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AZIONE COLLETTIVA

Origini degli studi: il contributo di Park


Le origini degli studi sull'azione collettiva vanno ricondotte alla psicologia sociale e più precisamente agli studi sulla
folla di Le bon, Sighele, Rossi, nonché agli apporti più generali di Tarde. Tali origini verranno accettate e rielaborate
criticamente dagli studiosi della scuola di Chicago che si avvicineranno però ad un approccio esclusivamente
sociologico. Appare evidente come l'argomento agire collettivo si presti ad uno scambio continuo tra psicologico e
sociologico: soprattutto se si fa riferimento all' analisi di un referente empirico di origine spontanea e non basato su
ragionamenti di tipo razionale-strumentale. Come dichiarò lo stesso Park la sociologia è, infatti, necessariamente
psicologia sociale. Fu proprio Park a coniare il termine collective behavior e a dare così l'avvio al consistente filone di
studi sociologici sull'argomento che fa capo. (Egli faceva parte della scuola di Chicago). All'interno dell'opera
introduction to the Science of sociology vi è una delle convinzioni su cui gli studi di Park e della sua scuola sono basati:
la sociologia è la scienza dell'azione collettiva. Essa rappresenta, il punto d vista che indaga sui processi di cooperazione
degli individui che si costituiscono in società. Le questioni da rilevare sono due: 1) la sostanziale equiparazione del
concetto di società a quello di azione collettiva; 2) l'individuazione del social process come meccanismo di
funzionamento delle forme di agire collettivo. Come evidenzia Tomasi la società diventa il prodotto dell'interazioni tra
gli individui e la sociologia diventa il metodo per studiare i processi attivati data interazioni. La nozione di social
process è inglobata nel concetto stesso the collective behavior, poiché essa esprime tutti i cambiamenti possibili
nella vita di un gruppo. Il contributo di Park va collocato in quell'approccio di studi all' azione collettiva strutturato in
termini di storia naturale. Per delineare la teoria sull’agire collettivo dell'autore è bene partire dalla definizione di
collective behavior che mette in rilievo l'importanza della reciprocità fisica: quando gli individui si raggruppano nel più
causale dei modi, non importa dove, quali siano le distanze sociali tra loro, per il semplice fatto che essi sono
consapevoli della reciproca presenza si avvia un livello di scambio di influenze, e il comportamento che ne deriva è
l'insieme sociale e collettivo. Viene evidenziata l'importanza della reciprocità mentale, poiché ogni comportamento
sarà sociale e collettivo insieme: sociale nel senso che il corso di pensiero e di azione in ogni individuo è influenzato
più o meno dall'azione dell'altro. Collettivo poiché ogni individuo agisce sotto l'influenza di uno stato d'animo o
mentale che condivide con gli altri. Dunque, il comportamento collettivo sarà individuato nel comportamento di più
persone che agiscono sotto l'influenza di un impulso che possiede caratteristiche di essere comune e collettivo, un
impulso che è il risultato di un'interazione sociale. Le diverse forme di comportamento collettivo, come sottolinea
Hughes, quali folle, sette, revival, scioperi, boom, pazzie, manie e mode, nel sistema teorico di Park sono considerate
forme elementari di interazione sociale. Ogni referente collettivo andrà valutato e tipizzato proprio in base alla forma
ed agli effetti dell’interazione. Anche la notizia è parte della comunicazione che permette l'interazione sociale su larga
scala; in questo contesto l'opinione pubblica rappresenta il prodotto di tale interazione e la base di nuove forme di
agire collettivo. Non bisogna però trascurare il secondo elemento esplicativo che indica la presenza di un fenomeno
collettivo: l'impulso, che rende l' agire collettivo e comune e che è input dell'azione. L' impulso è esso stesso creato
dall'interazione, intesa come influenza reciproca non solo sulle azioni, ma anche sugli stati mentali dei soggetti
coinvolti. Gli oggetti collettivi individuati e definiti da Park si pongono a superamento della originaria classificazione
dell'azione collettiva fornita da Le Bon, che considerava come folla qualsiasi tipo di comportamento collettivo. Park
però distingue e definisce singolarmente le diverse forme di agire collettivo: rivolte, folla, pubblico, sciopero, sette,
istituzioni, movimenti di massa, revival, mode, riforme e rivoluzione. Park ha poi collegato il tema dell'azione
collettiva a quella del controllo sociale in modo così serrato che sembra difficile separarli. La nozione di social process
si fa in questo contesto più evidente. I due termini, controllo e processo sociale, come rileva Turner sono applicabili
allo stesso fenomeno, dove il controllo sociale si riferisce al meccanismo e il comportamento collettivo al processo.
gli episodi di azione collettiva vengono considerati, in parte, come elementi dinamici all'interno del sistema sociale: da
un lato prodotti della domanda di alcuni settori della società, dall'altro reazione a determinati eventi\condizioni sociali.
Nella sua impostazione teorica sono i costumi e l'opinione pubblica che rappresentano le risposte collettive ai
mutamenti di determinati stati, e tali risposte sono basate pure sulla natura umana dei soggetti coinvolti, trovandosi
completa coerenza con la precedente definizione di collective behavior. Queste risposte sono definite forme di
comportamento che scaturiscono direttamente e spontaneamente da innate e istintive reazione degli individui alla
situazione sociale. Vanno considerate pure le analisi di Park sulle cosiddette mutazioni societarie collegate, da un lato,
allo studio dei movimenti sociali e, dall'altro, ad un campo di analisi più vasto: le guerre e le rivoluzioni come processi
collettivi causanti i mutamenti, previsti o non previsti, nella società o meglio, nel settore sociale di riferimento. La
teoria implicita di Park sta nel non considerare la società con un semplice insieme di individui, bensì come luogo di
azione coordinato, realizzato dai individui e gruppi differenti. Alla base della società non sta infatti il raggruppamento
ma la corporate action. I meccanismi impliciti alla corporate action non si esauriscono però nella nozione di reazione
alla situazione. Egli rileva infatti un uso improprio di tale concetto, e ne propone la sostituzione con quello di atto che
indicherebbe invece la presenza di nuovi adattamenti. Per definire la capacità di accordo di un gruppo e distinguerlo
così da una pura aggregazione di individui, egli utilizzerà il concetto di organismo poiché le varie parti del gruppo si
costituirebbero in unità. Ma un tale uso del concetto di organismo non ci deve far pensare all' accettazione da parte
dell'autore, di una ipotetica esistenza di una entità super organica con il conseguente pericolo di concretizzazione.
Park rifiuta infatti tale concretizzazione. Analizzando una possibile concettualizzazione dell'agire collettivo che ponga
come centrale il concetto di mente collettiva, rintracciabile pure nelle variazioni di mente della folla o mente pubblica
ovvero mente sociale, egli si interroga criticamente su come e dove tale mente sia fisicamente individuabile. Egli giunge
ad una conclusione ovvero: ha poca importanza se la mente collettiva sia una fase o un aspetto della coscienza
individuale, se questa si interpreta come niente di più di unità e intima interdipendenza che rende possibile agli
individui agire in modo concertato e armoniosamente. La capacità di agire collettivamente è infatti apparentemente
creata dalla Interpenetrazione delle menti coinvolte nella comunicazione. Park non ignora la problematica relativa e
l'ambiguità, nel linguaggio scientifico e popolare, di concetti collettivi quali mente sociale o coscienza sociale. Tale
ambiguità viene infatti da lui riconosciuta Nell'aspetto dualistico della società e dei gruppi sociali che operano al suo
interno. La società può essere osservata attraverso due prospettive, quella individualista e quella collettivista, che
non fanno altro che rilevare il suo doppio aspetto: individuale e collettivo. La società è dunque basata sul consenso
alle tradizioni, ai costumi ed agli atteggiamenti sociali: questo costituisce il fine comune dei suoi membri. Park
introdusse la nozione di social process sia per dar conto degli aspetti dinamici , e spesso transitori, delle varie forme
di agire collettivo osservate ed esaminate, sia perché questo era da lui considerato come meccanismo di
funzionamento della società.
BLUMER
Blumer non reputa il comportamento collettivo come Park, nè patologico né distruttivo, ma piuttosto un
comportamento spontaneo che deriva da accordi e tradizioni prestabilite. Anche blumer viene elencato tra gli autori
che aderiscono all' approccio in termini di storia naturale, va però evidenziata la sua radicata appartenenza all'
interazionismo simbolico. Anche blumer rileva l'impossibilità di considerare la folla una forma unica di azione
collettiva, influenzando così parte della sociologia americana. Il concetto di reazione circolare rimane centrale nelle
sue prime definizioni di collective behavior. Il comportamento collettivo è infatti da lui definito come: un tipo di
Interstimolazione in cui la reazione di ogni individuo riproduce la stimolazione che gli è giunta da un'altro individuo e
gliela rimanda rinforzando lo stimolo. Così, tale Interstimolazione assume una forma circolare dove gli Stati emozionali
individuali si riflettono a vicenda intensificando gli Stati stessi. La sua definizione di collective behavior non si esaurisce
in questo tipo di spiegazione: al concetto di reazione circolare si contrappone si aggiunge quello di interazione
interpretativa. Tale nozione può essere considerata come la principale forma di interazione tra gli individui associati.
Il concetto di reazione circolare appariva sostitutivo a quello di contagio, Che indicava proprio i modi di contagio di
uno stato d'animo nelle forme elementari di azione collettiva ed era strettamente legato all' elemento emozionale
all'interno delle relazioni. La nozione di interazione interpretativa si basi invece su una certa razionalità dell'azione e
della relazione, riferendosi ad un'interpretazione della situazione da parte dell'attore coinvolto. Blumer spiega che
gli esseri umani interagiscono l'uno all'altro, interpretando vicendevolmente le loro azioni osservando i poi agendo
sulla base dell'interpretazione. le reazioni non sono immediate alla stimolazione, ma seguono alla interpretazione.
Sembrano essere diversi in natura dagli atti di stimolo essendo essenzialmente adattamenti di quegli atti. La concreta
differenza tra la reazione circolare e l'interazione interpretativa sta nel fatto che mentre la prima tende a rendere le
persone uguali, la seconda tende gradualmente a rendere le persone diverse. I due concetti sembrano inoltre spiegare
fenomeni collettivi diversi: il primo le forme elementari di azione collettiva, quali la folla in tutte le sue possibili
variazioni, il secondo le forme di vita associativa, ovvero la società. Soggetti e gruppi si definiscono e governano le
situazioni mentre costruiscono le proprie azioni. Blumer sottolinea infatti come nella dimensione dell'interazione
simbolica l'azione sociale si focalizzi sui soggetti che adattano reciprocamente le proprie strategie di azione attraverso
un processo di interpretazione. L'azione collettiva è concettualizzata alla nozione di social process. Le situazioni sono
modificate dall' agire degli individui all'interno di una condizione processuale in evoluzione o persistente determinata
dall' agire stesso. L'azione è l'essenza della persistenza e del cambiamento sociale. i fenomeni sociali in questo
contesto saranno determinati dai processi di emergenza e dunque in una condizione di evoluzione continua e di
indeterminatezza. Infine, i fenomeni sociali macroscopici che presentano le caratteristiche di adattamento reciproco
delle proprie linee di azione da parte degli individui coinvolti saranno da lui definiti atti collettivi. Il termine
comportamento collettivo si riferisce al comportamento di due o più soggetti che agiscono insieme. egli distingue tra
piccolo gruppo e comportamento stabilito e culturalmente definito di grandi dimensioni. Egli denota la distinzione tra
agire concertato e agire spontaneo e la distinzione tra fenomeni collettivi di piccole e grandi dimensioni. Le folle, i
tumulti, il panico, il pubblico di massa rientreranno nei piccoli gruppi, i fenomeni collettivi più ampi saranno e
semplificati in pazzie, manie, opinione pubblica, moda punto tale suddivisione sarà classificata a seconda della
spontaneità dell'evento. Tale distinzione non è dettata dalla convenienza, bensì dall'esigenza di porre in rilievo quella
peculiarità collettiva(collective Factor) che emerge dai fenomeni di grandi dimensioni. Il senso del collettivo supporta,
rinforza, influenza, inibisce e\o sopprime il soggetto partecipante, controllandone così l'attività individuale. Il
collectives Factor è più forte tra i partecipanti ai fenomeni di grandi dimensioni. Nei piccoli gruppi il soggetto ha infatti
il controllo diretto sulle sue azioni, mentre questo non accade nei gruppi di dimensioni estese. Le relazioni saranno
dunque immediate, dirette e ristrette a individui specifici in quelli di piccole dimensioni e progressivamente indirette,
segmentate e orientate a più vaste categorie di persone nei gruppi di grandi dimensioni. Tali differenze e produrranno
delle conseguenze sul processo di interazione e sulle forme di comunicazione. Blumer ha il merito di aver approfondito
l'analisi dei movimenti sociali che non era stata indagata sufficientemente da Park. La sua classificazione dei movimenti
sociali rappresenta un punto di partenza per gli studi successivi sul l'argomento. Egli insiste, sulla dimensione collettiva
e creativa dei movimenti sociali proponendo la loro concettualizzazione basata sul social process. Blumer fornisce una
definizione generale di movimento sociale. Il movimento sociale è una impresa collettiva volta costruire un nuovo
tipo di vita ed è un fenomeno emergente. Vengono così ribaditi tutti gli aspetti tipici dei fenomeni collettivi:
l'emergenza, l'adattamento reciproco nell'impresa, l’evoluzione nella costruzione dell'impresa, l' indeterminatezza
di un nuovo tipo di vita. i movimenti sociali possiedono delle caratteristiche comuni, ma si distinguono in tre tipi:
generali, specifici e espressivi. Il movimenti generali sono quelli che portano a un mutamento graduale e pervasivo
dei valori culturali della società(femministi). quelli specifici possiedono invece un obiettivo ben definito(rivoluzioni) ed
è per questo che all'interno la coscienza di gruppo così come l'esistenza di una leadership, sono fondamentali. Centrale
è il concetto di esprit de corps che può essere visto come l'organizzazione dei sentimenti per conto del movimento.
Esso rinforza d'identità dell'individuo nel gruppo, sviluppa la solidarietà e la stabilità del movimento stesso. Lo
spirito di corpo è quel sentimento comune(collectives feeling) che gli dà vigore vitale. Tale sentire comune va distinto
però dal morale che fornisce invece al movimento la persistenza e la determinazione perché edificato su un sistema
di convinzioni. Infine, in movimenti espressivi(religiosi o mode) sono distribuiti secondo forme di comportamento che
cristallizzandosi potrebbero produrre effetti profondi sulla personalità degli individui e sulla qualità dell'ordine sociale.
La teoria di blumer sui movimenti sociali potrebbe essere criticata per il suo persistente legame con l'idea di reazione
circolare, nonché con l'approccio in termini di storia naturale. Blumer evidenziava come l'oggetto centrale di studio
della sociologia fosse l'ordine sociale le sue costituenti(abitudini, regole) mentre il comportamento collettivo avrebbe
già guardato lo studio di come tale ordine ha origine e si sviluppa relativamente all'emergenza e dalla realizzazione di
nuove forme di azione collettiva.
LANG LANG
L'interpretazione dei vari tipi di azioni collettiva come processo è centrale anche nella teoria di Lang e Lang. Questa
prospettiva di analisi è maturata attraverso lo studio delle forme collettive di tipo elementari quali la folla che è
definita fluttuante ed in continuo mutamento. La spiegazione delle dinamiche collettive si articola sulla base di 5
processi: la definizione collettiva, la demoralizzazione o scoraggiamento parziale, la difesa collettiva, la
conservazione di massa e la cristallizzazione. Ogni processo rappresenterà una risposta collettiva che origina da
un'interazione spontanea norme, valori eccetera. A fondamento delle suddette fasi stanno poi le seguenti
convinzioni:1) i fenomeni di azione collettiva appaiono strettamente legati al processo di mutamento sociale;2) la
collettività si trova in momenti di crisi e di parziale disequilibrio creati dall'introduzione di elementi nuovi nel sistema
sociale;3) ogni cambiamento va dunque considerato in relazione all'ordine sociale;4) di conseguenza, nuove forme
collettive emergono quando l'equilibrio tra tendenze distruttive e integrative risulta precario. La sequenza delle
dinamiche collettive rappresenta un processo di trasformazione dell'azione sociale che pure attraversando la struttura
sociale, non si cristallizza in una struttura indipendente. Tali modelli collettivi saranno sempre di tipo non organizzato.
Lang e Lang escludono dalle loro osservazioni empiriche ogni forma di comportamento collettivo organizzato: l'oggetto
cognitivo sembra distinguersi per la sua dimensione, ma pure per il tipo di interazione: diretta o indiretta tra i
partecipanti all' azione. Vengono così analizzati: da un lato, diceria, panico, folla designati come forme e processi
collettivi; dall'altro, comportamento di massa, opinione pubblica moda e movimenti sociali vengono indicati come
tipici della società di massa. I Lang individuano l' approccio in termini di storia naturale come dotato di una maggiore
completezza. Tale approccio riconosce le caratteristiche sia costruttive che patologiche dell'azione collettiva e pone
come centrale la classificazione delle diverse forme collettive non organizzate e la descrizione del loro ciclo di vita
punto essi sottolineano come esso elimini le componenti ideologiche dalle nozioni di mentalità collettiva o mente della
folla. Infine, il comportamento collettivo per loro possiede una natura camaleontica che va assolutamente valutata
al fine di una corrispondenza tra concettualizzazione teorica e referente empirico analizzato.
TURNER E KILLIAN
I lavori di Turner e killian si rivelano fondamentali. La loro definizione di comportamento collettivo respinge un'ipotesi
di irrazionalità ma il loro contributo si distingue da quello degli altri per la forte capacità analitico-descrittiva e per
l'introduzione di nuovi elementi regolativi dell'azione che completano e superano le precedenti spiegazioni. Anche
Turner e killian sono influenzati dall’interazionismo simbolico e la loro opera tende in alcune sue parti al
perfezionamento delle tesi di blumer. La definizione di collective behavior di Turner si evolve attraverso alcune
considerazioni. Innanzitutto, egli rileva un'apparente contrasto tra comportamento collettivo e comportamento
normale, sociale ed istituzionale, ma evidenza al tempo stesso una condizione di influenza del secondo sul primo. la
rilevanza dei temi del controllo sociale, della non predicibilità dell'azione collettiva e della distinzione tra
comportamento collettivo e struttura sociale istituzionalizzata conducono l'autore alla considerazione che il ciclo di
vita di un gruppo possa essere spiegato come un prodotto del simultaneo può operare di sistema causale istituzionale
ed un sistema causale di comportamento collettivo. Ma definire il comportamento collettivo come uno stato del
comportamento di un gruppo piuttosto che come ciò che semplicemente accade in determinati tipi di gruppi, richiede
un'accurata conoscenza dei suoi processi distintivi. Il comportamento collettivo consisterebbe in quelle forme di
comportamento sociale in cui le convenzioni usuali cessano di guidare l'azione sociale e le persone trascendono,
superano o sovvertono collettivamente i modelli e le strutture istituzionalmente stabiliti. Tale definizione attiene al
campo sociologico e non della psicologia sociale dato che ci stiamo riferendo alle azioni di collettività e non di individui
singoli. Essi sottolineano infatti che in quanto gruppo, Una collettività è più di un semplice insieme di individui
numerabili. I membri di un gruppo sono infatti in interazione tra loro e tale interazione è permessa dall'esistenza di un
senso comune che li fa divenire unità. La emergent norm theory di Turner e killian prende le distanze dalle
interpretazioni storiche del collective behavior, la teoria basata sul contagio, e quelle edificate invece sul concetto di
convergenza. Le teorie sulla norma emergente danno grande importanza alla questione della definizione della
situazione in situazioni inusuali in questi casi la definizione Comune di norma emergente serve a guidare e coordinare
il comportamento collettivo fornendo ai partecipanti all'azione significato e interpretazione dell'evento e regole. La
teoria sulla norma emergente è di stampo interazionista e si articola intorno a tre temi cardine: la norma emergente,
la definizione della situazione ed il keynotig(motivo dominante). Il concetto di definizione della situazione si riferisce
all'uso di simboli da parte degli attori per mettere ordine negli accadimenti sociali. Tale definizione è un processo attivo
di costruzione della realtà; va dunque distinto il caso in cui la natura della realtà è incerta per l'attore, dal caso in cui
la si può dare per scontata. nella prima ipotesi è la ridefinizione della situazione che dando un senso all'evento elimina
la confusione diventa attività centrale del comportamento collettivo. Dunque, il concetto di norma sarà definito ad
una definizione emergente comprensiva di un vasto insieme di elementi. Tali elementi riguardano la situazione, gli
attori coinvolti e le indicazioni per l'opportunità o meno dell'azione, compresi stati d'animo e umori. Infine, il concetto
di keynoting, se da un lato, finisce per appiattirsi su quello di norma emergente, dall'altro acquista un suo preciso
significato poiché risolve l'incertezza e l'ambivalenza di parte dei soggetti coinvolti Nell'azione collettiva. Così come
sostiene Turner il keynoting è rappresentato da quei casi in cui un gesto o una espressione simbolica producono in
un gruppo incerto un sentimento cristallizzato e se tale chiave dominante include una delle immagini in
competizione, incoraggia altri che sostengono la stessa immagine ad esprimerla. La folla seguendo un approccio
basato sulla norma emergente sarà caratterizzata non da all'unanimità ma dalle differenti espressioni, con cui alcune
persone manifestano quello che provano, mentre altre non lo fanno. Tale esempio chiarisce il distacco della norma
emergente dagli altri due, perché distingue, anziché omologare anche l'azione collettiva. Turner e killian si riferiscono
le loro contributi all'agire spontaneo alla diceria, alla folla, al pubblico e, in secondo luogo ai movimenti sociali. I diversi
oggetti sono prima esaminati attraverso diverse e precedenti osservazioni empiriche e poi analizzati ed interpretati in
base all'approccio della norma emergente. la definizione di movimento sociale di Turner e killian deriva da quella
blumeriana, ma che da loro è perfezionata evidenziando l'esistenza di una collettività di individui che agisce con una
certa continuità promuovendo il cambiamento, ma nel medesimo tempo, resistendogli. A testimoniare il legame tra
mutamento sociale e movimenti collettivi, si ricordi la definizione dello stesso killian secondo cui il movimento sociale
rappresenta uno dei modi più rilevanti attraverso cui il cambiamento sociale si manifesta e il cambiamento culturale
si produce. infine, pare immutato L'atteggiamento della tarda scuola di Chicago circa l'esistenza aleatoria di una mente
collettiva. La questione viene esplicitamente analizzata da Turner e killian. In particolare, ciò che è indicato come
fallacia(group mind fallacy) è la tendenza a personificare il gruppo. Un gruppo è, allo stesso tempo, più individui ed
una totalità, ma pensare che il gruppo stesso possa agire autonomamente impuntandogli una mente, una coscienza,
e addirittura senso di responsabilità e autocontrollo, non appare scientificamente giustificabile.
SMELSER
La tesi di Smelser definisce il comportamento collettivo come qualcosa di solito e non istituzionalizzato, indicando
così l'aspetto più rilevante dei fenomeni collettivi nella rottura con l'ordine precostituito e nella relazione di
discontinuità con lo stesso. L'autore tiene ad evidenziare che è il comportamento collettivo non sempre possiede le
caratteristiche suddette, poiché dopo un certo periodo potrebbe trasformarsi in un modello stabile o addirittura
istituzionalizzato. Dunque la sua proposta di sistemazione dell'oggetto collettivo è individuabile in un continuum, che
vede ad un polo il comportamento istituzionalizzato e dall'altro polo il comportamento insolito: tra i due si
collocheranno gradatamente i comportamenti collettivi più o meno strutturali. Smelser Ritiene che il campo del
comportamento collettivo non è stato in realtà ben delineato, ed è proprio in questo contesto che egli espone la sua
logica dei valori aggiunti organizzando le determinanti del comportamento collettivo secondo uno schema che si
avvicina concettualmente ai valori aggiunti, così come analizzati in ambito economico. Il comportamento collettivo è
definito da Smelser come una mobilitazione sulla base di una credenza che ridefinisce l'azione sociale. La suddetta
teoria dei valori aggiunti consta di sei fasi. Le determinanti che si delineano come centrali nel suo pensiero sono la
tensione strutturale e la credenza generalizzata. In un primo momento considera la tensione strutturale nel suo
intersecarsi con le componenti dell'azione sociale. Tale tensione esemplificata nel panico, crazes ecc viene da lui
definita come un allentamento delle relazioni sociali, al quale consegue un loro scorretto funzionamento e una
mancanza di equilibrio del sistema. Le tensioni strutturali comportano problemi di destrutturazione dell'azione sociale
e delle sue componenti. Esse, inoltre si configurano come cause degli eventi collettivi. I fenomeni collettivi si
presentano come non istituzionalizzati orientati normativamente e in accordo con i principali valori condivisi dalla
società. Il secondo stadio di analisi lo collega a quello di credenza generalizzata. Smelser descrive questa fase con i
seguenti episodi:1) lo sviluppo di una credenza cortocircuito, da parte di una componente molto generalizzata,
relativamente al focus della tensione;2) il confluire della stessa credenza in una caratterizzazione formale, ovvero in
una mobilitazione non istituzionalizzata all'azione per modificare uno o più tipi di tensione sulla base di una generale
ricostruzione di una componente dell'azione. Il concetto di credenza generalizzata viene definito in stretto riferimento
agli studi leboniani sulla folla. Tale credenza è quella che prepara i partecipanti all'azione e si basa su condizioni di
ambiguità e incertezza contenendo elementi di irrazionalità. E’ Proprio la definizione di credenza generalizzata a
ricordare i meccanismi psicologici rilevati dall'approccio leboniano. Se da un lato la determinante tipica della
spiegazione del comportamento collettivo in Smelser è la presenza di una data tensione nella struttura sociale che
deve essere assolutamente eliminata per ristabilire l'equilibrio nel sistema, dall'altro, i caratteri di rottura e
generalizzazione che generano l’azione collettiva, superano i tratti specifici e i controlli dell'azione sociale reale. Il
comportamento collettivo viene definito come l'azione dell'impaziente. La dinamica sottesa a tale espressione viene
criticata da alberoni. Egli evidenzia come il modello di interpretazione del collective behavior di Smelser consista nel
diffondersi di un diverso modo di accostarsi ai fatti sociali che vengono trascesi nella loro concretezza e determinazione
contingente. il soggetto considera le condizioni più generali da cui dipendono quelle contingenti. a livello contingente
esisterebbe una tensione che andrebbe eliminata al fine di riequilibrare l'ambito disturbato e ti stabilire lo stato
efunzionale precedente. Ma l'uomo è impaziente anziché descrivere la tensione nei termini del determinato e del
contingente, fa due errori logici: passa a discutere le condizioni generali e, da queste ripiomba nel contingente con
concetti assolutamente Generali. come conclude Alberoni, dietro lo schema razionalistico di Smelser sta un profondo
e irreparabile irrazionalismo. L'analisi di smelser esamina referenti empirici di diverso tipo: dal panico al craze,
dall'ostilità di folla ai movimenti sociali. Tali oggetti collettivi, malgrado la loro diversità vengono analizzati attraverso
lo stesso modello di indagine basato sulle 6 fasi: propensione strutturale, tensione, credenze, fattore di precipitazione
e mobilitazione. Anche la spiegazione dei movimenti segue lo stesso schema. Ma i movimenti sociali non sono il fulcro
delle sue osservazioni. Nella sua teoria smelser ci offre un'unica griglia analitica attraverso cui analizzare qualunque
manifestazione di tipo collettivo. Smelser propose una distinzione tra esplosioni collettivi e movimenti collettivi, ma
Poi ritornò al più generico comportamento collettivo. A tal proposito citiamo melucci che, interrogandosi sulla
possibilità di individuare una serie di criteri analitici che consentano la formulazione di distinzione all'interno della
categoria del comportamento collettivo, constata proprio come smelser rilevi di fatto una omogeneità di significato
tra le diverse forme collettive. Ciò che cambia è esclusivamente il livello di generalità delle componenti dell'azione
investite e ristrutturate dal comportamento collettivo. La credenza generalizzata rimane così il concetto esplicativo e
comprendente di ogni dinamica collettiva. Non è possibile equiparare lo stato nascente al concetto di tensione
strutturale smelseriana, benché i due modelli individuino similmente un momento di discontinuità e uno seguente di
ricostruzione di un nuovo ordine sociale e istituzionale. La prima spiegazione, quella smelseriana, ha l'obiettivo finale
di una ricomposizione omeostatica dell'equilibrio del sistema sociale intaccato dai disequilibri provocati dalle
manifestazioni collettive. La stessa intenzionalità non è individuabile nella concettualizzazione di Alberoni più
impegnato a cogliere sia il momento di effervescenza e di rinnovamento creativo che la sua utilità per le nuove
istituzioni che ne origineranno. Lo statu nascenti, il momento di discontinuità, non rappresenta una condizione
disfunzionale del sistema, bensì un momento di creazione di un nuovo stato in cui ogni soggetto troverà solidarietà e
riconoscimento della sua appartenenza.
ALBERONI
Alberoni è il primo autore italiano ad affrontare l’argomento “azione collettiva”. La sua analisi prende le mosse da una
critica dettagliata delle teorie precedentemente esaminate (scuola di chicago e Smelser) per delineare una sua propria
teoria che è edificata sul concetto di statu nascenti. Egli fa una classificazione degli eventi collettivi che distingue tra
fenomeni collettivi di aggregato e fenomeni collettivi di gruppo. I fenomeni collettivi di aggregato, esemplificati nel
panico, nella moda o nel boom speculativo, sono accomunate dal fatto che ogni soggetto coinvolto, pur adottando
una linea di comportamento uguale a quella degli altri, agisce in realtà per sé, per sé solo. Tali soggetti non
costituiscono una formazione collettiva indipendente. L'inesistenza di un noi implica una non territorialità del
fenomeno stesso. nei fenomeni collettivi di gruppo si sviluppa, invece, un processo che genera una modificazione delle
interazioni tra individui partecipanti e della loro solidarietà: esiste la consapevolezza (noi collettivo) di essere una
collettività riconosciuta sia dall'esterno che dai suoi stessi membri. Come evidenzia l'autore nei movimenti collettivi i
soggetti si fondono in modo spontaneo per produrre un noi. E il noi è sentito da ogni individuo infinitamente superiore
ad ogni membro del movimento. I fenomeni collettivi di gruppo sono da Alberoni esemplificati numerosi casi:
l'innamoramento tra due persone, la setta religiosa, i movimenti collettivi originari delle grandi religioni, le rivoluzioni,
il movimento studentesco. Dunque se una prima linea di demarcazione si è sviluppata attraverso la differenziazione
da fenomeni collettivi e fenomeni istituzionali, una seconda linea distintiva viene sottolineata nell'esistenza o meno,
all'interno dei due gruppi di fenomeni (di aggregato e di gruppo) della componente della solidarietà. Tale componente
può essere identificata nel riconoscimento, reciproco ed dall'esterno, degli attori coinvolti in un dato fenomeno
collettivo. La classificazione fornita da Alberoni va però mantenuta ad un livello rigorosamente analitico. la presenza
o assenza di determinati requisiti analitici, quali la solidarietà, la divisibilità, l'orientamento esterno o interno, è l'unico
presupposto che consente di inserire gli oggetti empirici concreti nel una o nell'altra categoria della classificazione
proposta da Alberoni. tale teoria presenta la difficoltà di distinguere tra fenomeni che non sembra si possano mettere
sullo stesso piano quali panico ed emigrazione, che sono considerati tutti fenomeni di aggregato, e innamoramento,
incontro, amicizia e rivoluzione che sono considerati tutti fenomeni di gruppo. Sempre evidenziato solo l'evento
causale del fenomeno, che richiederebbe però ulteriori distinzioni trasversali alle due classi, distinzioni che sembrano
concretizzarsi in movimento e istituzione, e più esattamente nelle indagini sulle condizioni strutturali allo statu
nascenti. lo stato nascente in sociologia rappresenta quello stato di transizione che si manifesta quando scompare la
spinta alla solidarietà sociale. Lo statu nascenti è da lui definito in relazione a ciò che egli chiama l'altro stato del
sociale, quello istituzionale e della vita quotidiana: lo stato nascente rappresenta un momento di discontinuità sia
sotto l'aspetto istituzionale, sia sotto l'aspetto della vita quotidiana. In termini Generali possiamo dire che lo stato
nascente compare come una risposta ricostruttiva di una parte del sistema sociale. Esso, creando una solidarietà
alternativa, unisce protagonisti in precedenza separati e si contrappone all'ordine esistente. Al centro dello stato
nascente vi è un'esperienza fondamentale. nello stato nascente collettivo un individuo si realizza e si completa. Ma lo
stato nascente è rappresentativo pure di un processo di mutamento ovvero è un momento di discontinuità con l'ordine
sociale precostituito. Un interessante approfondimento ci viene da Bonolis . Egli rileva che nella teoria dei movimenti
collettivi di Alberoni l'evento straordinario si rapporta proprio ad una condizione di invarianza insistendo così sulla
nozione di discontinuità per la spiegazione dell'evento collettivo. Questo comporta una indeterminatezza nel destino
dell'evento straordinario che potrebbe estinguersi oppure istituzionalizzarsi. l'istituzionalizzazione di un movimento
collettivo rappresenta la sua trasformazione in quotidianità, dunque il suo successo nel tentativo di incidere sulla realtà
sociale alla quale esso si era precedentemente opposto. La realtà viene così ricostruita mutata e il paradosso sta nel
fatto che tale processo ha origine proprio dall'esigenza di prolungare lo stato nascente. lo stato nascente appartiene
esclusivamente i fenomeni collettivi di gruppo dove è presente un'interazione stabile tra i membri e dove è possibile
il verificarsi sia della solidarietà che dell'esperienza fondamentale. Tale esperienza viene considerata carattere
distintivo dello stato nascente: si attiva quando determinate condizioni strutturali giungono ad un livello di soglia e si
viene ad alterare la base della solidarietà. Secondo MeLucci tale stato indica per i fenomeni di gruppo lo stesso livello
analitico che la credenza generalizzata di smelser individua per i fenomeni di aggregato. Se individuiamo dunque gli
effetti a livello psicologico dell'emergere di uno stato nascente, si potrà osservare, di conseguenza, una
ristrutturazione del sistema dei bisogni individuali insieme alle tensioni che percorrono l'esperienza fondamentale. lo
stato nascente rappresenterà così un’operazione di sintesi, terminata la quale, esso avrà fine e si entrerà in un nuovo
stato. Si creerà dunque uno stato interno al gruppo, una condizione di appartenenza e di riconoscimento dei membri
che si oppone ad uno stato esterno a quale il gruppo si rivolge solo allo scopo di convertire i non appartenenti. Per
Alberoni il movimento sociale è quel processo storico che ha inizio con lo stato nascente e che termina con la
ricostituzione del movimento Quotidiano istituzionale. Sono i movimenti sociali che hanno creato l'interesse per la
storia e nello stato nascente ha sede il processo di storicizzazione, poiché è esso stesso un processo di rinnovamento
creativo. La sua analisi dei movimenti storici è tesa ad individuare gli indicatori empirici del movimento ovvero gli
elementi di identificazione dell'Unità di movimento. Tali elementi sono cinque, ma particolare riguardo va al
soggetto storico. Il soggetto storico è identificato da Alberoni dei partecipanti all'azione collettiva, e dunque i
membri di quelle classi sociali, etnie o agglomerati culturali che sono coinvolti episodicamente nell'azione;
diversamente da Touraine che reifica il concetto di soggetto storico, non riuscendo talvolta a sottolineare il materiale
umano da cui è costituito. È rilevata infine da Alberoni un'alternanza tra movimenti collettivi portatore di mutamento
e spontaneità creativa e movimenti collettivi che sono fondati su una stabilità istituzionale. I presupposti prestrutturali
alla nascita dello statu nascenti sono focalizzati dall'autore nello squilibrio tra sviluppo delle forze di produzione e
forme di mediazione istituzionale, mentre i requisiti psicologici sono individuati nella condizione di sovraccarico
depressivo sofferta dei soggetti sociali a causa delle frustrazioni provocate dalle istituzioni. L'ipotesi e di Alberoni viene
definita come un tentativo di spiegazione delle ragioni del processo di alternanza tra momenti in cui predomina la
dimensione istituzionale e momenti invece in cui predominano i movimenti spontaneistici. Le condizioni strutturali e
psicologiche prima individuate non sembrano spiegare le ragioni profonde proprio dell'origine di tali condizioni. A
seconda del tipo di condizioni, o alla struttura lipidica dei soggetti, o all'evoluzione dialettica della vita come alternanza
tra momenti di discontinuità/stabilità e momenti di mutamento/discontinuità. egli sostiene che se il modello teorico
in sociologia può assolvere alla sua funzione anche senza approfondire più di tanto le dimensioni originali dei fenomeni
osservati, ciò comporta sempre un limite della capacità esplicativa e Critica della teoria. Il tema dello statu nascenti è
dominante in tutti i modelli interpretativi di Alberoni. Lo statu nascenti appare uno strumento adeguato per la
spiegazione delle origini dei movimenti sociali.
RATIONAL CHOICE THEORY: COLEMAN
La Rational Choice Theory è basata sugli assunti della corrente utilitarista classica e utilizza per le sue strutture
esplicative il modello tipico della teoria dei giochi. Come osserva Ritzer la teoria della scelta razionale pone come
centrali alle sue argomentazioni gli attori sociali. Essi sono propostivi e intenzionali: possiedono fini o scopi che guidano
le loro azioni ed hanno inoltre delle preferenze proprie. Alla RCT non interessa in realtà definire tali preferenze, ma è
essenziale che le azioni siano intraprese con la finalità di raggiungere gli obiettivi prefissati e che tali obiettivi siano
coerenti con la gerarchia delle preferenze dell’attore. Sono due le limitazioni all'azione che la RCT considera: la scarsità
delle risorse, e di conseguenza l'accesso differenziato di ogni attore ad esse; e i costi di opportunità. Ed è proprio
valutando questi costi che l'attore decide se è conveniente intraprendere o no l'azione. La RCT come evidenzia Elster
fa riferimento a tre elementi nelle situazioni di scelta: 1) l'insieme realizzabile di tutte le possibilità d'azione; 2) Un
insieme di credenze irrazionali circa la struttura causale della situazione; 3) una graduatoria soggettiva delle possibili
alternative dei possibili risultati ai quali tali alternative conducono. agire razionalmente, significherà dunque scegliere
l'elemento posizionato più in alto nell' insieme possibile. I suddetti elementi, possono poi essere analizzati secondo
due dimensioni: la scelta in condizioni di incertezza e la scelta strategica. La struttura della spiegazione del RCT è basata
sull' intenzionalità, proponendosi di chiarire a più livelli la relazione tra comportamenti, informazione e desideri degli
attori individuali. Egli evidenzia però che dagli studiosi di scienze sociali vengono considerate solo le condizioni ottimali
sotto la veste di buone ragioni degli attori coinvolti nell'azione. L'obiettivo finale della spiegazione non dovrebbe essere
una interpretazione dell'agire individuale, ma del comportamento collettivo di un gran numero di persone che si
trovano in simili circostanze contestuali. Elster sottolinea come la teoria dei giochi implichi una spiegazione scientifica
mi sta, poiché fornisce una comprensione intenzionale delle azioni individuali e una spiegazione causale della loro
interazione. Gli individui coinvolti in tale interazione agiranno non secondo una razionalità parametrica ovvero una
persona considera se stessa come una variabile e tutti gli altri come costanti, ma proprio secondo una razionalità
strategica ovvero tutti considerano tutti gli altri come variabili punto la RCT è divenuta una delle teorie più rilevanti
grazie agli sforzi di Coleman. Il suo approccio implicherebbe un superamento del dibattito micro-macro proprio
attraverso un'interpretazione formale-matematica a livello micro finalizzata però a spiegare i macrofenomeni.
Coleman condivide con gli economisti un'impostazione utilitaristica dove attori e risorse sono gli elementi centrali. Egli
rifiuta la possibilità di un obiettiva misurazione dell'utilità interpersonale: le preferenze individuali ai livelli di utilità
sarebbero infatti generati dai tipi di comparazione che crescono all'interno dei sistemi sociali basati su una ineguale
distribuzione di potere gli scambi secondo Coleman non generano equilibrio tra gli attori individuali, ma piuttosto
concentrazioni di potere. Gli scambi non si realizzano solo tra soggetti individuali, ma anche tra sistemi sociali e politici.
In questo senso sia nelle analisi di Coleman un superamento della versione classica della RCT, sia perché considera un
livello macro, ma soprattutto perché, fornendo una teoria basata sulle transizioni micro macro micro, Coleman
constata una interdipendenza tra i due livelli. Sono proprio le interazioni tra attorie e tra attori e sistema sociale il
punto strategico delle sue analisi. I tipi di attori a cui l'autore fa riferimento sono due: fisici e corporate, con una netta
predilezione per i secondi punto ed i tipi di interazioni che si possono attivare sono tre: 1) interazione tra attori
individuali; 2) interazione tra attore individuale e corporate actor;
3) interazione tra corporate actors.
i fenomeni collettivi sono da lui interpretati attraverso un modello di formalizzazione matematica tipico della teoria
dei giochi in comparazione alle precedenti spiegazioni della sociologia americana. Tali fenomeni possono essere
raggruppati Grazie ai seguenti comuni elementi: essi coinvolgono un numero di persone che portano a termine, nello
stesso spazio di tempo, azione uguali o simili. Il comportamento manifesto è in continuo mutamento, non si trova in
uno stato di equilibrio. Esiste un certo tipo di dipendenza tra le azioni, i soggetti individuali non agiscono
indipendentemente. Le azioni individuali su cui sono basate le relazioni di fiducia, funzionano secondo un
trasferimento unilaterale di controllo sulle azioni, evidenziando così la dinamica fondamentale nel comportamento
collettivo. Egli si propone di spiegare infatti come tale trasferimento si realizzi e si sviluppi tra gli attori sociali coinvolti
nelle varie forme di collective behavior, da lui considerate macrofenomeni. Ad un livello micro ogni attore ha controllo
sull'evento attraverso le sue stesse azioni, ma a livello macro tale condizione muta attraverso il trasferimento da parte
dell'attore del controllo delle proprie azioni e ad altri. Coleman segnala dunque la possibilità di predire il macro. Egli
osserva che un tumulto può essere spiegato attraverso le nozioni di contagio sociale, reazione circolare o divulgazione
attraverso la folla, Ma che può essere in egual modo spiegato e compreso attraverso la dinamica del trasferimento del
controllo delle proprie azioni da parte di alcuni attori a quelli di altri, per cui in una effettiva situazione di tumulto,
alcuni si troverebbero ad attendere le decisioni di coloro a cui hanno trasferito il potere prima di agire. Il vantaggio di
questo tipo di interpretazione sta nel fatto che si basa su un altro razionale da parte dell'attore sociale, piuttosto che
di una reazione ad uno stimolo, e che dunque può condurre ad una predizione del comportamento collettivo. Egli si
propone infatti di comprendere il macro attraverso il micro e evidenzia proprio come osservando l'agire dal punto di
vista dell'attore, è possibile prevedere anche la potenzialità di un gruppo di dar luogo a forme estreme di
comportamento collettivo come il panico il tumulto. Questo dipenderà dall'equilibrio tra le porzioni di individui che
hanno trasferito il controllo delle loro azioni ad altri, e quelli invece che non lo hanno fatto. Ma dipenderà anche da
quale tipo di azioni sono state trasferite al controllo altrui dai componenti. Coleman distingue tra collective behavior
e azione organizzata. I diversi referenti empirici vengono specificati: le spiegazioni dei comportamenti collettivi quali
pubblico, tumulto, folla o panico vengono distinti da quelli delle organizzazioni istituzioni. Ma la descrizione del
collective behavior rimane comunque basata sulla teoria dei giochi che si configura come struttura esplicativa della
RCT. Elemento centrale del suo impianto sociologico è infatti il corporate actor. Esso è un sistema di azione collettiva
costruito sulla depersonalizzazione degli attori fisici. Il corporate actor appare in questo contesto come strutturato
sulla base di posizione di uffici e non di persone fisiche, le persone fisiche occupano infatti tali posizioni e
transitoriamente. Un corporate actor si basa sulla transazione delle azioni degli agenti individuali verso
l'organizzazione centrale, anche se ogni attore individuale occuperà una posizione all'interno di tale struttura. Tali
attori contribuiscono all'attività globale, ma non sono però indipendenti da essa; neanche le posizioni da loro occupate
sono vitali. La posizione ha infatti una sua propria esistenza nella struttura, aldilà dell' attore fisico. Il corporate actor
nasce però dal consenso individuale alle norme: è la persona fisica e non il cosiddetto corporate actor che da
legittimazione alle norme. La distinzione tra persona fisica e corporate actor è nettamente tracciata dall'autore. Va
però precisato che le azioni di incentivazione o di persuasione alla partecipazione ad un azione collettiva non siano
però rivolti al corporate actor come entità collettiva, Ma alle persone fisiche che lo compongono. Coleman prevede
una responsabilità dell'attore collettivo entro la quale ogni persona fisica ha però un suo ruolo. La concezione di che
cosa sia un comportamento responsabile per la persona fisica è comunque variabile e dipende da una serie di
circostanze talvolta costrittive, di conseguenza: se l'entità corporate sono considerate come attori unitari, è
ragionevole usare i processi sociali come contesto per interrogarsi circa analoghi processi che coinvolgono invece i
corporate actor. L'accezione positiva della figura del corporate actor traspare da tutti gli scritti di Coleman: tutto ciò
che è essenziale nella società è realizzato da tali entità punto il moderno corporate actor è un'invenzione sociale. Come
rileva Stinchcombe l'autore avrebbe in realtà trascurato l'analisi di ciò che taglia attori non eseguono nel migliore dei
modi o addirittura non fanno del tutto. In particolare sembra essere totalmente ignorato dalla moderna società la
riproduzione o la socializzazione dell'infanzia, o ancora la necessità di creare un ambiente umano. vogliamo però
ricordare nuovamente come tale modello sia una costruzione concettuale tesa spiegare l'agire collettivo organizzato
attraverso il corporate actor, senza per questo voler negare l'essenza dell'uomo e le sue relazioni affettive. Alexander
però evidenzia una condizione di schiavitù degli attori sociali alle strutture connaturata al meccanismo del
trasferimento di Coleman. Esso dovrebbe trovarsi invece sotto il controllo, almeno parziale, degli attori individuali. Le
critiche che si rivolgono la figura del corporate actor di Coleman sono molteplici. Stinchcombe evidenzia un problema
circa la relazione noi-io all'interno di tale forma. Non è sempre vero che le unità sociali a cui la persona attribuisce le
proprie intenzioni sia uno considerabili un individuo fisico naturale, così come non è garantito che nel corporate actor
le volontà individuali sia uno sempre concatenate punto la questione riguarderebbe invece l'incontro tra più persone
che esprimono la stessa motivazione in un azione collettiva; e questa è una carenza tipica non solo della teoria di
Coleman, ma della RCT in economia. Ad osservare i criticamente la relazione tra indipendenza individuale struttura
sociale è invece Alexander. Egli sostiene che Coleman tratta la questione in termini individualistici, proponendosi di
sviluppare una teoria che mantenga l'autonomia dell'individuo concettualizzato nello stesso tempo una struttura
collettiva. Questo significherebbe tecnicamente una indipendenza strutturata dove ogni attore assume che l'azione
degli altri sia indipendente dalla propria e dunque non si spiegherebbe l'origine della struttura. Coleman assume che
gli attori sociali sono organizzati collettivamente, che la struttura sia il prodotto della transazione del controllo sulle
proprie azioni da parte di alcuni di essi ad altri attori, e che tale controllo sia ceduto da ogni attore per motivi razionali,
cioè per soddisfare i propri interessi. Ma Alexander replica che non tutti gli atti possono essere gestiti in questo modo,
l'ordine sociale comporterebbe una diminuzione del controllo sulle proprie azioni e sugli interessi personali, e dunque
Coleman dovrebbe rinunciare alla presunzione di una razionalità dell'individuo nella transazione.
SIMON
Il concetto di bounded rationality, che fu cognato da Simon e sta alle origini dell'analisi sulla razionalità limitata,
esprime proprio forte la perplessità sulla capacità dell'individuo di essere razionale punto questa teoria trovò per la
prima volta applicazione negli studi sulle organizzazioni formali:le analisi sul comportamento amministrativo e sulle
organizzazioni. Alla base della teoria sulla razionalità limitata sta l'assunto secondo cui è impossibile massimizzare, ma
è razionale soddisfare. Come evidenziano crozier e friedberg l'uomo è un animale che cerca non l'ottimizzazione Ma
la soddisfazione. La bounded rationality rappresenta dunque una alternativa alla RCT promuovendo un concetto di
razionalità diverso è innovativo. Simon distingue infatti tra razionalità sostanziale, tipica delle scienze economiche, e
razionalità procedurale, poiché nelle altre scienze sociali la razionalità è considerata per i processi di cui si avvale,
piuttosto che per le scelte che produce. il comportamento razionale in senso sostanziale sarà relativo alla sua
adeguatezza per il raggiungimento di un risultato nei limiti imposti dall' ambiente. L'agente è il titolare dell'azione
perché rende espliciti i suoi obiettivi e il suo comportamento sarà completamente determinato dalle caratteristiche
dell'ambiente in cui si svolge. Il comportamento razionale in senso procedurale riguarderà invece il risultato di un
ragionamento corretto, si dirà dunque razionale in riferimento al processo che lo ha generato. Lo stesso sarà invece
definito irrazionale in psicologia se rappresenterà una risposta impulsiva a meccanismi emotivi senza un adeguato
intervento del pensiero. Simon indica la razionalità come la selezione delle alternative di comportamento preferite il
rapporto ad un sistema di valori in base al quale sia possibile valutare le conseguenze del comportamento. Queste
categorie concettuali si concretano nella figura tipica dell'uomo amministrativo, la cui principale caratteristica è
l'incapacità di raggiungere una razionalità assoluta e oggettiva che sia in grado di indicare la soluzione migliore per
ogni problema e la via più adatta per giungere a tale risoluzione. La conoscenza del soggetto circa le condizioni
dell'azione o leggi di previsione sulle conseguenze future è infatti approssimativa punto il contesto di razionalità e
infatti limitato e contingente. L'uomo amministrativo, decide risolve i problemi seguendo i propri interessi, anche se
non sa sempre esattamente quali essi siano: conosci solo alcune tra le alternative possibili, si potrà dunque
accontentare solo di una soluzione adeguata e soddisfacente e non massimizzante. L'uomo economico invece è spinto
dall'interesse egoistico ed è perfettamente informato su tutte le alternative possibili. Egli possiede una razionalità di
tipo aziendale. Egli cerca di liberarsi dalle situazioni di incertezza attraverso un controllo sia dell'ambiente interno che
di quello esterno. La razionalità sarà dunque limitata quando la complessità dell'ambiente risulterà smisuratamente
più grande rispetto alle capacità computazionali dell'individuo ti avrà la possibilità di trovare una soluzione
soddisfacente ma non ottimale. Quello che sottolinea Simon sono proprio le limitazioni dei soggetti nel trattare le
informazioni. E dunque seguendo questo ragionamento che si giunge alla conclusione di crozier e friedberg secondo
cui: l'essere umano è incapace di ottimizzare. La sua libertà e il suo grado di informazione sono troppo limitati perché
possa farlo. In un contesto di razionalità limitata,decide in modo sequenziale sceglie per ogni problema da risolvere La
prima soluzione che corrisponde per lui ad una soglia minimale di soddisfazione.
CROZIER E FRIEDBERG
La centralità del concetto di gioco per la comprensione delle organizzazioni non obbliga, secondo Crozier e friedberg
ad una sua formalizzazione secondo l'approccio della teoria dei giochi. Nello studio di tale forma di agire collettivo
viene dato invece risalto alla relativizzazione del ruolo delle intenzioni e del calcolo nei comportamenti umani. Gli
autori rilevano come gli individui possiedano raramente preferenze obiettivi chiari, e come non abbiano, sempre il
tempo di calcolare la loro condotto in funzione delle preferenze. E si sono solitamente spinti ad agire velocemente;
sarebbe dunque ingannevole esaminare i comportamenti umani come dettati a tutti i costi da ragionamento. Appare
invece adeguato osservare tale comportamento come attivo, cioè come una scelta effettuata in un contesto di
opportunità e vincoli. Fredberg propone un'interpretazione più ampie del concetto di razionalità. Se tutte le condotte
umane potessero essere analizzate si potrebbe fondare un utilitarismo metodologico. Questa metodologia si
implicherebbe allo studio delle organizzazioni e dell'azione organizzata seguendo un'ipotesi di razionalità utilitaria o
strategica dei comportamenti punto l'obiettivo del ricercatore sarà quello di scoprire attraverso gli scarti di tale
razionalità, quali sono gli elementi che strutturano il campo sociale, vale a dire le regole del gioco in cui gli individui
sono coinvolti. Il funzionamento delle organizzazioni non è analizzato dagli autori come un prodotto dell'adattamento
dei componenti alle procedure e ai ruoli previsti, bensì come il risultato di un insieme di Giochi ai quali differenti
membri dell'organizzazione partecipano. La posta in gioco è definita da una serie di regole che indicano pure un
insieme di comportamenti razionali, o meglio adeguarsi al raggiungimento della posta, delimitando così il contesto
dell'azione. In questa prospettiva il gioco è molto più di una metafora. Esso è quel procedimento concreto che
consente di strutturare l'azione collettiva conciliando libertà e costrizione. L'assunto prioritario è la libertà del
giocatore. Egli ha però l'obbligo di rispettare alcune regole. Il giocatore dovrà accettare le costrizioni che tale natura
impone per vincere punto il fenomeno sociologico dell'integrazione dei comportamenti non verrà analizzato come una
conseguenza diretta dell'apprendimento di un insieme di comportamenti che ogni attore metti in atto in una
situazione di interdipendenza con gli altri attori. Ma tale fenomeno sarà osservato come risultato indiretto del
condizionamento fondamentale che impone ad ogni partecipante all'azione di considerare le esigenze e le regole del
gioco organizzativo ed a contribuire all'attuazione degli obiettivi comuni. Friedberg non vuole negare l'esistenza di
processi di socializzazione, ma evidenziare come taglie processi e non siano affatto essenziali al buon funzionamento
del gioco. Le strategie possibili tra cui partecipanti possono e devono scegliere sono numerose, dunque il gioco resta
aperto e il suo proseguimento dipende proprio dalla stabilità dell'equilibrio tra queste due scelte. La nozione di gioco
è interessante e vantaggiosa terzo sottolineare il carattere condizionato è prestrutturato dell'azione organizzata.
Attraverso il gioco si evidenzia la conservazione del carattere socialmente costruito delle strutture sociali.
Evidenziando pure che, se da un lato, le caratteristiche di tali strutture guidano le scelte degli individui, dall'altro, sono
queste stesse scelte che condizionano il persistere o il mutare delle cosiddette proprietà strutturali. L'azione collettiva
viene dunque interpretata da Crozier e friedberg come costrutto sociale. Le suddette strutture sociali non decidono i
comportamenti degli attori, la loro azione è indiretta e non deterministica. Esse danno luogo a giochi strutturati. La
strutturazione dei giochi è complessa e prevede una libertà di scelta individuale. Con le sue scelte e la sua attività ogni
attore contribuirà volens nolens agli obiettivi del gruppo.
BOUDON
gli studi sulla razionalità limitata di Simon vanno considerati pure un input alle teorie considerate quali correttivi alla
scelta razionale che si esplicitano nelle proposte di Boudon e di Elster. La spiegazione che boudon fornisce dell'agire
collettivo è basata su una peculiare interpretazione della nozione di razionalità limitata che si costruisce su modelli
tipici della teoria dei giochi. In questo contesto sono esemplificati da boudon diversi referenti collettivi: dalle istituzioni
scolastiche all'opinione pubblica; ma vengono considerate le situazioni di interdipendenza in episodi di vita quotidiana,
ed infine i movimenti sociali. La teoria della razionalità cognitiva (che consiste nel considerare tutti i fenomeni sociali
come il risultato di azioni, atteggiamenti e credenze e in generale di comportamenti individuali) è basata sul concetto
di buone ragioni. Lo strumento delle buone ragioni è fondamentale nel modello razionale. Tale schema esplicativo si
edifica sul seguente principio fondamentale: per spiegare il comportamento, gli atteggiamenti o le credenze della
storia sociale bisogna dimostrare che, date le sue passate esperienze, le sue risorse e l'ambiente circostante, e gli ha
buone ragioni per adottare quel comportamento, atteggiamento o credenza. Ma le buone ragioni non sono solo di
tipo utilitaristico. Tale puntualizzazione si colloca in netta opposizione con i dettami della RCT, modello a cui Boudon
rivolge tre osservazioni critiche. La sua prima considerazione critica sta nella constatazione che alcuni fenomeni sociali
vanno analizzati, al fine della loro comprensione, rispondendo alla domanda in ragione di cosa e non in vista di che
cosa, contestando così la posizione utilitaristica del rational choice model. la seconda osservazione va individuata
nell'impossibilità di assumere una validità generale della concezione utilitaristica. la terza considerazione evidenzia
che il modello della scelta razionale considera preferenze e gusti come dati ed è dunque indifferente riguardo alla loro
razionalità. La razionalità cognitiva va differenziata dalla teoria classica della bounded rationality di Simon. Boudon
pone il principio di razionalità cognitiva come un perfezionamento del concetto di razionalità soggettiva su cui la
bounded rationality sì edifica. In queste situazioni dove le condizioni di scelta risultano essere complesse, la
spiegazione basata sul concetto di razionalità cognitiva appare più adeguata rispetto a quella basata sul concetto di
razionalità soggettiva. Per risolvere le situazioni complesse il soggetto fa riferimento ad ogni possibile a priori al fine
di dare un senso alla situazione. E poiché spesso la distinzione tra mezzi e Fini È sfuggente, si potrebbero verificare
due tipi di problemi: 1)l'incompatibilità degli a priori mobilitati con la situazione specifica e, 2)qualora tali a priori
portino a una non soluzione questo non significherà che l'attore è irrazionale, Ma che i suoi atti dovranno essere
spiegati facendo ricorso ai principi della razionalità cognitiva punto la definizione di razionalità soggettiva/cognitiva è
così formulata dall'autore:si può parlare di razionalità soggettiva quando il soggetto ha buone ragioni per fare ciò che
fa nel quadro delle disposizioni e delle possibilità che gli sono proprie, anche se ci sono altri modi più efficaci di farlo
punto A condizione tuttavia di poter ammettere che il soggetto aveva anche buone ragioni per non rimettere in
discussione le sue disposizioni. Dato un modello di razionalità cognitiva, boh osservato come questo viene applicato
alle sue analisi sull'azione collettiva. Boudon sottolinea come: 1)una volta identificati gli attori o le categorie di attori
che si suppone siano responsabili del fenomeno collettivo che si cerca di spiegare, 2)si tratterà di comprendere il loro
comportamento di spiegare come questi comportamenti individuali producono il fenomeno macroscopico. Infine
3)saranno esaminati gli effetti macroscopici prodotti dalla composizione o dalla aggregazione dei comportamenti
individuali. Tali effetti comportano dei problemi poiché se, da un lato, in molti casi essi assumono la forma semplice
della sommatoria, dall'altro, possono generare degli effetti sui generis, di cui un caso particolare sono gli effetti
indesiderabili, detti pure perversi. Gli effetti perversi comportano diverse interpretazioni che vanno dalla nozione di
effetto inatteso a quello di effetto non voluto. Si hanno effetti perversi quando due individui o più, alla ricerca di un
dato obiettivo, generano uno stato di cose non voluto, che può essere indesiderabile sia dal punto di vista di ciascuno
dei due individui, sia di uno solo dei due. Lo stesso aggettivo per verso carica il concetto di negatività. Per evitare tale
negatività, Boudon ritiene sia preferibile utilizzare una espressione più neutra e dunque parlare di effetti di
composizione, gli effetti emergenti, gli effetti di aggregazione, o di effetti di sistema. Boudon distingue inoltre tra
effetti di composizioni semplici e complessi. I primi assumono la forma di effetti sommati: essendo tutti nella stessa
situazione, tutti si comportano o tendono a comportarsi nella stessa maniera, e ne risulta un effetto aggregato, mentre
i secondi potranno essere ricondotti a quelle forme di aggregazione studiate dalla teoria dei giochi, così come nel
paradosso di Olson. gli effetti perversi non si spiegano con l'irrazionalità degli attori, ma al contrario con la loro
prudenza, poiché questo effetto indesiderabile risulta dall'aggregazione di comportamenti razionali. Boudon
interpreta ogni fenomeno sociale come il risultato dell'aggregazione delle azioni dei singoli agenti. una volta comprese
le azioni individuali, analizza gli effetti prodotti da tale aggregazione al fine di spiegare come reagire individuale da vita
al macro fenomeno in oggetto. La razionalità con gli va permette la comprensione delle azioni dei singoli. La nozione
di effetti di aggregazione consente invece di spiegare gli eventi macrosociali focalizzando i diversi tipi di relazione tra
le preferenze degli individui singoli e gli effetti collettivi inintenzionali generati dalla composizione delle loro azioni. Il
paradigma dell' aggregazione è scelto da Boudon come ponte tra livello micro e livello macro, Poiché permette di
spiegare la relazione tra azioni individuali e fenomeni collettivi da esse prodotti. La definizione di effetto di
aggregazione è la seguente: se un insieme di individui compie un'azione m, ne deriva un effetto di aggregazione M.
Boudon studiava i comportamenti collettivi attraverso lo schema della teoria dei giochi.egli analizzava i fallimenti delle
istituzioni scolastiche come prodotto di un insieme di decisioni individuali interdipendenti strutturate in azioni
collettive. Tali decisioni costruite secondo il modello tipico della teoria dei giochi, del dilemma del prigioniero, davano
luogo alla cosiddetta trappola collettiva, che conduceva a risultati inattesi. I sistemi di interdipendenza sono centrali
nella spiegazione di Boudon e sono spesso contraddistinti dal fatto che le azioni compiute dai soggetti generano
fenomeni collettivi opposti rispetto a quanto voluto dagli attori interagenti punto egli esemplifica diversi casi di effetto
emergente, ad esempio il caso in cui i mutamenti individuali vengono analizzati a livello collettivo (effetto di
neutralizzazione).
ELSTER
Elster fornisce una spiegazione dell’agire collettivo basata su un ipotesi di razionalità limitata. I referenti empirici da
lui esemplificati sono molteplici: da fenomeni di piccole dimensioni come una parata, si passa sennò me li più grandi
come sindacati, grandi organizzazioni. L'azione concertata e individuata da elster come aspetto fondamentale della
razionalità collettiva, da cui egli fornisce due versioni: quella politica e quella economica punto la sua definizione
generale di agire collettivo è la seguente:supponiamo che ciascun membro di un gruppo possa scegliere tra impegnarsi
in una certa attività e non farlo. Il gruppo ha un problema di azione collettiva se è meglio per tutti che qualcuno vi si
applichi, piuttosto che non lo faccia nessuno, ma meglio per ognuno astenersi. che si impegnino tutti in quella attività,
piuttosto che non lo faccia nessuno, può essere meglio per tutti o non esserlo, e che tutti lo facciano può essere o non
essere la cosa migliore. Cooperare significa agire contro il proprio personale interesse in un modo che avvantaggia
ciascuno sia alcuni agiscono in quella maniera. Il concetto di razionalità e implicito alla spiegazione dell'agire collettivo
in Elster. Egli assume le azioni razionali come necessariamente intenzionali, presentando la razionalità come una sub
categoria rispetto a quella più bassa dei l'intenzionalità. L'azione razionale è secondo elster quella che mette il rapporto
credenze e desideri dell'attore sociale. Elster suppone una forma di adattamento ottimale alle circostanze, tale modo
di procedere non è però infallibile poiché si basa sulle credenze dei soggetti agenti. Questo tipo di razionalità
individuale implica due osservazioni:i innanzitutto la massimizzazione dell'utilità non coincide con l' attuazione di un
piano, secondo cui l'attore sceglie i mezzi più opportuni al conseguimento dello scopo, indipendentemente definito
punto in secondo luogo che è possibile contrapporre in modo efficace l'uomo razionale all'uomo economico. Il primo
richiede preferenze e piani coerenti, per il secondo le preferenze invece, non solo non sono coerenti, ma anche
complete continue ed egoistiche. Una teoria completa della razionalità individuale potrà essere basata sul
superamento di considerazione esclusivamente formali e dovrà consentire un'attenta considerazione della struttura
essenziale dei desideri e delle credenze racchiuse nell'azione. Egli sostiene che, se da un lato si vuole affermare che
l'azione razionale sia un'azione coerente, dall'altro non si vuole allargare la nozione di razionalità fino a comprendervi
tutti i migliori attributi cambieremo per le nostre credenze e desideri. La teoria completa della razionalità se non può
basarsi sulla verità delle credenze irrazionali, deve quantomeno far Fede sulla loro coerenza. Nel passaggio alla
determinazione del concetto di razionalità collettiva, Ester rileva la necessità di passare a considerazioni di tipo
strategico, tenendo in considerazione la massima leibziana secondo cui: ogni individuo riflette la sua totalità dal suo
punto di vista. Gli elementi a cui dobbiamo dare peso in un'analisi della razionalità collettiva sono sostanzialmente tre:
la contrattazione, l'informazione è la probabilità.Tra queste occorre rilevare quanto il potere di informazione sia però
limitato poiché dipende dalle capacità computazionali del soggetto agente. La razionalità si configura come un
fenomeno sociale, oltre che individuale, e nell'azione collettiva le informazioni che ogni attore utilizza non sono
sempre reali, ma sono talvolta congetture costruite proprio in mancanza di informazioni, che prendono la forma di
aspettative e si distribuiscono in modo probabilistico. Va considerato come sia notaio aspettativa condizionare ogni
agire individuale all'interno di un agire collettivo. Elster distinguere tra credenze come valutazioni soggettive di
probabilità o come qualcosa sui generis. È il primo caso a rientrare nelle analisi della razionalità collettiva, anche se il
calcolo delle probabilità non risulta sempre espresso in modo strettamente logico-matematico. i problemi di
distribuzione delle risorse, assegnazione dei compiti vengono spesso risolti con la casualità. Il metodo delle lotterie
interviene spesso, egli sostiene che nelle scelte politiche e legali, come nelle contrattazioni tra due o più individui vi
sia una serie di vantaggi di tipo psicologico. Questo tipo di probabilità è da lui detta taming chance ( probabilità
dominata). La teoria della razionalità collettiva consta di due nozioni: quella economica e quella politica. La prima
prevede che gli attori sociali, attraverso scelte individualmente razionali producano un risultato positivo per tutti, o
che quantomeno non sia negativo per tutti. La seconda sarà invece basata su azioni concertate che si pongono come
obiettivo il superamento dei suddetti problemi. al fine di fornire una definizione completa del concetto di razionalità
collettiva vanno rilevate anche alcune obiezioni. L'autore evidenzia la difficoltà di coordinamento e/o di aggregazione
delle preferenze individuali dati gli ostacoli concreti per il conseguimento di un accordo unanime e razionale. Inoltre
egli rileva il problema dell'influenza negativa o positiva dell'interazione che tende, da un lato al rafforzamento
reciproco o all'integrazione delle opinioni secondo il principio che molti possono pensare meglio di uno solo, ma che
può essere tanto rafforzata quanto indebolita dall'interazione. Infine bisogna considerare che l'unanimità non è detto
che sia dovuta d'accordo razionale, ma potrebbe essere invece un frutto di conformismo. Sono dunque tanti gli
elementi da valutare in una ipotesi di razionalità collettiva.
IL PARADOSSO DELL'AGIRE COLLETTIVO: OLSON
la discussione sulla possibilità di una razionalità collettiva nei gruppi organizzati ci riconduce al secondo le due
paradossi di cui si diceva prima: ci si domanda infatti come sarà possibile azione collettiva punto il problema
dell'impossibilità di una razionalità perfetta a livello individuale viene riproposto ad un diverso livello di analisi e può
essere così formulato: come sarà possibile che più individui razionalmente limitati possono dar luogo ad un gruppo
organizzato e come questo potrà raggiungere gli obiettivi prefissati per il bene comune punto l'autore che più si è
dedicato all'analisi ed alla soluzione di questo secondo paradosso è Olson. Le sue analisi sono infatti incentrate sulla
risposta alla domanda defunti com'è possibile l'azione collettiva? Egli rileva proprio una contraddizione tra razionalità
individuale e razionalità collettiva. Indicato da touraine come eminente rappresentante dell'individualismo
metodologico, Olson edifica la sua teoria dell'azione collettiva sullo studio delle organizzazioni, più o meno
istituzionalizzate, dei gruppi organizzati e del loro comportamento interno. I referenti empirici da lui e semplificati
sono i sindacati, i gruppi di pressione, lobbies, classi sociali e comportamenti istituzionali. Le analisi di Olson presentano
inoltre grandi affinità con la teoria dei giochi. Il concetto di effetto perverso appare centrale. Inoltre va evidenziata
anche l'analogia con la teoria dell'equilibrio per i giochi a somma zero di Luce e Raiffa. L'argomentazione di Olson
appare correlata al concetto di azione razionale, o meglio rappresenta una critica al calcolo razionale di tipo economico
strettamente legato alla scelta dell'attore nell'azione collettiva. Il suo ragionamento può essere articolato in tre punti:
1)i membri di un gruppo organizzazione non sanno o non possono perseguire i propri interessi collettivi così come
espressi negli obiettivi comuni; 2) il comportamento razionale dei singoli membri, basato sullo schema costi-ricavi, non
conduce sempre ai risultati voluti, non garantendo così una razionalità di tipo collettivo; 3)al fine di garantire una
razionalità di tipo collettivo, cioè il raggiungimento degli obiettivi comuni al gruppo/organizzazione, i membri dal
gruppo saranno indotti, attraverso l'utilizzo di sanzioni o incentivi di tipo negativo positivo, a perseguire lo scopo
comune. In quest'ultima proposizione è racchiusa la soluzione proposta da Olson al paradosso dell'agire collettivo:
soltanto un incentivo distinto e selettivo sarà in grado di stimolare un individuo razionale facente parte di un gruppo
latente a un'azione di gruppo. Un incentivo che agisca non in modo indiscriminato sul gruppo nel suo insieme come il
bene collettivo, ma piuttosto in modo selettivo e sui singoli individui che fanno parte del gruppo punto lo schema
costi-ricavi individuale verrà modificato fino a diventare compatibile con il rapporto costi-benefici del gruppo, e
verranno scoraggiati i comportamenti da freerider. Tale soluzione non può però essere individuata come l'unica
possibile ai problemi dell'azione collettiva. Elster ci propone infatti una seconda soluzione ai problemi dell'azione
collettiva che potrebbe consistere nel richiedere che i contributi siano offerti l'uno a condizione dell'altro (proposta
dei finita dei soldi indietro)si creerebbe così un impegno a lungo termine da parte dei partecipanti all'azione Che
nell'attesa che tutte le promesse siano mantenute, continuerebbero a comportarsi in maniera cooperativa. A parere
di Elster quello che bisogna spiegare è la partecipazione del singolo, che si trova a dover scegliere tra di strategia
cooperativa e non cooperativa.egli sostiene che la questione vada valutata facendo riferimento alla capacità da parte
del gruppo stesso ad organizzare un sistema di incentivi, per fare questo è necessario che esista un'autorità centrale
e dunque che sia già stato risolto un primo problema di cooperazione. Sarebbe complesso ottenere una situazione di
controllo reciproco tra i partecipanti al gruppo stesso e in questo senso, Elster suggerisce un'ulteriore soluzione al
problema: il metodo delle parti uguali punto tale metodo stabilire ebbe che se un numero sufficientemente grande di
persone che opera, anche le altre devono farlo. La critical Mass theory, critica invece proprio il tipo di soluzione è
basata sugli incentivi selettivi.(per un fisico, la massa critica è quella montare di materiale radioattivo necessario ad
un'esplosione atomica. Gli attivisti si riferiscono invece a tale espressione per indicare in modo metaforico un'idea che
sta nascendo, o meglio esplodendo. La massa critica ha un ruolo importante nella produzione dell'azione collettiva:
sono pochi individui che danno, o meglio decidono di dare impulso all'agire, mentre gli altri non agiscono affatto.
Questo piccolo gruppo di individui (elite) rappresenta la massa critica dell'azione collettiva.) Oliver è uno degli
esponenti più significativi di questo orientamento teorico. Egli sposta l'accento dalle incentivazioni ai legami sociali, è
la sostiene che sarebbero proprio quest'ultimi a far le veci delle incentivazioni. I legami sociali possono essere
considerati come indicatori di interessi individuali nel vicinato, fattori che influenzano la disponibilità di solidarietà al
fine di una partecipazione all'azione collettiva, ovvero che riducono i costi della stessa, rendendo la comunicazione più
facile. Il lavoro della Oliver si pone in linea con la critical Mass theory, secondo cui i legami sociali sono di estrema
importanza per l'azione collettiva e la loro centralità va rilevata proprio nella forte presenza delle reti sociali nell'agire
collettivo. Ella sottolinea l'importanza dell'interazione all'interno di tagli e reti nonché di tre variabili indipendenti:
centralizzazione, densità e costi, interessi ed eterogeneità delle risorse. Secondo questa prospettiva di analisi,l'agire
collettivo è prodotto da pochissime persone che possiedono grande interesse nel raggiungimento degli obiettivi e
grandi risorse, piuttosto che dagli sforzi di tutto il gruppo. l'accento va dunque posto sull’interdipendenza tra attori,
sul eterogeneità tra i gruppi e sui ruoli degli attori mobilitati è l'obiettivo sarà così di delineare le condizioni strutturali
attraverso le quali tale massa critica di individui e raggiunge la meta prefissata punto in tali condizioni, appare evidente
come un caso di freerider sia impossibile ed il problema sia dunque superato, di conseguenza anche la nozione di
azione collettiva a padre ridotta. Non si può più parlare di azione collettiva Ma solo di un'azione limitata a una sorta di
élite, che agisce in nome di un collettivo inesistente. L'obiettivo degli autori è dimostrare che non esiste nessun
fenomeno unitario che possa essere denominato agire collettivo punto i sociologi della massa critica non si
propongono di risolvere il dilemma collettivo. essi si limitano a sottolineare che il concetto di struttura dell'agire
collettivo non denota semplicemente il bene collettivo o l'azione organizzata, considerando però fondamentali la
natura del bene e il modo. È già stato rilevato come anche le teorie basate sull'appartenenza degli attori ad una
comune identità collettiva vengono costruite sulla nozione di rete sociale. In particolare quella di melucci rileva come
l'argomento olsoniano del freerider costituisca un utile termine di paragone e che le critiche emerse nel dibattito sono
state numerose, ma riassumibili nelle seguenti proposizioni: 1) i networks rappresentano un livello intermedio
fondamentale per comprendere i processi di coinvolgimento individuale nel gruppo; 2) gli attori sociali interagiscono,
si influenzano, negoziano all'interno della rete e da tale interazione originano i quadri cognitivi e motivazionali utili
all'azione; 3)la motivazione a partecipare non può essere valutata come una variabile solo individuale; 4) essa è infatti
costruita È consolidata dall'interazione fra i diversi soggetti coinvolti nell'azione.
Una teoria edificata sulla nozione di identità collettiva è invece quella di pizzorno, che si pone in netta opposizione
critica al caso di freerider. Pizzorno rovescia la logica dell'argomento olsoniano sostenendo l'appartenenza ad una
identità collettiva. Egli rileva che nei fatti sociali la posizione olsoniana non è accettabile, perché presuppone ciò che
va invece dimostrato, e dunque l'identità dell'attore che calcola l'interesse. Secondo pizzorno, quando si fa riferimento
al l'identità collettiva e dunque ad una collettività identificante, se qualcuno tenta di scroccare la corsa, ottenendo i
benefici derivante dall'azione collettiva senza pagare i costi della partecipazione, finisce per rimanere senza
riconoscimento. Egli spiega che sei fine è identificazione collettiva e non ha i benefici singoli, l'azione sarà finalizzata a
se stessa e non avrà un costo.

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