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LA VIOLENZA SPETTACOLARIZZATA

Il crimine e l’impatto psicologico della comunicazione


Parlare di violenza attraverso i mass media presuppone un potenziale rischio, ovvero il rischio della connessione
causale fra la violenza sociale rappresentata e la violenza che realmente esiste nella società. All’interno del processo di
comunicazione si colloca la modalità con cui lo spettatore percepisce l’evento delittuoso. In tal senso la percezione del
rischio è un processo cognitivo che orienta i comportamenti delle persone di fronte a decisioni che coinvolgono dei
rischi potenziali.
CAPITOLO 1
LA COMUNICAZIONE UMANA
Comunicare è un bisogno fisico, sociale, psicologico e strumentale: è il processo di trasmissione di un contenuto fra le
persone.

Nella comunicazione umana, l'emittente è colui il quale manda il messaggio, il ricevente, invece, colui il quale riceve
il messaggio; il messaggio riguarda il contenuto della comunicazione, mentre il codice è il linguaggio utilizzato per
comunicare. Il canale è il mezzo attraverso cui passa la comunicazione, mentre il contesto è la situazione in cui la
comunicazione trova luogo, e referente è, il tema di cui si parla.

Comunicare è lo scambio di informazioni fra due o più entità inserite in un contesto in grado di emettere e ricevere
segnali mediante un canale. Per scambio si intende un processo interattivo in grado di provocare e
contemporaneamente ricevere una serie di azioni e retroazioni.
È condivisione e elaborazione di significati in un contesto, all'interno del quale assumono
valore e significazione.
un destinatario suscettibile di interferenze per effetto dei così detti rumori, problemi che potrebbero aver luogo nei
momenti di codifica e di decodifica.
Le sostanziali differenze fra il codice formale e il codice linguistico; il primo formalmente strutturato sulla
corrispondenza biunivoca fra significato e significante e il secondo decisamente più interpretabile e soggetto a
fenomeni che ne determinano le sfumature, la ricchezza e le intrinseche distorsioni.

Fondamentale per lo scambio comunicativo è:


il controllo del FEEDBACK del ricevente, ricercando una condizione di mantenimento dell’equilibrio e del benessere
attraverso meccanismi di autoregolazione. Può essere POSITIVO o NEGATIVO: se l’informazione giunge in accordo
con gli obiettivi di chi produce l’atto comunicativo, la comunicazione verrà incentivata. Al contrario, l’informazione
in entrata è un disaccordo con gli obiettivi dell’organismo, la comunicazione verrà disincentivata portando ad una
retroazione.
L’interazione sociale trova luogo e si manifesta all’interno di modalità e forme di comunicazione diverse.
Si è contemporaneamente emittente e ricevente nella relazione con l’altro, si tratta di una cooperazione verbale, di
un’attività condivisa e congiunta, tale per cui gli enunciati di un interlocutore si intrecciano con gli enunciati
dell’altro.
La ricezione di un messaggio è un atteggiamento attivo di ascolto la cui interpretazione finale è mediata da molteplici
aspetti, anche psicologici.
Il concetto di comunicazione comporta necessariamente il coinvolgimento di due o più attori sociali. Ciascun soggetto
ha un proprio stile comunicativo, ossia l’insieme dei tratti formali che caratterizzano il modo di verbalizzare di una
persona.
La struttura che viene creata dagli scambi interpersonali è definita relazione, la quale si definisce in base a qual è
l'oggetto dello scambio:
la scuola di PALO ALTO -> tutto è comunicazione, è impossibile non comunicare
 all'impossibilità a non comunicare.
 Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relarione.
l'emittente veicola i sotto-messaggi o meta-messaggi e che hanno la funzione di caratterizzare la relazione tra
l'emittente e il ricevente dal punto di vista dell'emittente.
 l'attenzione su quella che viene definita la punteggiatura della sequenza di relazione tra i comunicanti.
 Gli esseri umani comunicano utilizzando linguaggi verbali, non verbali, e linguaggi simbolici, il
linguaggio numerico e il linguaggio analogico.
Con linguaggio numerico si fa riterimento alla componente verbale basato su una logica astratta e sulla
condivisione di regole rigide. I linguaggi simbolici a forniscono un'espressione delle emozioni, sono ambigui
e riguardano essenzialmente la meta-comunicazione.
 Tutti gli scambi comunicativi possono essere simmetrici o complementari, a
seconda che tra i comunicanti vi sia un rapporto paritario o di superiorità.

La proposta della pragmatica della comunicazione umana si inserisce entro il noto quadro teorico della teoria dei
sistemi che definisce sistema l'insieme organico di elementi semplici in relazione fra loro. Ogni elemento di un
sistema trova significato solo nell'ambito stesso del sistema. Questo porta a concludere che la comunicazione
interpersonale dovrà essere interpretata non a partire da elementi singoli ma è solo nel suo complesso che
trova significato.
Lo scambio di informazioni tra i protagonisti della comunicazione su un contenuto, ossia su un referente, prende il
nome di funzione referenziale. In essa l'efficacia comunicativa dipende dal contesto relazionale. Condiviso è il potere
attribuito alla parola di denotare elementi e oggetti e le relazioni che si creano.
La comunicazione non può essere limitatamente pensata come passaggio di una certa quantità di informazioni, ma
deve necessariamente essere pensata come condivisione di significati. Per questa ragione, la comunicazione sarà più
efficace e migliore nel momento in cui gli interlocutori condividono il medesimo universo simbolico

La comunicazione basata sul linguaggio verbale:


 funzione espressiva o emotiva-> permette ai soggetti di manifestare e condividere i propri stati d'animo e
le emozioni conseguenti a eventi esterni. La funzione si riferisce all'affettività del soggetto rispetto a
quanto sta dicendo e riflette la personalità e la relazione tra i parlanti.
 funzione conativa-> intenzione di influenzare il destinatario mediante un atteggiamento persuasivo volto
ad indurlo ad agire o percepire la realtà in una particolare direzione desiderata dall'emittente
 funzione metalinguistica-> aiuta a comprendere a chi sta comunicando
se l'utilizzo del codice è il medesimo.
 funzione sociale -> è data dalle posizioni sociali tenute dagli interlocutori e da quali siano le modalità
comunicative da assumere in relazione alla posizione stessa; aspetti specifici della cultura in cui la
comunicazione avviene.

La comunicazione umana si realizza tuttavia nella simultaneità e nell'interdipendenza di diversi sistemi comunicativi.
Nella comunicazione sono racchiusi una molteplicità di sistemi di significazione e segnalazione.
Tra questi ultimi, la comunicazione non verbale (CNV), definita anche comunicazione extra-linguistica, riveste un
ruolo importante se non decisivo nell'efficacia dell'atto comunicativo. Questa modalità comunicativa risulta essere
molto meno controllabile della comunicazione verbale tanto da essere considerata la modalità comunicativa attraverso
la quale poter leggere, intuire ed interpretare le reali intenzioni comunicative.
I comportamenti che costituiscono l'espressione non verbale si classificano in sistema vocale, cinesico, prossemica e
aptico, cronemico:

1. La voce è la sostanza fonica, lo strumento mediante il quale si manifesta e trasmette la componente del
significato oltre alle parole. Nel sistema vocale si include anche il silenzio, esso rappresenta un modo
strategico di comunicare in grado di assumere significati diversi in base alla contingenza.
2. Il canale cinesico comprende i movimenti del volto, lo sguardo e l'espressività motorio-gestuale. Il volto,
ricco di caratteristiche fisiche e di espressioni, congiuntamente allo sguardo, i cui elementi sono in parte
involontari e in parte consapevoli e intenzionali molto informano nella comunicazione.
3. Il codice prossemico inerisce al contatto, la forma più primitiva di conunicazione sociale. Riguarda la
postura, l'uso e l'organizzazione dello spazio, la posizione occupata così come la distanza fisica tra gli
interlocutori e il contatto che può aver luogo;
4. L’aptica rimanda alle azioni di contatto corporeo nei confronti di altri, uno dei bisogni primari dell'essere
umano che si modifica e assume connotazioni diverse a seconda delle persone, del tipo di rapporti, delle
situazioni e delle influenze socioculturali. La distanza caratterizza la relazione sociale informando sui ruoli
occupati, sull'intimità e sulla dominanza.
La distanza può essere ridotta entro un limite massimo di 45 cm fino ad azzerarsi nel caso di intimità; la
distanza personale comprende il range tra i 45 e i 120 cm; quello sociale tra i 120 e i 365 cm ed infine oltre
tale cifra si parla di una distanza pubblica. La postura si lega ad aspetti contingenti e può riflettere uno stato
d'animo, un atteggiamento nonché il ruolo occupato all’interno della relazione.
5. Il cronemico rimanda alla strutturazione del tempo e al modo in cui i soggetti impiegano il tempo ai fini
comunicativi. Esso risente non solo del ciclo sonno-veglia e del ritmo circadiano biologicamente impostato,
ma anche di aspetti più culturali come la prospettiva temporale adottata e fattori socio-economici.

La psicologia ingenua parla di un'origine naturale della CNV di un linguaggio che anche in modo inconsapevole lascia
trapelare le sue intenzioni. Se si riduce la distanza interpersonale e si accentuano i sorrisi, i contatti oculari, la voce
diviene più calda e flessibile, si documenta una maggiore intesa tra gli interlocutori.
La CNV risulta funzionale all'essere umano nelle relazioni di potere e di persuasione. L'apparenza fisica,
l'abbigliamento, l'atteggiamento corporeo esibito in contesti interpersonali, la postura, la diposizione degli arti più o
meno asimmetrica danno informazioni rispetto alla relazione di dominanza. Il sorriso frequente esprime chiaramente
la sottomissione, al contrario di chi occupa posizioni più dominanti che tenderà ad una maggiore serietà.
Il processo di persuasione conferma la notevole influenza dei segnali non verbali nella trasmissione del significato.

CAPITOLO 2
LA COMUNICAZIONE NELL’ERA DIGITALE
Con l'inizio del terzo millennio e le rapide trasformazioni sono nate nuove proposte mediatiche. Le ricadute nella vita
quotidiana del fruitore sono importanti, tanto da concretizzarsi l'idea che tali strumenti stiano modificando il modo di
comunicare della specie umana, soprattutto delle nuove generazioni denominati i nativi digitali.
La rete ha in sé tutte le caratteristiche di una comunità. Questo è permesso dagli strumenti del social networking che
rendono possibile la comunicazione, la condivisione e la collaborazione fra persone che, interagendo, sviluppano
relazioni e legami. La rete permette l'acquisizione di una nuova dimensione e nuove forme di socialità.
Il web 2.0 segna il passaggio dalla prima forma di Internet al social network e queste forme di comunicazione
assumono sempre più una connotazione di indispensabilità
poiché legati ad una contemporaneità molto complessa e dai ritmi molto frenetici, necessitando dunque di strumenti
che semplificano e stabilizzano relazioni e tempi.
La CMC facilita una modalità di entrate in relazione virtuale con qualcuno tramite la rete.
Relazione e interazione che può essere:
 Sincrona: nel momento in cui facilita la costruzione del senso di identità di gruppo e di quella personale, in
una compresenza temporale degli interlocutori
 Asincrona, impiegata nel processo di costruzione, di scambio dell'informazioni
e nel trovare soddisfacimento al bisogni quotidiani di comunicare ed essere
in relazione anche se lo scambio avviene in tempi diversi tra chi emette e
chi riceve.
Si tratta di un cyber spazio inteso come insieme delle risorse informatiche e dei siti web che possono essere visitati
simultaneamente da milioni di persone.
La comunicazione in rete è vissuta in continuità: 'online e l'offline sono mondi paralleli con un unico spazio reale. La
comunicazione appare un fenomeno molto complesso in cui si mescolano elementi culturali convenzionalmente
condivisi, aspetti sintattici, semantici, pragmatici ed emotivi. La comunicazione conduce coloro i quali dialogano a un
continuo controllo e aggiustamento dell'interazione e della condivisione.
Con il termine CMC si indica lo sviluppo da una comunicazione multimediale, intermediale e portabile. La
multimedialità è data dalla possibilità di usufruire di modalità comunicative afferenti e differenti canali nel medesimo
momento e magari in riferimento ad un medesimo contenuto.
L’intermedialità, è la dotazione di un unico strumento di più applicazioni e dunque di una plurispecializzazione di
questo.
Le tecnologie hanno la funzione di portabilità, da uno strumento ad un altro, di una o più funzioni da svolgere.
Le relazioni interpersonali risulterebbero meno efficaci. Perché è pur vero che tramite il media digitalizzato vi è una
maggior libertà espressiva, una maggior protezione percepita rispetto alle critiche ma è anche vero che il fattore
comunicativo che aiuta a capire come intendere i contenuti trasmessi risulta deficitario. Si tratterebbe di una perdita
dell'identità personale degli attori.
Vi sarebbe la capacità intrinseca della persona di adattarsi al nuovo contesto, competente nel selezionare le strategie
comunicative a diposizione per renderle compatibili e funzionali al perseguimento di scopi relazionali. Un contesto
nuovo quello delle nuove tecnologie, sancito da regole e funzionamenti diversi rispetto ai tradizionali, che viene
valorizzato dall'individuo per divenire condiviso, reciproco e relazionale. Uno spazio virtuale che implica una
dissociazione tra il fisico ed il sociale, le distanze si accorciano fino a divenire nulle, superando distanze anche sociali
e culturali.
Dinanzi ad una trasformazione così radicale dei mezzi comunicativi, il sistema di relazioni diviene sempre più
complesso e se da un lato permane la condizione di interdipendenza, dall'altro si manifesta un drastico distacco dalla
percezione comune e condivisa.
Il mondo virtuale che l'uomo costruisce è al contempo un mondo reale ed è possibile intercettare una grammatica della
realtà virtuale digitale:
1. la connettività data dalla possibilità di accesso a un numero illimitato di informazioni
2. ipertestualità come accesso immediato a tutte le componenti
3. interattività come capacità di trasformazione del virtuale in reale come reazione-azione del soggetto alle
informazioni ricevute.
I vantaggi offerti dell'avvento dei nuovi strumenti di comunicazione:
Lo spazio risulta praticamente azzerato rendendo possibile un contatto immediato, anche in termini temporali nella
misura in cui la rapidità e l'istantaneità caratterizzano gli scambi
comunicativi.
CAPITOLO 3
LA PERSUASIONE NELL’INFORMAZIONE
La persuasione è un qualsiasi tentativo atto a modificare atteggiamenti e o comportamenti altrui senza l'uso della
forza, della coercizione o dell'inganno.
La persuasione basata sul fatto che quando una volontà, un'intenzione, una credenza o una decisione devono trasferirsi
da una mente ad un'altra, allora si devono innescare, sul momento stesso, moti convergenti nell'una e nell'altra.
L'autore aggiunge così che, per sua natura intima.
È lecito esercitare un certo ascendente, ma non fare appello al principio di autorità. L'autorità, non a caso, subentra
quando la persuasione non basta.
Dunque, la comunicazione persuasiva non consiste in un'attività di convincimento mirata ad ottenere dall'interlocutore
un agire contro la propria volontà. I contributi della psicologia sociale si focalizzano, infatti, sulle modificazioni
dell'opinione degli altri create dalla sola trasmissione di concetti e idee. Viene considerata persuasione qualunque
cambiamento ottenuto mediante la comunicazione, indipendentemente dalle intenzioni del comunicante e dalla
coscienza e riconoscimento dell'avvento cambiamento.
I cambiamenti derivanti dal ricevere una comunicazione persuasiva possono essere di natura cognitiva, riguardare
l'agito o il comportamento. Il cambiamento cognitivo volge alla consapevolezza e si concretizza nella trasmissione di
notizie o informazioni.
Il cambiamento dell'azione agisce sulla motivazione inducendo gli individui a mettere in
atto una determinata azione entro un certo periodo di tempo, nel comportamento di un gruppo di persone.
una distinzione fra:
 la persuasione in termini di processo comunicativo che si avvale di argomentazioni razionali, espresso per lo
più in forma verbale attraverso il quale risulta chiara l'intenzione persuasiva del comunicante.
 La suggestione sarebbe un processo comunicativo non basato su argomentazioni razionali ed esplicite tendenti
ad occultare l'intenzione del comunicante di modificare l'atteggiamento dell'altro.
Entrambi i processi condividono la finalità di cambiare alcuni atteggiamenti mediante una modificazione del sistema
di valori e credenze della persona. La persuasione ricorre a modalità cognitive ed esplicite mentre la suggestione
implica l'utilizzo di modalità implicite e a forte connotazione emotiva.
Per promuovere un cambiamento è necessario: argomentare, fornire degli elementi, delle ragioni affinché una
determinata affermazione possa essere considerata più o meno convincente. L'argomentazione è un discorso rivolto da
un oratore ad un uditorio per convincerlo su quanto dichiarato.
Convinzione che risulta più efficace quando si conoscono i destinatari della comunicazione; in questo caso si
strutturano la forma ed il contenuto proposto nelle argomentazioni in modo specifico, al fine di potenziarne la valenza
persuasiva per quel target. È necessario focalizzare la propria attenzione sul destinatario, poiché in primo luogo vi è la
necessità di instaurare un rapporto con l'uditore.
L'efficacia persuasiva si declina non solo sulla qualità e sulla modalità di presentazione del messaggio ma anche e
soprattutto su come tali fattori vengono calibrati in base alla conoscenza del destinatario.
La sintonia con il messaggio ricevuto, quindi l'includerlo nel proprio sistema di atteggiamenti, faciliterà la
memorizzazione del contenuto sentito affine alla propria gerarchia di valori e scopi. Attraverso ciò sarà attuabile una
modifica del comportamento. Cambiamento che sarà più duraturo e stabile qualora il soggetto ricevente sia motivato e
competente.
Nel modello della probabilità di elaborazione si propone la differenziazione tra un'elaborazione centrale del messaggio
persuasivo e un'elaborazione periferica, quest'ultima strutturata su una tendenza ad elaborare l'informazione e a
prendere poi decisioni sulla scorta di una ridotta accortezza volitiva e cognitiva a riflettere sul messaggio in entrata.
Il processo di cambiamento, che sarà meno intenso e duraturo rispetto a quello che vede
coinvolgimento e competenze del destinatario, poggerà su caratteristiche più superficiali. Se la persona è motivata e
attenta alla finalità del messaggio persuasivo è più probabile che ricorra ad una riflessione più accurata e dettagliata
del contenuto del messaggio;
La strutturazione di scopi da conseguire poggia le basi sul valore che un soggetto attribuisce a quel determinato
obiettivo e con quali mezzi raggiungere il fine prefissato. Per produrre un cambiamento sarà necessario che il soggetto
operi un cambiamento rispetto al valore soggettivo di quel determinato scopo, spostando gerarchicamente uno scopo
ulteriore. L'efficacia di questi argomenti dipende dal grado di incompatibilità percepita tra il precedente scopo, il
nuovo e da quanto il valore di quest'ultimo risulti per il soggetto maggiore rispetto a quello del precedente.
Altro possibile cambiamento intercetta i mezzi e i fini con il quale il soggetto tenta di perseguire il raggiungimento di
uno scopo. Colui il quale mette in atto un atteggiamento persuasivo condividerà con il soggetto l'importanza valoriale
dello scopo ma tenterà di persuaderlo rispetto al fatto che le modalità messe in atto per il raggiungimento di questo
non sono adeguate o controproducenti.
Il persuadersi di qualcosa è un processo attivo e dinamico, molto complesso che richiede l'uso di funzioni mentali
profondamente adattive.
La possibilità di venire persuasi richiede la capacità di rappresentarsi lo stato mentale dell'altro, di porvi fiducia e di
utilizzare tale rappresentazione per modificare il proprio schema valoriale e comportamentale. Emerge quindi una nota
adattativa della persuasione, vista genericamente come un qualcosa di molesto in grado di indurre le persone a fare un
qualcosa contro la propria volontà. In realtà ciascuno ha necessariamente ed inevitabilmente una conoscenza limitata e
ristretta e questo tipo di scambio cognitivo è fondamentale per l'adattamento.
Molto usato nel mondo della pubblicità e del marketing, la reiterazione del messaggio
dà luogo all'effetto di mera esposizione contribuendo a rendere il messaggio proposto più familiare e dunque più
accettabile. La psicologia della comunicazione ha sottolineato come anche la posizione di più informazioni sia
determinante rispetto alla reale influenza. Tendono ad essere meglio ricordate le informazioni fornite all'inizio, effetto
primacy, e quelle poste in chiusura del messaggio, effetto recency. Quelle poste in posizioni centrali
sono quelle meno facilmente registrate.

La capacità mediatica di agire come filtro di polarizzazione a livello cognitivo ed informativo prende il nome di
agenda setting, essa chiarisce il rapporto tra la rappresentazione della realtà elaborata dagli individui e quella proposta
mediaticamente.
La comunicazione mediatica indica ai fruitori a quali informazioni prestare attenzione e soprattutto quale priorità e
importanza attribuirvi in un dato momento e contesto. I media propongono una visione soggettiva della realtà fattuale
spesso nell’intento di influenzare lo spettatore.
La percezione subliminale varia a seconda del singolo soggetto e indica La capacità di cogliere segnali di differente
natura sotto la soglia della propria consapevolezza.

CAPITOLO 4
LA PERSUASIONE E MASS MEDIA
Diversamente dalla comunicazione faccia a faccia, la comunicazione virtuale è trasportabile, rapida, istantanea e
contemporaneamente durature, se non permanente, e immediata nonostante le distanze fisiche tre gli interlocutori.
Quando le informazioni e più in generale i contenuti sono destinati ad un ampio strato della popolazione si parla di
MASS MEDIA. I giornali costituiscono il primo esempio di come l’incremento dell’attività comunicativa rifletta la
disponibilità e l’efficacia della risorsa mediatica. Una risorsa in grado di raggiungere, comunicare, interagire e
influenzare la massa. L’influenza dei media sull’individuo, sul grande gruppo ma anche a livello più ampio, cioè
macrosociale, rappresenta una questione centrale nel dibattito scientifico riguardante i mass media.
La rappresentazione della popolazione è passata da meri esecutori di una risposta indotta da una stimolazione
mediatica, così come sostenuto dalla teoria ipodermica, a soggetti attivi e pensanti in grado di selezionare e fruire solo
alcune informazioni, trascurandone e modificandone altre.
Il primo studio verificò come il pubblico di una campagna di propaganda politica selezionò accuratamente i messaggi
in entrata, attenzionando solo quelli che validassero il punto di vista iniziale. Improbabili furono le conversioni ad
altro partito politico di chi aveva già delle opinioni precise. Chi invece era indeciso venne colto maggiormente dalla
propaganda.
I media hanno a che fare con attori sociali tra loro comunicanti ed interagenti, ognuno dei quali gode di una certa
influenza e ricopre un ruolo attivo entro i contesti in cui è inserito. È significativa la capacità di ripercuotere i
messaggi entro il gruppo di appartenenza, posizione solitamente ricoperta dall’opinion leader, il cui possiede delle
competenze che gli permettono di interfacciare i media e contestualmente la realtà del gruppo di appartenenza
condividendone principi, valori e norme.
I mass media rappresentano delle vere e proprie agenzie di controllo costituenti la realtà da un punto di vista
dell'interesse mediatico. Se si esplora la relazione tra evento e principio di notiziabilità dell'informazione, si evince
che il newsmaking, quindi la produzione delle notizie, ruota attorno ai cosiddetti valori notizia. Risulta semplicistica
una visione secondo la quale i media e soprattutto la televisione riflettono in modo più o meno deformato la realtà
sociale in relazione alle leggi di mercato e che questi contenuti influenzino in modo diretto e non differenziato effetti
sul sociale. Occorre adottare l'idea che la televisione non attinge direttamente alla realtà quanto piuttosto alla
configurazione della realtà condivisa dal medesimo gruppo sociale e agli stereotipi culturali che lo contraddistinguono
e che dunque risente di rielaborazioni cognitive, etniche e simboliche. In altre parole, la televisione dispone delle
rappresentazioni degli eventi riadattandole al fine di confezionare un buon prodotto da commercializzare, poiché le
esigenze del linguaggio televisivo dettano le modalità con cui alcuni contenuti vengono rappresentati.
La lettura mediatica della realtà appare omogenea; raramente si differenziano le informazioni trasmesse dalle diverse
fonti in concorrenza fra loro. Modalità diverse di confezionare la notizia essenziale per una cultura e accaparrarsi
l'audience che in realtà è molto più simile di quanto immaginabile. Noelle-Neumann (2002) propone infatti tra gli
effetti a lungo termine dell'esposizione mediatica un processo di omogeneizzazione culturale, nota con il nome di
spirale del silenzio, che porta ad un livellamento e all'adesione delle persone ad una determinata opinione pubblica a
fronte di una accentuazione o attenuazione delle proprie opinioni personali. Si potrebbe presumere che l'intento dei
media sia quello di rendere omogenea l'audience.
La differenziazione culturale nell'azione svolta dai media prevede che il divario delle conoscenze disponibili
nell'opinione pubblica venga, in questa lettura, mantenuto e anche accentuato.
L'essere umano, un essere sociale che cerca di evitare l'isolamento materiale e simbolico, a fronte della percezione che
la propria opinione è minoritaria o poco valorizzata nella comunità, tenderà a ridurre l'esposizione e la manifestazione
diretta delle proprie opinioni, rendendo sempre meno minoritaria la posizione occupata nella socialità; esattamente
opposto il meccanismo che si verifica in chi sente di essere parte della maggioranza che manterrà il dominio della
scena sempre e in misura ogni volta maggiore rispetto a quella porzione di pubblico che verrà ridotto in silenzio. Sul
versante cognitivo e affettivo non stupisce, dunque, che l'influenza della comunicazione di massa sul pubblico
riguarda in modo principale il processo di socializzazione.
I media influiscono nella definizione dell'identità personale e culturale ma, allo stesso modo, vengono impiegati per
esprimere la personalità. Contemporaneamente, dunque, soggetti e oggetti dei e nei media. I media offrono pertanto
una funzione di socializzazione primaria con l'aderire a particolari modelli e valori di riferimento e allo stesso tempo
informano e intrattengono, dando spazio ad una forma di socializzazione secondaria. Si giunge in questo modo ad una
omologazione di contenuti e di contenitori.
Rilevante è la caratterizzazione individuale della ricezione per cui non esiste un unico pubblico ma tanti bacini di
utenza diversificati, impegnati in modo diverso nel processo comunicativo mediatico.

CAPITOLO 5
RAPPRESENTAZIONE MEDIATICA E CRIMINE
Risaputa e condivisa è la forte influenza che le informazioni veicolate dai nuovi mezzi di comunicazione agiscono nei
confronti dei riceventi: dal persuadere ad utilizzare un prodotto tipico delle pubblicità; all'orientare le scelte degli stili
di vita e agire nei confronti del fruitore con un atteggiamento teso a parcellizzare l'informazione e a volte distorcere il
contenuto. la televisione abbia dismesso il ruolo di finestra sul mondo divenendo creatrice di realtà altre, portando
confusione nello spettatore. Ancora più grave e compromettente il rischio derivante dalla spettacolarizzazione di un
evento delittuoso che potrebbe decretare il colpevole in assenza di un procedimento penale o prima che questo possa
concludersi ed esprimersi in merito.
La sentenza dei media e dell'opinione pubblica grava sull'immagine del designato colpevole compromettendone
l'immagine in misura maggiore rispetto alle conseguenze ascrivibili alla colpevolezza giuridica. Non basterà una
eventuale assoluzione per riacquistare un'immagine differente rispetto a quella di colpevolezza mediatizzata.
comunicazione di massa da rendersi talvolta molto distante da quella giudiziale. Il Giudice dovrebbe operare senza
pregiudizi, in modo corretto è indipendente e tutelare, nelle fasi istruttorie, i soggetti coinvolti a vario titolo e grado.
L'influenza che la rappresentazione mediatica di un crimine agisce sul corteo di professionisti deputati a legittimare o
condannare la condotta deviante e criminosa di una persona è invece tutt'altro che trascurabile. la spettacolarizzazione
della realtà processuale insegue spesso verità emotive, diverse da quella storica e processuale, e forma un
convincimento collettivo destinato a radicarsi al punto che, se la sentenza non soddisfa le aspettative, si insinua il
dubbio che la decisione sia ingiusta. Si assiste di fatto ad continuo processo di ri-costruzione del crimine, sollecitato
dai media ed accolto e intensificato dall'opinione pubblica, plausibilmente anche molto distante dal reale.
Accanto al procedimento penale viene quindi a crearsi il così detto procedimento mediatico. Quest'ultimo registra
tempi molto più rapidi e veloci per giungere a conclusione: lo spettatore nel momento in cui viene raggiunto dalla
notizia elabora una sua personale visione che lo porta a una ricostruzione personale di come possa aver avuto luogo la
vicenda, con quali modalità, con quali motivazioni.
Negli ultimi anni, si è contraddistinto per la crescente spettacolarizzazione del crimine ma anche dell'informazione in
senso ampio del termine e per l'accurata scelta dei fatti di cronaca da proporre ai fruitori in relazione al livello di
notiziabilità. La messa in scena televisiva di un crimine porta con sé un alone di mistero, stupore e panico che
intimorisce ma allo stesso tempo incuriosisce ed attrae. anni. Esattamente come avviene ne Il Grande Fratello o Il
contadino cerca moglie, il criminality, questo il termine utilizzato per definire lo show televisivo fondato sulla
rappresentazione di vicende di cronaca nera, vede prima di tutto la definizione di un luogo, la presenza di un
conduttore che dirige l'orchestra tra i presenti in studio e i collegamenti con gli inviati, con i legali e i parenti, un coro
costituito da esperti e ospiti nonché le tanto attese nomination che, puntata dopo puntata, restringono il campo sul
vincitore, colui il quale si è macchiato del misfatto. Come insegnano i casi di Garlasco, Avetrana, Perugia, Cogne e
molti altri, tutto avviene nel piccolo centro, nel tranquillo e ricco paese nella periferia della città o anche nella città di
provincia. Quella stessa casa che potrebbe essere di chiunque, del vicino o di parenti, con quel dettaglio
nell'arredamento che attiva immediatamente meccanismi di identificazione da parte dell'audience, di vicinanza
emotiva e coinvolgimento al crimine.
I media, dal canto loro, esacerbano tale coinvolgimento, cercano di rendere la rappresentazione del crimine il più
accattivante e prossima all'audience possibile, per stimolare l'azione verbale del ricordare e condividere il dolore, la
paura ed il disgusto suscitati dal fatto criminoso. Nel proprio operato, i media combattono tra il rispetto della vittima e
della sua memoria e l'esigenza di informare il pubblico sull'accaduto. L'evento viene proposto come svincolato dalla
quotidianità per renderlo, piuttosto, carico di simbolismo, di valenza positiva da un lato e negativa dall'altro. Non resta
altro che abbracciare la corrente positiva, schierarsi a favore della moralità adducendo le possibili colpe al male.
In tale quadro, il conduttore televisivo raccoglie i contributi, i pareri, le emozioni, le riflessioni degli opinionisti, della
gente comune, dei parenti, dei legali dell'una e dell'altra parte, alimentando il fermento nel dibattito tra il Bene ed il
Male. Le dichiarazioni rilasciate in tv come persone informate sui fatti o come persone vicine a chi ha subito o agito il
crimine si cristallizzano come prova, diventando parti integranti degli atti giudiziari, spesso in assenza di un concreto
processo penale.
Il tentativo è quello di indebolire nello spettatore una visione più razionale a favore di una rilettura passionale che
risulta più funzionale ai fini del convincimento del pubblico a sposare una particolare tesi. I primi eliminati dalla casa
del Grande Fratello sono, di solito, concorrenti poco coinvolgenti che non suscitano clamore nel pubblico, protagonisti
di storie d'amore, di conflitti importanti e ancor di più di tradimenti amorosi arriveranno probabilmente alla finale
poiché tramite il reality si rappresentano mediaticamente delle passioni in cui è possibile che il pubblico si rispecchi,
che connota il mondo emotivo e sostiene i telespettatori davanti al programma.
Non molto diverso quello che avviene negli show sul crimine. Sulla vittima si dice e si sa poco. Nei criminality, il
macabro, il brivido e quindi l'eccitazione si sperimenta attraverso il meccanismo dell'identificazione con il carnefice
più che con la vittima.
Futile chiedersi a questo punto se si sia realmente incastrato il carnefice: la realtà fattuale interessa relativamente,
molto di più, invece, il fatto mediatico che ormai spettacolarizzato fatica a non essere considerato un telefilm.
Da una approfondita analisi si deduce che i media detengono un notevole potere di esercitare una pressione e
un'influenza nei confronti dell'opinione pubblica in merito a che cosa sia un crimine, sulla rappresentazione e sul ruolo
di vittima e carnefice creando, alle volte, una netta distinzione nell'immaginario comune fra chi assume la parte del
buono e chi la dimensione del male e del cattivo. Questa modalità di rappresentazione porta anche all'errata percezione
della diffusione della criminalità all'interno della società.

CAPITOLO 6
LA PERCEZIONE DEI FENOMENI CRIMINALI NELL’OPINIONE PUBBLICA
A partire dagli anni Settanta, la violenza comincia a far capolino fra le trasmissioni televisive italiane. I picchi di
ascolti e i livelli di audience si registrano elevatissimi proprio durante la trasmissione delle immagini più cruente e
drammatiche lasciando presagire il grande potenziale della narrazione e della spettacolarizzazione. Gli avvenimenti di
cronaca nera che portano con sé quell'alone di mistero e il senso del macabro hanno da sempre suscitato molto
interesse; rispetto agli anni Cinquanta l'estensione di tali fatti è aumentata del 200%. Attraggono e spaventano,
suscitano il brivido della paura e l'eccitazione della curiosità, inducono lo spettatore ad immedesimarsi nella vicenda
delittuosa, una storia lontana ma narrata e vissuta come un qualcosa di tangibile, concreto, vicino allo spettatore.
L'attrazione e, al contempo, la ripugnanza verso un fatto violento e macabro descrivono precisamente lo stato emotivo
dello spettatore che oscilla tra la tendenza a mettere in atto crimini o azioni aggressive e la contemporanea necessità di
sentirsi lontano da tale possibilità. L'identificazione del male in un corpo altro, esterno al sé, permette all'uomo di
allontanare l'angoscia legata alla gestione dell'aggressività e all'incapacità di contenerla.
Processi noti ai media che sanno come spettacolarizzare, confezionare e diffondere la notizia sul crimine agganciando
cosi il pubblico attraverso il soddisfacimento del bisogno cosi primitivo e inconscio di poter controllare la propria
aggressività. L'attribuzione di colpa viene più facilmente riversata su quelle persone che suscitano nell'opinione
pubblica maggior riluttanza e incertezza, poiché vissute come concausa dell'insicurezza sociale: si tratta sovente di
immigrati, stranieri africani o islamici, di persone in difficoltà o che vivono in contesti disagiati. I pregiudizi si
rinforzano l'informazione, quella veritiera e puntuale, risulta difficilmente accessibile poiché il crimine mediatizzato
monopolizza i palinsesti televisivi lasciando poco all'immaginazione o ad ipotesi alternative su come e chi abbia
commesso il delitto. I contenuti mediali riguardanti quel fatto di cronaca raccontato ed esplicitato con modalità
costanti, ripetitive e ridondanti non stanca il pubblico, anzi lo motiva a cercare ancora quell'informazione. Non molto
distante da quello che richiedono i bambini, così contenti di ascoltare il racconto della medesima storia narrata sempre
allo stesso modo. È così rassicurante e confortante; diviene allora un rito ma anche elemento relazionale funzionale
allo sviluppo dei processi regolatori, specie delle emozioni. Anche il grande successo di cui godono serie tv come CSI
sia attribuibile proprio all'elemento costanza che caratterizza tali fiction. Per quanto irreali e consapevolmente frutto
dell'invenzione degli autori, i modi di procedere dinanzi ad un crimine sono assimilati dal pubblico che suppone
possano concretizzarsi nella realtà fattuale, quando cioè il crimine è un fatto di cronaca nera, realmente accaduto.
I media allo stesso tempo influenzano e guidano il modo in cui la realtà viene rappresentata e condivisa. Rispetto al
fenomeno criminale esercitano una pressione in merito a che cosa sia un crimine, a chi spetta il ruolo di vittima e da
chi aspettarsi invece la commissione del delitto sollecitando, nell'immaginario comune, l'assunzione di una netta
dicotomia fra chi assume la parte del buono e chi la dimensione del male e del cattivo.
L'opinione pubblica identifica il colpevole trovando cosi sollievo dall'idea che sia necessario far giustizia. Poco
interessa comprendere come si sia stretto il cerchio attorno ai presunti assassini, ne tantomeno se esista una sentenza
che abbia giudicato la colpevolezza del reo. Prioritario è individuare gli indagati come passo preliminare per
l'identificazione del colpevole. È chiaro che in un simile contesto la notizia viene frammentata e semplificata; si dà
rilevanza solo ad un elemento, dell'altro non si sa nulla.
Emblematica è la situazione che vede la certezza della colpevolezza ancor prima che sia stata emessa una sentenza. La
difesa, in un contesto così pregiudizievole, stenta a compiere il proprio mandato, sminuita e resa inefficace ma anche
giudicata come contraria alla giustizia. L'attenzione è quasi esclusiva sull'accusa. Anche chi ha il compito e le
competenze di perseguire i reati e di esprimersi in merito all'accaduto faticherà a mantenere le distanze
dall'indottrinamento mediatico; non sarà neutro alle pressioni mediatiche e sociali e la decisione risentirà
inevitabilmente di un pregiudizio.
A repentaglio è la capacità del pubblico di esaminare le situazioni proposte con uno sguardo libero da eccessivi
condizionamenti e di assumere una posizione propria in merito alle questioni di volta in volta sollevate.
Se i media propongono una visione di un reato come riprovevole, veicolano anche un giudizio valoriale su un
particolare reato, aumentando il livello di disvalore e di conseguenza di allarme sociale. Di contro, quando i media
trascurano un delitto, che per talune sue intrinseche caratteristiche risulta meno rilevante nell'alimentare la paura e la
percezione del rischio, il pubblico risentirà della scelta mediatica attribuendo un giudizio meno aspro e critico nei
confronti di quel crimine, avvertito come poco verosimile, distante e infrequente.
La realtà mediaticamente plasmata induce quindi ad azzardare valutazioni e ad anticipare la rappresentazione del
crimine enfatizzando oltremisura la percezione della diffusione della criminalità all'interno della società, in altri casi,
invece, la comunicazione di pubblica utilità insiste su di un dialogo costruttivo tra le istituzioni e i cittadini innescando
nel pubblico una visione positiva delle forze dell'ordine e del loro operato nella lotta al crimine. Imminente è il rischio
di una rappresentazione fantascientifica del lavoro degli operatori di polizia.
Rispetto alla medicina forense e alle perizie scientifiche è, in parte, determinata da quanto i media raccontano. Trova
luogo, allora, quello che è stato definito effetto CSI, ossia la sopravvalutazione del potere della scienza nel corso di
indagini e l'attesa pubblica della stessa qualità di risultati apprezzabili nelle serie televisive sul crimine. La fiction
incontra la scienza, significativa, nel contesto italiano, è stata la collaborazione fra gli sceneggiatori delle serie tv e
esperti del settore che si occupano realmente di quanto nei film è recitato.
La percezione della gravità del reato e quindi di allarme sociale e Insicurezza, determinati da quanto viene percepito
come inaccettabile dalla società.
È possibile, inoltre, una corrispondenza tra la percezione sociale della gravità di un reato e la promulgazione di leggi
ad hoc emanate al fine di punire tale reato. Se il crimine sollecita insicurezza, allarme sociale ed è percepito come
particolarmente doloroso. Il legislatore potrebbe procedere con un inasprimento delle pene o l'emissione di sentenze
più severe documentando così la dipendenza delle politiche criminali dal consenso popolare.
La pressione mediatica assolve, in realtà, anche ad una funzione protettiva rispetto al desiderio di farsi giustizia da sé
che viene sublimata affidandosi al potere dei Giudici più imparziali, diminuendo il desiderio di vendetta. I mass media
hanno l'enorme potenziale di poter agire sulla prevenzione della vittimizzazione; forniscono informazioni utili a
proteggersi dal divenire una possibile vittima, indicando ad esempio gli orari e i luoghi in cui con maggiore frequenza
avvengono aggressioni, quali i soggetti più esposti, di quale età e sesso e con quali caratteristiche. la strategia
mediatica più efficace consiste nel trasmettere al popolo la giusta dose di allarmismo sociale sufficiente ad attivare le
possibili precauzioni per proteggersi e sentirsi il più possibile lontani dal rischio. Sarebbe opportuno rendere la paura
meno invalidante, a favore, piuttosto, di una comunicazione funzionale a sviluppare un livello di sufficiente e
adeguata preoccupazione.
Questo permetterebbe a ciascuno l'assunzione della giusta quantità di tutele e cautele affinché non si diventi
protagonisti di eventi criminali e, allo stesso tempo, permetterebbe alla società di non vivere una condizione di
angoscia e ansia.

CAPITOLO 7
LE PROFESSIONI NEL CONTESTO GIURIDICO
Come descritto dalla Costituzione italiana, l'insieme di atti giuridici inerenti questioni riguardanti il rispetto della legge
coordinati e preordinati alla pronuncia del Giudice assumono il nome di processo o procedimento.
Il processo coinvolge sempre un Giudice e almeno due parti rappresentate da professionisti: un avvocato o un
procuratore legale.
Le controversie devono necessariamente essere risolte da un Giudice all'interno di procedure definite dal processo. La
controversia nel processo viene detto causa.
Il procedimento penale ha l'obiettivo di reprimere comportamenti che violano la legge italiana, che costituiscono reato.
Nel caso in cui questa valutazione sia positiva, il Giudice penale comminerà la pena adeguata al reato così come la
legge prevede e stabilisce. L'interesse che viene tutelato, in questi casi, non è solo di chi ha subito il reato ma
dell'intera collettività. La garanzia di un giusto processo offre la possibilità di salvaguardare e tutelare la parte lesa
così come quella offesa.
Il grande cambiamento avvenuto nel passaggio da una giustizia retributiva ad una riparativa si concretizza nella
considerazione della componente umana del reato.
 Il modello riparativo prevede, oggi, la rivalutazione della vittima ma anche dell'autore del reato in quanto la
violazione è considerata un reato contro la persona. Ciò ha permesso, in ambito minorile ma non solo,
l'affermarsi di una modalità alternativa di riparare al danno commesso.
La mediazione penale si afferma come un valido strumento utilizzabile per reati di minore allarme sociale in cui
vittima e reo diventano gli artefici principali del processo. La vittima ha così la possibilità di far emergere in piena
libertà i propri bisogni ed interessi effettivi, ma anche la componente più intima e profonda, le proprie paure e
preoccupazioni nonché la volontà di confrontarsi e guardare in faccia quello che in qualche maniera è la causa del
proprio dolore: contestualmente, al reo è concessa la così detta messa alla prova, ossia lo svolgimento di attività
riparative in grado di promuovere anche una maggiore contezza rispetto al proprio operato, una comprensione più
realistica delle conseguenze e delle implicazioni che la condotta violante hanno avuto sulla vittima.
Nell'ambito del procedimento penale tutto inizia con la notizia criminis.
Un reato che potrà configurarsi come doloso quando sono voluti i risultati verso i quali la volontà colpevole era
indirizzata; colposo quando l'evento anche se preveduto non è voluto ma si verifica per negligenza, imprudenza o
imperizia; preterintenzionale se l'evento cagionato è più grave di quello voluto intenzionalmente.
Nei casi più gravi il processo prende avvio anche se la vittima non dà notizia di reato. In questi casi è il Pubblico
Ministero (PM) che ha il compito di chiedere lo svolgimento del procedimento penale in nome anche della
collettività.
Nei casi meno gravi dove non è disciplinata la procedibilità d'ufficio, l'azione penale può iniziare solo su querela
della parte offesa.
La procedura penale inizia attraverso le indagini preliminari. Durante questa prima fase il compito del Pubblico
Ministero e della polizia giudiziaria è quello di svolgere le indagini e gli accertamenti necessari, al fine di determinare
l'esercizio o meno dell'azione penale.
Il Pubblico Ministero e la polizia giudiziaria dovranno acquisire elementi per determinare se vi siano o meno i
presupposti per procedere penalmente. Il Pubblico Ministero coordina e dirige l'indagine, ne è il capo e si avvale
dell'ausilio degli organi di polizia per la raccolta di quelli che saranno gli elementi probatori.
Se tali dati non saranno considerati sufficienti per l'accusa in giudizio, il Pubblico Ministero opterà per la richiesta di
archiviazione. In caso contrario, invece, mediante la richiesta di rinvio a giudizio si formulano i capi di imputazione
nei confronti dell'indagato che da questo momento diviene imputato.
Si passerà, così, all'udienza preliminare, una sorta di piccolo dibattimento. In questa fase, il Giudice per l'Udienza
Preliminare (GUP) ascolterà il Pubblico Ministero e l'imputato e, sulla base delle prove raccolte, decreterà il rinvio a
giudizio e dunque il passaggio all'udienza vera e propria, o emetterà sentenza di non procedere, non accogliendo la
richiesta del Pubblico Ministero.
L'eventuale richiesta di archiviazione della notizia di reato formulata dal Pubblico Ministero non implica
necessariamente né che essa venga accolta né tantomeno che il fatto reato non sussista o si sia verificato realmente.
Accogliere o meno la richiesta di archiviazione della notizia di reato avanzata dal Pubblico Ministero spetta sempre al
Giudice per le Indagini Preliminari (GIP).
Altra questione rilevante che non può essere trascurata è la correlazione tra la richiesta di archiviazione e la veridicità
del fatto. Il Pubblico Ministero propone di archiviare il caso quando la raccolta probatoria non è considerata
sufficiente per poter giuridicamente sostenere l'ipotesi che il fatto reato sia realmente avvenuto, ossia le prove non
sono così schiaccianti da permettere l'accusa in giudizio. Da ciò non si deduce automaticamente che l'evento delittuoso
non sia mai avvenuto ma che, piuttosto, nel momento contingente le prove non permettono di documentarlo.
Con il rinvio a giudizio si entra nella fase più importante e decisiva del procedimento, il dibattimento. In questa fase,
che prevede obbligatoriamente la presenza del Giudice (figura imparziale), del Pubblico Ministero che rappresenta la
pubblica accusa e dell'avvocato difensore, si assiste al contraddittorio tra le parti impegnate a cristallizzare le prove e a
formulare le proprie richieste.
A seguito di questo il Giudice si ritirerà in Camera di Consiglio ed emetterà sentenza. Importante ribadire che nel
processo penale gli elementi raccolti in fase di Indagine Preliminare non costituiscono la prova che il reato sia
avvenuto. Piuttosto si configurano come elementi probatori necessari per chiarire la possibilità del giudizio che,
tranne in particolari situazioni, non verranno accolte e considerate in fase processuale dal Giudice.
L'unico momento del procedimento in cui, invece, quanto riferito o riportato costituisce prova è quello del
dibattimento. Solo dinnanzi al Giudice dibattimentale si cristallizzano le prove. Unica eccezione sono gli atti
assunti mediante l'incidente probatorio. Questi, assumeranno valore di prova davanti al Giudice. Si tratta di atti
irripetibili, a garanzia della vittima e dell'indagato, compiuti da accusa e difesa, risultati di intercettazioni telefoniche
e ambientali, risultati di perquisizioni, ispezioni, sequestri che vengono richiesti dal Pubblico Ministero nella fase
investigativa e accordate alla presenza del Giudice per le Indagini Preliminari.
Nel primo grado di giudizio è possibile quindi distinguere tre fasi:
1. la fase investigativa in cui vengono svolte le indagini preliminari, l'udienza preliminare innanzi al
Giudice delle Indagini Preliminari e il giudizio dibattimentale. Il giudizio emesso in primo grado verrà poi
successivamente rielaborato da altri Giudici.
Sono infatti previsti tre gradi di Giudizio:
1. il primo con l'intervento del Tribunale, del Giudice di Pace o della Corte d'Assise;
2. il secondo appello mediante la Corte d'Appello e la Corte d'Assise d'Appello;
3. in ultimo, il ricorso per la Cassazione.
L'organo competente nei giudizi di terzo grado, la Cassazione, ha sede a Roma e ha l'onere di giudicare le sentenze
emesse da qualsiasi organo rispetto alla legittimità dell'applicazione delle leggi e dei regolamenti, non entrando nel
merito di come si siano svolti i fatti reato.
Nel giudizio di secondo grado, detto anche di appello, la questione viene riesaminata da un diverso Giudice che
emetterà altra sentenza confermando, annullando o modificando la decisione posta in essere in primo grado.
Ulteriore grado di giudizio, il terzo, detto anche di Cassazione, ha lo scopo di riesaminare la sentenza di appello.
Le due principali figure che permettono la sinergia tra l'ambito giuridico e quello prettamente scientifico sono il
consulente tecnico ed il perito. La consulenza tecnica in ambito civile prevede da un lato il consulente tecnico
d'ufficio CTU, che svolge, il ruolo di ausiliario del Giudice in un rapporto fiduciario qualora si renda necessaria una
particolare conoscenza tecnica per il compimento di singoli atti o per tutto il processo e dall'altro i consulenti tecnici
di parte, detti CTP, ossia quei consulenti che assistono le parti durante lo svolgimento dell'indagine. Qualora il
Giudice decida di avvalersi di un consulente tecnico, le parti hanno un termine entro il quale anche essi potranno
nominare il proprio consulente tecnico di parte il quale, oltre a prendere parte alle operazioni peritali poste in essere
dal consulente tecnico di ufficio, parteciperà all'udienza e alla camera di consiglio ogni volta che interverrà il
consulente del Giudice per chiarire. Il ruolo del consulente comporta grande responsabilità. In campo penale, invece,
si parla di perizia, si ricorre alla perizia che costituisce mezzo di prova poiché sostenta le conoscenze del Giudice. Le
parti possono avvalersi dei propri CTP, anche in casi in cui non sia stata disposta la perizia da parte del giudice.
Lo psicologo che svolge il suo incarico peritale in ambito penale, potrà dedicarsi alla valutazione dello stato mentale
dei vari soggetti nel processo, vieta, in modo perentorio, di effettuare in fase processuale indagini di tipo
criminologico sul carattere e sulla personalità dell'imputato. Il legislatore impone tale divieto per prevenire
l'attribuzione della colpevolezza di un reato sulla sola base del profilo personologico.
La psichiatria entra nel panorama penale ai fini di periziare, in particolare, la responsabilità penale o pericolosità
sociale e la valutazione della capacità di intendere e di volere dell'imputato.
La capacità di intendere e volere è un concetto centrale in ambito penale.
I presupposti per l'imputabilità sono sempre specifici, vale a dire che nella valutazione psichiatrica non si potrà
dedurre la presenza o meno della capacità di intendere e volere solo sulla scorta di conoscenze pregresse sul presunto
reo. Tutto dovrà, invece, basarsi sullo studio di quanto avvenuto in quella specifica contingenza delittuosa. Una
persona malata non implichi necessariamente che sia inferma.
Il criminologo, è un’altra figura professionale che a titolo entra nello scenario del procedimento penale. Mediante il
così detto criminal profiling è possibile stendere una relazione sulle caratteristiche della personalità e del
comportamento dell'autore del crimine. Partendo da un'attenta analisi delle modalità esecutive del reato quindi del
modus operandi dell'aggressore seriale, dei luoghi prescelti come scena del delitto, della selezione della vittima e
del suo rinvenimento, la tecnica criminologica permette di chiarire informazioni che aiutino nell'identificazione di
criminali non noti.

CAPITOLO 8
IL DUBBIO NELLE PROVE SCIENTIFICHE
Il tema della prova scientifica è sempre più rilevante nell'ambito giuridico e nella rappresentazione mediatica del
processo penale. L'Italia mostra un ritardo rispetto alla questione della prova nella scienza del comportamento. Si
tratta di elementi probatori di notevole importanza capaci di decretare, o contribuire a farlo, il verdetto di una sentenza
e ancor più il destino di esseri umani. Un contributo essenziale nel processo penale, ma meritevole di estrema
attenzione e cautela, così come da non trascurare sono i potenziali errori metodologici derivanti dalla conduzione
della perizia. Non ogni professionista gode infatti del medesimo livello di competenza anticipando così l'aspetto della
soggettività dell'esperto, disattenzione o attenzione, puntualità, potenziale superficialità nella raccolta di prove
scientifiche.
Scientifico è quel metodo che si svolge attraverso il dialogo tra esperti e fornisce criteri di controllabilità degli
enunciati che ne scaturiscono. Il cui fine ultimo e quello di garantire una ricostruzione della realtà il più fedele e
aderente possibile a quanto realmente accaduto.
La disciplina della prova e il pensiero critico dell'esperto, che contribuisce a rendere la ricostruzione della verità il più
possibile neutra e scevra da elementi di valutazione soggettivi, sono diretta espressione del mandato costituzionale di
decidere le sorti di una persona in assenza di pensabili dubbi.
La garanzia del giusto processo, a tutela della vittima ma anche dell'imputato, si rende evidente più che mai in questa
circostanza che mira a supportare l'imputato offrendogli una posizione di vantaggio nella misura in cui 'insinuazione
di un dubbio in merito alle affermazioni avanzate dalla controparte sono sufficienti a destrutturare il castello
accusatorio. Non è necessario che ogni singolo elemento probatorio, che durante procedimento ha luogo, venga
valutato e assunto solo se non è ravvisabile un potenziale dubbio rispetto alla sua interpretazione. Si procede, invece,
con l'acquisizione di ciascuna componente che, presa congiuntamente alle altre ed in considerazione dell'insieme di
quanto rilevato, andrà a costituire la prova che ritenga sussistere il ragionevole dubbio.
Le modalità processuali e il rispetto delle regole che garantiscono la corretta conduzione del sistema legale permettono
un adeguato livello di giustizia nell'esercitare il potere di giudizio: l'apparato normativo consente, cioè, di limitare il
libero arbitrio di chi con competenza e professionalità è titolato a giudicare l'imputato rendendo così nullo, o tentando
di renderlo tale, il rischio dell'instaurarsi di un regime oligarchico. Proprio nell'intento di controllare il più possibile la
soggettività di coloro i quali hanno l'onere di giudicare la colpevolezza o l'innocenza dell'agito umano si è andata via
via affermando una sorta di scientifizzazione del processo, un'evoluzione considerata efficace per prevenire errori
giuridici.
L'opinione pubblica fa costantemente i conti con le pressioni mediatiche e con quanto i mass media desiderano che
l'utenza pensi e rappresenti della realtà; compresi in tale processo sono anche quelle figure professionali deputate al
giudizio. Scarsa o nulla è allora la fiducia in merito alla neutralità che al Giudice viene richiesta nell'emettere
sentenza.
Altrettanto vero è, tuttavia, che il ricorso ad un metodo rigoroso e scientifico assicura al Giudice, detto peritus
peritorum, potenzialmente essendo poi sua la discrezionalità di assumere o meno il parere dell'esperto, quegli
strumenti conoscitivi e di approfondimento che risultano attendibili, sicuri, oggettivi e standardizzabili per la messa in
campo di una maggiore razionalità. Si parla sempre di una prossimità, quindi di una costruzione il più possibile vicina
a quella sostanziale, nella consapevolezza però che il rigore metodologico mai permetterà di parlare di assoluta
certezza. Il popolo si costruisce un'idea di cosa possa significare la collaborazione tra il sapere scientifico e quello
giuridico attraverso l'informazione sul tema che giunge nelle proprie abitazioni tramite i media.
La rappresentazione mediatica del crimine, di come possa essersi svolto, del modo di condurre le indagini
investigative, della raccolta ed elaborazione delle prove che permettono di identificare il colpevole, sollecita una falsa
credenza rispetto all'infallibilità e incontestabilità della scienza. Sfugge la riflessione rispetto al fatto che la prova è
comunque soggetta ad errore e che è impossibile determinare relazioni di causa ed effetto. Lo strumento probatorio
deve, cioè, avere le caratteristiche della controllabilità intersoggettiva e della giustificabilità di metodi adoperati e
risultati raggiunti. Parte integrante di tale definizione è l'imprescindibile necessità di dovere di volta in volta vagliare
ogni nuova acquisizione per chiarire se tale conoscenza è scientificamente ammissibile nell'ambito della disciplina di
afferenza. Diviene allora più che mai necessario favorire un dialogo costruttivo tra il campo giuridico e quello
scientifico. I progressi della ricerca condivisi dalle comunità scientifiche di riferimento dovrebbero essere acquisiti e
assunti nel mondo del diritto.
CAPITOLO 9
NEONATICIDIO, INFANTICIDIO E FIGLILICIDIO
La donna fin da piccola, veniva educata e socializzata all'accudimento della famiglia e al prendersi cura delle persone
care. Dall'uomo ci si attende una maggiore autorevolezza, considerato il depositario di un codice etico di norme, valori
e comportamenti desiderabili e da rispettare. Oggi, è tangibile una minore rigidità nella concezione dei ruoli a favore
di una maggiore flessibilità nell'adeguarsi alle esigenze. Dinanzi all'evoluzione dei ruoli di genere, quello che invece
permane in modo strutturato è la difficoltà a comprendere come la funzione protettiva e accogliente di una madre
possa esitare, in talune condizioni, nell'uccisione della propria prole.
L'ordinamento giuridico italiano non disciplina nello specifico il figlicidio, quanto piuttosto definisce 'infanticidio e
l'omicidio.
"La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto,
quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la
reclusione da quattro a dodici anni". Come riporta l'articolo, l 'infanticidio vede come parte attiva la madre che
procurerà la morte di un neonato nelle immediate circostanze di un parto.
Altra circostanza diviene l'uccisione di un figlio fuori dalla condizione dell'infanticidio che entra a far parte della
fattispecie di omicidio sancito dall'articolo 575 del Codice penale che impone la reclusione non inferiore ai ventuno
anni per chi cagioni la morte del proprio bambino.
Questo reato, apparentemente incomprensibile, potrebbe essere utile esaminare anche lo stato mentale della donna
autrice.
È noto che subito dopo il parto, l'enorme stravolgimento fisico, organico, ormonale, psicologico ed identitario cui la
donna va incontro può sfociare in stati emotivi caratterizzati dalla deflessione del tono dell'umore, come descritto dalla
condizione del maternity blues, della depressione post-partum o ancor più grave dalla psicosi puerperale.
L'alterazione del tono dell'umore, la labilità emotiva del maternity blues che si risolve nel giro di qualche giorno
dopo il parto e che non assume la gravità di una depressione, colpisce circa il 70% dei casi.
La morbosità invece implica che la condizione deflessa del tono dell'umore con aspetti inerenti l'apatia, senso di
inadeguatezza rispetto al figlio, la mancanza di volontà e impegno, disturbi del sonno e inappetenza colpisca il 20-
25% dei casi.
La psicosi puerperale connotata da deliri e allucinazioni è molto meno frequente, un caso su 1000/2000, ma si
rivela anche la più rischiosa per il figlicidio.
La criminologia propone di etichettare diversamente reati che hanno delle sfumature differenti. Per cui, il neonaticidio
si verifica con l'uccisione del figlio, di solito indesiderato, immediatamente dopo il parto; L'infanticidio con l'uccisione
del figlio con età inferiore ad un anno; figlicidio o liberticidio con l'uccisione del figlio dopo l'anno di vita. Una
classificazione del figlicidio basata sul movente che porta ad uccidere:
 il figlicidio altruistico a cui molto spesso segue il suicidio materno portando a parlare di suicidio allargato. La
madre pone fine alla vita del proprio bambino nell'intento salvifico di proteggerlo dalla sofferenze che
patirebbe per una condizione di disagio fisico o psichico.
 Nei casi in cui un genitore uccide in preda ad un delirio e dunque ad allucinazioni di tipo visivo o uditivo, o
entrambe, che impongono di porre fine alla vita del proprio bambino, si tratterebbe di figlicidio ad elevata
componente psicotica.
 Il figlicidio di bambino indesiderato ha luogo nel momento in cui il bambino viene ucciso perché concepito
al di fuori di una relazione extraconiugale o la madre è immatura da un punto di vista cronologico, ma anche
di sviluppo cognitivo e di identità di sé.
 Il figlicidio accidentale in cui la madre è solita mettere in atto comportamenti violenti che, a seguito
dell'ennesimo scoppio di ira, ne provocherà la morte.
 Il figlicidio per vendetta sul coniuge, questo omicidio, anche plurimo dei figli, perpetrato per motivi
sentimentali, psicologici, di rado a causa di interesse, viene attribuito dagli analisti alla madre abbandonata o
tradita che si vendica del marito.
 Il figlicidio causato da un agire omissivo di madri passive e negligenti e dunque madri che a causa di
giovane età o altre motivazioni non riescono ad occuparsi del bambino in modo adeguato; percepiscono il
proprio bambino come una possibile minaccia o, al contrario, lo percepiscono come invadente. La presenza di
patologia caratterizzata da scompensi psicotici. La morte è provocata non da agiti violenti intenzionali a ledere
l'integrita del bambino, quanto piuttosto a condotte di tipo omissivo e passive.
 Altre madri uccidono i propri bambini trasformati in capri espiatori di tutte le loro frustrazioni, attribuendo
al minore le cause di una esistenza insoddisfacente. Manifestano la convinzione che il bambino abbia
trasformato in modo irreparabile il proprio corpo, di essere un ostacolo ad una vita felice con il proprio
partner. La patologia in queste circostanze è spesso di tipo paranoide, persecutorio e delirante.
 Vi sono poi madri che negano la gravidanza e focalizzano il neonato.
 Donne che non riconoscono la loro condizione di gestanti tentano di camuffare i cambiamenti fisici che ne
caratterizzano la condizione di donne gravide. Spesso non ricorrono alle cure mediche e partoriscono sole, ad
esempio in bagni pubblici o discariche, abbandonando poi il neonato subito dopo. Il figlio è considerato alla
stregua di un prodotto fecale, quasi come se fosse un oggetto non umano.
 Altre madri spostano sul figlio il desiderio di uccidere la propria madre, indice di un rapporto fortemente
conflittuale con la stessa verso la quale sono provati sentimenti di rabbia e desideri di annientamento. Si è di
fronte ad una vera e propria introiezione del desiderio di uccidere e sul cui figlio viene proiettata la carica
distruttiva.

CAPITOLO 10
FORME DI ABUSO ALL’INFANZIA
L'abuso all'infanzia è di certo un fenomeno molto complesso che deve necessariamente essere affrontato con la
massima serietà e competenza da parte degli operatori che, a vario titolo, ne entrano in contatto. Le condotte
riconducibili a forme di abuso all'infanzia non sono certo un fenomeno recente. Riguardano piuttosto l'umanità dal
momento stesso del suo esistere.
Condivisa era l'idea che il bambino dovesse essere educato e che per raggiungere questo obiettivo fosse lecito
utilizzare qualsiasi metodo e mezzo purché efficace. Il medesimo sistema di istruzione e scolastico prevedeva l'uso
anche della punizione fisica, considerata come un buon metodo educativo e pedagogico. minori. È solo nel 1800 che è
stato riconosciuto, sul piano clinico e sociale, che vi fossero forme di violenza in grado di ledere un buono e sano
sviluppo del fanciullo. Anche giuridicamente, nella metà del Novecento, il minore comincia ad essere riconosciuto
nella sua entità, valorizzandone i diritti alla nascita, all'istruzione, al gioco o alle attività ricreative, alla protezione e a
vivere in un clima di comprensione e tolleranza.
La convenzione internazionale dei diritti del fanciullo, proclamata dall’assemblea generale delle nazioni unite nell’89
a New York ha sancito il pieno riconoscimento dei diritti dell’infanzia. Gli stati che hanno sottoscritto la Convenzione
hanno proclamato il loro impegno ad adottare e mettere in ca,po tutti gli strumenti utili e finalizzato alla protezione
della personalità del minore.
“gli stati parti adottano ogni misura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per tutelare il fanciullo contro
ogni forma di violenza, di oltraggio di brutalità fisiche o mentali, di abbandono o negligenza, di maltrattamenti o di
sfruttamento…”
Nella metà del XX secolo la questione dell'abuso all'infanzia emerge in modo prepotente su un piano medico e sociale.
Nel 1962, il pediatra inglese Kempe ed i suoi collaboratori introducono la sindrome del bambino percosso ponendo le
basi per un'attenzione di tipo scientifico al fenomeno. Solo a partire da questo momento storico alcune pratiche, che
venivano prima legittimate e condivise nella cultura, vengono messe in discussione e identificate come
potenzialmente lesive.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2002 definisce la violenza e l'abuso all'infanzia come tutte quelle
forme di cattivo trattamento fisico o di potere, abuso o sfruttamento sessuale, incuria o trattamento negligente,
minacciato o effettivo, agito da un individuo o da un gruppo a danno di bambini in grado di ledere realmente o
potenzialmente la salute, la vita, lo sviluppo o la dignità delle vittime. Le forme di abuso all'infanzia sono molteplici e
di non netta e chiara distinzione. Nel corso degli anni sono state identificate nuove forme di maltrattamento e abuso a
danno di minori.
Le forme di abuso sono classificate in tre macro categorie:
 maltrattamento,
 patologia delle cure
 abuso sessuale.
Il maltrattamento comprende la variante fisica e psicologica. La prima si verifica quando il genitore o chi si prende
cura del minore esegue. permette che si esegua o mette il bambino in condizioni di subire aggressioni fisiche,
sottoponendolo a punizioni corporali gravi o in grado di metterne in pericolo l'integrità fisica e psicologica, attentando
così alla vita del minore e alla sua dignità. Non sempre il maltrattamento fisico lascia sul corpo del bambino segni che
possano far pensare che sia oggetto di reato. Anche le mutilazioni genitali femminili, pratiche ancora presenti in alcuni
Paesi del mondo, possono essere considerate forme di maltrattamento fisico. Quando vi è maltrattamento fisico, quasi
sempre è possibile identificare anche forme di maltrattamento psicologico che si verifica in presenza di svalutazioni,
umiliazioni, denigrazioni, sevizie psicologiche continuative e durature nel tempo attraverso frasi o comportamenti. Nei
casi di separazione e divorzio e di coinvolgimento del minore nelle dinamiche di conflitto fra i due genitori è possibile
parlare di maltrattamento psicologico, ciò fa si che sono fortemente compromessi il livello di autostima. La percezione
di sé come competente e le capacità di relazione. Visto l'essere un soggetto in divenire, anche la struttura di
personalità, che proprio in questi anni viene a formarsi, può subire conseguenze di notevole rilevanza.
La maggior parte delle forme di abuso si verifica entro le mura domestiche, all'interno delle dinamiche relazionali
familiari. È il caso delle patologie delle cure. I caregiver, i genitori o chi si prende cura dei bambini hanno
'importantissimo compito di rispondere adeguatamente e coerentemente ai bisogni affettivi, emotivi, fisici e sociali dei
propri figli rispetto allo specifico momento evolutivo. Talvolta, però, tali cure possono apparire inadeguate, carenti o
eccessive. Si parla allora di incuria, intendendo l’omissione o la carenza di cure nei confronti del fanciullo, quando
l’adulto responsabile non fornisce quanto necessario al soddisfacimento dei bisogni del minore. Si denota l'incapacità
dei genitori a comportarsi in modo adeguato al fine di tutelare la salute del minore. La trascuratezza si configura non
solo da un punto di vista fisico ma anche da un punto di vista affettivo con l'assunzione di comportamenti neganti de
bisogni emotivi del soggetto in divenire. Nel caso della discuria, invece, le figure genitoriali rispondono ai bisogni del
bambino in modo distorto o inadeguato anche in relazione alla fase evolutiva di questo, da un lato anticipando i
compiti evolutivi e dall'altro rallentandone il raggiungimento di obiettivi di sviluppo o, ancora, manifestando
iperprotettività. Nei casi di una eccessiva protezione da parte del nucleo, sono ravvisabili forme di ipercura. Una
particolare forma di ipercura è la Sindrome di Münchausen per procura che riguarda l'induzione in modo costante di
sintomi in un soggetto minore al fine di portare a credere che questo sia malato. Si caratterizza per comportamenti in
prevalenza messi in atto dalla madre, che trasferisce per procura nel figlio condizioni di malessere fisico, che di fatto
sono fantasticati. L'attribuzione materna riflette in realtà un disagio della donna che proietta sul figlio le proprie ansie
e preoccupazioni tanto da ritenerlo malato. Rientrano nell'ipercura anche le condotte del chimical abuse e del medical
shopping. Il primo si configura nella somministrazione di farmaci e sostanze chimiche, o anche innocue come sale e
acqua, che inducono un danno allo stato fisico e psichico del bambino quando somministrate in dosi eccessive a causa
della disfunzionale convinzione del genitore. Il secondo si sostanzia nella preoccupazione del genitore o dei genitori
per la situazione di salute del bambino che viene sottoposto a frequenti e inutili accertamenti che servono a soddisfare
il bisogno di rassicurazione dell'adulto.
Per abuso sessuale si intende ogni situazione in cui il minore venga coinvolto in atti connotati sessualmente ai quali
non può prestare consenso in virtù dell'età e di conseguenza dell'immaturità psicologica. Vengono considerate forme
di abuso sessuale mascherato anche forme di seduzione e erotizzazione che suscitano nel minore disagio e sofferenza.
l'abuso sessuale si distingue in intrafamiliare-intradomestico, quando agito da un componente della famiglia che vive
con la vittima: intralamiliare-extradomestico se il soggetto abusante fa parte del sistema familiare ma non coabita con
il bambino: infine, extrafamiliare quando compiuto da persone sconosciute al nucleo familiare. Molto di rado l'abuso
sessuale viene consumato con l'uso della forza e della violenza, motivo per il quale difficilmente sarà possibile
vederne segni tangibili. Anche lo sfruttamento sessuale è da considerare una forma di abuso attraverso la
pedopornografia, la prostituzione minorile e il turismo sessuale. L'avvento delle nuove forme di comunicazione e l'era
digitale hanno dato avvio ad un nuovo modo di consumare l'abuso che si avvale della rete Internet. La centralità e la
rilevanza delle modalità new mediatiche nell'approcciare un minore con finalità sessuali convergono nell'introduzione
del nuovo reato di adescamento di minorenni, fattispecie che si verifica in presenza di atti volti a carpire la fiducia del
minore con età inferiore ai sedici anni mediante artifici, lusinghe o minacce.
Nell'ambito della protezione e del recupero dei minori vittime di abuso e sfruttamento sessuale, fondamentale è stata
l'approvazione del disegno di legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote da parte del Parlamento italiano. La
legge n. 172 del 1° ottobre 2012 esplicita l'impegno nazionale alle politiche di protezione dei minori. Le importanti
modifiche al codice penale e procedurale italiano, significano anche l'inasprimento delle pene per chi si macchia di
alcuni dei reati sessuali previsti a danno di un minore e l'introduzione di reati specifici, come quello dell'adescamento
di minorenni, anche attraverso le nuove tecnologie. L'adescamento online, il così detto grooming, ha lo scopo di
coinvolgere il minore in attività sessuali ad un livello virtuale esitando possibilmente nella commissione di reati
connessi all'abuso e allo sfruttamento sessuale dei minori.
Le conseguenze derivanti dall'essere vittima di fenomeni abusanti, indipendentemente dalla forma che tale condotta
assume, dal maltrattare psicologico fino all'ipercura, possono essere devastanti. Si parla, infatti, di effetti a breve e
lungo termine che si manifestano a livello fisico, comportamentale ed emotivo. Quindi la compromissione può
risultare significativa. Parlare di abuso all'infanzia implica necessariamente fare riferimento al problema degli
indicatori dell'abuso. Il rilevamento di uno o più segni non definiscono in modo automatico la situazione come
necessariamente di abuso sessuale o maltrattamento. Il medesimo quadro psicologico, potrebbe derivare dall'essere
stata vittima di un abuso così come dal vivere quotidianamente una dinamica familiare invischiante o di separazione
conflittuale dei genitori. Questo suggerisce cautela nell'affrontare e pensare alla possibilità di un abuso all'infanzia.
Saranno le osservazioni svolte in vari ambiti, come quello scolastico e relazionale e l'attenta valutazione medico-
psicologico-sociale, che contribuiranno a far luce sull'ipotesi formulata.

CAPITOLO 11
PEDOFILIA
La pedofilia ebbe la massima diffusione tra il VI e il IV secolo a.C. a Sparta e Atene. Consisteva all'epoca in un
rapporto sessuale tra adulti maschi e adolescenti. Da questa breve disamina storica, emerge come il fenomeno della
pedofilia, con tutte le sua varie sfaccettature, sia esistito sempre, in ogni epoca storica e gruppo sociale; non se ne
aveva, però, la consapevolezza dei tempi recenti. Al giorno d'oggi la pedofilia è riconosciuta come un grave problema
sociale, oggetto di indagine e riflessione per professionisti di vari campi del sapere. La pedofilia è uno spostamento
dell'interesse sessuale verso un soggetto differente da quello tradizionale, come accade nelle varie casistiche che si
annoverano sotto il termine parafilia. In particolare, nella pedofilia l'oggetto verso cui viene orientato l'interesse
sessuale è, in realtà, vero e proprio soggetto: si tratta di bambini in età prepubere.
La perversione connota ciascuno nei momenti di sconforto e di difficoltà. La differenza sta nel modo in cui i soggetti
fanno uso della perversione, una circostanza è quella in cui, nel tentativo di non sentirei questo vuoto interiore i
soggetti ricercano, attraverso la sottomissione dell’altro, di ristabilire una situazione di controllo che allontani
l’angoscia di non poter controllare la sofferenza. Per poter esercitare tale potere, il soggetto deve essere
potenzialmente meno forte di me e i bambini, notoriamente, e per essa stessa natura, sono meno forti dell'adulto. La
trattazione clinica di questa sindrome ha messo in luce come, attaverso la messa in atto di comportamenti sessuali e
sessualizzati, il soggetto con condotte pedofiliche, esperendo una sensazione di dominio, controllo e potere, cerchi di
porre l'altro in una condizione di sudditanza, di dipendenza e di soggezione. Emerge la difficoltà relazionale di questi
soggetti che non si sentono competenti rispetto alla creazione di una relazione alla pari con un soggetto adulto.
Quando tentano di entrare in contatto e relazionarsi con partner coetanei spesso l'esperienza appare insoddisfacente e
poco gratificante. Talvolta, è proprio sulla scorta dei fallimenti relazionali che prende avvio la regressione, con
possibili cadute in comportamenti, ritirandosi socialmente ed infine investendo l'affettività e la sessualità verso
l'innocente debolezza infantile.
L'attrazione erotica e l'interesse sessuale verso i bambini possono anche rimanere inattuate; oltre al pedofilo attivo, ce
ne sono altrettanti che non prendono l'iniziativa o ricorrono a condotte sessuali incomplete, limitandosi a guardare.
toccare, accarezzare, masturbarsi in presenza del minore o ricercare materiale pedopornografico. L'era digitale ha
senz'altro facilitato lo sviluppo e il reperimento di immagini o video, i cui protagonisti sono minori vittime di abuso
sessuale. Nel sexting, l'uso di supporti elettronici per scambiare foto esplicitamente erotiche, il corpo e l'esibizione di
questo viene utilizzato come modalità per ricevere consensi e per raggiungere un buon livello di popolarità come
anche di affermazione nel gruppo dei pari. In alcune circostanze vengono prodotti a seguito di richieste da parte di
adulti in cambio di ricariche telefoniche o regali di vario genere. L'utilizzo della rete Internet diviene, infatti, terreno
fertile per il grooming, l'adescamento del minore. Adescare consiste nell'attirare a sé con lusinghe un altro individuo.
L'adescamento pedofilico online si caratterizza per la ricerca da parte del soggetto adulto di minori, utilizzando
strategie e modalità comunicative finalizzate ad instaurare con questo un rapporto privilegiato e di fiducia, di tipo
esclusivo. L'accurata selezione delle vittime, bambini spesso inseriti in contesti familiari e sociali in cui le relazioni
sono deboli e scarse, particolarmente ingenui e vulnerabili, con genitori poco attenti o percepiti come tali dal minore,
con possibilmente una limitata disponibilità economica, costituisce il primo step del contatto iniziale. L'incontro
virtuale è inizialmente finalizzato alla creazione di un'amicizia che diviene poi relazione di fiducia. Gli argomenti non
sono sessualmente connotati quanto piuttosto orientati ad ottenere il maggiore quantitativo di informazioni riguardanti
il minore. Dall'amicizia superficiale si passa lentamente alla creazione di una relazione intima volta a carpire la fiducia
del minore che diverrà strumentale nell'indurre il bambino a tollerare le dinamiche abusanti cui verrà sottoposto. La
manipolazione mentale da un punto di vista psicologico induce il bambino ad affidarsi al livello di fiducia
consolidatosi nella relazione. La strumentalizzazione di tale accordo predispone all'esclusività relazionale.
L'adescatore induce la vittima a tenere segreta questa relazione perché altri potrebbero rovinarla con la loro presenza o
interessamento, inducendo così una forma di isolamento e riduzione delle relazioni con altri, utile a esercitare un
maggiore potere e fortificare la necessità di questa relazione. Il passaggio successivo, che non sempre trova luogo,
prevede il contatto faccia a faccia con l'adescatore, l'incontro off-line, reale.
Le devastanti conseguenze derivanti dalla vittimizzazione virtuale sono mediate dalla vulnerabilità individuale del
minore. L'impotenza e l'incertezza sperimentata dinanzi ad una situazione che vincola la vittima tenendola in trappola,
senza la possibilità di conoscere l'esito del misfatto, se è plausibile uscirne o sapere chi effettivamente visionerà il
materiale e che uso ne farà, si associano a intense emozioni di paura e pressione causata dal giudizio altrui, il timore di
non essere riconosciuti come vittime e una netta diminuzione del rispetto verso se stessi e del livello di autostima. È
possibile che le implicazioni negative inficino il rendimento scolastico, oppure la fiducia verso se stessi e gli altri, a
cui potrebbe far seguito il ritirarsi socialmente, fino ad arrivare alla messa in atto di condotte suicidare o parasuicidarie
come tentativo estremo per sottrarsi al senso di impotenza. Non tutti gli abusi sessuali compiuti a danno di minori
sono da imputare a soggetti con una sindrome quale la pedofilia.
La pedofilia non è il comportamento, ma il sentimento, la tendenza a ravvisare in un bambino l'oggetto del desiderio
sessuale. Il sensazionalismo creato da una notizia di giornale in cui viene proclamato a gran voce l'arresto di un
soggetto per pedofilia è già una grande disinformazione. La legislazione italiana non prevede il reato di pedofilia bensì
quello di violenza sessuale. Non è neppure corretto affermare che i pedofili vogliono, con il loro comportamento,
arrecare danno ai bambini. sessuofobica. L'amore è totalizzante, geloso, ossessivo volto al possedimento di tutto il
corpo, di tutta la persona del bambino.
Altro elemento di cui tenere conto sono le ripercussioni sui minori delle informazioni che vengono loro trasmesse in
merito alla pedofilia e all'abuso sessuale in termini più generali. Porre al bambino una visione del mondo fortemente
connotata dal rischio di poter essere oggetto di attenzioni sessuali da parte di un adulto, potrebbe innescare nel
bambino un sentimento di sfiducia verso il mondo dei grandi.
Il numero di reati sessuali a danno di minori avviene in modo preminente all'interno delle relazioni familiari o
strettamente amicali.
I bambini sono facilmente suggestionabili e dinanzi a certi tipi di notizie possono reagire raccontando di essere stati
protagonisti di interessi sessuali. Per un bambino è spesso difficile discernere che cosa appartiene al mondo della
realtà e che cosa è prodotto della fantasia.

CAPITIOLO 12
DEVIANZA MINORILE
Quando si parla di devianza o criminalità è automatico che si faccia riferimento sia a coloro che mettono in atto la
condotta antisociale sia alle vittime del comportamento stesso. Erikson (1984) riflettendo sui notevoli e repentini
cambiamenti che connotano la fase adolescenziale, ha teorizzato che proprio in questa fase si colloca il rischio più alto
nello svilupparsi di una identità deviante. In questo momento di ristrutturazione cognitiva rispetto all'immagine di Sé
ai cambiamenti fisici, relazionali e sociali, il soggetto adolescente è alla ricerca di una nuova identità che lo
rappresenti. L’identità negativa, cioè un'identità perversamente fondata su tutte quelle identificazioni e quei ruoli che,
in certi stadi critici dello sviluppo, erano stati loro presentati come indesiderabili o pericolosi, eppure molto reali. Il
processo evolutivo risulta complesso e articolato con possibili momenti di regressione infantili o di marcata
conflittualità nei confronti delle figure parentali. In alcuni casi, però, alle normali difficoltà del processo evolutivo, si
aggiungono situazioni di insufficienze individuali, familiari e sociali che mettono molto più a rischio il processo di
crescita, facilitando così la trasformazione del disagio in devianza. Coerentemente ed in modo indipendente dal sesso,
i principali fattori di rischio della criminalità giovanile coinvolgono e chiamano in causa soprattutto la dimensione
sociale e familiare. Infatti, è stato documentato che la povertà, l'impossibilità di progettare e pensare al futuro in modo
possibilistico a causa della forte crisi nell'occupazione, la precarietà del sistema famiglia connotato da un numero
sempre maggiore di separazioni e divorzi, l'esclusione sociale, causano marginalizzazione e, i giovani marginalizzati,
di entrambi i sessi, sono più suscettibili a sviluppare e mantenere quadri e comportamenti delinquenziali.
È così che formano bande e gang per soddisfare il bisogno di appartenenza e contrastare il senso di isolamento e
solitudine, mettendo in atto comportamenti aggressivi etero e auto diretti con episodi di autolesionismo fino al
suicidio, agendo condotte ad alto rischio sfidando i propri limiti e mettendo in pericolo la vita propria e altrui. Sembra
quindi che la devianza nasca in un ambiente più intimo rispetto a quello in cui poi si afferma. Un comportamento è
definibile deviante nel momento in cui viola le norme di una collettività e dalla sua messa in atto ne consegue una
qualche forma di sanzione. I comportamenti devianti possono essere messi in atto da un singolo soggetto e/o da un
gruppo di individui, possono essere fisici ma anche verbali.
La prima differenza da menzionare è quella che riguarda i dati quantitativi: il numero degli uomini coinvolti nel
sistema della Giustizia è molto più alto del numero delle donne. L'iniziazione al comportamento criminale minorile
maschile sembra riflettere la tendenza comportamentale e l'atteggiamento dei genitori. La costante esposizione a
nervosismo, agitazione e rabbia cui fa seguito un fallimento dei processi regolatori delle emozioni sperimentate nel
contesto familiare potrebbe aumentare il rischio del passaggio all'atto deviante. I giovani agiscono tipicamente furti,
crimini contro persone e proprietà, danni personali, violenza privata e nei casi più gravi anche omicidi sia verso
conoscenti che verso sconosciuti.
Le ragazze mostrano, invece, maggiore sensibilità al diniego, alla mancata approvazione, vicinanza e interesse da
parte dei genitori. La violenza femminile, differente da quella maschile premeditata e graduale se si considera l'esordio
intimidatorio e minaccioso, appare inaspettata, imprevedibile dinanzi ad un improvviso discontrollo degli impulsi. I
crimini e i comportamenti delinquenziali commessi risentoo della criticità sentimentale e relazionale sperimentata in
famiglia, soprattutto il rapporto disfunzionale è con il caregiver. Se la devianza degli uomini connessa all'aggressività
che i modelli parentali esibiscono e alla difficoltà a canalizzare e regolare gli stati emotivi negativi che trovano nel
comportamento aggressivo la modalità per scaricarsi, quella delle donne è spiegata facendo ricorso alle dinamiche
familiari e ai problemi sentimentali.
Un fenomeno così marcatamente sociale come quello della criminalità minorile non può essere considerato in modo
avulso, come un fatto a sé stante solo influenzato dagli stereotipi di genere ma, per essere compreso
approfonditamente, necessita di essere inserito nel contesto culturale e familiare che lo ospita.
i soggetti devianti appartengano a certi specifici livelli della società, quelli medio-bassi, poveri, definibili come
contesti privi di tradizione e disciplina. Il background culturale e sociale, nella misura in cui correla con l'assenza di
auto-disciplina, mancanza di auto-controllo e difficoltà nel gestire le criticità, potrebbe tradursi in un sentimento di
leggerezza con cui la vita viene vissuta accompagnato da un continuo amore per l'avventura.
È tuttavia vero che non tutta la popolazione in condizioni di svantaggio e precarietà manifesta poi degenerazioni
comportamentali. Piuttosto il dato statistico allontana da tale stigmatizzazione evidenziando come al disagio sociale
non necessariamente si associa un maggiore tasso di devianza minorile e criminalità che risulta, invece, trasversale a
tutte le classi sociali. L'esclusiva analisi del livello sociale non permette di analizzare in modo olistico il fenomeno
devianza. La psicologia relazionale ha permesso di comprendere meglio quale potesse essere l'influenza delle
dinamiche familiari. La famiglia è la prima struttura socializzante con cui il neonato ha a che fare: in essa il bambino e
successivamente l'adolescente cresce e si sviluppa; ha inoltre la potenzialità di fornire attaccamenti sicuri, ben
strutturate relazioni tra caregiver e figlio, solidi input per la crescita personale. i genitori forniscono nell'evoluzione
individuale, la criminologia e le scienze sociali affermano che sempre più frequentemente la famiglia riveste le
caratteristiche di un fattore di rischio nella genesi di comportamenti devianti. La vittimizzazione primaria, derivante
dall'aver subito episodi abusanti, implica necessariamente la mobilitazione di strategie e risorse individuali e sociali
atte a permettere l'elaborazione e la gestione dell'evento traumatico. La vulnerabilità individuale potrebbe indurre i
giovani a far uso di droghe e alcool, nella speranza che l'euforia derivante dall'assunzione agevoli il superamento del
trauma e del vissuto emotivo. In altri casi, invece, è la mancanza reale o simbolica di cure. di assistenza e empatia da
parte dei genitori, di rotture con il caregiver, il disinteresse a prendersi cura dei propri figli, I'inadeguatezza delle cure
fornite rispetto ai bisogni emotivi ed educativi dei figli che potrebbero correlare con percorsi delinquenziali minorili,
agiti aggressivi, disadattamento, indifferenza affettiva.
L'assunto di base è che la devianza femminile possa essere considerata il prodotto del tentativo delle ragazze di
imitare; ragazzi, mascolinizzazione che permetterebbe loro di liberarsi dal classico e tradizionale stereotipo che
accosta il genere femminile alla fragilità e alla debolezza, La socializzazione familiare differenziata in base al genere
persiste soprattutto nelle classi sociali basse.
Si va a generare una sorta di profezia che si auto-avvera; in più le adolescenti sono spesso oggetto di morbose gelosie
da parte dei padri, dei fratelli che esercitano su di esse un continuo controllo sociale spaventati e timorosi della loro
salute fisica e sessuale. Quindi se da un lato le teenager sono chiamate ad esprimere amore e passione per la famiglia,
è tutt'altra l'attesa dei ragazzi: la socializzazione insegna agli adolescenti. principalmente a quelli provenienti da uno
status socio-economico povero e da famiglie con impostazione patriarcale, che è loro permesso conquistare il mondo,
non solo con astuzia e bravura ma anche con aggressività e violenza.
Nell'infanzia: i bambini conoscono cosa spetta ai coetanei maschi e cosa invece attendersi dalle amichette. Il genere
femminile comincia molto presto a sperimentare tale modello direttamente sulla propria pelle, lo interiorizza, lo
assimila ma è poi soprattutto durante l'adolescenza, essendo già di per sé una fase di crescita molto critica, che le
ragazze cominciano ad esprimere il rifiuto di essere come lo stereotipo le definisce.
Nel tentativo di liberarsi dal tradizionale attributo conferitole, di deboli, solo in grado di fare le mamme, il passaggio
alla mascolinizzazione le induce ad assumere connotazioni e comportamenti tipicamente maschili come se fossero
uomini, legittimando così aggressività e violenza. La devianza corrisponde all'esigenza di liberarsi dalla dicotomia
dominata/dominante che le ragazze sperimentano in famiglia e di passare da una posizione passiva ad una attiva.
Paradossale che spesso il compito o per cosi dire la mansione che spetta loro nei team antisociali è quella di esccutrici
sottomesse. Rilevanti sono anche le dinamiche che vengono ad instaurarsi nelle situazioni di separazione e divorzio.
Specie nel caso in cui i partners continuano a vivere nella stessa abitazione pur in presenza di una spaccatura emotiva,
rappresentativa di un conflitto negato ed implicito, la confusione e la contraddizione sperimentata dai figli della
coppia potrebbe innescare percorsi di devianza come conseguenza al disagio provato. Oggi è più corretto parlare di
famiglie multiproblematiche. La famiglia ha il potere di organizzare e di permettere lo sviluppo e il mantenimento
dell'identità dei componenti. La possibilità delle carriere criminali non solo è imputabile al genere e alle dinamiche
sociali e familiari ma risulta anche ascrivibile a fattori e caratteristiche individuali e soggettive.
La ripetitivita delle condotte devianti per quanto disfunzionale potrebbe rispondere al bisogno di costruirsi un'identità
quanto più stabile e coerente. proprio in un momento vitale in cui è centrale l'attenzione al contesto sociale per la
determinazione dell'identità adulta. Il reato diviene utile per affermare la propria identità sociale rivelando un
doloroso, e spesso inconsapevole, tentativo di non farsi sottomettere dal pregiudizio. La messa in atto di
comportamenti devianti da parte di minori veicola elementi informativi significativi dell'identità ed evolutivi. Gli
script messi in atto richiamano ai contesti relazionali di sviluppo poiché è all'interno di questi che sono stati appresi.
La criminalità non deve essere associata e giustificata dalla sola presenza di patologie o carenze, operando una
trattazione in termini di linearità di cause-effetto caratterizzata da elementi costanti e predeterminanti. la relazione tra
ambiente e fattori genetici, tra problemi di sviluppo infantile/adolescenziale e comportamenti antisociali, così come il
rapporto tra geni e psicopatologia: una multi-modalità che si avvale di differenti metodologie che permettono di
conoscere il mondo interno cosi come quello esterno dell'individuo, basandosi sull'integrazione della conoscenza
psicologica, sociale, giudiziaria ed educativa.

CAPITOLO 13
BULLISMO E CYBERBULLISMO
Con il termine bullismo si definiscono quei comportamenti, perpetrati nel tempo, aggressivi e/o offensivi che un
singolo o un gruppo mette in atto a danno di una o più persone, con lo scopo di esercitare forme di dominio e potere
sulla vittima. È presente di base una relazione disfunzionale tra due o più persone poiché fondata sulla prepotenza. Gli
atteggiamenti aggressivi e persecutori esercitati nei confronti della vittima sono intenzionali; chi mette in atto queste
condotte intende ledere e creare disagio e danno fisico e psicologico alla persona designata. La relazione è, quindi, di
tipo asimmetrico derivando da una non equa distribuzione della forza fisica, dal diverso possesso di risorse materiali o
sociali, dall'isolamento fino al supporto del gruppo, o ancora, dalle diverse capacità e competenze individuali.
Il bullo è solitamente maschio e di qualche anno maggiore rispetto alla vittima. L’atra condizione necessaria nella
triade dei requisiti che permettono di ascrivere il comportamento aggressivo al bullismo, prevede la sistematicità e che
le condotte siano reiterale più volte; Un singolo episodio non sollecita il bullismo. Si definisce bullismo diretto quello
caratterizzato da una relazione diretta tra vittima e bullo ed è costituito da comportamenti aggressivi e prepotenti
visibili e concreti e può essere agito in forma sia fisica che verbale. Il bullismo diretto fisico consiste nel picchiare,
prendere a calci pugni, spingere, molestare sessualmente, appropriarsi degli oggetti di altri o rovinarli. Il bullismo
diretto verbale implica il minacciare, insultare offendere, prendere in giro, esprimere pensieri razzisti, estorcere
denaro o beni materiali. Che sia fisico o verbale, il bullismo diretto è maggiormente esercitato dai maschi con un'età
variabile dai 7 ai 17 anni sebbene trovi la sua massima diffusione nella fase adolescenziale.
Le femmine, invece, specie quelle di ceto medio alto, ricorrono maggiormente ad una forma di prevaricazione
psicologica. Il bullismo indiretto agisce sul piano interiore. E meno evidente e più difficile da individuare, ma spesso
ha ripercussioni sulla vittima più importanti e lesive. Il risultato è il danneggiamento della vittima da un punto di vista
relazionale, escludendola e isolandola per mezzo soprattutto di azioni che minano l'integrità psicologica piuttosto che
quella fisica.
L'assetto personologico del bullo implica generalmente una fatica a provare il senso di colpa per l'agito commesso.
Diversamente, il bullo ansioso, che perseguita la vittima come il bullo aggressivo ma, dinanzi al rimprovero
dell'adulto, mostra suscettibilità e senso di colpa per il dolore arrecato.
La vittima passiva ha livelli bassi di autostima, appare sottomessi isolata con pochi o nessun buon amico in classe e
ha una opinione negativa di sé e della propria situazione. La vittima sottomessa manifesta preoccupazione per il
proprio corpo: ha paura di farsi male, non riesce nelle attività motorie e sportive, ha difficoltà ad affermare se stessa
nel gruppo dei pari. La vittima provocatrice, invece, è caratterizzata da un atteggiamento che oscilla tra l'aggressività
e l'ansia. È una persona interscambiabile nei ruoli, che da un lato provoca gli attacchi e dall'altro li subisce divenendo
vittima. La vittima provocatrice è di solito di sesso maschile e tende a ricorrere all'uso della forza quando viene
provocata.
Il sostenitore, noto anche con il nome di bullo passivo, pur non prendendo iniziative, interviene rinforzando il bullo
dominante ed eseguendo gli ordini talvolta tenendo ferma la vittima.
Gli spettatori svolgono un ruolo fondamentale data la natura sociale del fenomeno in esame; senza di essi il
fenomeno del bullismo non potrebbe avere luogo visto l'essere un fenomeno relazionale per definizione. Il gruppo di
pari che assiste è spesso composto da una maggioranza silenziosa che, in modo volontario o involontario, rinforza i
comportamenti del bullo con la propria paura. L'omertà si somma all'attivo del sostenitore che fornisce supporto al
bullo.
Il difensore tenta la mediazione dell'adulto; ha consapevolezza della malvagità delle azioni osservate e ne riferisce
l'accaduto ai genitori o agli insegnanti, prova a limitarle e a supportare emotivamente la vittima cercando altri che
vengano in soccorso.
l'outsider si allontana, osserva ma finge di non aver assistito e di non conoscere le prepotenze che succedono, chi
difende la vittima non trova consensi nel gruppo e rischia di subire esso stesso prevaricazioni per riportare ad una
condizione di silenzio ed accettazione passiva.
L'insegnante, plausibilmente osservatrice e conoscitrice degli episodi prevaricatori frequenti nelle classi scolastiche.
Le prepotenze talvolta sfuggono all'occhio dell'insegnante perché tenute occulte dalla vittima, in altri casi, l'adulto
tende a minimizzarlo considerandolo più una bravata adolescenziale sulla quale è lecito chiudere un occhio, e in questi
casi il problema peggiora. Gli effetti delle prepotenze e dei sistematici atteggiamenti prevaricatori, sia nell'autore che
nella vittima, possono essere molto importanti: la vittima può fare esperienza di importanti momenti di solitudine, di
vissuti di inadeguatezza ma anche di isolamento sociale e di paura. Il bullo è più esposto al rischio di incorrere in una
escalation di violenza e antisocialità acquisendo la norma che le prepotenze pagano.
Il bullismo, sia se si considera il ruolo di vittima che quello dell'autore, appare verificarsi solitamente in presenza di
relazioni disturbate che si verificano nel sistema familiare. Modalità educative particolarmente rigide e autoritarie
tese all'utilizzo della violenza o, al contrario, troppo permissive, oppure episodi abusanti di violenze fisiche o
psicologiche, trascuratezza e modalità relazionali anaffettive o carenti emotivamente, facilitano l'assunzione del ruolo
di bullo. Le vittime hanno spesso, invece, un nucleo familiare molto protettivo e tutelante. Il bullo reagirà con
modalità aggressive eterodirette al contrario della vittima che tenderà ad assumere come risposta a questa situazione
familiare condotte aggressive rivolte al sé come autolesionismo o depressione. L'altra istituzione finalizzata
all'educazione dell'individuo, la scuola agisce come fattore di rischio per lo svilupparsi di condotte di bullismo nella
misura in cui risulta incitare particolarmente alla competizione, non promuovendo la collaborazione.
L'utilizzo della rete per diffondere e minacciare la vittima nel cyberspazio prende il nome di cyberbullismo o
bullismo elettronico. Ciò che caratterizza il cyberbullismo è la trasmissione e diffusione di messaggi denigratori e
aggressivi avvalendosi dei nuovi mezzi di comunicazione. Ciò che rende ancor più pervasivo il fenomeno è che la
vittima subirà le condotte aggressive non soltanto nell'orario scolastico ma anche al termine delle lezioni.
Il materiale condiviso in rete mai verrà completamente rimosso. Il fenomeno del bullismo virtuale comprende una
serie di realtà delittuose anche molto diverse. Si tratta del flaming ossia dell'invio di messaggi violenti, rabbiosi,
maleducati e volgari ad una persona, ad un gruppo online o alla vittima stessa attraverso e-mail o altre forme di
messaggio scritto.
Il cybersialking, una forma di cyber persecuzione consistente nell'inviare ripetutamente messaggi che includono
minacce di violenza che possono rivelarsi altamente intimidatorie o nell'attuare comportamenti online che destano
seria preoccupazione nella vittima in merito alla propria incolumità.
il furto di identità, o impersonification consiste nell'ottenere in modo illecito informazioni personali di un soggetto
il cui appropriarsi è finalizzato all'utilizzo di questi per compiere atti illeciti come truffe e furti di somme di denaro ma
anche diffamazione a danno di altri o della stessa persona che vede violata la propria privacy.
A tale scopo la vittima viene spesso spinta, con l'inganno, a rivelare informazioni imbarazzanti che vengono in seguito
condivise.
Vantaggi innegabili che divengono, tuttavia, vincoli seri nel fenomeno dell'odio online, online hate speech, categoria
che racchiude una serie di fenomeni espressione di violenza verbale e ossessioni tramite la rete tra cui il
cyberbullismo. In esso, le persecuzioni non trovano limitazione né in termini di spazio fisico né in termini di tempo
non essendo in alcun modo impedite. Un solo episodio divulgato in rete lì rimane per un tempo potenzialmente
illimitato e visualizzabile da chiunque in qualsiasi momento. Anche il concetto dello squilibrio di potere sembra dover
essere revisionato. Interessante sottolineare che la rete permette anche ad un soggetto socialmente debole di
selezionare ed identificare una propria vittima agendo su di essa le aggressioni. La rete, infatti, non necessita di un
potere di tipo fisico e dunque non necessariamente deve trovar luogo quello squilibrio di potere tra bullo e vittima
caratterizzante il bullismo.
La salienza del fenomeno nonché la prepotenza della sua affermazione ha indotto il Parlamento italiano al via libera
alle nuove disposizioni volle alla prevenzione e al contrasto di tale problema sociale. Con la legge 19 maggio 2017 n.
71, la cosiddetta legge sul cyberbullismo, l’attenzione viene posta alla tutela dei minori, sia quelli in posizione di
vittima, di età non inferiore ai 14 anni, che di potenziali responsabili di illeciti, e alla necessità di intervenire in modo
determinato nei contesti scolastici per sensibilizzare, prevenire ed impedire l'affermarsi delle prevaricazioni realizzate
in spazi fisici e per via telematica. Il gruppo, la componente sociale intrinseca al fenomeno del bullismo, consta, nella
fattispecie virtuale, di spettatori che, anche se talvolta assenti, possono assumere un ruolo attivo scaricando e
condividendo il materiale fino a divenire gregari con un reclutamento involontario da parte del cyberbullo che si
concretizza nel votare e incitare le azioni. Il reclutamento diviene volontario quando il bullo sollecita esplicitamente
ad approvare le condotte perpetrate. Altri si limitano a fruire dei contenuti in forma passiva né fomentando e neppure
denunciando quanto sta accadendo a danno della cybervittima.
(nota): La deresponsabilizzazione o diffusione di responsabilità è un meccanismo che permette di distribuire la
responsabilità di un'azione immorale fra tutti i membri di un gruppo alleggerendo il peso di una responsabilità
personale, ad esempio sostenendo che la colpa non sia imputabile solo a sé ma anche agli altri.
CAPITOLO 14
STALKING
Per stalking si intendono, comportamenti che rispondono ad una logica prevaricatrice basata sul dominio di un genere
sull'altro, quindi non mere situazioni conflittuali ma la ripetitiva attuazione di comportamenti invadenti e molesti o
francamente persecutori di intromissione, con pretesa di controllo, minacce costanti con telefonate anche oscene,
messaggi, invio di lettere, biglietti, posta elettronica, appostamenti nei pressi del domicilio o degli ambienti
comunemente frequentati dalla vittima, ossessivi pedinamenti, atti vandalici e produzione di scritte sui muri aventi
sempre come oggetto di riferimento quello dell'ossessione. La messa in atto di questi comportamenti hanno lo scopo
non solo di intimidire, danneggiare e spaventare la vittima ma di dimostrarle di avere assoluto controllo sulla sua vita.
L'altro ingrediente essenziale per poter parlare di stalking è il sentimento ad esso associato, il vissuto negativo della
vittima che non desidera in alcun modo ricevere quel tipo di dono da quella specifica persona.
Questo tipo di condotta deve pertanto arrecare nella vittima un grave stato di timore per la propria salute e per la
propria sicurezza o per quella di un altro soggetto a lei vicino tanto da farle alterare lo stile di vita quotidiano con
possibili conseguenze inerenti il cambiamento di lavoro, rinuncia a svolgere determinate attività, mancanza di libertà
nel decidere itinerari e mezzi di spostamento, variazioni di numero di telefono.
La Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite tenutasi a Vienna (ONU,1993) rispetto allo stalking recita: “..qualsiasi
atto di violenza di genere che comporta, o che probabile comporti, una sofferenza fisica, sessuale o psicologica o una
qualsiasi forma di sofferenza alla donna, comprese le minacce di tali violenze, forme di coercizione o forme arbitrarie
di privazione della libertà personale sia che si verifichino nel contesto della vita privata che di quella pubblica".
Sebbene le ricerche in tal settore necessitino di un maggiore approfondimento, emerge come anche il genere
femminile possa agire molestie assillanti nei confronti di un uomo. Quando gli uomini denunciano di subire atti
persecutori faticano nel vedere accolta la loro richiesta di intervento e di aiuto perché ritenuta poco veritiera e
plausibile dinanzi ad una comunità che concepisce meno grave la messa in atto di questi comportamenti da una donna
a danno di un uomo rispetto a situazione ove i ruoli sono invertititi. Difficilmente la donna ricorrerà
all'esternalizzazione fisica o a modalità che prevedono il contatto, più frequente, invece, negli stalker maschi.
Il caso di Rebecca Schaeffer ha fatto sì che in tutti gli Stati Uniti venisse approntata una legislazione sullo stalking e
sui comportamenti ossessivi. L'entità del problema anche nel panorama nazionale ha portato l'ordinamento penale
italiano, reato configurato in "Atti persecutori". Lo stesso recita: "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è
punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in
modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per
l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da
costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge,
anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, ovvero se il
fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è
commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità. Il delitto è
punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia
d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità nonché quando il fatto è
connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio. La remissione della querela può essere soltanto
processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto stato commesso mediante minacce”.
È stato dimostrato come il grado precedente di conoscenza con la vittima aumenti la probabilità di aggressioni fisiche
e di violenza e diminuisca la gravità del disturbo mentale del molestatore. Le ricercatrici di ideologia femminista
sostengono che la questione relativa al genere e l'iniqua distribuzione di potere tra uomini e donne siano aspetti
importanti da dover considerare se si vuole far luce e tentare di spiegare la dinamica della violenza.
Facebook con il suo diario e la fatidica domanda a cosa stai pensando? Le informazioni fornite postando la risposta,
spesso banalizzata o non pensata dai teeneager nativi digitali o da chi fa un uso superficiale dei social, permettono a
chiunque, figurarsi ad uno stalker, di identificare il luogo in cui il proprio oggetto del desiderio si trova. Tramite
applicazioni quali la localizzazione o i tag che riportano il luogo ove le persone si trovano in quel preciso momento,
rintracciare la vittima molestata diviene davvero compito semplice.
Sebbene la presenza di psicopatologia non possa essere tout court esclusa, parlare di stalker non implica
automaticamente la presenza di una psicopatologia, come potrebbe suggerire il quadro sindromico. Non vi sono infatti
disturbi psichici caratteristici ed esclusivi dello stalker.
L'esistenza di relazioni pregresse tra colui il quale si renderà autore e chi subisce, fa riferimento ad una modalità
intima di agire molestie, differenziata dallo stalker estraneo, che si verifica quando fra i due protagonisti non vi è una
relazione e una conoscenza pregressa nel passato. In alcun casi e possibile osservare un piano di alterazione psichica
nel soggetto con ha percezione distorta e non realistica. Attenzione che porta alla definizione di altri due tipi di stalker,
quello con tratti allucinatori e quello con tratti non allucinatori, dove il primo rimanda all'esistenza di tratti
psichiatrici e disturbi di personalità di una certa rilevanza.
La maggior parte degli esperti sostiene che il soggetto che mette in atto comportamenti persecutori presenti un quadro
clinico molto complesso caratterizzato dalla compresenza di uno o più disturbi mentali quali Disturbo Ossessivo
Compulsivo, Depressione, Disturbo del Controllo degli Impulsi, Disturbo di Dissociazione in comorbidità ai disturbi
di personalità di tipo Narcisistico, Istrionico, Borderline o di un disturbo di personalità Non Altrimenti Specificato o
misto (NAS).
Parlare di stalking porta necessariamente a dover parlare di amore e delle degenerazioni delle relazioni affettive e
passionali fra partners nell'ambito di relazioni disfunzionali e di tratti psicologici-patologici del singolo e della coppia.
Ciò che emerge come dato è l'incapacità dello stalker di accettare un rifiuto o la fine di una relazione e la necessità di
questi di esercitare un controllo sulla vittima e di manipolazione dell'oggetto d'amore. Forte è il desiderio di possedere
la vittima. L'elemento che accomuna il funzionamento personologico degli stalker risiede, infatti, nella difficoltà ad
istaurare relazioni e sostenere il confronto con l'altro. La frustrazione derivante dalla percezione dell'inadeguatezza o
dal fallimento sperimentato fatica ad essere tollerata. Il passaggio all'atto, quindi l'iniziazione e il mantenimento delle
condotte volte ad esercitare dominio e controllo sulla vittima, trova una spiegazione proprio nel profondo disagio
relazionale vissuto dal carnefice. La vittima si sente intrappolata in un rapporto. Il meccanismo psicologico sotteso
alla messa in atto delle condotte stalkerizzanti riguarda, in particolare, la presenza di un deficit identitario. Lo stalker
desidera la fusione con l'altro, rispecchia se stesso nella vittima, figura spesso idealizzata così come idealizzata è
l'immagine di se e dell'amore fra i due pensando di essere il perfetto completamento per l'altro e l'altro per sé.
Abbandonare la casa coniugale oppure decidere di denunciare l'accaduto sono eventi che implicando una rottura
relazionale sono in grado di slatentizzare il carnefice che, intollerante alla frustrazione, passa all'agito. Si perde così
quell'equilibrio, seppur precario, che era stato finora mantenuto. Difficilmente il carnefice proverà sensi di colpa per
l'operato violento e prevaricatore.
Simon (2013) elenca sette diverse tipologie di stalker:
 il persecutore di celebrità, tipologia in cui spesso sono ravvisabili disturbi di tipo psichiatrico. Si basa sulla
convinzione del persecutore che il proprio destino sia determinato e che lo sia in compagnia di un personaggio
dello spettacolo con cui crede di avere un rapporto di tipo privilegiato. Si concretizza con l'invio di lettere e
attenzioni inviando regali. Quando lo stalker si identifica con la celebrità si ha l’identificazione proietiva.
 il persecutore romantico immaturo in cui una modalità relazionale tipica dell'età adolescenziale viene
riproposta nelle relazioni adulte: se in adolescenza è normale pensare insistentemente e in modo totalizzante
alla ragazza verso cui Si prova interesse in un uomo adulto questo non lo è o lo è in modo diverso. La
difficoltà a gestire la relazione con l’altro genera un senso di impotenza e frustrazione che non trovando una
mediazione cognitiva o delle competenze in grado di regolare il vissuto si traducono ne fasto.
 Lo stalker dipendente, sensibile al rifiuto, è un soggetto che nasconde il proprio bisogno di dipendenza e di
amore dall'altro assumendo atteggiamenti da uomo forte e granitico. La fine della relazione, il desiderio di
possedere di nuovo quella donna e l'idea che non possa essere di nessun altro potrebbe scatenare l'omicidio.
Lo stalker dipendente sembra essere i più pericoloso per l'integrità fisica e psicologica della vittima. se la
vittima intraprenderà una relazione d'amore questa potrebbe essere vista come un vero e proprio tradimento
innescando reazioni anche violente.
 Il persecutore con personalità borderline agisce i propri comportamenti stalkerizzanti su di un altro poiché
sull'altro vengono proiettati, a seconda dei repentini sbalzi di umore che contraddistinguono questi soggetti,
parti buone o parti cattive di sé nel tentativo di controllare le forti emozioni che causano stress e disagio.
L'esame di realtà è alterato e manca la distinzione fra il proprio mondo interno e quello dell'altro.
 Il persecutore crotomane è il meno pericoloso per la vittima. Lo stalker crotomane, spesso di sesso
femminile, è fermamente convinto che la vittima corrisponda l'amore provato nei suoi confronti. le condotte di
rifiuto delle attenzioni da parte dell'oggetto/soggetto amato vengono percepite in modo paradossale dai
soggetto stalker: vengono viste come prove che l'oggetto d'amore crea per dimostrare l'amore sentito.
 Lo stalker schizofrenico vi sono pensieri deliranti e illogici se non bizzarri. Vi è anche un non
riconoscimento dei confini tra sé e l'altro. Molto spesso questi soggetti non desiderano entrare in contatto con
la persona che subisce la loro attenzione. Nell'uccisione dell'altro, probabile in presenza di quadri psicotici, si
concretizza la volontà di volere uccidere una parte di sé, probabilmente quella negativa non accettata, oppure
anche la positiva.
 Il cyberstalker, il mezzo di comunicazione mediato più utilizzato è il messaggio di posta elettronica. In una
minore percentuale, il molestatore assillante pubblicherà foto compromettenti della vittima non solo su social
network ma anche su siti dediti a incontri a sfondo sessuale. La letteratura scientifica è maggiormente
propensa a descrivere e ad analizzare le condotte di stalking messe in atto a danno di donne.
Mullen, Pathè e Purcell (2000) hanno proposto una classificazione delle vittime distinguendole sulla base di tre fattori:
la tipologia di relazione precedente tra vittima e quello che diventerà il molestatore, il contesto e la tipologia di
molestatore.
 La categoria delle vittime dirette, il gruppo più numeroso, comprende ex partner, persone che hanno
intrattenuto una precedente relazione con la vittima e che subiscono comportamenti stalkizzanti a seguito della
dichiarazione di voler interrompere la relazione. Queste vittime sono maggiormente a rischio di subire
minacce, di vedere danneggiate le proprietà e di subire aggressioni fisiche. In questo caso lo stalker porta
rancore. Il risentimento per l'aver subito un torto, immaginario o reale, porta al desiderio di vendetta
finalizzato alla riduzione della rabbia sperimentata. Di fatto, il controllo dello stato emotivo risulta
inadeguato, o meglio transitorio e non risolutivo. La messa in atto del comportamento invasivo per scaricare la
rabbia si associa alla sensazione di sollievo e soddisfazione. Una tra le categorie più pericolose per le vittime
nella misura in cui il carnefice è eccitato all'idea di possedere sessualmente la vittima, terrorizzarla, farla
sentire in trappola e di godere di un controllo completo di questa. Talvolta l'aggressione non è attualizzata ma
la pianificazione delle azioni ed il fantasticare è sufficiente per l'eccitamento.
 Gli sconosciuti, Le vittime incontreranno il proprio molestatore proprio perché le ha scelte come vittime. Se
così non fosse l'incontro non avrebbe mai avuto luogo. Ciò che orienta la scelta è spesso lo status sociale della
vittima e l'avere caratteristiche personali particolari. Solitamente sono stalker cercatori di intimità o predatori.
 le personalità pubbliche, personaggi dello spettacolo, politici o atleti. Nella convinzione di avere un rapporto
privilegiato con queste persone la fantasia viene alimentata attraverso un interesse morboso per la vita della
vittima attraverso i media. Gli stalker sono corteggiatori inadeguati, rancorosi o in cerca di intimità.
Le lesioni non costituiscono la conseguenza fisica più comune. I disturbi funzionali sono molto più frequenti, si
utilizza questa terminologia per riferirsi ad una serie di indisposizioni che spesso non presentano cause mediche
individuabili, quali la sindrome dell'intestino irritabile, fibromialgie, disturbi gastrointestinali, cefalea e di verse
sindromi da dolore cronico. Le vittime di stalking patiscono, rispetto a quelle che non ne hanno subito, una funzione
fisica ridotta, un maggior numero di disturbi fisiche e presentano un numero superiore di giornate passate a letto. Le
vittime riportano spesso disturbi alimentari di tipo compensatorio come anoressia nervosa, digiuni e bulimia nervosa
che risultano finalizzati a sviluppare una anestesia percettiva ed emotiva e a distogliere l'attenzione dal dolore dello
stalking, compromettendo però un'altra area molto critica, quella alimentare. Emotivamente la vittima esperisce
rabbia, tristezza, ansia e paura ma anche colpa e vergogna. Le vittime avvertono continuamente la presenza di
qualcuno che le pedina, le segue e le osserva con l'intento di controllarne gli spostamenti. Per ridurre l'ansia provata le
vittime metteranno in atto una serie di comportamenti che diverranno veri e propri rituali. La ripetitività di queste
sequenze, tipiche del Disturbo Ossessivo Compulsivo, regalano l'illusione di poter controllare e ridurre fino ad evitare
che il molestatore le importuni dando una illusione di controllo. A medio e lungo termine, la conseguenza più
frequente è la depressione. Sembra esserci una maggiore frequenza anche di ansia e fobia sociale e disturbi del sonno
rispetto a coloro che non sono state vittime. Si sa ormai con buona certezza che il problema dell'insonnia chiama in
causa una complessa interazione di meccanismi fisici, psicologici e ambientali. Numerosi sono i cambi di abitudini e
di attività quotidiane. Una mole considerevole di ricerche dimostra come la persecuzione fisica e psicologica possa
avere un impatto nello sviluppare il Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD).
Nel processo di vittimizzazione, all'iniziale sentimento d'impotenza ed alla successiva negazione, segue l'adozione di
meccanismi di onnipotenza, che rappresentano il tentativo di ristabilire il controllo della situazione. L'esperienza,
ripetendosi, porta la donna a sperimentare sensi di colpa per non riuscire a sopportare abbastanza. La continua
oscillazione tra impotenza e onnipotenza impedisce alle vittime, rese prigioniere del circuito della violenza dal loro
stesso vissuto, di venirne fuori. Pervasive sono le sensazioni di impotenza e angoscia. Per metabolizzare ed elaborare
la vittimizzazione è necessario del tempo, variabile a seconda degli individui, un tempo soggettivo che dipende anche
dalle risorse cognitive, comportamentali e sociali disponibili e adeguate a fronteggiare la situazione.

CAPITOLO 15
FEMMINICIDIO
L'Organizzazione Mondiale della Sanità (2002) avverte che gli omicidi di genere sono la causa principale di morte di
donne di età compresa tra i 16 ed i 44 anni. Il termine venne coniato nel 1993 dall'antropologa messicana Marcella
Lagarde ed indica qualsiasi forma di discriminazione e violenza esercitata sistematicamente sulle donne, in nome di
una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne
l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte. Femminicidio indica infatti
la morte della donna in presenza di un carnefice deviante, che agisce comportamenti delinquenziali che non sempre
esitano nell'uccisione. Si tratta di un'emergenza mondiale: in media ogni tre giorni viene uccisa una donna da un
membro della famiglia o da uno sconosciuto. È solo con la Legge del 5 agosto 1981, n. 442, che vennero aboliti tutti i
fattori attenuanti relativi l'onore. Non si tratta più di delitti d'onore; adesso il femminicidio condivide la paura
dell'abbandono. L'uxoricidio, quindi, nello specifico l'eliminazione della moglie, viene spesso commesso a seguito
della percezione o della dichiarazione diretta della donna della volontà di allontanarsi dal tetto coniugale. L'omicida,
tipicamente un partner o un ex, è di fatto una persona fragile, insicura che percepisce inadeguatezza nelle relazioni
interpersonale. La ricerca di una relazione risponde all'esigenza di cercare stabilità ed equilibrio psichico, di
completare un'identità precaria. L'altro tuttavia perde alcun tipo di connotato umano, diviene un oggetto funzionale al
raggiungimento dei propri desideri e bisogni più remoti ed inconsci. Il femminicidio, dunque, potrebbe essere visto
soltanto come l'esito finale e fatale di condotte violente perpetrate a danno della donna entro le mura domestiche e
relazioni più intime.
Nei casi in cui l'esito è fatale e si consuma un delitto, è possibile osservare già nel rapporto di coppia una asimmetria,
non solo ad un livello manifesto di violenza e potere fisico ma anche nell'aspettativa da parte dell'uomo di un amore
teso alla sottomissione e da parte della donna di una completa dedizione all'altro. Vi è una sorta di partecipazione da
parte della vittima, non da intendersi come istigazione o godimento a ricevere maltrattamenti, quanto piuttosto come
l'assunzione di ruolo e di schemi relazionali che alimentano e mantengono la relazione asimmetrica, che legittima uno
dei due componenti ad esercitare una forma di supremazia. Si può osservare una sorta di circolo vizioso in cui la
speranza di un cambiamento nel maltrattante porta la vittima a perdonare e a decidere di proseguire la relazione.
Il ciclo della violenza, permette di capire perché è difficile per le donne lasciare la relazione abusante e comprende
quattro fasi temporali: tensione, esplosione, richiesta di perdono, luna di miele.
 La prima fase è caratterizzata dalla violenza psicologica: attacchi verbali, accuse, scatti nervosi verso tutto e
tutti, intolleranza alla vita familiare e ai bambini. Lo stato di malessere viene incrementato da pensieri
ossessivi, spesso di gelosia. La donna cerca di evitare questi comportamenti del partner anticipando ogni suo
bisogno: diventa più passiva, si autoaccusa e si sente responsabile di non essere in grado di controllare la
situazione, mentre il partner diventa sempre più opprimente.
 Nella seconda fase si ha l'aggressione. La tensione accumulata precedentemente esplode nella violenza, con
atti sempre più gravi e in rapida escalation, fino a che l'aggressore non ha liberato tutta la sua ira. Qui vi è il
trasferimento di responsabilità dal maltrattante alla vittima, in cui quest'ultima viene portata a credere che sia
lei ad indurlo a reagire in modo violento con i suoi comportamenti errati. La donna maltrattata dal partner si
trova in una situazione ai suoi occhi inaccettabile, in cui il piano dell'abuso e quello affettivo si confondono.
Perde la capacità di leggere in modo corretto il suo rapporto con il partner, non si ritiene più capace di
fronteggiare le situazioni.
 Nella fase del perdono il partner si scusa, dichiara il suo amore e promette di non comportarsi mai più come
prima. La tragicità degli episodi suddetti si alterna tuttavia ad episodi di calma, in cui l'uomo violento si sente
in colpa, si pente, teme reazioni da parte della donna e si giustifica, prova a dare spiegazioni del suo
comportamento, promette di cambiare e cerca il perdono della donna influenzando molto, così, la
determinazione della donna a separarsi da lui o a denunciarlo. Il ciclo torna a ripetersi daccapo, perfino in
modo peggiore, grazie anche alla mistificazione della violenza da parte dell'uomo, confusiva per la donna. La
donna, cioè, continuamente incolpata cercherebbe una riabilitazione dalla sua posizione di imputata che
nessuno è in grado di darle quanto il partner proprio quando si pente e, soprattutto se minacciato di essere
lasciato, quando la implora di restare, mostrandosi a sua volta dipendente da lei. Una gratificazione per la
vittima che genererebbe dipendenza dal compagno per uscire dalla frustrazione. Negando la propria debolezza
la donna maltrattala resta nella relazione illudendosi di poter controllare il rapporto. un progressivo
svuotamento interiore, una perdita di fiducia nelle sue capacità la sensazione di non valere niente e che si
meriti quello che le accade. La percezione di se stessi come impotente, inadeguata, colpevole fa in modo che
si indebolisca sempre più e resti invischiata nella relazione perversa scivolando così in una spirale senza fine.
l'intervento giudizíario esporrebbe la famiglia a una possibile frantumazione: la paura di rompere schemi,
inoltre vi è il timore della disapprovazione o della condanna da parte dei familiari e della comunità dai
sentimenti di fallimento o di colpa derivanti dall'ipotesi di abbandonare il rapporto. Da non sottovalutare in
questo processo di individuazione, denuncia ed eventuale sottrazione al comportamento violento, il ruolo
degli stereotipi e delle aspettative sociali legate al genere che incoraggiano le donne ad essere altruiste ed
accomodanti, a prendersi cura e proteggere chi è loro vicino, indipendentemente da quanto tutto ciò possa
compromettere la loro incolumità. l'allontanarsene può significare il venir meno a principi morali fortemente
radicati che sfociano in inevitabili sensi di colpa. Il ruolo femminile-materno entrerebbe così nella formazione
del circuito della violenza in due momenti: inizialmente quando pone la donna nell'atteggiamento di colei che
cerca di soddisfare il bisogno altrui, poi quando riduce le capacità di reazione attraverso il dubbio sulle
responsabilità personali e l'auto-riflessione sulle colpe derivate da compiti e richieste non soddisfatti o
ignorati.
il femminicidio è un azione violenta agita da un uomo nei confronti di una donna ed è un fenomeno che rimanda
fortemente alla distinzione di ruoli sociali e differenze di genere originata da modalità relazionali disfunzionali
all'interno del sistema coppia o famiglia. Diviene centrale il concetto di genere e di ruolo sessuale. Di fatto, questa
distinzione non rimanda soltanto ad una differente dotazione di tipo biologico che si manifesta sul corpo connotandolo
in modo differente, con attributi che permettono una distinzione fra chi è maschio e chi è femmina. La violenza sulle
donne sembrerebbe l'ultimo tentativo di ristabilire la supremazia dell'uomo. Le conseguenze da un punto di vista fisico
e riproduttivo sono ovviamente commisurate al tipo di violenze e all'intensità delle percosse. Da un punto di vista
psicologico, oltre alla depressione, le donne abusate sembrano mostrare molta più ansia e fobia sociale nonché disturbi
del sonno rispetto a coloro che non sono state abusate. Vi è, inoltre, una perdita rispetto alla stima di sé, un aumentato
rischio di sviluppare la sindrome da stress post traumatico (PTSD) fino ad arrivare al suicidio.
Le donne inoltre sarebbero autrici di atti di violenza intima nel 50% dei casi riportati, mentre gli uomini tenderebbero
ad arrecare danno in misura ampiamente maggiore rispetto alle donne. Il fine ultimo dei media non è tanto
l'informazione precisa e puntuale quanto piuttosto il voler fare audience e godere di un ampio consenso nel pubblico.
Motivo per il quale le violenze a danno delle donne vengono maggiormente reclamizzate e a queste viene dato
maggiore risalto aumentando la percezione e del numero di omicidi e dell'efferatezza con cui vengono perpetrati,
omettendo, invece, quella subita da parte degli uomini.

CAPITOLO 16
KILLER SERIALI
I killer seriali privano le persone del loro dono più grande, la vita, per manifestare il potere, per un rapporto sessuale,
per vantaggi personali, per mostrare controllo e supremazia tanto da decidere quando una persona può morire e
dunque è lecito uccidere. Indipendentemente dallo specifico movente e dalla dinamica tra carnefice e vittima, si tratta
sempre di esternazioni che esprimono l'incombenza del disagio relazionale e psichico dell'autore. Solo a partire dagli
anni Ottanta del secolo passato si comincia a parlare di serial killer per opera dell'agente speciale dell'FBI Robert K.
Ressler, primo ad aver coniato il nuovo termine per descrivere la serialità degli omicidi commessi da David
Berkowitz, noto come figlio di Sam. In precedenza questi delitti venivano inseriti nella macro categoria di omicidio
multiplo. Si stima vi siano da 50 a 200 serial killer; un numero abbastanza esiguo se si considera in proporzione
all'intera popolazione. Eppure lo sgomento, la paura e la ripugnanza così come la curiosità per il fenomeno appaiono
preponderanti. I media enfatizzano sicuramente le notizie relative ad un omicida seriale. Si crea così un alone
mediatico incisivo e duraturo su di un fenomeno che statisticamente è raro. I serial killer spaventano e creano
allarmismo sociale. Sono persone in apparenza normali, plausibilmente il vicino di casa o il conoscente, verso cui
nessuno avrebbe mai dubitato. La competenza empatica nella misura in cui permette di mettersi nei panni dell'altro e
di intuire pensieri e sentimenti diviene fondamentale per stabilire la capacità di una persona di mantenere relazioni
costruttive e collaborative. L'empatia senza altruismo diviene un involucro vuoto. La sospensione della competenza
empatica mediante l'attivazione di complessi meccanismi di difesa induce il carnefice a svalutare l'altro, a privarlo
della soggettività e delle sue caratteristiche umane. Un oggetto di poco valore su cui poter liberamente proiettare le
proprie lacune. l'attivazione di meccanismi di difesa che, si ricordi, risultano funzionali ed efficaci nell'impedire al
carnefice di sperimentare poi il senso di colpa per quanto commesso.
 I serial killer sessuali sono, infatti, persone normali, addirittura brillanti con un quoziente intellettivo talvolta
superiore alla media la cui personalità risulta tuttavia psicopatica. Il serial killer sessuale psicopatico mostra
un disagio nei rapporti interpersonali che acquisiscono rilevanza solo quando funzionali al raggiungimento di
un desiderio. L'altro se non serve è considerato oggetto.
L'empatia è un costrutto multidimensionale, relazionale, percettivo e sociale ma anche cognitivo la cui competenza
dipende da una struttura anatomica cerebrale, la corteccia motoria deputata al controllo muscolare e al movimento, e
precisamente a uno specifico tipo di neuroni, chiamati neuroni specchio, che sembrano permettere l'immedesimazione
nei panni degli altri, di sentirne il dolore. Alcuni studi scientifici, allo stato attuale da non ritenersi esaustivi, hanno
documentato che i serial killer abbiano una carenza dei neuroni specchio, fattore ascrivibile alla psicopatia. Anche il
discontrollo degli impulsi antisociali, tipico aspetto del killer seriale sessuale che traduce tale deficit nel passaggio
all'atto senza alcun tipo di mediazione cognitiva. L'eccitamento ed il piacere sono legati alla tortura e al terrore che le
vittime vivono, vive o morte che siano, piuttosto che all'attuazione dell'atto sessuale e al raggiungimento dell'orgasmo.
I serial killer sessuali sono sempre sadici, a volte necrofili, parafilia che prevede intense pulsioni sessuali e fantasie
sessualmente eccitanti e sistematiche riguardanti persone senza vita. La necessità di controllare e di detenere il potere
ha sfogo anche nelle modalità di mutilazione, di sodomizzazione e di distruzione del corpo stesso in particolare
dell'anatomia sessuale. Un’altra caratteristica risiede nel tipo lussurioso in cui l'uccisione dell'altro diviene mezzo per
il raggiungimento di una soddisfazione sessuale. Gli omicidi seriali sessuali non uccidono casualmente, scelgono
solitamente vittime ad hoc che, diversamente da altre persone, riescono a soddisfare il desiderio del carnefice. Si
tratterebbe cioè di assassini seriali organizzati in cui le vittime possiedono caratteristiche che per l'autore hanno un
valore simbolico.
 Vi sono anche i serial killer che scelgono di uccidere per vendetta simbolica. L'assassino in questi frangenti
seleziona soggetti che non hanno causato lui direttamente un danno ma che veicolano messaggi simbolici
come l'autorità di un componente delle forze di polizia o l'impiegato di una agenzia di qualsiasi tipo che il
carnefice sente abbia recato lui un danno anche in modo indiretto. La vittima è dunque la proiezione del vero
nemico dell'assassino.
 I killer disorganizzati uccidono invece casualmente o in risposta al sentimento di odio e rivendicazione che
sperimentano contro la società. In questo caso non vi è una specifica logica nella selezione della vittima.
Dettio anche mass murder assassini di massa in cui le vittime sono quattro o più e vengono uccise nello
stesso luogo e in un unico evento criminoso. Spesso a conclusione degli omicidi perpetrati a danno di più
soggetti vi è il suicidio dell'autore. Nel momento in cui non vi è più nulla da comunicare l'assassino si uccide,
si fa catturare o, cosa che accade molto di frequente, si fa uccidere dalla polizia.
La premeditazione caratterizza anche il Mass Murder che passa poi all'atto dinanzi ad un discontrollo dell'impulso.
 Le vittime sono persone sconosciute anche in presenza di uno Spree Killer, tradotto nella lingua italiana con
assassino compulsivo, che si rende autore di omicidi di due o più vittime agiti in luoghi diversi e con un
intervallo di tempo breve fra un omicidio e l'altro. Si tratta di killer che provano divertimento ad uccidere. Un
killer edonista in cui l'uccisione ma ancor prima la fantasia e la pianificazione dell'omicidio permettono
all'omicida di provare un vero piacere totalizzante: uccidere per provare un'emozione intensa e di estasi.
 La combinazione di omicidio di massa e omicidio seriale definisce assassino seriale di massa in presenza di
ripetitività dell'azione omicida rivolta a più persone o in alcuni casi soltanto ad una.
 Il serial killer visionario quando ad ordinare di commettere gli omicidi vi sono voci percepite dal solo autore
del crimine. Voci spesso ascrivibili a entità divine indicano al soggetto di uccidere e spesso le vittime vengono
scelte casualmente al solo fine di ubbidire a quanto l'entità superiore che parla ordina. In questi casi è
facilmente ravvisabile una patologia psichiatrica psicotica.
Gli omicidi commessi muovono quindi da una percezione irrazionale, da deliri allucinatori tipici di disturbi afferenti
alle psicosi come nel caso della schizofrenia paranoide o del disturbo allucinatorio paranoide. Relazioni difunzionali
con il caregiver e situazioni di deprivazione affettiva, o ancora vicende di ripetute traumatizzazioni che hanno portato
a sviluppare stati dissociativi potrebbero rappresentare dei fattori di rischio per il passaggio all'atto omicida seriale.
 Il serial killer missionario non ha connotazioni psichiatriche conclamate. il proprio obiettivo perseguibile
con l'uccisione di altre persone come quello di eliminare categorie che vengono da lui ritenute impure e
ostacolanti ad una società perfetta. In alcuni casi, nel tentativo di salvare una categoria di persone, le uccide.
La personalità paranoide contraddistingue anche il killer seriale definito esecutore di vendetta. Nella vittima
identifica l'oggetto reale della sua vendetta, spesso una figura autoritaria o autore di un'azione violenta nel
passato a suo danno o a danno di qualcuno a lui molto vicino o caro.
 Motivazioni razziali o di idealismo sono alla base di serial killer ideologici. Qui si collocano omicidi seriali
dettati da credenze politiche o religiose o comunque di tipo ideologico. All'interno di questa categoria si
ascrive anche la casistica di omicidi rituali seriali nel quale l’assassino uccide per poter offrire un sacrificio
all'entità superiore a cui è devoto. L'obiettivo del killer seriale" è quello di ripulire il mondo da quei soggetti.
Alla base vi è una personalità fragile che ha vissuto esperienze negative nella società da cui si sente deriso e
trattato in modo ingiusto, alimentando in lui elementi di vendetta.
 Il serial killer profit, uccide al fine di godere di un vantaggio economico e di trovare soddisfacimento
all'impulso di morte. Dunque alla base vi sarebbero bisogni personali che assumono importanza prioritaria e
una relazione ben precisa fra assassino e vittima. La disumanizzazione dell'altro considerato alla stregua di un
oggetto alimenta la coazione a ripetere il reato.
Qui si collocano la sindrome di Barbablù in cui mariti si legano per poi uccidere le mogli per ottenere eredità e beni e
la sindrome della Vedova Nera in cui il componente femminile uccide i propri partners con la medesima finalità. In
questa particolare tipologia di omicidio, l'assassino deve operare un imponente processo di depersonalizzazione della
vittima, che non mantiene più qualità umane ma viene utilizzata come mezzo per raggiungere i propri scopi. Anche il
rapporto di parentela che dovrebbe essere un deterrente per la messa in atto di agiti violenti viene completamente
ignorata.
 Il serial killer collezionista, uccide spesso la prima volta in modo istintuale e solo successivamente organizza
i propri delitti anche se questo non esclude che alcuni vengano ancora commessi nell'impeto di un
soddisfacimento dei propri impulsi di morte.
Un nuovo modello di classificazione basata sulle modalità di esecuzione dell'azione omicida e sulla scelta della
vittima, elaborando il Modello SIR all'interno del quale un peso rilevante è dato all'influenza di componenti sociali,
ambientali, individuali e relazionali nel processo di genesi degli omicidi seriali.
 l'omicidio seriale per guadagno personale, prevede l'attuazione di omicidi per vantaggi personali
 l'omicidio seriale situazionale e quello motivato da erotomania, gli omicidi seriali situazionali si verificano in
concomitanza con altri reati. Nel momento in cui un soggetto ad esempio sta compiendo una rapina potrebbe
uccidere poiché ravvisa la presenza di un ostacolo alla propria azione criminosa.
Per parlare effettivamente di serial killer non è sufficiente che vi sia un numero di morti superiore a tre.
Necessariamente vi deve essere un eccitamento superiore e la presenza di persone che di fatto non siano un
impedimento alla realizzazione del reato o che costituiscano una minaccia per un possibile riconoscimento del
delinquente. La reazione a seguito della prima uccisione deve essere automatica e istintiva. Questi soggetti sono infatti
caratterizzati da un'eccessiva impulsività e uno scarso controllo degli impulsi aggressivi e distruttivi. In presenza di un
quadro psicologico crotomane, uno stato di eccitazione costante in particolare a livello psichico, il soggetto compie
omicidi in nome di un amore che viene idealizzato e fantasticato, che porta ad una insoddisfazione in tutti i rapporti
passionali. La casistica è composta prevalentemente da donne che uccidono uomini. Donne con un livello di sessualità
molto forte ma al contempo repressa. I compagni di vita divengono quindi uomini non in grado di realizzare una vita
all'altezza dei desideri della donna. L'omicidio diviene il modo per allontanare da sé una realtà squallida e
insoddisfacente. Si legheranno ad un altro uomo innescando un meccanismo iatrogeno. Spesso il movente che induce
all'omicidio e alla serialità è variabile perché differenti sono le vittime con cui il carnefice si imbatte.
Per quanto la serialità omicida sia un fenomeno in prevalenza maschile, vi sono anche casi di donne killer seriali. È
stimato che meno del 5% dei killer seriali sia di sesso femminile. In tali casi l'agito è commesso in un episodio unico e
spesso a danno di persone molto vicine e con cui si hanno rapporti più o meno intimi.
Vi è anche la possibilità, seppur statisticamente poco frequente, che la donna omicida si unisca in una relazione
sentimentale ad un partner e che insieme si rendano colpevoli di omicidi seriali. Un rapporto diadico che sembra
configurarsi come un delirio a due, sindrome della Folie a deux, così definita e descritta per la prima volta intorno
all'Ottocento. Il pensiero delirante origina solitamente da uno dei membri della coppia patologica, l'induttore o caso
primario, ed andrà ad investire l'indotto, il secondo soggetto. Il delirio necessita di essere scaricato e trovare
nutrimento in azioni che verranno concretamente compiute. Il fatto che i pensieri deliranti dell'uno possano invadere
ed influenzare. l'esame di realtà dell'altro è reso possibile dal forte sbilanciamento relazionale che vede una superiorità
netta da un lato e l'annullamento dall'altro. Ogni precedente punto di riferimento valoriale verra cancellato e sostituito
con quello imposto dal compagno. La relazione patologica si struttura sulla complementarietà. Il soggetto dominante è
portatore di caratteristiche di cui il soggetto indotto sente di essere o è fortemente carente. Entrambi gli attori coinvolti
ricoprono un ruolo necessario al mantenimento della relazione e funzionale al perdurare nel tempo di questa. Nei casi
in cui il soggetto indotto non partecipi più al delirio psicotico, il soggetto induttore non potrà più mantenere il ruolo:
l'induttore senza l'indotto non potrebbe esistere. La convinzione di essere amati porta alla sopravvivenza della
relazione. Nel momento in cui il soggetto debole richiedesse affetto all'altro, la rottura dell'equilibrio è imminente. Il
soggetto forte crea una identità a cui il soggetto debole può attingere divenendo il tutto. La statistica mostra una più
alta incidenza di coppie formate da due agenti di sesso maschile, successivamente le coppie composte da un uomo e
una donna e a seguire quelle costituite da due soggetti di genere femminile. Non si tratta, a differenza di altre
situazioni, di personalità da sempre devianti e antisociali che, per effetto di stressors, slatentizzano divenendo omicide,
piuttosto di una mente sana fino a quel momento, che per effetto della contaminazione si trasforma in disturbo
psicotico condiviso. Il legame è tanto invischiante quanto precario: nel momento in cui induttore e indotto vengono
separati è sorprendente la velocità con cui il sistema delirante decade. Per questo motivo l'incursione di soggetti altri è
una grave minaccia all'equilibrio della relazione così connotata. Nei procedimenti penali, infatti, spesso è necessaria la
collaborazione del soggetto debole in modo che questo proceda con la testimonianza di quanto commesso.
Che si parli di killer seriali sessuali, di omicidi seriali di massa, di coppie killer seriali, l'indagine eziologica ha sempre
rivolto particolare enfasi allo sviluppo evolutivo del soggetto, in particolare all'infanzia e alla fanciullezza. è possibile
identificare elementi a cui prestare particolare attenzione con valore predittivo.
 l'essere inserito in una famiglia disgregata (broken home) e multiproblematica;
 infanzia traumatica e/o fortemente deprivata nei mezzi di sostentamento e/o emotivamente, abusi fisici,
sessuali e psicologici;
 l'essere figlio illegittimo;
 la presenza di un padre violento e abusante di sostanze;
 connotazione fortemente religiosa della famiglia
 l'essere cresciuti con una madre violenta e/o abusante.
 Di notevole rilevanza e incidenza sono i casi di abbandono da parte di uno o entrambi i genitori.
La carenza nello sviluppo della capacità empatica e quindi nell'affermare relazioni interpersonali sane e collaborative
sembra poter correlare con il tipo di legame di attaccamento con il caregiver instaurato nell'infanzia. Traumi ripetuti in
età infantile espongono il bambino a fare esperienza di una realtà fantastica e non veritiera come modalità difensiva
alla propria sopravvivenza psichica.
All'apparenza sono soggetti ben inseriti nella società ma ad una più attenta analisi delle modalità relazionali e
comunicative emergono rapporti comunicativi distorti il cui fine è il soddisfacimento dei propri bisogni. Le esperienze
relazionali adolescenziali dei futuri serial killer vedono un'importante e invalidante difficoltà nella creazione di
relazioni autentiche con il gruppo dei pari. Vittimizzati per derisioni da parte del gruppo a causa di particolari
caratteristiche fisiche, caratteriali o sociali o leader del gruppo che mette in atto comportamenti di sopruso e
prepotenza nei confronti di altri pari. Anche le relazioni adulte appaiono disfunzionali, innescando il consolidamento
di schemi comportamentali problematici che verranno riattualizzati in tutti i frangenti interpersonali. un altro elemento
che accomuna i serial killer è il fascino della morte che, contrariamente a quanto accade nella norma, è molto forte.
Poiché è possibile morire una sola volta, il piacere che pensano di poter provocare suicidandosi viene riprodotto e
replicato nell'uccisione di altri. Evidente il bisogno di potere e controllo sull'altro che vede, nel dare e togliere la vita
avvicinandosi alla natura divina, la piena realizzazione.
Le teorie della gerarchia dei bisogni di Maslow, sostiene, partendo dal gradino più basso, che l'uomo ha necessità
inizialmente di nutrirsi, poi di sicurezza, di gratificazione emozionale e sessuale, di appartenenza e, in ultimo, di
bisogno di autostima. Una volta soddisfatte tutte queste necessità, pertanto, le esigenze di autoaffermazione sono poi
libere di svilupparsi. Ed è proprio nel soddisfacimento di questo ultimo bisogno, di autostima, che è da ricercare la
motivazione della messa in atto di comportamenti omicidi poiché, nel tentativo di allontanare da sé la sensazione di
essere un soggetto debole, l'uomo agisce comportamenti che gli permettano di sentirsi qualcuno.

CAPITOLO 17
CRIMINALITA’ MAFIOSA
Le origini della Mafia siciliana risalgono alla seconda metà dell'Ottocento, momento storico che vede la Sicilia
annessa al nuovo stato unitario in seguito alle imprese di Garibaldi. È allora che Palermo, e poi l'Italia, cominciano a
parlare per la prima volta di Matia. E luogo comune pensare alla Sicilia come ad una terra storicamente mafiosa. In
realtà, le origini della Mafia non sono così strutturate e antiche. È con l'assassinio del 2 Luglio 1874 del guardiano del
Fondo Riella che si assiste per la prima volta ad un atto concretamente mafioso. L'enorme produttività interfacciava,
però, l'altrettanta vulnerabilità del prodotto, la cui resa sarebbe potuta improvvisamente calare a picco anche per una
banale interruzione nella fornitura d'acqua. Un contesto favorevole all'insorgenza dei racket mafiosi della protezione/
estorsione. Ed è, infatti, proprio il frutteto di agrumi del Fondo Riella che vede la prima vicenda della persona
perseguitata dalla Mafia.
L'azienda agricola di quattro ettari di Malaspina che produceva limoni e mandarini era diventata un patrimonio, tanto da vantare l'assunzione
di un operatore specializzato deputato all'irrigazione. Ereditando il Fondo Riella, il chiurgo Gaspare Galati non supponeva di dover fare i conti
con il guardiano della tenuta. Benedetto Carollo, un uomo mafioso che praticava la prima forma di racker della Mafia siciliana: intascava una
percentuale sui prezzo di vendita del bene facendo pressione sull'ex proprietario e rubava il carbone destinato alla pompa a vapore per
l'irrigazione affinché le rendite si abbassassero e potesse comprare a buon mercato il terreno. Il licenziamento di Carollo sorti l'uccisione del
nuovo guardiano, colpito alla schiena con un'arma da fuoco mentre era intento nel suo lavoro. Anche il proprietario non venne risparmiato:
all'artefice del licenziamento e alla sua famiglia vennero rivolte pesanti intimidazioni e lettere minatorie con l'accusa di aver commesso un
errore nei confronti di un uomo d'onore.
La Mafia all'epoca, come oggi, mostra le sembianze di un'associazione segreta la cui appartenenza è regolata da un
sinistro rito d'iniziazione e da una ferrea disciplina che sancisce in primis il castigo per i traditori, demotivando
qualsiasi forma di inganno o l'ambizione trasgressiva dei più giovani. Il neofita non poteva e non può aderire
liberamente alla società mafiosa: solo un terzo uomo d'onore, un membro già iniziato, può includere e presentare al
gruppo la nuova risorsa. Un senso di appartenenza al gruppo, il doveroso rispetto reciproco, una compattezza così
marcata da rendere la realtà mafiosa un qualcosa di invitante, appetibile, un vantaggio per i membri e un enorme
rischio non esserne parte. Dapprima la Destra poi la Sinistra, molto forte in Sicilia, sfruttarono in vario modo il potere
mafioso per il benessere del governo locale. Se da un lato fu adoperata l'energia e la forza della classe mafiosa per
ripristinare l'ordine durante le rivolte civili, dall'altro si propone una lettura della convivenza mafiosa con il potere
politico che diventerà piuttosto stabile e duratura. Tra i personaggi storici e politici divenuti rappresentativi della
battaglia contro il fenomeno mafioso, spicca il ricordo di Cesare Mori, il Prefetto di ferro, le cui imprese antimafia
erano giunte a rasentare la popolarità di Mussolini. Lui si dedico non solo agli strati più bassi della Mafia, quindi
essenzialmente al ceto medio rurale che teneva in soggezione i grandi proprietari ed i ceti più poveri, ma anche alle
connessioni dello strato sociale con la política. Criticato per la durezza e la crudeltà delle azioni repressive, alla fine
degli anni Venti era un personaggio estremamente noto il cui rigore e impegno repressivo implicarono un'importante
riduzione del tasso di criminalità nella Sicilia. Con il suo congedo, vi fu ben presto una recrudescenza del fenomeno
mafioso che tornò a gravare. Così come i racket della protezione/estorsione nei frutteti palermitani, le organizzazioni
criminali mafiose, tra tutte quella di Cosa Nostra, si configurano come un sistema di violenza e illegalità finalizzato
all'accumulazione del capitale e all'occupazione di posizioni di potere. Un connubio perfetto tra un'istituzione sociale
ed un'impresa economica caratterizzata da legami di parentela, amicizia, complicità e compartecipazione: da un lato il
ceto medio-basso, e, dall'altro, la così detta borghesia mafiosa, politici e amministratori legati ai clan, avvocati,
magistrati, medici che prestano la propria professione, imprenditori e commercianti prestanome o collusi.
L'organizzazione gerarchica interna alla realtà mafiosa prevede il dominio ed il controllo nelle mani delle alte cariche,
i soggetti più ricchi e potenti. Emerge, quindi, un uso privato della violenza agita entro e fuori il clan, uno strumento
funzionale al raggiungimento di una serie di obiettivi essenziali per l'agire mafioso, per conquistare e ottenere rispetto,
per affermarsi ed esercitare potere. Una violenza che, ha tutte le caratteristiche della premeditazione della strategicità,
della progettualità fine ed accurata. Da un esame approfondito degli agiti violenti, l'omicidio mafioso si configura
come un atto deliberato messo in scena dinanzi all'irrisolutezza della concorrenza tra clan o singoli mafiosi, come
strumento principe per la risoluzione delle diatribe intra ed extra clan, nonché come modalità per intervenire
energicamente sul quadro sociale e politico. Furono 600 gli omicidi commessi tra il 1981 e il 1983. In questa città il
10 Febbraio 1986 venne aperto il processo a Cosa Nostra, il più grande processo mai celebrato contro la grande
criminalità organizzata. Il processo è considerato la prima vera reazione dello Stato italiano nei confronti della Mafia
siciliana, un evento molto sentito anche a livello mediatico tanto da mobilitare più di 600 giornalisti accorsi da ogni
parte del mondo. Per la prima volta con un decreto furono nominati per l'occasione due Pubblici Ministeri, due
Presidenti e due Giudici che riuscirono ad avere una visione completa del fenomeno della Mafia siciliana. Fu data
particolare importanza al metodo investigativo inaugurato da Giovanni Falcone e basato sull'analisi dei movimenti
bancari per comprendere collegamenti che altrimenti non sarebbero mai emersi. Tommaso Buscetta si dichiarò a
disposizione della Corte ribaltando i piani degli imputati. Buscetta, il boss dei due mondi, con le sue 400 pagine di
interrogatorio inferì un colpo gravissimo a Cosa Nostra, fondamentale per l'avvio delle indagini e lo svolgersi del
processo. Con i racconti di storie e segreti della Mafia, il pentito, non riconoscendosi più in quegli ideali e valori che
lo avevano indotto ad allinearsi con Cosa Nostra. contribuisce a far luce sulle dinamiche, sulla mappa del potere
mafioso e sulla sua complessa articolazione. La famiglia mafiosa consta di un rappresentante, di un sottocapo e dei
consiglieri. Nessun rappresentante ha libertà di scelta o azione se non approvata dal Capo Mandamento e quindi dalla
Commissione. L'uccisione di un capo famiglia non suscita nessun tipo di reazione se accordata con la famiglia stessa;
al contrario si tratta di guerre di Mafia. Nel 1982 nasce una prima maxi indagine ad opera della Polizia chiamata dei
122; poi il delitto del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso perché aveva capito che la Mafia siciliana aveva
stipulato un patto con quella catanese per il controllo degli appalti pubblici, rese evidente come la Mafia vincente con
a capo i Corleonesi volesse stravincere anche contro lo Stato. Il Maxi processo di Palermo ha avuto un'importanza
storica nella presa di coscienza dell'esistenza della Mafia e nell'aver riconosciuto per la prima volta la ramificazione di
Cosa Nostra nell'assetto politico, economico e societario dello Stato italiano. Con la Sesta Sezione Penale della Corte
di Cassazione vengono confermate le condanne inflitte in primo grado nell'ambito del Maxiprocesso di Palermo,
ribaltando così il verdetto di secondo grado e infliggendo grave danno a Cosa Nostra, specie al capo dei capi, il leader
Salvatore Rina. Rina, conscio dei favoreggiamenti di cui godeva a livello politico, aveva assicurato ai membri
dell'organizzazione che il giudizio benevolo per Cosa Nostra. Lo smacco per il capo fu enorme. sarebbe stato si
adoperò subito affinché fosse fatta giustizia rispetto all'accaduto. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, i due Giudici
che avevano istruito il Maxiprocesso, e Salvo Lima con gli altri referenti politici di Cosa Nostra responsabili del
tradimento del patto con l'organizzazione furono i primi bersagli. Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo,
unitamente alla scorta, di ritorno dall'aeroporto di Punta Raisi, il 23 maggio 1992, furono investiti dall'esplosione di
cinque quintali di tritolo, posizionati in una galleria scavata sotto l'autostrada, azionata da Giovanni Brusca, il sicario
incaricato da Totò Rina. Poco tempo dopo, il 19 luglio 1992, fu la volta di Paolo Borsellino assassinato da Cosa
Nostra con alcuni uomini della sua scorta nella strage di via d'Amelio, mentre suonava al citofono dell'abitazione della
madre. Salvatore Rina, fu arrestato e condannato all'ergastolo il 15 gennaio 1993, dopo quasi 25 anni di indisturbata
latitanza, al primo incrocio davanti alla sua villa a Palermo grazie alle dichiarazioni offerte dal pentito Baldassarre Di
Maggio. Con l'arresto del capo, Cosa Nostra si divise in due, Le guerre di Mafia e gli attentati ripresero presto. Il
fenomeno mafioso, specie nel corso degli ultimi dieci anni, si è imposto all'attenzione dell'opinione pubblica come
emergenza oscura e decifrabile. La strumentalizzazione mediatica agisce nell'ottenimento del consenso,
dell'approvazione da parte delle istituzioni e dell'opinione pubblica che avrebbero dovuto maggiormente incoraggiare
il pentitismo offrendo condizioni più favorevoli alla lotta contro la Mafia. Anche l'etichetta del pentito di fatto è più
un'attribuzione mediatica che il reale sentimento provato dagli uomini d'onore. Tommaso Buscetta non parlò mai di
pentimento piuttosto del non riconoscersi più in quei valori e in quegli ideali in cui aveva precedentemente creduto. Le
motivazioni sono di solito riconducibili a paura e vendetta. Il pentito usa lo Stato per proteggersi e colpire i suoi
nemici e lo Stato ne approfitta. Emerge quindi come la strumentalizzazione tra il potere mediatico e quello mafioso
operi in modo bidirezionale. La strategia da sempre adottata da questo sistema di potere è stata quella di puntare tutti i
riflettori su delle icone mediatiche polarizzanti che hanno monopolizzato la scena e oscurato il resto della borghesia
mafiosa tornala ad essere oggi, dopo la parentesi corleonese, il presupposto del sistema di potere mafioso. II 17
novembre del 2017 nel reparto detenuti dell'ospedale di Parma muore il boss Totò Rina; un evento carico di
un'eccitazione mediatica considerata da alcuni giornalisti una grave mancanza di rispetto per le vittime. Il fermento
contro il regime imposto da Cosa Nostra volto anche all'interruzione del pagamento del pizzo da parte dei
commercianti siciliani comincia a strutturarsi all'inizio del nuovo Millennio quando i cartelloni pubblicitari e i
lampioni di Palermo vennero ricoperti da un foglio bianco listato a lutto con su scritto: "Un intero popolo che paga il
pizzo è un popolo senza dignità". Addiopizzo, questo il nome del movimento anti Cosa Nostra nato nel 2004, come
altre organizzazioni in Italia a favore della legalità e contro la Mafia, manifestano il proprio dissenso rispetto ai
dettami dell'organizzazione mafiosa, impegnandosi anche nella gestione dei beni confiscati alla Mafia per fini
socialmente utili. La mancanza di una solida cultura antimafia impedisce non solo l'estinzione del fenomeno nella
terra natia ma, indirettamente, ne facilita anche la diffusione in paesi e regioni trascurate dalle istituzioni che, in tempi
recenti, si sono avvicinate al problema mafioso. Sulle donne di Mafia si sa ben poco; il loro ruolo è sempre stato
caratterizzato da ambiguità, dall'esclusione formale e dalla partecipazione sostanziale alla vita criminale. Vi sono state
e vi sono, comunque, fedeli compagne, discrete e premurose, donne attive negli affari della propria famiglia coinvolte
in prima persona nei compiti criminali, donne dedite alla trasmissione intergenerazionale del codice culturale mafioso
e altrettante vendicative. Il potere affidato alle donne è sempre delegato e temporaneo; in assenza dell'uomo ma senza
intaccare il rigido sistema patriarcale, le donne esercitano il proprio potere, continuando comunque a subire violenze
fisiche e maltrattamenti anche di natura psicologica dagli uomini della propria famiglia da cui dipendono
economicamente. Il processo di emancipazione femminile in corso nella società legale e la volontà di trasmettere alla
prole principi sani ed educativi potrebbero contribuire all'interruzione della trasmissione intergenerazionale della
violenza mafiosa.

CAPITOLO 18
IMMIGRAZIONE TRA PAURA E PERCEZIONE DI INSICUREZZA
L'uomo si è da sempre spostato alla ricerca di un migliore tenore di vita, di una maggiore sicurezza per sé e la prole.
Spostarsi sul territorio è ricchezza; è una peculiarità dell'essere umano che ha permesso l'integrazione del mondo e
all'uomo di emanciparsi. nella seconda metà dell'Ottocento, la meccanizzazione dell'agricoltura portò ad un grande
flusso migratorio. La ridondanza del lavoro contadino, divenuto superfluo, implicò lo spostamento degli operai nelle
città. Uno sguardo alle migrazioni transoceaniche delle grandi potenze europee illustra come il Vecchio Mondo abbia
colonizzato le popolazioni indigene, americane, africane ed asiatiche che vennero ridotte in schiavitù e private della
loro essenza. Il primo conflitto mondiale inaugura un'epoca di profondi cambiamenti. I paesi ospitanti svilupparono un
rilevante atteggiamento xenofobo a cui si associarono proibizionismo e restrizionismo politico. L'America stabili, in
quei tempi, il numero massimo di persone immigrate che potevano essere accolte sulla base della provenienza
geografica. Anche l'Europa i regimi totalitari e di crisi degli anni Trenta esacerbarono il protezionismo rendendo
difficile se non impossibile qualsiasi impresa migratoria. Durante la Prima e la Seconda guerra mondiale, le cause
dell'emigrazione divennero prettamente sociali. Il nazifascismo lascio l'Italia e la Germania in una situazione di grande
incertezza. Chi era riuscito a sfuggire alle persecuzioni cercava salvezza, sicurezza, una nuova casa nel mondo. La
questione divenne cosi emergente da suggerire a livello internazionale la priorita di prendersi carico dei rifugiati. Ed è
entro tale attenzione che le Nazioni Unite, nel 1951, elaborano a Ginevra il trattato sullo status dei rifugiati. La
Convenzione di Gineva promosse in primis il focus sui diritti delle vittime di guerra. Con l'entrata in vigore della
Convenzione, firmata da 144. stati, Italia inclusa, con il declino degli imperi coloniali e la nuova guerra degli anni
Settanta in Vietnam, si iniziò ad osservare una nuova ed importante mobilitazione delle popolazioni asiatiche ed
africane. L'Europa, diventa, alla fine del Novecento, la sede privilegiata dell'importazione di risorse umane. Si pensi
all'Italia e alla sua strategica posizione che rende facile l'accesso al continente europeo. negli ultimi venticinque anni
l'Italia è divenuto un paese di immigrazione. Dagli anni Ottanta, il trend si inverte: viene adesso chiesto all'Italia di
ospitare risorse umane straniere, se prima l'Italia era coinvolta solo in piccola misura nel fenomeno immigrazione, nel
corso degli anni Ottanta e Novanta e soprattutto nel nuovo millennio ne diviene il centro nevralgico. La posizione
strategica di passaggio obbligato per il Nord Europa, l'assetto normativo e politico sull'immigrazione, che
diversamente da altri paesi, impone delle norme e dei controlli molto flessibili. È in questi anni che l'immigrazione
straniera diventa un tema centrale di dibattito privato e pubblico. l'Europa e a maggior ragione l'Italia sono un punto di
riferimento per migliaia di persone che scappano dalla poverta. dalla guerra, dallo svantaggio socio-economico e che
nella precarietà e irregolarità arrivano nel continente. La preoccupazione e lo scetticismo dinanzi alla potenza
migratoria rendono lo straniero una minaccia per la sicurezza degli Stati. Gli attentati terroristici, partendo dal tragico
evento dell'I1 settembre 2001 negli Stati Uniti fino ad arrivare all'atto terroristico sugli Champs-Elysées a Parigi,
avvenuto il 19 giugno 2017, rivendicati dal sedicente Stato Islamico, certo alimentano ancor di più la paura e lo
spavento dello straniero. Il primo corpo di norme in Italia atto a garantire una disciplina in materia di immigrazione fu
avanzato nel 1998 con la legge Turco-Napolitano che proponeva il superamento della fase emergenziale e la
promozione di un'immigrazione sana e regolamentata, a discapito di quella clandestina. La legge Bossi-Fini, che
ancora oggi disciplina le politiche migratorie in Italia. Il testo di legge si impegna nelle procedure restrittive ed in
quelle regolarizzanti lo status di colf, badanti e lavoratori non in regola sottolineando un interesse vario e esaustivo al
fenomeno. Introduce, tra le altre, l'obbligo di stipula di un contratto di lavoro alla quale subordinata la concessione del
permesso di soggiorno per motivi di lavoro; un nuovo margine di tempo, individuato in anni sei, per l'ottenimento
della carta di soggiorno; l'espulsione con accompagnamento alla frontiera prevista a fronte della permanenza dello
straniero sul territorio italiano con permesso scaduto o se vi rientra, a seguito dell'espulsione, prima dei termini
previsti. Con le così dette primavere arabe, termine coniato dai giornalisti per indicare le proteste e le agitazioni
cominciate tra la fine del 2010 e l'inizio del 2011 nel Medio Oriente ed in Africa, l'Italia è invasa da migliaia di civili
stranieri. Lo sforzo nazionale ha avuto la sua piena realizzazione con il Decreto Legislativo n. 142 del 18 agosto 2015,
esplicitante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. Oggi il sistema di accoglienza
italiano appare organizzato in modo sequenziale, dal riconoscimento dello straniero fino al suo inserimento sociale. La
prima accoglienza è deputata agli hotspot nei centri di Lampedusa, Taranto, Pozzallo e Trapani, con il compito di
adoperarsi per le primissime operazioni di accoglienza ed identificazione del migrante che verrà successivamente
accolto negli hub. la sistemazione momentanea dei rifugiati in centri di prima accoglienza dove gli immigrati possono
presentare richiesta di protezione internazionale; nei casi di esubero intervengono i CAS, centri di accoglienza
straordinaria deputati a prendersi carico di coloro non ammessi negli hub. Infine, lo SPRAR, il sistema di protezione
per richiedenti asilo e rifugiati. Le attività di salvataggio in mare sono divenute sempre più frequenti specie negli
ultimi periodi tanto da destare perplessità rispetto all'invischiamento di alcune Organizzazioni non governative, ONG,
operanti nel Mediterraneo. La teoria posta all'attenzione mediatica internazionale si interroga sulla plausibilità di
legami diretti tra le ONG con i trafficanti in partenza dalla Libia. La diffidenza nei confronti degli stranieri, la
percezione sempre più marcata della differenza tra cittadini e i nuovi arrivati favorisce la differenziazione tra ingroup
positivo e outgroup negativo. II contributi della Psicologia Sociale aiutano a comprendere meglio il bisogno umano di
appartenere ad un gruppo e il prediligere un concetto di sé positivo piuttosto che negativo. forte bisogno italiano di
valorizzare le caratteristiche del proprio gruppo di appartenenza, della propria nazione nell’intento di farle
primeggiare sulle altre, anche a costo di sviluppare sentimenti negativi e comportamenti discriminatori nei riguardi del
diverso. Tessere umano risponde con un processo cognitivo che permette l'organizzazione della complessità del
mondo. Tale categorizzazione facilita la costruzione di una rappresentazione semplificata dell'ambiente sociale che
evoca inevitabilmente la formazione di stereotipi sociali; implica un'accentuazione delle somiglianze entro la categoria
e un'accentuazione delle differenze fra le due categorie messe a confronto. La paura per il crimine, il concern about
crime, evoca una preoccupazione di ordine sociale, politico o anche morale per la criminalità. Una reazione che si lega
al grado di partecipazione politica, all'adesione una determinata visione del mondo. La paura della vittimizzazione,
fear of crime, riguarda invece il timore di poter subire un reato a danno della propria incolumità o dei propri beni. La
presenza di uno stato di allerta non implica necessariamente che vi sia anche l'altro aspetto. Solo in parte queste due
dimensioni si sovrappongono. La preoccupazione per la criminalità è, infatti, più presente tra gli strati medio-alti della
popolazione, sulla scorta di posizioni politiche conservatrici e cresce nei periodi di rapido cambiamento sociale e
politico. la paura della vitimizzazione è più frequente tra gli strati medio-bassi della società ed è legata ai livelli di
criminalità o devianza del quartiere in cui si vive'. Le donne ma anche gli anziani, infatti, più vulnerabili perché più
deboli fisicamente rispetto alle aggressioni rispetto ad un uomo, avrebbero una percezione del rischio maggiore e
sarebbero più inclini a sperimentare una paura più intensa. Il degrado sociale Si configura come la risultante tra
l'inciviltà sociale e 'inciviltà ambientale, aspetti quindi concreti, circoscrivibili e visibili all'occhio dello spettatore.
Nella sua for- ma sociale, l'inciviltà emerge nell'antisocialità e nella mancata osservazione di regole e norme condivise
di convivenza; l'inciviltà ambientale si evidenzia nella violazione degli standard di cura, pulizia e mantenimento del
territorio. i mass media ricoprono un ruolo fondamentale. La rappresentazione mediatica della realtà, specie quella
criminale, risponde a delle logiche precise; strategie comunicative che enfatizzano certe notizie. È possibile, che la
rappresentazione mediatica della criminalità non aderisca esattamente al dato ufficiale. La percezione del crimine nella
società risente dell'immagine e dello stereotipo sul comportamento criminale impostato dai media. la narrazione
mediatica dedicata a questo tipo di reati influisce sul drammatico senso di insicurezza nel pubblico, ostacolato in una
lettura più genuina dei fenomeni. Il fatto criminoso diviene un qualcosa di fattibile, percepito come maggiormente
possibile di quanto realmente sia; Il timore per lo straniero clandestino e quello inerente il terrorismo comportano,
come già anticipato, una riflessione anche sulla sicurezza delle istituzioni, su quale sia la percezione della protezione
garantita dallo Stato italiano. Si rincorrono nel palinsesto show televisivi incentrati proprio sulla notizia di cronaca
nera che raccontano di fatti oscuri in modo talmente accattivante da attivare le emozioni più recondite dell'essere
umano. All'insaputa del pubblico, però, si fa credere loro che il male sia presente quotidianamente nella vita di tutti,
che la minaccia alla propria ed altrui incolumità sia una costante soprattutto in prossimità dell'immigrato. La paura del
diverso è evocata e sostenuta anche dal continuo accostare gli arrivi dei profughi e migranti con la criminalità o ancor
di più la minaccia terroristica. Percezione che in linea di massima non trova conferma nella realtà. La paura dello
straniero però si radicalizza nella mente degli italiani tanto da considerarsi un male che minaccia il benessere della
società. le operazioni di soccorso in mare sono divenute il bersaglio delle accuse del popolo, uno strumento al servizio
della criminalità ancor prima che le indagini potessero confermare o smentire l'accusa. le condizioni di degrado
sociale e la difficoltà nella gestione ottimale dei progetto accoglienza alimentano la ragione della paura. Bauman
infatti, individua nelle ragioni della paura dello straniero proprio il non conoscere. Una mancanza di comprensione che
appare essere reciproca e ostacolante ogni forma di risoluzione del problema. Senza la conoscenza prevalgono il
pregiudizio, l'emarginazione, l'esclusione dell'altro. Tra le ipotesi avanzate è plausibile che il flusso migratorio sia
realmente gestito dagli artefici del terrorismo; sembra, però, poco fattibile sottoporre una popolazione ad un rischio
così elevato, come quello che quotidianamente si trovano a sperimentare nelle traversate in mare, per poter trasportare
un capitale umano così imponente quale è un miliziano addestrato. La valorizzazione e la qualità dell'esperienza
personale con l'immigrato potrebbero contribuire a ridurre la paura ed il pregiudizio. Un impegno serio, oneroso,
individuale quanto collettivo, privato quanto pubblico, potenzialmente in grado di risollevare il Paese dalla
preoccupazione e dal senso di incertezza.

CAPITOLO 19
IL TERRORISMO
Le nuove modalità di comunicazione, agevolano il flusso comunicativo rendendo possibile lo scambio di contenuti in
tempo reale e senza alcun limite spaziale e arricchiscono il ventaglio di canali comunicativi utilizzabili mediante la
fruizione del linguaggio verbale ma soprattutto di immagini e video. Ciò che sta accadendo è che anche gli orrori
messi in atto dall'umanità sono divenuti materiale di veloce condivisione: se da un lato questo può essere visto come
una risorsa facendo emergere criticità di contro, vi sono coloro i quali agiscono modalità comunicative di massa al
fine di inneggiare e sviluppare nell'altro un sentimento di terrore. La propaganda islamico-estremista è riuscita a
ottenere certamente un gran numero di consensi e di sostenitori e a entrare direttamente nelle case e nella quotidianità,
nell'immaginario collettivo. Un attacco terroristico non avrebbe la medesima risonanza se le immagini della
devastazione creata non facesse capolino in tutte le testate giornalistiche e televisive e non venisse condivisa sulla rete
attraverso social network e filmati audio e video. Le immagini si impongono con forza e vividezza in ciascuno molto
più di quanto un racconto possa fare. La strategia dello Stato Islamico (abbreviato IS) permette di agire in modo
congiunto su più fronti, fondamentali al mantenimento del potere e della supremazia ottenuta nel tempo. Da un lato
può contare, su di un fronte interno, di guerriglieri con una importante esperienza da un punto di vista dei
combattimenti e militanti su di un territorio a loro molto bene conosciuto. Al timore di attacchi terroristici si aggiunge
una campagna di denigrazione dei Paesi occidentali che vengono proclamati colpevoli dell'uccisione di connazionali,
ed è questo il fronte esterno su cui agire. John Cantlie rapito in Siria nel 2012. La sua storia rappresenta in modo
molto chiaro quale è la strategia di comunicazione dell'IS. Anche in questo caso lo stesso prigioniero viene utilizzato
per inviare nuovi messaggi all'Occidente. In particolare l'intento fu quello di mostrare come fossero proprio i Paesi
occidentali a riportare di un paese in guerra, quando in realtà questo non corrisponde al vero. L'Occidente racconta
menzogne. Cantlie verrà obbligato e girerà filmati per mostrare che la situazione è calma e che i droni americani sono
autori di attacchi contro i civili mietendo morti innocenti. Sarebbe l'Occidente, dunque, il responsabile della guerra
che sta consumandosi a causa della cattiva informazione di cui è regista e autrice. Durante uno dei filmati girati da
Cantlie nel mercato di Aleppo, intervisterà due mujaheddin. Il primo dice che non servirà a nulla uccidere i capi
dell'IS perché continueranno anche senza e ancora più agguerriti. Il secondo ha accento francese e si complimenta per
gli attacchi di Parigi. Gli stessi occidentali combattono contro i propri paesi di origine e incoraggiano a far sì che
questo accada in modo ancora più forte. Come accaduto per il video in cui il giornalista James Foley viene decapitato
ad opera di un boia di origine londinese, il linguaggio che utilizza e l'accento sono familiari al popolo occidentale. La
distanza fra noi e loro viene annullata. La sensazione è di essere sempre più contaminati e neppure al sicuro dagli
stessi connazionali. i paesi occidentali appaiono come incapaci di controllare il proprio territorio dagli attacchi
terroristici visto l'infiltrarsi, anche in Italia appunto, di arabi emigrati in Europa il cui fine ultimo è quello di
raggiungere mete in cui compiere gesti estremi in nome della Guerra Santa. Si parla in tal senso di foreign fighters.
Con l'attentato alle Torri Gemelle dell'11 settembre 2001, il terrorismo è divenuto il grande nemico del mondo
Occidentale. Il protagonista al centro di questo fatto di cronaca è Al-Oaida, organizzazione resasi autrice di altri
numerosi attentati nel Medio Oriente ma che à seguito dell'11 settembre vede i riflettori puntati sulle sue attività. Al-
Qaida si mostra fin dagli albori come un'organizzazione mossa da un'ideologia religiosa di tipo fondamentalista e poco
predisposta a subire influenze esterne nei propri precetti religiosi e culturali. Il timore e la visione del mondo
occidentale come nemico. Il nome Al-Qaida è rappresentativo dell'ideologia sottostante all'organizzazione al cui
vertice vi era Osama Bin Laden. Il primo significato rimanda al desiderio Jihadista di preservare e tutelare la legge
islamica del Corano messa in pericolo dalla presenza sempre più massiccia degli occidentali. Questo è un elemento di
notevole rilevanza poiché il reclutamento avveniva in nome della religione e della necessità di proteggerla
dall'incursione e dall'influenza di altri credo. In nome della Jihad e alla suprema importanza di questa sull'uomo,
alcuni militanti erano e sono disposti a compiere atti estremi sacrificando la propria vita. Questo aspetto, spesso, è
utilizzato come vanto e come buon motivo di scredito nei confronti degli occidentali considerati vigliacchi. La
rappresentazione di Al-Qaida come base rimanda all'importante rapporto tra il gruppo terroristico e la rete
dell'informazione. Interessante è la strategia utilizzata da parte di Al-Qaida che opta per attentati in grado di creare un
elevato livello di suspence ma anche in grado di colpire per la loro spettacolarità, amplificata dal continuo trasmettere
delle immagini da parte dei mass media. Spesso gli attacchi sono simultanei o comunque non limitati ad unico assalto.
Ve ne seguono altri anche dislocati sullo stesso territorio o in luoghi distanti. percezione è di un non poter arrestare gli
attentati. Si stanziano moltissimi fondi al fine di intercettare le possibili intenzioni e i possibili successivi obiettivi
terroristici per prevenirne la messa in atto. In alcuni casi sono stati sventati attacchi terroristici prima che, appunto,
potessero giungere a compimento, ma queste sono notizie che molto meno godono della risonanza mediatica. Sono
notizie dotate di meno potere mediatico e di notiziabilità. Lo stesso Bin Laden, faceva ampio utilizzo della televisione
e dei mezzi di comunicazione di massa. la televisione che, trasmettendo i soli propri canali, effettuava un vero e
proprio processo di indottrinamento grazie alla messa in onda di contenuti finalizzati a istruire in merito al Corano e ai
precetti di questi e alla Guerra Santa, chiudendo la possibilità di usufruire di una visione o di un pensiero altro. Bin
Laden e Al-Qaida hanno occupato i palinsesti per i primi anni del 2000. Ad oggi la nuova organizzazione che ancor
più è temuta, e ancor più specula sul potere che attraverso i media è possibile riscuotere, è I'IS, Il rapporto tra IS e Al-
Qaida si incrinò dopo la guerra che si consumo in Siria. L'obiettivo dell'IS sembrerebbe essere quello di fondare un
vero e proprio Stato come appunto esemplificato dall'acronimo utilizzato per identificarsi: Stato Islamico dell'Iraq e
del Levante. In particolare l'attenzione mediatica viene catalizzata a seguito dell'annuncio del 29 giugno 2014 nel
quale Abu Bar al-Baghdadi annunciò l'inizio del Califfato sotto la sua direzione. la propaganda tesa al reclutamento e
all’affermazione delle proprie idee diffusa in modo capillare in ogni parte dei mondo. In modo ancora più perentorio
di quanto accaduto sotto la guida di Osama Bin Laden. Ciò che distingue in modo particolare I e Al-Qaida è il
differente contenuto delle immagini e dei filmati prodotti e poi trasmessi. Se la seconda utilizzava attacchi terroristici
in territorio nemico e contro i governi apostati della portata del crollo delle Twin Towers, IS utilizza i mezzi di
comunicazione di massa per rendere note al mondo le barbarie compiute, al fine di rendere chiaro il proprio potere in
territorio arabo e per informare sull'avanzata e la conquista di nuovi confini territoriali, nonché il destino tragico di
non professanti la religione musulmana e delle minoranze. Inoltre, è fin da bambini che vengono reclutati i futuri
militanti, indottrinati e subito messi alla prova divenendo loro stessi boia e assassini dei prigionieri di guerra, come in
diversi filmati trasmessi dai media è stato visto fare. Il concetto di gamification permette di comprendere meglio
l'impiego dei bambini. Il gamification, traducile in ludicizzazione, rimanda alla possibilità di orientare i
comportamenti obbligatori della pratica quotidiana o non graditi, facendo assumere a questi una dimensione di gioco
per natura piacevole. l'uccidere assume le sembianze di un video game di ruolo. Questa pratica è ravvisabile anche nei
primi cartoni animati in cui i bambini venivano addestrati e mostravano in modo ludico il loro farsi saltare in aria per
uccidere i dissidenti. Tutto ciò permette anche di sgretolare i valori morali che portano al rispetto dell'altro in quanto
essere umano rendendo immediato il processo di disumanizzazione. Sul web e sui social numerosi sono i video di
celebrazioni dell'IS, di minacce nei confronti delle minoranze religiose e dell'occidente visto come lontano nemico,
degli insegnamenti che nelle scuole dei militanti jihaisti preparano i bambini a divenire ottimi combattenti pronti a
offrire la propria vita in nome della jihad. Questa modalità comunicativa ha un forte impatto sulla società occidentale
di natura fondamentalmente pacifista la cui attivazione di tipo emotivo rende la propaganda dell'IS ampiamente
efficiente a creare orrore e sdegno, creando una reazione di tipo emotivo. Anche la produzione dei filmati gode di una
attenta cura proprio come ogni aspetto della propaganda dell'organizzazione. I video diffusi, hanno permesso il
reclutamento di più di 15mila foreign fighters nel mondo di cui 3mila europei. Vi sono vere e proprie case di
produzione. La stessa casa di produzione cinematografica si è occupata della registrazone, della messa in onda e della
diffusione del video girato in cui veniva annunciato l'inizio del Califfato. Le riprese sono state fatte in alta risoluzione
e con ottime inquadrature e scelte di luci degne di essere paragonate ad un film di azione. Le tecniche di registrazione
sono sofisticate e nessun dettaglio viene trascurato o è casuale. Sono filmati con effetti slow emotion e con effetti di
dissolvenza delle fiamme; riprese notturne e registrazioni di azioni in infrarossi come ne! video giochi di guerra; viene
utilizzata la tecnica fade to black tipica del trailer cinematografici. Oltre ai mezzi di comunicazione di massa anche i
social network sono strumenti utili al reclutamento e al mantenimento del contatto fra i vari militanti dislocati nei più
disparati territori. i militanti postano e condividono sul web tramite i propri profili social momenti di vita quotidiana
raccontando che cosa la dottrina insegna loro e quali sono le possibilità che l'IS offre. Aspirano aduna popolarità che
raggiunge l'apice nel momento in cui saranno protagonisti di filmati in cui loro stessi saranno i decapitatori degli
infedeli. Per non vedere sospesi i propri post l'utilizzo dei social network si è nel tempo affinato e consolidato. i video
sono facilmente reperibili su Youtube, le foto su Instagram, i file audio su SoundCloud, i resoconti delle battaglie su
JustPaste e ogni giorno la Rete è letteralmente invasa dai loro tweet, disponibili in tutte le lingue. L'organizzazione
dell'IS ha anche dimostrato di saper sfruttare la visibilità di grandi eventi mondiali come la Coppa del Mondo del 2014
alla quale si è agganciata con gli hashtag. Da parte dell'IS anche la carta stampata ha un ruolo importante nella
campagna di reclutamento e di diffusione. Viene infatti curata la produzione e l'edizione di una rivista in cui vengono
riportati tutti i fatti di cronaca. L'utilizzo che ne fanno è informativo dei precetti e dell'importanza di proseguire con la
Jihad come anche la campagna di diffusione e di reclutamento. Il magazine è titolato Dabig ed è tradotto anche in
lingua inglese. Dabiq nasce in un secondo momento rispetto all'altrettanto rinomato Inspire che subiva un forte
influsso da parte di Al-Qaeda; motivo per il quale il califfato ha prodotto autonomamente una nuova rivista che ne
condivide comunque il fine e il messaggio. Il nome ha un forte valore simbolico: Dabiq è la città in cui si è svolta la
battaglia finale contro i crociati prima che Maometto tornasse. L'opinione pubblica si interroga su quale sia
l'atteggiamento corretto rispetto al diffondere o meno i contenuti mediali e informatici prodotti e proposti dall'IS.
Forse la sospensione della diffusione potrebbe interrompere questa campagna di reclutamento minandone la
supremazia che attualmente l'opinione pubblica percepisce. Altra tematica che entra in scena è il diritto
all'informazione dei cittadini. In merito alla decapitazione di Foley e al video che venne prodotto e poi diffuso vi fu
urampia discussione. Fu pubblicato su Youtube ma rimosso immediatamente da Google. Le comunicazioni degli
eventi dovrebbero essere fatte come documentazione e narrazione di eventi accompagnando il fruitore ad una visione
critica, fornendo gli strumenti per una rilettura che sia più realistica e meno emotivamente connotata. Lo Stato
Islamico non possiede un proprio network di riferimento, non avere una propria piattaforma permette di non rendersi
attaccabili in termini mediatici perché non identificabile la fonte. Seppure su Twitter verranno bannati alcuni hastag,
Twitter continuerà ad esistere e con altri hastag sarà possibile continuare la propria propaganda.
CAPITOLO 20
ASPETTI PERSONOLOGICI, CONTESTO SOCIALE E DELINQUENZA
Un oggetto di indagine caro alla psicologia sociale e di comunità che definisce individuo nel contesto. L'interazione
individuo-ambiente considerata alla base di tutte le manifestazioni umane, comportamentali od emotive che siano. La
comprensione della possibile relazione tra aspetti personologici e contesto sociale, cui si può aggiungere la
connessione con la devianza, diviene impossibile solo volgendo l'attenzione al singolo, alle sue caratteristiche
psicologiche e personologiche, senza inserirlo in un qualche contesto socio-storico-culturale. Si può parlare di fattori
predisponenti, caratteristiche individuali o condizioni ambientali, la cui presenza si associa ad una maggiore
probabilità di sviluppare una certa tipologia di personalità. Parlare al condizionale diviene un obbligo. Si tratta di
teorizzazioni difficilmente generalizzabili perché unico ed irripetibile è l'oggetto di indagine. Non è possibile, infatti
Proporre una risposta univoca e che non tenga in considerazione l'oggetto della trattazione, o meglio il soggetto.
Spesso nel linguaggio comune si utilizza il termine personalità in modo interscambiabile a temperamento o anche
carattere. La definizione di temperamento riporta ad una dimensione genetica e biologica delle disposizioni
comportamentali presenti sin dalla nascita. Variazioni individuali, principalmente relative alla dimensione dell'
emozionalità, socievolezza e attività, che riflettono la manifestazione della variabilità biologica. gli studi condotti su
fratelli gemelli omozigoti inseriti all'interno del medesimo nucleo familiare e contesto sociale mostrano come le
risposte all'ambiente e le personalità di persone che condividono parte del patrimonio genetico siano anche molto
distanti. L'interazione tra le qualità, positive e negative, che il soggetto possiede sin dalla nascita e l'ambiente in cui
cresce determinano lo svilupparsi o l'affinarsi di determinate particolarità che assumono il nome di carattere. Un
costrutto che sottintende quindi una certa flessibilità e suscettibilità al cambiamento, esattamente come avviene per la
personalità. Il termine personalità rimanda all'insieme dinamico delle disposizioni psichiche dell'individuo. Aspetti
cognitivi, affettivi, motivazionali e volitivi dell'individuo in evoluzione ed in divenire, come sottolineato dal termine
dinamico, che suggerisce costanza e variabilità nel comportamento specifico dell'essere umano quindi la possibilità di
un cambiamento personologico in funzione di un migliore adattamento tra i bisogni dell'individuo, desideri e la realtà
esterna. Alcune teorie enfatizzano le forze genetiche determinanti il processo di costruzione della personalità
dell'individuo altre, invece, le forze ambientali asserendo che l'uomo è un essere fondamentalmente sociale e che
dunque anche la personalita è soggetta al modellamento dato dal contesto socio-educativo. Le cosi dette teorie
disposizionali, invece, si soffermano solo sui fattori interni all’organismo. Altri modelli, propongono invece una
sinergia tra la componente ambientale, la componente innata genetica e il ruolo della soggettività, ossia della capacità
umana di autodeterminarsi e di modellare il proprio stile di vita. Lo psicologo sovietico Lev S. Vygotskij, padre della
scuola storico-culturale, definisce la cultura un sistema di mediazione di significati che vengono proposti
dall'ambiente esterno agli individui nella forma di artefatti cioè di oggetti culturali, prodotti di pensiero, prodotti di
relazioni sociali o oggetti di uso quotidiano. L'interiorizzazione di oggetti culturali permettono al soggetto di collocarsi
all'interno dell'ambiente e del contesto di vita, creandosi una propria identità culturale che sarà molto più simile a
coloro i quali condividono il medesimo substrato culturale rispetto a soggetti appartenenti ad altre culture. Nell'ambito
dell'antropologia culturale, uno dei pionieri nello studio del rapporto tra cultura e personalità fu Ralph Linton. Linton
elaborò il concetto di personalità di base, definita come quella configurazione psicologica caratteristica di soggetti
appartenenti al medesimo contesto. Riflettendo sul fatto che ogni cultura ha modalità di allevamento e accudimento
dei nuovi nati culturalmente modellata, condivisa e simile seppure mai identica, ne consegue che i membri di una
determinata società condivideranno esperienze infantili pressoché affini. Per personalità di base si fa riferimento a
quel set di aspetti della personalità che apparirebbero congeniali alla serie totale di istituzioni comprese in una data
cultura. A sostegno della differenziazione umana, esplicita come la cultura offra anche modelli di comportamento
alternativi aprendo ad un ventaglio di possibili scelte ideali, tecniche e comportamentali nonché elementi individuali
intesi come modelli del singolo di affrontare le situazioni e rileggerne i contenuti. È durante tutto il corso
dell'esistenza dell'individuo che prende forma quello che gli antropologi culturali hanno definito processo di
socializzazione o inculturazione. L'acquisizione della cultura, sebbene caratterizzi l'intero arco di vita della persona
adattandosi di volta in volta alle nuove esperienze e all'impegno, inizia già nelle prime fasi delle sviluppo mediante
l'interiorizzazione dei valori universali e fondamentali della cultura ponendo così le basi dello sviluppo della
personalità dell'individuo. In un'età più matura vi sara lo strutturarsi dei fattori individuali che, accanto agli universali
e a quelli temperamentali afferenti al substrato biologico, daranno come risultato la personalità dell'individuo.
Nell'educare il nuovo cittadino e avviarne la socializzazione è promosso l'impiego del sistema universale di premi e
punizioni che trova condivisione e uso nella società di appartenenza. Il processo di inculturazione implica
necessariamente ambivalenza poiché si associa alla soddisfazione e contemporaneamente alla insoddisfazione.
L'esposizione a umiliazioni, non di tipo fisico, quanto piuttosto in merito all'immagine di sé come non adeguato e
meritevole, di non essere un bravo e buon bambino con anche rimandi verbali: hanno impatto sulla personalità, specie
sulla rappresentazione mentale che il bambino ha di sé e delle relazioni interpersonali. I primi studi condotti al fine di
meglio identificare possibili e probabili correlazioni esistenti tra il tipo di personalita dell'autore di reato e il crimine
che è stato commesso, sono stati condotti ad opera del belga Etienne De Greeff. la personalità come una
predisposizione, derivante dall'esperienza passata, fissa a reagire ad un determinato stimolo, e individuò la
criminogenesi nella messa in atto di un comportamento deviante a fronte della percezione, da parte del soggetto, di
essere sottoposto ad una qualche forma di ingiustizia, quello che l'autore definisce silenzio affettivo. L'evoluzione
stadiale che porta al crimine prevede poi una fase di squilibrio psichico, la criminodinamica, che anticiperà
l'esecuzione vera e propria del crimine. Il passaggio all'atto sarà la fase conclusiva in cui la situazione di squilibrio
precipiterà. non è stato possibile identificare un profilo personologico e psicopatologico dell'uomo violento che da
solo riuscisse ad essere sufficientemente esplicativo di una realtà così eterogenea come quella che si sta qui
affrontando. La violenza permetterebbe all'individuo di esprimere i forti sentimenti di rabbia e di rancore, riducendo la
frustrazione che da questi sentimenti deriva. Essere stati da piccoli testimoni di violenza e aver sperimentato sulla
propria pelle sempre in tenera età abusi fisici o sessuali o anche l'assenza o la presenza rifiutante della figura paterna,
sembrano costituire possibili predittori di futuri comportamenti devianti e violenti. La violenza tende infatti ad
aumentare sia in condizioni di feedback positivi, ossia in presenza di circostanze sociali che ne aumentino la
propensione, come potrebbe essere l'avere assistito o vissuto in prima persona episodi di violenza familiare da
bambini, sia in assenza di feedback negativi nei quali non si è avuta la possibilità di sperimentare una socializzazione
secondaria alternativa volta ad incentivare l'importanza della negoziazione nella risoluzione dei conflitti. La presenza
di elevati livelli di fantasie di dominio e di potere, persistente sospettosità e paura diffusa, portano alla formulazione
dell'ipotesi di una struttura di personalità con tratti narcisistici e paranoidi. Compatibilmente con tali quadri
personologici, vi sarebbe una maggiore predisposizione all'egocentrismo, aggressività e facile messa in atto di acting
out, labilità nei comportamenti, facilità all'eccitamento. Inoltre, una scarsa autostima e la presenza di sentimenti di
disperazione potrebbero innescare meccanismi di compensazione ricercando nel dominio dell'altro una possibile
strategia al fine di ridurre i livelli di ansia e angoscia e di inferiorità. Un elemento che accomuna il funzionamento
psicologico delle persone che agiscono devianza riguarda l'indifferenza affettiva. Il soggetto antisociale è un soggetto
che mette in atto, e che ha messo in atto nel corso della vita, comportamenti criminali in modo soprattutto impulsivo e
connotati emotivamente. La cultura di appartenenza, in questi casi, gioca un ruolo fondamentale. Nel soggetto
psicopatico, invece, questa componente emotiva non trova luogo. O meglio si assiste ad una strumentalizzazione delle
emozioni dell'altro in modo che possono essere utili al raggiungimento di uno scopo specifico. Nella forma primaria
l'insorgenza è precoce, con manifestazioni violente a danno di animali, aggressioni fisiche, piromania, disturbi
comportamentali ed enuresi notturna. Si tratta di soggetti spesso aggressivi e solitari agendo un'aggressività di tipo
predatorio. La psicopatia secondaria ha insorgenza tardiva, tipicamente predisposta dall'influenza dell'ambiente e le
funzioni sociali non sono ancora del tutto compromesse. Attraverso l'utilizzo di strumentazioni di neuroimaging' si è
cercato anche di chiarire come queste varianti genetiche agiscono sul funzionamento cerebrale che sottende l'agito
violento. Individui maschi con l'allele a bassa attività del gene MAO-A (Low-MAO-A) mostravano, se sottoposti a
fMRI (risonanza magnetica funzionale), una riduzione dell'8% del volume dell'amigdala, del cingolo anteriore e della
corteccia orbitofrontale strutture queste che rivestono un ruolo fondamentale nella risposta a stimoli emotivi e nella
modulazione del comportamento e dell'aggressività. Coerentemente con questa evidenza, la ridotta funzionalità
prefrontale osservata in soggetti con discontrollo degli impulsi e dell'aggressività, suggerisce che la corteccia
prefrontale possa agire come una sorta di freno inibitore modulando così la risposta istintiva, quasi automatica, a
stimoli emotivi. Dall'osservazione del comportamento violento si evince in modo lampante una incapacità a
conformarsi alle norme e alle regole condivise nel contesto di appartenenza, mettendo in atto comportamenti che
vengono percepiti come immorali. Sarebbero allora la corteccia prefrontale, il cingolo, la corteccia temporale, il giro
angolare, 'amigdala e l'ippocampo le principali aree cerebrali compromesse negli individui con comportamento
violento.

CAPITOLO 21
RELAZIONE TRA VITTIMA E CARNEFICE
Non c'è vittima senza carnefice e non c'è carnefice senza vittima. La proposta scientifica insiste sull'abbandonare una
visione statica e dunque necessariamente parziale del comportamento criminale in favore di una ricerca della
criminogenesi orientata a comprendere il passaggio all'atto. Ecco allora la possibilità di trattare la vittima, il carnefice
e la loro relazione, mediante i principi elaborati dalla Teoria Generale dei Sistemi e il Paradigma della Complessità.
L'assunto fondante della prima ha in oggetto la comunicazione umana: anche nel momento in cui apparentemente non
vi è comunicazione. l'essere umano comunica. In tale prospettiva si propone poi la tendenza all'autoregolazione del
sistema, evidente nell'adattamento al cambiamento delle circostanze, il concetto di causalità circolare secondo il quale
ogni parte del sistema influenza ed è a sua volta influenzata da tutte le altre parti costituenti il sistema e il concetto di
equifinalità secondo il quale medesimi risultati possono essere generati da condizioni iniziali differenti, ma anche
medesimi fattori scatenanti possono comportare esiti diversi, pur tuttavia non essendovi relazione lineare di causa-
effetto. Il paradigma della complessità rimanda alla visione dell'oggetto della psicologia, dunque la psiche, come
fortemente complesso e dinamico allontanando sempre più la visione riduzionista del soggetto pensante e agente quale
è l'uomo. Una vittima, ossia un soggetto danneggiato o che ha subito un torto da altri, che sembra quindi non occupare
più un ruolo esclusivamente passivo nella formulazione dell'ipotesi criminogena. Piuttosto un criminale attento a
selezionare l'oggetto della propria aggressione, in questo caso un soggetto, che per talune sue caratteristiche,
individuali e sociali, appare appetibile e suscettibile di venire vittimizzata. La vittimologia è la disciplina che ha per
oggetto lo studio della vittima di un crimine e della sua personalità, delle sue caratteristiche biologiche, psicologiche,
morali, sociali e culturali, delle sue relazioni con l'autore del reato, e del ruolo che essa ha assunto nella criminogenesi
e nella criminodinamica. Il ruolo di vittima risulta, quindi, mediato anche da aspetti sociali e culturali e, importante
sottolineare, il riconoscimento di questa condizione non può prescindere dalla legislazione della cultura di
appartenenza, sia per il perseguimento da un punto di vista giudiziario dell'autore di reato sia, e non di secondaria
importanza, per il riconoscimento di chi subisce l'azione criminosa del proprio ruolo di vittima. La vittimologia come
scienza empirica applicata allo studio delle vittime di reati nacque nel 1948, a partire dagli studi pionieristici di Von
Hentig, l'ottica preventiva allo studio dell'evento criminoso inizia ad interessarsi anche al ruolo della vittima. La
sistematicità dell'indagine scientifica sulla vittima e sulle caratteristiche personologiche, sociali e culturali ma anche
quelle relazionali con l'autore di reato, hanno favorito l'esplorazione di un ambito trascurato fino a quel momento ma
rivelatosi poi essenziale per la comprensione della complessa dinamica che porta un carnefice ed una vittima a
divenire tali. Vi sarebbero cioè delle condizioni biopsicosociali che potrebbero predisporre ad assumere il ruolo di
vittima, come l'appartenenza alle così dette fasce deboli, donne, minori e anziani, fragilità e caratteristiche
psicologiche o psichiatriche che minano la capacità di intendere, deficit cognitivi e neurologici o genetici, ritardo
mentale, condizioni come l'alcolismo, tossicomania, depressione o l'appartenenza a particolari culture o etnie o
categorie sociali discriminate come nel caso degli omosessuali a cui possono aggiungersi condizioni di tipo
socioeconomico e demografiche. Come esplicitato si tratta di fattori di rischio, ossia di caratteristiche che possono
alimentare la predisposizione alla vittimizzazione in assenza, tuttavia, di una precisa specificità nel grado di
predizione. Autore e vittima appaiono legati da una relazione indissolubile e significativa, l'uno funzionale all'altro,
per completarsi, modalità relazionali mantenute nella coppia, che andranno a rafforzare i ruoli esibiti nella dinamica
criminale tanto della vittima che del carnefice. Vengono proposte dirferenti tipologie di coppie relazionali i cui schemi
comportamentali risultano complementari.
Il comportamento reciprocamente maltrattante tipizza quella coppia di soggetti il cui legame è caratterizzato dalla
ricerca di mal trattamento fisico, morale e psicologico vicendevole che si esplicita nella commissione di condotte
sadomasochistiche. Spesso, la vittima delle angherie del soggetto alcol dipendente trova nella relazione conferma di
modalità relazionali apprese nell'infanzia. Un genitore della vittima potrebbe essere stato a sua volta alcolista e nella
relazione si andrà a ricercare l'immagine del genitore alcolista spesso anche maltrattante.
Diverso il quadro in cui la vittima accetta le estorsioni che a vario titolo il partner agisce, tipica situazione della coppia
estorsore-estorto. In questo caso la vittima oscilla tra un senso di impotenza, nell'incapacità a tutelarsi, e di
provocazione istigando l'altro al mantenere il comportamento, favorendo la messa in atto di prevaricazioni sempre più
importanti e gravi.
La coppia avvelenatore-avvelenato, come la stessa denominazione suggerisce, contempla la presenza di un soggetto
teso a condotte finalizzate all'avvelenamento del partner relazionale che a sua volta non agisce alcun tipo di protezione
dall'intento dell'altro di avvelenare.
Da un punto di vista criminologico, anche la coppia costituita da prostituta e prosseneta acquisisce importanza da un
punto di vista dell'analisi della relazione. Le prostitute spesso affermano di non volere denunciare il Proprio protettore
o chiedono di poter ritirare quella già inoltrata non solo derivabili, ma anche a causa del legame, seppur disfunzionale,
che fra i due è andato creandosi.
Anche i sistemi familiari possono caratterizzarsi per la presenza di comportamenti violenti, fisicamente e
psicologicamente, agiti da un membro tiranno nei confronti dei componenti della costellazione familiare ma specie a
carico di una persona specifica, della vittima prediletta proprio perché in possesso di una vulnerabilità peculiare. Nel
sistema familiare non è da escludere la possibilità che sia il genitore ad assumere il ruolo di vittima. Tipica situazione
che si manifesta quando il figlio abusa di sostanze stupefacenti o è portatore di un disagio psichiatrico. Nel primo caso
il genitore è costretto a sopportare i comportamenti violenti e fortemente aggressivi, ma anche un elevato grado di
preoccupazione e ansia per la condizione del figlio. Non molto distante la complessità e la valenza delle esperienze di
genitori con figli con diagnosi di psicosi. Genitori spesso non adeguatamente preparati a far fronte ad una patologia
tanto importante da soccombere dinanzi alla violenza dei figli che agiscono ricorrendo a vere e proprie vessazioni nei
confronti dei propri cari. La patologia psichiatrica caratterizza anche quelle coppie costituite da due soggetti che
insieme compiono azioni criminali ma che all'interno della diade ricoprono ruoli differenti. Uno dei due avrà un ruolo
dominante e il secondo un ruolo complementare di succube. Da un punto di vista più prettamente psichiatrico, viene
definita foliè a deux e ne è rappresentativa la coppia composta dal serial killer e dall'aiutante che si impegnerà a
nascondere i corpi.
Nella relazione dinamica fra offender e vittima è anche possibile ricorrere a schemi comportamentali non
complementari, in cui la vittima si oppone e contrasta l'agito criminale. Possono trovare luogo sia nei casi in cui fra
autore e vittima vi è una precedente conoscenza, sia nel caso in cui i soggetti coinvolti siano completi sconosciuti. La
pregressa conoscenza del reo, non necessariamente sii traducono in un invischiamento complementare con il proprio
carnefice. Nei casi in cui tra vittima e offender vi è stata una relazione pregressa, con molta probabilità l'autore del
reato metterà in atto script relazionali di cui ha fatto esperienza in giovane età strutturatesi nelle relazioni primarie
avute all'interno del contesto familiare con le figure di riferimento genitoriali, ma non solo. Ciò che spesso succede e
che il partner relazionale, che per un periodo di tempo ha accettato senza mostrare apertamente insofferenza, si ribelli
e mostri frustrazione per le imposizioni comportamentali. Un contrasto che provocherà nell'altro reazioni di
comportamenti aggressivi e violenti e, nei casi più drammatici, potrà portare all'uccisione dell'altro.
Schemi comportamentali non complementari possono caratterizzare anche relazioni nuove, strutturatesi, cioè, in
assenza di una conoscenza pregressa fra vittima e offender all'evento criminoso. In questi casi apparentemente
l'incontro tra i due attori sembra essere dettato da casualità.
Sebbene in alcuni casi, come già citato, le vittime risultano realmente svincolate da legami psicologici o psichiatrici
dal carnefice, si pensi per esempio all'attentato terroristico, nella maggior parte degli eventi delittuosi la dinamica
relazionale tra vittima e criminale non puo essere trascurata, occupando una posizione centrale, per non dire
prioritaria, nella definizione dell'evento, nelle modalità e nelle tempistiche attuate, ma anche in un'ottica preventiva
del crimine e di presa in carico del criminale e della vittima.
Il porre l'attenzione alla relazione fra gli attori coinvolti rinnova e promuove un atteggiamento valorizzante le
dinamiche che caratterizzano momento antecedente il fatto criminoso e che portano poi all'azione. Da qui nasce il
termine criminogenesi capace di riassumere quest’approccio all'indagine e all'analisi dell'interazione.
La scelta e l'accurata selezione della vittima non avviene casualmente. Non solo caratteristiche personologiche del
soggetto autore dell'evento criminoso Probabilmente nemmeno troppo differenti da quelle caratterizzanti soggetti non
decline quenti, ma anche soprattutto talune caratteristiche della vittima sembrano contribuire alla scelta dei chi diverrà
oggetto del crimine. Gli sarà il protagonista determinante dall'evento? Le ricerche scientifiche mostrano come il
distanziarsi dal proprio carnefice. Rappresenti spesso un fattore di rischio predisponente l'acting out la traduzione
comportamentale dell'idea criminale. Nella relazione dinamica tra vittima e carnefice, la difficoltà di distanziarsi
fisicamente e ancora di più emotivamente dal proprio aggressore rappresenta uno scoglio talmente difficile da
affrontare e superare, visibile in tutte quelle stesse situazioni in cui la vittima rimane bloccata nella relazione. In
trappola, incapace di liberarsi da quel vincolo tanto forte che sperimenta. Studi empirici e l'esperienza clinica
evidenziano come nella vittima sia riscontrabile una labilità psicologica antecedente al l'aver subito atti di violenza in
aggiunta ad una ad una inadeguata o immatura competenza in termini di resilienza e di coping come risorse che
facilitano l'adattamento dell'individuo. Tali tratti sembrerebbero esporre la persona ad una maggiore vulnerabilità. E
dall'altro indurre il carnefice a optare proprio per quella vittima. Il meccanismo psicologico che induce a
disumanizzare la vittima, a considerarla oggetto priva di sembianze umane, oltre che rappresentare una modalità che
accomuna il funzionamento dei criminali, potrebbe contribuire a meglio a spiegare l'assenza del senso di colpa o
rimorso in agiti così drammatici, come nel caso del femminicidio. Il meccanismo psicologico che implica
l'attribuzione della colpa ad una persona resa oggetto nella relazione, accusarne segni, messaggi e gesti significativi
che, in gradi e forme diverse. hanno indotto il criminale alla commissione dell'evento delittuoso, scagiona l'autore del
reato e ne sospende il senso di colpa o la potenziale vergogna. La presenza di uno schermo o comunque di un medium
implica che l'incontro interpersonale tra vittima e carnefice non avvenga necessariamente alla presenza dell'altro. In
alcuni casi la relazione disfunzionale nasce e si estingue online, così come è in rete che avviene la commissione
dell'evento criminoso. Sfugge, in questo modo, il contatto con l'altro, la lettura e la comprensione dell'emotività della
vittima e del criminale antecedente e ancor di più quella che fa seguito alla vittimizzazione. La presenza di un medium
assicura le vittime che, fin tanto che non incontrano il proprio carnefice, stentano a vedersi tali. Tale limite
contribuisce al fenomeno del sommerso rendendo più complessa l'analisi della questione per il consistente numero di
mancate denunce e segnalazioni. La vittimizzazione non è solo un fatto privato. Ne sono un esempio, a livello macro
sociale, le istituzioni che impegnate a garantire un certo grado di riservatezza per alcuni documenti riservati vengono
attaccati da hacker in grado di bucare il sistema di protezione, o le organizzazioni criminali che sfruttano il
cyberspazio per organizzare attacchi terroristici o associazioni a delinquere che muovono immani somme di denaro
utilizzando false identità. Il furto d'identità o impersonification consiste nel rubare l'identità online della vittima,
violando il suo account o creandone uno falso per poi usarlo allo scopo di inviare o addirittura pubblicare materiale
che può compromettere e danneggiare l'immagine e la reputazione della vittima in oggetto. l'adescamento online di
minori, grooming, e degli adulti di riferimento da parte di soggetti con interessi pedofilici. Si tratta di un reato così
preponderante da riguardare non solo la vittima minore esposta all'eventuale abuso, ma anche la famiglia che alleva e
accudisce il figlio che viene completamente fagocitata dall'evento e dalle conseguenze di questo. L'esclusività della
relazione ed il sentimento di fiducia che l'adescatore mira a costruire, manipolando psicologicamente la vittima dopo
averla accuratamente selezionata, possono indurre il minore a produrre foto e filmati a sfondo sessuale alle volte su
richiesta dell'offender, altre volte spontaneamente, senza particolari pressioni o minacce. Questo materiale spesso
verrà poi diffuso online o pubblicato su social o chat. Le devastanti conseguenze derivanti dalla vittimizzazione
virtuale sono mediate dalla vulnerabilità individuale del minore, da fattori quali l'età, il contesto socio culturale e la
capacità di protezione e di offrire supporto al minore. i minore, in seguito, potrebbe utilizzare il soddisfacimento
sessuale come forma di compensazione per bisogni di altra natura. Da non escludersi la possibilità che l'evento
traumatico si configuri come un vero e proprio Disturbo Post Traumatico da Stress.
Fra le nuove tipologie di vittimizzazione è parere condiviso inserire ciò che stata nominata net addiction, dove il ruolo
di vittima e di persecutore coincidono nella misura in cui la coazione a ripetere pone il medesimo soggetto nella
condizione di vittima e, al contempo, di carnefice di se stesso. Si tratta di nuove forme di dipendenza da Internet
identificabili come veri e propri disturbi psicopatologici che vedono, tra i casi possibili, vittima e offender legati da
una dipendenza da giochi di ruolo, MUD addiction, dal gioco d'azzardo o dall'acquisto compulsivo, compulsive online
gambling, o dalla ossessione per la ricerca compulsiva di informazioni in rete, information overload addiction, fino ad
arrivare alla dipendenza dalle relazioni virtuali, cyber-relationship addiction, e al bisogno incontrollabile di visitare siti
a contenuto pornografico, cybersexual addiction.
al di là della qualificazione giuridica, si ribadisce che nella dinamica tra vittima e carnefice sussiste un totale
sbilanciamento relazionale. Mentre i comportamenti tenuti dal carnefice sono finalizzati nel detenere il potere e il
controllo, la vittima, inerme, assiste alla privazione di autonomia e di indipendenza, rimanendo bloccata e sentendosi
in trappola.

CAPITOLO 22
IL DILEMMA TRA VENDETTA E PERDONO
perdonare, quindi passare dallo stato emotivo, cognitivo e comportamentale della vendetta a quello del perdono,
potrebbe rivelarsi utile e funzionale in un'ottica riabilitativa e curativa. Recentemente, infatti, nel dialogo psicologico e
psicoterapico, è emersa la centralità del tema del perdono che ha affrontato ed evidenziato le potenzialità curative
derivanti dalla pratica del perdonare. la psicologia positiva, una disciplina del nuovo millennio avente come oggetto di
indagine la riflessione e la promozione di condizioni, atteggiamenti e comportamenti finalizzati al raggiungimento del
benessere piuttosto che soffermarsi sul più tradizionale studio della psicopatologia e sul conseguente trattamento
reattivo ad una sofferenza psicologica. una lettura più prettamente antropologica sull'origine del dono e sul considerare
la vita il dono originario per eccellenza. Se il dono è limitato temporalmente, il condono supera tale vincolo. Ed è
entro tali premesse che nasce il termine con-donare: nel tentativo di restituire il dono della vita, che per definizione
non è possibile restituire, si adopererà una ripetizione in favore di un altro soggetto a cui verrà dunque donata la vita.
Tipica contingenza ravvisabile nel momento in cui si riceve la grazia della vita pur in presenza di un'asimmetria
relazionale tra vittima e carnefice che potrebbe esitare nell'eliminazione dell'altro. Da un dono concettualizzato come
un processo di scambio, fino ad arrivare al perdonare che riabilita il senso di ingiustizia mediante la grazia fatta
all'infinito e la gratuità del dono. Non solo perdonare una persona per l'offesa commessa a danno di altri, anche
perdonare a se stessi di aver arrecato male ad altri e perdonarsi per avere arrecato danno a sé. Nell'atto del perdono è
comunque sempre implicita una relazione, con sé o con l'offensore; il perdono è, infatti, un costrutto interpersonale
che si realizza in presenza della volontà di perdonare della vittima e della disponibilità del colpevole ad interiorizzare
tale perdono. Anche chi riceve il perdono ha, infatti, un ruolo attivo perché non subirà la scelta dell'altro ma dovrà
accettarla. Se il perdono è un atto libero, è altrettanto vero che è un atto necessario per distruggere ciò che nelle
relazioni umane introduce ingiustizia e dunque l'odio verso se stessi e l'odio verso gli altri. La potenza rigeneratrice
del perdono si realizza, infatti, a fronte di una relazione nuova tra la vittima e l'aggressore, o tra sé e sé, in grado di
rompere quel legame criminale tra gli attori dominato da sole emozioni negative. Il senso di vendetta e il desiderio
della rivincita sull'aggressore implicano l'esistenza di un legame vincolante tra il carnefice e la sua vittima. Il perdono,
invece, concretizza un passaggio evolutivo che si associa alla novità relazionale. Da un lato la vittima sara facilitata
nel liberarsi dalle emozioni negative di odio e rancore e ad operare In cambiamento nella rappresentazione mentale sul
sé come di un soggetto meritevole di ricevere quel danno e dall'altro il colpevole potrà impegnarsi a costruire una
nuova immagine di sé come dignitoso di perdono e dunque non solo identificazione di sé negativa e parziale. non può
essere in alcun modo coincidente con quella precedente l'ingiustizia, poiché il perdono non cancella la colpa. Il
perdonare non coincide e non porta come conseguenza diretta che la vittima non desideri che il soggetto paghi per il
danno arrecatole. Si ribadisce che il perdonare non è sovrapponibile al non desiderare giustizia per quanto subito. Ma
questo sarà compito del sistema giudiziario che giudicherà il misfatto e assicurerà la pena, ove prevista. Alla vittima
che perdona non è infatti chiesto di farsi giustizia, ma di adoperarsi affinché le proprie risorse emotive, cognitive e
comportamentali vengano impiegate per la sostituzione di reazioni ed emozoni negative con altre reazioni ed emozioni
positive o neutre. Mediante la vendetla, infatti, la vittima ha l'opportunità di recuperare il senso di controllo che nel
subire è momentaneamente venuto meno, di difendersi dall'umiliazione e dalla vergogna per quanto accadutogli e di
prevenire così pensieri svalutanti riguardanti il sé. La vendetta risponde anche ad una logica retributiva, quel dovere
sociale che impegna alla punizione del colpevole. Un imperativo talmente profondo e presente in modo trasversale
nelle culture e nelle società da legittimare addirittura il senso di colpa qualora la vittima non riuscisse ad aderirvi. Per
poter parlare di perdono non è però sufficiente decidere di rinunciare al vendicarsi e neppure liberarsi dal risentimento
è una condizione sufficiente poiché, in taluni casi, tale rinuncia dipende da una scelta egoistica, finalizzata a non
provare le emozioni negative che ne conseguono o anche dalla volontà di mantenere il proprio status di vittima da cui
possono trarsi vantaggi secondari. Per poter accettare il torto subito e proteggersi dal rischio di
auto denigrazione, la vittima dovrà mettere in atto un processo di ristrutturazione cognitiva, noto con il termine
reframing, che allontani il rischio di assumere come proprio il pensiero che se accetta di perdonare accetta di ricevere
l'offesa, piuttosto, di abbracciare la convinzione che perdonare significhi dimostrare superiorità e potere non
lasciandosi sopraffare dalle emozioni oscure e dall'immagine di sé negativa che il subire un torto può produrre.
Quindi, da un lato la volontà della vittima di non soffrire più per l'offesa subita, abbandonando sentimenti di vendetta
e di risentimento ma, dall'altro, anche non desiderare che chi ha causato l'offesa soffra a causa di questa, sia nei
termini di non voler causare danno a propria volta, sia nel non volere che altri ledano l'offensore per suo conto. In
assenza di tali requisiti si parlerà invece di pseudo perdono. Lo pseudoperdono si differenza dalla forma
incondizionata per la difficoltà a discernere l'attore dall'azione che ha commesso. Esso risponde a logiche diverse ed
intercetta il desiderio di accrescere o difendere la propria autostima. Se non perdono sono una cattiva persona. Strelan
e Covic (2006) argomentano che la vittima, per giungere a concedere il perdono a chi le ha arrecato il danno, dovrà
provare una serie di emozioni e sentimenti, che gli autori individuano in cinque differenti stadi, al termine dei quali
potrà concretizzarsi il perdono;
Il presupposto necessario per poter parlare di perdono è la percezione del danno, riconoscere e sperimentare un'offesa
a seguito dell'esposizione ad una determinata azione. La vittima dovrà sentirsi ferita, arrabbiata e risentita per quanto
accaduto.
È necessario, secondariamente, che il soggetto esperisca a livello affettivo, cognitivo e emotivo le conseguenze
negative dell'evento che lo ha visto nel ruolo di vittima, allontanando così ipotetici sensi di colpa per quanto subito, o
la sensazione di dover esser punita per un qualche cosa.
La vittima dovrà poi realizzare e prendere contezza dell'inefficacia delle strategie messe in atto al fine di far fronte
all'offesa.
Dovrà seguire a questo passaggio più meta-cognitivo, il desiderio di perdonare. sulla scorta della convinzione che tale
strategia possa essere una strada possibile da perseguire e, in ultimo, provi per l'offensore sentimenti di comprensione
ed empatia sebbene, quest'ultimo stadio, in successive elaborazioni della teoria, non verrà più considerato elemento
necessario ed essenziale al perdono.
La multidimensionalità, altra caratteristica del perdono che ottiene numerosi consensi nell'ambito della ricerca
psicosociale, rimanda alla compresenza di una valenza positiva e di una negativa. Il carattere positivo rimanda
all'assunzione, di un atteggiamento benevolo, comprensivo e conciliante verso chi ha offeso. La natura negativa ha a
che fare con la riduzione di desideri di vendetta e rancore e alla riduzione di reazioni di evitamento, nella fattispecie,
di relazioni più intime.
La capacità di perdonare risulta positivamente correlata ad una maggiore qualità della vita della vittima e ad un
potenziamento delle sue capacità di problem solving. Di contro, la difficoltà a concedere o concedersi il perdono si
associa alla sperimentazione di vissuti emotivi negativi come rabbia, rancore e odio verso l'offensore ma
potenzialmente anche rivolte al sé, come di una persona meritevole di quel danno che possono esitare nello sviluppo
di stati depressivi e il persistere di ruminazione mentale ancorando il soggetto a provare maggiori livelli di
frustrazione, tristezza e apatia. Essere perdonati agevola il carnefice dallo svincolarsi da un'immagine di sé negativa e
pregiudizievole nella misura in cui si sovrappone all'azione negativa a favore di una rappresentazione di sé dignitosa e
scevra da condizionamenti. La rottura rispetto alla colpa, per quanto voluta, non cancella la colpa stessa, ma ne
permette l'elaborazione e l'assimilazione. La ricerca psicosociale sul perdono, avvalendosi su un piano metodologico
dell'utilizzo di scale self report, ha tentato di comprendere meglio se fosse possibile identificare tratti di personalità
specifici responsabili della più o meno marcata al perdono, dalla "Teoria della personalità dei Big Five", emergono
correlazioni positive tra il concedere il perdono e l'amigdala e negative se si considera il tratto del nevroticismo. Non
emergono connessioni fra il concedere o meno perdono con aspetti quali religiosita, età e sesso, sebbene, le donne
sarebbero più propense a perdonare, perché maggiormente predisposte a mantenere legami. La tendenza a concedere il
perdono non come tratto ascrivibile all'assetto personologico quanto, piuttosto, relativamente alla natura dell'evento: le
persone, cioè, tenderebbero a tener conto della specificità del torto prima di concedere o negare il perdono.I differenti
risultati emergenti dall'indagine psicosociale sul perdono testmoniano anche una divergenza rispetto ad una chiara ed
univoca definizione del costrutto, condizione imprescindibile per una sua reale valutazione. Obiettivo perseguibile
soltanto nel momento in cui non vi sarà più confusione fra l'indagare il costrutto e l'indagare componenti del costrutto.
Non chiarezza che tuttora permane.

CAPITOLO 23
PENA, RIEDUCAZIONE E MASS MEDIA
Il concetto di pena è uno dei concetti chiave del diritto penale e della criminologia; è il concetto su cui si basano gran
parte degli studi e delle teorizzazioni di queste materie. La commissione di un illecito che viola il precetto penale
implica che l'autore venga sottoposto ad una pena, talvolta lesiva della libertà personale, che prende le sembianze di
una punizione per il comportamento deviato realizzato. L'Italia sostiene, infatti, la moratoria internazionale per
l'abolizione della pena di morte. Il carcere, misura detentiva affermatosi a partire dal XIX secolo, resta tuttora, in
Italia, la forma di pena più diffusa e quella più paradigmatica nell'indagine sulla reale efficacia rieducativa della pena.
La condanna, in un'ottica retributiva, permette di risanare e compensare il danno che è stato inflitto contro lo Stato o la
società. scontare una pena equivale a punire il soggetto autore dell'illecito in modo proporzionale rispetto all'entità del
danno cagionato per dolo o colpa. Il male arrecato dalla pena diviene dunque un male giusto. "La Costituzione italiana
sancisce, però, all'art. 27 comma 3 che "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e
devono tendere alla rieducazione del condannato". La proposta, allora, di non precludere totalmente la libertà
personale dell'autore del reato ha favorito l'individuazione di modalità altre di approcciare il criminale, legittimando
una pena capace di fungere da strumento orientativo e cautelativo, creando nell'autore del reato una reazione
psicologica potenzialmente in grado di prevenire gli agiti delinquenziali. È entro tale prospettiva che si concretizza, ad
esempio, l'attenzione ed eventualmente la premiazione della condotta mantenuta nel contesto dell'esecuzione. Il
processo giuridico teso alla rieducazione non decentra l'attenzione dalla giustizia, intendendo porsi a tutela tanto della
vittima che dell'offensore. L'obiettivo è la prevenzione di condotte recidive. Solo nel momento in cui il reo avvertirà
un senso di proporzione tra quanto inflitto e quanto subito potrà assumere un atteggiamento di maggiore disponibilità
psicologica verso il processo teso alla rieducazione. Il principio della responsabilità della pena enfatizza quindi la
necessità di analizzare e punire solo colui il quale si è macchiato dell'illecito, allertando rispetto ad un uso
irresponsabile del codice che potrebbe associarsi al condannare persone altre al di fuori dell'autore del reato. Inoltre,
viene disciplinato il principio di non colpevolezza tutelando il diritto a vedere integra la propria reputazione e la
propria libertà fin tanto che non verrà emessa condanna definitiva. La finalità rieducativa del sistema detentivo, si
concilia con un atteggiamento più garantista rispetto a quanto osservabile nel precedente codice e sottolinea
nuovamente il divieto assoluto di qualsiasi forma di tortura, pena, trattamento inumano e disumano e trattamenti
umilianti e degradanti per l'integrità psicofisica della persona. L'articolo 27 della Costituzione italiana, raccoglie il
contributo delle due principali scuole che hanno da sempre dominato il sapere scientifico della disciplina giuridica e
filosofica. Si insiste, infatti, da un lato sull'istanza rieducativa e la conseguente prevenzione sociale ottenuta attraverso
la rieducazione e la risocializzazione del condannato, concessione della Scuola Positiva, e dall'altro sulla necessità di
proporzionare e calibrare la pena predeterminata per legge, espressione della Scuola Classica. Il grande progresso
economico degli anni Sessanta e il momento di forte manifestazione che caratterizzò il '68 portarono, tuttavia, ad un
deciso dibattito sulle pene e sulla loro funzione riabilitativa, accendendo una riflessione critica anche rispetto alle
condizioni dei detenuti. Emersero le implicazioni politiche della detenzione e le voci che dalle carceri provennero
ebbero una notevole influenza sull'opinione pubblica e sulle coscienze in merito alle condizioni subumane dei
detenuti. Furono condotte ricerche e i risultati misero in luce come la detenzione subì una declassazione nei termini di
punizione carceraria solo a classi sociali inferiori. La necessità di riordinare la disciplina giuridica rispetto alla
questione detentiva portò alla promulgazione della legge n. 354 del 26 luglio 1975, un decreto legislativo che,
superando la flessibilità dei regolamenti fino ad allora promulgati, conferisce al trattamento rieducativo il carattere
della indispensabilità. Il disegno di legge n. 354 che emerge dall'ordinamento del 1975 impone la valorizzazione
dell'umanità, il rispetto e la dignità per la persona che dovrà essere chiamata con il proprio nome e non con un
identificativo, unitamente all'esclusione di atteggiamenti discriminatori. A tal proposito si predispone anche
l'osservazione scientifica della personalità per garantire una migliore conoscenza e rilevare eventuali disagi di natura
psicologica o psichica. Si propone, inoltre, l'osservazione del detenuto per verificare una evoluzione positiva ai fini del
recupero sociale, affidata principalmente al personale carcerario con l'ausilio di figure professionali quali psicologi,
assistenti sociali, psichiatri ed esperti in criminologia clinica. Si tratta allora di un istituto con una serie di attività e di
competenze professionali diverse, orientate alla costruzione di un percorso e di una serie di interventi atti al recupero
sociale. A metà anni Ottanta si assiste ad un nuovo tentativo di rilanciare gli assunti rieducativi della Scuola Positiva;
la c.d. legge Gozzini del 10 ottobre 1986 evidenzia quali siano stati e quali dovrebbero essere i principi ispiratori della
rieducazione, mettendo in luce quali debbano essere le esigenze di sicurezza e trattamento individualizzato anche di
tipo extramurario. L'impegno giuridico è volto all'organizzazione e alla regolazione in termini di prevedibilità e alla
riappropriazione di uno stile di vita da persona libera una volta scontata la pena prevista. Ne sono un esempio i
permessi premio. il lavoro esterno, la semilibertà, la detenzione domiciliare. Misure alternative che sortirono presto
l'effetto della decarcerizzazione, concependo la pena detentiva solo in casi del tutto eccezionali. Si tratta in realtà di
una politica criminale aleatoria nella misura in cui dinanzi a certi tipi di reati e fenomeni sociali si assiste invece ad un
rigido inasprimento delle sanzioni e del trattamento riservato al criminale. Negli anni Novanta, infatti, a fronte di un
sostanziale incremento della criminalità organizzata, sempre più violenta e pericolosa con importanti azioni
intimidatorie, la preoccupazione sociale e lo stato di allarme implicarono nuovamente la ridefinizione, in termini
concettuali e pratici, di quegli strumenti pensati per rieducare e prevenire il rischio di agiti violenti. Con alcuni
provvedimenti approvati nel 1991 e 1992 fu esclusa la possibilità di benefici penitenziari in favore di condannati per
delitti ascrivibili alla criminalità organizzata, eccezione fatta per coloro i quali assunsero il ruolo di collaboratori di
giustizia. In questi ultimi venti anni, svariate sono state le modifiche all'ordinamento penitenziario. La pena assolve,
oggi, a tre differenti finalità:
 garantisce, in un'ottica retributiva, il diritto dello Stato di rispondere con una sanzione alla violazione delle
leggi emanate e previste dai codici;
 funge da deterrente quando la pena diviene uno strumento preventivo,
 la pena come elemento che agevola una vendetta violenta contro i comportamenti criminali.
Quest'ultima connotazione richiama il paradosso che è fondamento e origine del diritto penale: nel momento in cui lo
Stato si assume il compito di eliminare la violenza dai rapporti sociali si arroga il potere di esercitarla. I cambiamenti
della società cui si associa una trasformazione della criminalità e della tipologia dell'offender hanno sollecitato il
legislatore ad una ricerca anche affannosa e urgente di modalità nuove di gestione dell'ambiente penitenziario che
potesse rispondere in modo idoneo ai suddetti cambiamenti.
1. L'impegno è rivolto alla individuazione di iniziative atte a contenere i disagi che la condizione di detenzione
intrinsecamente crea;
2. la questione inerente la promiscuità dovuta anche all'ingente numero di soggetti diversi sottoposti a regime
carcerario, correlato al sovraffollamento carcerario.
3. Criticità macrosociali cui si associano le dinamiche psicosociali del singolo soggetto che la condizione di
restrizione della libertà potrebbe acuire.
La percezione della certezza della pena o più probabilmente dell'insicurezza sociale e penitenziaria riflette la modalità
attraverso cui i mass media dipingono e affrontano questa tematica condividendola con il popolo. Conseguenza di
questa informazione è anche la sensazione del cittadino che gli organi preposti alla loro tutela non facciano quanto
necessario. Le strategie comunicative utilizzate dalla comunicazione di massa intendono suscitare un'attivazione
emotiva nello spettatore, nell'intento di favorire una immedesimazione nell'eroe volenteroso di smantellare il male,
attraverso l'identificazione con le forze di polizia e il sistema giudicante, e porre in questo modo una distanza
pregiudizievole con l'autore del reato. Qualsiasi decisione in merito all'emissione di un giudizio di revoca delle misure
detentive alternative spetta, nell'ordinamento italiano, al Tribunale di Sorveglianza, unico organo competente in
materia che può, dinanzi a talune condizioni, annullare la misura precedentemente stabilita. La Magistratura di
Sorveglianza ha il compito di controllare che vengano rispettate leggi e regolamenti finalizzati alla tutela dei detenuti,
ma, al contempo, ha la facoltà di deliberare benefici in favore dei reclusi e di nuovo di vigilare sul rispetto dei vincoli
caratterizzanti questi premi. Magistratura di Sorveglianza compete il giudizio sulla reintroduzione nella societa di
autori di reato che abbiamo detto essere oggetti simbolici della violenza e del male. Come riportato nelle ricerche
statistiche se andiamo a guadare i dati proposti permettono di poter dedurre che le misure premiali vengono concesse
in modo oculato e funzionale, viste le basse percentuali con cui queste vengono revocate. L'immagine condivisa
socialmente sembra però diversa poiché distorta è l'informazione che i media offrono; la notizia deve risultare
eclatante per fare in modo che possa agganciare ed intercettare le corde emotive del pubblico. Al contrario si assiste ad
un processo ove la singola notizia diviene rappresentativa di un tutto, dell'intero sistema attraverso un processo di
generalizzazione. Per quanto competente possa essere, difficilmente il pubblico si adopererà per esaminare il
contenuto dell'informazione condivisa dai media, sebbene poco accurata e puntuale. Le ragioni e le strategie della
comunicazione mediatica innescano e attivano nell'audience il bisogno più recondito dell'essere umano, la necessità
del singolo di illudersi di poter controllare la propria aggressività e scongiurare la possibilità di compiere atti aberranti.
Etichettare il criminale, individuare e circoscrivere il male, è funzionale al mantenimento dell'equilibrio nella
collettività. Si struttura allora la necessità della certezza della pena, strumento simbolico finalizzato inconsciamente al
controllo delle pulsioni aggressive interne e conferma della qualità negativa dei soggetti detenuti. Con tali premesse è
facile intuire come la reintroduzione del criminale nella società inneschi un vortice senza fine, caratterizzato dalla
percezione di discontrollo e senso di insicurezza collettivo.

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