Le origini degli studi sull'azione collettiva vanno ricondotte alla psicologia sociale e più precisamente agli studi sulla folla di Le bon, Sighele, Rossi, nonché agli apporti più generali di Tarde. Tali origini verranno accettate e rielaborate criticamente dagli studiosi della scuola di Chicago che si avvicineranno però ad un approccio esclusivamente sociologico. Appare evidente come l'argomento agire collettivo si presti ad uno scambio continuo tra psicologico e sociologico: soprattutto se si fa riferimento all' analisi di un referente empirico di origine spontanea e non basato su ragionamenti di tipo razionale-strumentale. Come dichiarò lo stesso Park la sociologia è, infatti, necessariamente psicologia sociale. Fu proprio Park a coniare il termine collective behavior e a dare così l'avvio al consistente filone di studi sociologici sull'argomento che fa capo. (Egli faceva parte della scuola di Chicago). All'interno dell'opera introduction to the Science of sociology vi è una delle convinzioni su cui gli studi di Park e della sua scuola sono basati: la sociologia è la scienza dell'azione collettiva. Essa rappresenta, il punto d vista che indaga sui processi di cooperazione degli individui che si costituiscono in società. Le questioni da rilevare sono due: 1) la sostanziale equiparazione del concetto di società a quello di azione collettiva; 2) l'individuazione del social process come meccanismo di funzionamento delle forme di agire collettivo. Come evidenzia Tomasi la società diventa il prodotto dell'interazioni tra gli individui e la sociologia diventa il metodo per studiare i processi attivati data interazioni. La nozione di social process è inglobata nel concetto stesso the collective behavior, poiché essa esprime tutti i cambiamenti possibili nella vita di un gruppo. Il contributo di Park va collocato in quell'approccio di studi all' azione collettiva strutturato in termini di storia naturale. Per delineare la teoria sull’agire collettivo dell'autore è bene partire dalla definizione di collective behavior che mette in rilievo l'importanza della reciprocità fisica: quando gli individui si raggruppano nel più causale dei modi, non importa dove, quali siano le distanze sociali tra loro, per il semplice fatto che essi sono consapevoli della reciproca presenza si avvia un livello di scambio di influenze, e il comportamento che ne deriva è l'insieme sociale e collettivo. Viene evidenziata l'importanza della reciprocità mentale, poiché ogni comportamento sarà sociale e collettivo insieme: sociale nel senso che il corso di pensiero e di azione in ogni individuo è influenzato più o meno dall'azione dell'altro. Collettivo poiché ogni individuo agisce sotto l'influenza di uno stato d'animo o mentale che condivide con gli altri. Dunque, il comportamento collettivo sarà individuato nel comportamento di più persone che agiscono sotto l'influenza di un impulso che possiede caratteristiche di essere comune e collettivo, un impulso che è il risultato di un'interazione sociale. Le diverse forme di comportamento collettivo, come sottolinea Hughes, quali folle, sette, revival, scioperi, boom, pazzie, manie e mode, nel sistema teorico di Park sono considerate forme elementari di interazione sociale. Ogni referente collettivo andrà valutato e tipizzato proprio in base alla forma ed agli effetti dell’interazione. Anche la notizia è parte della comunicazione che permette l'interazione sociale su larga scala; in questo contesto l'opinione pubblica rappresenta il prodotto di tale interazione e la base di nuove forme di agire collettivo. Non bisogna però trascurare il secondo elemento esplicativo che indica la presenza di un fenomeno collettivo: l'impulso, che rende l' agire collettivo e comune e che è input dell'azione. L' impulso è esso stesso creato dall'interazione, intesa come influenza reciproca non solo sulle azioni, ma anche sugli stati mentali dei soggetti coinvolti. Gli oggetti collettivi individuati e definiti da Park si pongono a superamento della originaria classificazione dell'azione collettiva fornita da Le Bon, che considerava come folla qualsiasi tipo di comportamento collettivo. Park però distingue e definisce singolarmente le diverse forme di agire collettivo: rivolte, folla, pubblico, sciopero, sette, istituzioni, movimenti di massa, revival, mode, riforme e rivoluzione. Park ha poi collegato il tema dell'azione collettiva a quella del controllo sociale in modo così serrato che sembra difficile separarli. La nozione di social process si fa in questo contesto più evidente. I due termini, controllo e processo sociale, come rileva Turner sono applicabili allo stesso fenomeno, dove il controllo sociale si riferisce al meccanismo e il comportamento collettivo al processo. gli episodi di azione collettiva vengono considerati, in parte, come elementi dinamici all'interno del sistema sociale: da un lato prodotti della domanda di alcuni settori della società, dall'altro reazione a determinati eventi\condizioni sociali. Nella sua impostazione teorica sono i costumi e l'opinione pubblica che rappresentano le risposte collettive ai mutamenti di determinati stati, e tali risposte sono basate pure sulla natura umana dei soggetti coinvolti, trovandosi completa coerenza con la precedente definizione di collective behavior. Queste risposte sono definite forme di comportamento che scaturiscono direttamente e spontaneamente da innate e istintive reazione degli individui alla situazione sociale. Vanno considerate pure le analisi di Park sulle cosiddette mutazioni societarie collegate, da un lato, allo studio dei movimenti sociali e, dall'altro, ad un campo di analisi più vasto: le guerre e le rivoluzioni come processi collettivi causanti i mutamenti, previsti o non previsti, nella società o meglio, nel settore sociale di riferimento. La teoria implicita di Park sta nel non considerare la società con un semplice insieme di individui, bensì come luogo di azione coordinato, realizzato dai individui e gruppi differenti. Alla base della società non sta infatti il raggruppamento ma la corporate action. I meccanismi impliciti alla corporate action non si esauriscono però nella nozione di reazione alla situazione. Egli rileva infatti un uso improprio di tale concetto, e ne propone la sostituzione con quello di atto che indicherebbe invece la presenza di nuovi adattamenti. Per definire la capacità di accordo di un gruppo e distinguerlo così da una pura aggregazione di individui, egli utilizzerà il concetto di organismo poiché le varie parti del gruppo si costituirebbero in unità. Ma un tale uso del concetto di organismo non ci deve far pensare all' accettazione da parte dell'autore, di una ipotetica esistenza di una entità super organica con il conseguente pericolo di concretizzazione. Park rifiuta infatti tale concretizzazione. Analizzando una possibile concettualizzazione dell'agire collettivo che ponga come centrale il concetto di mente collettiva, rintracciabile pure nelle variazioni di mente della folla o mente pubblica ovvero mente sociale, egli si interroga criticamente su come e dove tale mente sia fisicamente individuabile. Egli giunge ad una conclusione ovvero: ha poca importanza se la mente collettiva sia una fase o un aspetto della coscienza individuale, se questa si interpreta come niente di più di unità e intima interdipendenza che rende possibile agli individui agire in modo concertato e armoniosamente. La capacità di agire collettivamente è infatti apparentemente creata dalla Interpenetrazione delle menti coinvolte nella comunicazione. Park non ignora la problematica relativa e l'ambiguità, nel linguaggio scientifico e popolare, di concetti collettivi quali mente sociale o coscienza sociale. Tale ambiguità viene infatti da lui riconosciuta Nell'aspetto dualistico della società e dei gruppi sociali che operano al suo interno. La società può essere osservata attraverso due prospettive, quella individualista e quella collettivista, che non fanno altro che rilevare il suo doppio aspetto: individuale e collettivo. La società è dunque basata sul consenso alle tradizioni, ai costumi ed agli atteggiamenti sociali: questo costituisce il fine comune dei suoi membri. Park introdusse la nozione di social process sia per dar conto degli aspetti dinamici , e spesso transitori, delle varie forme di agire collettivo osservate ed esaminate, sia perché questo era da lui considerato come meccanismo di funzionamento della società. BLUMER Blumer non reputa il comportamento collettivo come Park, nè patologico né distruttivo, ma piuttosto un comportamento spontaneo che deriva da accordi e tradizioni prestabilite. Anche blumer viene elencato tra gli autori che aderiscono all' approccio in termini di storia naturale, va però evidenziata la sua radicata appartenenza all' interazionismo simbolico. Anche blumer rileva l'impossibilità di considerare la folla una forma unica di azione collettiva, influenzando così parte della sociologia americana. Il concetto di reazione circolare rimane centrale nelle sue prime definizioni di collective behavior. Il comportamento collettivo è infatti da lui definito come: un tipo di Interstimolazione in cui la reazione di ogni individuo riproduce la stimolazione che gli è giunta da un'altro individuo e gliela rimanda rinforzando lo stimolo. Così, tale Interstimolazione assume una forma circolare dove gli Stati emozionali individuali si riflettono a vicenda intensificando gli Stati stessi. La sua definizione di collective behavior non si esaurisce in questo tipo di spiegazione: al concetto di reazione circolare si contrappone si aggiunge quello di interazione interpretativa. Tale nozione può essere considerata come la principale forma di interazione tra gli individui associati. Il concetto di reazione circolare appariva sostitutivo a quello di contagio, Che indicava proprio i modi di contagio di uno stato d'animo nelle forme elementari di azione collettiva ed era strettamente legato all' elemento emozionale all'interno delle relazioni. La nozione di interazione interpretativa si basi invece su una certa razionalità dell'azione e della relazione, riferendosi ad un'interpretazione della situazione da parte dell'attore coinvolto. Blumer spiega che gli esseri umani interagiscono l'uno all'altro, interpretando vicendevolmente le loro azioni osservando i poi agendo sulla base dell'interpretazione. le reazioni non sono immediate alla stimolazione, ma seguono alla interpretazione. Sembrano essere diversi in natura dagli atti di stimolo essendo essenzialmente adattamenti di quegli atti. La concreta differenza tra la reazione circolare e l'interazione interpretativa sta nel fatto che mentre la prima tende a rendere le persone uguali, la seconda tende gradualmente a rendere le persone diverse. I due concetti sembrano inoltre spiegare fenomeni collettivi diversi: il primo le forme elementari di azione collettiva, quali la folla in tutte le sue possibili variazioni, il secondo le forme di vita associativa, ovvero la società. Soggetti e gruppi si definiscono e governano le situazioni mentre costruiscono le proprie azioni. Blumer sottolinea infatti come nella dimensione dell'interazione simbolica l'azione sociale si focalizzi sui soggetti che adattano reciprocamente le proprie strategie di azione attraverso un processo di interpretazione. L'azione collettiva è concettualizzata alla nozione di social process. Le situazioni sono modificate dall' agire degli individui all'interno di una condizione processuale in evoluzione o persistente determinata dall' agire stesso. L'azione è l'essenza della persistenza e del cambiamento sociale. i fenomeni sociali in questo contesto saranno determinati dai processi di emergenza e dunque in una condizione di evoluzione continua e di indeterminatezza. Infine, i fenomeni sociali macroscopici che presentano le caratteristiche di adattamento reciproco delle proprie linee di azione da parte degli individui coinvolti saranno da lui definiti atti collettivi. Il termine comportamento collettivo si riferisce al comportamento di due o più soggetti che agiscono insieme. egli distingue tra piccolo gruppo e comportamento stabilito e culturalmente definito di grandi dimensioni. Egli denota la distinzione tra agire concertato e agire spontaneo e la distinzione tra fenomeni collettivi di piccole e grandi dimensioni. Le folle, i tumulti, il panico, il pubblico di massa rientreranno nei piccoli gruppi, i fenomeni collettivi più ampi saranno e semplificati in pazzie, manie, opinione pubblica, moda punto tale suddivisione sarà classificata a seconda della spontaneità dell'evento. Tale distinzione non è dettata dalla convenienza, bensì dall'esigenza di porre in rilievo quella peculiarità collettiva(collective Factor) che emerge dai fenomeni di grandi dimensioni. Il senso del collettivo supporta, rinforza, influenza, inibisce e\o sopprime il soggetto partecipante, controllandone così l'attività individuale. Il collectives Factor è più forte tra i partecipanti ai fenomeni di grandi dimensioni. Nei piccoli gruppi il soggetto ha infatti il controllo diretto sulle sue azioni, mentre questo non accade nei gruppi di dimensioni estese. Le relazioni saranno dunque immediate, dirette e ristrette a individui specifici in quelli di piccole dimensioni e progressivamente indirette, segmentate e orientate a più vaste categorie di persone nei gruppi di grandi dimensioni. Tali differenze e produrranno delle conseguenze sul processo di interazione e sulle forme di comunicazione. Blumer ha il merito di aver approfondito l'analisi dei movimenti sociali che non era stata indagata sufficientemente da Park. La sua classificazione dei movimenti sociali rappresenta un punto di partenza per gli studi successivi sul l'argomento. Egli insiste, sulla dimensione collettiva e creativa dei movimenti sociali proponendo la loro concettualizzazione basata sul social process. Blumer fornisce una definizione generale di movimento sociale. Il movimento sociale è una impresa collettiva volta costruire un nuovo tipo di vita ed è un fenomeno emergente. Vengono così ribaditi tutti gli aspetti tipici dei fenomeni collettivi: l'emergenza, l'adattamento reciproco nell'impresa, l’evoluzione nella costruzione dell'impresa, l' indeterminatezza di un nuovo tipo di vita. i movimenti sociali possiedono delle caratteristiche comuni, ma si distinguono in tre tipi: generali, specifici e espressivi. Il movimenti generali sono quelli che portano a un mutamento graduale e pervasivo dei valori culturali della società(femministi). quelli specifici possiedono invece un obiettivo ben definito(rivoluzioni) ed è per questo che all'interno la coscienza di gruppo così come l'esistenza di una leadership, sono fondamentali. Centrale è il concetto di esprit de corps che può essere visto come l'organizzazione dei sentimenti per conto del movimento. Esso rinforza d'identità dell'individuo nel gruppo, sviluppa la solidarietà e la stabilità del movimento stesso. Lo spirito di corpo è quel sentimento comune(collectives feeling) che gli dà vigore vitale. Tale sentire comune va distinto però dal morale che fornisce invece al movimento la persistenza e la determinazione perché edificato su un sistema di convinzioni. Infine, in movimenti espressivi(religiosi o mode) sono distribuiti secondo forme di comportamento che cristallizzandosi potrebbero produrre effetti profondi sulla personalità degli individui e sulla qualità dell'ordine sociale. La teoria di blumer sui movimenti sociali potrebbe essere criticata per il suo persistente legame con l'idea di reazione circolare, nonché con l'approccio in termini di storia naturale. Blumer evidenziava come l'oggetto centrale di studio della sociologia fosse l'ordine sociale le sue costituenti(abitudini, regole) mentre il comportamento collettivo avrebbe già guardato lo studio di come tale ordine ha origine e si sviluppa relativamente all'emergenza e dalla realizzazione di nuove forme di azione collettiva. LANG LANG L'interpretazione dei vari tipi di azioni collettiva come processo è centrale anche nella teoria di Lang e Lang. Questa prospettiva di analisi è maturata attraverso lo studio delle forme collettive di tipo elementari quali la folla che è definita fluttuante ed in continuo mutamento. La spiegazione delle dinamiche collettive si articola sulla base di 5 processi: la definizione collettiva, la demoralizzazione o scoraggiamento parziale, la difesa collettiva, la conservazione di massa e la cristallizzazione. Ogni processo rappresenterà una risposta collettiva che origina da un'interazione spontanea norme, valori eccetera. A fondamento delle suddette fasi stanno poi le seguenti convinzioni:1) i fenomeni di azione collettiva appaiono strettamente legati al processo di mutamento sociale;2) la collettività si trova in momenti di crisi e di parziale disequilibrio creati dall'introduzione di elementi nuovi nel sistema sociale;3) ogni cambiamento va dunque considerato in relazione all'ordine sociale;4) di conseguenza, nuove forme collettive emergono quando l'equilibrio tra tendenze distruttive e integrative risulta precario. La sequenza delle dinamiche collettive rappresenta un processo di trasformazione dell'azione sociale che pure attraversando la struttura sociale, non si cristallizza in una struttura indipendente. Tali modelli collettivi saranno sempre di tipo non organizzato. Lang e Lang escludono dalle loro osservazioni empiriche ogni forma di comportamento collettivo organizzato: l'oggetto cognitivo sembra distinguersi per la sua dimensione, ma pure per il tipo di interazione: diretta o indiretta tra i partecipanti all' azione. Vengono così analizzati: da un lato, diceria, panico, folla designati come forme e processi collettivi; dall'altro, comportamento di massa, opinione pubblica moda e movimenti sociali vengono indicati come tipici della società di massa. I Lang individuano l' approccio in termini di storia naturale come dotato di una maggiore completezza. Tale approccio riconosce le caratteristiche sia costruttive che patologiche dell'azione collettiva e pone come centrale la classificazione delle diverse forme collettive non organizzate e la descrizione del loro ciclo di vita punto essi sottolineano come esso elimini le componenti ideologiche dalle nozioni di mentalità collettiva o mente della folla. Infine, il comportamento collettivo per loro possiede una natura camaleontica che va assolutamente valutata al fine di una corrispondenza tra concettualizzazione teorica e referente empirico analizzato. TURNER E KILLIAN I lavori di Turner e killian si rivelano fondamentali. La loro definizione di comportamento collettivo respinge un'ipotesi di irrazionalità ma il loro contributo si distingue da quello degli altri per la forte capacità analitico-descrittiva e per l'introduzione di nuovi elementi regolativi dell'azione che completano e superano le precedenti spiegazioni. Anche Turner e killian sono influenzati dall’interazionismo simbolico e la loro opera tende in alcune sue parti al perfezionamento delle tesi di blumer. La definizione di collective behavior di Turner si evolve attraverso alcune considerazioni. Innanzitutto, egli rileva un'apparente contrasto tra comportamento collettivo e comportamento normale, sociale ed istituzionale, ma evidenza al tempo stesso una condizione di influenza del secondo sul primo. la rilevanza dei temi del controllo sociale, della non predicibilità dell'azione collettiva e della distinzione tra comportamento collettivo e struttura sociale istituzionalizzata conducono l'autore alla considerazione che il ciclo di vita di un gruppo possa essere spiegato come un prodotto del simultaneo può operare di sistema causale istituzionale ed un sistema causale di comportamento collettivo. Ma definire il comportamento collettivo come uno stato del comportamento di un gruppo piuttosto che come ciò che semplicemente accade in determinati tipi di gruppi, richiede un'accurata conoscenza dei suoi processi distintivi. Il comportamento collettivo consisterebbe in quelle forme di comportamento sociale in cui le convenzioni usuali cessano di guidare l'azione sociale e le persone trascendono, superano o sovvertono collettivamente i modelli e le strutture istituzionalmente stabiliti. Tale definizione attiene al campo sociologico e non della psicologia sociale dato che ci stiamo riferendo alle azioni di collettività e non di individui singoli. Essi sottolineano infatti che in quanto gruppo, Una collettività è più di un semplice insieme di individui numerabili. I membri di un gruppo sono infatti in interazione tra loro e tale interazione è permessa dall'esistenza di un senso comune che li fa divenire unità. La emergent norm theory di Turner e killian prende le distanze dalle interpretazioni storiche del collective behavior, la teoria basata sul contagio, e quelle edificate invece sul concetto di convergenza. Le teorie sulla norma emergente danno grande importanza alla questione della definizione della situazione in situazioni inusuali in questi casi la definizione Comune di norma emergente serve a guidare e coordinare il comportamento collettivo fornendo ai partecipanti all'azione significato e interpretazione dell'evento e regole. La teoria sulla norma emergente è di stampo interazionista e si articola intorno a tre temi cardine: la norma emergente, la definizione della situazione ed il keynotig(motivo dominante). Il concetto di definizione della situazione si riferisce all'uso di simboli da parte degli attori per mettere ordine negli accadimenti sociali. Tale definizione è un processo attivo di costruzione della realtà; va dunque distinto il caso in cui la natura della realtà è incerta per l'attore, dal caso in cui la si può dare per scontata. nella prima ipotesi è la ridefinizione della situazione che dando un senso all'evento elimina la confusione diventa attività centrale del comportamento collettivo. Dunque, il concetto di norma sarà definito ad una definizione emergente comprensiva di un vasto insieme di elementi. Tali elementi riguardano la situazione, gli attori coinvolti e le indicazioni per l'opportunità o meno dell'azione, compresi stati d'animo e umori. Infine, il concetto di keynoting, se da un lato, finisce per appiattirsi su quello di norma emergente, dall'altro acquista un suo preciso significato poiché risolve l'incertezza e l'ambivalenza di parte dei soggetti coinvolti Nell'azione collettiva. Così come sostiene Turner il keynoting è rappresentato da quei casi in cui un gesto o una espressione simbolica producono in un gruppo incerto un sentimento cristallizzato e se tale chiave dominante include una delle immagini in competizione, incoraggia altri che sostengono la stessa immagine ad esprimerla. La folla seguendo un approccio basato sulla norma emergente sarà caratterizzata non da all'unanimità ma dalle differenti espressioni, con cui alcune persone manifestano quello che provano, mentre altre non lo fanno. Tale esempio chiarisce il distacco della norma emergente dagli altri due, perché distingue, anziché omologare anche l'azione collettiva. Turner e killian si riferiscono le loro contributi all'agire spontaneo alla diceria, alla folla, al pubblico e, in secondo luogo ai movimenti sociali. I diversi oggetti sono prima esaminati attraverso diverse e precedenti osservazioni empiriche e poi analizzati ed interpretati in base all'approccio della norma emergente. la definizione di movimento sociale di Turner e killian deriva da quella blumeriana, ma che da loro è perfezionata evidenziando l'esistenza di una collettività di individui che agisce con una certa continuità promuovendo il cambiamento, ma nel medesimo tempo, resistendogli. A testimoniare il legame tra mutamento sociale e movimenti collettivi, si ricordi la definizione dello stesso killian secondo cui il movimento sociale rappresenta uno dei modi più rilevanti attraverso cui il cambiamento sociale si manifesta e il cambiamento culturale si produce. infine, pare immutato L'atteggiamento della tarda scuola di Chicago circa l'esistenza aleatoria di una mente collettiva. La questione viene esplicitamente analizzata da Turner e killian. In particolare, ciò che è indicato come fallacia(group mind fallacy) è la tendenza a personificare il gruppo. Un gruppo è, allo stesso tempo, più individui ed una totalità, ma pensare che il gruppo stesso possa agire autonomamente impuntandogli una mente, una coscienza, e addirittura senso di responsabilità e autocontrollo, non appare scientificamente giustificabile. SMELSER La tesi di Smelser definisce il comportamento collettivo come qualcosa di solito e non istituzionalizzato, indicando così l'aspetto più rilevante dei fenomeni collettivi nella rottura con l'ordine precostituito e nella relazione di discontinuità con lo stesso. L'autore tiene ad evidenziare che è il comportamento collettivo non sempre possiede le caratteristiche suddette, poiché dopo un certo periodo potrebbe trasformarsi in un modello stabile o addirittura istituzionalizzato. Dunque la sua proposta di sistemazione dell'oggetto collettivo è individuabile in un continuum, che vede ad un polo il comportamento istituzionalizzato e dall'altro polo il comportamento insolito: tra i due si collocheranno gradatamente i comportamenti collettivi più o meno strutturali. Smelser Ritiene che il campo del comportamento collettivo non è stato in realtà ben delineato, ed è proprio in questo contesto che egli espone la sua logica dei valori aggiunti organizzando le determinanti del comportamento collettivo secondo uno schema che si avvicina concettualmente ai valori aggiunti, così come analizzati in ambito economico. Il comportamento collettivo è definito da Smelser come una mobilitazione sulla base di una credenza che ridefinisce l'azione sociale. La suddetta teoria dei valori aggiunti consta di sei fasi. Le determinanti che si delineano come centrali nel suo pensiero sono la tensione strutturale e la credenza generalizzata. In un primo momento considera la tensione strutturale nel suo intersecarsi con le componenti dell'azione sociale. Tale tensione esemplificata nel panico, crazes ecc viene da lui definita come un allentamento delle relazioni sociali, al quale consegue un loro scorretto funzionamento e una mancanza di equilibrio del sistema. Le tensioni strutturali comportano problemi di destrutturazione dell'azione sociale e delle sue componenti. Esse, inoltre si configurano come cause degli eventi collettivi. I fenomeni collettivi si presentano come non istituzionalizzati orientati normativamente e in accordo con i principali valori condivisi dalla società. Il secondo stadio di analisi lo collega a quello di credenza generalizzata. Smelser descrive questa fase con i seguenti episodi:1) lo sviluppo di una credenza cortocircuito, da parte di una componente molto generalizzata, relativamente al focus della tensione;2) il confluire della stessa credenza in una caratterizzazione formale, ovvero in una mobilitazione non istituzionalizzata all'azione per modificare uno o più tipi di tensione sulla base di una generale ricostruzione di una componente dell'azione. Il concetto di credenza generalizzata viene definito in stretto riferimento agli studi leboniani sulla folla. Tale credenza è quella che prepara i partecipanti all'azione e si basa su condizioni di ambiguità e incertezza contenendo elementi di irrazionalità. E’ Proprio la definizione di credenza generalizzata a ricordare i meccanismi psicologici rilevati dall'approccio leboniano. Se da un lato la determinante tipica della spiegazione del comportamento collettivo in Smelser è la presenza di una data tensione nella struttura sociale che deve essere assolutamente eliminata per ristabilire l'equilibrio nel sistema, dall'altro, i caratteri di rottura e generalizzazione che generano l’azione collettiva, superano i tratti specifici e i controlli dell'azione sociale reale. Il comportamento collettivo viene definito come l'azione dell'impaziente. La dinamica sottesa a tale espressione viene criticata da alberoni. Egli evidenzia come il modello di interpretazione del collective behavior di Smelser consista nel diffondersi di un diverso modo di accostarsi ai fatti sociali che vengono trascesi nella loro concretezza e determinazione contingente. il soggetto considera le condizioni più generali da cui dipendono quelle contingenti. a livello contingente esisterebbe una tensione che andrebbe eliminata al fine di riequilibrare l'ambito disturbato e ti stabilire lo stato efunzionale precedente. Ma l'uomo è impaziente anziché descrivere la tensione nei termini del determinato e del contingente, fa due errori logici: passa a discutere le condizioni generali e, da queste ripiomba nel contingente con concetti assolutamente Generali. come conclude Alberoni, dietro lo schema razionalistico di Smelser sta un profondo e irreparabile irrazionalismo. L'analisi di smelser esamina referenti empirici di diverso tipo: dal panico al craze, dall'ostilità di folla ai movimenti sociali. Tali oggetti collettivi, malgrado la loro diversità vengono analizzati attraverso lo stesso modello di indagine basato sulle 6 fasi: propensione strutturale, tensione, credenze, fattore di precipitazione e mobilitazione. Anche la spiegazione dei movimenti segue lo stesso schema. Ma i movimenti sociali non sono il fulcro delle sue osservazioni. Nella sua teoria smelser ci offre un'unica griglia analitica attraverso cui analizzare qualunque manifestazione di tipo collettivo. Smelser propose una distinzione tra esplosioni collettivi e movimenti collettivi, ma Poi ritornò al più generico comportamento collettivo. A tal proposito citiamo melucci che, interrogandosi sulla possibilità di individuare una serie di criteri analitici che consentano la formulazione di distinzione all'interno della categoria del comportamento collettivo, constata proprio come smelser rilevi di fatto una omogeneità di significato tra le diverse forme collettive. Ciò che cambia è esclusivamente il livello di generalità delle componenti dell'azione investite e ristrutturate dal comportamento collettivo. La credenza generalizzata rimane così il concetto esplicativo e comprendente di ogni dinamica collettiva. Non è possibile equiparare lo stato nascente al concetto di tensione strutturale smelseriana, benché i due modelli individuino similmente un momento di discontinuità e uno seguente di ricostruzione di un nuovo ordine sociale e istituzionale. La prima spiegazione, quella smelseriana, ha l'obiettivo finale di una ricomposizione omeostatica dell'equilibrio del sistema sociale intaccato dai disequilibri provocati dalle manifestazioni collettive. La stessa intenzionalità non è individuabile nella concettualizzazione di Alberoni più impegnato a cogliere sia il momento di effervescenza e di rinnovamento creativo che la sua utilità per le nuove istituzioni che ne origineranno. Lo statu nascenti, il momento di discontinuità, non rappresenta una condizione disfunzionale del sistema, bensì un momento di creazione di un nuovo stato in cui ogni soggetto troverà solidarietà e riconoscimento della sua appartenenza. ALBERONI Alberoni è il primo autore italiano ad affrontare l’argomento “azione collettiva”. La sua analisi prende le mosse da una critica dettagliata delle teorie precedentemente esaminate (scuola di chicago e Smelser) per delineare una sua propria teoria che è edificata sul concetto di statu nascenti. Egli fa una classificazione degli eventi collettivi che distingue tra fenomeni collettivi di aggregato e fenomeni collettivi di gruppo. I fenomeni collettivi di aggregato, esemplificati nel panico, nella moda o nel boom speculativo, sono accomunate dal fatto che ogni soggetto coinvolto, pur adottando una linea di comportamento uguale a quella degli altri, agisce in realtà per sé, per sé solo. Tali soggetti non costituiscono una formazione collettiva indipendente. L'inesistenza di un noi implica una non territorialità del fenomeno stesso. nei fenomeni collettivi di gruppo si sviluppa, invece, un processo che genera una modificazione delle interazioni tra individui partecipanti e della loro solidarietà: esiste la consapevolezza (noi collettivo) di essere una collettività riconosciuta sia dall'esterno che dai suoi stessi membri. Come evidenzia l'autore nei movimenti collettivi i soggetti si fondono in modo spontaneo per produrre un noi. E il noi è sentito da ogni individuo infinitamente superiore ad ogni membro del movimento. I fenomeni collettivi di gruppo sono da Alberoni esemplificati numerosi casi: l'innamoramento tra due persone, la setta religiosa, i movimenti collettivi originari delle grandi religioni, le rivoluzioni, il movimento studentesco. Dunque se una prima linea di demarcazione si è sviluppata attraverso la differenziazione da fenomeni collettivi e fenomeni istituzionali, una seconda linea distintiva viene sottolineata nell'esistenza o meno, all'interno dei due gruppi di fenomeni (di aggregato e di gruppo) della componente della solidarietà. Tale componente può essere identificata nel riconoscimento, reciproco ed dall'esterno, degli attori coinvolti in un dato fenomeno collettivo. La classificazione fornita da Alberoni va però mantenuta ad un livello rigorosamente analitico. la presenza o assenza di determinati requisiti analitici, quali la solidarietà, la divisibilità, l'orientamento esterno o interno, è l'unico presupposto che consente di inserire gli oggetti empirici concreti nel una o nell'altra categoria della classificazione proposta da Alberoni. tale teoria presenta la difficoltà di distinguere tra fenomeni che non sembra si possano mettere sullo stesso piano quali panico ed emigrazione, che sono considerati tutti fenomeni di aggregato, e innamoramento, incontro, amicizia e rivoluzione che sono considerati tutti fenomeni di gruppo. Sempre evidenziato solo l'evento causale del fenomeno, che richiederebbe però ulteriori distinzioni trasversali alle due classi, distinzioni che sembrano concretizzarsi in movimento e istituzione, e più esattamente nelle indagini sulle condizioni strutturali allo statu nascenti. lo stato nascente in sociologia rappresenta quello stato di transizione che si manifesta quando scompare la spinta alla solidarietà sociale. Lo statu nascenti è da lui definito in relazione a ciò che egli chiama l'altro stato del sociale, quello istituzionale e della vita quotidiana: lo stato nascente rappresenta un momento di discontinuità sia sotto l'aspetto istituzionale, sia sotto l'aspetto della vita quotidiana. In termini Generali possiamo dire che lo stato nascente compare come una risposta ricostruttiva di una parte del sistema sociale. Esso, creando una solidarietà alternativa, unisce protagonisti in precedenza separati e si contrappone all'ordine esistente. Al centro dello stato nascente vi è un'esperienza fondamentale. nello stato nascente collettivo un individuo si realizza e si completa. Ma lo stato nascente è rappresentativo pure di un processo di mutamento ovvero è un momento di discontinuità con l'ordine sociale precostituito. Un interessante approfondimento ci viene da Bonolis . Egli rileva che nella teoria dei movimenti collettivi di Alberoni l'evento straordinario si rapporta proprio ad una condizione di invarianza insistendo così sulla nozione di discontinuità per la spiegazione dell'evento collettivo. Questo comporta una indeterminatezza nel destino dell'evento straordinario che potrebbe estinguersi oppure istituzionalizzarsi. l'istituzionalizzazione di un movimento collettivo rappresenta la sua trasformazione in quotidianità, dunque il suo successo nel tentativo di incidere sulla realtà sociale alla quale esso si era precedentemente opposto. La realtà viene così ricostruita mutata e il paradosso sta nel fatto che tale processo ha origine proprio dall'esigenza di prolungare lo stato nascente. lo stato nascente appartiene esclusivamente i fenomeni collettivi di gruppo dove è presente un'interazione stabile tra i membri e dove è possibile il verificarsi sia della solidarietà che dell'esperienza fondamentale. Tale esperienza viene considerata carattere distintivo dello stato nascente: si attiva quando determinate condizioni strutturali giungono ad un livello di soglia e si viene ad alterare la base della solidarietà. Secondo MeLucci tale stato indica per i fenomeni di gruppo lo stesso livello analitico che la credenza generalizzata di smelser individua per i fenomeni di aggregato. Se individuiamo dunque gli effetti a livello psicologico dell'emergere di uno stato nascente, si potrà osservare, di conseguenza, una ristrutturazione del sistema dei bisogni individuali insieme alle tensioni che percorrono l'esperienza fondamentale. lo stato nascente rappresenterà così un’operazione di sintesi, terminata la quale, esso avrà fine e si entrerà in un nuovo stato. Si creerà dunque uno stato interno al gruppo, una condizione di appartenenza e di riconoscimento dei membri che si oppone ad uno stato esterno a quale il gruppo si rivolge solo allo scopo di convertire i non appartenenti. Per Alberoni il movimento sociale è quel processo storico che ha inizio con lo stato nascente e che termina con la ricostituzione del movimento Quotidiano istituzionale. Sono i movimenti sociali che hanno creato l'interesse per la storia e nello stato nascente ha sede il processo di storicizzazione, poiché è esso stesso un processo di rinnovamento creativo. La sua analisi dei movimenti storici è tesa ad individuare gli indicatori empirici del movimento ovvero gli elementi di identificazione dell'Unità di movimento. Tali elementi sono cinque, ma particolare riguardo va al soggetto storico. Il soggetto storico è identificato da Alberoni dei partecipanti all'azione collettiva, e dunque i membri di quelle classi sociali, etnie o agglomerati culturali che sono coinvolti episodicamente nell'azione; diversamente da Touraine che reifica il concetto di soggetto storico, non riuscendo talvolta a sottolineare il materiale umano da cui è costituito. È rilevata infine da Alberoni un'alternanza tra movimenti collettivi portatore di mutamento e spontaneità creativa e movimenti collettivi che sono fondati su una stabilità istituzionale. I presupposti prestrutturali alla nascita dello statu nascenti sono focalizzati dall'autore nello squilibrio tra sviluppo delle forze di produzione e forme di mediazione istituzionale, mentre i requisiti psicologici sono individuati nella condizione di sovraccarico depressivo sofferta dei soggetti sociali a causa delle frustrazioni provocate dalle istituzioni. L'ipotesi e di Alberoni viene definita come un tentativo di spiegazione delle ragioni del processo di alternanza tra momenti in cui predomina la dimensione istituzionale e momenti invece in cui predominano i movimenti spontaneistici. Le condizioni strutturali e psicologiche prima individuate non sembrano spiegare le ragioni profonde proprio dell'origine di tali condizioni. A seconda del tipo di condizioni, o alla struttura lipidica dei soggetti, o all'evoluzione dialettica della vita come alternanza tra momenti di discontinuità/stabilità e momenti di mutamento/discontinuità. egli sostiene che se il modello teorico in sociologia può assolvere alla sua funzione anche senza approfondire più di tanto le dimensioni originali dei fenomeni osservati, ciò comporta sempre un limite della capacità esplicativa e Critica della teoria. Il tema dello statu nascenti è dominante in tutti i modelli interpretativi di Alberoni. Lo statu nascenti appare uno strumento adeguato per la spiegazione delle origini dei movimenti sociali. RATIONAL CHOICE THEORY: COLEMAN La Rational Choice Theory è basata sugli assunti della corrente utilitarista classica e utilizza per le sue strutture esplicative il modello tipico della teoria dei giochi. Come osserva Ritzer la teoria della scelta razionale pone come centrali alle sue argomentazioni gli attori sociali. Essi sono propostivi e intenzionali: possiedono fini o scopi che guidano le loro azioni ed hanno inoltre delle preferenze proprie. Alla RCT non interessa in realtà definire tali preferenze, ma è essenziale che le azioni siano intraprese con la finalità di raggiungere gli obiettivi prefissati e che tali obiettivi siano coerenti con la gerarchia delle preferenze dell’attore. Sono due le limitazioni all'azione che la RCT considera: la scarsità delle risorse, e di conseguenza l'accesso differenziato di ogni attore ad esse; e i costi di opportunità. Ed è proprio valutando questi costi che l'attore decide se è conveniente intraprendere o no l'azione. La RCT come evidenzia Elster fa riferimento a tre elementi nelle situazioni di scelta: 1) l'insieme realizzabile di tutte le possibilità d'azione; 2) Un insieme di credenze irrazionali circa la struttura causale della situazione; 3) una graduatoria soggettiva delle possibili alternative dei possibili risultati ai quali tali alternative conducono. agire razionalmente, significherà dunque scegliere l'elemento posizionato più in alto nell' insieme possibile. I suddetti elementi, possono poi essere analizzati secondo due dimensioni: la scelta in condizioni di incertezza e la scelta strategica. La struttura della spiegazione del RCT è basata sull' intenzionalità, proponendosi di chiarire a più livelli la relazione tra comportamenti, informazione e desideri degli attori individuali. Egli evidenzia però che dagli studiosi di scienze sociali vengono considerate solo le condizioni ottimali sotto la veste di buone ragioni degli attori coinvolti nell'azione. L'obiettivo finale della spiegazione non dovrebbe essere una interpretazione dell'agire individuale, ma del comportamento collettivo di un gran numero di persone che si trovano in simili circostanze contestuali. Elster sottolinea come la teoria dei giochi implichi una spiegazione scientifica mi sta, poiché fornisce una comprensione intenzionale delle azioni individuali e una spiegazione causale della loro interazione. Gli individui coinvolti in tale interazione agiranno non secondo una razionalità parametrica ovvero una persona considera se stessa come una variabile e tutti gli altri come costanti, ma proprio secondo una razionalità strategica ovvero tutti considerano tutti gli altri come variabili punto la RCT è divenuta una delle teorie più rilevanti grazie agli sforzi di Coleman. Il suo approccio implicherebbe un superamento del dibattito micro-macro proprio attraverso un'interpretazione formale-matematica a livello micro finalizzata però a spiegare i macrofenomeni. Coleman condivide con gli economisti un'impostazione utilitaristica dove attori e risorse sono gli elementi centrali. Egli rifiuta la possibilità di un obiettiva misurazione dell'utilità interpersonale: le preferenze individuali ai livelli di utilità sarebbero infatti generati dai tipi di comparazione che crescono all'interno dei sistemi sociali basati su una ineguale distribuzione di potere gli scambi secondo Coleman non generano equilibrio tra gli attori individuali, ma piuttosto concentrazioni di potere. Gli scambi non si realizzano solo tra soggetti individuali, ma anche tra sistemi sociali e politici. In questo senso sia nelle analisi di Coleman un superamento della versione classica della RCT, sia perché considera un livello macro, ma soprattutto perché, fornendo una teoria basata sulle transizioni micro macro micro, Coleman constata una interdipendenza tra i due livelli. Sono proprio le interazioni tra attorie e tra attori e sistema sociale il punto strategico delle sue analisi. I tipi di attori a cui l'autore fa riferimento sono due: fisici e corporate, con una netta predilezione per i secondi punto ed i tipi di interazioni che si possono attivare sono tre: 1) interazione tra attori individuali; 2) interazione tra attore individuale e corporate actor; 3) interazione tra corporate actors. i fenomeni collettivi sono da lui interpretati attraverso un modello di formalizzazione matematica tipico della teoria dei giochi in comparazione alle precedenti spiegazioni della sociologia americana. Tali fenomeni possono essere raggruppati Grazie ai seguenti comuni elementi: essi coinvolgono un numero di persone che portano a termine, nello stesso spazio di tempo, azione uguali o simili. Il comportamento manifesto è in continuo mutamento, non si trova in uno stato di equilibrio. Esiste un certo tipo di dipendenza tra le azioni, i soggetti individuali non agiscono indipendentemente. Le azioni individuali su cui sono basate le relazioni di fiducia, funzionano secondo un trasferimento unilaterale di controllo sulle azioni, evidenziando così la dinamica fondamentale nel comportamento collettivo. Egli si propone di spiegare infatti come tale trasferimento si realizzi e si sviluppi tra gli attori sociali coinvolti nelle varie forme di collective behavior, da lui considerate macrofenomeni. Ad un livello micro ogni attore ha controllo sull'evento attraverso le sue stesse azioni, ma a livello macro tale condizione muta attraverso il trasferimento da parte dell'attore del controllo delle proprie azioni e ad altri. Coleman segnala dunque la possibilità di predire il macro. Egli osserva che un tumulto può essere spiegato attraverso le nozioni di contagio sociale, reazione circolare o divulgazione attraverso la folla, Ma che può essere in egual modo spiegato e compreso attraverso la dinamica del trasferimento del controllo delle proprie azioni da parte di alcuni attori a quelli di altri, per cui in una effettiva situazione di tumulto, alcuni si troverebbero ad attendere le decisioni di coloro a cui hanno trasferito il potere prima di agire. Il vantaggio di questo tipo di interpretazione sta nel fatto che si basa su un altro razionale da parte dell'attore sociale, piuttosto che di una reazione ad uno stimolo, e che dunque può condurre ad una predizione del comportamento collettivo. Egli si propone infatti di comprendere il macro attraverso il micro e evidenzia proprio come osservando l'agire dal punto di vista dell'attore, è possibile prevedere anche la potenzialità di un gruppo di dar luogo a forme estreme di comportamento collettivo come il panico il tumulto. Questo dipenderà dall'equilibrio tra le porzioni di individui che hanno trasferito il controllo delle loro azioni ad altri, e quelli invece che non lo hanno fatto. Ma dipenderà anche da quale tipo di azioni sono state trasferite al controllo altrui dai componenti. Coleman distingue tra collective behavior e azione organizzata. I diversi referenti empirici vengono specificati: le spiegazioni dei comportamenti collettivi quali pubblico, tumulto, folla o panico vengono distinti da quelli delle organizzazioni istituzioni. Ma la descrizione del collective behavior rimane comunque basata sulla teoria dei giochi che si configura come struttura esplicativa della RCT. Elemento centrale del suo impianto sociologico è infatti il corporate actor. Esso è un sistema di azione collettiva costruito sulla depersonalizzazione degli attori fisici. Il corporate actor appare in questo contesto come strutturato sulla base di posizione di uffici e non di persone fisiche, le persone fisiche occupano infatti tali posizioni e transitoriamente. Un corporate actor si basa sulla transazione delle azioni degli agenti individuali verso l'organizzazione centrale, anche se ogni attore individuale occuperà una posizione all'interno di tale struttura. Tali attori contribuiscono all'attività globale, ma non sono però indipendenti da essa; neanche le posizioni da loro occupate sono vitali. La posizione ha infatti una sua propria esistenza nella struttura, aldilà dell' attore fisico. Il corporate actor nasce però dal consenso individuale alle norme: è la persona fisica e non il cosiddetto corporate actor che da legittimazione alle norme. La distinzione tra persona fisica e corporate actor è nettamente tracciata dall'autore. Va però precisato che le azioni di incentivazione o di persuasione alla partecipazione ad un azione collettiva non siano però rivolti al corporate actor come entità collettiva, Ma alle persone fisiche che lo compongono. Coleman prevede una responsabilità dell'attore collettivo entro la quale ogni persona fisica ha però un suo ruolo. La concezione di che cosa sia un comportamento responsabile per la persona fisica è comunque variabile e dipende da una serie di circostanze talvolta costrittive, di conseguenza: se l'entità corporate sono considerate come attori unitari, è ragionevole usare i processi sociali come contesto per interrogarsi circa analoghi processi che coinvolgono invece i corporate actor. L'accezione positiva della figura del corporate actor traspare da tutti gli scritti di Coleman: tutto ciò che è essenziale nella società è realizzato da tali entità punto il moderno corporate actor è un'invenzione sociale. Come rileva Stinchcombe l'autore avrebbe in realtà trascurato l'analisi di ciò che taglia attori non eseguono nel migliore dei modi o addirittura non fanno del tutto. In particolare sembra essere totalmente ignorato dalla moderna società la riproduzione o la socializzazione dell'infanzia, o ancora la necessità di creare un ambiente umano. vogliamo però ricordare nuovamente come tale modello sia una costruzione concettuale tesa spiegare l'agire collettivo organizzato attraverso il corporate actor, senza per questo voler negare l'essenza dell'uomo e le sue relazioni affettive. Alexander però evidenzia una condizione di schiavitù degli attori sociali alle strutture connaturata al meccanismo del trasferimento di Coleman. Esso dovrebbe trovarsi invece sotto il controllo, almeno parziale, degli attori individuali. Le critiche che si rivolgono la figura del corporate actor di Coleman sono molteplici. Stinchcombe evidenzia un problema circa la relazione noi-io all'interno di tale forma. Non è sempre vero che le unità sociali a cui la persona attribuisce le proprie intenzioni sia uno considerabili un individuo fisico naturale, così come non è garantito che nel corporate actor le volontà individuali sia uno sempre concatenate punto la questione riguarderebbe invece l'incontro tra più persone che esprimono la stessa motivazione in un azione collettiva; e questa è una carenza tipica non solo della teoria di Coleman, ma della RCT in economia. Ad osservare i criticamente la relazione tra indipendenza individuale struttura sociale è invece Alexander. Egli sostiene che Coleman tratta la questione in termini individualistici, proponendosi di sviluppare una teoria che mantenga l'autonomia dell'individuo concettualizzato nello stesso tempo una struttura collettiva. Questo significherebbe tecnicamente una indipendenza strutturata dove ogni attore assume che l'azione degli altri sia indipendente dalla propria e dunque non si spiegherebbe l'origine della struttura. Coleman assume che gli attori sociali sono organizzati collettivamente, che la struttura sia il prodotto della transazione del controllo sulle proprie azioni da parte di alcuni di essi ad altri attori, e che tale controllo sia ceduto da ogni attore per motivi razionali, cioè per soddisfare i propri interessi. Ma Alexander replica che non tutti gli atti possono essere gestiti in questo modo, l'ordine sociale comporterebbe una diminuzione del controllo sulle proprie azioni e sugli interessi personali, e dunque Coleman dovrebbe rinunciare alla presunzione di una razionalità dell'individuo nella transazione. SIMON Il concetto di bounded rationality, che fu cognato da Simon e sta alle origini dell'analisi sulla razionalità limitata, esprime proprio forte la perplessità sulla capacità dell'individuo di essere razionale punto questa teoria trovò per la prima volta applicazione negli studi sulle organizzazioni formali:le analisi sul comportamento amministrativo e sulle organizzazioni. Alla base della teoria sulla razionalità limitata sta l'assunto secondo cui è impossibile massimizzare, ma è razionale soddisfare. Come evidenziano crozier e friedberg l'uomo è un animale che cerca non l'ottimizzazione Ma la soddisfazione. La bounded rationality rappresenta dunque una alternativa alla RCT promuovendo un concetto di razionalità diverso è innovativo. Simon distingue infatti tra razionalità sostanziale, tipica delle scienze economiche, e razionalità procedurale, poiché nelle altre scienze sociali la razionalità è considerata per i processi di cui si avvale, piuttosto che per le scelte che produce. il comportamento razionale in senso sostanziale sarà relativo alla sua adeguatezza per il raggiungimento di un risultato nei limiti imposti dall' ambiente. L'agente è il titolare dell'azione perché rende espliciti i suoi obiettivi e il suo comportamento sarà completamente determinato dalle caratteristiche dell'ambiente in cui si svolge. Il comportamento razionale in senso procedurale riguarderà invece il risultato di un ragionamento corretto, si dirà dunque razionale in riferimento al processo che lo ha generato. Lo stesso sarà invece definito irrazionale in psicologia se rappresenterà una risposta impulsiva a meccanismi emotivi senza un adeguato intervento del pensiero. Simon indica la razionalità come la selezione delle alternative di comportamento preferite il rapporto ad un sistema di valori in base al quale sia possibile valutare le conseguenze del comportamento. Queste categorie concettuali si concretano nella figura tipica dell'uomo amministrativo, la cui principale caratteristica è l'incapacità di raggiungere una razionalità assoluta e oggettiva che sia in grado di indicare la soluzione migliore per ogni problema e la via più adatta per giungere a tale risoluzione. La conoscenza del soggetto circa le condizioni dell'azione o leggi di previsione sulle conseguenze future è infatti approssimativa punto il contesto di razionalità e infatti limitato e contingente. L'uomo amministrativo, decide risolve i problemi seguendo i propri interessi, anche se non sa sempre esattamente quali essi siano: conosci solo alcune tra le alternative possibili, si potrà dunque accontentare solo di una soluzione adeguata e soddisfacente e non massimizzante. L'uomo economico invece è spinto dall'interesse egoistico ed è perfettamente informato su tutte le alternative possibili. Egli possiede una razionalità di tipo aziendale. Egli cerca di liberarsi dalle situazioni di incertezza attraverso un controllo sia dell'ambiente interno che di quello esterno. La razionalità sarà dunque limitata quando la complessità dell'ambiente risulterà smisuratamente più grande rispetto alle capacità computazionali dell'individuo ti avrà la possibilità di trovare una soluzione soddisfacente ma non ottimale. Quello che sottolinea Simon sono proprio le limitazioni dei soggetti nel trattare le informazioni. E dunque seguendo questo ragionamento che si giunge alla conclusione di crozier e friedberg secondo cui: l'essere umano è incapace di ottimizzare. La sua libertà e il suo grado di informazione sono troppo limitati perché possa farlo. In un contesto di razionalità limitata,decide in modo sequenziale sceglie per ogni problema da risolvere La prima soluzione che corrisponde per lui ad una soglia minimale di soddisfazione. CROZIER E FRIEDBERG La centralità del concetto di gioco per la comprensione delle organizzazioni non obbliga, secondo Crozier e friedberg ad una sua formalizzazione secondo l'approccio della teoria dei giochi. Nello studio di tale forma di agire collettivo viene dato invece risalto alla relativizzazione del ruolo delle intenzioni e del calcolo nei comportamenti umani. Gli autori rilevano come gli individui possiedano raramente preferenze obiettivi chiari, e come non abbiano, sempre il tempo di calcolare la loro condotto in funzione delle preferenze. E si sono solitamente spinti ad agire velocemente; sarebbe dunque ingannevole esaminare i comportamenti umani come dettati a tutti i costi da ragionamento. Appare invece adeguato osservare tale comportamento come attivo, cioè come una scelta effettuata in un contesto di opportunità e vincoli. Fredberg propone un'interpretazione più ampie del concetto di razionalità. Se tutte le condotte umane potessero essere analizzate si potrebbe fondare un utilitarismo metodologico. Questa metodologia si implicherebbe allo studio delle organizzazioni e dell'azione organizzata seguendo un'ipotesi di razionalità utilitaria o strategica dei comportamenti punto l'obiettivo del ricercatore sarà quello di scoprire attraverso gli scarti di tale razionalità, quali sono gli elementi che strutturano il campo sociale, vale a dire le regole del gioco in cui gli individui sono coinvolti. Il funzionamento delle organizzazioni non è analizzato dagli autori come un prodotto dell'adattamento dei componenti alle procedure e ai ruoli previsti, bensì come il risultato di un insieme di Giochi ai quali differenti membri dell'organizzazione partecipano. La posta in gioco è definita da una serie di regole che indicano pure un insieme di comportamenti razionali, o meglio adeguarsi al raggiungimento della posta, delimitando così il contesto dell'azione. In questa prospettiva il gioco è molto più di una metafora. Esso è quel procedimento concreto che consente di strutturare l'azione collettiva conciliando libertà e costrizione. L'assunto prioritario è la libertà del giocatore. Egli ha però l'obbligo di rispettare alcune regole. Il giocatore dovrà accettare le costrizioni che tale natura impone per vincere punto il fenomeno sociologico dell'integrazione dei comportamenti non verrà analizzato come una conseguenza diretta dell'apprendimento di un insieme di comportamenti che ogni attore metti in atto in una situazione di interdipendenza con gli altri attori. Ma tale fenomeno sarà osservato come risultato indiretto del condizionamento fondamentale che impone ad ogni partecipante all'azione di considerare le esigenze e le regole del gioco organizzativo ed a contribuire all'attuazione degli obiettivi comuni. Friedberg non vuole negare l'esistenza di processi di socializzazione, ma evidenziare come taglie processi e non siano affatto essenziali al buon funzionamento del gioco. Le strategie possibili tra cui partecipanti possono e devono scegliere sono numerose, dunque il gioco resta aperto e il suo proseguimento dipende proprio dalla stabilità dell'equilibrio tra queste due scelte. La nozione di gioco è interessante e vantaggiosa terzo sottolineare il carattere condizionato è prestrutturato dell'azione organizzata. Attraverso il gioco si evidenzia la conservazione del carattere socialmente costruito delle strutture sociali. Evidenziando pure che, se da un lato, le caratteristiche di tali strutture guidano le scelte degli individui, dall'altro, sono queste stesse scelte che condizionano il persistere o il mutare delle cosiddette proprietà strutturali. L'azione collettiva viene dunque interpretata da Crozier e friedberg come costrutto sociale. Le suddette strutture sociali non decidono i comportamenti degli attori, la loro azione è indiretta e non deterministica. Esse danno luogo a giochi strutturati. La strutturazione dei giochi è complessa e prevede una libertà di scelta individuale. Con le sue scelte e la sua attività ogni attore contribuirà volens nolens agli obiettivi del gruppo. BOUDON gli studi sulla razionalità limitata di Simon vanno considerati pure un input alle teorie considerate quali correttivi alla scelta razionale che si esplicitano nelle proposte di Boudon e di Elster. La spiegazione che boudon fornisce dell'agire collettivo è basata su una peculiare interpretazione della nozione di razionalità limitata che si costruisce su modelli tipici della teoria dei giochi. In questo contesto sono esemplificati da boudon diversi referenti collettivi: dalle istituzioni scolastiche all'opinione pubblica; ma vengono considerate le situazioni di interdipendenza in episodi di vita quotidiana, ed infine i movimenti sociali. La teoria della razionalità cognitiva (che consiste nel considerare tutti i fenomeni sociali come il risultato di azioni, atteggiamenti e credenze e in generale di comportamenti individuali) è basata sul concetto di buone ragioni. Lo strumento delle buone ragioni è fondamentale nel modello razionale. Tale schema esplicativo si edifica sul seguente principio fondamentale: per spiegare il comportamento, gli atteggiamenti o le credenze della storia sociale bisogna dimostrare che, date le sue passate esperienze, le sue risorse e l'ambiente circostante, e gli ha buone ragioni per adottare quel comportamento, atteggiamento o credenza. Ma le buone ragioni non sono solo di tipo utilitaristico. Tale puntualizzazione si colloca in netta opposizione con i dettami della RCT, modello a cui Boudon rivolge tre osservazioni critiche. La sua prima considerazione critica sta nella constatazione che alcuni fenomeni sociali vanno analizzati, al fine della loro comprensione, rispondendo alla domanda in ragione di cosa e non in vista di che cosa, contestando così la posizione utilitaristica del rational choice model. la seconda osservazione va individuata nell'impossibilità di assumere una validità generale della concezione utilitaristica. la terza considerazione evidenzia che il modello della scelta razionale considera preferenze e gusti come dati ed è dunque indifferente riguardo alla loro razionalità. La razionalità cognitiva va differenziata dalla teoria classica della bounded rationality di Simon. Boudon pone il principio di razionalità cognitiva come un perfezionamento del concetto di razionalità soggettiva su cui la bounded rationality sì edifica. In queste situazioni dove le condizioni di scelta risultano essere complesse, la spiegazione basata sul concetto di razionalità cognitiva appare più adeguata rispetto a quella basata sul concetto di razionalità soggettiva. Per risolvere le situazioni complesse il soggetto fa riferimento ad ogni possibile a priori al fine di dare un senso alla situazione. E poiché spesso la distinzione tra mezzi e Fini È sfuggente, si potrebbero verificare due tipi di problemi: 1)l'incompatibilità degli a priori mobilitati con la situazione specifica e, 2)qualora tali a priori portino a una non soluzione questo non significherà che l'attore è irrazionale, Ma che i suoi atti dovranno essere spiegati facendo ricorso ai principi della razionalità cognitiva punto la definizione di razionalità soggettiva/cognitiva è così formulata dall'autore:si può parlare di razionalità soggettiva quando il soggetto ha buone ragioni per fare ciò che fa nel quadro delle disposizioni e delle possibilità che gli sono proprie, anche se ci sono altri modi più efficaci di farlo punto A condizione tuttavia di poter ammettere che il soggetto aveva anche buone ragioni per non rimettere in discussione le sue disposizioni. Dato un modello di razionalità cognitiva, boh osservato come questo viene applicato alle sue analisi sull'azione collettiva. Boudon sottolinea come: 1)una volta identificati gli attori o le categorie di attori che si suppone siano responsabili del fenomeno collettivo che si cerca di spiegare, 2)si tratterà di comprendere il loro comportamento di spiegare come questi comportamenti individuali producono il fenomeno macroscopico. Infine 3)saranno esaminati gli effetti macroscopici prodotti dalla composizione o dalla aggregazione dei comportamenti individuali. Tali effetti comportano dei problemi poiché se, da un lato, in molti casi essi assumono la forma semplice della sommatoria, dall'altro, possono generare degli effetti sui generis, di cui un caso particolare sono gli effetti indesiderabili, detti pure perversi. Gli effetti perversi comportano diverse interpretazioni che vanno dalla nozione di effetto inatteso a quello di effetto non voluto. Si hanno effetti perversi quando due individui o più, alla ricerca di un dato obiettivo, generano uno stato di cose non voluto, che può essere indesiderabile sia dal punto di vista di ciascuno dei due individui, sia di uno solo dei due. Lo stesso aggettivo per verso carica il concetto di negatività. Per evitare tale negatività, Boudon ritiene sia preferibile utilizzare una espressione più neutra e dunque parlare di effetti di composizione, gli effetti emergenti, gli effetti di aggregazione, o di effetti di sistema. Boudon distingue inoltre tra effetti di composizioni semplici e complessi. I primi assumono la forma di effetti sommati: essendo tutti nella stessa situazione, tutti si comportano o tendono a comportarsi nella stessa maniera, e ne risulta un effetto aggregato, mentre i secondi potranno essere ricondotti a quelle forme di aggregazione studiate dalla teoria dei giochi, così come nel paradosso di Olson. gli effetti perversi non si spiegano con l'irrazionalità degli attori, ma al contrario con la loro prudenza, poiché questo effetto indesiderabile risulta dall'aggregazione di comportamenti razionali. Boudon interpreta ogni fenomeno sociale come il risultato dell'aggregazione delle azioni dei singoli agenti. una volta comprese le azioni individuali, analizza gli effetti prodotti da tale aggregazione al fine di spiegare come reagire individuale da vita al macro fenomeno in oggetto. La razionalità con gli va permette la comprensione delle azioni dei singoli. La nozione di effetti di aggregazione consente invece di spiegare gli eventi macrosociali focalizzando i diversi tipi di relazione tra le preferenze degli individui singoli e gli effetti collettivi inintenzionali generati dalla composizione delle loro azioni. Il paradigma dell' aggregazione è scelto da Boudon come ponte tra livello micro e livello macro, Poiché permette di spiegare la relazione tra azioni individuali e fenomeni collettivi da esse prodotti. La definizione di effetto di aggregazione è la seguente: se un insieme di individui compie un'azione m, ne deriva un effetto di aggregazione M. Boudon studiava i comportamenti collettivi attraverso lo schema della teoria dei giochi.egli analizzava i fallimenti delle istituzioni scolastiche come prodotto di un insieme di decisioni individuali interdipendenti strutturate in azioni collettive. Tali decisioni costruite secondo il modello tipico della teoria dei giochi, del dilemma del prigioniero, davano luogo alla cosiddetta trappola collettiva, che conduceva a risultati inattesi. I sistemi di interdipendenza sono centrali nella spiegazione di Boudon e sono spesso contraddistinti dal fatto che le azioni compiute dai soggetti generano fenomeni collettivi opposti rispetto a quanto voluto dagli attori interagenti punto egli esemplifica diversi casi di effetto emergente, ad esempio il caso in cui i mutamenti individuali vengono analizzati a livello collettivo (effetto di neutralizzazione). ELSTER Elster fornisce una spiegazione dell’agire collettivo basata su un ipotesi di razionalità limitata. I referenti empirici da lui esemplificati sono molteplici: da fenomeni di piccole dimensioni come una parata, si passa sennò me li più grandi come sindacati, grandi organizzazioni. L'azione concertata e individuata da elster come aspetto fondamentale della razionalità collettiva, da cui egli fornisce due versioni: quella politica e quella economica punto la sua definizione generale di agire collettivo è la seguente:supponiamo che ciascun membro di un gruppo possa scegliere tra impegnarsi in una certa attività e non farlo. Il gruppo ha un problema di azione collettiva se è meglio per tutti che qualcuno vi si applichi, piuttosto che non lo faccia nessuno, ma meglio per ognuno astenersi. che si impegnino tutti in quella attività, piuttosto che non lo faccia nessuno, può essere meglio per tutti o non esserlo, e che tutti lo facciano può essere o non essere la cosa migliore. Cooperare significa agire contro il proprio personale interesse in un modo che avvantaggia ciascuno sia alcuni agiscono in quella maniera. Il concetto di razionalità e implicito alla spiegazione dell'agire collettivo in Elster. Egli assume le azioni razionali come necessariamente intenzionali, presentando la razionalità come una sub categoria rispetto a quella più bassa dei l'intenzionalità. L'azione razionale è secondo elster quella che mette il rapporto credenze e desideri dell'attore sociale. Elster suppone una forma di adattamento ottimale alle circostanze, tale modo di procedere non è però infallibile poiché si basa sulle credenze dei soggetti agenti. Questo tipo di razionalità individuale implica due osservazioni:i innanzitutto la massimizzazione dell'utilità non coincide con l' attuazione di un piano, secondo cui l'attore sceglie i mezzi più opportuni al conseguimento dello scopo, indipendentemente definito punto in secondo luogo che è possibile contrapporre in modo efficace l'uomo razionale all'uomo economico. Il primo richiede preferenze e piani coerenti, per il secondo le preferenze invece, non solo non sono coerenti, ma anche complete continue ed egoistiche. Una teoria completa della razionalità individuale potrà essere basata sul superamento di considerazione esclusivamente formali e dovrà consentire un'attenta considerazione della struttura essenziale dei desideri e delle credenze racchiuse nell'azione. Egli sostiene che, se da un lato si vuole affermare che l'azione razionale sia un'azione coerente, dall'altro non si vuole allargare la nozione di razionalità fino a comprendervi tutti i migliori attributi cambieremo per le nostre credenze e desideri. La teoria completa della razionalità se non può basarsi sulla verità delle credenze irrazionali, deve quantomeno far Fede sulla loro coerenza. Nel passaggio alla determinazione del concetto di razionalità collettiva, Ester rileva la necessità di passare a considerazioni di tipo strategico, tenendo in considerazione la massima leibziana secondo cui: ogni individuo riflette la sua totalità dal suo punto di vista. Gli elementi a cui dobbiamo dare peso in un'analisi della razionalità collettiva sono sostanzialmente tre: la contrattazione, l'informazione è la probabilità.Tra queste occorre rilevare quanto il potere di informazione sia però limitato poiché dipende dalle capacità computazionali del soggetto agente. La razionalità si configura come un fenomeno sociale, oltre che individuale, e nell'azione collettiva le informazioni che ogni attore utilizza non sono sempre reali, ma sono talvolta congetture costruite proprio in mancanza di informazioni, che prendono la forma di aspettative e si distribuiscono in modo probabilistico. Va considerato come sia notaio aspettativa condizionare ogni agire individuale all'interno di un agire collettivo. Elster distinguere tra credenze come valutazioni soggettive di probabilità o come qualcosa sui generis. È il primo caso a rientrare nelle analisi della razionalità collettiva, anche se il calcolo delle probabilità non risulta sempre espresso in modo strettamente logico-matematico. i problemi di distribuzione delle risorse, assegnazione dei compiti vengono spesso risolti con la casualità. Il metodo delle lotterie interviene spesso, egli sostiene che nelle scelte politiche e legali, come nelle contrattazioni tra due o più individui vi sia una serie di vantaggi di tipo psicologico. Questo tipo di probabilità è da lui detta taming chance ( probabilità dominata). La teoria della razionalità collettiva consta di due nozioni: quella economica e quella politica. La prima prevede che gli attori sociali, attraverso scelte individualmente razionali producano un risultato positivo per tutti, o che quantomeno non sia negativo per tutti. La seconda sarà invece basata su azioni concertate che si pongono come obiettivo il superamento dei suddetti problemi. al fine di fornire una definizione completa del concetto di razionalità collettiva vanno rilevate anche alcune obiezioni. L'autore evidenzia la difficoltà di coordinamento e/o di aggregazione delle preferenze individuali dati gli ostacoli concreti per il conseguimento di un accordo unanime e razionale. Inoltre egli rileva il problema dell'influenza negativa o positiva dell'interazione che tende, da un lato al rafforzamento reciproco o all'integrazione delle opinioni secondo il principio che molti possono pensare meglio di uno solo, ma che può essere tanto rafforzata quanto indebolita dall'interazione. Infine bisogna considerare che l'unanimità non è detto che sia dovuta d'accordo razionale, ma potrebbe essere invece un frutto di conformismo. Sono dunque tanti gli elementi da valutare in una ipotesi di razionalità collettiva. IL PARADOSSO DELL'AGIRE COLLETTIVO: OLSON la discussione sulla possibilità di una razionalità collettiva nei gruppi organizzati ci riconduce al secondo le due paradossi di cui si diceva prima: ci si domanda infatti come sarà possibile azione collettiva punto il problema dell'impossibilità di una razionalità perfetta a livello individuale viene riproposto ad un diverso livello di analisi e può essere così formulato: come sarà possibile che più individui razionalmente limitati possono dar luogo ad un gruppo organizzato e come questo potrà raggiungere gli obiettivi prefissati per il bene comune punto l'autore che più si è dedicato all'analisi ed alla soluzione di questo secondo paradosso è Olson. Le sue analisi sono infatti incentrate sulla risposta alla domanda defunti com'è possibile l'azione collettiva? Egli rileva proprio una contraddizione tra razionalità individuale e razionalità collettiva. Indicato da touraine come eminente rappresentante dell'individualismo metodologico, Olson edifica la sua teoria dell'azione collettiva sullo studio delle organizzazioni, più o meno istituzionalizzate, dei gruppi organizzati e del loro comportamento interno. I referenti empirici da lui e semplificati sono i sindacati, i gruppi di pressione, lobbies, classi sociali e comportamenti istituzionali. Le analisi di Olson presentano inoltre grandi affinità con la teoria dei giochi. Il concetto di effetto perverso appare centrale. Inoltre va evidenziata anche l'analogia con la teoria dell'equilibrio per i giochi a somma zero di Luce e Raiffa. L'argomentazione di Olson appare correlata al concetto di azione razionale, o meglio rappresenta una critica al calcolo razionale di tipo economico strettamente legato alla scelta dell'attore nell'azione collettiva. Il suo ragionamento può essere articolato in tre punti: 1)i membri di un gruppo organizzazione non sanno o non possono perseguire i propri interessi collettivi così come espressi negli obiettivi comuni; 2) il comportamento razionale dei singoli membri, basato sullo schema costi-ricavi, non conduce sempre ai risultati voluti, non garantendo così una razionalità di tipo collettivo; 3)al fine di garantire una razionalità di tipo collettivo, cioè il raggiungimento degli obiettivi comuni al gruppo/organizzazione, i membri dal gruppo saranno indotti, attraverso l'utilizzo di sanzioni o incentivi di tipo negativo positivo, a perseguire lo scopo comune. In quest'ultima proposizione è racchiusa la soluzione proposta da Olson al paradosso dell'agire collettivo: soltanto un incentivo distinto e selettivo sarà in grado di stimolare un individuo razionale facente parte di un gruppo latente a un'azione di gruppo. Un incentivo che agisca non in modo indiscriminato sul gruppo nel suo insieme come il bene collettivo, ma piuttosto in modo selettivo e sui singoli individui che fanno parte del gruppo punto lo schema costi-ricavi individuale verrà modificato fino a diventare compatibile con il rapporto costi-benefici del gruppo, e verranno scoraggiati i comportamenti da freerider. Tale soluzione non può però essere individuata come l'unica possibile ai problemi dell'azione collettiva. Elster ci propone infatti una seconda soluzione ai problemi dell'azione collettiva che potrebbe consistere nel richiedere che i contributi siano offerti l'uno a condizione dell'altro (proposta dei finita dei soldi indietro)si creerebbe così un impegno a lungo termine da parte dei partecipanti all'azione Che nell'attesa che tutte le promesse siano mantenute, continuerebbero a comportarsi in maniera cooperativa. A parere di Elster quello che bisogna spiegare è la partecipazione del singolo, che si trova a dover scegliere tra di strategia cooperativa e non cooperativa.egli sostiene che la questione vada valutata facendo riferimento alla capacità da parte del gruppo stesso ad organizzare un sistema di incentivi, per fare questo è necessario che esista un'autorità centrale e dunque che sia già stato risolto un primo problema di cooperazione. Sarebbe complesso ottenere una situazione di controllo reciproco tra i partecipanti al gruppo stesso e in questo senso, Elster suggerisce un'ulteriore soluzione al problema: il metodo delle parti uguali punto tale metodo stabilire ebbe che se un numero sufficientemente grande di persone che opera, anche le altre devono farlo. La critical Mass theory, critica invece proprio il tipo di soluzione è basata sugli incentivi selettivi.(per un fisico, la massa critica è quella montare di materiale radioattivo necessario ad un'esplosione atomica. Gli attivisti si riferiscono invece a tale espressione per indicare in modo metaforico un'idea che sta nascendo, o meglio esplodendo. La massa critica ha un ruolo importante nella produzione dell'azione collettiva: sono pochi individui che danno, o meglio decidono di dare impulso all'agire, mentre gli altri non agiscono affatto. Questo piccolo gruppo di individui (elite) rappresenta la massa critica dell'azione collettiva.) Oliver è uno degli esponenti più significativi di questo orientamento teorico. Egli sposta l'accento dalle incentivazioni ai legami sociali, è la sostiene che sarebbero proprio quest'ultimi a far le veci delle incentivazioni. I legami sociali possono essere considerati come indicatori di interessi individuali nel vicinato, fattori che influenzano la disponibilità di solidarietà al fine di una partecipazione all'azione collettiva, ovvero che riducono i costi della stessa, rendendo la comunicazione più facile. Il lavoro della Oliver si pone in linea con la critical Mass theory, secondo cui i legami sociali sono di estrema importanza per l'azione collettiva e la loro centralità va rilevata proprio nella forte presenza delle reti sociali nell'agire collettivo. Ella sottolinea l'importanza dell'interazione all'interno di tagli e reti nonché di tre variabili indipendenti: centralizzazione, densità e costi, interessi ed eterogeneità delle risorse. Secondo questa prospettiva di analisi,l'agire collettivo è prodotto da pochissime persone che possiedono grande interesse nel raggiungimento degli obiettivi e grandi risorse, piuttosto che dagli sforzi di tutto il gruppo. l'accento va dunque posto sull’interdipendenza tra attori, sul eterogeneità tra i gruppi e sui ruoli degli attori mobilitati è l'obiettivo sarà così di delineare le condizioni strutturali attraverso le quali tale massa critica di individui e raggiunge la meta prefissata punto in tali condizioni, appare evidente come un caso di freerider sia impossibile ed il problema sia dunque superato, di conseguenza anche la nozione di azione collettiva a padre ridotta. Non si può più parlare di azione collettiva Ma solo di un'azione limitata a una sorta di élite, che agisce in nome di un collettivo inesistente. L'obiettivo degli autori è dimostrare che non esiste nessun fenomeno unitario che possa essere denominato agire collettivo punto i sociologi della massa critica non si propongono di risolvere il dilemma collettivo. essi si limitano a sottolineare che il concetto di struttura dell'agire collettivo non denota semplicemente il bene collettivo o l'azione organizzata, considerando però fondamentali la natura del bene e il modo. È già stato rilevato come anche le teorie basate sull'appartenenza degli attori ad una comune identità collettiva vengono costruite sulla nozione di rete sociale. In particolare quella di melucci rileva come l'argomento olsoniano del freerider costituisca un utile termine di paragone e che le critiche emerse nel dibattito sono state numerose, ma riassumibili nelle seguenti proposizioni: 1) i networks rappresentano un livello intermedio fondamentale per comprendere i processi di coinvolgimento individuale nel gruppo; 2) gli attori sociali interagiscono, si influenzano, negoziano all'interno della rete e da tale interazione originano i quadri cognitivi e motivazionali utili all'azione; 3)la motivazione a partecipare non può essere valutata come una variabile solo individuale; 4) essa è infatti costruita È consolidata dall'interazione fra i diversi soggetti coinvolti nell'azione. Una teoria edificata sulla nozione di identità collettiva è invece quella di pizzorno, che si pone in netta opposizione critica al caso di freerider. Pizzorno rovescia la logica dell'argomento olsoniano sostenendo l'appartenenza ad una identità collettiva. Egli rileva che nei fatti sociali la posizione olsoniana non è accettabile, perché presuppone ciò che va invece dimostrato, e dunque l'identità dell'attore che calcola l'interesse. Secondo pizzorno, quando si fa riferimento al l'identità collettiva e dunque ad una collettività identificante, se qualcuno tenta di scroccare la corsa, ottenendo i benefici derivante dall'azione collettiva senza pagare i costi della partecipazione, finisce per rimanere senza riconoscimento. Egli spiega che sei fine è identificazione collettiva e non ha i benefici singoli, l'azione sarà finalizzata a se stessa e non avrà un costo.