo dai sintomi. C’è un alto tasso di suicidi.
QUADRO CLINICO DELLA SCHIZOFRENIA
La gamma di sintomi che danno adito ad una diagnosi di schizofrenia è vasta,
anche se i soggetti con questo disturbo manifestano di volta in volta solo alcuni
di questi sintomi in un determinato momento. I sintomi della schizofrenia sono
ascritti a 3 dimensioni: positiva, negativa e disorganizzativa.
• SINTOMI POSITIVI: I sintomi positivi comprendono eccessi distorsioni,
come le allucinazioni e deliri. In genere gli episodi acuti di schizofrenia
sono caratterizzati da sintomi positivi. I DELIRI sono convinzioni contrarie
alla realtà dei fatti e nutrite malgrado le evidenze che le contraddicono,
sono comuni sintomi positivi della schizofrenia I deliri possono assumere
diverse forme:
1. Inserzione del pensiero. La persona crede che pensieri estranei
vengano posti nella sua mente da una fonte esterna
2. Diffusione del pensiero. La persona crede che i suoi pensieri
vengano trasmessi o di usi, così che ne vengono a conoscenza
anche gli altri.
3. La persona crede che i suoi sentimenti o i suoi comportamenti
siano controllati da una forza esterna
4. Deliri di grandezza. La persona manifesta un senso esagerato
della sua importanza, del suo potere, delle sue conoscenze o
della sua identità
5. Deliri di persecuzione. La persona è convinta che le altre persone
stiano complottando contro di lei, con dispositivi sofisticati, e
allo scopo di screditarla
6. Idee di riferimento. La persona incorpora eventi ordinari
all’interno di un sistema delirante e legge un significato
personale delle più comuni attività.
Spesso le persone con schizofrenia riferiscono che il mondo appare loro
diverso, in qualche misura, o perfino irreale. Le distorsioni più drammatiche
della percezione sono le ALLUCINAZIONI, esperienze sensoriali in assenza di
alcuno stimolo ambientale rilevante. Sono spesso più uditive che visive. Gli
individui che hanno allucinazioni acustiche operano un’attribuzione erronea
percependo come altrui la propria voce. Quando gli individui con schizofrenia
riferiscono di sentire delle voci, vi è una maggiore attività nell’area di Broca,
essenziale per la produzione del linguaggio, e nell’area di Wernicke, essenziale
per la comprensione del linguaggio. I sintomi come deliri e allucinazioni sono la
quintessenza della schizofrenia ma non sono specifici di questa condizione.
• SINTOMI NEGATIVI: Questi sintomi tendono a perdurare oltre l’episodio
acuto e hanno effetti profondi sull’esistenza degli individui con
schizofrenia. Essi sono importanti per la prognosi: la presenza di molti
sintomi negativi è un forte predittore di scarsa qualità di vita. L’ABULIA, o
apatia, si manifesta con una mancanza di motivazione e un’apparente
disinteresse per le conseguenti attività quotidiane, oppure con l’incapacità
di portare a termine. Le persone con schizofrenia erano meno motivate da
obiettivi che avevano a che fare con l’autonomia, l’acquisire nuove
conoscenze o abilità, o l’essere lodati dagli altri. L’ASOCIALITA’ fa
riferimento al fatto che alcuni individui schizofrenici presentano gravi
compromissioni nei rapporti sociali. Hanno pochi amici, scarsa abilità
sociali e sono poco interessati a stare insieme agli altri. L’ANEDONIA è la
perdita di interesse dell’esperienza del piacere o una riferita diminuzione
di tale esperienza. Si riferisce a due tipi di esperienze piacevoli: il piacere
consumatorio, cioè l’entità del piacere esperito nel qui e ora, e il piacere
anticipatorio, si riferisce al piacere che ci aspettiamo o prevediamo che ci
derivi da eventi futuri. Le persone affette da schizofrenia sembrano avere
un deficit di piacere anticipatorio ma non di piacere consumatorio. Con il
termine APPIATTIMENTO DELL’AFFETTIVITA’ si fa riferimento a una
mancanza di esternalizzazione delle emozioni. Con il termine ALOGIA si fa
riferimento ad una significativa riduzione della quantità di eloquio. Le
persone con questo disturbo non parlano molto: rispondono ad una
domanda con una o due parole.
CAPITOLO DECIMO
➢ FATTORI SOCIOCULTURALI: Dal gruppo dei pari ai genitori, dai media agli
standard comportamentali considerati accettabili da una certa cultura, le
influenze dei fattori socioculturali sull’interesse dei singoli per le sostanze
psicoattive e sui modi di accesso a esse sono notevoli. I tassi di consumo
più elevati sono stati tipicamente riscontrati nei paesi in cui è più forte il
consumo di vino. La maggior facilità riferita di accedere a particolari
droghe o all’alcol corrisponde a un uso maggiore di queste sostanze.
Anche gli ambienti familiari e sociali sono importanti: avere genitori o
amici che fumano o bevono rende i soggetti più inclini al bere o al fumare.
Le reti sociali influenzano il comportamento individuale rispetto al
consumo di alcol o di altre sostanze; tuttavia, altre evidenze indicano che i
soggetti inclini a sviluppare disturbi da uso di sostanze possono di fatto
scegliersi reti sociali che si conformano alle loro abitudini di consumo
delle sostanze stesse: queste due ipotesi prendono il nome di MODELLO
DI INFLUENZA SOCIALE e di MODELLO DI SELEZIONE SOCIALE. Anche le
pubblicità possono influenzare gli atteggiamenti verso fumo e alcol.
TRATTAMENTO DEI DISTURBI DA USO DI SOSTANZE
I disturbi da uso di sostanze sono tipicamente cronici e le ricadute sono
all’ordine del giorno. Chi lavora in questo campo è costantemente
impegnato nello sviluppo di trattamenti nuovi ed efficaci. Il primo passo
perché un trattamento abbia successo risiede nel riconoscere di avere un
problema con quella sostanza. Spesso si chiede al soggetto di smettere di
fare uso dell’alcol o della droga prima di cominciare un trattamento.
CAPITOLO UNDICESIMO
I DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE.
Con il DSM-IV, i disturbi dell’alimentazione sono divenuti una categoria a sé
stante; nel DSM-5 rientrano nel capitolo “Disturbi della nutrizione e
dell’alimentazione”, che comprende anche disturbi dell’infanzia quali la pica
(mangiare sostanze non alimentari per periodi di tempo prolungati) e il disturbo
da ruminazione (ripetuto rigurgito e masticamento del cibo). I disturbi
dell’alimentazione tendono ad essere stigmatizzati: i partecipanti hanno valutato
le donne con disturbi alimentari come autodistruttive e responsabili della loro
condizione. Gli uomini, in particolare, tendevano a ritenere che i disturbi
dell’alimentazione fossero facili da superare.
DESCRIZIONE CLINICA DEI DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE.
❖ ANORESSIA NERVOSA:
Criteri diagnostici del DSM-5:
1. Restrizioni di comportamenti alimentari con conseguente peso
corporeo molto basso; il peso corporeo è significativamente al di sotto
della norma
2. Intensa paura di aumentare di peso o ripetuti comportamenti che
interferiscono con l’aumento di peso
3. Percezione distorta dell’immagine corporea
Il termine anoressia si riferisce alla perdita di appetito, mentre nervosa indica le
basi emozionali del disturbo. Il decremento ponderale è ottenuto solitamente
con la dieta, anche se condotte di eliminazione, quali vomito auto-indotto e uso
di lassativi o diuretici, e attività fisica eccessiva possono far parte del quadro
clinico. La paura di ingrassare non diminuisce con il decremento ponderale. La
loro distorsione dell’immagine corporea porta le persone con anoressia nervosa
ad affermare di essere sovrappeso e che certe pari del corpo sono grosse,
anche quando sono emaciate. I livelli di autostima sono strettamente correlati
con la perdita di peso e con la magrezza. Il DSM-5 ha incluso anche una
classificazione dei livelli di gravità per l’anoressia nervosa basata sul BMI, dato
dal rapporto fra peso in kg e il quadrato dell’altezza in metri. Un buon indice di
salute è dato da BMI compresi fra 20 e 25. Le distorsione dell’immagine
corporea può essere valutata attraverso un questionario, l’Eating Disorders
Inventory. Anche la presentazione di disegni di corpi femminili di diverso peso
corporeo serve per la valutazione dell’anoressia.
Il DSM-5 include due tipologie di anoressia nervosa:
• CON RESTRIZIONI: Il decremento ponderale è ottenuto limitando
drasticamente l’assunzione di cibo
• CON ABBUFFATE/CON CONDOTTE DI ELIMINAZIONE: la persona si
sottopone regolarmente ad abbuffate o con condotte di eliminazione.
La distinzione tra i 2 sottotipi non ha alcuna utilità e spesso lo stesso soggetto
passa da un sottotipo all’altro nel corso della sua vita. Solitamente l’anoressia
nervosa insorge nella prima fase adolescenziale o in quello intermedio, spesso
dopo una dieta o un evento stressante. È circa dieci volte più frequente nelle
donne che negli uomini. La differenza di genere molto probabilmente riflette la
maggior importanza che la nostra cultura attribuisce alla bellezza femminile. Alle
donne con anoressia nervosa vengono spesso diagnosticati di pressione,
disturbo ossessivo-compulsivo, fobie, disturbo di panico, disturbi da uso di
sostanze diversi disturbi di personalità. Le conseguenze fisiche dell’anoressia
nervosa possono portare a ipotensione, brachicardia, problemi renali e
gastrointestinali…
❖ BULIMIA NERVOSA:
criteri diagnostici del DSM-5:
1. Ricorrenti episodi di alimentazione incontrollata abbuffata
2. Ricorrenti e inappropriate condotte compensatorie per prevenire
l'aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi,
diuretici o altri farmaci, digiuno o attività fisica eccessiva.
3. I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e
dal peso del corpo.
Bulimia è un termine di origine greca che significa “fame da bue”. Questo
disturbo comporta episodi durante i quali un rapido consumo di grandi quantità
di cibo è seguito da comportamenti compensatorie, quali il vomito, il digiuno
un’attività fisica eccessiva. Il DSM definisce il termine abbuffata con 2
caratteristiche:
• Mangiare, in un breve periodo di tempo, un’eccessiva quantità di cibo.
• Sensazione di perdere il controllo durante l'episodio, come se non si
potesse smettere.
Non si può diagnosticare la bulimia nervosa se gli episodi di abbuffata e le
condotte di eliminazione si verificano solo in un contesto di anoressia nervosa e
di calo ponderale estremo. La differenza essenziale tra anoressia del sottotipo
binge eating/condotte di eliminazione e bulimia e proprio la perdita di peso: le
persone con anoressia nervosa subiscono cali ponderali di enorme portata,
mentre ciò non accade agli individui con bulimia nervosa. Nella bulimia, le
abbuffate crisi bulimiche avvengono generalmente in solitudine; esse possono
essere indotte da stress e dalle emozioni negative. Queste persone riferiscono
di perdere il controllo e di solito si vergognano delle crisi bulimiche e cercano di
nasconderle. Quando l’abbuffata si conclude, una sensazione di disgusto, di
disagio e la paura di aumentare di peso portano alla seconda fase della bulimia
nervosa: le condotte di eliminazione per tentare di rimediare agli effetti calorici
della crisi bulimica. La diagnosi di bulimia nervosa richiede che gli episodi di
abbuffata e di comportamento compensatorio si presentino almeno una volta
alla settimana per un periodo di tre mesi.
❖ DISTURBO DA BINGE EATING:
criteri diagnostici del DSM-5:
1. Ricorrenti episodi di abbuffata
2. Non sono presenti condotte compensatorie come nella bulimia
nervosa.
3. Gli episodi di abbuffata sono associati ad almeno tre o più dei
seguenti aspetti
o Mangiare molto più rapidamente del normale.
o Mangiare fino a sentirsi sgradevolmente pieni.
o Mangiare grandi quantitativi di cibo anche se non ci si sente
amati.
o Mangiare da soli a causa dell'imbarazzo per quanto si sta
mangiando.
o Sentirsi disgustati verso sé stessi, depressi o molto in colpa
dopo l'episodio.
Viene incluso come categoria diagnostica per la prima volta nel DSM-5. Questo
disturbo comprende episodi ricorrenti di abbuffata (una volta alla settimana per
3 mesi), perdita di controllo e sensazione di disagio nei confronti del proprio
comportamento. Non ci sono comportamenti compensatori. Il più delle volte gli
individui con disturbo da Binge-eating sono obesi (indice di massa corporea
superiore a 30). Non tutte le persone obese soddisfano i criteri per il disturbo
da binge-eating. Molte persone che soffrono di binge eating hanno una storia di
ripetute diete. È un disturbo in comorbilità con depressione, disturbi d’ansia,
ADHD, disturbo della condotta e disturbi da uso di sostanze. Fra i fattori di
rischio per lo sviluppo di binge eating ci sono l’obesità infantile, uno scarso
concetto di sé, la depressione e i maltrattamenti o gli abusi sessuali
nell’infanzia. È più diffuso sia della bulimia, sia dell’anoressia nervosa.
EZIOLOGIA DEI DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE
▪ FATTORI GENETICI: I parenti di primo grado di giovani donne con
anoressia hanno probabilità dieci volte maggiori rispetto alla media di
presentare essi stessi il disturbo. Si hanno risultati simili anche per gli altri
disturbi dell’alimentazione. Anche gli studi sui gemelli suggeriscono
un’influenza genetica. La ricerca ha dimostrato che anche i fattori
ambientali non condivisi fra due gemelli contribuiscono allo sviluppo dei
disturbi dell’alimentazione. La ricerca inoltre suggerisce che aspetti chiave
dei disturbi dell’alimentazione, come l’insoddisfazione per il proprio
corpo, l’intenso desiderio di essere magri, le abbuffate e l’eccessiva
preoccupazione per il proprio peso siano tutte ereditabili. Ulteriori
evidenze indicano in fattori genetici comuni la spiegazione del rapporto
tra determinate caratteristiche di personalità, come emotività negativa e
constraint, e disturbi dell’alimentazione.
CAPITOLO DODICESIMO
I DISTURBI SESSUALI
NORME E COMPORTAMENTO SESSUALI
Ciò che si definisce normale o desiderabile del comportamento sessuale umano
varia nel tempo e da un luogo all’altro. l’opinione corrente in epoca vittoriana
era che l’appetito sessuale fosse pericoloso e, in quanto tale, andasse frenato.
La tecnologia ha modificato le esperienze sessuali. Oltre ai cambiamenti nel
corso del tempo e da una generazione all’altra è la cultura di appartenenza a
influenzare atteggiamenti e convinzioni riguardo alla sessualità. In alcune culture
la sessualità è vista come una parte importante del benessere e del piacere che
una persona può provare, mentre un altre la sessualità è considerata rilevante
solo ai fini della procreazione. Le culture si differenziano le une dalle altre anche
nel grado di accettazione nei confronti delle variazioni nel comportamento
sessuale.
GENERE E SESSUALITA’
Negli uomini pensieri e comportamenti sessuali sono più frequenti che nelle
donne. Gli uomini riferiscono di pensare al sesso, di masturbarsi e di desiderare
di fare sesso più spesso, oltre a desiderare un maggior numero di partner
sessuali e ad averne un maggior numero. Le donne tendono a provare maggior
vergogna per eventuali difetti del loro aspetto e questa vergogna può interferire
con la soddisfazione sessuale. Le donne tendono a riferire una minore pulsione
sessuale e una minore tendenza a masturbarsi quando non sono all’interno di
una relazione. Molte riferirono, in completa analogia con gli uomini, che le loro
motivazioni principali nell’avere rapporti sessuali erano l’attrazione sessuale e la
gratificazione fisica. Le donne hanno molte più probabilità di riferire i sintomi di
una disfunzione sessuale, mentre gli uomini hanno molte più probabilità di
soddisfare i criteri diagnostici per i disturbi parafiliaci.
CICLO DELLA RISPOSTA SESSUALE:
Diversi ricercatori hanno cercato di comprendere il ciclo della risposta sessuale.
Il gruppo Kinsey fece importanti passi avanti negli anni ’40. Kaplan ha
teorizzato il ciclo della risposta sessuale che comprende quattro fasi:
1. FASE DEL DESIDERIO: L’interesse o desiderio sessuale, associata
fantasie o pensieri che stimolano l’eccitazione.
2. FASE DELL’ECCITAZIONE: Uomini e donne provano piacere e
presentano una maggiore irrorazione sanguigna nei genitali
3. FASE DELL’ORGASMO: Si raggiunge il picco di piacere sessuale
4. FASE DELLA RISOLUZIONE: Rilassamento muscolare e sensazioni di
benessere generale che solitamente seguono un orgasmo
Dati più recenti mettono in dubbio la validità della distinzione tra fase del
desiderio e fase dell’eccitazione nelle donne. L’eccitazione biologica e quella
soggettiva vanno considerate separatamente nelle donne, mentre nell’uomo
tendono ad essere fortemente correlate.
DISFUNZIONI SESSUALI
La nostra sessualità influenza almeno in parte il concetto che abbiamo di noi
stessi. Quando insorgono, i disturbi sessuali possono avere effetti devastanti
sulla nostra autostima sulle nostre relazioni.
▪ DESCRIZIONE CLINICA DELLE DISFUNZIONI SESSUALI: I criteri diagnostici
di tutte le disfunzioni sessuali specificano che la disfunzione deve essere
persistente e ricorrente e deve causare disagio clinicamente significativo o
problemi nello svolgimento delle normali funzioni quotidiane. Una
diagnosi di disfunzione sessuale non viene formulata se si ritiene che il
disturbo sia dovuto esclusivamente ad una condizione medica, o a un
altro disturbo psicologico. Sono invece molte le persone che riferiscono
questi sintomi, e la prevalenza di sintomi occasionali di disfunzioni
sessuali è in effetti piuttosto elevata I sintomi devono protrarsi per
almeno sei mesi. È un fatto molto comune che le persone presentino certi
sintomi di disfunzione sessuale per un mese; inoltre, nei tre quarti dei casi
col tempo si ha la remissione spontanea dei sintomi. I problemi sessuali,
oltre alle conseguenze per l’individuo che ne soffre, possono portare a
problemi sessuali anche nel partner.
DISTURBI RELATIVI ALL’INTERESSE, AL DESIDERIO E ALL’ECCITAZIONE
• DISTURBO DEL DESIDERIO SESSUALE E DELL’ECCITAZIONE SESSUALE
FEMMINILE
Si riferisce alla persistente carenza di interesse sessuale (fantasie o
impulsi sessuali), di eccitazione fisiologica o soggettiva.
I Criteri diagnostici del DSM-5:
Diminuita, assente o ridotta frequenza di almeno tre dei seguenti fattori
per sei mesi o più:
1. interesse per l’attività sessuale;
2. pensieri e fantasie sessuali;
3. dare inizio attività sessuale e rispondere positivamente ai
tentativi del partner di iniziare
4. eccitazione/piacere sessuale durante il 75% degli incontri
sessuali
5. interesse/attivazione sessuale sollecitati da stimoli interni o
esterni
6. sensazioni genitali o non genitali durante il 75% degli incontri
sessuali.
• DISTURBO DEL DESIDERIO SESSUALE IPOATTIVO MASCHILE:
si riferisce, secondo il DSM-5, a fantasie sessuali o desiderio di attività
sessuale persistentemente carenti o assenti, alla valutazione del clinico.
IL DISTURBO ERETTILE si riferisce a una persistente incapacità di raggiungere
o di mantenere un’erezione fino al completamento dell’attività sessuale.
I criteri diagnostici del DSM-5:
In almeno il 75% delle occasioni sessuali per un periodo di almeno sei mesi:
1. persistente incapacità di raggiungere o mantenere un’erezione fino
al completamento dell’attività sessuale.
2. una marcata riduzione della rigidità erettile interferisce con la
penetrazione e il piacere.
Tra le persone che richiedono un trattamento per disfunzioni sessuali, più della
metà lamenta bassi livelli di desiderio. Le donne hanno maggiori probabilità
degli uomini di riferire problemi, quanto meno occasionali, relativi al livello di
desiderio sessuale. Le norme culturali sembrano influenzare la percezione di
quanta attività sessuale una persona “dovrebbe” desiderare.
• DISTURBO DELL’ORGASMO:
Il Disturbo dell’orgasmo femminile, secondo il DSM-5, si riferisce alla
persistente assenza o ridotta intensità dell’orgasmo dopo l’eccitazione
sessuale. Circa un terzo delle donne riferisce di non raggiungere sempre
l’orgasmo con il proprio partner. Per molte donne il senso di vicinanza
emotiva con il proprio partner che accompagna il rapporto sessuale è più
importante del raggiungere l’orgasmo. Il DSM-5 descrive 2 disturbi
dell’orgasmo negli uomini:
L’EIACULAZIONE PRECOCE, definita come tendenza a eiaculare durante
l’attività sessuale con un/a partner entro un minuto dall’inizio dell’attività in
almeno il 75% delle occasioni sessuali durante un periodo di almeno sei
mesi.
L’EIACULAZIONE RITARDATA, definita come persistente ritardo, in
frequenza o assenza dell’orgasmo in almeno il 75% delle occasioni sessuali
per un periodo di almeno sei mesi. L’eiaculazione ritardata è la disfunzione
sessuale maschile meno comune.
• DISTURBI DA DOLORE SESSUALE
DISTURBO DEL DOLORE GENITO-PELVICO E DELLA PENETRAZIONE
è definito dai seguenti criteri del DSM-5:
Persistente ricorrenti difficoltà durante un periodo di almeno sei mesi in
presenza di almeno uno dei seguenti fattori:
1. incapacità di avere un rapporto/penetrazione vaginale;
2. marcato dolore vulvovaginale o pelvico durante la penetrazione
vaginale o i tentativi di avere un rapporto;
3. notevole paura o ansia riguarda dolore o alla penetrazione
4. marcata contrazione della muscolatura del pavimento pelvico
durante tentativi di penetrazione vaginale.
Dolore persistente o ricorrente durante il rapporto sessuale. Alcune donne
possono riferire il dolore durante l’atto della penetrazione, anche dopo. le
donne che hanno questo disturbo spesso soffrono di VAGINISMO, definito come
la contrazione involontaria della muscolatura nel pezzo più esterno della vagina,
tanto da rendere impossibile la penetrazione. La maggior parte delle donne con
disturbo da dolore sessuale presenta normali livelli di eccitazione sessuale e
può avere orgasmi in seguito a stimolazione manuale o orale che non
comprenda la penetrazione.
EZIOLOGIA DELLE DISFUNZIONI SESSUALI
Masters e Johnson (1970) delinearono una teoria delle cause delle disfunzioni
sessuali basata su studi di casi tratti dalla loro pratica clinica. Essi distinsero fra
cause attuali e cause remote. Le cause attuali sono sostanzialmente 2: le paure
legate alla prestazione e i l’adozione di ruolo di spettatore, ossia porsi
nell’esperienza sessuale come un osservatore piuttosto che come un
partecipante.
Le cause remote sono quelle elencate qui di seguito:
▪ FATTORI BIOLOGICI: malattie fisiche, elevato consumo di alcol, assunzione
di farmaci antipertensivi e antidepressivi
▪ FATTORI PSICOLOGICI: violenza o abuso sessuale nell’infanzia e non,
mancanza di conoscenze e di abilità sulla sessualità, preferenze
omosessuali, sensi di colpa sulla sessualità per influenze religiose o
culturali di altro tipo.
Nelle donne le preoccupazioni relative all’affetto del partner nei loro confronti
appaiono specificamente correlate con la soddisfazione sessuale. Anche nelle
coppie che sono soddisfatte in altri ambiti del rapporto, una comunicazione
mediocre può contribuire alla disfunzione sessuale. Ansia e depressione
accrescono il rischio di disfunzioni sessuali. L’attività fisica facilitava l’eccitazione
sessuale. Il troppo stress e la spossatezza chiaramente ostacolano il
funzionamento sessuale.
TRATTAMENTO DELLE DISFUNZIONI SESSUALI
La natura pluridimensionale delle disfunzioni sessuali spesso richiede che si
intervenga combinando tecniche diverse. Si operano interventi di riduzione
dell’ansia perché molte delle disfunzioni sessuali sono dovuti agli aspetti
ansiogeni della situazione sessuale, per cui le tecniche di esposizioni graduali,
come la desensibilizzazione sistematica e la di sensibilizzazione in vivo sono
molto utili. Anche programmi di psico educazione sono molto efficaci per ridurre
l’ansia. Gli esercizi di focalizzazione sensoriale aiutano la persona a concentrarsi
sulle sensazioni fisiche, così da contrastare la tendenza distruttiva a pensare alla
propria performance a dubitare della propria attrattività durante il sesso.
L’addestramento alla comunicazione consiste nell’incoraggiare i partner a
comunicarsi ciò che preferiscono e ciò che, invece, non gradiscono. La
masturbazione guidata è ideata per accrescere il benessere ed il piacere che le
donne traggono dalla sessualità. Nella prima fase la donna esamina
attentamente il proprio corpo nudo, compresi genitali, identifica varie arie con
l’ausilio di disegni. Successivamente, viene istruita toccare i propri genitali e a
localizzare aree erogene. Qui, accresce l’intensità della masturbazione
ricorrendo a fantasie erotiche fino a raggiungere l’orgasmo. È efficace nel
trattamento del disturbo dell’orgasmo e nel trattamento del disturbo del
desiderio sessuale. Le disfunzioni sessuali sono spesso parte di una relazione in
crisi. Le coppie che vivono questa situazione hanno bisogno di un
addestramento specifico per incrementare le proprie capacità di comunicazione
non attinenti alla sfera sessuale tramite la terapia di coppia. Occorre sempre
tenere presente che molte disfunzioni sessuali sono profondamente inseriti in
un quadro complesso di conflitti interpersonali, e quindi cercare di risolvere con
un approccio strettamente medico non rappresenta la soluzione migliore.
Nonostante ciò, è stato un enorme incremento di approcci farmacologici alle
disfunzioni sessuali. Per il trattamento dell’eiaculazione precoce farmaci
antidepressivi come gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina si
sono dimostrati utili.
DISTURBI PARAFILICI
I disturbi parafilici sono un gruppo di disturbi nei quali l’eccitazione sessuale
viene suscitata in modo ricorrente – e per un periodo di almeno 6 mesi - da
oggetti inusuali oppure attività sessuali di natura inusuale. Para deviazione/ -
philia ciò che suscita attrazione. Il DSM differenzia i disturbi parafilici sulla base
della fonte dell’eccitazione sessuale. Circa il 50% degli uomini riferisce la
fantasia voyeuristica di spiare donne nude e inconsapevoli di essere osservate.
Si è aperto un ampio dibattito circa l’opportunità e la correttezza da
diagnosticare come disturbi alcune parafilie. Il DSM-5 mantiene queste etichette,
ma a esse aggiunge il termine “disturbo” per sottolineare che le diagnosi
devono essere trattate solo quando la specifica attrazione sessuale causa alla
persona notevole disagio o compromissione funzionale, oppure se le attività
sessuali vengono praticate con persone non consenzienti. Questi disturbi
possono avere conseguenze penali. La maggior parte dei casi dei disturbi
parafilici sono maschi ed eterosessuali. L’esordio avviene nell’adolescenza o
nella prima età adulta. Chi presenta un disturbo parafiliaco spesso soddisfa i
criteri anche per altri disturbi parafilici.
▪ DISTURBO FETICISTICO:
Utilizzo di un oggetto inanimato o di una parte non genitale del corpo per
raggiungere l’eccitazione sessuale. Con il termine feticcio si fa riferimento
oggetto di questi impulsi sessuali, ad esempio scarpe o piedi femminili,
ma anche biancheria intima, pelle, e scarpe da donna. La persona con
disturbo feticistico prova un’attrazione compulsiva verso l’oggetto; tale
attrazione viene esperita come involontaria e irresistibile.
▪ DISTURBO VOYEURISTICO:
Intenso e ricorrente desiderio di raggiungere la gratificazione sessuale
attraverso l’osservazione di altre persone mentre sono svestite o
impegnate in attività sessuali sembra importante, perché il voyeur è
eccitato dal pensiero di come la donna reagirebbe, se sapesse di essere
osservata.
▪ DISTURBO ESIBIZIONISTICO:
Desiderio ricorrente e intenso di raggiungere la gratificazione sessuale
mediante l’esposizione dei propri genitali a un estraneo non consenziente.
Sono rari i tentativi di avere un contatto effettivo con la persona
sconosciuta. C’è il desiderio di imbarazzare o di scioccare chi guarda.
l’impulso a mostrarsi sembra essere travolgente e incontrollabile per
l’esibizionista, e a quanto pare è scatenato dall’ansia e da uno stato di
agitazione oltre che dall’eccitazione sessuale. Dopo essersi esposti, gli
esibizionisti tendono a fuggire e a provare rimorso.
▪ DISTURBO FROTTEURISTICO:
I desideri e gli impulsi sessuali sono incentrati sul toccare in modo
sessualmente orientato una persona non consenziente. Questi episodi
avvengono tipicamente in luoghi affollati, come mezzi di trasporto
pubblico o marciapiedi, che assicurino una facile via di fuga. Chi soffre di
questo disturbo mette in atto le proprie pulsioni frotteuristiche molto di
frequente
Capitolo tredicesimo
I DISTURBI DELL’INFANZIA
Per poter diagnosticare come patologico il comportamento disturbato di
bambino, occorre prima definire quale comportamento sia da ritenersi normale
per una data età. La psicopatologia dello sviluppo dei disturbi dell’infanzia
inquadrandoli nel contesto del normale sviluppo lungo tutto l’arco
dell’esistenza, permettendo così l’identificazione di comportamenti che sono
appropriati in una certa fase dello sviluppo, ma che in un’altra vanno considerati
manifestazioni di un disturbo.
Nel DSM-5 i disturbi dell’infanzia sono suddivisi in 2 capitoli: “disturbi del
neurosviluppo” e “disturbi del comportamento dirompente”, del controllo degli
impulsi e della condotta”. I disturbi psicopatologici infantili più frequenti sono
suddivisi in due vaste categorie:
▪ DISTURBI ESTERNARNALIZZANTI: Caratterizzati da comportamenti diretti
prevalentemente verso l’esterno, come l’aggressività, l’insubordinazione,
l’iperattività e impulsività. Questa categoria comprende disturbo da deficit
di attenzione/ iperattività, disturbo della condotta, disturbo oppositivo
provocatorio.
▪ DISTURBI INTERNALIZZANTI: Caratterizzati da esperienze e
comportamenti improntati alla chiusura in sé stessi, come la depressione,
il ritiro sociale e l’ansia questa categoria comprende i disturbi d’ansia e
dell’umore dell’età infantile
Bambini e adolescenti possono mostrare i sintomi in entrambi gli ambiti.
DISTURBO DA DEFICIT D’ATTENZIONE/IPERATTIVITA’ (ADHD)
È un disturbo esternalizzante. Il termine iperattivo indica il bambino è in
costante movimento (tamburella le dita, da spinte ai compagni senza una
ragione apparente, giocherella con tutto quello che gli capita tra le mani).
Questi bambini hanno difficoltà a restare concentrati per un tempo adeguato
sull’attività che stanno svolgendo. Questi comportamenti si rivelano esasperati
in una certa fase dello sviluppo, persistono in situazioni differenti e si associano
ad una compromissione significativa nello svolgimento delle comuni funzioni; i
bambini dal comportamento chiassoso, molto attivi o facilmente distraibili, non
soddisfano i criteri per la diagnosi. I bambini con ADHD hanno difficoltà a
controllare la propria attività delle situazioni che richiedono di stare seduti
tranquilli, come in classe o durante i pasti. Appaiono incapaci di smettere di
agitarsi di parlare, anche quando viene chiesto loro di stare fermi e tranquilli.
Hanno spesso difficoltà ad andare d’accordo con i coetanei e a stabilire rapporti
d’amicizia, probabilmente a causa del loro comportamento aggressivo e
invadente e irritante per gli altri. Le scarse abilità sociali, il comportamento
aggressivo e la sovrastima delle proprie performance erano tutti fattori che
consentivano di prevedere lo sviluppo di problemi con i coetanei fino a 6 anni
più tardi. Spesso i bambini con ADHD vengono individuati in fretta dai loro
coetanei, che poi li rifiutano o li ignorano.
Il DSM-5 prevede tre sottotipi di disturbo da deficit di attenzione/iperattività:
▪ DISATTENZIONE PREDOMINANTE: Vi appartengono i bambini i cui
problemi consistono principalmente nella scarsa capacità d’attenzione.
▪ IPERATIVITA’/IMPULSIVITA’ PREDOMINANTI: Vi appartengono i bambini le
cui difficoltà derivano soprattutto dal comportamento iperattivo/impulsivo.
▪ COMBINATO: Vi appartengono i bambini che presentano entrambi i tipi di
problema.
EZIOLOGIA DELL’ADHD
La predisposizione genetica gioca un ruolo importante: è emerso che l’ADHD
possa avere una componente genetica con stime di ereditabilità che arrivano al
70-80%. Alcuni dei risultati più promettenti riguardano geni coinvolti nel
controllo del neurotrasmettitore della dopamina. Le aree dopaminergiche sono
più piccole nei bambini con ADHD rispetto agli altri. Un basso peso alla nascita
è un fattore predittivo piuttosto specifico dello sviluppo di ADHD, ma l’impatto
di tale fattore può essere mitigato da un maggiore affetto materno. Vi sono
prove limitate sul fatto che gli additivi alimentari e l’esposizione al piombo
possano avere un ruolo nell’insorgenza di ADHD. La nicotina, e precisamente il
fumo della madre durante la gravidanza, costituisce un inquinante ambientale
che probabilmente influenza lo sviluppo del disturbo da deficit di
attenzione/iperattività. Vi sono scarse evidenze che la famiglia possa essere la
causa del disturbo.
TRATTAMENTO DELL’ADHD
L’ADHD viene di solito trattato con farmaci e con terapie comportamentali,
basati sul condizionamento operante. I farmaci stimolanti, come il Ritalin o
l’Adderall, riducono i comportamenti dirompenti e migliorano le capacità di
concentrazione. Essi interagiscono con il sistema cerebrale della dopamina. La
combinazione dei due trattamenti da risultati più efficaci rispetto ai soli farmaci
o alla sola terapia comportamentale, e richiede dosaggi più bassi dei farmaci
stimolanti. La prescrizione di questi farmaci talvolta continua anche
nell’adolescenza e nell’età adulta. I trattamenti psicologici comprendono uno
specifico training rivolto ai genitori e ai cambiamenti nella gestione della
classe… L’obiettivo di questi interventi è migliorare le prestazioni scolastiche
dei bambini, stimolar determinare i compiti a casa e apprendere specifiche
abilità sociali. Anche la terapia comportamentale intensiva risulta efficace quanto
la combinazione del trattamento con farmaci e con terapie comportamentali.
Non esiste una cura per la demenza. I farmaci sono inefficaci nella demenza
frontotemporale. Per le altre tre demenze, i farmaci possono contribuire a
rallentare il declino, ma non riportano la funzione mnestica ai livelli precedenti.
Quelli più utilizzati sono i farmaci che interferiscono con la degradazione della
acetilcolina (donepezil e rivastigamina). Per alleviare i sintomi depressivi, che se
trattati portano a miglioramenti nei sintomi cognitivi, si utilizzano antidepressivi.
La maggior speranza per il futuro consiste nel trattamento preventivo per la
demenza. Una psicoterapia di sostegno può aiutare questi pazienti e le loro
famiglie ad affrontare gli effetti della demenza. Il terapeuta offre al paziente e
alla sua famiglia l’opportunità di parlare della malattia. Fornisce accurate
informazioni sulla patologia, aiuta i familiari a prendersi cura del paziente a casa
e incoraggia un atteggiamento realistico, anziché catastrofico, nell’affrontare i
molti problemi posti da questo disturbo cognitivo. Gli approcci comportamentali
sono utili nel compensare la perdita di memoria e nel ridurre la depressione e il
comportamento aggressivo di coloro che sono ancora in uno stato iniziale della
malattia di Alzheimer.
• IL DELIRIUM:
Il delirium è un termine che significa “uscire dal solco”, cioè deviare dallo
stato usuale. È descritto come uno stato di coscienza alterato e confuso. I
due sintomi più comuni sono una grande difficoltà a concentrare
l’attenzione e profonde alterazioni del ciclo sonno-veglia. Il paziente,
talvolta in maniera improvvisa, ha una grande difficoltà a focalizzare
l’attenzione da non riuscire a mantenere un flusso coerente di pensieri: la
persona con delirium può non riuscire a impegnarsi in una conversazione
per via dell’attenzione fluttuante e della frammentazione del pensiero.
L’eloquio sconnesso e incoerente. Smarrite e confuse, alcune persone
possono arrivare ad essere così disorientate da non sapere più che giorno
è, dove si trovano e perfino chi sono. Deficit della memoria, soprattutto per
eventi recenti, sono piuttosto comuni. Le allucinazioni visive sono comuni,
ma non sempre presenti. Hanno oscillazioni dell’attività e dell’umore:
possono essere mutevoli, strapparsi gli abiti di dosso un momento e il
momento successivo stare seduti immobili e letargici. Il delirium può
presentarsi in persone di ogni età, ma è più comune nei bambini e negli
anziani. Per quanto riguarda gli anziani, la sua frequenza è particolarmente
elevata nelle case di riposo e negli ospedali. Negli anziani, sfugge spesso
alla diagnosi quando si associa alla demenza. Importante differenza: quando
si parla con una persona affetta da delirium, si può avere la sensazione di
parlare con qualcuno in stato acuto di intossicazione, o con qualcuno in
preda a un episodio psicotico acuto. Mentre il paziente affetto da demenza
può non ricordare il nome del luogo in cui si trova, il paziente con delirium
può credere che si tratti di un uomo completamente diverso, magari
scambiando un reparto di psichiatria per un deposito di macchine usate.
Identificare il delirium è di fondamentale importanza: non trattata, questa
condizione comporta un tasso di mortalità elevato. Il delirium è causato da
patologie mediche. Sono state identificate varie cause di delirium:
intossicazione o astinenza da sostanze, squilibri metabolici e nutrizionali,
infezioni o febbre, stress provocato da un intervento chirurgico importante.
Un completo recupero dalla delirium è possibile che la causa sottostante
viene trattata in modo adeguato e tempestivo. Il paziente deve essere
subito sottoposto ad un esame approfondito, per poter identificare e
trattare tutte le possibili cause reversibili del disturbo. L’approccio più
comune al trattamento del delirium consiste nel somministrare antipsicotici
atipici. Di solito tale condizione richiede da una a quattro settimane per
risolversi; i tempi sono più lunghi nei pazienti più anziani rispetto ai più
giovani.
CAPITOLO QUINDICESIMO