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Appunti Lezione - Elementi di

psichiatria
Psichiatria
Università degli Studi di Perugia
116 pag.

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LA PSICHIATRIA – Uno sguardo storico

Prima della fine del diciottesimo secolo non esisteva una disciplina come la psichiatria, che è
sostanzialmente una disciplina “nuova”. Eppure i “disturbi psichiatrici”, in quanto tali, sono conosciuti da
sempre e le “malattie mentali” sono vecchie quanto il genere umano. La storia della psichiatrica come
scienza medica, data solo 200 anni circa, mentre la storia della “diagnosi” e cura delle “malattie” mentali
inizia lontano nel tempo. Dall’antichità più remota la concezione dei disturbi mentali deve fare i conti con
una potente figura dell’immaginario collettivo: la follia, dimensione astratta e simbolica dell’irrazionale,
concepita come una forza imponderabile, inconoscibile e inevitabile ma, allo stesso tempo, materialmente
incidente nella realtà. È proprio il rapporto dell’immagine della follia col reale ad essere problematico:

• nella realtà non può collocarsi come semplice fenomeno;


• la sua natura paradossale e minacciosa di “sistema che si oppone al sistema” è destinato a metterla
in crisi.

..o per lo meno mette in crisi le forme della realtà riconosciute dalla cultura dominante. L’elemento chiave
che distingueva questo fenomeno è infatti il “contatto con la realtà”. Uno sguardo storico ai diversi modi in
cui è stata considerata può costituire il modo migliore per capire quanto l’idea di follia sia variabile e
collegata alle credenze della società e del tempo. Non si tratta di soddisfare una curiosità accademica ma di
riflettere come anche noi, nella nostra epoca, ci poniamo nei confronti della questione della salute
mentale; tutto ciò rimanda al concetto di pregiudizio. Il pregiudizio è basato sui normali ragionamenti che
facciamo per capire la realtà sociale, è un’opinione che formuliamo precedentemente senza avere nessuna
prova o supporto e anche se può essere positivo, in genere è negativo. È un’opinione positiva-negativa su
gruppi o oggetti, non documentata. Allport dice del pregiudizio: “pensar male degli altri senza una ragione
sufficiente”. La definizione contiene i due elementi essenziali: il riferirsi a un giudizio infondato e il valore
negativo. Il pregiudizio è anche influenzato dalla cultura del momento.

Le tappe del percorso della psichiatria:

• 3400 a.C.: Egizi e prime testimonianze dei disturbi mentali.


• IV sec a.C.: la medicina ippocratica.
• Dal 200 d.C. al 1300: magia ed esorcismo.
• Dal ‘400 al ‘500: il rogo dei folli.
• Dal ‘600 al ‘700: la segregazione.
• L’800: la nascita del manicomio.
• La prima meta del ‘900: nascita della visione psicoanalitica.
• La seconda meta del ‘900: la nuova psichiatria.
• Dal ricovero coatto al ricovero volontario.
• La legge 180: una questione giuridica e culturale.
• Dall’internamento al diritto alla salute: la legge di riforma.
• Il Servizio Sanitario Nazionale.
• Il primo Progetto obiettivo tutela salute mentale.

Sino ai giorni d’oggi in cui abbiamo direttive più precise:

• Politiche di salute mentale e diritti di cittadinanza.


• Carta di Ottawa sulla promozione alla salute.

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Uno sguardo più approfondito..

3400 a.C. – Gli Egizi consideravano malattie i disturbi mentali

La più antica testimonianza sembra essere costituita dal documento che va sotto il nome di Papiro di Ebers.
Si ritiene che il documento giunto fino a noi sia una copia di un originale databile con metodo storico-
linguistico al 3400 a.C.. Fra i quadri clinici descritti si possono riconoscere la depressione e la demenza
(disturbi cognitivi). Nell’esposizione delle ipotesi causali si propongono delle congetture che attribuiscono
la responsabilità dei sintomi ad avvelenamenti, problemi legati alla materia fecale e demoni. Ad oggi questa
sequenzialità lineare, questo cercare un legame causa effetto, nell’ambito psicologico, è oltrepassato. Le
ipotesi causali in psicologia sono multiple, non esiste una linearità diretta causa effetto (in questo caso
sviluppo di un disturbo). Tutti i traumi e gli eventi sono da vedere in un’ottica multidimensionale e
multifattoriale.

IV sec a.C. – La medicina ippocratica

La scuola medica greca fondata da Ippocrate di Kos si distingueva dalla medicina egiziana ed assiro-
babilonese per una concezione non più statica, ma dinamica della malattia, della quale studiava lo sviluppo
e il decorso, descrivendone le fasi, la maturazione, i parossismi e le crisi. Rispetto al pensiero arcaico aveva
un pensiero più evoluto. L’uscire “fuori di sé” era considerato come la manifestazione di una sviluppo,
generalmente grave, di un quadro patologico. Il medico ippocratico Diocle di Caristo, attivo ad Atene
intorno al 360 a.C., nell’opera Pathos, aitia therapeia (malattia, causa, cura) mostra un particolare interesse
per le malattie psichiche, delle quali si indicano le cause. La mania era ricondotta ad un ribollire del sangue
nel cuore, in quanto dall’organo cardiaco, da cui muoveva lo spirito vitale, dipendeva il pensiero e il senno
(phronesis). Si consiglia la cura mediante impacchi freddi ed altre misure refrigeranti. Nell’opera di Diocle
altre due malattie psichiche hanno un notevole rilievo: la frenite e la melanconia. La frenite, descritta come
disturbo del pensiero, veniva spiegata come un’infiammazione del diaframma (da phrenes = diaframma)
che, interessando anche il cuore, era in grado di alterare le costruzioni della mente. La melanconia,
caratterizzata da un umore depresso, si riteneva fosse causata dell’addensarsi intorno al cuore della bile
nera (da melaina khole = melanconia). Quest’ultimo è il primo termine che tutt’ora, ovviamente rivisitato,
viene utilizzato. Diocle aveva evidentemente osservato le frequenti somatizzazioni gastroenteriche delle
persone depresse e ansiose, perché descrive un tipo particolare di melanconia che riteneva interessasse la
cavità addominale, che denominò affezione flatulenta. Un ignoto autore ippocratico nel trattato Sul male
sacro non esclude la possibilità che siano in gioco forze soprannaturali per l’epilessia, approfondendo le
reazioni psicologiche quali la paura al sopraggiungere della crisi di grande male epilettico. L’epilessia in
epoca romana diventerà il “male comiziale” perché le crisi si rendevano evidenti in occasioni di assemblee
pubbliche quando era difficile per gli ammalati appartarsi nell’imminenza dell’attacco. Nella medicina
ippocratica i disturbi mentali e le espressioni umane di follia, per quanto possibile, sono ricondotte al
corpo, secondo una visione rigorosamente medica. I medici, basandosi su tradizioni interpretative
elaborate nella totale ignoranza della fisiologia, costruiscono congetture fantasiose, tanto lontane dalla
realtà, da apparirci oggi arbitrarie e bizzarre.

Dal 200 d.C. al 1300 - magia ed esorcismo

Nella cultura europea, nell’ampio periodo dall’Impero romano al Rinascimento italiano, si confrontano,
coesistono o si alternano, quattro diversi tipi di spiegazione della follia. Dalla fine del II sec. si afferma nel
mondo latino la scuola medica di Galeno, che riprende l’impianto degli studi di Ippocrate, e che spiega il
disturbo mentale come uno “squilibrio umorale” del cervello. Siamo di fronte alla spiegazione organica del

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disturbo mentale. Ad essa si contrappone la spiegazione magica, strettamente legata alla cultura delle
superstizioni, che collega il disturbo mentale a contatto con oggetti o animali, o a congiunzioni astrali.
Tutt’oggi sopravvive, nella credenza popolare e nel linguaggio, l’idea che alcuni disturbi siano da collegare
alle fasi lunari; “lunatico” è ancora il termine usato per riferirsi a persone che danno segno di mancanza di
equilibrio. Il rimedio, secondo questa concezione, consiste in pratiche e rituali magici, uso di filtri, amuleti,
formule che dovrebbero proteggere dagli influssi negativi. Diversa, anche se per molti aspetti simili, è la
spiegazione religiosa: colui che manifesta disturbi psichici è un indemoniato, un posseduto da spiriti
maligni. L’intera comunità religiosa si sente coinvolta e interviene con provvedimenti che possono essere di
segno opposto: solidarietà, preghiera, ricorso ad esorcismi oppure persecuzione e rogo. L’atteggiamento
magico è individuale, l’atteggiamento religioso è collettivo e corale. Nella cultura religiosa del Medioevo ci
sono inoltre modi ricchi e raffinati di interpretare gli stati mentali che potremmo definire spiegazioni
psicologiche da intendere però non con i significati di oggi, ma come il riferimento alle “affezioni
dell’animo” espressioni di grandi crisi esistenziali ed emotive. (narrazioni di espiazioni, conversioni, vite
esemplari, sublimazioni, biografie di santi.

‘400 e ‘500 – Il rogo dei folli

È un’epoca dove prevale la spiegazione religiosa della follia, vista come possessione demoniaca, segno della
maledizione e del peccato, la cui purificazione richiede spesso il ricorso a pratiche di tortura e al rogo.
All’idea di follia comincia ad associarsi quella di pericolosità, che permette di trovare un capro espiatorio
per le numerose calamità (carestie, epidemie). Comincia a prendere piede l’intolleranza verso la persona
con disturbi mentali. Contro tale tendenza cominciano però a sollevarsi anche voci “scientifiche” critiche:

• Paracelso: corea lasciva.


• Weyer: definisce pericolosi i processi alle streghe.
• Cartesio: distinzione mente-corpo.
• Willis: prime descrizioni della mania, stupor e demenza.

Alla fine del ‘500 si cominciano ad operare le prime distinzioni tra “insani” e “criminali” e,
conseguentemente, la differenziazione dei trattamenti (metodi “dolci e comprensivi” o “tortura innocua”).
Nascono i primi luoghi di “ricovero”.

‘600 e ‘700 – La segregazione

Gradualmente il destino del folle si confonde con quello del povero e del criminale. La sua figura è vissuta
come una minaccia alla quiete pubblica o all’ordine costituito. Le autorità dispongono, adesso, non solo di
carceri, ma anche di luoghi di ricovero più o meno coatto (istituti di segregazione). Anche se a volte si
chiamano ospedali, questi luoghi non hanno niente in comune con gli ospedali moderni: sono
essenzialmente luoghi di reclusione, a metà tra l’ospizio e il carcere, dove si riceve assistenza, ma anche
punizioni e contenzione, e dove le condizioni igieniche e di vita sono molto precarie. La popolazione
internata, nella maggioranza dei casi, è rappresentata da poveri, “miserabili”, scarti, malati di pellagra. Tra
gli “scemi del villaggio” molti soffrivano di ritardo mentale o di schizofrenia in seguito a trauma da parto (il
travaglio era spesso prolungato poiché il bacino delle donne poteva essere ristretto a causa del rachitismo).
Essendo cacciati dalle loro case e dai loro villaggi, i malati di mente si univano alla fiumana dei mendicanti e
vagabondi che vagavano per le strade. Questi luoghi, contemporaneamente, riescono a svolgere una
duplice funzione:

• Garantiscono l’ordine e la sicurezza sociale.

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• Organizzano la sorveglianza e la disciplina dei “folli”.

Non è questa l’origine del manicomio anche se ne costituisce la prima immagine drammatica.

Con le nuove idee del’illuminismo e l’affermazione dei diritti dell’uomo conseguenti alla Rivoluzione
francese inizia ad affermarsi la spiegazione della follia in termini di malattia. Si chiudono gli istituti di
segregazione. Lo psichiatra francese Philippe Pinel con il collega Esquirol, libera dai ceppi i malati di mente
dando inizio alla psichiatria contemporanea. Alla richiesta di togliere le catene ai degenti, il presidente della
Comune di Parigi risponde a Pinel: “Cittadino Pinel, voi pure siete matto se volete slegare quegli animali!
Potete fare quello che volete, ma ho paura che sarete vittime della vostra stessa presunzione!”. La
condizione del folle viene distinta da quella del povero e del criminale e si comincia a pensare ad un
trattamento in termini medici. La malattia mentale entro l’orizzonte della ragione:

• La rende più vicina e familiare;


• La sottrae da una dimensione di alterità nemica.

..la follia si manifesta come eccesso delle passioni, come passione non governata.. i folli più o meno
ragionano tutti..

Nel 1817 un membro della Camera dei Comuni irlandese afferma:


“..quando un uomo o una donna di costituzione fisica robusta sono affetti da pazzia, l’unico rimedio consiste
nel scavare nel pavimento una fossa profonda cinque piedi e nel coprirla con una grata per evitare che
questa si alzi in piedi; qui, questi disgraziati vengono nutriti e, in genere, muoiono.”

In tutta Europa agli inizi dell’800, la follia si medicalizza e la gestione degli asili diviene gradualmente laica:

• La carità diventa tutela dei folli;


• La pietas cristiana nei confronti della malattia si trasforma in terapia medica.

La cura consisteva però sempre nell’internamento e nell’isolamento.

L’800 – La nascita del manicomio

Lo stesso dr. Rinel, infatti, istituisce il manicomio che diventa il luogo di cura dei malati. Questa nuova
istituzione, che si diffonderà presto in tutta Europa, almeno in teoria, costituisce un passo avanti rispetto ai
luoghi di reclusione del passato, perché è basato su obiettivi di cura e di ricerca medica. Si diffuse in
maniera rapida il concetto che gli istituti stessi avrebbero potuto svolgere una funzione terapeutica e che
l’internamento, anziché liberare semplicemente la famiglia da un peso, avrebbe potuto migliorare le
condizioni del paziente. Questa maggiore vicinanza della follia permette di liberarci di un “teorema”
arcaico, la nozione di follia come furore cieco, impulso forzato e involontario, inaccessibile all’azione
terapeutica. Tuttavia il manicomio rappresenta ancora la continuità con i luoghi di segregazione, dal
momento che la “cura” coincide con l’obiettivo del controllo dei malati. L’istituzione manicomiale si
perfeziona, ma reclude e isola, oltre ai pazienti, anche se stessa: si specializza nella funzione sociale di
contenitore della follia, ma viene meno ad ogni effettivo programma di cura e di riabilitazione.

Dal ricovero coatto al ricovero volontario

La prima legge nazionale sull’assistenza psichiatrica, intitolata Disposizioni e regolamenti sui manicomi e
sugli alienati, fu promulgata nel 1904 dal governo Giolitti e completata nel 1909 da un regolamento di
esecuzione. In quanto legge di ordine pubblico, metteva in primo piano il bisogno di protezione della

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società dai malati di mente, subordinando la “cura” alla “custodia”. L’internamento manicomiale veniva
così motivato: “Debbono essere custoditi e curate nei manicomi le persone affette da qualsiasi causa
d’alienazione mentale quando siano pericolose a sé o agli altri o riescano di pubblico scandalo”. Entro 15
giorni (tempo d’osservazione) il direttore del manicomio doveva trasmettere al procuratore della
repubblica una relazione scritta. Entro 30 giorni la persona veniva o dimessa o sottoposta a “ricovero
definitivo”, e quindi interdetta: perdeva cioè i diritti civili, con la nomina di un tutore.

Dall’internamento al diritto alla salute: la legge di riforma

La legge 180, approvata il 13 maggio 1978, Norme per gli accertamenti e i trattamenti sanitari volontari e
obbligatori, inserita in seguito nella legge di Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, stabilisce che è il
diritto della persona alla cura e alla salute, e non più il giudizio di pericolosità, alla base del trattamento
sanitario anche in psichiatria. Tale trattamento è di norma volontario e viene effettuato, come la
prevenzione e la riabilitazione, nei presidi e dei servizi extra ospedalieri, operanti nel territorio. Se
l’istituzione manicomiale resta immobile, viceversa, con l’inizio del XX° secolo, prende avvio la più ampia
rivoluzione storica nel campo delle conoscenze. Aiutati dal nascente sviluppo tecnologico, inizia l’epoca in
cui vengono definitivamente gettate le basi scientifiche di tutta la medicina e quindi anche della psichiatria.
È l’epoca:

• Del nosografismo e sistemazione;


• Dalla ricerca delle basi anatomo-funzionali delle malattie e dell’anima.

Nel 1896 Emil Kraepelini, nel suo celebre Trattato delle Malattie Mentali, ipotizza l’origine biologica delle
psicosi. Adottando la definizione di “demenza precoce”, riunì in una sola categoria diagnostica diverse
manifestazioni cliniche, perché accumunate da un disturbo dell’affettività, espresso come apatia o
sentimenti paradossali, e da un indebolimento psichico progressivo.

Lo psichiatra svizzero Eugen Bleuler accetta l’impostazione nosografica di Kraepelin, ma osserva che
l’elemento quantitativo di un decadimento mentale, ma l’alterazione qualitativa dell’esperienza psichica e
del comportamento.

1911 – Viene introdotto il termine e il concetto di SCHIZOFRENIA

Bleuler conia il termine schizofrenia (scissione della mente): sostiene che il processo patologico
fondamentale, alla base di tutta la sintomatologia di questi pazienti, consiste nella perdita della funzione di
associazione delle facoltà psichiche. Nella scissione schizofrenica Bleuler individuava la mancanza o la
perdita di questa sintesi necessaria alla produzione e all’espressione fisiologica della psiche umana. A
Bleuler si deve anche l’introduzione del concetto di autismo.

Prima meta del ‘900: la nascita della prima visione psicoanalitica

Un vasto moto di rinnovamento radicale, sconvolge la psicologia generale e la psichiatria. Confluiscono e


trovano riscontro nelle nuove tendenze i risultati dell’antropologia e della riflessione fenomenologica.
Viene riveduto il concetto di identità della persona, del rapporto tra individuo e contenuto sociale, dei
confini tra salute e malattia mentale. Il nome da ricordare, naturalmente, è quello di Freud, ma non si tratta
del cambiamento prodotto da una sola persona, né soltanto della nascita della psicoanalisi. Sigmund Freud,
propone una netta distinzione nosografica tra nevrosi e psicosi, impiega per la prima volta il termine
proiezione e propone la spiegazione di questo processo come meccanismo di difesa, consistente

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nell’attribuzione ad altri di un proprio contenuto psichico inconscio. La malattia mentale esce dall’alveo
della follia.

Seconda metà del ‘900: la nuova psichiatria

Dalla metà degli anni Cinquanta vengono introdotti gli psicofarmaci: sostanze che, indipendentemente dai
risultati curativi, hanno l’effetto di attenuare i sintomi più gravi e vistosi, e di rendere più governabili i
momenti di crisi. Uso “ambiguo” degli psicofarmaci:

• Aiutano le persone sofferenti nelle situazioni più difficili e facilitano la sperimentazione di soluzioni
alternative al ricovero;
• Possono costituire un ulteriore strumento di controllo.

La psichiatria attuale è frutto di tre grandi filoni di correnti di pensiero e approccio allo studio e alla cura
delle malattie della mente:

• Biologia;
• Psicologia;
• Economico-sociale.

La salute può essere definita come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale.

Il modello BIO-PSICO-SOCIALE

Nel campo medico il primo a proporre questa nuova visione fu Howard Brody nel 1973. Nel 1977 George
Engel presentò al mondo medico un modello relativo alla salute costruito su principi esposti dalla teoria
generale dei sistemi: l’approccio bio-psico-sociale. Questo è un approccio alla persona che tiene conto delle
numerose variabili che influenzano la salute (salute multidimensionale nei suoi aspetti negativi, malessere,
e positivi, benessere) e propone attività sanitarie e socio-sanitarie integrane con la partecipazioni di
pazienti e famiglia.

DIMENSIONE BIOLOGICA: età, genere, impairments anatomici/funzionali, variabili genetiche.


DIMENSIONE PSICOLOGICA: carattere, personalità, strategie di adattamento, attitudini.
DIMENSIONE SOCIALE: educazione, cultura, attività sociale, contesto familiare, stato socioeconomico.
L’intreccio di queste tre dimensioni forma la persona.

“I confini tra salute e malattie, tra lo stare bene e l’essere ammalati sono ben lontani dall'essere sani e mai
lo saranno”.
“Un modello biopsicosociale capace di comprendere tanto il paziente quanto la malattia, potrebbe spiegare
perché alcuni individui sperimentano come “malattia” condizioni che altri considerano soltanto “problemi di
vita”, reazioni emotive alle circostanze di vita piuttosto che sintomi somatici”.

La persona e il mondo interagiscono in una dimensione dinamica, per cui la componente ambientale (
sistemi sociali, quindi società, comunità e famiglia) e allo stesso tempo le altre dimensioni, quindi quella
psicologica (sistema cognitivo, emotivo e motivazionale) e quella biologica (organi, tessuti e cellule)
interagiscono e si influenzano vicendevolmente.

Il paziente complesso:

1. Complessità sanitaria: patologia grave o polipatologia;

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2. Complessità assistenziale: non autonomia;
3. Complessità ambientale: criticità di abitazione, reddito, nucleo familiare e relazioni familiari, non
accesso a servizi, presidi, ausili e facilitazioni economiche.

Nel corso degli anni questi approcci si rincorrono, si integrano, si separano di nuovo, in un gioco dinamico
che ha permesso lo sviluppo della psichiatria contemporanea.

SEMEIOTICA PSICHIATRICA

La parola semeiotica esprime un concetto che riguarda tutto ciò che serve (segni, sintomi) per comprendere
una determinata patologia, situazione.

Funzioni psichiche:

• Pensiero;
• Percezione;
• Memoria;
• Affettività;
• Coscienza;
• Attenzione;
• Intelligenza;
• Comportamento psicomotorio.

Parlare di semeiologia significa comprendere determinate definizione tradizionali, descrittive della


sintomatologia psichiatrica. Le “funzioni psichiche” sono strettamente correlate tra di loro. Isolare le
funzioni è solo una necessità didattica. Il nostro modo di approcciare alla persona si discosta dalle
tradizionali concezioni, cioè dicotomica (pensiero tipo “o… o..”) oppure meccanicistica (pensiero “causa..
effetto”).

FUNZIONE DEL PENSIERO

Il pensiero può essere definito come un’attività mentale complessa che consente attraverso ragionamento,
valutazione, critica e giudizio:

• Conoscenza della realtà;


• Soluzione di problemi utilizzando, in funzione del contesto, le conoscenze acquisite.

Il pensiero è quel processo mediante il quale il soggetto identifica e diversifica da sé i soggetti e gli oggetti
della realtà con cui si relaziona. Il processo inizia con la senso-percezione per arrivare, tramite le
rappresentazioni, alla formazione dei concetti. L’ideazione è il processo che conferisce ordine e forma al
pensiero. Il processo percettivo prevede il coinvolgimento dei processi mnesici, intellettivi ed emozionali
per giungere al riconoscimento ed all’interpretazione.

DISTURBI DEL PENSIERO

• Forma.
• Contenuto.

Disturbi della forma del pensiero

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• Sono rappresentati da alterazioni della produzione e del fluire delle idee;
• Riguardano il modo con cui il pensiero si struttura e si svolge nel tempo.

Disturbi formali del pensiero

• Quantità e velocità:
▪ Accelerazione → Fuga delle idee;
o Rallentamento → Blocco;
o Impoverimento;
• Coerenza dei nessi associativi:
o Circostanzialità;
o Tangenzialità;
o Deragliamento;
o Disorganizzazione;
o Illogicità;
• Anomalie nel linguaggio:
o Perseverazione;
o Assonanze;
o Neologismi;
o Ecolalia.

Due categorie distinte:

1) Disturbi intrinseci del pensiero.


2) Disturbi del processo del pensiero:
a. Disturbi quantitativi.
b. Disturbi qualitativi.

Disturbi intrinseci del pensiero

Pensiero concreto

Tendenza del soggetto a selezionare una qualità fisica di un concetto, a spese del significato globale. Il
paziente non è in grado di liberarsi del significato letterale delle parole. (Ad es.: nell’interpretazione dei
proverbi, la persona non riesce ad operare un’analisi più profonda del contenuto e dell’intrinseca qualità ad
essi connessa). Esso è normale nell’infanzia, diventa patologico negli adulti. Si riscontra:

• Nei disturbi cognitivi;


• Nel ritardo mentale;
• Nella schizofrenia, dove è massima la compromissione del livello di astrazione e della
concettualizzazione.

Pensiero iperintrusivo

Aspetti falsi o irrilevanti (anche solo lontanamente correlati) si inseriscono in un concetto o in una
categoria. È un ampliamento inappropriato di un concetto ed è dovuto alla mancata soppressione di
elementi marginali. È presente nella schizofrenia e si associa al pensiero concreto. Fenomeno caratteristico
dell’ideazione del paziente schizofrenico per il quale determinati contenuti parassiti che il soggetto normale
elimina (a chiunque di noi capita che mentre si sta pensando a qualcosa ci si trova di fronte a contenuti

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parassiti che normalmente eliminiamo, ritornando al contenuto precedente del pensiero) mentre il paziente
schizofrenico è incapace di eliminare e questi contenuti entrano in quello che è il suo pensiero, il suo
discorso.

Pensiero illogico

È un modello di pensiero alterato, perché propone spiegazioni bizzarre, del tutto contrarie ad ogni forma di
logica, devianti dall’usuale. Il sistema logico di riferimento viene meno, l’eloquio è disorganizzato e non c’è
più la struttura del discorso e la finalità comunicativa. Si ritrova soprattutto nella schizofrenia
disorganizzata.

Pensiero disorganizzato

• Intrusioni di pensieri e di sensazioni contrastanti.


• Incapacità di attribuire un significato simbolico, di pianificare lo svolgimento di un’attività in
sequenza e di orientare un comportamento finalizzato.
• Confusione (incapacità di mantenere il flusso di pensiero con l’abituale chiarezza, coerenza e
velocità).

Pensiero magico

È una forma particolare, in cui i pensieri, le parole e le azioni sono dotati del potere di modificare
magicamente la realtà e quindi di scatenare o al contrario, evitare eventi. È caratterizzato da un linguaggio
digressivo, vago, iperelaborato, circostanziato, metaforico. Non è giustificato dalla cultura, chiaroveggenza,
telepatia, sesto senso, convinzione che gli altri possano provare gli stessi sentimenti, idee prevalenti, idee di
riferimento.

Disturbi del processo del pensiero

Suddivisi in:

Disturbi quantitativi

Accelerazione ideatoria

• le idee si susseguono l’una all’altra più rapidamente della norma, con nessi associativi allentati,
talvolta per assonanza;

• vi è un’abnorme produzione ideica con carenza dei meccanismi selezionatori, logici e finalizzati,
strutturanti il pensiero

• Si manifesta come fuga delle idee

E’ presente nella fase maniacale dei disturbi bipolari e in stati di eccitamento psicorganici e tossici.

Fuga delle idee: un paziente è invitato a ripetere l’espressione “terza brigata di artiglieria a cavallo”. Poiché
nel frattempo si accorge che il medico sta scrivendo, egli pronuncia soltanto la prima parola “terza” e poi
continua “ah, lei dunque stenografa, anche il signor Meier sa stenografare. Il signor Meier è molto colto.
Abita a Ruti. Ha una casetta lì.” A questo punto si sente la voce di un altro paziente. Il nostro malato
interrompe il corso dei suoi pensieri e prosegue “Com’è difficile con questa gente! Guardi dottore, io voglio

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aiutarla a curare i pazienti. Quelli che non sono giusti di testa, è più difficile aiutarli di quelli che lo sono. Ci
sono poi alcune persone che hanno la coscienza sporca..”

Rallentamento del pensiero

• Le idee si susseguono più lentamente, i processi associativi sono ridotti, l’attività di pensiero è
rallentata e impoverita;

• L’eloquio manca di spontaneità;

• Il soggetto parla solo se stimolato presentando un’aumentata latenza di risposta alle domande;

• Spesso non riesce a sviluppare un processo associativo e la finalizzazione del pensiero è persa.

Inibizione e Rallentamento ideativo:

le idee scorrono lentamente, con riduzione della vivacità, ricchezza e varietà dei legami associativi. L’attività
del pensiero appare impigrita, rallentata e come spenta. È presente nel paziente depresso in cui non
soltanto si possono avere disturbi del contenuto del pensiero, ma si può avere, più in generale, quella che è
l’alterazione della strutturazione della forma del pensiero. Questa alterazione consiste nel fatto che il
pensiero è rallentato, stentato, è difficile.

E’ un sintomo tipico della depressione e, in casi di estremo rallentamento, si può arrivare al blocco del
pensiero in cui il soggetto s’interrompe a metà di una frase, tace per qualche momento e afferma di non
ricordare cosa voleva dire. Si può ritrovare anche in quadri tossici, psicorganici, nell’ipotiroidismo e nelle
oligofrenie.

Accelerazione → Fuga delle idee: la velocità associativa aumenta e i concetti sviluppati durante il percorso
dalla premessa alle conclusioni eccedono quelli normalmente evocati.

Rallentamento → Blocco: la velocità di pensiero è ridotta ed i concetti sviluppati durante il percorso dalla
premessa alla conclusione sono diminuiti.

Disturbi qualitativi

Ruminazione

Il soggetto insiste costantemente sullo stesso tema, senza mai giungere ad una conclusione. Di solito
corrisponde alla presenza di un’idea prevalente a livello del contenuto di pensiero.

Condensazione o fusione

Due o più idee o i loro frammenti si fondono in una nuova idea bizzarra e incongrua. E’ ancora mantenuta
la consequenzialità delle associazioni, ma le idee vengono concatenate mettendo insieme elementi
eterogenei i quali, raccogliendosi in maniera indiscriminata, non hanno più progressione logica.

Pensiero circostanziale

Pensiero prolisso, ricco di dettagli inutili che riflette l’incapacità dell’individuo di discriminare tra tema
principale ed elementi di sfondo; vi è un difetto della capacità di sintesi. Il soggetto, durante il discorso,
apre numerose parentesi su concetti superflui che vengono esplorati in maniera esaustiva e solo nel
momento in cui viene soddisfatta tale esigenza è possibile riprendere la strada per la conclusione, se la

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finalizzazione è mantenuta. Si presenta nelle personalità ossessive, nella schizofrenia, nell’epilessia e in
sindromi psicorganiche (oligofrenie, demenze iniziali).

Ossessione

E’ un’idea, un pensiero, una parola, un ricordo, un’immagine mentale o un impulso che s’intromette nella
mente e che non si riesce ad allontanare pur riconoscendone l’irragionevolezza. Il pensiero causa profonda
ansia o disagio per cui il soggetto si sente costretto a neutralizzarlo con altri pensieri o azioni (compulsioni).
E’ avvertito come estraneo, intrusivo e persistente. I più frequenti pensieri ossessivi riguardano

• la possibilità di contagiarsi o di essersi contagiati


• il dubbio relativo ad aver compiuto un’azione
• il pensiero di non aver messo sufficientemente in ordine.

Il pensiero ossessivo è tipico del disturbo ossessivo-compulsivo.

Tangenzialità

È un disturbo in seguito al quale un soggetto risponde ad una precisa domanda in maniera solo
marginalmente collegata al tema della domanda stessa. Il fine è solo marginalmente perseguito e il
soggetto non risponde alla domanda in maniera diretta e pertinente, ma parte da un punto senza mai
arrivare all’obiettivo desiderato. consiste nella perdita della finalizzazione del pensiero per cui il soggetto
non risponde alla domanda in maniera diretta e pertinente. Non centrando l’obiettivo del discorso, fornisce
risposte solo parziali o totalmente irrilevanti.

Deragliamento

Fenomeno per il quale il filo del pensiero sembra per un certo tempo essere logico poi improvvisamente
devia da un tema ad un altro. Si verifica un allentamento dei nessi associativi fino alla perdita di
finalizzazione con totale incoerenza. Il “filo del discorso” interno tiene per il soggetto al punto che questi
sarà meravigliato dalle richieste di spiegazione del senso delle sue parole. Allentamento dei nessi associativi
fino alla perdita della finalizzazione con totale incoerenza della scelta tematica. L’argomento del discorso si
allontana sempre di più, fino a perdere la connessione con la domanda posta. Il soggetto non è
consapevole di aver perso il filo del discorso. E’ tipico dei disturbi schizofrenici.

Ideazione incoerente

Frammentazione e sconnessione del pensiero in cui la mancanza di continuità si estende all’interno delle
singole frasi, rendendo il discorso incomprensibile. Il grado estremo dell’incoerenza è noto come insalata di
parole.

Neologismo

Si tratta di parole nuove, coniate dal soggetto e prive di significato generalmente riconosciuto. Spesso sono
ottenute attraverso la combinazione di sillabe di altre parole che hanno per il soggetto uno specifico
significato, per lo più risultano incomprensibili.

Risposte di traverso

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Sono risposte assurde, “vaghe” nel loro significato e in contrasto con quanto detto prima. Si tratta perlopiù
di risposte molto rapide che vengono fornite di solito, a seguito di domande più esigenti e con il prolungarsi
del colloquio.

Perseverazione

Nel giungere alla conclusione coerentemente con la finalità, il pensiero ripercorre più volte gli stessi
concetti. E’ il mantenimento di una stessa risposta ad uno stimolo precedente, anche dopo la presentazione
di uno stimolo nuovo. Si tratta quindi della persistenza abnorme di un contenuto ideico anche quando
dovrebbe essere sostituito da un altro più pertinente

Diffusione del pensiero

E’ la convinzione dell’immediata partecipazione degli altri ai propri contenuti del pensiero. Il paziente è
convinto che i propri pensieri siano conosciuti e sentiti dagli altri nel momento in cui sono pensati. Nella
trasmissione del pensiero il soggetto crede che le proprie idee siano completamente accessibili agli altri ed
ha la sensazione che i pensieri gli siano stati sottratti dalla mente e resi pubblici.

Eco del pensiero

Il soggetto sente i propri pensieri ripetuti ad alta voce o come un’ eco immediatamente seguente al
pensiero stesso. Questo fenomeno è particolarmente presente quando il paziente legge o scrive.

Furto del pensiero

I pensieri del paziente sono stati sottratti per cui egli ne è completamente privo; è come se una forza
esterna avesse sottratto il pensiero mentre il soggetto lo stavo formulando. Il sintomo può essere così
frequente da pervadere la vita del paziente

Dissociazione del pensiero o pensiero dissociato

Alterazione dei normali nessi associativi caratteristici del pensiero logico, per cui il pensiero diventa bizzarro
e incomprensibile. La continuità logica e la finalizzazione sono alterate. Il disturbo è tipico dei quadri
schizofrenici. Perdita dei comuni nessi associativi tra le singole idee in assenza di alterazione dello stato di
coscienza. Pensiero frammentario, illogico, bizzarro e sconclusionato, linguaggio slegato e contorno,
distorto e incomprensibile.
Nel pensiero dissociato sono presenti: fusioni, iperinclusioni, deragliamenti, intoppi, tangenzialità e
illogicità.

Disturbi del contenuto del pensiero

Normalmente il contenuto del pensiero, ovvero il complesso, variabile flusso di pensieri coscienti, include
convinzioni, preoccupazioni, desideri e fantasie che si presentano con un grado di variabile di chiarezza,
differenziazione e forza. Il pensiero normale è spesso illogico ed è fatto di numerose credenze e pregiudizi.
Il contenuto del pensiero viene detto egosintonico quando è coerente con il senso di sé dell’individuo ed
egodistonico quando è in contrasto con aspetti essenziali del suo sistema di valori.

Idee prevalenti

Idee o gruppi di idee che:

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• si formano in dipendenza di (e sono sostenuti da) stati emotivi particolari e molto intensi;
• assumono un carattere di importanza e di priorità rispetto agli altri contenuti mentali;
• dominano, in maniera temporanea o permanente, l’intera vita psichica del soggetto (tutta l’intera
vita viene a svolgersi intorno a questa idea);
• si elaborano su eventi possibili o reali;
• sono comprensibili nella loro motivazione affettiva ed accessibili alla critica;
• non corrispondono a contenuti irragionevoli, impossibili o inaccettabili.

Si tratta di un’idea o di un insieme di idee che dominano la vita del soggetto per un lungo periodo di tempo
o indefinitamente. Sono sostenute da un forte investimento emozionale e appaiono irragionevoli
all’esterno, anche se spesso non corrispondono a contenuti inaccettabili. Si distingue dall’idea ossessiva in
quanto non è egodistonica e dal delirio poiché, per quanto possa avere un contenuto erroneo, è ancora
criticabile dal soggetto. Si manifestano sottoforma di convinzioni politiche o religiose sostenute con
fanatica intensità: rappresentano il primo stadio di alcuni deliri (deliri di gelosia, erotomane, ipocondriaco).
Spesso si associano a disturbi di personalità di tipo paranoide o anancastico.

Delirio

Idea falsa e immodificabile caratterizzata da straordinaria convinzione e certezza soggettiva, non soggetta
a critica e non derivabile dal contesto culturale di provenienza del soggetto. Il delirio ha origine nelle stesse
condizioni di qualsiasi altra idea, cioè nel contesto di una percezione, di un ricordo o di un’atmosfera. Può
essere primario e verificarsi così, in modo spontaneo. I deliri hanno tre componenti:

1. certezza soggettiva sono sostenuti con insolita convinzione;


2. incorreggibilità non sono riconducibili alla logica;
3. falsità del contenuto l’assurdità del contenuto è palese alle altre persone.

I deliri si osservano nelle schizofrenie, nel disturbo schizoaffettivo, nei disturbi psicotici, nei disturbi deliranti
e nella depressione con manifestazioni psicotiche.

Classificazione dei deliri

• PRIMARI: inderivabili, psicologicamente indeducibili ed incomprensibili.


• SECONDARI: sono deliri comprensibili sulla base di:
o Stato affettivo del soggetto (umore depresso o maniacale);
o Condizione attuale del soggetto (risposta ad avvenimenti traumatici o a particolari
situazioni ambientali: ad esempio, isolamento forzato);
o Carattere del soggetto (persone timide, condizionate da un senso di inferiorità, inclini a
dare risalto ad atteggiamenti negativi nei loro confronti).

Modalità di presentazione del delirio: deliri primari

Atmosfera delirante: sensazione che “il mondo stia cambiando”, che “stia succedendo qualcosa di strano”,
che tutto sia diventato “sinistro”, “sconosciuto”. Il paziente, che si sente personalmente coinvolto in queste
trasformazioni, si sente a disagio, perplesso, teso. Spesso è una modalità di esordio di un delirio strutturato
(percezione o intuizione); può anche essere persistente. Il passaggio al delirio pieno è vissuto con sollievo
dal paziente.

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Percezione delirante: percezione reale a cui, senza motivo comprensibile, viene attribuito un significato
abnorme, in genere autoriferimento. Si sviluppa in 2 stadi:

1) L’oggetto diventa significativo all’interno di un campo di sensazioni e viene percepito;


2) L’oggetto viene investito di un significato delirante.

L’alterazione non riguarda ciò che è percepito ma il suo significato simbolico e tra l’uno e l’altro stadio
possono intercorrere anche anni.

Intuizione delirante: convinzione chiaramente falsa o impossibile che compare all’improvviso (“a ciel
sereno”) senza che il paziente sia in grado di dare una spiegazione. L’elemento patologico non sta
nell’alterato rapporto tra oggetto e significato, come nella percezione delirante, ma nel contenuto
(distinzione non sempre agevole, l’alterazione del significato è sempre presente).

Il delirio può essere

• lucido: insieme di idee deliranti a stato di coscienza integro


• confuso in cui i contenuti deliranti non sono sistematizzati.

I Deliri lucidi sono distinti in base a:

Strutturazione

• Delirio elementare: una o più idee deliranti scarsamente elaborate e poco strutturate rispetto alla
costruzione del pensiero.
• Delirio sistematizzato: insieme di idee deliranti ben strutturate e in articolazione coerente fra di
loro e con il restante patrimonio psichico.

Modalità di insorgenza

• Delirio primario: il delirio non si verifica in risposta ad un’altro quadro psicopatologico. Include sia
le intuizioni che le percezioni deliranti. I deliri primari compaiono in maniera apparentemente
incomprensibile rispetto ai vissuti del soggetto.
• Delirio secondario o deliroide: è comprensibile e derivabile da stati affettivi (depressione, mania),
da disturbi psicosensoriali, da tratti del carattere avvenimenti o situazioni particolari. L’idea
delirante può essere più o meno strutturata e articolata con diversi contenuti.

Contenuto

• Deliri di persecuzione: il paziente è fermamente convinto di essere vittima di qualcuno, o di


un’organizzazione o di una forza esterna. Le tematiche persecutorie sono presenti nella
schizofrenia, nel disturbo delirante, nelle psicosi affettive maniacali o depressive e nel delirium.
• Deliri di riferimento: oggetti, persone e fatti che accadono nel quotidiano assumono un significato
allusivo indirizzato alla propria persona con connotati spesso, ma non necessariamente, ostili. Il
soggetto è convinto di essere spiato e che gli altri alludano a lui con frasi a doppio senso o con gesti
dal significato simbolico, che la radio, televisione e giornali si riferiscano a lui. Si ritrova nella
schizofrenia e nelle psicosi di tipo affettivo.
• Deliri di controllo: congegni speciali, forze soprannaturali, meccanismi telepatici sono in grado di
influenzare, guidare e controllare il comportamento, il movimento o il pensiero del soggetto. Il

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paziente si sente “telecomandato”; il delirio di controllo può associarsi all’ inserzione, al furto e
talora anche al blocco completo del pensiero.
• Deliri di colpa o di rovina: si riscontrano di frequente nelle depressioni deliranti. Sono caratterizzati
da un pervasivo senso di colpa e di indegnità che il soggetto si attribuisce senza un reale motivo.
• Delirio nichilistico: è la negazione totale del proprio corpo o più spesso di parti interne di esso,
oppure può riguardare oggetti, persone e cose al di fuori di sé. Si riscontrano frequentemente nei
disturbi depressivi dove si associano anche ai deliri di colpa e di rovina.
• Deliri ipocondriaci: è la convinzione che ci sia qualcosa di gravemente disfunzionante nel proprio
corpo. Nei casi più gravi il soggetto è convinto di avere un male incurabile (tumore, malattia
venerea, AIDS...) e nessun parere medico è d’aiuto. Spesso si riscontrano nei disturbi dell’umore.
• Deliri di grandezza: è caratterizzato dalla convinzione di essere dotati di qualità speciali (saper
curare, leggere nel pensiero...) oppure di essere un personaggio famoso, potente, ricco e molto
influente. Come delirio primario è presente in corso di schizofrenia, come conseguenza dell’
espansività del tono dell’umore si verifica negli episodi maniacali.
• Delirio genealogico: il soggetto è convinto di non essere figlio di quelli che tutti reputano essere i
suoi genitori. I “veri” genitori sono persone molto importanti e possono anche rivestire il ruolo di
personaggi meramente fantastici.
• Delirio erotomanico: si basa sulla convinzione di essere amati e corteggiati persone, spesso molto
importanti e comunque investite di autorità dal soggetto. Si presenta nella schizofrenia e negli
episodi maniacali.
• Delirio di gelosia: è la falsa convinzione dell’infedeltà del partner. Il soggetto sottopone il partner a
prove sfiancanti, pedinamenti per dimostrare che la sua convinzione è reale. Il delirio di gelosia può
condurre ad atti violenti contro se stessi o contro gli altri. Si riscontra nell’alcolismo cronico ma
anche in corso di disturbi depressivi.
• Delirio mistico o religioso: convinzione di contatto e comunicazione con una divinità.
• Delirio metempsicosico: convinzione, di vivere reincarnati nel corpo di un’altra persona.
• Delirio di trasformazione corporea: corrisponde al convincimento che il corpo intero o parti di esso
siano in trasformazione, perlopiù peggiorativa. Nei disturbi psicotici è frequente il delirio di
trasformazione nel sesso opposto. Si ritrova in gravi quadri depressivi e in sindromi deliranti.
• Delirio di querela: i pazienti credono di aver subito dei gravi torti per cui si rivolgono di continuo
all’autorità giudiziaria. Spesso si sviluppa a partire da tratti di personalità di tipo paranoide.

DISTURBI DELL’AFFETTIVITÀ

L’affettività è la capacità o disponibilità individuale di rispondere, con modificazioni soggettive affettivo-


emotive, a eventi della realtà interna o esterna e di provare emozioni-sentimenti (piacere, dolore,
simpatia, amore, odio, rabbia) variabili per significato, intensità, tonalità e durata in risposta a eventi della
realtà esterna e interna. La risposta emozionale differisce nel singolo individuo in relazione allo stimolo
causale e, soprattutto, in relazione alle disposizione affettiva di base o umore. È importante valutare le
modificazioni mimico-gestuali, comportamentali, motorie, neurovegetative correlate all’espressione
comportamento, verbale, psicologica dello specifico vissuto affettivo. In base alla durata e modalità di
insorgenza si distinguono:

• EMOZIONI: stati affettivi intensi, di breve durata, a rapida insorgenza e a rapido declino,
accompagnati da manifestazioni somatiche, reattive ad eventi esterni o interni;

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• SENTIMENTI: stati affettivi stabili, duraturi, diretti verso persone, situazioni, scopi e oggetti. Si
mantengono a lungo motivando o favorendo decisioni e comportamenti congrui al sentimento
provato.
• UMORE: stato affettivo basale, abituale, caratteristico e tipico di una persona che influenza
l’esistenza e il comportamento.

Le principali alterazioni dell’affettività sono:

• Depressione o umore depresso: diminuzione/abbassamento del tono dell’umore di base con


prevalenza di sentimenti di tristezza, dolore, pessimismo. C’è un sentimento soggettivo di tristezza
per un periodo di tempo prolungato. Può essere reattiva ad un avvenimento (depressione
reattiva), oppure insorgere in assenza di situazioni predisponesti (depressione endogena). L’umore
depresso si accompagna a rallentamento motorio, più raramente agitazione motoria.
Caratteristiche: incapacità di provare piacere (anedonia), ritiro sociale, assenza di motivazioni,
ridotta tolleranza alle frustrazioni, alterazioni neurovegetative (perdita della libido, perdita o
aumento di peso – anoressia o iperfagia –, scarsa energia, facile affaticabilità, anomalie del ciclo
mestruale, disturbi del ciclo sonno-veglia, variazioni dei sintomi nella giornata – peggiori al
mattino). Si parla anche di melanconia, depressione endogena, depressione reattiva, nevrosi
depressiva, depressione mascherata, depressione senile, depressione organica, depressone atipica,
valenze ciclotimiche,.. Si associa a disturbi neurovegetativi quali:
o disturbi del ritmo sonno veglia (insonnia o ipersonnia)
o comportamento alimentare alterato (anoressia o iperfagia)
o sintomi cognitivi deficit della memoria, dell’attenzione e delle capacità di apprendimento
o disturbi del contenuto del pensiero che possono manifestarsi come manifestazioni
psicotiche congrue (colpa, rovina, indegnità, malattia, perdita di speranza), oppure
incongrui (deliri di persecuzione)
o idee suicidare con possibili passaggi all’atto (suicidio, tentato suicidio)
• Disforia: alterazione affettiva, sentimento spiacevole a tonalità negativa che si associa ad
irritabilità, malumore, pessimismo e a scarsa capacità di controllo, spesso si accompagna ad
iperattività motoria. E’ tipica dello stato misto in cui si verifica la contemporanea presenza delle
opposte polarità depressiva e maniacale. Si osserva non solo in corso di stati depressivi, ma anche
di altre sindromi (psicorganiche, dissociative, etc).
• Dissociazione affettiva: risposta affettiva diametralmente opposta rispetto alla natura dello
stimolo. L’affettività, le manifestazioni affettive del soggetto non sono più congrue, adeguate a
quelle che sono le situazioni.
• Paratimia: manifestazione affettiva, non soltanto inappropriata ma addirittura di segno opposto
rispetto a ciò che la situazione richiederebbe (ad esempio: il paziente si mette a ridere a una notizia
triste).
• Atimia o anaffettività: indifferenza, affettività piatta, scarsamente modulabile; si ha l’impressione
che il soggetto non dia molta importanza a ciò che accade intorno a lui, mancanza di risonanza
affettiva.
• Paura, Ansia e correlati somatici: La paura si accompagna ad una serie di manifestazioni a livello
somatico, c’è tachipnea, tachicardia, tensione muscolare. Questi correlati somatici della paura
hanno un significato finalistico, servono cioè a preparare il soggetto alla lotta o alla fuga. Nell’ansia
questi correlati perdono il loro significato finalistico, non sono utili, anzi essendo percepiti dal
soggetto creano ulteriori allarme, stabilendosi così dei circoli viziosi. L’ansia è uno stato emotivo

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caratterizzato da senso di pericolo, paura che insorge in assenza di stimoli adeguati. È una
condizione emozionale particolare caratterizzata da uno stato di apprensione, disagio, aumento
della tensione fisica e psichica, preoccupazione, stato di attesa, senso di anticipazione del pericolo,
senso di paura e ridotto senso di controllo da parte del soggetto. È un timore che nasce in assenza
di un pericolo oggettivo Attesa apprensiva di eventi negativi o ipotizzati come tali dall’ individuo. È
una reazione universale, primitiva e aspecifica (sintomi uguali per cause diverse) e può assumere
modalità inibitorie. In psicoanalisi è un segnale di pericolo dato dall’Io che a sua volta reagisce
producendo i sintomi creati per sottrarre l’Io alla stessa situazione di pericolo.
o ansia normale: risposta adeguata di fronte a situazioni oggettivamente traumatizzanti
consente di mettere in atto comportamenti adattativi utili a superare e/o controllare un
pericolo reale.
o ansia patologica: stato emotivo spiacevole che insorge in assenza di uno stimolo adeguato a
provocarlo, spesso accompagnato da sintomi somatici di vario genere (tachicardia,
sudorazione, pollachiuria, ect.).
o ansia libera: stato di paura generalizzato, non correlato ad alcuna idea, situazione,
oggetto.
o ansia anticipatoria: stato di allarme che precede un avvenimento ben definito (un esame,
un intervento chirurgico).
o ansia generalizzata: stato di ansia persistente nel tempo eccessivo ed irrealistico rispetto
alle diverse attività dell’ individuo.
o attacco di panico: episodio di ansia e terrore a sviluppo improvviso, di durata circoscritta
nel tempo, accompagnato da manifestazioni somatiche (tremori, sudorazione, palpitazioni).
L’ansia può riguardare sia l’ integrità somatica (timore di morire) che quella psichica (timore
di impazzire).
o Fobia: persistente, immotivata ed esagerata paura per situazioni, oggetti, animali o
persone. È abnorme per intensità e durata ed inadeguata rispetto allo stimolo
• Anedonia: perdita di interesse e di capacità di provare piacere per attività, eventi, scopi
usualmente piacevoli. E’ tipica dei disturbi depressivi maggiori.
• Ambivalenza affettiva: contemporanea presenza (coesistenza) di sentimenti, atteggiamenti,
antitetici cioè di polarità opposta (odio-amore; paura-desiderio) rivolti verso lo stesso oggetto.
• Ipocondria: timore esagerato ed inadeguato di essere affetti da una malattia in assenza di reperti
obiettivabili. Si distinguono:
o ipocondria major: caratterizzato dalla convinzione irriducibile di essere affetti da una
malattia insolita non suscettibile di critica o rassicurazione.
o ipocondria minor: caratterizzato da dubbi preoccupazioni circa il proprio stato di salute. Il
soggetto è sensibile alla rassicurazione da parte del medico, ma i timori riaffiorano di fronte
a stress anche minimi.
• Mania o umore ipertimico: esaltazione del tono dell’ umore caratterizzato da euforia prevalenza di
sensazioni piacevoli spesso accompagnato da agitazione, iperattività, ipersessualità, accelerazione
ideica e del linguaggio, spesso con temi megalomanici. A seconda dell entità del disturbo si
distinguono ipomania e mania.

PERCEZIONE

È il processo che ci consente di acquisire l’informazione sul mondo esterno. È un processo psichico
complesso che prende avvio dalle sensazioni ricevute dai recettori sensoriali ed elabora e interpreta i dati

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provenienti dal mondo esterno. La percezione è la capacità di sintetizzare le varie informazioni che i diversi
sensi ci comunicano e di organizzarle in modo da poter interpretare gli stimoli che provengono dall’esterno.

Principi organizzatori della percezione: i sistemi sensoriali analizzano le proprietà fondamentali degli
stimoli quali l’intensità, le proprietà fondamentali degli stimoli quali l’intensità, la qualità, la durata, la
posizione nello spazio e le organizzano e sintetizzano in una rappresentazione coerente dello stimolo
stesso, dandogli un’attribuzione di senso e significato.

Percepire vuol dire assegnare un significato agli stimoli provenienti dagli organi di senso e attribuire loro
proprietà fisiche: nitidezza a un’immagine, grandezza a un oggetto, chiarezza a un suono, ecc.. Per capire il
fenomeno della percezione visiva, dal punto di vista strettamente cognitivo e fenomenologico, bisogno
porsi due domande:
- perché percepiamo?
- come percepiamo?

Alterazioni e disturbi della percezione

Le capacità percettive possono essere alterate da:

• Fatica;
• Condizioni psicologiche;
• Danni al SNC;
• Sostanze psicoattive;
• Disturbi fisici e psicopatologici.

Tra i disturbi della percezione distinguiamo:

• disturbi quantitativi della percezione (iperestesia, ipoetesia)


• disturbi qualitativi della percezione (eritropsia, xantopsia, micropsia, macropia, illusione,
paraeidolia)

DISTURBI QUANTITATIVI DELLA PERCEZIONE

Iperestesia: amplificazione soggettiva dell’intensità degli stimoli sensoriali. I suoni sono percepiti più forti, i
colori più vivaci e luminosi, etc. (un rumore lieve può essere sentito fortissimo, un fiore rosso può essere
visto come una fiamma). Può verificarsi in situazioni patologiche diverse:

• stati confusionali di varia origine e intensità;


• psicosi acute;
• prima di un attacco epilettico;
• intensi stati emotivi (crisi d’ansia ad esempio, etc).

Ipoestesia: diminuzione soggettiva dell’intensità degli stimoli sensoriali in assenza di lesioni degli organi di
senso: rumori, colori, sapori, odori vengono avvertiti più attenuati. Più frequentemente si osserva in corso
di sindromi schizofreniche o nella melanconia (il depresso può facilmente avvertire il mondo come grigio e
senza senso, i cibi insipidi, etc.)

DISTURBI QUALITATIVI DELLA PERCEZIONE

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Eritropsia: alterata percezione del colore degli oggetti che appaiono improvvisamente colorati
prevalentemente in rosso. Si può osservare in:

• stati tossici da farmaci e soprattutto da allucinogeni (mezcalina);


• lesioni dell’apparato oculare o della regione temporo-parieto-occipitale;
• dopo un intervento di cataratta;
• dopo un abbaglio improvviso;

Xantopsia: alterata percezione degli oggetti che appaiono improvvisamente colorati in giallo. Si può
osservare in:

• stati tossici da sostanze organiche, farmaci, avvelenamenti;


• lesioni dell’apparato oculare o della regione temporale-occipitale.

Macropsia: alterata percezione degli oggetti che appaiono improvvisamente più grandi di quanto essi
siano. Si può osservare in:

• lesioni dell’apparato oculare o della regione temporo-parieto-occipitale.

Micropsia: alterata percezione degli oggetti che appaiono improvvisamente più piccoli di quanto non siano.
Si può osservare in:

• lesioni dell’apparato oculare o della regione temporo-parieto-occipitale.

In rari casi sono state osservate allucinazioni “microzooptiche” (a. lillipuziane).

Illusione: le illusioni sono percezioni nelle quali un oggetto reale è percepito in maniera errata. L’oggetto è
presente, ma la percezione dell’oggetto non è corretta. Non è necessariamente un fenomeno patologico.
Quando l’illusione assume carattere assurdo siamo nel patologico; per esempio i falsi riconoscimenti di
soggetti confusi, di alcuni schizofrenici (scambiare una persona con un’altra, ad esempio l’infermiere per il
fratello). Vi sono illusioni del tutto fisiologiche:

• ad esempio un soggetto che cammina nel buio trova una sagoma di albero e gli pare che si tratti di
una figura umana, quindi l’oggetto è reale (albero) ma la percezione non è corretta;
• oppure in una stazione affollata si ha l’impressione di identificare per un attimo il volto della
persona che si sta aspettando in un’altra persona.

Caratteristica dell’illusione è la possibilità di correzione più o meno immediata dell’errore percettivo con
conseguente passaggio ad una percezione corretta della realtà. L’illusione è più frequente in situazioni
psicopatologiche che comportino un disturbo dell’affettività (stati depressivi e/o ansiosi) o alterazioni
modeste dello stato di coscienza (stati crepuscolari con deficit di attenzione).

Allucinazione: si intende una percezione in assenza di oggetto o di stimolo adeguato. Il soggetto


percepisce, in realtà, un qualcosa che non esiste. Distinguiamo diversi tipi di allucinazione. Innanzitutto
alcune allucinazioni sono fisiologiche, non necessariamente espressione di un fenomeno patologico;
classica allucinazione fisiologica sono i sogni. Altre allucinazioni fisiologiche sono le allucinazioni
ipnagogiche: sono delle percezioni visive o uditive che si possono manifestare in soggetti normali al
momento di addormentarsi, oppure quelle ipnapompiche che si manifestano al risveglio. Le allucinazioni
variano a seconda della:

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• modalità sensoriale;
• grado di complessità;
• localizzazione (dentro e fuori dal corpo);
• grado di convinzione circa il suo essere reale;
• influenza sul comportamento.

Allucinosi: si intende un’allucinazione del cui carattere patologico il soggetto è cosciente. Il soggetto pur
avendo questa percezione in assenza di stimolo è in grado di distinguerla dalle altre percezioni reali (ad es.
allucinazione dell’otite). Abbiamo, ancora, le allucinazioni dei centri corticali di percezione, allucinazione di
tumori cerebrali, allucinazioni nell’epilessia. Spesso le allucinazioni hanno carattere di allucinosi purchè lo
stato di coscienza sia conservato.

Allucinazioni nei disturbi mentali: negli stati confuso-onirici abbiamo delle allucinazioni visive, spesso le
micro-zooptiche, cioè visioni di piccoli animali, presenti anche nel delirium tremens degli alcolisti. Quelle
che ci interessano maggiormente sono le allucinazioni della schizofrenia e della malattia maniaco-
depressiva. Nella malattia maniaco depressiva le allucinazioni sono rare e sono quasi sempre sintone con il
tono dell’umore del depresso. Nel paziente depresso si rinvengono allucinazioni uditive quali voci che
comandano al soggetto di ammazzarsi, oppure allucinazioni visive quali la vista di morti, di scheletri.

Allucinazioni uditive nella schizofrenia: nello schizofrenico le allucinazioni sono uditive:

• Allucinazioni imperative: voci che comandano di eseguire determinate azioni;


• Voci che insultano, che minacciano;

ma soprattutto:

• Voci che commentano le azioni del paziente;


• Voci che dialogano tra loro riferendosi al paziente in terza persona.

Queste particolari allucinazioni furono fatte rientrare da K. Schneider, insieme ai deliri di influenzamento,
tra i sintomi di primo rango della schizofrenia. Le allucinazioni uditie non sono le uniche allucinazioni nello
schizofrenico.

Allucinazioni visive: sono poco frequenti; per lo più sono caratterizzate dalla visione di figure umane, di
personaggi soprannaturali; il paziente può vedere il suo pensiero scritto oppure oggetti religiosi disegnati
sui muri.

Allucinazioni dismegalopsiche: allucinazioni visive in cui il percepito allucinatorio è costituito da oggetti


notevolmente ingranditi o rimpiccioliti rispetto al normale.

DISTURBI DELLA SENSO-PERCEZIONE

• Disturbi dell’intensità della percezione.


• Ipo/Iperestesia: diminuizione/amplificazione dell’intensità degli stimoli in assenza di lesioni agli
organi di senso.
• False percezioni.
• Illusione: alterata interpretazione di stimoli sensoriali reali che comporta la percezione di un
oggetto differente da quello reale.
• Allucinazione: percezione senza oggetto, con carattere di corporeità.

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• Pseudo-allucinazione: percezione avvertita nello spazio soggettivo interno senza una collocazione
esterna.
• Allucinosi: percezione allucinatoria di cui il soggetto è in grado di riconoscere la natura patologica
non accettandola come percezione reale.

DISTURBI DELLA COSCIENZA

Dal latino com scio, conosco con (con me stesso o con qualcuno), è un termine dai molti significati, che può
indicare:

• Un sistema di valori morali (“fare un esame di coscienza”).


• Una particolare sensibilità ad alcuni temi (“avere una coscienza di classe”).
• Un comportamento scrupoloso (“ha agito con coscienza” o al contrario “guida come un
incosciente”).
• L’approccio alla realtà (“la presa di coscienza”).
• La capacità di introspezione (“avere coscienza dei proprio limiti”).
• L’animo umano nella sua totalità (è questo, con tutte le possibili sfumature, il significato datole
dalla filosofia)
• Eccetera..

La coscienza può essere considerata lo stato di consapevolezza di sé stessi, del proprio mondo interno, del
proprio corpo e dell’ambiente esterno. E’ consapevolezza dell’esistere in quel dato istante, che fa
riconoscere il continuum della vita mentale e della realtà. L’attività della coscienza garantisce la possibilità
di processi di giudizio, discriminazione, scelta e quindi anche la collocazione dell’esperienza nell’ambito
dell’ orientamento temporo-spaziale. Le dimensioni della coscienza sono:

- Vigilanza (veglia): facoltà di rimanere deliberatamente svegli; è fluttuante ed è favorita


dall’interesse, dall’ansia, dalla paura, dalla gioia e da adeguati stimoli ambientali.
- Lucidità: capacità di dirigere l’attenzione su contenuti chiaramente delineati e ovviamente
presuppone la vigilanza.
- Coscienza di Sé: capacità di avere esperienza e consapevolezza di sé stessi in uno stato di veglia
completa e di lucidità.

Si distinguono:

➢ disturbi dello stato di coscienza

➢ disturbi della coscienza dell’Io

Disturbi dello stato di coscienza

Lo stato di coscienza rappresenta la somma degli effetti dei vari processi psichici vissuti dal soggetto in un
determinato momento. I disturbi ad esso correlati dipendono da diminuzioni

• della capacità di orientamento nel tempo, spazio-temporale (capacità di collocare correttamente in


parametri temporali, spaziali e personali i contenuti di coscienza)

• della lucidità dello stato di coscienza (chiarezza e precisione dei contenuti osservabili
coscientemente)

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• dell’ampiezza del campo di coscienza (intesa come capacità di essere consapevoli di un esteso
numero di contenuti e parametri situazionali presenti in quel momento).

Alterazioni quantitative dello stato di coscienza: la coscienza può essere considerata un continuum dalla
piena consapevolezza fino al coma.

Ampliamento dello stato di coscienza: sentimento soggettivo, condizione di aumentata consapevolezza in


cui esiste una sensazione di più ricca percezione, di maggiori capacità intellettive e mnesiche. Si può
verificare in condizioni psicotraumatiche, in stati tossici indotti da psicostimolanti e in episodi maniacali.

Alterazione ipnoide della coscienza: il soggetto mantiene la distinzione tra realtà e fantasia ed è in grado di
distinguere sé stesso dal mondo esterno, tuttavia è rallentato nelle azioni e impacciato nell’eloquio.
Innalzamento della soglia di coscienza, ottundimento, sopore. E’ conservata la reazione di evitamento degli
stimoli dolorosi. Si verifica in seguito ad intossicazione da sostanze con effetto depressogeno sul sistema
nervoso centrale, traumi cranici, tumori, epilessia, infezioni, disturbi cerebrovascolari, disturbi metabolici o
stati tossici. È normale nell’addormentamento e compare nelle patologie organiche.

Alterazione onirica della coscienza: destrutturazione con perdita delle capacità di discriminare tra realtà e
fantasia. Compare in stati confusionali su base organica e in stati confusionali psicotici (maniacali,
melanconici, schizofrenici).

Alterazione oniroide della coscienza: il soggetto, pur essendo in grado di orientarsi nel tempo e nello
spazio, perde la capacità di discriminare tra realtà e fantasia. Vi è un’ abbondante produzione delirante-
allucinatoria mescolata ad esperienze di realtà. La reazione affettiva può essere più o meno adeguata ai
contenuti delle fantasie. Si può associare sia a stati organici che a condizioni dissociative non organiche.

Stato crepuscolare o Alterazione crepuscolare della coscienza: interruzione della continuità della
coscienza. Il campo di coscienza è ristretto, circoscritto e focalizzato solo su alcuni eventi, idee o temi
affettivi. Il contatto con la realtà è compromesso e può esservi disorientamento temporo-spaziale, spesso
si associa a stati onirici, deliri o allucinazioni. Compare in relazioni da stress, gravi eventi traumatici, traumi
cranici, epilessia temporale e disturbi dissociativi.

Sonnambulimo: comportamenti motori notturni, stadio 3-4 del sonno NREM.

Stato Confusionale Acuto o Delirium: stato confusionale acuto ad insorgenza rapida, di durata transitoria,
con fluttuazioni giornaliere e ridotta capacità attentiva. Il Delirium è caratterizzato da: pensiero
disorganizzato e incoerente, tendenza all’addormentamento, disturbi della percezione (illusioni,
allucinazioni), disturbi del ritmo sonno-veglia, variazione nell’attività psicomotoria, disorientamento spazio-
temporale, deficit mnesici di fissazione e di rievocazione, affettività labile.

In senso progressivo troviamo:

Obnubilamento della coscienza o del sensorio: scadimento della coscienza, lieve sonnolenza con o senza
agitazione e difficoltà di attenzione e concentrazione. È quindi una lieve diminuizione della chiarezza della
coscienza, con sonnolenza, difficoltà attentive e di concentrazione. Si verifica di solito in corso di alterazioni
organiche (tumori cerebrali, traumi cranici, aumento della pressione endocranica). Come componente del
deficit cognitivo si può manifestare in corso di schizofrenia.

Torpore: tendenza a cadere nel sonno se non sollecitati da stimoli di media intensità, con attenuate
reazioni di evitamento di stimoli dolorosi.

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Sopore: soggetto incosciente, risvegliabile solo con stimoli intensi, ad esempio pizzicandolo o pungendolo

Coma: il soggetto non ha risposte verbali o reazioni a stimoli dolorosi assente la corretta risposta di
postura. I riflessi e il tono muscolare sono fortemente ridotti; la respirazione è lenta, profonda, ritmica, il
volto e la cute possono essere arrossati. Gli stadi del coma sono identificabili attraverso differenti segni
fisici. Soggetto incosciente e non risvegliabile. È una condizione di assenza di coscienza.

Livelli di coscienza:

- SVEGLIO: vigile e consapevole;


- SONNOLENTO: facilmente risvegliabile e consapevole;
- TORPIDO: risvegliabile con difficoltà, ridotta consapevolezza;
- COMATOSO: non risvegliabile e non consapevole;
- STATO VEGETATIVO: vigile, ma non consapevole.

Disturbi della coscienza dell’Io

È il modo in cui l’Io prende consapevolezza di sé stesso.

Disturbi della consapevolezza dell’attività: la consapevolezza del movimento può essere alterata nelle
esperienze di passività (“la mia mano è mossa da qualcun altro”), indicative di uno stato psicotico, ma
anche in situazioni non psicotiche, come nello stato pre-lipotimico di un paziente affetto da un attacco di
panico.

Disturbi della consapevolezza dell’unità: in condizioni non patologiche, come nell’attività onirica o in
alcune forme di meditazione profonda, una persona può vedere sé stessa mentre svolge un’azione,
perdendo così il sentimento di unità tra percepito e agito. Le condizioni cliniche patologiche nelle quali
l’unità si perde sono:

• Disturbo dei confini: disturbo della capacità di discernere dove finisce l’Io e dove comincia il non Io.
Oltre che nei disturbi schizofrenici, si verifica tipicamente nell’intossicazione da alcune sostanze
(LSD e allucinogeni in genere).
• Depersonalizzazione: cambiamento peculiare nella coscienza dell’ Io caratterizzato da una
sensazione soggettiva di irrealtà e di estraneità da se stessi. Si può distinguere:
o Depersonalizzazione autopsichica: il sentimento di estraneità riguarda il mondo mentale;
o Depersonalizzazione somatopsichica: il cambiamento riguarda il corpo o parti di esso;
• Derealizzazione: il sentimento di estraneità viene riferito nei confronti del mondo esterno

DISTURBI DELL’INTELLIGENZA

Il costrutto di intelligenza è molto complesso, esistono diverse teorie relative all’intelligenza, pertanto la
definizione di intelligenza non è univoca, esistono tantissime definizioni proveniente dal senso comune, da
medici e psicologi, dagli studiosi di intelligenza artificiale. Queste definizioni si diversificano sulla base degli
aspetti che ne vengono evidenziati, sulla base delle teorie di riferimento. Etimologicamente la parola
intelligenza deriva dall’avverbio latino intus = dentro, associato al verbo latino legere = leggere. Quindi
intelligenza significa leggere dentro, comprendere la realtà in profondità. La definizione che trova più
accordo tra gli studiosi è: “La capacità di produrre un comportamento adattivo e funzionale al
raggiungimento di uno scopo”. Un comportamento che affronti con successo le sfide dell’ambiente e che
permetta di realizzare gli scopi prefissati. È la capacità di attuare un comportamento che permetta di

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risolvere con successo le sfide (soluzione di problemi) proposte dall’ambiente (adattamento) e di
raggiungere gli scopi prefissati (definizione di obiettivi).

L’intelligenza può essere considerata come la capacità generica (disposizione, attitudine, modalità di
efficienza o abilità) di utilizzare, in modo adeguato allo scopo, tutti gli elementi del pensiero necessari a
riconoscere, impostare e risolvere adeguatamente nuovi problemi. In quest’ottica l’intelligenza può essere
definita come la capacità di capire, richiamare alla memoria, mobilizzare ed integrare costruttivamente
apprendimenti precedenti, quando si è posti davanti a nuove situazioni.

Gardner (1983) INTELLIGENZE MULTIPLE

• Linguistica (significato e abilità nelle funzioni del linguaggio).


• Musicale (significato di una serie di suoni organizzati ritmicamente).
• Logico-matematica (operare su simboli e parole stabilendo rapporti e regole).
• Spaziale (percepire forme in diversi contesti)
• Corporeo-cinestetica (usare il corpo per fini espressivi e pratici).
• Intrapersonale (capire se stessi e i propri sentimenti).
• Interpersonale (comprendere le intenzioni altrui e influire su di essi).

L’intelligenza può essere definita come la capacità di cogliere i nessi tra i vari momenti dell’esperienza. È un
processo:

- attivo;
- legato al funzionamento SNC;
- basato sulle capacità di trasformare la realtà in rappresentazioni mentali, stabilendo rapporti
sempre più complessi ed astratti.
- connesso con aspetti emotivi ed affettivi (integrazione tra conoscenza e affettività).

INTELLIGENZA EMOTIVA

Gli ambiti in cui l’intelligenza emotiva si esplica sono:

o Capacità di insight: conoscere le proprie emozioni, cioè autoconsapevolezza emotiva e capacità di


auto-osservazione.
o Controllo e regolazione delle emozioni: appropriatezza nell’espressione e nel vissuto emotivo.
Evitare il “sequestro emotivo” (essere dominati dalle emozioni).
o Capacità di sapersi motivare e quindi costruire strategie congrue al raggiungimento delle proprie
mete.
o Capacità di tollerare le frustrazioni e di posporre le gratificazioni.
o Capacità empatica: riconoscimento e partecipazione, qualitativa ma non quantitativa, alle emozioni
altrui.
o Capacità di gestione delle relazioni sociali fra individui e nel gruppo.

L’intelligenza emotiva riguarda sia il Sé che il sociale. Riguarda la capacità di avere consapevolezza di sé,
quindi di avere un auto-coscienza emotiva e di saper fare un auto-valutazione accurata, ma anche del
sociale, cioè avere una consapevolezza organizzativa e un orientamento al servizio. L’intelligenza emotiva
concerne anche il nostro modo di autogestire le nostre capacità (quindi essere affidabili, coscienziosi,
adattabili, capaci di raggiungere obiettivi, capaci di spingersi verso il successo e capaci di iniziativa), ma

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riguarda anche la gestione delle relazioni, la capacità di rapportarsi con gli altri, di costruire legami, di
lavorare in gruppo e di collaborare.

Lo scopo principale dello studio dell’intelligenza in campo psicologico consiste nel misurare, e
conseguentemente spiegare, le differenze individuali nelle capacità intellettive.

Misurare l’intelligenza

L’intelligenza non è osservabile direttamente, quindi per misurarla è necessario fare riferimento a
comportamenti osservabili che permettono di quantificare l’intelligenza. Chiaramente questi
comportamenti vengono osservati in risposta a situazioni create ad hoc che non sono altro che i test, gli
strumenti più diffusi per misurare l’intelligenza. Esistono tanti strumenti per valutare l’intelligenza, tali
strumenti sono stati creati in relazione alle teorie di riferimento relative all’intelligenza.

L’intelligenza è considerata un fattore misurabile tramite l’utilizzo di test. Stern voleva una misurazione
dell’intelligenza che potesse essere usata per confrontare direttamente le persone. Da qui il concetto di
quoziente di intelligenza (QI), che esprime il rapporto tra età mentale ed età cronologica, espresso dalla
formula

QI = età mentale/età cronologica x100

La scala Stenford-Binet: versione modificata da Terman della scala di Binet (1916). La standardizzazione
determina quali prove corrispondono a quali età mentali.

Wechsler Adult Intelligence Scale (WAIS) (1939, 1981).

Quindi l’intelligenza “si può” misurare tramite la nozione di QI, e quindi tramite test d’intelligenza
standardizzati
standardizzati: procedimento per stabilire le norme di riferimento.
campione di standardizzazione: campione rappresentativo della popolazione di riferimento.

Nella psicopatologia della funzione intellettiva si annoverano

• le conseguenze della mancata acquisizione di un’organizzazione strutturale e funzionale,

• le conseguenze della sua disorganizzazione

rispetto a livelli già raggiunti di buon funzionamento intellettivo.

Alterazioni dell’intelligenza causate da un danno organico cerebrale

Ritardo mentale: funzionamento intellettivo globale al di sotto della media (prendendo in considerazione
valori di riferimento del QI), che si manifesta precocemente nel bambino nel corso dello sviluppo (esordio
prima dei 18 anni) e che comporta delle importanti limitazioni nelle capacità di adattamento (efficienza,
indipendenza, responsabilità) valutati in relazione all’età, al livello culturale e all’ambiente sociale. Spesso
l’insufficienza mentale si associa a patologie internistiche, neurologiche e a manifestazioni psicopatologiche
(aggressività, scarso controllo degli impulsi, alterazioni affettive e percettive). Il ritardo mentale è distinto in
quattro stadi di gravità correlati al QI del soggetto:

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• ritardo mentale lieve: QI da 50-55 a 70; rappresenta l’85% di tutti i ritardi. Riguarda individui
pressoché autosufficienti che possono vivere da soli e che necessitano soltanto di un minimo
sostegno sociale.
• ritardo mentale moderato: QI da 35-40 a 50-55. Queste persone possono svolgere un lavoro e
avere cura di se stessi, ma hanno bisogno di un ambiente protetto.
• ritardo mentale grave: QI da 20-25 a 35-40. Le limitate capacità di comunicazione e della cura di sé
necessitano di un’assistenza continua.
• ritardo mentale gravissimo: QI inferiore a 20-25. Si tratta di soggetti con gravi patologie organiche.

Demenza: è il deterioramento progressivamente ingravescente di più funzioni cognitive già formate (fasica,
gnosica, pratica), che coinvolge sempre la memoria con conseguente compromissione socio-lavorativa e
deficit contemporaneo delle altre funzioni psichiche (disturbi dell’umore, dell’attenzione, della
psicomotricità, della comprensione, della critica e del giudizio nonché modificazioni della personalità). La
demenza va distinta dal processo di invecchiamento fisiologico; quest’ultimo è dovuto al progredire dell’età
in senso sia cerebrale che mentale ma non sembra che comporti una riduzione del continuum esistenziale,
biologico, psichico e sociale dell’uomo. Nella demenza la compromissione cognitiva può esordire in modo
subdolo e seguire un andamento di tipo lineare e continuo (come nella malattia di Alzheimer), oppure
progredire secondo tappe successive di incremento del deficit, il cosiddetto“deterioramento a gradini”
(come nella demenza multiinfartuale: MID).

Pseudodemenza: stato transitorio di regressione dei livelli cognitivi precedentemente acquisiti, che può
verificarsi, in particolar modo, in corso di disturbi dell’umore o d’ansia. Nell’anziano ripetuti episodi
depressivi di tipo pseudodemenziale possono portare gradualmente ad un effettivo e progressivo
deterioramento cognitivo.

VOLONTÀ E PSICOMOTRICITÀ

Volontà: facoltà di decidere consapevolmente il proprio comportamento per raggiungere un determinato


fine. L’atto di volontà ha quindi un obiettivo conscio, la consapevolezza dei mezzi utili al suo
raggiungimento e delle sue conseguenze.

Le alterazioni psicopatologiche della volontà più rilevanti e frequenti sono:

• Abulia: riduzione dell’attività e dei comportamenti motivati accompagnati quindi da un diminuito


impulso ad agire e a pianificare l’azione.
• Apatia: riduzione o assenza di reazioni e di risposte di qualunque tipo agli stimoli esterni; si associa
spesso all’ abulia si trova nei disturbi depressivi maggiori, nelle schizofrenie.
• Adinamia: perdita di energie, forze e spinta ad agire.

Il comportamento psicomotorio:

• l’espressione (mimico, gestuale, etc.) della vita di relazione e del mondo affettivo-pulsionale
dell’individuo;
• rappresenta i molteplici aspetti della vita psichica (impulsi, motivazioni, scopi, istinti, bisogni,
desideri, volontà, sentimenti) con cui è sempre in stretta correlazione.
• E’un’attività diretta a un fine o al soddisfacimento di un bisogno determinata da un’attivazione
indotta da uno stato fisiologico interno, da uno stimolo esterno o da una rappresentazione
derivante dall’apprendimento o dall’esperienza.

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• Il comportamento umano è una realtà complessa, caratterizzata dall’integrazione di diverse
funzioni: volontà, attività e motivazione.

Alterazioni qualitative

Impulso: è un atto o una spinta non programmata ad agire; è un atto incoercibile, verbale o fisico non
finalizzato ad un particolare obiettivo.

Acting out: è la messa in atto impulsiva di desideri o fantasie inconsce al fine di evitare affetti dolorosi.

Raptus: è un impulso rapido ed improvviso che conduce il soggetto, non cosciente, a compiere azioni
perlopiù violente ed aggressive.

Eccitamento o agitazione psicomotorio: aumento dell’ attività psicomotoria che può manifestarsi con
diverse modalità: irrequietezza motoria di vario grado, attività fisica incoordinata, eccessiva produttività
verbale e aggressività associata. Si può ritrovare nella mania, negli stati confusionali (sindromi tossiche,
quadri psicoorganici, oligofrenie), si associa ad elevata aggressività fino ad arrivare a delle vere e proprie
crisi pantoclastiche.

Rallentamento psicomotorio o Acinesia: diminuzione dell’attività motoria (lentezza nelle azioni)


dell’attività cognitiva spesso associata ad un rallentamento del pensiero. Tipica della malattia depressiva
grave, si ritrova anche in sindromi schizofreniche e psicorganiche.

Stupor o Arresto psicomotorio: manifestazione più grave del rallentamento psicomotorio; consiste in uno
stato di immobilità in cui il soggetto non risponde agli stimoli pur presentantando uno stato di coscienza
vigile. Si associa a mutacismo, alterazione del controllo degli sfinteri (incontinenza/ritenzione) e rifiuto del
cibo (sitofobia).

Catatonia: stato di arresto psicomotorio caratterizzato da un aumento del tono muscolare a riposo, con
tensione persistente di alcuni gruppi muscolari (rigidità muscolare) e con l’assunzione di atteggiamenti
imposti, inappropriati e bizzarri (posture catatoniche).

Catalessia (flexibilitas cerea): stato di immobilità senza reazioni né resistenza plastica ai movimenti passivi;
ciò permette di far assumere al soggetto posizioni corporee, anche scomode, che vengono mantenute per
lungo tempo (“la muscolatura del soggetto può essere modellata come la cera”). E’ presente nella
schizofrenia ma anche in quadri psicorganici

Cataplessia: caduta a terra del paziente causata da un’improvvisa e rapida riduzione o perdita del tono
muscolare antigravitario. Si ritrova nella narcolessia (attacchi di sonno), in particolari reazioni da stress e
nella schizofrenia.

Astasia, Abasia: grossolana alterazione dell’equilibrio non giustificata da alcuna lesione organica. La
deambulazione è alterata e bizzarra a causa dell’incapacità di mantenere la stazione eretta. E’ considerata
un sintomo da conversione nell’isteria.

Acatisia: sensazione soggettiva di irrequietezza motoria; il paziente sente la necessità di muoversi di


continuo. Si verifica in corso di disturbi ansiosi; è anche un comune effetto collaterale dei farmaci
neurolettici.

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Movimenti coreici: sono involontari, aritmici ed irregolari,cambiano ampiezza e sede e riproducono
l’abbozzo di un movimento intenzionale o mimico ma senza alcuna finalità. Sono presenti a riposo e si
accentuano durante un atto motorio volontario.

Tic: movimenti involontari che interessano gruppi di muscoli sinergici in più parti del corpo, soprattutto a
livello del volto o del collo (ammiccamenti, scuotimenti del capo). Sono bruschi, stereotipati ed iterativi.
Mimano movimenti volontari pur essendo afinalistici; scompaiono nel sonno e sono facilitati dalle emozioni
sono variabili nella loro manifestazione clinica; possono avere periodi di remissione e di riacutizzazione e in
parte possono essere controllati dalla volontà.

Balbuzie: disturbo dell’articolazione della parola dovuto ad uno spasmo intermittente dell’apparato
fonatorio, per cui l’eloquio si presenta esitante, tronco o con ripetizioni. Tende ad accentuarsi in particolari
situazioni di impegno emotivo (esami, situazioni frustranti,…), mentre si attenua in circostanze in cui il
linguaggio è automatizzato (canto, gioco,...).

Tremore: oscillazione ritmica, involontaria che un segmento corporeo descrive intorno alla sua posizione di
equilibrio, dovuto alla contrazione alternante dei muscoli agonisti ed antagonisti. Può manifestarsi a riposo
(m. Parkinson), come tremore d’azione (patologie cerebellari) o durante il mantenimento di posture (stati
ansiosi, ipertiroidismo, quadri tossici da sali di litio o da antidepressivi triciclici o da valproato, neuropatie
periferiche).

Mioclonie: contrazioni muscolari rapidi e brevi, involontari,che possono anche determinare uno
spostamento di un segmento corporeo. Possono essere bilaterali, sincroni e non, isolate o a grappolo e
sono più evidenti a livello dei muscoli flessori degli arti e al volto. Sono frequenti nell’epilessia.

Movimenti distonici: contrazioni involontarie lente e prolungate che impongono ad un segmento corporeo
movimenti e posture abnormi inizialmente intermittenti e poi continue (blefarospasmo, torcicollo
spasmodico, crampo dello scrivano).

Alterazioni quantitative

Negativismo: tendenza contraria, ossia una resistenza motoria e psichica a stimoli esterni (domande,
richieste, consigli). Distinguiamo un negativismo passivo, in cui il soggetto si oppone completamente
all’esecuzione di qualsivoglia movimento, e un negativismo attivo o contrario in cui si osserva l’esecuzione
dell’azione contraria a quella richiesta. Si riscontra nella schizofrenia, nella depressione grave e in sindromi
psicorganiche.

Automatismo: il soggetto esegue in modo acritico qualunque ordine o richiesta, senza considerare il
significato o le conseguenze di tale azione. Spesso si associa ad un automatismo di imitazione che consiste
nel:

- Ecoprassia: ripetizione di movimenti/azioni di qualcuno senza richiesta;


- Ecolalia: ripetizione di parole e frasi ascoltate;
- Ecomimia: riproduzione della gestualità. L’automatismo è presente nelle schizofrenie (in
particolare nella catatonica) e in quadri psicorganici.

Stereotipie: sono dei comportamenti motori, vocali, grafici ripetuti anche per lungo tempo privi di
un’apparente significato o finalità. Si verifica di frequente nelle schizofrenie.

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Manierismi: sono espressioni mimiche o gestuali che possono ripetersi iterativamente, adeguati al
significato, ma compiuti in modo goffo, artefatto, esasperato.

Bizzarrie: comportamenti stravaganti con significato allusivo e coinvolgente, nelle quali lo scopo e il senso
del movimento sono appena abbozzati.

PERSONALITA’, TEMPERAMENTO, CARATTERE

Si intende per personalità l’organizzazione dinamica individuale di sistemi psicofisici che determinano gli
adattamenti specifici all’ambiente. La personalità è il realizzarsi del processo della vita in un individuo
libero, socialmente integrato e psicologicamente consapevole. Nell’ottica del modello biopsicosociale di
Cloninger rappresenta la sintesi tra temperamento e carattere.

Il TEMPERAMENTO è:

• Ereditabile
• Interamente manifesto fin dall'infanzia
• Stabile per tutta la durata della vita

Il CARATTERE è una componente della personalità definita come “debolmente ereditabile e primariamente
influenzata dall’apprendimento sociale, dalla cultura e dagli eventi di vita unici per l’individuo”.

COLLOQUIO CLINICO

Le basi della Relazione

Colloquio: conversazione fra 2 o più individui.. non è un rituale, si invita una persona a parlare di sé. Si
rivolge alla realtà psichica di chi ci sta di fronte e, come tale, non può corrispondere solo alla raccolta
anamnestica o all’esame obiettivo propriamente detto.

“Ogni volta che 2 persone si incontrano ci sono in realtà 6 persone presenti. Per ogni uomo ce c’è:

- Una per come egli stesso si vede;


- Uno per come lo vede l’altro;
- Uno per come egli realmente è.”

Occorre distinguere il colloquio intrapreso da uno psichiatra/psicologo/psicoterapeuta da quello di un


investigatore, giudice o storico.. si indaga sempre una realtà.. per noi in primo luogo quella psichica.

Le fasi del colloquio clinico

• Raccolta delle informazioni preliminari;


• Accoglienza e riconoscimento;
• Analisi della domanda;
• Raccolta delle informazioni;
• Resoconto e restituzione.

Grado di strutturazione del colloquio: è il grado di predeterminazione dello scambio comunicativo. Si


possono distinguere:

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1) Intervista strutturata.
2) Intervista semistrutturata.
3) Colloquio orientato.
4) Colloquio clinico.

Il colloquio clinico è una tecnica di osservazione del comportamento umano che ha lo scopo di
comprendere e aiutare il paziente.

Diversi tipi di colloquio

Classificazione varia a seconda degli approcci teorici e dell’organizzazione del lavoro:

- Colloquio iniziale (inquadrare il caso);


- Colloquio terapeutico (trattamento dei disturbi psicologici).

Il colloquio clinico predilige:

• Un basso grado di strutturazione del colloquio;


• Un polo di centratura sull’intervistato;
• Una modalità di conduzione non direttiva;
• Uno stile di conduzione consultivo o partecipativo;
• Una focalizzazione su ciò che il soggetto dice, su come lo dice e sulle modalità relazionali.

La paura che il paziente possa mentire ci può spingere alla ricerca della “realtà obiettivata” della verità. Ciò
che è importante è che quella storia per quanto menzognera ci parla del paziente e per quante bugie
racconti non è in grado di spersonalizzarsi a tal punto da non dirci nulla di sé stesso. Si può mentire sulla
realtà esterna ma non su quella intrapsichica. Focalizzando l’attenzione su questa realtà e, superando le
difese psichiche che si oppongono a conoscerla, riusciremo non solo a capire il paziente, ma anche a
trasmettergli un sentimento di profondo rispetto. Il colloquio è dunque lo strumento che noi utilizziamo per
comprendere com’è fatta la mente del paziente.

Obiettivi del colloquio

• Valutazione del funzionamento mentale, comprensione della realtà psichica. Si favorisce l’alleanza
terapeutica disponendo il paziente alla collaborazione e al dialogo.
• Raccolta dei dati clinici indispensabili per fare diagnosi, prognosi e terapia del disturbo psichiatrico
attraverso la fenomenologia descrittiva: segni, sintomi e decorso clinico (scopo diagnostico).

Prerequisiti per il colloquio

• Disponibilità: flessibilità, accoglienza, mettersi dalla parte del paziente per tuttavia colludere con i
suoi atteggiamenti patologici. Ciò favorisce la comunicazione.
• Interesse e attenzione per la realtà offerta dal paziente che in questo modo si sente preso sul serio.
• Stile personale del colloquio: fondere la proprio tecnica con quella del colloquio elaborando così
uno stile comunicativo che consente al paziente di sentire che ha davanti una persona disponibile,
provvista di mezzi tecnici tali da facilitargli l’espressione di sé stesso e dei propri vissuti, compito
sicuramente non facile.
• Coscienza del proprio stile comunicativo.
• Curiosità non invadente, discreta e tollerante.

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• Capacità di essere attivamente neutrali: atteggiamento che fa si che ci “tiriamo da parte” lasciando
il paziente libero di esprimersi quanto meglio può.
• Evitare di avere degli atteggiamenti che possano far sentire frustrato il paziente (eccessiva autorità
o rigidità).
• Cercare di non instaurare dei comportamenti “sadici” che facciano sentire il paziente “torturato”
(curiosità invadente, mancanza dell’attesa dei tempi più adeguati).
• Capacità di utilizzare in modo immediato le informazioni derivanti dal primo colloquio. Per questo
occorre:
o Intuizione: conoscenza sintetica e pre-logica che favorisce la capacità di entrare in relazione
con l’altro.
o Intelligenza: rapido riconoscimento ed organizzazione logica delle informazioni acquisite. Si
basa sulla capacità di osservazione.
• Partecipazione affettiva: è indispensabile per la trasmissione di stati d’animo non definibili a parole.
• Riflessione: operazione del pensiero che permette di rendere consapevoli e valutabili i principali
processi intrapsichici.

La domanda da farsi è: siamo in grado di ascoltare?

Basi della relazione

Per noi è importante chi abbiamo davanti e non “cosa” abbiamo davanti..

Analisi della comunicazione verbale

• Il linguaggio che si adopera durante un colloquio è quello del paziente.


• È fondamentale conoscere il vocabolario, il lessico e lo stile del discorso del paziente.
• L’utilizzo da parte del paziente e dell’operatore di un linguaggio pseudo-tecnico non è altro che un
uso finalizzato al distanziamento emotivo.
• La comunicazione verbale è un fattore fondamentale della relazione e si costituisce sia attraverso
la parola, sia attraverso i silenzi.
• Il silenzio, ad esempio, può indicare un rifiuto, un’inibizione oppure una manifestazione attiva di
sfida o di ostilità.
• Il contenuto (concetti espressi) e la forma (modalità con cui esprime i concetti) dei discorsi del
paziente deve essere studiata per poter stabilire un’alleanza terapeutica e trovare una vita
d’accesso alla conoscenza della personalità del paziente.
• Occorre dare importanza ed interpretare anche i simboli (oggetto concreto, abbigliamento,
immagine) e segni (pallore, tremore talvolta anche in chiave simbolica) usati dal paziente per
comunicare.
• Il paziente si esprime e comunica mediante il suo corpo e, per mezzo di questo, mediante il
comportamento e l’abbigliamento. Il corpo viene considerato come:
o Corpo – Organismo: è un dato di natura ed è valutato secondo l’anatomia e la
fisiopatologia;
o Corpo – Schema Corporeo : percezione unitaria del proprio corpo nello spazio e nei
rapporti dei vari segmenti corporei fra loro.
o Corpo – Immagine di Sé: prospettiva psicologica che delinea in modo caratteristico ed
irrepetibile un essere umano. La persona è l’immagine che un soggetto dà di sé stesso

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mediante il suo corpo: è il modo in cui l’Io si manifesta. L’immagine interna non coincide
spesso con quella esterna.
o Corpo – Vissuto: è considerato come una qualità essenziale della presenza umana
attraverso la quale medico e paziente possono fare esperienza l’uno dell’altro. Da come
l’uomo vive il proprio corpo si capisce il rapporto di coscienza che ha con sé stesso e con il
proprio mondo. Il corpo rappresenta l’Io e il vissuto del corpo si connota in due polarità:
essere corpo e avere un corpo.
L’immagine di sé è la forma con cui immediatamente e sinteticamente un paziente si presenta al
medico. Dell’immagine di sé fa parte il comportamento e l’abbigliamento:
Il comportamento è la modalità di azione e di relazione del soggetto; da questo possiamo capire il
suo rapporto con la realtà esterna. Occorre valutare se il comportamento è dotato di un finalismo,
persegue cioè uno scopo, di adeguatezza al contesto, di pertinenza rispetto alle caratteristiche del
soggetto e di continuità e prevedibilità. Il linguaggio del corpo ci mostra l’affettività e le
disposizioni inconsce. Il comportamento comunica gli aspetti relazionali di una personalità, le sue
intenzioni, il modo di interagire con gli oggetti del mondo esterno. Occorre tener presente:
o Comportamento di base: descrive come sta un soggetto in una determinata
situazione. È quello assunto nei pochi istanti che precedono l’incontro.
o Comportamento di risposta: rivela come reagisce un soggetto e quindi il tipo di
rapporto che ha con la realtà esterna.
o Comportamento di azione: illustra come agisce un soggetto. Ci consente di valutare
la modalità con cui manifesta le sue intenzioni e organizza in modo coordinato i
suoi movimenti per raggiungere un determinato obiettivo.

Il corpo fissa la realtà nei suoi parametri spazio-temporali ed oggettuali, inoltre stabilisce i
confini dell’Io. Esso è rappresentante dell’Io, ma l’Io trascende sempre il corpo esattamente
come la personalità trascende la persona. Diventa la sede delle istanze inconsce e quindi è
chiara l’importanza del linguaggio del corpo.
L’analisi del comportamento è fondamentale in quando la patologia psichiatrica è
soprattutto patologia del comportamento:

- Ossessività del DOC;


- Iperattività della mania;
- Arresto psicomotorio della catatonia;
- Rallentamento della depressione;
- Agitazione psicomotoria, perlopiù a-finalistica, della demenza.
L’abbigliamento è un’altra forma di comunicazione non verbale che dispone di corpo, simboli e
segni. È un segno di differenziazione, di distinzione, di qualificazione e rafforzamento della propria
identità personale. L’abito è una forma di corporeità voluta e assolve il compito di manifestare e
rappresentare l’Io cosciente. L’abito supera la limitatezza corporea e denota l’investimento
affettivo che il soggetto fa sul proprio corpo:
o Valore del corpo nell’adolescenza;
o Trascuratezza del depresso e dello schizofrenico;
o Policromia e abbondanza di particolari nel maniacale;
o Occorre valutare l’adeguatezza, il finalismo, l’opportunità, la pertinenza e
l’armoniosità nonché l’appartenenza.

CONSIGLI PER IL COLLOQUIO

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• Comunicare il modo aperto: dopo aver salutato il paziente, lasciare che per i primi 15 minuti sia
libero di parlare e di raccontare la sua storia. In seguito si può intervenire con una domanda aperta
del tipo: “qual è i problema che l’ha portata da me?” oppure “come posso essere d’aiuto?”. Se il
paziente è particolarmente teso o imbarazzato sarebbe più opportuno utilizzare un colloquio più
strutturato formulando domande emotivamente neutre a cui non è difficile rispondere.
• Fase successiva: domande specifiche. Per poter comprendere il disagio del paziente, occorre
formulare delle domande più mirate:
o “Sente e vede delle cose che gli altri non vedono?” (..capire se il paziente è psicotico);
o “Si sente in pericolo?” (può rivelare un delirio persecutorio).
• Definire la cronologia della malattia: il decorso delle malattie mentali è importante quanto i
sintomi, è necessario porre delle domande che indaghino più approfonditamente la storia della
malattia.
o “Quando sono cominciati i sintomi?”;
o “La malattia è stata presente in maniera continua, fluttuante oppure si è presentata in
maniera episodica?”;
o “Gli interventi terapeutici hanno modificato il decorso?”;
o “È migliorato o peggiorato?”.
• Disponibilità e rispetto: l’intervistatore non deve mai offendere il paziente né prenderlo in giro.
Occorre fare attenzione allo stato emotivo del paziente; alcune domande che suscitano rabbia,
ansia, tristezza o pianto possono aiutare il paziente a comunicare meglio ma occorre evitare che sia
sopraffatto dall’emozione. Nel caso in cui il paziente non collabori, non è opportuno insistere,
tantomeno arrabbiarsi con lui. In queste situazioni la soluzione migliore è rimandare il colloquio.

LA CORNICE DEL COLLOQUIO

Il luogo è importante che ci sia una stanza decente e dignitosa, con aperture verso l’esterno (finestre) e
possibilità di entrare ed uscire (porta). È altrettanto importante che ci sia nel luogo la possibilità di non
essere disturbati o interrotti.

L’arredamento è un qualcosa di materiale che ci presenta al paziente, che “comunica” al paziente aspetti
propri del professionista. Non si tratta solo dei singoli oggetti contenuti nella stanza, piuttosto dell’insieme.
Da un punto di vista pratico un tavolo “semplice”, due comode sedie e una luce diffusa e non fastidiosa
rendono sicuramente l’ambiente più umano.

Anche l’aspetto, l’abbigliamento, l’atteggiamento posturale e la mimica dello psichiatra/psicologo


concorrono a costituire l’immagine che il paziente si farà e quindi come tali vanno conosciuti e considerati.

PRELIMINARI DEL COLLOQUIO

L’appuntamento è già un momento fondamentale, preliminare al colloquio ma è comunque una vera e


propria comunicazione al paziente poiché, in tal senso, è come dirgli che lo si sta prendendo in debita
considerazione. È auspicabile che, se non si tratti di un’urgenza, anche solo il primo contatto, quasi sempre
telefonico, in cui si fissa l’appuntamento venga preso direttamente tra il professionista e il paziente,
possibilmente, senza l’inserimento di terzi.

INIZIO

Presentazioni formali: salutare, dare una stretta di mano e fornire un’indicazione precisa “prego, si
accomodi” sono più che sufficiente per iniziare.

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Inizio:

• Informazioni preliminari: dati che, o attraverso l’appuntamento o tramite altre fonti, spesso si
hanno a disposizione ma.. i dati non sono mai troppi.
• Scelta del tipo di colloquio: libero, semistrutturato, strutturato (guidato).

INIZIO E RICONOSCIMENTO

In questa brevissima parte iniziale il terapeuta ha avuto una serie di informazioni preliminari sul paziente
ma anche il paziente ha avuto informazioni preliminari sul terapeuta. È avvenuto il ri-conoscimento. Le
prime impressioni e fantasie sono per la prima volta soggetta a verifica.

FASE LIBERA

• Tolleranza, discrezione ed empatia.


• Esaminare le aperture tipiche dei pazienti

Il paziente si presenta enunciando i sintomi. Occorre considerare che il sintomo è sempre anche un
comportamento difensivo che l’Io del paziente ha spesso faticosamente elaborato per evitare di essere
invaso da contenuti inconsci intollerabili. Il sintomo deve essere anche considerato in chiave relazionale
ossia che tipo di significato ha quel sintomo in quel dato momento. Può essere un gesto di fiducia o un
attacco aggressivo. Spesso dopo il paziente si ferma e sta in silenzio, ciò può indicare una separazione tra la
sindrome psicopatologica e se stessi come persone. Dopo una prima fase in cui il paziente parla
liberamente, ad un certo punto più o meno implicitamente richiede l’intervento da parte del terapeuta. Il
paziente spesso richiede un intervento precoce: se non si è ancora in grado di fornirlo, si prosegue con la
fase libera, se necessario, guidata da qualche domanda. Il paziente comincia raccontando minuziosamente
la propria storia, si perde spesso i particolari non propri di questa fase, talvolta i racconti ci allontanano dal
punto. È necessario con tatto e umanità interromperlo e fargli intendere che questo meccanismo è
fallimentare per lui stesso. Il paziente comincia parlando del proprio ambiente: lavoro, famiglia, modo di
vivere.. a questo punto la “barca” del colloquio va da sé e la barra del timone viene tenuta da entrambi i
colloquianti tollerabilità o meno che abbiamo di quel paziente.

LIBERE ASSOCIAZIONI

È un momento molto importante perché da qui partono per il paziente delle libere associazioni che ci
spiegano il suo funzionamento mentale quotidiano. Il paziente che riesce a fare delle libere associazioni in
modo naturale e organizzato ha tollerato la frustrazione indotta dalla libertà di parola.

RIFORMULAZIONE/CONFRONTAZIONE

In questa fase, è il tipo di intervento migliore: consiste nel rileggere le affermazioni fatte dal paziente,
stabilendo dei semplici nessi tra un argomento ed un altro, riferendosi comunque ad elementi in
“superficie”. Ha l’effetto di far sentire quanto può essere positiva un’alleanza per capire se stessi. In questa
prima fase, l’interpretazione è uno strumento di difficile utilizzo, perché non ci sono elementi
sufficientemente certi per interpretare un fatto, un sintomo, etc.., è possibile avere un’idea, ma è
necessario essere cauti.

IPOTESI DI LAVORO

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Fase nella quale, attraverso un’ulteriore riformulazione o un riassunto di ciò che è stato detto finora
(lasciando anche spazio ad ulteriori domande) verifichiamo le ipotesi di lavoro (come procede in base a ciò
che abbiamo compreso dal paziente) e ci accingiamo a fare delle proposte al paziente. Nei casi in cui
abbiamo chiaro che il paziente necessita di un trattamento che non rientra nella nostra formazione, lo
inviamo da un collega specializzato per quella patologia (è necessario spiegare al paziente che non si tratta
di un rifiuto). Una situazione delicata è quella in cui si consiglia il ricovero ospedaliero. Occorre spiegare di
cosa si tratta un ricovero, a che serve e a chi può rivolgersi senza precipitare il paziente in infondati
allarmismi.

La fase finale del colloquio va sottolineata con semplici frasi; ad es: “cerchiamo di veder un po’ cosa
possiamo concludere”. Talvolta capita che proprio in questo momento finale il paziente cominci a parlare
delle sue opinioni in merito al trattamento o che tiri fuori qualcosa che, in precedenza, mancava. A questo
punto il paziente, in merito alla nostra proposta, ci fornirà una risposta che comunque, avvenendo nel ‘qui
e ora’ del primo colloquio, va considerata una risposta approssimativa, non definitiva.

Saluto: momento delicato poiché nel paziente si affollano ancora domande, idee, magari sentimenti d
colpa, o di insufficiente. Spesso il paziente è convinto di averci fornito un’immagine insoddisfacente e
quindi potrebbe anche, nei pressi della porta, ricominciare il colloquio. Occorre quindi interromperlo
gentilmente ma fermamente e chiudere il colloquio.

I DISTURBI D’ANSIA DISTURBI D’ANSIA

Stress: il termine si ritiene nato nell’ambito delle scienze fisiche del XVII sec., dagli studi di Hooke sulle
relazioni tra le strutture fisiche (es. ponti) e la capacità di sopportare la pressione di un carico. La bontà di
una struttura in ambito ingegneristico equivale alla capacità di sopportare lo “stress”.

Definizione generale
STRESS: sindrome generale di adattamento dell’organismo alle sollecitazioni

In base a questa definizione lo stress è da considerarsi una risposta generica dell’organismo, tesa a
ripristinare il normale equilibrio perturbato da fattori esterni o interni. Il sintomo non è ancora malattia.

Hans Selye diede la seguente definizione di stress: “Una reazione aspecifica dell’organismo a qualsiasi
stimolo esterno e interno, di tale intensità da provocare meccanismi di adattamento e riadattamento atti a
ristabilire l’omeostasi”.

Lo stress è in agguato, spesso è dentro di noi, è nella realtà che ci circonda, è legato allo stile di vita che si
conduce, al tipo di problema che bisogna affrontare, alla sua gravità, alla concomitanza di altri problemi,
alla percezione che si ha rispetto alla propria capacità di poter avere un controllo sulla realtà. Gli stimoli
possono essere molteplici, indefiniti e imprevedibili, ma la sensazione di non poterli controllare e gestire, la
sensazione che la realtà possa sfuggirci di mano mina la stabilità dell’individuo e lo pone in una situazione
di attesa, di allarme, di ansia che non gli consente di rispondere in modo adattivo e positivo ai problemi.

STRESSORI

• Ambientali: caldo/freddo, rumori strillanti, odori sgradevoli, luci oscillanti, incertezza territoriale,..
• Organici: dolore, fame/sete, traumi fisici, malattie,..
• Psichici: paura/ansia, noia/incertezza, divergenze di valori propri, divergenza ideale/realtà, traumi
psichici (remoti),..

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• Socio-relazionali: senso di respinta, senso di dipendenza, incertezza gerarchica, traumi socio-
culturali,..

CURVA DELLO STRESS

STRESS CRONICO

STRESSOR

Maggiore
Reazione allo
sensibilità allo
stress
stress

Usura su organi
Salute ottimale
e sistemi del
diminuita
corpo

I MODELLI DELLO STRESS

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Le diverse definizioni di stress, come fenomeno dei nostri tempi, non rappresentano modelli alternativi, ma
rispecchiano il processo evolutivo di un fenomeno complesso:

• Modello dello Stimolo: lo stress è qualcosa che ha luogo nell’ambiente e che pone una richiesta
alla persona: carichi di lavoro e richieste della famiglia, cambiamenti, scadenze e bilancio
economico ecc. Secondo questo modello, il concetto chiama in causa le fonti dello “stress”
(richieste esterne): gli agenti stressanti

• Modello della Risposta: quando adottiamo questa prospettiva facciamo riferimento all’esperienza
provata dalla persona. Il modello della risposta riguarda le conseguenze delle richieste poste da
particolari situazioni: si tratta di sintomi comportamentali, emozionali e fisici.

• Modello Transazionale: questa prospettiva concepisce lo stress come una transazione fra la
persona e il suo ambiente, integra cioè lo stimolo e la risposta in un medesimo processo. Il modello
transazionale, detto anche “di processo”, fa appello ad un orientamento fondato sulla “persona nel
contesto”.

Nella vita di una persona i grandi eventi sono relativamente rari. La vita quotidiana invece è punteggiata da
eventi sgradevoli relativamente poco gravi, ma per numero e frequenza, bastano ad influenzare la salute.
Ogni volta che al nostro cervello si presenta una situazione di potenziale stress il cervello attiva dei circuiti
che stimolano ghiandole e organi.

La reazione di stress inizia nel cervello. Stimolato dal talamo, l’ipotalamo attiva il sistema endocrino e il
sistema nervoso simpatico. Gli ormoni e gli stimoli nervosi autonomi modificano drasticamente il
funzionamento dell’organismo. Il risultato netto è che l’organismo è pronto ad un impegno fisico acuto:
combattere o fuggire.

GLI STADI DELLO STRESS

• Risposta immediata;
• Risposta intermedia;
• Risposta prolungata.

Quasi tutti i sistemi dell’organismo vengono coinvolti nella reazione di stress, a causa della liberazione di
ormoni nel sangue da parte delle ghiandole endocrine.

Una risposta allo stress è formata da tre componenti:

• Comportamentale
• Vegetativa
• Ormonale

Cosa è più stressante

• Eventi negativi;
• Eventi incontrollabili;
• Eventi imprevedibili;
• Eventi ambigui;
• Sovraccarico rispetto alla capacità di processazione delle informazioni;
• Eventi che riguardano aree vitali essenziali.

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Definizione di ansia

L’ansia è un’emozione universalmente conosciuta che può essere definita come:

➢ uno stato d’animo;


➢ una sensazione;
➢ una risposta emotiva;
➢ un sintomo;
➢ una sindrome;
➢ una malattia.

La parola deriva dal latino tardo anxius (ansioso) derivato di angére (stringere, soffocare) e quindi anche
etimologicamente è associata ad un senso di costrizione; anticamente infatti, questo sentimento era
collocato nel petto. Fattore comune è la sua natura generalmente spiacevole e penosa.

Sinonimi di ansia nell’uso comune

Irrequietezza – Agitazione – Forte tensione – Eccitazione – Intrappolamento – Vulnerabilità – Incertezza –


Mancanza di fiato – Senso di svenimento

Aspetti di normalità dell’ansia

Rappresenta il fondamentale meccanismo di allerta dell’uomo che consente di determinare e organizzare


risposte mirate verso situazioni che mettono in difficoltà.

Ansia patologica

• Quantità eccessiva in rapporto alla situazione che l’ha provocata.


• Durata prolungata.
• Effetto deleterio sulla libertà e capacità di funzionamento psicosociale dell’individuo.

In condizione patologici al crescere dell’ansia segue il decrescere delle prestazione

Un modello tridimensionale dell’ansia

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Aspetti psicodinamici dell’ansia

È il risultato di un conflitto intrapsichico tra desideri, divieti e “minacce” di punizioni. È un segnale di


pericolo nell’inconscio in seguito al quale l’Io mobilita le sue difese. È un segnale adattivo per allontanare la
consapevolezza del conflitto stesso.

I disturbi d’Ansia

Epidemiologia

I disturbi d’ansia si verificano nel 10-20% della popolazione.

• Fobie specifiche (4-10%)


• Disturbo d’ansia generalizzata (3-6%)
• Fobia sociale (3-5%)
• Disturbo di panico (2-3%)
• Agorafobia (2-3%)
• Disturbo ossessivo compulsivo (1-2%)

È la patologia psichiatrica più diffusa. In Italia, ogni anno, più di 2,5 milioni di persone adulte ne sono affette
e, nel corso della vita, più di 8,5 milioni di persone adulte nel corso della loro vita soffrono di un disturbo
d’ansia.

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Disturbo d’ansia di separazione

Paura o ansia eccessiva, rispetto allo stadio di sviluppo, riguardante la separazione da casa o dalle figure di
attaccamento. I sintomi sviluppano spesso nell’età infantile, ma possono essere espressi anche in età
adulta.

Mutismo selettivo

La persona, durante le interazioni sociali con persone che non siano familiari, non riesce ad iniziare un
discorso o a rispondere a domande. Il mutismo selettivo si sviluppa prevalentemente nell’età infantile, ma
si può esprimere anche in età adulta.

Attacco di panico

Episodio di paura o disagio intenso con sintomi che si sviluppano improvvisamente e che raggiunge un picco
in pochi minuti. Si verificano almeno 4 dei seguenti sintomi:

• palpitazioni;
• sudorazione;
• tremore;
• dispnea o sensazione di soffocamento;
• sensazione di asfissia;
• dolore o fastidio al petto;
• nausea;
• parestesie;
• brividi o vampate di calore;
• de realizzazione (sensazione di irrealtà);
• depersonalizzazione (sensazione di essere distaccati da se stessi);

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• paura di perdere il controllo o di impazzire;
• paura di morire;
• sensazione di svenimento, sbandamento, instabilità.

Agorafobia

Ansia relativa al trovarsi in luoghi o situazioni dalle quali sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi e nelle
quali potrebbe non essere disponibile aiuto nel caso di un attacco di panico. I timori agorafobici riguardano
tipicamente situazioni caratteristiche che includono essere fuori casa da soli, essere in mezzo alla folla in
coda, viaggiare in autobus, treno o automobile. Le situazioni vengono evitate (es. gli spostamenti vengono
ridotti) oppure sopportate con molte disagio o con l’ansia di avere un attacco di panico, o viene richiesta la
presenza di un compagno.

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Disturbi di panico con o senza agorafobia

Presenza di attacchi di panico ricorrenti seguiti per un mese o più da uno o più dei seguenti sintomi:

• preoccupazione persistente di avere altri attacchi;


• preoccupazione di perdere il controllo, di avere un attacco cardiaco, di impazzire.
• Significativa alterazione del comportamento correlato agli attacchi.

Fobia specifica

Le persone hanno almeno una fonte di paura, la paura è marcata, persistente, eccessiva o irragionevole.
Viene provocata dalla presenza o dall’attesa di un oggetto o da una situazione specifica. L’esposizione allo
stimolo fobico provoca quasi invariabilmente un’immediata risposta ansiosa che può prendere la forma di
un attacco di panico. La persone riconosce che la paura è eccessiva o irragionevole. La situazione fobica
viene evitata oppure sopportata con intensa ansia e disagio. L’evitamento, l’ansia anticipatoria di affrontare
lo stimolo fobico interferiscono con le abitudini normali della persona, con la vita sociale e lavorativa.

Fobia specifica per tipo

• Animali
• Ambiente naturale (es. altezza, temporali, acqua)
• Sangue – iniezioni – ferite
• Situazioni (es. aeroplani, ascensori, luoghi chiusi)
• Altri tipi (es. paura di soffocare, contrarre una malattia)

Fobia sociale

Un certo livello di ansia sociale è più la regola che l’eccezione.

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• Paura marcata e persistente di una o più situazioni sociali o prestazionali nelle quali il soggetto è
esposto a persone non familiari o al possibile giudizio degli altri.
• L’esposizione alla situazione temuta provoca quasi invariabilmente una risposta ansiosa immediata
che può assumere le caratteristiche di un attacco di panico.
• La persona riconosce che la paura è eccessiva o irragionevole.
• La situazione sociale o prestazionale viene evitata o sopportata con intensa ansia.
• L’evitamento, l’ansia o il disagio interferiscono significativamente con le abitudini normali della
persona, con la vita sociale o lavorativa.
• Se generalizzata escludere un disturbo evitante di personalità.

Disturbo ossessivo-compulsivo

Le ossessioni sono pensieri, o immagini ripetitive e intrusive che causano ansia e disagio marcati. Si fa
riferimento alla qualità intrusiva e inappropriata delle ossessioni. I pensieri possono essere considerati sia
ossessioni che compulsioni cognitive a seconda che inducano o riducano l’ansia. Per esempio una
compulsione cognitiva è contare da uno a cento avanti e indietro per ridurre l’ansia di avere un pensiero
ossessivo blasfemo.

Le ossessioni più frequenti

• Pensieri ripetitivi di contaminazione (es. essere contaminati quando si stringe la mano a qualcuno);
• Dubbi ripetitivi (es. chiedersi se si è lasciata la porta aperta);
• La necessità di avere le cose in un certo ordine (es. disagio quando gli oggetti sono in disordine o
asimmetrici);
• Pensieri aggressivi (es. aggredire il figlio);
• Fantasie sessuali (es. ricorrenti immagini pornografiche).

Le compulsioni, il cui obiettivo è quello di prevenire o ridurre l’ansia, possono essere comportamentali (cioè
lavarsi le mani, riordinare, controllare) o cognitive (es. pregare, contare, ripetere mentalmente delle
parole).

DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO E DISTURBI CORRELATI

• DSM IV-TR →
o DOC
• DSM 5 →
o Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC)
o Disturbo di dimorfismo corporeo
o Disturbo da accumulo
o Tricotillomania
o Disturbo da escoriazione
o DOC e disturbi correlati a sostanze/farmaci
o DOC e disturbi correlati ad altra specificazione
o DOC e disturbi correlati senza specificazione

Disturbo post-traumatico da stress

La persona ha vissuto, ha assistito, si è confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte
o minaccia di morte o gravi lesioni o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri. La risposta della

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persona comprende paura intensa, sentimenti di impotenza e di orrore. L’evento traumatico viene rivissuto
in uno dei seguenti modi:

• Ricordi spiacevoli ricorrenti o intrusivi;


• Sogni spiacevoli;
• Sensazioni di rivivere l’esperienza;
• Disagio psicologico intenso all’esposizione a fattori che simbolizzano o assomigliano a qualche
aspetto dell’evento traumatico;
• Reattività fisiologica all’esposizione a fattori che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto
dell’evento traumatico;
• Evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della reattività generale;
• Sintomi persistenti di aumentato arousal non presenti prima del trauma.

Disturbo acuto da stress

Sviluppo di ansia, sintomi dissociativi e di altro tipo che si manifestano entro un mese dall’esposizione
all’evento traumatico. Sia durante che dopo l’evento l’individuo presenta:

• Sensazione soggettiva di insensibilità;


• Distacco o assenza di reattività emozionale;
• Derealizzazione;
• Depersonalizzazione;
• Amnesia dissociativa;
• Riduzione della consapevolezza dell’ambiente.

Disturbo d’ansia generalizzato

Presenza di ansia e preoccupazioni eccessive che si manifestano per la maggior parte dei giorni per almeno
sei mesi a riguardo di una quantità di eventi o di attività (es. prestazioni lavorative o scolastiche). La
persona ha difficoltà a controllare la preoccupazione. L’ansia e la preoccupazione sono associate con i
seguenti sintomi: irrequietezza, difficoltà a concentrarsi o vuoti di memoria, facile affaticabilità, irritabilità,
tensione muscolare, alterazioni del sonno (difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno o sonno
inquieto e insoddisfacente).

Disturbo d’ansia dovuto ad una condizione medica generale

Condizioni mediche generali:

• Endocrine (iper-tiroidismo, ipoglicemia)


• Cardiovascolari (scompenso cardiaco-congestizio)
• Respiratorie (malattia polmonare cronica ostruttiva)
• Metaboliche (deficit vitamina B12)
• Neurobiologiche (disfunzione vestibolare)

Sostanze che possono indurre disturbi d’ansia

Intossicazione da sostanze:

• Alcool;

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• Allucinogeni;
• Anfetamine e sostanze correlate;
• Caffeina;
• Cannabis;
• Cocaina.

Astinenza da sostanze:

• Alcool;
• Cocaina;
• Sedativi, ipnotici e ansiolitici.

Intossicazione da sostanze:

• Anidride carbonica;
• Benzina e vernici;
• Gas nervini;
• Metalli pesanti.

La comorbidità

Prevalenza di depressione nei disturbi d’ansia

Le situazioni di ansia, a lungo andare, generano un terreno fertile per lo sviluppo di un disturbo dell’umore.

Il paziente ansioso nell’ambulatorio del Medico di Medicina Generale

SINTOMI SENZA MALATTIA

Sintomi somatici funzionali

Sintomi somatici lamentati dal paziente, in assenza di base organica, o per i quali qualsiasi obiettività risulti
sproporzionata all’intensità del sintomo percepito. I sintomi somatici funzionali originano da
un’amplificazione della cenestesi (amplificazione somato-sensoriale).

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Presentazione somatica

Il soggetto con sofferenza psichica consulta il MMG lamentando in prevalenza sintomi somatici. Nella
“presentazione somatica” il paziente riferisce sintomi somatici:

• Non giustificati da una Condizione Medica;


• Senza menzionare sintomi psicologici;
• In presenza di un Disturbo Psichico diagnosticabile.

Motivi di consultazione in MG

Alcune caratteristiche comuni

• Elevata disabilità, scarsa qualità di vita, andamento cronico-ricorrente della storia naturale;
• Forte associazione al fenomeno dell’alto utilizzo dei servizi sanitari:
o Prevalenza del disturbo di somatizzazione tra gli alti utilizzatori: 20.2%;
o Utilizzo di 9 volte superiore alla media delle diverse prestazioni sanitarie;
o Trascorrono una media di 7 giorni al mese a letto.

Sintomi somatici motivo di consultazione

SINTOMI GASTROINTESTINALI

• Vomito;
• Dolore addominale;
• Nausea;
• Tensione addominale;
• Meteorismo;
• Diarrea;
• Intolleranze alimentari;
• Inappetenza.

SINTOMI ALGICI

• Dolori diffusi;

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• Dolori alle estremità;
• Mal di schiena;
• Dolori articolari;
• Muscolari;
• Cefalea;
• Algie facciali;
• Disuria.

SINTOMI CARDIO-POLMONARI

• Dispnea a riposo;
• Palpitazioni;
• Dolore al torace;
• Vertigini;
• Tosse.

SINTOMI PSEUDONEUROLOGICI

• Amnesia;
• Disfonia;
• Ipoacusia;
• Disturbi visivi;
• Svenimento;
• Pseudo-convulsioni;
• Debolezza muscolare;
• Parestesie.

SINTOMI DEGLI ORGANI RIPRODUTTIVI

• Sensazione di bruciore organi genitali;


• Dispareunia;
• Dismenorrea;
• Irregolarità mestruali;
• Metrorragia;
• Vomito per tutta la gravidanza.

SINTOMI GENERALI

• Astenia;
• Febbre;
• Obesità;
• Magrezza;
• Dermatite;
• Insonnia.

Sindromi somatiche funzionali

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Presentazione somatica

Sintomi somatici non giustificati e Diagnosi

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Sintomi somatici non giustificati e Depressione

Fattori in grado di attivare l’amplificazione sensoriale

Cognitivi: conoscenze sull’argomento, opinioni o convinzioni, attribuzione di significati eziologici.

Relativi al contesto: atteggiamenti di rinforzo da parte di altri, aspettative.

Umore: depressione, ansia.

La diagnosi dei Disturbi Psichici è clinica. L’accuratezza della diagnosi dipende dall’accuratezza del colloquio
diagnostico. La diagnosi di Disturbo Psichico non è una “diagnosi di esclusione” o di “gerarchia” inferiore
rispetto a quella di una Condizione Medica. L’accuratezza della diagnosi è indispensabile per: valutazione
prognosi, scelta opzioni terapeutiche, comunicazione con altri medici, valutazione esiti, audit e ricerca.

Riconoscere e diagnosticare

CASO CLINICO 1 – Andrea

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Andrea, scapolo, 25 anni, vive con madre e fratello, impiegato. Racconta che all’inizio del liceo si sentiva
nervoso quando parlava con gli altri, gli estranei, i compagni di classe, gli amici, il volto gli diventava rigiro,
non riusciva più a parlare, aveva un ronzio in testa, si sentiva come se fosse “all’esterno del suo corpo”,
aveva vampate di calore e sudava. Gli “attacchi”, come li chiama lui, gli capitavano improvvisamente, nel
giro di pochi secondi, solo quando si trovava con altre persone. Iniziò a sentirsi a disagio in ogni situazione
sociale “penso che il mio timore fosse quello di dire o fare qualcosa di sciocco”.

Comincia a declinare gli inviti alle festa, a rinunciare alle attività sociali e, alla fine, lascia la scuola. Adesso
lavora come impiegato in un magazzino; la ragione per cui ha scelto questo lavoro è che gli consente di non
avere a che fare con altre persone. Ha due amici, non esce con una ragazza dai tempi del liceo, evita
qualunque situazioni di gruppo.

Andrea dice di avere gli attacchi di panico. Gli attacchi sono effettivamente improvvisi, di ansia intensa, m si
presentano solo in situazioni specifiche, quelle sociali, diversi dagli attacchi inaspettati che si verificano nel
Disturbo da Attacchi di panico. L’ansia di Andrea si manifesta in una varietà di situazioni sociali nelle quali
teme di fare qualcosa di imbarazzante, umiliante.

Il quadro clinico è caratteristico della FOBIA SOCIALE

La diagnosi di Fobia Sociale si pone solo quando il disagio interferisce significativamente con la normale vita
dell’individuo, con il suo funzionamento lavorativo e sociale. Trattamento: farmacologico con SSRI e
psicoterapico.

Caso clinico 2 – Valeria

Valeria, 28 anni, direttrice artistica di una rivista commerciale. Da un anno, le capita di avere un’improvvisa,
intensa ondata di “paura orribile” che sembra uscire dal niente, durante il giorno e, talvolta, al risveglio.
Inizia a tremare, ha nausea, suda copiosamente, ha la sensazione di soffocare, ha paura di perdere il
controllo, di fare qualcosa di folle come correre urlando per strada.

Ricorda che una situazione analoga le era capitata quando ancora frequentava il liceo; usciva con un
ragazzo che non piaceva ai suoi genitori e lo vedeva di nascosto, stava preparando la maturità e diceva di
essere molto stressata. Gli attacchi duravano pochi minuti e lei resisteva fino alla fine. Ne aveva parlato con
la madre ma aveva deciso di non effettuare visite o terapie. Gli attacchi si erano diradati ed erano comparsi
solo sporadicamente nei successivi sette anni, con intervalli di molti mesi. Alcuni erano molto intensi da
costringerla a prendersi un giorno di riposo, altri erano molto più lievi.

Valeria, ha sempre reso molto bene a scuola, sul lavoro e nella vita sociale, è vivace, socievole, non ha mai
limitato le sue attività, non ha mai associato gli attacchi a situazioni particolari, riferisce, per esempio, di
poter avere un attacco nel suo letto o in metropolitana. Se ha un attacco dice “io resisto”.

Valeria descrive i classici, inaspettati attacchi: la colpiscono imprevedibilmente, con una paura improvvisa e
con i sintomi caratteristici dell’arousal neurovegetativo: sudorazione, tremore, nausea e senso di
soffocamento, tutti abbastanza gravi da farle temere di perdere il controllo. Non li ha mai associati a
particolari situazioni (luoghi affollati, mezzi di trasporto, etc.) perciò non manifesta alcun sintomo di
evitamento agorafobico.

La diagnosi è DISTURBO DA ATTACCHI DI PANICO SENZA AGORAFOBIA

Caso clinico 3 – GIOVANNI

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Giovanni, 47 anni, sposato, un figlio di 12 anni, laureato in Economia e Commercio, lavora in banca. Si
descrive come una persona in costante allarme, mai rilassato, sempre preoccupato che si verifichino
imprevisti, arriva in largo anticipo a qualunque appuntamento, cerca di prevedere ogni eventuale
complicazione anche nello svolgimento della più semplice delle attività professionali di sua competenza.
Ogni volta che deve affrontare una situazione nuova, lavorativa, familiare, sociale, perde il sonno, presenta
disturbi fisici di vario tipo (a livello del sistema gastro-enterico, neurovegetativo, cardiaco).

Ai tempi dell’università era uno studente brillante, molto preparato, avrebbe potuto svolgere l’attività
libero-professionale senza problemi; molti dei suoi professori gli avevano proposto collaborazioni e società.
Lui ci aveva provato ma il livello di ansia era tale e talmente costante nella giornata, senza interruzione
durante i fine settimana o le vazanze, che Giovanni ha preferito un’attività più prevedibile e meno rischiosa
all’interno di un istituto bancario. Nonostante questo, non solo il livello di ansia non si è modificato, ma ha
abbassato la soglia: ora non è più necessaria la situazione stressante (per esempio un cliente importante,
una situazione nuova) ma inizia ad avere difficoltà anche nella gestione dei problemi quotidiani.

Giovanni si sente irrequieto, con i nervi a fior di pelle, è sempre stanco, teso, fatica a dormire, è contratto.
Negli ultimi mesi, a causa di questo stato di persistente malessere è diventato irritabile sia in ufficio che a
casa. Ha fatto degli esami di controllo e non presenta alterazioni, non ha mai assunto droghe o alcolici,
assume al bisogno ansiolitici, fino ad un anno fa in modesta quantità ora invece sta progressivamente
aumentando le dosi quotidiane. Non ci sono eventi specifici, paure particolari, anzi è proprio la ubiquitari
età dell’ansia a farlo sentire impotente e “senza speranze di guarire”.

La diagnosi in questo caso è: Disturbo d’ansia generalizzata. La terapia prevede la riduzione/sospensione


degli ansiolitici (benzodiazepine), l’impostazione di una terapia specifica con SSRI e l’indicazione di una
psicoterapia.

Armonia tra corpo, mente e ambiente

CONTINUA

La questione del rapporto tra mente e cervello è un problema che affonda le sue radici nel lontano passato
e ha affascinato filosofi, pensatori e scienziati di tutti i tempi.

L’evoluzione storica del problema del rapporto tra mente e corpo può essere divisa in tre fasi:

1. Il periodo compreso tra la filosofia greca e Cartesio.


2. Il periodo successivo a Cartesio, fino all’epoca contemporanea.
3. L’approccio nell’età contemporanea

Tra la filosofia greca e Cartesio

Durante questa fase più che di rapporto mente-corpo occorre parlare di rapporto anima-corpo dove per
anima si intende il principio di vita, la vita stessa, mentre per corpo si intende la materia inanimata, la
materia senza vita.

Platone è il primo netto sostenitore di una posizione dualistica: anima e corpo sono due sostanze distinte,
irriducibili l’una all’altra, indipendenti. L’anima è il centro della vita intellettiva ed etica dell’uomo, è la sua
essenza ed è concepita come immateriale.

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Aristotele, al contrario, rifiuta il dualismo platonico: pur concentrandosi sul significato di anima come vita,
ritiene che essa non possa essere separata dal corpo.

Durante il medioevo il rapporto anima-corpo viene dibattuto tra religione e filosofia nel tentativo di
costruire un pensiero che conciliasse l’idea dell’immortalità dell’anima e della mortalità del corpo, con
quella dell’uomo inteso come totalità di anima e corpo.

Con Cartesio si compie una svolta nell’impostazione del problema mente-corpo: infatti se la vita è un
meccanismo, l’anima non può più essere considerata vita o fonte di vita, come sostenevano Platone o
Aristotele. Da Cartesio in poi, il problema del rapporto tra processi fisico-fisiologici e processi psichici: egli
distingue il corpo/materia, inteso come una macchina che ha un’estensione, dall’anima che pensa, ma è
priva di estensione.

CARTESIO, nel seicento, riprende da Agostino l’idea di ricercare all’interno dell’uomo il fondamento della
conoscenza. Cogiro, ergo sum: immediata autoevidenza esistenziale di se stesso. Quest’idea chiara e
distinta di sé come res cogitans lo separa dalla res extensa.

Cartesio segna una pietra miliare nel processo che consente di determinare le condizioni per la nascita di
una scienza dell’uomo: tali concezioni influenzeranno notevolmente il progresso delle ricerche in ambito
anatomico e fisiologico.

Da Cartesio all’epoca contemporanea

All’inizio dell’800 si affaccia la concezione dell’uomo che si affermerà definitivamente nel secolo successivo
e sarà dominante fino ai giorni nostri.

Assume importanza preminente il ruolo del sistema nervoso; attraverso gli organi di senso, raccoglie le
impressioni dal mondo in cui l’individuo si trova ad agire, regolandolo e governandolo. Il sistema nervoso,
viene a sostituire, nelle sue funzioni, ciò che di volta in volta è stato chiamato anima o mente o spirito dei
precedenti filosofi.

“Nei centri cerebrali dell’adulto i percorsi nervosi sono qualcosa di fissato, stabilito, immutabile. Tutto può
morire, nulla può essere rigenerato.” (Santiago Ramon y Cajal, 1914)

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“Spetta alla scienza del futuro, se mai sarà possibile, modificare questa dura sentenza.”

Teoria di un cervello immutabile

Il cervello non può alterare la propria struttura e individuare una nuova modalità di funzionamento nel caso
in cui una sua parte fosse danneggiata. Nella nostra cultura si è radicato e diffuso una sorta di nichilismo
neurologico.

La rivoluzione neuroplastica

Il sistema nervoso può essere pensato come un mosaico di dispositivi (un insieme di strutture altamente
specializzate) che funzionano come un tutto unico e inscindibile.

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NEUROSCIENZA

• I neuroni sono capaci di rinnovarsi, sempre.


• Si adattano a nuove modalità di funzionamento.
• Il cervello è capace di modificare la propria struttura in base all’esperienza relazionale.
• Il modo in cui i neuroni vengono attivati può modificare direttamente le molecole che regolano i
geni.

In questa prospettiva i professionisti della salute non si concentrano solo sui deficit, ma vanno alla ricerca
delle aree cerebrali sane quiescenti creando una potente macchina neurale per flussi di informazione.

I DISTURBI DELL’UMORE

L’umore descrive lo stato prevalente e prolungato del sé in relazione al proprio ambiente. La gamma di
variazioni di quello che può essere ritenuto l’umore normale è vastissima.

Fa parte della straordinaria ricchezza della vicenda umana la possibilità di sperimentare e comunicare stati
affettivi intensi e variegati, che spaziano tra i poli opposti delle esperienze:

• pienezza nella felicità;


• desolazione nella tristezza.

Quando le oscillazioni del tono dell’umore (dalla tristezza all’euforia) vanno oltre le richiesta adattive con
un’alterazione della durata e dell’ampiezza, allora hanno origine quelle condizioni psicopatologiche che
ritroviamo nell’ambito dei disturbi dell’umore.

I disturbi dell’umore, in particolare la depressione, rappresentano i più importanti e frequenti disturbi


psichiatrici, anche se le stime divergono a seconda dei criteri diagnostici utilizzati.

Le condizioni sono psicopatologiche caratterizzate da un’alterazione del tono dell’umore tanto nel senso di
una sua depressione quanto in un suo innalzamento. La depressione del tono dell’umore è un aspetto

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comune a molte malattie psichiatriche ed anche a condizioni non psichiatriche; è una reazione del tutto
fisiologica, che si realizza allorquando l’individuo è sottoposto ad un lutto o ad una “perdita” nel senso più
ampio del termine.

I disturbi dell’umore sono, quindi, stati di alterazione del tono dell’umore con variazioni patologiche, cioè
variazioni sproporzionate rispetto a qualsiasi stress o situazione contingente; non sono modificabili
attraverso la rassicurazione, persistono per settimane, mesi, anni ed hanno un effetto invasivo
sull’individuo, tanto che la capacità di giudizio ne è fortemente influenzata. La depressione e la mania
vengono diagnosticate quando la tristezza e l’euforia rispettivamente superano un certo limite e il mancato
controllo della stabilità del tono dell’umore, che fa parte di una più diffusa disregolazione dell’umore,
contrasta il tono affettivo abituale o basale.

Dalla normalità alla patologia

Oscillazione tra umore “depresso” e umore “elevato”. I sintomi sono l’intensità, la durata e l’impatto sul
funzionamento sociale.

Da lato a lato di questa variazione d’umore troviamo:

• Depressione
• Distimia
• Range normale
• Ipomania
• Mania

Disturbi dell’umore – CLASSIFICAZIONI

DSM-IV-TR

• Episodi di Alterazione dell’Umore


o Episodio Depressivo Maggiore
o Episodio Maniacale
o Episodio Misto
o Episodio Ipomaniacale
• Disturbi Depressivi
o Disturbo Depressivo Maggiore
o Disturbo Distimico
• Disturbi Bipolari
o Disturbo Bipolare I
o Disturbo Bipolare II
o Disturbo Ciclotimio
• Disturbi dell’umore dovuti a condizioni mediche generali
• Disturbi dell’umore indotti da sostanze
• Altri disturbi dell’umore

La persona con depressione è la persona i cui la normale oscillazione del tono dell’umore si blocca
stabilmente nell’area della tristezza.

La depressione

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La depressione è un problema di salute pubblica, sia per la sua alta prevalenza, sia perché comporta una
considerevole disabilità e spesso si manifesta in comorbidità con patologie croniche mediche e con altri
disturbi psichiatrici.

Frequenza dei disturbi dell’umore

Nell’arco della propria vita una persona su cinque sviluppa un disturbo dell’umore.

L’età media di insorgenza di un episodio depressivo è relativamente precoce, tra i 20 e i 40 anni. Circa il
20% della popolazione presenta un quadro di “umore instabile”. È però presente un significativo numero di
esordi molto precoci o tardivi (primo episodio in adolescenza o dopo i 50 anni). Gli studi epidemiologici
hanno rilevato un’incidenza doppia della depressione tra le donne rispetto agli uomini. La prevalenza della
depressione varia tra i diversi paesi, culture e classi sociali; secondo l’OMS nel mondo oltre 350 milioni di
persone soffrono di depressione.

Alcuni eventi della vita comportano un significativo rischio di depressione:

o Perdita di persone amate e significative.


o Perdita del lavoro, trasferimenti.
o Cambiamenti di ruolo e posizione (gravidanza, pensionamento o cambiamenti nel lavoro o in
famiglia).
o Conflitti cronici.
o Difficoltà economiche, superlavoro.
o Mancanza di supporto.
o Malattie fisiche croniche.
o Assistenza ai malati.

La depressione riconosciuta è 1 paziente su 4. Nel 20% dei casi la depressione non è diagnosticata, e l’80
dei pazienti depressi non cercano l’aiuto del medico. La percentuale di depressione nella popolazione
italiana è del 10-12%, ma è certamente sottostimata.

I casi di mancato riconoscimento della depressione sono dovuti a:

• Depressione conseguente a fatti “comprensibili”;


• I pazienti ignorano di essere depressi;
• Paura di essere ritenuti malati di mente;
• Preoccupazione per gli effetti collaterali dei farmaci;
• Diagnosi errata di disturbi somatici;
• Depressione sottovalutata in alcune malattie fisiche.

La depressione – CLASSIFICAZIONE

• Depressioni organiche (post-traumatica, epilettica..)


• Depressioni sintomatiche (post-infettive, endocrine..)
• Depressioni involutive.
• Depressioni nelle psicosi schizofreniche.
• Depressioni nelle psicosi maniaco-depressive (endogene)
• Depressioni neurotiche.
• Depressioni da esaurimento.
• Depressioni reattive.

Le ultime tre sono depressioni psicogene.

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Esiste la depressione a tipologia mascherata e gli equivalenti depressivi.

Criteri DSM-IV per l’Episodio Depressivo Maggiore

A cinque o più dei seguenti sintomi sono stati contemporaneamente presenti durante un periodo di 2
settimane e rappresentano un cambiamento rispetto al precedente livello di funzionamento.

• Umore depresso per la maggior parte del giorno.


• Marcata diminuzione di interesse o di piacere per tutte le attività.
• Significativa perdita di peso o aumento di peso.
• Insonnia o ipersonnia.
• Agitazione o rallentamento psicomotorio.
• Affaticabilità o mancanza di energia.
• Sentimento di autosvalutazione o colpa eccessivi o inappropriati.
• Ridotta capacità di pensare o concentrarsi.
• Pensieri ricorrenti di morte, ricorrente ideazione suicida.
A. I sintomi non soddisfano i criteri per l’Episodio Misto.
B. I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento sociale,
lavorativo o di altre aree importanti.
C. I sintomi non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza o di una condizione medica
generale.
D. I sintomi non sono giustificati da lutto, persistono per più di due mesi, o sono caratterizzati da una
compromissione funzionale marcata.

DSM-5: Disturbi depressivi

• Disturbo Depressivo Maggiore (DDM);


• Disturbo Depressivo Persistente (Distimia);
• Disturbo Depressivo indotto da Sostanze/Farmaci;
• Disturbo Depressivo dovuto a un’altra condizione medica;
• Disturbo depressivo con altra specificazione;
• Disturbo Depressivo senza specificazione.

Modalità di Esordio:

• Precoce (“early-onset depression”, EOD)


• Tardivo > 65 anni (“late-onset depressione”, LOD)

DSM-5 DDM

(almeno 5 sintomi in contemporanea per almeno 2 settimane; obbligatori sintomi 1 e/o 2)

• Umore depresso;
• Anedonia;
• Perdita o aumento di peso (5% in 1 mese);
• Insonnia o ipersonnia;
• Agitazione o rallentamento;
• Faticabilità o mancanza energia;
• Autosvalutazione o colpa;
• Ridotta concentrazione, capacità di pensare, indec.
• Pensieri ricorrenti di morte.

DSM-IV E DSM-5: TUTTE LE DIAGNOSI DEL DISTURBO DEPRESSIVO

DSM-IV

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• Disturbo depressivo maggiore (episodi singolo o ricorrente);
• Disturbi distimico;
• Disturbo depressivo non altrimenti specificato (disturbo disforico premestruale, disturbo
depressivo minore, disturbo depressivo breve ricorrente, disturbo depressivo post-psicotico della
Schizofrenia, etc)
• Disturbo dell’adattamento con umore depresso

DSM-5

• Disturbo da disregolazione dell’umore dirompente;


• Disturbo depressivo maggiore;
• Disturbo depressivo persistente (Distimia);
• Disturbo disforico premestruale;
• Disturbo depressivo indotto da sostanze/farmaci;
• Disturbo depressivo dovuto a un’altra condizione medica;
• Disturbo depressivo con altra specificazione;
• Disturbo depressivo senza specificazione;
• Disturbo dell’adattamento con umore depresso.

Criteri per il disturbo distimico

A. Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi tutti i giorni, come riferito dal soggetto e
osservato dagli altri per almeno 2 anni.
B. Presenza, quando depresso, di due (o più) dei seguenti sintomi
o Scarso appetito o iperfagia;
o Insonnia o ipersonnia;
o Scarsa energia o astenia;
o Bassa autostima;
o Difficoltà di concentrazione o nel prendere decisioni;
o Sentimenti di disperazione.

Criteri per l’episodio maniacale

A. Un periodo definito di umore anormalmente o persistentemente elevato, espansivo o irritabile,


della durata di almeno una settimana.
B. Durante il periodo di alterazione dell’umore, tre (o più) dei seguenti sintomi:
o Autostima ipertrofica o grandiosità;
o Diminuito bisogno di sonno (es. si sente riposato dopo solo 3 ore di sonno);
o Maggiore loquacità del solito, oppure spinta continua a parlare;
o Esperienza soggettiva che i pensieri si succedono rapidamente (fuga delle idee);
o Distraibilità;
o Aumento dell’attività finalizzata (sociale, lavorativa, scolastica o sessuale) oppure
agitazione psicomorotia;
o Eccessivo coinvolgimento in attività ludiche con alto potenziale di conseguenze dannose.

Sindrome ipomaniacale

• Minore durata del sonno;


• Aumento dell’energia;
• Maggiore fiducia in se stesso;
• Maggiori attività sociali;
• Più spostamenti e viaggi;
• Maggiore imprudenza al volante;
• Spese eccessive;

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• Comportamento spregiudicato negli affari;
• Aumento dell’attività lavorativa;
• Maggiori progetti ed idee creative;
• Minor timidezza, disinibizione;
• Aumento dell’eloquio;
• Maggiore impazienza o irritabilità;
• Attenzione facilmente distrai bile;
• Aumento degli impulsi sessuali;
• Aumento del consumo di caffè e di sigarette;
• Aumento del consumo di alcool;
• Comportamento esageratamente ottimista, francamente euforico;
• Ilarità;
• Rapidità del pensiero, idee improvvise.

Disturbo dell’umore indotto da sostanze

A. Domina il quadro clinico un’alterazione dell’umore rilevante o persistente.


B. È evidente da anamnesi, esame fisico o dati di laboratorio che:
• I sintomi di cui al Criterio A sono insorti durante o entro un mese da Intossicazione o
Astinenza da Sostanze;
• L’uso del farmaco è eziologicamente correlato al disturbo.

Disturbo Bipolare

Spettro Bipolare

• BP tipo 1: M-D (M = mania franca, D = Depressione magg.)


• BP tipo 2: m-D (m = ipomania, D = depressione maggiore)
• BP tipo 3: M o m indotta da farmaci – D
• BP tipo 5: m-d = Ciclotimia;
• Temperamenti bipolari: ciclotimico, ipertimico, irritabile.
• Stati misti: mania disforica (irritabilità, ansia), stato depressivo misto (assenza di rallent., iper-
espressività emotiva).

Criteri per il disturbo ciclotimico

A. Presenza per almeno 2 anni di numerosi episodi ipomaniacali e di numerosi episodi con sintomi
depressivi che non soddisfano i criteri per un Episodio Depressivo Maggiore.
B. Durante questo periodo la persona non è mai stata senza i sintomi del criterio A per più di 2 mesi
alla volta.
C. Durante i primi 2 anni di malattia non è mai stato presente un Episodio Depressivo Maggiore,
Maniacale o Misto.

Fasi dell’episodio depressivo

Esordio: graduale/brusco.

Periodo di stato: quadro clinico uniforme, complicanze (Ts, alcool, mediche), durata variabile (6-8 mesi, 10-
20% cronici 2 aa).

Risoluzione: scomparsa sintomi (graduale/brusca), incompleta (sintomi residui).

Fasi cliniche della depressione

• Fase preclinica:

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o mantenimento con sforzo del precedente livello prestazionale;
o sensazione di emergenza permanente, ridotte capacità riflessive, difficoltà ad organizzarsi;
o resistenza a chiedere aiuto qualificato;
o conflittualità o evitamento dei rapporti interpersonali;
o disinteresse verso attività considerate piacevoli, procrastinazione delle attività;
o sensazione minacciosa di sovvertimento interiore e di incapacità a padroneggiare il proprio
funzionamento mentale.
• Fase subclinica
o Ipermotività, irritabilità, ricerca di colpe negli altri;
o Interrogativi sul significato della vita;
o Inaridimento e distorsione nella qualità dei rapporti;
o Riduzione dell’apprendimento, dimenticanze;
o Alterazioni della condotta alimentare e sessuale, incostanti disturbi del sonno;
o Percezione di malessere psicofisico vago e diffuso.
• Fase di stato
o Notevole presenza di disturbi cognitivi ed affettivi “coscienza dolorosa” di non potere più..
• Fase di recupero soggettivo
o Recupero di un equilibrio emotivo con deficit cognitivi residui.
• Fase di superamento critico
o Ristrutturazione dell’esperienza aumento della plasticità di risposta agli stimoli ambientali.

Complicazioni della depressione

• Cronicizzazione.
• Sintomi psicotici.
• Alcol e sostanze.
• Idee di suicidio.
• Non risposta ai trattamenti.

Disturbo ansioso-depressivo misto

Umore disforico per almeno un mese con almeno quattro dei seguenti sintomi:

• Difficoltà di concentrazione o sensazioni di “testa vuota”.


• Insonnia iniziale o intermedia.
• Affaticamento o mancanza di energia.
• Irritabilità.
• Preoccupazione, apprensività.
• Facilità al pianto.
• Ipervigilanza.
• Previsioni negative.
• Disperazione o pessimismo pervasivo riguardo al futuro.
• Bassa autostima o sentimenti di disprezzo di sé.

Depressione Maggiore

• Fobia sociale: 34-70% dei pazienti con Fobia Sociale.


• Disturbo di panico: 50-65% dei pazienti con Disturbo di panico.
• Disturbo d’ansia generalizzata (GAD): 8-39% dei pazienti con GAD.

Trattamento della depressione – Gerarchia degli obiettivi

• Guarigione;
• Recupero della funzione sociale;

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• Migliorare la qualità della vita;
• Riduzione dei sintomi.

Trattamento della depressione – Possibilità terapeutiche

• Farmacoterapia;
• Psicoterapia;
• Terapia combinata o sequenziale;
• Ospedalizzazione;
• Terapie sociali e gruppi di Self-Help.

Periodi di cura ed obiettivi

FASE OBIETTIVI DURATA


Acuta Completa risoluzione dei sintomi depressivi → remissione 8-16 settimane
Continuazione Mantenimento della remissione 4-12 mesi
Risoluzione della disabilità sociale
Prevenzione delle recidive
Raggiungimento della guarigione
Mantenimento Mantenimento della guarigione > 12 mesi
Prevenzione delle ricadute

Terapia a lungo termine (preventiva)

Per terapia preventiva si intende il trattamento a lungo termine effettuato in normotimia per evitare le
ricadute. Il rischio di ricaduta è del 50% ed aumenta se vi è stato più di un episodio precedente.

Linee guida

“Il medico deve adeguare la scelta dell’antidepressivo all’esigenze del paziente, considerando gli effetti a
breve e a lungo termine, scegliere i farmaci meglio tollerati, più sicuri in caso di sovradosaggio e con
maggiori possibilità di essere prescritti a dosi efficaci.”

Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

• Differenze genetiche tra i pazienti;


• Interazioni con altri farmaci;
• Condizioni generali di salute;
• Patogenesi/gravità malattia;
• Adesione alla terapia.

Caratteristiche di AD “ideale”

Tollerabilità – Sicurezza – Rapidità di azione – Efficacia clinica – Flessibilità posologica.

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Medico

Psy Famiglia
La rete sociale e il
paziente con
depressione

Ass. auto-
Sanità
aiuto

Le nuove dipendenze patologiche

Oggi siamo tutti persuasi di abitare un’era iper-tecnologica, di cui godiamo i benefici in termini di beni, di
mezzi (comunicazione) e spazi di libertà. Utilizziamo strumenti e servizi che accorciano lo spazio,
velocizzano il tempo, leniscono il dolore.

Comunicare/comunicazione: sono tra i termini più usati oggi.

Comunicare non significa solo informare.

Il termine comunicazione nel suo significato originale vuol dire mettere in comune ossia condividere con gli
altri:

• Pensieri, opinioni, esperienze;


• Sensazioni e sentimenti.

La comunicazione non è semplicemente parlare ma presuppone necessariamente una relazione e quindi


uno scambio.

Ogni forma di comunicazione incide nella nostra psiche, lavora nel nostro inconscio arrivando a cambiare la
nostra mentalità, lascia una traccia fisica nel nostro corpo.

Attraverso l’enorme diffusione dei mezzi di comunicazione, il mondo può essere fornito a casa come
l’acqua, il metano, la luce. Ciò modifica radicalmente il nostro modo di fare esperienza.

Per la prima volta nella storia dell’uomo, si determina la possibilità di entrare in rapporto con altri individui
senza che ciò comporti un legame di natura personale. Non è più l’uomo che esplora il mondo, ma è il
mondo con le sue immagini che si offre all’uomo.

Le tre piattaforme della comunicazione:

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• Televisione
• Telefonia
• Internet

È inevitabile che le novità tecniche della comunicazione possano alterare sia le nostre abitudini, che gli
schemi di pensiero.

L’agire comunicativo

La comunicazione del sistema attuale tende a spingerci in direzione di un tipo di azione basato sul
consumo, sul denaro, sul potere e successo.

Mass media e monologo collettivo

Oggi tutti utilizziamo internet o la TV, non per disporre di qualche informazione in più, ma semplicemente
perché sono il “mondo” che in rete trova la più estesa e completa descrizione. Politica, religione, mercato,
gioia, dolore, morte sono descritti lì e apprendiamo come si governa, si prega, si compra, si gode, si soffre,
si muore. Alla base di chi parla e ascolta non c’è una diversa visione. Il mondo fornito dai media infatti, è
sempre più identico, così come sempre più identiche sono le parole messe a disposizione per descriverlo. In
questo tipo di “comunicazione”. Chi ascolta, sente le stesse cose che egli stesso potrebbe tranquillamente
dire. Chi parla, dice le stesse cose che potrebbe ascoltare da chiunque. In realtà, in questo monologo
collettivo è abolita la differenza tra le esperienze personali reali nel mondo. Il mondo ci è offerto
esclusivamente nella sua rappresentazione. La realtà virtuale si sostituisce al mondo reale.

Vita digitale – Mente digitale – Autismo digitale – Media come estensione del corpo e dei sensi.

Poiché usare i sensi è una necessità continua, come non isoliamo mai le orecchie, così finiamo per tenere
sempre accesi TV, radio e telefonino indipendentemente dal contenuto e dalle necessità.

Crollano le pareti di molte certezze..

• Interiorità ed esteriorità;
• Privato e pubblico;
• Intimo e familiare;
• Vicino e Lontano.

Il concetto di limite si confonde..

Assicurare il successo

Modellare bisogni e desideri a partire da ciò che viene quotidianamente offerto e consumato. Fare in modo
che non desideri altro rispetto a ciò che è destinato a ricevere. Livellando esperienze e aspirazioni, si crea
l’uniformità nei modi di pensare, di desiderare, di “essere” e volere che caratterizza il comportamento.

Qualsiasi notizia o informazione, soprattutto quando è articolata in immagini, ci sembra infatti essere anche
il nostro “punto di vista”.

Le diverse forme di pubblicità, inondano la nostra mente di immagini e modelli spesso privi di contatto con
la realtà. In una continua overdose di prodotti e proposte piacevoli sostanzialmente sempre uguali nel loro
frenetico rinnovarsi, si creano le condizioni per cui la persona non può più fare a meno di assumere
particolari comportamenti o possedere oggetti specifici.

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Le dipendenze

Nel nostro immaginario, la parola “dipendenza” evoca immediatamente tutta la sequela di sostanza come
cocaina, eroina, alcol.

Oggi, accanto alle “classiche” dipendenze”, ci sono particolari forme di dipendenza, dove non è implicata
nessuna sostanza chimica, ma l’oggetto della dipendenza è rappresentato soprattutto da attività lecite e
socialmente accettate. Le nuove forme di dipendenza perciò, sono definite anche come Dipendenze
Comportamentali.

Alcuni comportamenti, pur riguardando normali abitudini della vita quotidiana, possono diventare delle
vere e proprie dipendenze patologiche che sconvolgono la persona che ne è affetta.

Tra le più conosciute e indagate per i profondi disagi psicologici e le conseguenze sono:

• Dipendenza da Internet;
• Gioco d’azzardo patologico;
• Shopping Compulsivo;
• Dipendenza da telefonino.

In queste particolari manifestazioni di patologia, anche se non vi è assunzione di sostanze chimiche,


l’atteggiamento spesso è molto simile alle tossicodipendenze.

La dipendenza da internet

La peculiare e affascinante relazione che si instaura tra mente umana e tecnologie interattive, sta alla base
del diffondersi delle manifestazioni psicopatologiche collegate all’uso eccessivo o inadeguato della rete.

Le persone che usano la rete telematica in modo corretto, generalmente, attraversano tre fasi:

1. Incanto: è caratterizzata dalla scoperta delle potenzialità, delle risorse e del fascino della rete.
2. Disillusione: contraddistinta da una navigazione tra i siti web fugace e distratta.
3. Equilibrio: distinta da un uso normale ed adeguato di internet.

Il rischio maggiore per lo sviluppo di una dipendenza patologica è quando si rimane “abbagliati e incantati”
dalla novità e dal senso di curiosità e di piacere verso le applicazioni di Internet. Tale fenomeno può
rientrare oppure sfociare in uno sviluppo di livelli sempre maggiori di dipendenza, che culmina nella fase
tossicomanica, con collegamenti alla rete sempre più assidui e prolungati.

5 tipi di dipendenza da internet

• Dipendenza ciber-relazionale (chiamata anche dipendenza da relazioni virtuali): la persona di


costruisce una rete di relazioni virtuali, soprattutto via chat, forum o newsgroups, stringendo
“rapporti d’amicizia online” che diventano rapidamente più importanti delle relazioni della vita
relae, che tendono perciò ad essere sostituite.
• Dipendenza ciber-sessuale (chiamata anche dipendenza da sesso-virtuale): la persona che ne soffre
si dedica in modo compulsivo a scaricare da Internet materiale pornografico (che spesso
commercia) e a frequentare costantemente chat-room “solo per adulti”.

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• Sovraccarico cognitivo (definito anche eccesso di informazioni): la persona trascorre, in modo
ossessivo, una quantità di tempo sempre maggiore nella ricerca e organizzazione di dati dal web;
tale modalità influisce negativamente sul rendimento lavorativo e sugli aspetti relazionali.
• Gioco al computer: inizia spesso con i solitari e campo minato, poi riguarda giochi virtuali sempre
più sofisticati; si distinguono, oltre alla ormai classica modalità “multiplayer”, i cosiddetti MUD
(multi user dimension) dove i giocatori interagiscono con altri utenti costruendosi delle identità
fittizie.
• Gioco d’azzardo patologico online (net gambling): vasta gamma di comportamenti patologici; i più
diffusi sono: scommesse, casinò online, giochi interattivi, aste online.

Tutto questo è facilitato da:

• Dall’anonimato;
• Dalla semplicità;
• Dal fatto che le infinite opportunità si possono sperimentare in qualunque momento, senza dover
uscire di casa ed esporsi al giudizio altrui.

Internet si offre, infatti, come un luogo “sicuro”, una sorta di palestra di vita sostitutiva, dove poter
sperimentare una propria autonomia e acquisire fiducia nelle proprie capacità.

Tutto questo non significa, assolutamente, che la tecnologia sia, di per sé, una fonte di patologia, ma vuole
solo ricordare che Internet è solo uno strumento e, come ogni cosa, è l’uso che se ne fa che può avere
effetti positivi o negativi per il benessere della persona e della comunità.

Gioco d’azzardo patologico

È universalmente riconosciuto, che il gioco è un’attività o un momento che svolge un ruolo determinante
nello sviluppo e nell’evoluzione psico-fisica dell’essere umano. Si configura come un fenomeno culturale e
un bisogno sociale. Mai come oggi però, ha assunto una tale varietà di forme, al punto da diventare non
solo una delle più diffuse forme di svago, ma anche una garanzia di sicuro reddito economico per chi lo
gestisce. Naturalmente, se pensiamo alla:

• Vecchia tombola natalizia giocata in famiglia


• Classica schedina del Totocalcio
• Ai numeri per il lotto magari suggeriti dai sogni
• Al tresette, scopone scientifico e scala 40 consumati al bar
• Alla partita di poker giocata ogni tanto con gli amici

Parliamo certamente di situazioni comuni e per certi aspetti necessarie, cercate e vissute più o meno da
tutti.

Oggi, la vera preoccupazione è rappresentata dalle nuove forme di gioco d’azzardo; ce ne sono per tutti i
gusti, sette giorni su sette e a tutte le ore: videopoker, slot machine, Bingo, Lotto, SuperEnalotto, Totip,
innumerevoli Lotterie, diversi e colorati Gratta e vinci e poi c’è Internet che, con più di mille siti dedicati,
offre la possibilità di giocare ventiquattrore al giorno anche comodamente seduti in casa.

Quando il gioco perde ogni limite di tempo e di spazio il confine tra la normalità e la patologia si fa
improvvisamente labile e si varca la soglia del “gioco d’azzardo patologico”.

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Il gioco d’azzardo sembra essere diventato un diversivo attraente e appetitoso per tutti; è persino
promosso e pubblicizzato:

• In edicola si trovano molte riviste specializzate che suggeriscono le strategie vincenti su come
scommettere;
• Telegiornali e quotidiani ci aggiornano sull’ammontare del Jackpot del SuperEnalotto, invogliandoci
non poco a tentare.

Oggi, i nuovi giochi d’azzardo delineano un nuovo modo di giocare: solitario, lontano dai classici luoghi
“culto” dell’azzardo, con regole semplici e facilmente accessibili al proprio vasto pubblico. Oggi, tutti
possono giocare e scommettere facilmente.

Le cifre crescono all’impazzata: in Italia, da una recente indagine risulta che:

• L’80% delle persone, almeno una volta ha giocato d’azzardo;


• Circa il 30% lo pratica con assiduità;
• Il 3% (oltre un milione e mezzo di persone) sembra coinvolto in una forma di grave patologia.

Se si considera il rapporto tra la spesa e il numero di abitanti, l’Italia è il primo paese al mondo per il denaro
speso in scommesse, una cifra che rappresenta circa un decimo della spesa planetaria destinata al gioco.

Perché si gioca d’azzardo?

La risposta è sempre molto complessa. Sicuramente si gioca per:

• Piacere
• Illusione di un facile guadagno
• Sfida con se stessi e la società
• Ricerca di passione o di avventura
• Tentativo di riempire i momenti di noia e di solitudine
• Soffocare i problemi e i disagi sociali oppure situazioni familiari conflittuali

Succede però che il problema non solo non viene risolto, ma se ne aggiungono altri. Ci si avvicina al gioco
d’azzardo magari solo “tanto per provare” si ritrova a non poterne fare a meno, indebitato fino al collo e in
preda alla disperazione. L’addiction, che significa schiavitù ricercata è la tappa finale di una evoluzione
dove entrano in gioco aspetti psicologici, caratteristiche della personalità, condizioni sociali, ma anche
fattori culturali.

CRAVING: il fattore che sembra essere il denominatore comune delle diverse forme di dipendenza
patologica e che aiuta a spiegare i tanti “perché” e l’enorme diffusione è il fenomeno definito con il termine
carving:

• Desiderio incontrollabile;
• Fame irresistibile;
• Bisogno imperioso.

Un tentativo di autoterapia dell’Io

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La persona dipendente, pur sentendosi “schiavo” del gioco d’azzardo (ma vale anche per l’alcol, il tabacco,
il cibo o i farmaci) in realtà percepisce, incoscientemente, la sua dipendenza come “essenzialmente buona”,
per il fatto che gli procura un senso di benessere.

Il rischio è rappresentato dal fatto che il craving, diventa rapidamente patologico, perché viene rafforzato
dalla:

• Sensazione positiva e piacevole correlata alla dipendenza;


• Sensazione negativa e dolorosa legata all’astinenza;

Ma soprattutto dalla:

• Convinzione di poter contrastare l’ansia e la depressione con l’emozione provata giocando.

Shopping compulsivo

Chiamata anche dipendenza patologica dagli acquisti, è un disturbo psicologico caratterizzato da un


comportamento dominato da un bisogno irrefrenabile di comprare oggetti, che risultano però per lo più
inutili di cui la persona non ha una reale necessità.

Criteri per “diagnosticare” questa dipendenza

• Il denaro speso per gli acquisti è superiore alle proprie possibilità;


• Gli acquisti sono frequenti durante tutta la settimana;
• L’acquisto non corrisponde ad una motivazione logica, ma serve a soddisfare un bisogno
compulsivo che procura benessere e felicità;
• Il mancato acquisto genera frustrazione e crisi d’ansia;
• Il modo di acquistare rappresenta un comportamento nuovo rispetto alle precedenti abitudini.

La dipendenza da smartphone

La telefonia (lo smartphone) ha determinato nuovi comportamenti nella vita quotidiana e nuovi stili
comunicativi (sms, mms, videochiamate).

Le caratteristiche possono essere affascinanti:

• Può essere usato (ma anche essere raggiunto) dovunque e in qualunque momento;
• Può essere portato sempre con sé;
• È il terminale di tanti servizi (diventa un mondo intero).

Il forte bisogno di comunicare dell’uomo fa si che questo strumento sia oggi particolarmente attraente: è
una protesi che l’uomo indossa proprio perché serve a comunicare.

Ma ecco la novità:

oltre a servire per la comunicazione tra me e un altro essere umano, il telefonino si pone come polo di
comunicazione con se stessi grazie alle sue infinite prestazioni. Da qui la tendenza a tenerlo sempre
occupato in qualche operazione. Un legame che sembra non lasciare mai le mani libere.

Nel 2016 Deloitte ha realizzato uno studio scientifico condotto in 31 paesi con quasi 50 mila persone
coinvolte:

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• Il 57% delle persone controlla il telefono entro 22 minuti dal risveglio;
• L’83% legge le email di lavoro durante la notte;
• Il 37% controlla le notifiche sempre di notte;
• Il 92% utilizza il cellulare a lavoro;
• Il 59% lo controlla più di 200 volte al giorno;
• L’80% si addormenta con il telefono in mano;
• Il 21% lo usa per guardare film.

DIPENDENZA DA CELLULARE

Si può parlare di dipendenza da cellulare quando la persona:

• Aumenta la frequenza di utilizzo e la durata di ogni singola telefonata o messaggio oltre quanto
desiderato;
• Passa la maggior parte del suo tempo a controllare il telefono e a pensare ai prossimi contatti;
• Perde interesse verso le relazioni vis-à-vis;
• Perde capacità di leggere le proprie e altrui emozioni;
• Mostra segnali di malessere in relazione alla mancata risposta o all’impossibilità di accedere al
cellulare.

Il rapporto tra smartphone e salute è stato da sempre un tema molto dibattuto, soprattutto per quanto
riguarda l’uso improprio che spesso ne fanno i giovani.

I cellulari hanno un grosso impatto sulla qualità del sonno dei bambini e degli adolescenti. Il 25% dei più
giovani e quasi il 50% dei maggiori di età denunciano disturbi del sonno, stanchezza al mattino e dolori
muscolari e scheletrici. Provoca sugli adolescenti anche disturbi del comportamento, dello stile di vita e può
compromettere lo stato di salute mentale.

Abitudini rilevate nei giovani

• Tenere il telefono sempre acceso: di giorno in tasca e di notte sul comodino o sotto il cuscino.
• Svegliarsi per controllare l’arrivo di sms o chiamate e per mandare messaggi;
• Portare il cellulare in tasca, accesso in silenzioso, durante tutto il tempo a scuola;
• Dedicare la maggior parte del tempo ad attività connesse all’uso del cellulare in modo esclusivo o
facendo altre attività;
• Avere un atteggiamento di forte affettività e dipendenza psicologica;
• Utilizzarlo come mezzo per entrare in contatto con gli altri.

Atteggiamento dei genitori e degli adulti

• I genitori e gli adulti generalmente utilizzano il cellulare intensamente e li danno ai piccoli in età
sempre più tenera anche solo per giocare e stare buoni;
• Le giovani mamme spesso ripongono il cellulare nella carrozzina accanto alla testa del bambino;
• Spesso l’adulto induce nei più piccoli un senso di insicurezza e paura e indica il cellulare come
strumento indispensabile per circolare in sicurezza e per sapere dove sono i figli;
• Gli adulti utilizzano moltissimo cellulare e portatile e di conseguenza anche i ragazzi fanno lo stesso.

Alcune abitudini rilevate a scuola

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• Molti genitori ed insegnanti “ignorano” che tutti i ragazzi a scuola tengono in tasca il cellulare
acceso in silenzioso e che sono in grado di scrivere messaggi e passarsi compiti anche senza
guardare il cellulare;
• Alcuni insegnanti tengono il telefono acceso in classe: difficile così vietare l’uso ai ragazzi;
• Dai docenti arriva l’indicazione che spesso sono i genitori a chiedere di far arrivare via cellulare le
risposte delle verifiche in classe.

Riduzione delle relazioni

..basta osservare per dieci minuti uno studente (e non solo) nel gruppo di coetanei per notare da subito
quanto è isolato:

• È come se vivesse in un mondo separato rispetto a persino gli stessi coetanei;


• Lo sguardo è spesso lontano, estraneo, indifferente, impegnato a riflettere su cosa scrivere nel
prossimo post o messaggio;
• Anche quando è in compagnia, non perde occasione di tuffarsi nel suo smartphone alla ricerca
dell’ultima frase, l’ultima notizia, l’ultimo pettegolezzo o scambio di battute divertenti, l’ultima
emoticon o sticker..

Calo di attenzione e concentrazione.

La tecnologia digitale ha reso più facile e comoda la vita o sta sconvolgendo la nostra mente?

L’uomo è il protagonista della propria vita e la tecnologia è e deve rimanere una sua protesi, un
ampliamento delle sue capacità, uno strumento che lo aiuterà ma non lo trasformerà.

La vita è più di un’azione, è più di ciò che si tocca e si fa. La vita umana è anche mistero, mistero fascinoso e
che spaventa. L’uomo del telefonino, che racchiude in un piccolo spazio strumenti straordinari è lo stesso
uomo che, di fronte alla domanda banale che fa un bambino, non sa rispondere o sente che qualsiasi
risposta è stridente. In una cultura comunicativa che privilegia l’omologazione del pensiero e la spinta verso
“oceaniche solitudini”, ri-scoprire il valore del:

• Pensiero e del cuore;


• Senso del limite;
• Dell’Altro e dello stare insieme;
• Mettere in comune.

SCHIZOFRENIA

Definizione:

Schizo in greco vuol dire scindere.

Disturbo mentale che coinvolge tutte le sfere della psiche dal pensiero alla affettività. Chi ne è colpito ha
difficoltà ad esprimere pensieri chiari e ben elaborati. Presenza di repentini salti da un argomento all’altro.

Nel 1497 Sebastian Brant scrive il libero “La nave dei folli”. Il libro tratta di un’usanza praticata nel
Medioevo e nel Rinascimento secondo la quale “i folli”, gli indesiderati, venivano allontanati dalle città,
imbarcati su grandi battelli, e mandati alla deriva (navi del pellegrinaggio, simbolo degli insensati alla
ricerca della loro ragione). Spesso l’inesperienza dell’equipaggio portava al naufragio della nave.

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Cenni storici

• 1809: prime descrizioni della malattia.


• Quadri clinici caratterizzati dall’insorgenza in età post-puberale di un netto cambiamento della
personalità, dalla comparsa di profonde alterazioni dell’affettività e del pensiero e da un
progressivo deterioramento comportamentale.
• Kraepelin introduce il termine di dementia praecox.
• Breuler introduce il termine schizofrenia o malattia dissociativa.

Dementia praecox (1896): Le forme cliniche allora note (catatonia, ebefrenia e demenza paranoide)
vengono raggruppate in un’unica entità nosografica, non tanto in base alle caratteristiche
sintomatologiche, quanto in funzione:

• Dell’andamento temporale;
• Della prognosi sfavorevole;
• Dell’evoluzione;

verso un quadro demenziale, definita dementia praecox perché colpisce soggetti in giovane età.

Breuler E. (1911)

Sintomi primari: dipendenti dal processo morboso responsabile della malattia.

• Disturbi formali del pensiero;


• Disturbi dell’affettività, della volizione e del comportamento;
• Ambivalenza;
• Autismo.

Sintomi secondari: adattamento ai sintomi primari.

• Deliri;
• Allucinazioni;
• Disturbi del linguaggio e della scrittura;
• Sintomi catatonici.

Kurt Schneider

Sintomi di 1° ordine:

• Voci sotto forma di discorsi;


• Voci commentanti;
• Influenzamento somatico;
• Furto ed influenzamento del pensiero;
• Percezioni deliranti;
• Tutto viene influenzato dagli altri.

Sintomi di 2° ordine

• Allucinazioni di ogni tipo;


• Intuizioni deliranti;

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• Perplessità;
• Disturbi dell’umore;
• Impoverimento affettivo.

Psicosi

Il termine ha ricevuto storicamente una quantità di definizioni differenti nessuna delle quali ha raggiunto
un’accettazione universale. Alterazione del rapporto di realtà: il soggetto è incapace di:

• Distinguere correttamente ciò che è reale da ciò che non lo è (anche quando evidente e
dimostrabile);
• Verificare le proprie idee ed esperienze (percezioni, pensieri, affetti) con i dati oggettivi del mondo
esterno.

Perdita dei confini tra sé e altro-da-sé.

La condizione crea una sostanziale impossibilità di comprendere ed essere compresi e spinge, se non evolve
favorevolmente, verso una esistenza autistica.

Schizofrenia

La diagnosi di schizofrenia si effettua secondo i criteri del DSM

Sintomi positivi: tensione, ostilità, iperattività, allucinazioni, deliri, insonnia, anoressia.

Sintomi negativi: apatia, abulia, anaffettività.

sintomi
positivi

ansia/ sintomi
depressione negativi

sintomi sintomi
aggressivi cognitivi

Complessità dei sintomi nella schizofrenia

Si possono identificare 5 gruppi di sintomi psicotici: ognuno di essi richiede un trattamento:

• Negativo: i sintomi negativi comprendono restrizioni dell’espressione emotiva, pensiero,


linguaggio, piacere, motivazione e attenzione.
• Ostilità: i sintomi ostili comprendono insolenza verbale o fisica, autolesionismo, o altri
comportamenti impulsivi.

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• Cognitivo: i sintomi cognitivi comprendono incoerenza e deficit nell’elaborazione e
nell’apprendimento dell’informazione.
• Positivo: i sintomi positivi comprendono deliri e allucinazioni, nonché linguaggio disorganizzato e
comportamento agitato.
• Affettivo: i sintomi affettivi comprendono depressione e ansia, senso di colpa, tensione e
irritabilità.

DSM 5 – criteri diagnostici per la schizofrenia

1. Due o più sintomi caratteristici positivi o negativi;


2. Disabilità sociale/occupazionale;
3. Durata maggiore di 6 mesi;
4. Non attribuibile a disturbi dell’umore;
5. Non attribuibile ad abuso di sostanze o condizione internistica;
6. Se presente disturbo del neurosviluppo, devono esserci sintomi positivi rilevanti.

D. Schizofrenico: Decorso

Periodo Premorboso

Nel 50% dei casi NON sono riscontrabili tratti di personalità distintivi;

Nel 25% sono stati evidenziati tratti aspecifici (elevata sensibilità, instabilità, difficoltà a stare con altri)

Nel 25% → disturbo schizoide e schizotipico di personalità (Spettro Schizofrenico)

Periodo Prodromico

Modificazioni emotive: sospettosità, perplessità, depressione, ansia, irritabilità, impulsività, tensione.

Modificazione cognitive: difficoltà di concentrazione, vaghezza, idee bizzarre.

Modificazioni della percezione di sé (ad es depersonalizzazione, dismorfofobia) e degli altri (es. de


realizzazione)

Modificazione delle abitudini e dei comportamenti (alterazione appetito, ritmo sonno-veglia, ritiro sociale,..)

Abuso di Alcol e Sostanze (autoterapia?)

Esordio/Fase acuta (Episodio)

• Sintomi Positivi;
• Sintomi Negativi;
• Deficit Cognitivi.

Variamente combinati tra loro, con prevalenza dell’uno o dell’altro → eterogeneità del quadro clinico.

Fase residua

Apatia generale: emozioni o reazioni non appropriate.

Mancanza di volontà (abulia): non disponibilità a portare a termine un compito.

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Mancanza di logica: la persona salta da un argomento all’altro senza un apparente ordine logico o passa da
un’attività all’altra.

Criteri diagnostici

• Due (o più) sintomi caratteristici, ciascuno presente per un periodo di tempo significativo durante
un periodo di un mese (o meno se trattati con successo)
• Segni continuativi del disturbo persistono per almeno sei mesi (includendo eventualmente periodi
prodromici e residui)
• Segni e sintomi sono associati a marcata disfunzione sociale (lavoro, relazioni interpersonali, cura di
sé)

Si possono osservare:

• Deliri;
• Allucinazioni;
• Eloquio disorganizzato;
• Comportamento grossolanamente disorganizzato o catatonico;
• Sintomi negativi (appiattimento affettivo, alogia, abulia)

È sufficiente un solo sintomo

• Se i deliri sono bizzarri;


• Se le allucinazioni consistono in una voce che continua a commentare il comportamento o i pensieri
del soggetto.

Delirio: convinzione erronea, non suscettibile di critica, non condivisibile nell’ambito della propria cultura.

Stato d’animo delirante: è avvenuto un cambiamento della realtà non ancora definito (perplessità)

Intuizione delirante: improvvisa spiegazione chiara e illuminante del cambiamento della realtà.

Percezione delirante: attribuzione di un significato delirante a una percezione corretta.

Modalità formali di espressione del delirio:

• Verbalizzati o agiti;
• Poco strutturati (frammentari, disorganizzati, mescolano realtà e fantasia, non sistematizzati,
contraddittori, privi di dettagli).
• Poco congrui con il tono dell’umore.

Contenuto (tema del delirio)

• Persecuzione;
• Veneficio;
• Riferimento;
• Influenzamento e controllo;
• Furto del pensiero;
• Eco (trasmissione) del pensiero;
• Lettura del pensiero;

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• Colpa;
• Grandezza;
• Erotico;
• Misto

Interpretatività: qualsiasi gesto nasconde un significato particolare (rivolto a sé, spesso pericoloso,
sospetto).

Deliri somatici: trasformazione corporea

Allucinazioni: (alterazioni della percezione)

• Uditive: voci bisbigliate, mormorate, sussurrate o normali che chiamano, commentano, criticano,
danno ordini (contenuto offensivo, osceno, persecutorio). Sono voci non identificate o inserite nel
delirio, non sono costanti e riguardano il vissuto emotivo (analgesia affettiva cronica). Sono
cenestesiche, spiacevoli, sessuali..

Disturbi formali del pensiero

• Eloquio disorganizzato: il contenuto del pensiero viene dedotto dalle modalità comunicative nel
corso dell’interazione.
• Uso del linguaggio: viene scisso dalla finalità comunicativa, non rispetta le regole per cui può essere
compreso e decodificato.
• Perdita dei nessi associativi impoverimento del contenuto. Il contenuto è:
o incoerente: il linguaggio è oscuro, poco concludente, allusivo, privo di connessioni
temporali e consequenziali, apparentemente generato da sollecitazioni immediate
(neologismo per distorsione, condensazione, assonanza, ecolalia) fino all’insalata di parole;
o tangenziale (risposte di traverso);
o circostanziato (ripetitivo, prolisso, troppo dettagliato);
o concreto (il disturbo è accentuato dalla astrazione ed emozione).

Comportamento disorganizzato

• Perdita della progettualità: in qualunque comportamento finalizzato, anche nelle attività di vita
quotidiana (preparare i pasti, igiene..);
• Incapacità di inserimento sociale;
• Alterazioni del controllo pulsionale: alimentare, sessuale, aggressività (suicidio).
• Alterazioni cognitive.

Comportamento catatonico

• Catalessia: rigidità muscolare per cui il paziente mantiene a lungo la stessa posizione, anche
scomoda, non modificabile dall’esterno (flessibilità cerea: il paziente assume la posizione
impostagli)
• Stupore catatonico: immobilità totale (ad esempio non deglutisce, non svuota l’intestino o la
vescica, non risponde, non reagisce agli stimoli dolorosi..)

Disturbi della psicomotricità

• Stereotipie comportamentali;

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• Manierismi: esasperazione caricaturale bizzarra di azioni normali;
• Impulsi gesti o azioni: compiuti improvvisamente e apparentemente immotivati di cui cioè non è in
grado di dare una spiegazione.
• Agitazione psicomotoria: improvvisa esplosione di attività motoria finalistica, incontrollata e
incontrollabile.
• Irrequietezza e acatisia;
• Negativismo: azioni compiute in grossolana opposizione con quanto richiesto;
• Autismo: “distacco della realtà con assoluta predominanza della vita interiore”. Mondo chiuso in se
stesso e imperscrutabile. I confini fra il sé psichico e il sé corporeo risultano distorti. Non un
sintomo ma la condizione esistenziale dello schizofrenico.

Alterazioni dell’affettività

• Appiattimento (mancata modulazione emotiva);


• Discordanza (ride senza motivo, aggressività);
• Ambivalenza (coesistenza di emozioni e pensieri contrastanti e in opposizione fra loro).

Paranoide

Uno o più deliri più o meno sistematizzati, con argomento dominante: persecuzione, gelosia, idee di
riferimento, furto e trasmissione del pensiero, controllo e automatismo mentale e del comportamento, con
allucinazioni collegate al tema del delirio. Esordio tardivo, spesso acuto, evoluzione buona.

Catatonico

• Sintomi psicomotori: con blocco, arresto psicomotorio, negativismo, mutacismo, rigidità, postura
cerea, eccitamento catatonico con impulsività di auto ed etero aggressività.
• Contenuti deliranti sfumati: non strutturati con scarsa componente allucinatoria.
• Esperienze terrificanti: di minaccia vitale, frammentazione del corpo, mancata distinzione fra il sé e
il mondo.

Evoluzione negativa

Disorganizzato

• Disturbi formali del pensiero: incoerenza, allentamento dei nessi associativi, finalismo e bizzarria
della condotta, fatuità, affettività appiattita o inadeguata.
• Deliri e allucinazioni: incoerenti, multipli, frammentari, bizzarri.
• Manierismi: stereotipie, impulsività, aggressività.
• Ritiro sociale.
• Lamentele ipocondriache.

Esordio precoce, subdolo. Evoluzione negativa con deterioramento.

Indifferenziato

• Positivo/disorganizzato.
• Positivo/difettuale.
• Difettuale/disorganizzato.

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Residuale

• Anamnesi positiva.
• Assenza di sintomi positivi da almeno un anno.
• Durata di due anni.

Il problema centrale della schizofrenia è che ci si trova di fronte ad una sindrome caratterizzata da una
combinazione specifica di sintomi aspecifici. Un disturbo identificato dalla associazione sindromica di tre
componenti psicopatologiche fondamentali definite come “dimensioni”. La prima è la trasformazione della
realtà fenomenologicamente espressa da deliri e allucinazioni. La seconda è l’impoverimento ideoaffettio
che si manifesta con alogia, abulia, apatia e asocialità. La terza è la disorganizzazione del pensiero,
dell’eloquio e del comportamento.

Sintomi positivi

• Allucinazioni
o Uditive, voci che commentano, voci che conversano, visive, somatiche,..
• Deliri
o Persecuzione, controllo, riferimento, influenzamento, furto del pensiero, lettura del
pensiero, grandezza, gelosia, colpa, trasformazione somatica,..
• Comportamento bizzarro
o Stravagante, inadeguato, agitato, aggressivo, ripetitivo,..
• Disturbi formali del pensiero
o Incoerenza, deragliamento, tangenzialità, prolissità, aumentata fluenza e perdita dei nessi
associativi, gergo,..

Sintomi negativi

• Appiattimento affettivo
o Ipomimia, disprosodia, ridotto contatto oculare, ridotta gestualità, ridotta partecipazion
affettiva, affettività inappropriata,..
• Alogia
o Eloquio ridotto – fino al blocco –, lento, povero di contenuto, concreto,..
• Abulia – apatia
o Ridotta iniziativa, anedonia, carenza di interessi, isolamento sociale, scarsa igiene,
rallentamento psicomotorio,..
• Compromissione cognitiva
o Ridotta attenzione e memoria, impulsività, incapacità nel problem solving,..

Fase prodromica – Fase residua

• Mancano deliri, allucinazioni e disturbi formali del pensiero;


• Sono presenti almeno due sintomi tra:
o Marcato isolamento o ritiro sociale;
o Marcata menomazione nelle funzioni connesse con il ruolo (per esempio di lavoratore,
studente, casalinga,..);
o Marcata trascuratezza nell’igiene personale e nell’aspetto;
o Ottundimento o inadeguatezza dell’affettività;

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o Marcata perdita di iniziative, interessi o energia.

Linguaggio digressivo, vago, iperelaborato, circostanziato, metaforico.

Pensiero magico (non giustificato dalla cultura): chiaroveggenza, telepatia, sesto senso, convinzione che
altri possano provare gli stessi sentimenti, idee prevalenti, idee di riferimento.

Percezioni inusuali: illusioni ricorrenti, presenza di una forza o di una persona.

Aspetto epidemiologico:

Prevalenza → 1%

Incidenza → 0.05%

Età 13 – 45 anni

• Familiarità
• Correlazioni
o (età sesso sottotipo)

Fattori organici: abuso di sostanze, terapie farmacologiche, tossici, patologie internistiche, patologie del
SNC

Disturbi dell’umore: depressione iatrogena, postpsicotica, psicotica (25-50%)

Disturbi in base alla temporalità:

• Disturbo psicotico acuto: (tempo inferiore e regressione) con o senza evento scatenante
• Disturbo schizofreniforme: (tempo insufficiente, meno di sei mesi)

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• Disturbo schizoaffettivo
• Disturbo delirante: non disturbi formali del pensiero, non rilevante disfunzione sociale, non
deterioramento, coinvolgimento emotivo-affettivo (incapsulato, separato dal resto della vita
psichica)

Specificare il tipo (sulla base del tema delirante prevalente):

• Gelosia: convinzione delirante che il proprio partner sessuale sia infedele.


• Persecuzione: convinzione delirante di essere in qualche modo trattato male (lui stesso o qualche
persona intima).
• Somatico: convinzione delirante di avere un qualche difetto fisico o malattia.
• Grandezza: convinzione delirante di avere un esagerato valore, potere, conoscenze, o una speciale
identità, o una speciale relazione con una divinità o con una persona famosa
• Erotomanico: convinzione delirante che un’altra persona, generalmente di rango superiore, sia
innamorata del soggetto.
• Misto: convinzioni deliranti caratteristiche di più di uno dei tipi sopra menzionati, ma senza
prevalenza di alcun tema.

Esiti della schizofrenia

• Restitutio ad integrum (25%)


• Deterioramento progressivo (27%)
• Risoluzione con difetto (48%)

Può accadere:

• Miglioramento con residuo abbassamento stabile del livello funzionale


• Miglioramento limitato ad un solo parametro (lavoro …)
• Miglioramento costante intervallato da piccole ricadute
• Alternanza di ricadute e remissioni

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‘Conosciamo la follia in due accezioni come il contrario della ragione e come ciò che precede la stessa
distinzione tra ragione e follia’. Mentre nella prima accezione la follia ci è nota in quanto esclusione dal
sistema o deroga al sistema di regole in cui la ragione consiste, proprio quelle che abbiamo inventato come
rimedio all’angoscia, nella seconda la follia non è conosciuta, in quanto essa viene prima delle regole e
delle deroghe e, per ciò stesso, avvertita come minaccia.. non c’è alcun mistero nel fondo oscuro di
quell’abisso che, guardato dal punto di vista della ragione, chiamiamo irrazionale, ma dal quale, appunto,
vengono le parole che poi sarà la stessa ragione ad ordinare. ‘Il mistero se mai è da cercare nella capacità
della ragione di reggere alle forze contrastanti che la sottendono, terribili perché prive di regole’. Chi si è
fatto testimone di questa lotta sacrifica la sua mente e mette la sua parola al servizio del non-senso,
precipizio dell’ordine logico, vertigine, congedo dalla ragione; la sua catastrofe biografica si fa parola per gli
uomini.

I DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

• Esordio nel periodo dello sviluppo;


• Si manifestano tipicamente nelle prime fasi dello sviluppo (prima che il bambino inizi la scuola
elementare);
• I deficit dello sviluppo causano compromissione del funzionamento personale, sociale, lavorativo o
scolastico;
• I deficit variano da limitazioni molte specifiche dell’apprendimento a compromissione globale delle
abilità sociali o dell’intelligenza;
• Spesso si presentano in concomitanza tra loro.

Elementi specifici nelle diagnosi:

• Età di esordio,
• Livello di gravità,
• Associazione a condizione medica o genetica nota,
• Fattore ambientale (fattori con ruolo nell’eziologia e/o nel decorso)

I disturbi del neurosviluppo:

• DISABILITÀ INTELLETTIVE
• DISTURBI DELLA COMUNICAZIONE
• DISTURBO DELLO SPETTRO DELL’AUTISMO
• DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE/IPERATTIVITÀ
• DISTURBO SPECIFICO DELL’APPRENDIMENTO
• DISTURBI DEL MOVIMENTO
• ALTRI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

DISABILITÀ INTELLETTIVE

• Disabilità intellettiva (disturbo dello sviluppo intellettivo)


• Ritardo globale dello sviluppo
• Disabilità intellettiva (disturbo dello sviluppo intellettivo) senza specificazione

Disabilità intellettiva (disturbo dello sviluppo intellettivo)

1. Deficit delle funzioni intellettive, come:

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• ragionamento,
• problem solving, pianificazione,
• pensiero astratto,
• capacità di giudizio,
• apprendimento scolastico e apprendimento dell’esperienza,
Confermati sia da una valutazione clinica sia da test di intelligenza individualizzati, standardizzati.
2. Deficit del funzionamento adattivo che porta al mancato raggiungimento degli standard di sviluppo
e socioculturali di autonomia e di responsabilità sociale. Senza un supporto costante, i deficit
adattivi limitano il funzionamento in una o più attività della vita quotidiana, come la
comunicazione, la partecipazione sociale e la vita autonoma, attraverso molteplici ambienti quali
casa, scuola, ambiente lavorativo e comunità.

3. Esordio dei deficit intellettivi e adattivi durante il periodo di sviluppo.

Ritardo globale dello sviluppo

• Diagnosi riservata agli individui di età inferiore ai 5 anni;


• Diagnosticata quando un individuo non raggiunge le tappe attese dello sviluppo;
• Si applica a individui incapaci di sottoporsi a valutazioni sistematiche del funzionamento
intellettivo;
• Richiede una rivalutazione diagnostica dopo un certo periodo di tempo.

I DISTURBI DELLA COMUNICAZIONE

• Disturbo del linguaggio


• Disturbo fonetico-fonologico
• Disturbo della fluenza con esordio nell’infanzia (balbuzie)
• Disturbo della comunicazione sociale (pragmatica)
• Disturbo della comunicazione senza specificazione

Disturbo del linguaggio

1. Difficoltà persistenti nell’acquisizione e nell’uso di diverse modalità di linguaggio (cioè linguaggio


parlato, scritto, gestuale o di altro tipo) dovute a deficit della comprensione o della produzione che
comprendono i seguenti elementi:
• Lessico ridotto
• Limitata strutturazione delle frasi
• Compromissione delle capacità discorsive
2. Le capacità di linguaggio sono al di sotto di quelle attese per l’età in maniera significativa e
quantificabile, portando a limitazioni funzionali dell’efficacia della comunicazione, della
partecipazione sociale, dei risultati scolastici o delle prestazioni professionali, individualmente o in
qualsiasi combinazione.
3. L’esordio dei sintomi avviene nel periodo precoce dello sviluppo.
4. Le difficoltà non sono attribuibili a compromissione dell’udito o ad altra compromissione
sensoriale, a disfunzioni motorie o ad altre condizioni mediche o neurologiche e non sono meglio
spiegate da disabilità intellettiva (disturbo dello sviluppo intellettivo) o da ritardo globale dello
sviluppo.

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Disturbo fonetico-fonologico

1. Persistente difficoltà nella produzione dei suoni dell’eloquio che interferisce con l’intelligibilità
dell’eloquio o impedisce la comunicazione verbale dei messaggi.
2. L’alterazione causa limitazioni dell’efficacia della comunicazione che interferiscono con la
partecipazione sociale, il rendimento scolastico o le prestazioni professionali, individualmente o in
qualsiasi combinazione.
3. L’esordio dei sintomi avviene nel periodo precoce dello sviluppo.
4. Le difficoltà non sono attribuibili a condizione contingente o acquisite, come paralisi cerebrale,
palatoschisi, sordità o ipoacusia, danno cerebrale da trauma, o ad altre condizioni mediche o
neurologiche.

Disturbo della fluenza con esordio nell’infanzia (balbuzie)

1. Alterazioni della normale fluenza e della cadenza dell’eloquio, che sono inappropriate per l’età
dell’individuo e per le abilità linguistiche, persistono nel tempo e sono caratterizzate dal frequente
e marcato verificarsi di uno (o più) dei seguenti elementi:
• Ripetizioni di suoni e sillabe
• Prolungamenti dei suoni delle consonanti così come delle vocali
• Interruzione di parole
• Blocchi udibili o silenti
• Circonvoluzioni (sostituzioni di parole per evitare parole problematiche)
• Parole pronunciate con eccessiva tensione fisica
• Ripetizioni di intere parole monosillabiche (per es., “Lo-lo-lo-lo vedo”)
2. L’alterazione causa ansia nel parlare o limitazioni dell’efficacia della comunicazione, della
partecipazione sociale, o del rendimento scolastico o lavorativo, individualmente o in qualsiasi
combinazione.
3. L’esordio dei sintomi avviene nel periodo precoce dello sviluppo.
4. L’alterazione non è attribuibile a deficit motorio dell’eloquio o a deficit sensoriali, a disfluenza
associata a danno neurologico (per es. ictus cerebrale, tumore, trauma) o ad altra condizione
medica, e non è meglio spiegato da un altro disturbo mentale.

Disturbo della comunicazione sociale (pragmatica)

1. Persistenti difficoltà nell’uso sociale della comunicazione verbale e non verbale come manifestato
da tutti i seguenti elementi:
• Deficit dell’uso della comunicazione per scopi sociali (salutarsi e scambiarsi informazioni).
• Compromissione della capacità di modificare la comunicazione al fine di renderla adeguata al
contesto o alle esigenze di chi ascolta.
• Difficoltà nel capire ciò che non viene dichiarato esplicitamente e i significati non letterali o ambigui
del linguaggio.
2. I deficit causano limitazioni funzionali dell’efficacia della comunicazione, della partecipazione
sociale, delle relazioni sociali, del rendimento scolastico o delle prestazioni professionali,
individualmente o in combinazione.
3. L’esordio dei sintomi avviene nel periodo precoce dello sviluppo (ma i deficit possono manifestarsi
pienamente fino al momento in cui le esigenze di comunicazione sociale non evidenziano le
capacità limitate).

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Disturbo della comunicazione senza specificazione

I sintomi caratteristici del disturbo della comunicazione predominano, ma non soddisfano pienamente i
criteri per un disturbo della comunicazione o per uno qualsiasi dei disturbi della classe diagnostica dei
disturbi del neurosviluppo. Il clinico sceglie di non specificare la ragione per cui i criteri per un disturbo della
comunicazione o per uno specifico disturbo del neurosviluppo non sono soddisfatti.

DISTURBI DELLO SPETTRO DELL’AUTISMO

1. Deficit persistenti della comunicazione sociale e dell’interazione sociale in molteplici contesti, come
manifestato dai seguenti fattori, presenti attualmente o nel passato:
• Deficit della reciprocità socio-emotiva, che vanno…
o …da un approccio sociale anomalo e dal fallimento della normale reciprocità della
conversazione
o …a una ridotta condivisione di interessi, emozioni o sentimenti
o …all’incapacità di dare inizio o di rispondere a interazioni sociali.
• Deficit dei comportamenti comunicativi non verbali utilizzati per l’interazione sociale, che vanno…
o …dalla comunicazione verbale e non verbale scarsamente integrata
o ...ad anomalie del contatto visivo e del linguaggio del corpo o deficit della comprensione e
dell’uso dei gesti
o ...a una totale mancanza di espressività facciale e di comunicazione non verbale.
• Deficit dello sviluppo, della gestione e della comprensione delle relazioni, che vanno…
o ...dalle difficoltà di adattare il comportamento per adeguarsi ai diversi contesti sociali
o ...alle difficoltà di condividere il gioco di immaginazione o di fare amicizia
o ...all’assenza di interesse verso i coetanei.
2. Pattern di comportamento, interessi attività ristretti, ripetitivi, come manifestato da almeno due
dei seguenti fattori, presenti attualmente o nel passato:
• Movimenti, uso degli oggetti o eloquio stereotipati o ripetitivi (stereotipie motorie semplici, mettere
in fila giocattoli o capovolgere oggetti, ecolalia, frasi idiosincratiche),
• Insistenza nella sameness (immodificabilità), aderenza alla routine priva di flessibilità o rituali di
comportamento verbale o non verbale (estremo disagio davanti a piccoli cambiamenti, difficoltà
nelle fasi di transizione, schemi di pensiero rigidi, saluti rituali, necessità di percorrere la stessa
strada o mangiare lo stesso cibo ogni giorno)
• Interessi molto limitati, fissi che sono anomali per intensità o profondità (forte attaccamento o
preoccupazione nei confronti di oggetti insoliti, interessi eccessivamente circoscritti o perseverativi)
• Iper- o iporeattività in risposta a stimoli sensoriali o interessi insoliti verso aspetti sensoriali
dell’ambiente (apparente indifferenza a dolore/temperatura, reazione di avversione nei confronti di
suoni o consistenze tattili specifici, annusare o toccare oggetti in modo eccessivo, essere affascinati
da luci o da movimenti).
3. I sintomi devono essere presenti nel periodo precoce dello sviluppo (ma possono non manifestarsi
pienamente prima che le esigenze sociali eccedano le capacità limitate, o possono essere
mascherati da strategie apprese in età successiva).
4. I sintomi causano compromissione clinicamente significativa del funzionamento in ambito sociale,
lavorativo o in altre aree importanti.

Queste alterazioni non sono meglio spiegate da disabilità intellettiva (disturbo dello sviluppo intellettivo) o
da ritardo globale dello sviluppo.

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Specificare se:

• Con o senza compromissione intellettiva associata


• Con o senza compromissione del linguaggio associata
• Associata a una condizione medica o genetica nota o a un fattore ambientale
• Associato a un altro disturbo del neurosviluppo, mentale o comportamentale
• Con catatonia

DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE/IPERATTIVITÀ

➢ Disturbo da deficit di attenzione/iperattività

➢ Disturbo da deficit di attenzione/iperattività con altra specificazione

➢ Disturbo da deficit di attenzione/iperattività senza specificazione

Disturbo da deficit di attenzione/iperattività

A. Un pattern persistente di disattenzione e/o iperattività-impulsività che interferisce con il


funzionamento o lo sviluppo, come caratterizzato da:
1. DISATTENZIONE: Sei o più dei seguenti sintomi sono persistiti per almeno 6 mesi con
un’intensità incompatibile con il livello di sviluppo e che ha un impatto negativo diretto sulle
attività sociali e scolastiche/lavorative.
• Spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei
compiti scolastici, sul lavoro o in altre attività .
• Ha spesso difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco.
• Spesso non sembra ascoltare quando gli/le si parla direttamente.
• Spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze o i doveri
sul posto di lavoro.
• Ha spesso difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività.
• Spesso evita, prova avversione o è riluttante a impegnarsi in compiti che richiedono sforzo
mentale protratto.
2. IPERATTIVITÀ E IMPULSIVITÀ: Sei o più dei seguenti sintomi persistono per almeno 6 mesi con
un’intensità incompatibile con il livello di sviluppo e che ha un impatto negativo diretto delle
attività sociali e scolastiche e lavorative:
• Spesso agita o batte mani e piedi o si dimena sulla sedia.
• Spesso lascia il proprio posto in situazioni in cui si dovrebbe rimanere seduti.
• Spesso scorrazza e salta in situazioni in cui farlo risulta inappropriato.
• È spesso incapace di giocare o svolgere attività ricreative tranquillamente.
• È spesso “sotto pressione”, agendo come se fosse “azionato/a da un motore” .
• Spesso parla troppo.
• Spesso “spara” una risposta prima che sia completata (per es., completa le frasi dette da altre
persone; non riesce ad attendere il proprio turno nella conversazione)
• Ha spesso difficoltà nell’aspettare il proprio turno.
B. Diversi sintomi di disattenzione o di iperattività-impulsività erano presenti prima dei 12 anni.
C. Diversi sintomi di disattenzione o di iperattività-impulsività si presentano in due o più contesti (per
es., a casa, a scuola o al lavoro; con amici o parenti; in altre attività)

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D. Vi è una chiara evidenza che i sintomi interferiscono con, o riducono, la qualità del funzionamento
sociale, scolastico o lavorativo.
E. I sintomi non si presentano esclusivamente durante il decorso della schizofrenia o di un altro
disturbo psicotico e non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale (per es., disturbo
dell’umore, disturbo d’ansia, disturbo dissociativo, disturbo di personalità, intossicazione o
astinenza da sostanze)

Disturbo specifico dell’apprendimento

1. Difficoltà di apprendimento e nell’uso di abilità scolastiche, come indicato dalla presenza di


almeno uno dei seguenti sintomi che sono persistiti per almeno 6 mesi, nonostante la messa a
disposizione di interventi mirati su tale attività:
a. Lettura delle parole imprecisa o lenta o faticosa.
b. Difficoltà nella comprensione del significato di ciò che viene letto.
c. Difficoltà nello spelling.
d. Difficoltà con l’espressione scritta.
e. Difficoltà nel padroneggiare il concetto di numero, i dati numerici o il calcolo.
f. Difficoltà nel ragionamento matematico.
2. Le abilità scolastiche colpite sono notevolmente e quantificabilmente al di sotto di quelle attese per
l’età cronologica dell’individuo causano significativa interferenza con il rendimento scolastico o
lavorativo o con le attività della vita quotidiana, come confermano da misurazioni standardizzate
somministrate individualmente dei risultati raggiunti e da valutazioni cliniche complete.
3. Le difficoltà di apprendimento iniziano durante gli anni scolastici ma possono non manifestarsi
pienamente fino a che la richiesta rispetto a queste capacità scolastiche colpite supera le limitate
capacità dell’individuo (per es. come nelle prove a tempo, con carichi scolastici eccessivamente
pesanti, ecc)
4. Le difficoltà di apprendimento non sono meglio giustificate da disabilità intellettive, CONTINUA

Specificare se (e la gravità attuale):

• Con compromissione della lettura: dislessia


o Accuratezza nella lettura delle parole;
o Velocità o fluenza della lettura;
o Comprensione del testo.
• Con compromissione dell’espressione scritta: disgrafia
o Difficoltà nell’impostazione dell’atto motorio finalizzato alla scrittura;
o Accuratezza nella grammatica e nella punteggiatura;
o Chiarezza/Organizzazione dell’espressione scritta.
• Con compromissione del calcolo: discalculia
o Concetto di numero;
o Memorizzazione di fatti aritmetici;
o Calcolo accurato o fluente;
o Ragionamento matematico corretto.

Disturbo del movimento

• Disturbo dello sviluppo della coordinazione


• Disturbo da movimento stereotipato

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• Disturbi da tic

Disturbo dello sviluppo della coordinazione

1. L’acquisizione e l’esecuzione delle abilità motorie coordinate risultano notevolmente inferiori


rispetto a quanto atteso considerate l’età cronologica dell’individuo e l’opportunità che l’individuo
ha avuto di apprendere e utilizzare tali abilità.

Le difficoltà si manifestano con goffaggine (es. cadere o sbattere contro oggetti) così come con lentezza
e imprecisione nello svolgimento delle attività motorie (es. afferrare un oggetto, usare forbici o posate,
scrivere a mano, guidare la bicicletta o partecipare a attività sportive).

2. Il deficit delle abilità motorie indicato nel Criterio 1. interferisce in modo significativo e persistente
con le attività della vita quotidiana adeguate all’età cronologica (es. cura e mantenimento di sé) e
ha impatto sulla produttività scolastica, sulle attività pre-professionali e professionali, sul tempo
libero e il gioco.
3. L’esordio dei sintomi avviene nel primo periodo dello sviluppo.
4. I deficit delle abilità motorie non sono meglio spiegati da disabilità intellettiva (disturbo dello
sviluppo intellettivo) o da deficit visivo e non sono attribuibili a una condizione neurologica che
influenza il movimento (per es., paralisi cerebrale, distrofia muscolare, disturbo degenerativo).

Disturbo da movimento stereotipato

1. Comportamento motorio ripetitivo, apparentemente intenzionale ed evidentemente afinalistico


(per es., scuotere o far cenni con le mani, dondolarsi, battersi la testa, mordersi, colpirsi il corpo).
2. Il comportamento motorio ripetitivo interferisce con attività sociali, scolastiche o di altro tipo e può
portare ad autolesionismo.
3. L’esordio avviene nel primo periodo dello sviluppo.
4. Il comportamento motorio ripetitivo non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza o a una
condizione neurologica e non è meglio spiegato da un altro disturbo del neurosviluppo o mentale
(per es., tricotillomania, disturbo ossessivo-compulsivo)

Disturbo da tic

Un tic è un movimento o una vocalizzazione, improvviso, rapido, ricorrente, motorio non ritmico.

Si dividono in:

• Disturbo di Tourette
• Disturbo persistente (cronico) da tic motori o vocali
• Disturbo transitorio da tic
• Disturbo da tic con altra specificazione
• Disturbo da tic senza specificazione

Disturbo di Tourette

1. Nel corso della malattia si sono manifestati a un certo punto sia tic motori multipli sia uno o più tic
vocali, sebbene non necessariamente in concomitanza.
2. I tic possono avere oscillazioni sintomatologiche nella frequenza ma sono persistiti per più di 1
anno dall’esordio del primo tic.

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3. L’esordio avviene prima dei 18 anni di età.
4. L’alterazione non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza (per es., cocaina) o a un’altra
condizione medica (per es. malattia di Huntington, encefalite postvirale).

Disturbo persistente (cronico) da tic motori o vocali

1. Tic motori o vocali singoli o multipli sono stati presenti durante la malattia, ma non tic sia motori
che vocali.
2. I tic possono avere oscillazioni sintomatologiche nella frequenza ma sono persistiti per più di 1
anno dall’esordio del primo tic.
3. L’esordio avviene prima dei 18 anni di età.

Disturbo transitorio da tic

1. Tic motori e/o vocali singoli o multipli.


2. I tic sono stati presenti per meno di 1 anno dall’esordio del primo tic.
3. L’esordio avviene prima dei 18 anni di età.
4. L’alterazione non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza (per es., cocaina) o a un’altra
condizione medica (per es., malattia di Huntington, encefalite postvirale).
5. Non sono mai stati soddisfatti i criteri per il disturbo di Tourette o per il disturbo persistente
(cronico) da tic motori o vocali.

Altri disturbi del neurosviluppo

• Disturbo del neurosviluppo con altra specificazione


• Disturbo del neurosviluppo senza specificazione.

Disturbo del neurosviluppo con altra specificazione

Sintomi caratteristici di un disturbo del neurosviluppo, che causano disagio clinicamente significativo o
compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti, predominano
ma non soddisfano pienamente i criteri per uno qualsiasi dei disturbi della classe diagnostica dei disturbi
del neurosviluppo.

Disturbo del neurosviluppo senza specificazione

La categoria del neurosviluppo senza specificazione è utilizzata in situazioni in cui il clinico sceglie di non
specificare la ragione per cui i criteri per uno specifico disturbo del neurosviluppo non vengono soddisfatti e
comprende le manifestazioni in cui ci sono informazioni insufficienti per porre una diagnosi più specifica

Adolescenza

Fase complessa e contraddittoria dello sviluppo

Periodo di transizione, la cui natura può essere messa a fuoco in diverse prospettive

Modelli di comprensione dell’adolescenza

È utile studiare quelle situazioni che mostrano le cosiddette difficoltà tipiche del comportamento
adolescenziale.

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È un’età critica in quanto si va incontro a cambiamenti sia esterni che interni.

All’interno della linea di sviluppo psico-sociale, l’adolescenza si pone come la fase incentrata sul conflitto
“identità-confusione”. L’adolescente è alla ricerca di un senso di identità inteso come senso di continuità e
stabilità, necessario per poter operare delle scelte, con la conseguente assunzione di impegni personali e
sociali.

L’adolescenza costituisce una crisi esistenziale che non può essere elusa. Può essere paragonata a una
seconda nascita piuttosto impegnativa:

• Il corpo muta
• Si svegliano le pulsioni sessuali
• Sorgono interessi nuovi legati per lo più allo sviluppo del pensiero astratto
• Si avverte il bisogno di differenziarsi dai genitori
• C’è voglia di autonomia alternata a bisogni di dipendenza
• Soprattutto ci si pongono domande sul chi si è e su cosa si vuole fare da grandi

Le fasi dello sviluppo della personalità si configurano come tappe specifiche dello sviluppo dell’Io, che
l’adolescente deve affrontare e superare per raggiungere la maturità.

• Fiducia – Sfiducia
• Autonomia – Dubbio – Vergogna
• Iniziativa – Responsabilità – Colpa
• Industriosità – Inferiorità

Si va incontro a:

• L’assunzione di un ruolo definito


• L’acquisizione di un’identità sessuale stabile
• La scelta di modelli di autorità validi e la capacità di auto affermarsi insieme alla gestione dei
propri impulsi aggressivi.
• L’elaborazione o l’adesione a valori che permettano di agire nella consapevolezza di vivere insieme
agli altri, in una prospettiva positiva.

In questo processo evolutivo i giovani:

• Cercano nuove esperienze e nuovi modelli comportamentali fuori dalla famiglia.


• Cercano delle nuove identificazioni che possano permettergli di staccarsi da loro.

Il gruppo di pari è fondamentale: il gruppo aiuta l’adolescente a definirsi, soddisfa un bisogno di sicurezza
che il giovane vive in relazione alla propria insicurezza emotiva.

Nei gruppi i giovani possono sperimentare le loro capacità di stare insieme, di condividere degli obiettivi, i
bisogni di orientamento, di misurare le proprie capacità intellettuali, fisiche e sociali. Al gruppo si
appartiene accettando, a volte acriticamente, le regole e le modalità comunicative. Il gruppo
adolescenziale è caratterizzato da rigidità e chiusura agli adulti, è un gruppo che scatena all’interno
dinamiche molto intense. Spesso il gruppo di pari si contrappone al nucleo familiare, in particolare alle
figure genitoriali.

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In questo contesto, il vissuto psicologico di “confusione” nell’adolescente può esprimersi concretamente in
sintomi e comportamenti anche patologici:

• crisi di depersonalizzazione, somatizzazione, inibizione, isolamento


• rifiuto e ribellione nei confronti dei valori socialmente adottati, dei ruoli definiti culturalmente
• aggressività auto e eterodiretta
• dipendenze patologiche

• abbandono degli studi

Gli adolescenti si trovano sospesi in un mondo che fa loro abbandonare l’età infantile per approdare
gradualmente in quella adulta. Il non più e il non ancora.

Nel descrivere l’adolescenza, Erikson, è ricorso ad una metafora che coglie bene l’essenza di questa “crisi
fisiologica”. L’immagine di un acrobata che ha lasciato il primo trapezio senza essere ancora giunto al
secondo. Se tutto va per il verso giusto, l’adolescente afferra il secondo trapezio e compie la sua traversata.
Se non tutto va bene, cade.

Nel cadere, bisogna verificare di che tipo di rete di protezione dispone l’adolescente. Come la rete
dell’adolescente (il complesso intreccio formato da persone supportanti e dagli strumenti psichici di cui
dispone l’adolescente stesso) riesce a reagire all’urto della caduta. Se la rete dell’adolescente non sostiene
l’impatto della caduta, la fisiologica crisi adolescenziale diviene pericolosa.

Disturbi della condotta alimentare – DCA

Nella cultura occidentale le prime descrizioni cliniche di anomalie dell’alimentazione risalgono a più di 2000
anni fa. Anche gli attacchi di fame e di voracità insaziabile sono presenti nella letteratura greca ed ebraica.
Alcune sante cristiane avevano un comportamento simile alle anoressiche.

Tra le prime descrizioni scientifiche che ci sono giunte su questo disturbo, c'è quella del Dr.Ernst Charles
Lasegue

“De l’anorexie hysterique”


(Archieves generales de Medicine, 1873)

“Ella prova innanzitutto un disturbo dopo avere mangiato… né lei né chi assiste vi attribuisce alcun disagio
duraturo… L’indomani la stessa sensazione si ripete...e la malata si convince che il miglior rimedio a questo
disturbo indefinito consiste nel diminuire l’alimentazione…

L’isterica riduce gradatamente il cibo talvolta con il pretesto del mal di testa talvolta con il timore che si
presentino le impressioni dolorose che seguono dopo il pasto… Dopo qualche settimana non si tratta più di
ripugnanze da ritenersi passeggere: è un rifiuto dell’alimentazione che si prolungherà indefinitamente… La
malattia è conclamata e seguirà il suo decorso così fatalmente…”

GLOSSARIO

ABBUFFATA:

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1) Mangiare in un definito periodo di tempo (es. 2 ore) una quantità di cibo significativamente
maggiore di quello che la maggior parte delle persone nelle stesse condizioni mangerebbe in quello
stesso tempo

2) Sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (es. sensazione di non riuscire a smettere di
mangiare o a controllare cosa e quanto si mangia)

CONDOTTE DI ELIMINAZIONE

Uso inappropriato di lassativi, diuretici, enteroclismi o vomito autoindotto.

ANORESSIA NERVOSA (AN)

• Rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra del peso minimo normale per l’età e la statura (al
di sotto dell’85%)
• Intensa PAURA di acquistare peso o di diventare grassi anche quando si è sottopeso
• ALTERAZIONE del modo in cui il soggetto VIVE IL PESO o la FORMA CORPOREA, ed eccessiva
influenza sui livelli di autostima, rifiuto di ammettere la gravità della condizione di sottopeso
• Nelle femmine dopo il menarca AMENORREA (3 cicli)

Sottotipi:

➢ sottotipo restrittivo (la perdita di peso è ottenuta soprattutto con dieta, digiuno o attività fisica
eccessiva)
➢ sottotipo con abbuffate/condotte di eliminazione: in cui sono attuate abbuffate

BULIMIA NERVOSA (BN)

1. Ricorrenti abbuffate
2. Ricorrenti e inappropriate CONDOTTE COMPENSATORIE per prevenire l’aumento di peso
3. Le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano entrambe in media almeno 2 volte a
settimana per 3 mesi
4. I livelli di AUTOSTIMA sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso corporei

Sottotipi:

➢ con Condotte di eliminazione: nell’episodio attuale il soggetto ha presentato regolarmente vomito


autoindotto o uso inappropriato di lassativi, diuretici enteroclismi
➢ senza Condotte di eliminazione: nell’episodio attuale il soggetto ha presentato altri
comportamenti compensatori inappropriati, come DIGIUNO, esercizio fisico eccessivo, ma non si
dedica regolarmente a vomito autoindotto etc

L’obesità continua a non comparire nella classificazione dei DCA, tuttavia tra i DCA NAS è stato individuato
il BED (BINGE EATING DISORDER): disturbo da alimentazione incontrollata, caratterizzato da mancato
controllo sull’alimentazione assieme all’assenza di condotte di eliminazione.

Nella cultura occidentale il problema del peso corporeo ha ricevuto un attenzione progressivamente
crescente:

• standard culturali - magrezza = successo, competenza, autocontrollo e attrazione sessuale


• peso corporeo eccessivo = fattore di rischio

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Aspetti genetici: sembra che ci sia una debolezza nei meccanismi ipotalamici di omeostasi che assicurano
un recupero del corretto peso corporeo dopo un calo ponderale.

I DCA sono aumentati negli ultimi 20 anni nelle donne tra i 15 e i 25 anni

Sono prevalenti nei paesi sviluppati e industrializzati, mentre sono poco comuni al di fuori del mondo
occidentale e nelle regioni meno ricche.

Essere a dieta comporta la sostituzione di un attività alimentare regolata da segnali interni (senso di fame)
con un alimentazione o una restrizione cognitivamente determinata. Chi segue un alimentazione restrittiva
è costretto ad ignorare i segnali di fame e di sazietà. Ignorare tali segnali può portare ad una disregolazione
del metabolismo soprattutto se la dieta viene perseguita cronicamente.

CONTROREGOLAZIONE: chi è sempre a dieta non mette in atto il meccanismo di compenso secondo il
quale se ad un pasto si introduce un elevato contenuto calorico, al pasto successivo mangia meno →
controregolazione → al pasto successivo si ha una disinibizione verso il cibo e si mangia ancor di più.

Lo stare a dieta è uno dei fattori precipitanti dei DCA: sia AN che BN sono preceduti da un tentativo
apparentemente normale di perdere peso.

ANORESSIA NERVOSA: QUADRO CLINICO

Caratteristiche premorbose: bambine o adolescenti timide, remissive, ubbidienti, perfezioniste e


competitive, coscienziose e tese ad ottenere il massimo in ogni prestazione, rendimento scolastico assai
superiore alla media. A volte ci sono caratteristiche comportamentali di maggiore estroversione con
comportamento oppositivo. E’ oscuro il passaggio dall’aderenza ad un normale regime dimagrante alla
distorsione dell’immagine corporea che assume un contenuto a volte delirante.

L’esordio è spesso graduale e insidioso

Spesso le pazienti riferiscono di aver cominciato a polarizzarsi sul peso in seguito a qualche commento
scherzoso su qualche parte del loro corpo. A volte la riduzione dell’introduzione di cibo avviene adducendo
come pretesto una serie di difficoltà digestive o di lamentele ipocondriache o di un inspiegabile perdita di
appetito. Altre volte le pazienti si mascherano rispetto ai familiari facendo sparire il cibo che avrebbero
dovuto ingerire. Più raramente l’esordio è acuto e reattivo ad eventi significativi di separazione, o insuccessi
scolastici o affettivi.

La restrizione alimentare riguarda prevalentemente i cibi ricchi di lipidi e i carboidrati, che vengono
eliminati progressivamente dalla dieta e sostituiti con frutta e verdura o fibre e integratori vitaminici nella
convinzione di voler dimagrire mantenendosi in buone condizioni di salute. Spesso le pazienti iniziano a
controllare e a sovraintendere chi cucina per la paura che ci siano eccessivi condimenti o che non vengano
rispettate le quantità prescritte e rapidamente arrivano a rifiutare qualsiasi cosa che non sia preparata da
loro stesse. Il pasto comincia a diventare motivo di ansia e iniziano a procrastinare il momento di sedersi a
tavola fino a sovvertire completamente l’orario dei pasti. Se costretta a mangiare riduce il cibo in elementi
piccolissimi e li sparpaglia nel piatto, giocherellandoci anche per ore.

Alla restrizione alimentare le pazienti associano attività fisica aerobica di cu iniziano ad incrementare
frequenza e durata, assumendo caratteristiche compulsive e iniziano a ragionare per:

crediti = ad una determinata attività fisica corrisponde la possibilità di concedersi del cibo

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debiti = ad un intemperanza alimentare deve corrispondere una determinata quantità di esercizio

L’esercizio fisico è motivato a volte più che dal desiderio di dimagrire, dalla sensazione di essere flaccide e
di dover rassodare i muscoli.

La preoccupazione per il peso assume caratteristiche ossessive, di idea prevalente o addirittura di


convinzione delirante: anche la dieta prescritta dallo specialista sembra troppo ricca di calorie. La maggior
parte delle pazienti riferisce di aver avuto molta fame nelle fasi iniziali della malattia ma di non essersi
concessa l’ingestione di cibo per la paura di aumentare di peso. Il poco cibo assunto varia da paziente a
paziente, ma tende ad essere lo stesso per tipo e quantità; la paziente si attiene rigidamente a tale schema.
L’amenorrea compare precocemente. All’inizio del dimagrimento appare una condizione di euforia, di
maggior estroversione e viene rinforzata positivamente dalle risposte dell’ambiente → maggior
accettazione, estroversione, disinvoltura con gli altri.

Quando dimagrendo diventa emaciata, riceve critiche e pressioni da parte dell’ambiente che l’anoressica
ignora, consuma i pasti in solitudine; si rafforza nei suoi propositi di digiuno e tende ad isolarsi socialmente.
Peso e cibo sono idee prevalenti che condizionano la vita della paziente. La fame negata riemerge sotto
forma di crisi bulimiche o come presenza di pensieri costanti rispetto al cibo (collezionano ricette, cucinano
cose elaborate che poi non mangiano e pretendono che vengano mangiate dai familiari). A volte si
costituiscono riserve segrete di cibo nella loro stanza. Se c’è iperattività fisica ciò contrasta con il
deperimento fisico: fanno esercizi aerobici per diverse ore al giorno (marcia, nuoto, bicicletta, danza,
palestra) con un attitudine compulsiva per bruciare calorie. A volte non studiano sedute per timore che tale
inattività possa portare ad un aumento ponderale. A volte riducono le ore di sonno in quanto sono un
periodo di ridotto consumo energetico.

Con il progredire, alimentazione, condotte di controllo del peso corporeo e abitudini di vita diventano
sempre più rigide e stereotipate. Nonostante il grave deperimento fisico restano immutabili:

• Il terrore di ingrassare

• La convinzione di essere sovrappeso nonostante l’aspetto emaciato

• La tendenza a creare una distanza di sicurezza tra il peso raggiunto e quello temuto

• Il rifiuto di trattamenti farmacologici ritenuti pericolosi per l’incremento ponderale

Monitorano attentamente il peso, più volte al giorno (rituali ripetitivi e obbligati) vissuti con angoscia in
attesa del verdetto della bilancia da cui dipende la stima di se. All’esame obiettivo sono gravemente
emaciate, lamentano stipsi e algie addominali, cute secca, con tipica colorazione gialla, alopecia. ECG ed
EEG modificati, ipotensione bradicardia, gravi alterazioni della crasi ematica, e della funzione epatica
renale.

Quando le condizioni diventano ancora più gravi l’iperattività scompare e la paziente diventa apatica.
L’umore diventa depresso e/o disforico fino ad una depressione maggiore (verosimilmente secondaria a
digiuno ed emaciazione).

Nel sesso maschile le caratteristiche premorbose sono simili, come le modalità di esordio (spesso i ragazzi
si mettono a dieta perché realmente sovrappeso). Spesso persiste una marcata polarizzazione sulla
funzione intestinale e sulle dimensioni dell’addome che assume connotazioni francamente ossessive. La
frequenza delle abbuffate e delle condotte di eliminazione appare poco superiore.

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DECORSO

Variabile

La guarigione va da:

• 0 al 30%
• nel 50% dei casi restano dei sintomi residui o sequele psicopatologiche:
o sintomi depressivi
o tratti ossessivo-compilsivi

INFLUENZA DELLA DISTORTA IMMAGINE DI SE sull’AUTOSTIMA

INCAPACITA’ DI VALUTARE CORRETTAMENTE LE DIMENSIONI CORPOREE: ipervalutano la dimensione


della larghezza rispetto alla lunghezza e rispetto alla percezione del sé.

Il disturbo dell’immagine corporea è l’aspetto psicopatologico nucleare più resistente ad ogni tentativo di
confutazione e può arrivare fino al delirio.

LA BULIMIA NERVOSA BN esordisce di solito a seguito di una dieta dimagrante per rimediare ad un
modesto sovrappeso, che ben presto diventa restrittiva (di solito è preceduta da una fase di anoressia di
durata variabile).

Il terreno comune su cui BN e AN si sviluppano è quello di reiterati tentativi di restringere l’alimentazione,


ma nella BN al tentativo iniziale di una dieta ipocalorica fa seguito quasi immediatamente la comparsa di
abbuffate, compensate a loro volta da maggior restrizione o da esercizio fisico. C’è un alternanza tra
semidigiuni o digiuni completi ed abbuffate, che la paziente tenta e spesso riesce a tenere segreto per molti
anni. Alcune pz per evitare di ingrassare masticano il cibo proibito e poi lo sputano, ma la modalità più
frequente è l’autoinduzione del vomito.

L’aumento progressivo del numero delle abbuffate, e la difficoltà a compensarle porta al terrore di perdere
il controllo sul peso corporeo → lassativi, emesi autoindotta, anche in occasione di abbuffate coi cibi
proibiti. L’episodio bulimico è spesso preceduto da stati d’animo spiacevoli, sentimenti di solitudine, noia,
tristezza, ansia, collera, irritazione, mentre altre volte sono scatenati dalla vista dei cibi proibiti. L’ingestione
è vorace, caotica, compulsiva, con scarsa attenzione per il gusto ed il sapore, accompagnata dalla
sensazione di perdita di controllo. Per evitare la crisi bulimica alcune pazienti riferiscono di ricorrere a
farmaci stimolanti, anoressizzanti o ad alcool e ansiolitici. Alla crisi fanno seguito senso di colpa, vergogna,
autodisprezzo, depressione e disgusto di se. → vomito autoindotto, fugace sollievo per riduzione della
distensione addominale e dell’ansia connessa alla paura di ingrassare.

Alcune pazienti ricorrono all’abuso di lassativi dopo la crisi che provoca disidratazione e danno la
sensazione di dimagrire.

Le pazienti diabetiche evitano di assumere insulina.

In alcuni casi i sentimenti di autosvalutazione successivi alla crisi portano ad atteggiamenti autolesionistici:

• tagliarsi
• graffiarsi
• mordersi

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• picchiarsi
• bruciarsi

I DISTURBI DI PERSONALITÀ

Personalità, temperamento, carattere

Si intende per personalità l’organizzazione dinamica individuale di sistemi psicofisici che determinano gli
adattamenti specifici all’ambiente. La personalità è il realizzarsi del processo della vita in un individuo
libero, socialmente integrato e psicologicamente consapevole. Nell’ottica del modello bio-psico-sociale di
Cloninger rappresenta la sintesi tra temperamento e carattere.

Il temperamento è:

• Ereditabile;
• Interamente manifesto fin dall'infanzia
• Stabile per tutta la durata della vita

Il carattere è la componente della personalità definita come “debolmente ereditabile e primariamente


influenzata dall’apprendimento sociale, dalla cultura e dagli eventi di vita unici per l’individuo”.

Modello categoriale dei disturbi di personalità

Nel DSM-IV-TR, i disturbi di personalità sono definiti all’interno di un sistema gerarchico tassonomico
categoriale. I 10 diversi disturbi di personalità sono definiti sulla base della presenza politetica di circa 7-9
elementi, di cui un sottoinsieme deve essere presente, al fine di soddisfare la soglia diagnostica.

Il DSM-IV-TR è relativamente facile da usare. È utile per scopi di comunicazione e concettualizzazione. Può
essere supporto alle decisioni terapeutiche. Trasmette molte informazioni sotto una sola etichetta
diagnostica, per quanto riguarda le caratteristiche del disturbo, le condizioni correlate e le possibili opzioni
di trattamento.

Criteri diagnostici generali per i disturbi di personalità (DSM 5)

A. Un modello abituale di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto


alle aspettative della cultura dell’individuo.
Questo modello si manifesta in due (o più) delle aree seguenti:
1. Cognitiva (cioè modi di percepire ed interpretare se stessi, gli altri e gli avvenimenti);
2. Affettiva (cioè la varietà, intensità, labilità e adeguatezza della risposta emotiva);
3. Funzionamento interpersonale;
4. Controllo degli impulsi.
B. Il modello abituale risulta inflessibile e pervasivo in una varietà di situazioni personali e sociali.
C. Determina un disagio clinicamente significativo e compromissione del funzionamento sociale,
lavorativo e di altre aree importanti.
D. È stabile e di lunga durata, l’esordio può essere fatto risalire almeno all’adolescenza o alla prima età
adulta.
E. Il modello abituale non risulta meglio giustificato come manifestazione o conseguenza di un altro
disturbo mentale.
F. Il modello abituale non risulta collegato agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per esempio
una droga, un farmaco) o di una condizione medica generale (per esempio un trauma cranico).

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Disturbo di personalità nel DSM 5

A. Un pattern abituale di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto


alle aspettative della cultura dell’individuo. Questo pattern si manifesta in due (o più) delle
seguenti aree:
1. Cognitiva (cioè modi di percepire ed interpretare se stessi, gli altri e gli avvenimenti);
2. Affettiva (cioè la varietà, intensità, labilità e adeguatezza della risposta emotiva);
3. Funzionamento interpersonale;
4. Controllo degli impulsi.
B. Il pattern abituale risulta inflessibile e pervasivo in un’ampia varietà di situazioni personali e sociali.

Disturbi di personalità e DSM 5

Questo tipo di classificazione è basato sulla presenza di compromissioni del funzionamento del sé e del
funzionamento interpersonale, misurati attraverso una scala a cinque punti (0 = nessuna compromissione,
5 = massima compromissione).

• 1 Tempo: il soggetto descrive e misura il grado di compromissione funzionale che sperimenta;


• 2 Tempo: vengono individuati i tratti patologici di personalità in lui presenti;
• 3 Tempo: si individua la categoria diagnostica del disturbo di personalità.

Disturbi di personalità DSM-IV-TR (Asse II):

CLUSTER:

A. Paranoide – Schizoide – Schizotipico


B. Antisociale – Borderline – Istrionico – Narcisistico
C. Evitante – Dipendente – Ossessivo-Compulsivo

CLUSTER A (Bizzarro)

Il Cluster Bizzarro ha a che fare con i disturbi del pensiero; quelle “forme bizzarre” delle gravi malattie
mentali appartengono a questo cluster. La persona, sopraffatta da intese e ingestibili emozioni, ha bisogno
infatti di ricorrere a potenti meccanismi di difesa, tra cui la modificazione della percezione della realtà. Le
forme bizzarre del pensiero sono perciò meccanismi difensivi attuati in situazioni drammatiche, soprattutto
per la mancanza di un supporto empatico che permetta di sostenere il disagio.

DISTURBO PARANOIDE – INDICI DESCRITTIVI

A. Diffidenza e sospettosità pervasive nei confronti degli altri, al punto che le loro attenzioni vengono
interpretate come malevoli, che iniziano nella prima età adulta e sono presenti in vari contesti,
come indicato da quattro (o più) dei seguenti elementi:
1. Sospetta, senza una base sufficiente, di essere sfruttato, ingannato o danneggiato.
2. Dubita senza giustificazione della lealtà o affidabilità di amici e colleghi.
3. E’ riluttante a confidarsi con gli altri a causa del timore ingiustificato che le informazioni
possano essere usate contro di lui.
4. Scorge significati nascosti umilianti o minacciosi in rimproveri o altri eventi benevoli.
5. Porta costantemente rancore, cioè non perdona gli insulti, le ingiurie o le offese.
6. Percepisce attacchi al proprio ruolo o reputazione non evidenti agli altri ed è pronto a
reagire con rabbia o contrattaccare.

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7. Sospetta in modo ricorrente, senza giustificazione, della fedeltà del coniuge o del partner
sessuale.
8. E’ orgoglioso della razionalità.
B. Non si manifesta esclusivamente durante il decorso della Schizofrenia, di un Disturbo dell’Umore
con Manifestazioni Psicotiche, di un altro Disturbo Psicotico o di un Disturbo Pervasivo dello
Sviluppo, e non è dovuto agli effetti fisiologici diretti di una condizione medica generale.

DISTURBO PARANOIDE – CRITERI GENERALI E DI ESCLUSIONE

Il criterio descrittivo necessario, per il Disturbo Paranoide, è l’aspettativa del danno, quando non c’è
motivo. Le condizioni di esclusione includono: la preoccupazione per l’abbandono (caratteristica del
Borderline e del Dipendente) e la sottomissione all’autorità.

DISTURBO PARANOIDE – CARATTERISTICHE INTERPERSONALI

Il Paranoide ha paura che gli altri lo attacchino, gli facciano del male o lo biasimino. Desidera essere capito
ed accettato dagli altri, ma quando questo non avviene, anche per la sua modalità rivendicativa di posi in
relazione, spera e si attiva affinché essi lo lascino in pace. La posizione di base è trincerarsi, rimanere
separato e controllare strettamente il sé. Facilmente viene indotto ad un distacco rabbioso. Quando si
sente minacciato si ritira in maniera ostile o attacca per controllare l’altro o per prendere le distanze.

In sintesi il Paranoide è una persona solitaria, che si tiene lontana dagli altri ed è tenuta da loro a distanza,
che diffida e suscita diffidenza, che odia, ha paura e, nel contempo, spaventa gli altri. Le interazioni
interpersonali hanno per lo più carattere ostile e rivendicativo.

DISTURBO SCHIZOIDE – INDICI DESCRITTIVI

A. Una modalità pervasiva di distacco dalle relazioni sociali ed una gamma ristretta di espressioni
emotive, nei contesti interpersonali, che iniziano nella prima età adulta e sono presenti in una
varietà di contesti, come indicato da quattro (o più) dei seguenti elementi:
1. Non desidera né prova piacere nelle relazioni strette, incluso il far parte di una famiglia.
2. Sceglie quasi sempre attività solitarie.
3. Dimostra poco o nessun interesse per le esperienze sessuali con un’altra persona.
4. Prova piacere in poche o nessuna attività.
5. Non ha amici intimi o confidenti, eccetto i parenti di primo grado.
6. Sembra indifferente alle lodi o alle critiche di altri.
7. Mostra freddezza emotiva, distacco o affettività appiattita.
B. Non si manifesta esclusivamente durante il decorso:
della Schizofrenia
di un Disturbo dell’Umore con Manifestazioni Psicotiche
di un altro Disturbo Psicotico
di un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo
Non è dovuto agli effetti fisiologici diretti di una condizione medica generale.

DISTURBO SCHIZOIDE - CRITERI NECESSARI E DI ESCLUSIONE

Tutti gli indici descrittivi dello Schizoide hanno a che fare con l’indifferenza sociale e l’isolamento, semplici e
senza complicazioni. Nessuno è più importante di un altro.

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DISTURBO SCHIZOIDE – CARATTERISTICHE INTERPERSONALI

Non sono presenti desideri o timori riguardanti gli altri. La posizione di base implica autonomia attiva e
passiva. Pur avendo consapevolezza ed abilità sociali sottosviluppate, lo Schizoide può riuscire comunque a
soddisfare le aspettative inerenti i ruoli sociali formali. Può anche sposarsi ma non riuscirà a sviluppare un
rapporto di vera intimità. Può essere presente una vita fantastica attiva, ma non necessariamente bizzarra.

DISTURBO SCHIZOTIPICO – INDICI DESCRITTIVI

A. Una modalità pervasiva di relazioni sociali ed interpersonali deficitarie, evidenziate da acuto disagio
nelle relazioni intime e una capacità ridotta di averne, accompagnato da distorsioni cognitive e
percettive ed eccentricità nel comportamento.
Compaiono nella prima età adulta, e sono presenti in una varietà di contesti, come indicato da
cinque (o più) dei seguenti elementi:
1. Idee di riferimento (esclusi i deliri di riferimento).
2. Credenze strane o pensiero magico, che influenzano il comportamento e sono in contrasto
con le norme subculturali (come la superstizione, credere nella chiaroveggenza, nella
telepatia o nel “sesto senso”; nei bambini e negli adolescenti: fantasie e pensieri bizzarri).
3. Esperienze percettive insolite, incluse illusioni corporee.
4. Pensiero e linguaggio stravaganti (vago, circostanziato, metaforico, troppo elaborato o
stereotipato).
5. Sospettosità o ideazione paranoide.
6. Affettività inappropriata o coartata.
7. Comportamento o aspetto strani, eccentrici, o peculiari.
8. Mancanza di amici intimi o confidenti, eccetto i parenti di primo grado.
9. Eccessiva ansia sociale, che non diminuisce con l’aumento della familiarità e tende ad
essere associata con preoccupazioni paranoidi piuttosto che con un giudizio negativo di sé.

DISTURBO SCHIZOTIPICO – CARATTERISTICHE INTERPERSONALI

Lo Schizotipico ha paura del controllo, caratterizzato da attacco ed umiliazione; desidera pertanto che gli
altri lo lascino solo. La sua posizione di base è quella del distacco ostile e trascuratezza di sé. Egli crede di
avere la capacità di influenzare magicamente gli altri, che può esercitare direttamente (telepatia) o
indirettamente (controllo tramite un rituale). Di solito lo Schizotipico impone questi “poteri” a distanza. E’
consapevole dei propri sentimenti di aggressività e rabbia, ma di solito riesce a non esprimerli.

CLUSTER B (Drammatico)

Il Cluster DRAMMATICO riguarda i meccanismi difensivi legati all’angoscia che, non riuscendo ad essere
pensata e gestita, viene agita dalla persona. L’operazione di “mentalizzazione” dell’angoscia non può essere
infatti gestita da soggetti poco strutturati. Il soggetto viene quindi sopraffatto dall’angoscia, la sua
“fragilità” gli impedisce di mentalizzarla, pensarla e renderla comunicabile.

• L’Antisociale sfrutta, truffa, ruba, ammazza


• Il Narcisista ricerca continuamente consensi, sfoggia altezzoso i suoi successi, attacca sdegnato
quando criticato
• L’Istrionico si prodiga in una incessante ed eccessiva richiesta di attenzioni
• Il Borderline agisce le sue instabili ed intense emozioni

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DISTURBO DI PERSONALITÀ ISTRIONICO

Criteri descrittivi (DSM-IV TR)

Un quadro pervasivo di emotività eccessiva e di ricerca di attenzione, che compare entro la prima età
adulta ed è presente in una varietà di contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi:

1. E’ a disagio in situazioni nelle quali non è al centro dell’attenzione.


2. L’interazione con gli altri è spesso caratterizzata da comportamento sessualmente seducente o
provocante.
3. Manifesta un’espressione delle emozioni rapidamente mutevole e superficiale.
4. Costantemente utilizza l’aspetto fisico per attirare l’attenzione su di sé.
5. Lo stile dell’eloquio è eccessivamente impressionistico e privo di dettagli.
6. Mostra autodrammatizzazione, teatralità ed espressione esagerata delle emozioni.
7. E’ suggestionabile, cioè facilmente influenzato dagli altri e dalle circostanze.
8. Considera le relazioni più intime di quanto lo siano realmente.

DISTURBO ISTRIONICO – CARATTERISTICHE INTERPERSONALI

Sussiste il grande timore di essere ignorati, insieme al desiderio di essere amati e protetti da qualcuno
potente che, tuttavia, può essere controllato attraverso il fascino, la bellezza e l’abilità di intrattenere. La
posizione di fondo è quella di amichevole fiducia, accompagnata dalla segreta intenzione di costringere
l’altro a dispensare affetto e le cure desiderati. Esempi sono i comportamenti seduttivi inappropriati e i
tentati suicidi a scopo manipolativo.

La “scelta” del tipo di modalità istrionica, dipende anche dalla relazione tra le caratteristiche costituzionali
del bambino e le prime esperienze di apprendimento in famiglia.

• Un bambino ammirato per il suo aspetto, è più facile che sviluppi tecniche di seduzione.
• Un bambino costituzionalmente debole è più probabile che sviluppi il modello “malaticcio”.
• Alcuni possono utilizzare entrambe le modalità.

DISTURBO DI PERSONALITA’ BORDELINE

INDICI DESCRITTIVI SECONDO IL DSM-IV

Una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore e una
marcata impulsività, comparse nella prima età adulta e presenti in vari contesti, come indicato da cinque (o
più) dei seguenti elementi.

1. Sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono.


2. Relazioni interpersonali instabili ed intense, caratterizzate dall’alternanza tra gli estremi di
iperidealizzazione e svalutazione.
3. Alterazione dell’identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente e persistentemente
instabili.
4. Impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto, quali spendere,
sesso, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate.
5. Ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari o autolesivi.

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6. Instabilità affettiva, dovuta ad una marcata reattività dell’umore (come, per esempio, una episodica
intensa disforia, irritabilità o ansia, che di solito durano poche ore e soltanto raramente più di
qualche giorno).
7. Sentimenti cronici di vuoto.
8. Rabbia immotivata ed intensa o difficoltà a controllare la rabbia (per esempio, frequenti accessi di
ira o rabbia costante, ricorrenti scontri fisici).
9. Ideazione paranoide, o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress.

DISTURBO BORDERLINE – CARATTERISTICHE INTERPERSONALI

Paura morbosa dell’abbandono e il desiderio di cure e protezione, ricevute preferibilmente con una
costante vicinanza fisica dell’altro. La posizione di partenza è la dipendenza amichevole dalla persona che si
occupa di lei, che diventa controllo ostile quando non riesce a ricevere abbastanza (e non è mai
abbastanza). Un oggetto introiettato malvagio attacca il sé quando ci sono segni di felicità o successo.

L’elemento fondante dell’Organizzazione Borderline di Personalità è la mancata realizzazione di un’identità


integrata e di una costanza d’oggetto interno. Tale fallimento strutturale è alla base:

• Della sindrome da diffusione d’identità


• Dei meccanismi di difesa primitivi

Organizzazione Borderline di Personalità

• Sindrome della diffusione dell’identità


Sentimento cronico di vuoto, Percezioni piatte superficiali e impoverite (di sé e degli altri),
incapacità a comunicare le interazioni affettive significative, instabilità comportamentale e
affettiva, depressione come senso di solitudine ma privo del senso di colpa e dell’autoaccusa
• Meccanismi di difesa primitivi
Comportamenti che riflettono un Sé ipertrofico in rapporto a rappresentazioni svalutate degli altri
(onnipotenza, svalutazione e scissione dell’imago); completo disinteresse e assenza di reazioni
emotive riguardo a pericoli, bisogni o conflitti (diniego)
• Generale mantenimento dell’esame di realtà

I pazienti borderline possono utilizzare il termine “depressione” per descrivere sentimenti cronici di noia,
solitudine vuoto, ma possono non avere i classici segni e sintomi della depressione maggiore.

Inoltre, i sintomi di rabbia consci si alternano spesso nel paziente con OBP, contrariamente a quanto
avviene nel paziente afflitto da depressione.

DISTURBO DI PERSONALITA’ NARCISISTICO

INDICI DESCRITTIVI SECONDO IL DSM-IV

Un quadro pervasivo di grandiosità (nella fantasia o nel comportamento), necessità di essere ammirati e
mancanza di empatia, che compare entro la prima età adulta ed è presente in una varietà di contesti, come
indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi.

1. Ha un senso grandioso della propria importanza (esagera, ad esempio, successi e talenti, si aspetta
di essere ritenuto superiore senza un’adeguata motivazione).
2. E’ assorbito da fantasie di illimitato successo, potere, intelligenza, fascino, bellezza e amore ideale.

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3. Crede di essere unico e “speciale” e di dover frequentare e poter essere capito solo da altre persone
(o istituzioni) altrettanto speciali o di classe elevata.
4. Richiede eccessiva ammirazione.
5. Ha la sensazione che tutto gli sia dovuto, cioè, la irragionevole aspettativa di trattamenti di favore o
di soddisfazione immediata delle proprie aspettative.
6. Sfruttamento interpersonale (si approfitta degli altri per i propri scopi)
7. Manca di empatia: è incapace di riconoscere o di identificarsi con i sentimenti e le necessità degli
altri.
8. E’ spesso invidioso degli altri, o crede che gli altri lo invidino.
9. Mostra comportamenti o atteggiamenti arroganti e presuntuosi.
10. Reagisce alle critiche con sentimenti di rabbia, vergogna o umiliazione, anche se non li esprime

DISTURBO NARCISISTA – CARATTERISTICHE INTERPERSONALI

• Estrema vulnerabilità alle critiche o alla trascuratezza.


• Forte desiderio di amore, sostegno, rispetto ed ammirazione da parte degli altri. La posizione di
fondo è quella di aspettarsi un amore incondizionato per la propria persona e di esercitare il
controllo sugli altri.
• Senza il sostegno altrui, o in presenza di feroci critiche, la considerazione di sé precipita verso una
feroce autocritica distruttiva.
• Incapace di empatia, il Narcisista tratta gli altri con disprezzo, ritenendoli inferiori a sé.
• Può esprimere il suo atteggiamento in modo plateale o in modo coperto, potendo essere scambiato
per Evitante

DISTURBO NARCISISTA – CRITERI NECESSARI E DI ESCLUSIONE

Gli indicatori descrittivi necessari per il Disturbo Narcisista sono: un senso grandioso di importanza della
propria persona e un senso di diritto acquisito. Elemento di esclusione è la condotta priva di riguardi per la
propria persona, tipica dell’Antisociale.

DISTURBO DI PERSONALITA’ ANTISOCIALE

INDICI DESCRITTIVI SECONDO IL DSM-IV

A. Un quadro pervasivo di inosservanza e di violazione dei diritti degli altri, che si manifesta fin
dall’età di 15 anni, come indicato da tre (o più) dei seguenti elementi.
1. Incapacità di conformarsi alle norme sociali per ciò che concerne il comportamento legale, come
indicato dal ripetersi di condotte suscettibili di arresto.
2. Disonestà, come indicato dal mentire, usare falsi nomi, o truffare gli altri ripetutamente, per
profitto o per piacere personale.
3. Impulsività o incapacità a pianificare.
4. Irritabilità e aggressività, come indicato da scontri o assalti fisici ripetuti.
5. Inosservanza spericolata della sicurezza propria e degli altri.
6. Irresponsabilità abituale, come indicato dalla ripetuta incapacità di sostenere un’attività
lavorativa continuativa, o di far fronte ad obblighi finanziari.
7. Mancanza di rimorso, come indicato dall’essere indifferenti o dal razionalizzare dopo aver
danneggiato, maltrattato o derubato un altro.
B. L’individuo ha almeno 18 anni e presentava, prima dei 15, un Disturbo della Condotta.

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C. Presenza di un Disturbo della Condotta con esordio prima dei 15 anni di età.
D. Il comportamento antisociale non si manifesta esclusivamente durante il decorso della Schizofrenia
o di un Episodio Maniacale.

Come il soggetto Borderline, anche l’Antisociale ha interiorizzato la trascuratezza e l’abbandono genitoriali.

La difficoltà a prendersi effettivamente cura dei propri bisogni, a prevedere gli eventi e a valutare le
conseguenze delle proprie azioni, così come a capire e rispettare le necessità degli altri, può essere la
conseguenza della negligenza mostrata nei suoi confronti dai propri genitori.

L’abuso di alcol e droghe, il comportamento criminale e la prostituzione possono essere l’espressione


dell’incapacità di prendersi cura di sé del soggetto Antisociale: pur ottenendo dei vantaggi (buone
sensazioni temporanee, denaro e status in certi ambienti), da queste attività autodistruttive, egli viene
pesantemente danneggiato a livello fisico e sociale.

I tentativi di prendersi cura di sé risultano pertanto poco efficaci, quando non dannosi.

DISTURBO ANTISOCIALE – CARATTERISTICHE INTERPERSONALI

• Desiderio improprio e inadeguato di controllare gli altri, agito attraverso modi di fare distaccati.
• Forte bisogno di essere indipendenti e di opporsi al controllo degli altri, considerati in genere con
disprezzo e superiorità.
• Sussiste la propensione all’aggressione dell’altro per rafforzare il controllo o l’indipendenza.
• L’Antisociale si può presentare anche come una persona che si mostra socievole, ma la sua
apparente benevolenza è sempre accompagnata da una posizione di base di freddo distacco.
• Al soggetto non interessa cosa accade agli altri e anche a se stesso.

Cluster C (Ansioso)

Il Cluster Ansioso riguarda le manovre difensive legate ai temi dell’ansia e alla sua gestione. Essa è
l’esperienza soggettiva del conflitto interno tra desiderio e paura.

• Il Dipendente cerca costantemente la vicinanza dell’altro, perché ha paura di non riuscire a


cavarsela da solo
• L’Evitante desidererebbe entrare in relazione con l’altro, ma la paura di farlo lo porta a stargli
lontano
• L’Ossessivo–Compulsivo ha una grande paura di fare errori, di essere accusato di non essere
perfetto. La ricerca dell’ordine lo porta a controllare eccessivamente gli altri

DISTURBO DI PERSONALITA’ DIPENDENTE

INDICI DESCRITTIVI SECONDO IL DSM IV

Un bisogno pervasivo ed eccessivo di essere accuditi, che porta ad un comportamento sottomesso e


dipendente e alla paura della separazione, che compare nella prima età adulta ed è presente in una varietà
di contesti, come evidenziato da cinque (o più) dei seguenti elementi:

1. Difficoltà a prendere decisioni quotidiane senza richiedere un’eccessiva quantità di consigli e


rassicurazioni.

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2. Bisogno che gli altri si assumano la responsabilità per la maggior parte dei settori della sua vita.
3. Difficoltà ad esprimere disaccordo verso gli altri per il timore di perdere il sostegno o l’approvazione
4. Difficoltà ad iniziare progetti o a fare le cose da solo (per mancanza di fiducia nel proprio giudizio e
nelle proprie capacità, piuttosto che per mancanza di motivazione o di energia).
5. Tendenza a giungere a qualsiasi cosa pur di ottenere accudimento e supporto dagli altri, fino al
punto di offrirsi per compiti spiacevoli.
6. Sentirsi a disagio o indifesi quando si è soli per timori esagerati di non essere in grado di provvedere
a se stessi.
7. Cercare urgentemente un’altra relazione come fonte di accudimento e di supporto, quando una
relazione intima finisce.
8. Preoccupazione non realistica di essere lasciato solo a provvedere a se stesso.

DISTURBO DIPENDENTE – CRITERI NECESSARI E DI ESCLUSIONE

L’indicatore descrittivo necessario per il Disturbo Dipendente è la tendenza alla sottomissione associata ad
un senso di inadeguatezza strumentale. A differenza di altri disturbi, quella del Dipendente è una
dipendenza semplice. Le condizioni di esclusione includono le complicazioni della dipendenza.

Il Dipendente non mostra i comportamenti caratteristici dei disturbi del “cluster drammatico”:

• non esprime forte rabbia nelle situazioni di mancata attenzione o preoccupazione dell’altro, come fa
il Borderline
• non mostra l’indignazione del Narcisista, quando gli altri non si attivano per lui, né si impegna così
tanto, come l’Istrionico, per ottenere le cure e le attenzioni
• non mostra comportamenti apertamente ostili come fa l’Antisociale.

Il Dipendente assume una posizione di attesa e aspetta semplicemente che ci si occupi di lui. Si fida e si
sottomette all’altro, aspettandosi in cambio di ricevere protezione e cura. Non desidera esercitare il
controllo, caratteristica dell’Ossessivo-Compulsivo; non fugge al primo cenno di critica, come fa l’Evitante;
non si sente a proprio agio in situazioni di autonomia che si prolunghino nel tempo, come succede allo
Schizoide, allo Schizotipico ed allo stesso Evitante.

DISTURBO DI PERSONALITÀ EVITANTE

INDICI DESCRITTIVI SECONDO IL DSM IV

Un quadro pervasivo di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza e ipersensibilità al giudizio negativo,


che compare entro la prima età adulta ed è presente in una varietà di contesti, come indicato da quattro (o
più) dei seguenti elementi:

1. Evita le attività lavorative che richiedono un contatto interpersonale significativo, per il timore delle
critiche, della disapprovazione o del rifiuto.
2. Non vuole entrare in relazione con le persone, a meno che non sia certo di piacere.
3. E’ inibito nelle relazioni intime per il timore di essere umiliato o ridicolizzato.
4. Si preoccupa di essere criticato o rifiutato nelle situazioni sociali.
5. E’ inibito nelle situazioni interpersonali nuove, perché si sente inadeguato.
6. Si considera socialmente inetto, personalmente poco attraente, o inferiore agli altri.
7. E’ insolitamente riluttante ad assumersi rischi personali o ad intraprendere qualsiasi nuova attività,
poiché questo può rivelarsi imbarazzante.

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DISTURBO EVITANTE - CARATTERISTICHE INTERPERSONALI

• L’Evitante ha una intensa paura dell’umiliazione e del rifiuto.


• Sentendosi inadeguato, sta lontano dagli altri e dalle situazioni sociali e si controlla in modo da
evitare possibili imbarazzi.
• Desidera intensamente amore ed accettazione, ma riesce ad aprirsi e ad essere intimo solo con le
poche persone che hanno dimostrato, dopo aver superato severi esami, che possono essere
veramente affidabili e sicure.
• Occasionalmente può perdere il controllo ed avere esplosioni di rabbia.

DISTURBO DI PERSONALITA’ OSSESSIVO-COMPULSIVO

INDICI DESCRITTIVI SECONDO IL DSM-IV

Un quadro pervasivo di preoccupazione per l’ordine, perfezionismo e controllo mentale e interpersonale, a


spese della flessibilità, apertura ed efficienza, che compare entro la prima età adulta ed è presente in vari
contesti, come indicato da 5 (o più) dei seguenti elementi:

1. Attenzione per i dettagli, le regole, le liste, l’ordine, l’organizzazione o gli schemi, al punto che va
perduto lo scopo principale dell’attività.
2. Perfezionismo che interferisce con il completamento dei compiti (ad esempio, è incapace di
completare un progetto perché non risultano soddisfatti i suoi standard molto rigidi).
3. Eccessiva dedizione al lavoro e alla produttività, fino all’esclusione della attività di svago e delle
amicizie.
4. Esagerata coscienziosità, scrupolosità, inflessibilità in tema di moralità, etica o valori (non
giustificato dalla appartenenza culturale o religiosa).
5. Incapacità a gettare via oggetti consumati o di nessun valore, anche quando non hanno alcun
significato affettivo.
6. Riluttanza a delegare i compiti o a lavorare con gli altri, a meno che essi non si sottomettano
esattamente al suo modo di fare le cose.
7. Modalità di spesa improntata all’avarizia, sia per sé che per gli altri; il denaro è visto come qualcosa
da accumulare in vista di catastrofi future.
8. Rigidità e testardaggine.

Non essendogli stato mai riconosciuto il successo, non sperimenta la sensazione di aver raggiunto
l’obiettivo. Sul suo capo incombe costantemente la minacciosa presenza di qualche ostacolo imprevisto,
con conseguenti incapacità di rilassarsi ed essere soddisfatto.

DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO – CARATTERISTICHE INTERPERSONALI

• L’Ossessivo-Compulsivo ha una grande paura di fare errori, di essere accusato di non essere
perfetto.
• La ricerca dell’ordine lo porta a biasimare e controllare eccessivamente gli altri.
• Il controllo si alterna all’obbedienza cieca all’autorità o a un principio morale.
• L’Ossessivo-Compulsivo interagisce volentieri con chi si sottomette facilmente alle sue richieste e ai
suoi modi di fare e del quale tende ad ignorare le necessità.

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Sono in lui presenti autodisciplina eccessiva, limitazione nell’espressione dei sentimenti, dura autocritica e
trascuratezza di sé.

Le fasi dello sviluppo psicologico

Le teorie tradizionali dello sviluppo

Hanno descritto la crescita psicologica come una progressione sistematica attraverso una serie di stadi
comuni a tutti, che si succedono secondo un ordine prestabilito. Si sono concentrate sui principi universali
dello sviluppo. La maggior parte di esse considera l’età adulta come il punto finale a cui tende il percorso
evolutivo.

Le principali teorie di riferimento

Psicoanalisi: Sigmund Freud

Jean Piaget (adattamento all’ambiente)

Teorie dell’attaccamento: John Bowlby

Teorie comportamentiste: John Watson, Frederick Skinner

Approccio cognitivista: Ulric Neisser

PIAGET
Gli stadi di sviluppo

1) Stadio senso-motorio (0-2 anni)


Caratterizzato da schemi percettivi e motori con i quali il bambino esplora l’ambiente, apprende
abitudini, combina più schemi per risolvere problemi pratici. Il sapere usare simboli segna il
passaggio dal primo al secondo stadio.
2) Stadio preoperatorio (2-7 anni)
Il bambino usa simboli e possiede semplici regole e concetti.
3) Stadio operazioni concrete (7-12 anni)
Il bambino interpreta la realtà seguendo schemi logici di classificazione e di seriazione.
4) Stadio preadolescenza
Il bambino fa complessi ragionamenti ipotetici, che utilizzano schemi logici: la disgiunzione di
proposizioni, l’implicazione (se..allora) e l’implicazione reciproca (se e solo se..)

BOWLBY
La teoria dell’attaccamento

Definizione “operativa” di Attaccamento: richiesta di cura.


Bowlby, psicoanalista-etologo, postula la tendenza innata da parte del bambino a ricercare la vicinanza
proiettiva di una figura ben conosciuta, ogni volta che vi siano situazioni di pericolo, dolore, fatica,
solitudine.
Stretto legame fra attaccamento ed emozioni. Le espressioni di emozioni (paura, collera, tristezza, gioia,
ecc.) è il modo principale di modulare le richieste di vicinanza.

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MAHLER

FREUD

Metapsicologia

Definisce:

• Tentativo di edificare una psicologia “… che conduce dietro la coscienza (Freud)“ rispetto alle
psicologie classiche della coscienza.
• Tentativo scientifico di “raddrizzare” le costruzioni “metafisiche”, quelle credenze superstiziose o
certi deliri che proiettano sul mondo esterno ciò che in realtà appartiene all’inconscio.

La Metapsicologia elabora un complesso di modelli concettuali, più o meno distanti dall’esperienza.


Modo di osservare secondo il quale ogni processo psichico è esaminato secondo coordinate

Dinamica – Economica – Topica

Punto di vista DINAMICO

Considera i fenomeni psichici come risultato di una combinazione di forze più o meno antagoniste (pulsioni
o istinti) che spingono verso determinate direzioni:

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• Istinto sessuale
• Istinto di autoconservazione

All’interno di queste forze si distinguono:

• Spinta: è l’essenza della punsione (es mangiare)


• Meta: l’azione attraverso cui si raggiunge il soddisfacimento della pulsione (es. suzione)
• Fonte: Zona del corpo da cui parte la pulsione (es. bocca)
• Oggetto: ciò per cui la pulsione raggiunge il suo soddisfacimento (es. seno materno)

Esso introduce la nozione di conflitto: l’opposizione tra le forze dell’inconscio che cercano di manifestarsi e
la repressione del sistema cosciente che tenta di opporsi; manifestazioni del dinamismo delle diverse istanze
dell’apparato psichico.

Formazione di compromesso:

• sintomi
• tratti del carattere

Punto di vista ECONOMICO

Considera l’energia psichica da un punto di vista quantitativo: una qualunque rappresentazione mentale o
un qualunque pensiero è legato ad una certa quantità di energia psichica (proveniente dal mondo delle
pulsioni), come circola, come si investe, come si suddivide, quanto è grande.. (l’intensità delle nostre
reazioni emotive, i turbamenti profondi della personalità...)

Il nostro apparato psichico può funzionare sulla base del:

• Processo Primario
• Processo Secondario

Processo primario

• E’ un modo di funzionamento dell’apparato psichico in cui la energia è allo stato libero,


• Prevale la ricerca della via più breve per soddisfare il desiderio.
• Le pulsioni cercano solo di scaricarsi nel modo più immediato; è la tendenza a cercare il piacere e
ad evitare il dispiacere
• Prevale il Principio del Piacere

Processo secondario

• E’ un modo di funzionamento in cui la persona, di fronte ad un desiderio, esercita una riflessione e


considera il contesto: il suo soddisfacimento si realizza in relazione alle esigenze della realtà.
• Si impone il Principio di Realtà.

Punto di vista TOPICO

Il concetto di topica, o topologia, porta a considerare l’apparato psichico come l’organizzazione di


differenti sistemi o istanze che assicurano rispettivamente funzioni differenti.

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Conscio

Il Conscio, chiamato anche sistema Percezione-Coscienza, è incaricato di registrare le informazioni


provenienti dall’esterno e di percepire le sensazioni interne della serie piacere-dispiacere. Funziona su un
registro qualitativo. E’ sede dei processi di pensiero, sia dei ragionamenti che del riaffiorare dei ricordi.

Preconscio

CONTENUTO: non è presente nel campo della coscienza, è tuttavia accessibile alla conoscenza cosciente.
Appartiene al sistema delle tracce mnesiche ed è fatto di “rappresentazioni di parole”(ciò che si
rappresenta, contenuto di un pensiero, l’espressione di un fenomeno psichico). La rappresentazione è una
traccia mnesica più o meno investita affettivamente.

Inconscio

E’ la parte più arcaica dell’apparato psichico, la più vicina alla sorgente delle pulsioni. CONTENUTO:
costituito dai rappresentanti delle pulsioni. FUNZIONAMENTO: processo primario con energia psichica
libera. E’ governato dal principio del piacere.

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Sviluppo psicosessuale

La sessualità infantile è indifferenziata e poco organizzata. E’ diversa da quella dell’adulto in almeno 3


punti:

• le aree corporee di maggiore sensibilità (fonti pulsionali) non sono solo le zone genitali, ma
predominano altre zone erogene,
• gli scopi sono diversi: la sessualità infantile non porta a relazioni sessuali in senso diretto,
• la sessualità infantile tende ad essere autodiretta piuttosto che diretta sugli oggetti.

Relazione oggettuale

Espressione che designa le forme della relazione che il soggetto instaura con gli oggetti (compreso se
stesso) nel corso dei diversi momenti evolutivi. E’ in causa non solo il modo con cui il soggetto costituisce i
suoi oggetti (esterni ed interni), ma anche il modo con cui questi modellano l’attività del soggetto. Il primo
oggetto per ogni individuo è la madre (la persona che si prende cura).

LO SVILUPPO PSICOSESSUALE

FASE ORALE
(dalla nascita allo svezzamento)

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Zona erogena: (sorgente corporea pulsionale) Bocca

• tratto bucco-respiratorio e digerestivo


• organi della fonazione
• organi di senso (gusto,olfatto,vista)
• tatto e pelle

Oggetto del desiderio: seno materno (sostituto), funzione alimentare esclusiva, poi disgiunta con
soddisfazione libidica (suzione del pollice).
Piacere autoerotico: il bambino non ha ancora la nozione di mondo esterno. Relazione con frammenti di
oggetto (oggetti parziali): l’oggetto non è altro che una parte del soggetto. Il bambino porta tutto alla bocca
tutto quello che lo interessa: il piacere di avere si confonde con il piacere di essere.
Paura di essere mangiati

L’oggetto relazionale più importante in questa fase è il seno materno, che il bambino succhia.
La suzione non è solo alimentazione ma anche un piacere.
Gradualmente si instaura una relazione simbiotica madre-bambino basata inizialmente sulla nutrizione ma
da cui il piacere della suzione si separa assai presto; diventa così importante anche il piacere di essere
accudito

Lo scopo del desiderio orale è duplice:

• Desiderio di succhiare, autoerotico e non legato ad una relazione affettiva, perché nel bambino non
vi è ancora una differenziazione tra l’Io e ciò-che-non-è-io (in senso generale: l’altro).
• Desiderio di incorporare dentro di sé gli oggetti che vengono visti come un prolungamento del
bambino stesso
(per il bambino “avere” il seno della madre è come “essere” strettamente unito alla madre)

FASE ORALE

Abraham divide questa fase in due sottostadi:

1. Primitivo (da 0 a 6 mesi)


Stadio narcisistico primario, analitico
- prevalenza della suzione
- assenza di differenziazione tra sé e l’oggetto
- assenza di amore e odio (lo psichismo è ancora libero dall’ambivalenza affettiva).

2. Tardivo: (da 6 a 12 mesi. Apparizione dei denti)


Stadio sadico - orale
- mordere il capezzolo (pulsione aggressiva)

Mordere significa mettere in atto una pulsione aggressiva ma anche una rivincita contro le frustrazioni
L’incorporazione dentro di sé diventa quindi sadica, si esercita su un oggetto, il cibo, il seno materno,
distrutto e poi sputato perché cattivo.

La relazione tra il bambino ed il suo oggetto d’amore è dialettica, reciprocamente influenzata.

La madre è il primo oggetto d’amore, ma è un oggetto parziale, un frammento d’oggetto: il seno materno,
che il bambino non distingue da se stesso.

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La relazione con la persona affettivamente significativa (o relazione d’oggetto) dei primissimi tempi è quindi
caratterizzata da un rapporto anaclitico, cioè di dipendenza assoluta dalla madre, all’interno di una
relazione fusionale.

Da un primo stato di dipendenza assoluta (relazione anaclitica) si va verso una graduale scoperta reale degli
oggetti:

• La relazione oggettuale primitiva si costituisce nei momenti di assenza dell’oggetto anaclitico


(stato di attesa nostalgico).
• Differenziazione successiva delle impressioni: oggetti conosciuti, fidati e amati e oggetti
inabituali, estranei e pericolosi.
• Inizia la comunicazione (mimica e gestuale)
• Relazione ambivalente

Il bambino stabilisce un rapporto con la madre attraverso la mimica ed il contatto corporeo.

Si struttura l’ambivalenza dello stadio orale, oscillante tra il desiderio di incorporare la madre come oggetto
buono e quello di distruggerla per le collere provate a causa della sua assenza (oggetto cattivo)

La tolleranza dell’aggressività del bambino da parte della madre è importante perché dà al bambino la
possibilità di imparare a tollerare le sue parti negative.

STADIO ANALE
(2 – 3 anni)

Le capacità di camminare, parlare, controllare gli sfinteri offre al bambino una indipendenza relativa ma già
reale.

• Zone erogene: ano, mucosa ano-intestinale


• Oggetto: feci
o tenute dentro – espulse: permette di distinguere tra oggetto interno - oggetto esterno
o moneta di scambio
• Scopo pulsionale:
o piacere nell’espulsione delle feci
o piacere nella ritenzione delle feci

Abraham distingue 2 sottostadi:

1. espulsiva:
• autoerotismo
• aspetto sadico: a) espulsione di feci capaci di sporcare, b) sfida ai genitori (buono-cattivo
controllo degli sfinteri)
2. ritentiva:
• autoerotismo
• aspetto masochistico: a) per dispetto può trattenere le feci, b) per regalo può espellere le
feci

STADIO FALLICO
(dopo il terzo anno)

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• primato genitale (non si tratta ancora di una vera genitalizzazione della libido)
• piacere nell’urinare:
o autoerotico “lasciare scorrere = piacere passivo”
o Etero diretto: verso oggetti
• piacere nella ritenzione:
il controllo dello sfintere vescicale comporta “fierezza narcisistica”

La curiosità sessuale infantile

La “scoperta” della differenza anatomica tra i sessi.


Progressiva presa di coscienza dell’esistenza – non esistenza del pene.
In questa fase il pene non è ancora concepito come organo genitale, ma come un organo di potenza o di
completezza (fallo)

• potenza = portatore di fallo


• debolezza = assenza di fallo

Complesso di Edipo

• organizzatore centrale nella strutturazione della personalità


(scelta oggetto d’amore definitivo dopo le latenze, accesso alla genitalità, costituzione del SuperIo
e Ideale dell’Io)
• appare tra i 3 e i 5 anni. Il conflitto è iscritto in una problematica a tre: bambino/a - madre – padre
• questo stadio dà inizio alla genitalizzazione della libido

Bambino:

• Investimento libidico e tentativo di conquista della madre


• Incontro del rivale che egli invidia per la sua superiorità reale e che sopravvaluta (rinforzo dei temi
fantasmatici di castrazione); gelosia (in conflitto con l’affetto che sente per lui)
• Bambina: opposto

PERIODO di LATENZA
(da 5-6 anni fino alla pubertà)

• Fase di riposo e di consolidamento delle posizioni acquisite.


• In questo periodo gli istinti sessuali turbolenti “sonnecchiano”, il comportamento tende ad essere
dominato da sublimazioni parziali e da formazioni reattive.
• Il bambino ora si volge di preferenza verso altri settori diversi da quelli sessuali:
o scuola
o compagni di gioco
o altri oggetti nel mondo reale

I MECCANISMI DELL’IO

Il meccanismo di difesa è un’attività dell’Io destinata a proteggere il soggetto da un’esigenza pulsionale


troppo grande. Mirano all’organizzazione delle condizioni interne del soggetto in funzione di un
adattamento flessibile alle condizioni esterne. Le difese appaiono sotto forma di comportamenti

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psicopatologici quando esiste un grave conflitto tra le diverse istanze psichiche (Es, Io, Ideale dell’Io, Super
Io).

Una persona non è malata perché “ha delle difese”, ma perché le difese utilizzate si rivelano inefficaci,
rigide, male adattate alla realtà esterna ed interna e di ostacolo al funzionamento mentale. Molte difese
sono utilizzate in maniera permanente, determinando il formarsi dei “tratti del carattere” anche delle
personalità non patologiche. I meccanismi prevalenti sono diversi a seconda del tipo di affezioni, della fase
di sviluppo, del grado di elaborazione del conflitto.

Nelle organizzazioni psicotiche la parte predominante del conflitto profondo si gioca con la realtà.
L’angoscia è un’angoscia di frammentazione, sia per paura di un impatto troppo violento con la realtà sia,
al contrario, per paura della perdita di contatto con questa stessa realtà.

Nelle organizzazioni limite il conflitto si pone tra la pressione delle pulsioni pregenitali sadiche orali e anali
dirette contro l’oggetto frustrante e l’immenso bisogno di ideali che l’oggetto ripari questa ferita.
L’angoscia che ne deriva è l’angoscia di perdita dell’oggetto e di abbandono che si evidenzia in
un’insicurezza affettiva fondamentale, in un bisogno illimitato di amore.

Nelle organizzazioni nevrotiche si tratta di strutture di modalità genitali ed edipiche: il conflitto si pone tra
pulsioni sessuali e le loro proibizioni. L’angoscia è allora l’angoscia di castrazione e le difese tendono ad
attenuarla, sia facilitando la regressione riguardo alla libido, sia organizzando degli sbocchi regressivi.

Rappresentazione (contenuto concreto di un atto del pensiero)

Pulsione

Affetto (sfumatura affettiva che emana dalla pulsione)

Le rappresentazioni subiscono una “sorte” variabile a seconda del diritto che è loro riconosciuto dalle
censure di rimanere o no fissate agli affetti corrispondenti, cioè alle stesse pulsioni e agli oggetti e scopi
pulsionali. È sulle rappresentazioni che si basano molti meccanismi di difesa e in particolare la rimozione.

Disinvestimento e contro investimento

Quando il Super Io e l’Ideale dell’Io si oppongono all’investimento da parte del conscio di rappresentazioni
pulsionali indesiderabili, c’è in una fase iniziale un disinvestimento della rappresentazione angosciosa. Una
certa quantità di energia psichica verrà quindi riutilizzata in un controinvestimento dall’Io, partendo da
altre rappresentazioni pulsionali, d’aspetto diverso, che possono essere consce perché mitigate e
autorizzate.

RIMOZIONE

È indispensabile per la semplificazione della nostra vita corrente e non implica sempre un presupposto
patologico (processo psichico universale). La rimozione si attua nei casi in cui il soddisfacimento di una
pulsione, messo in atto di per se a procurare piacere, rischia di provocare del dispiacere rispetto ad altre
esigenze. È un meccanismo centrato prevalentemente su una dialettica generale, che riguarda soprattutto
la libido. Si distinguono tre livelli:

• Rimozione primaria: residuo di un’epoca arcaica, dove ogni rappresentazione disturbante veniva
rimossa automaticamente (scena primaria);

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• Rimozione propriamente detta;
• Ritorno del rimosso: “fuga” dal processo di rimozione (sogni, lapsus, atti mancati, sintomi).

La rimozione riguarda solo le rappresentazioni delle pulsioni proibite, grazie ad un gioco di disinvestimenti e
controinvestimenti.

▪ Isteria (isteria di conversione) caso “Dora”: totale scomparsa della rappresentazione legata alla
pulsione disturbante (rimozione riuscita: bella indifferenza).
Entrano in gioco la formazione sostitutiva e la formazione di compromesso.

Formazione sostitutiva

La rappresentazione inaccettabile è rimossa. L’io cerca di colmare una carenza sul piano del principio del
piacere con un’operazione “raffinata” e compensatoria: portare una soddisfazione di sostituzione che
evochi ugualmente il piacere proibito (il trasporto mistico sostituto del piacere sessuale).
L’estasi amorosa e fisica viene conservata (l’affetto rimane identico).

Formazione di compromesso

Ritorno della rappresentazione non per sostituzione, ma per deformazione. Processo che cerca di riunire sia
i desideri inconsci proibiti che le esigenze dei proibitori (molte realizzazioni artistiche).

▪ Nevrosi fobica (caso “piccolo Hans”): le pulsioni originali sono ambivalenti: l’amore e l’odio per il
padre coesistono in relazione alla situazione edipica.
Rimozione (odio per il padre) non ben riuscita, perché lo spostamento (cavallo) non corrisponde ad
una situazione sentimentale: entra in gioco l’evitamento.
▪ Nevrosi ossessiva: la rimozione è ancor meno riuscita; vengono messi in gioco quattro meccanismi:
o Regressione (sadismo anale: “voglio sporcarlo”)
o Rimozione (di queste tendenze sadiche)
o Formazione reattiva (“sono scrupoloso, voglio proteggerlo”)
o Spostamento (dell’oggetto pulsionale su qualcuno da proteggere o qualcosa da tenere
pulito.

NEGAZIONE

Meccanismo più arcaico della rimozione. La rappresentazione pulsionale disturbate non è rimossa, appare
nel conscio, ma il soggetto se ne difende rifiutando di ammettere che possa trattarsi di una pulsione che lo
riguardi personalmente. Una rappresentazione può diventare conscia a condizione che venga negata la sua
origine.

SPOSTAMENTO DELLE IMAGO

È il meccanismo tipico degli stati limite (borderline) contro la depressione per la perdita d’oggetto. Per non
doversi sdoppiare l’Io funzionerà distinguendo due settori nel mondo esterno: senza dover operare un
diniego della realtà distinguerà, nei confronti dello stesso oggetto, ora un’immagine positiva e rassicurante
(buona), ora un’immagine negativa e terrificante (cattiva).

DINIEGO

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Meccanismo arcaico che cerca di eliminare una rappresentazione imbarazzante non cancellandola
(annullamento), o rifiutandosi di riconoscerla come riguardanteci (negazione), ma negando la realtà stessa
della percezione legata a quella rappresentazione. Agisce essenzialmente nella psicosi (diniego di ogni
realtà disturbante senza specificazione).

SDOPPIAMENTO DELL’IO

È un meccanismo di difesa, di modalità psicotica, contro l’angoscia di frammentazione e morte: una parte
dell’Io resta in contatto operativo con la realtà non disturbante, mentre un’altra parte dello stesso lo perde
ogni contatto con questa realtà per ciò che essa rappresenta di angosciante e, in caso di necessità,
ricostruisce una neorealtà più rassicurante (delirio).

PROIEZIONE

Tre tempi consecutivi: soppressione di una pulsione interna, deformazione del contenuto, ritorno al conscio
sotto forma di rappresentazione legata all’oggetto esterno. Agisce in ogni momento della vita psichica
(normalità e patologia). In patologia la proiezione prende aspetti particolari secondo le diverse
organizzazioni. La proiezione segna un fallimento della rimozione.

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