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Gli assiomi della comunicazione della Scuola di Palo Alto

Gli assiomi della comunicazione della Scuola di Palo Alto La scuola di Palo Alto, famoso gruppo del Mental Research Institute di Palo Alto in California, negli anni 70, col testo di P. Watzlawick, J.H. Beavin, D.D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana del 1967, ampliando lidea di comunicazione, sostiene che tutti i comportamenti hanno valenza comunicativa poich, come afferma Birdwhistell, lindividuo partecipa a un sistema globale di interazione. Lopera ha posto le basi di un nuovo paradigma della comunicazione, evidenziandone cinque assiomi che prestano attenzione agli effetti pragmatici dellazione comunicazionale e danno valore allinfluenza reciproca di tutti i fattori coinvolti. Lapproccio pragmatico esamina la comunicazione interpersonale come un processo irreversibile, in continua evoluzione, in cui le persone coinvolte si influenzano reciprocamente. Lapproccio strategico considera, invece, la comunicazione come un atto appreso, che va guidato ed educato. La conoscenza delle tecniche di comunicazione interpersonale fa divenire pi consapevoli dei numerosi fattori che influenzano linterazione. La sintassi si occupa dei rapporti formali dei segni tra loro, dellordinamento delle parole, del loro accordo e collegamento nella proposizione e nel periodo, senza riferimento al contenuto significativo. La semantica studia i significati delle parole nella loro evoluzione storica e si occupa delle relazioni dei segni con ci che designano. Il primo dei cinque assiomi, o propriet della comunicazione, infatti limpossibilit di non comunicare. Tutte le d iverse situazioni interpersonali diventano automaticamente comunicative, ogni forma di comportamento un messaggio e, siccome impossibile non comunicare, i due processi sono inscindibili; anche se in modo inconscio, non intenzionale, non verbale, si comunica. Lo si fa attraverso il silenzio, i gesti, i vestiti, ma leffetto lo stesso. La comunicazione allinterno della societ rappresenta un processo molto articolato e complesso, che va inserito nellampia visuale psicosociale e filogenetica delle diverse comunit. E impossibile parlarne e analizzarlo senza correlarlo a un gran numero di variabili della realt individuale cui si riferisce (evolutive, culturali, ideologiche, sociologiche, antropologiche, economiche, psicologiche). Soggetti che hanno vissuto simili esperienze sociali e culturali riescono a comunicare pi compiutamente e agevolmente. Scrive a questo proposito Masserman : simboli dal contenuto motivazionale pi complesso e contingente, come casa, famiglia, lavoro e cos via presentano necessariamente significati ancor pi variabili per persone che necessariamente differiscono quanto a esperienze individuali e ambienti sociali.

La diversit degli aspetti connotativi aumenta quanto pi numerose sono le divisioni sociali e culturali fra individui e gruppi: si pu dire che queste difficolt hanno sempre costituito, per la comprensione e la fratellanza fra gli uomini, ostacoli di gravissima e talora tragica portata. Primo assioma Secondo assioma Terzo assioma Quarto assioma Quinto assioma Ritorna a Capitolo 1 La comunicazione: fondamenti Primo assioma: E impossibile non comunicare. Ogni comportamento e comunicazione. Non esiste qualcosa che sia un non-comportamento e, in una interazione, qualsiasi comportamento ha valore di messaggio. La comunicazione non volontaria: anche non rispondendo o non reagendo si comunica qualcosa. Ogni comunicazione pu essere scomposta in: 1. messaggio, ogni singola unit di comunicazione; 2. interazione, una serie di messaggi. C una propriet del comportamento che difficilmente potrebbe essere pi fondamentale e proprio perch troppo ovvia spesso viene trascurata: il comportamento non ha un suo opposto. Non esiste un qualcosa che sia un non-comportamento, non possibile non avere un comportamento. Ora, se si accetta che lintero comportamento in una situazione di interazione ha valore di messaggio, vale a dire comunicazione, ne consegue che comunque ci si sforzi, non si pu non comunicare. Lattivit, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni, e in tal modo comunicano anche loro. Come afferma il primo assioma, ogni comportamento comunicazione: nelluomo, ogni comport amento una trasformazione di processi neurologici interni, sui quali pertanto reca delle informazioni. Ogni comportamento quindi, in qualche modo, comunicazione sullorganizzazione neurologica di un individuo: non si pu non comunicare. Pertanto, la comunicazione non sempre intenzionale, conscia ed efficace e molto spesso comunichiamo senza accorgercene. Lo stesso ritrarsi, come limmobilit o il silenzio, rappresentano anchessi una forma di comunicazione. Tuttavia, questi segnali possono essere facilmente fraintesi e queste ambiguit non sono le sole complicazioni che possono sorgere dalla struttura di livello di ogni comunicazione. Ne consegue una possibile applicazione pratica: non pensare

pi che una persona non stia comunicando, ma chiedersi sempre cosa sta comunicando una persona con il suo silenzio o la sua assenza. Secondo assioma: Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione in modo che il secondo qualifica il primo ed quindi metacomunicazione. Una comunicazione trasmette informazioni, ovvero un aspetto comunicativo di contenuto (notizia, report), e un certo comportamento da seguire, ovvero un aspetto comunicativo di elezione (comando, command). Ogni comunicazione implica, inoltre, un impegno e quindi definisce il modo in cui il trasmettitore considera la sua relazione con il ricevitore. dunque possibile teorizzare un secondo assioma della comunicazione, basato sul fatto che una comunicazione non soltanto trasmette informazione ma, al tempo stesso, impone un comportamento. Nella comunicazione possiamo distinguere due aspetti fondamentali: 1. laspetto di notizia, che trasmette uninformazione e rappresenta, quindi, il contenuto del messaggio; 2. laspetto di comando, che si riferisce al modo in cui il messaggio comun icato e definisce, pertanto, la relazione tra i comunicanti; si riferisce al messaggio che deve essere assunto e, perci, alla relazione tra i comunicanti (Ecco come mi vedo ... Ecco come ti vedo ... ecco come ti vedo che mi vedi). Di qui la centralit della meta-comunicazione, cio della comunicazione sulla comunicazione: la capacit di meta-comunicare in modo adeguato non so lo la conditio sine qua non della comunicazione efficace, ma anche strettamente collegata con il problema della consapevolezza del s e degli altri. E importante considerare il rapporto esistente tra laspetto di contenuto (notizia) e laspetto di relazione (comando) della comunicazione. Gli aspetti di relazione sono di un tipo logico pi elevato dei contenuti: sono meta-informazione poich sono informazione sullinformazione. La relazione, infatti, pu essere espressa anche in modo non verbale (gridando e/o sorridendo) ed anche il contesto in cui ha luogo la comunicazione influisce ulteriormente a chiarire la relazione. Rispetto al rapporto contenuto relazione, la relazione uninformazione sul contenuto, ovvero su come esso deve essere assunto, ed perci ancora meta-comunicazione. Una confusione tra i due livelli pu creare paradossi. Ogni comunicazione implica un impegno e quindi definisce il modo in cui il trasmettitore considera la sua relazione con il ricevente. Una comunicazione non solo trasmette informazione, ma al tempo stesso impone un comportamento. Ne deriva, anche in questo caso, una possibile applicazione pratica:

se do uninformazione in modo arrogante,scostante, critico ci che arriva al ricevente il livello di disconferma e rifiuto e posso suscitare una reazione aggressiva o passiva; comunque il ricevente risponder a questo livello. Terzo assioma: La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti. I comunicanti segmentano il loro scambio in unit di comunicazione dotate di senso e chiusura attraverso luso della punteggiatura; essa organizza gli eventi comportamentali dellinterazione in corso. Realt diverse dovute ai modi diversi di punteggiare la sequenza sono alla radice di innumerevoli conflitti di relazione. Unaltra caratteristica fondamentale della comunicazione riguarda linterazione tra i comunicanti. La comunicazione pu essere considerata come una sequenza ininterrotta di scambi che alcuni teorici hanno definito come punteggiatura della sequenza di eventi. Possiamo, perci, aggiungere un terzo assioma della comunicazione: la natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti. In questottica, la comunicazione si configura come un processo circolare in cui gli organismi coinvolti punteggiano la sequenza in modo che sembri che luno o laltro abb ia iniziativa o che si trovi in posizione di dipendenza, stabilendo tra di loro ben precisi modelli di scambio. Diventa, dunque, evidente che la punteggiatura organizza gli eventi comportamentali, diventando vitale per le interazioni in corso. Ne consegue unindicazione di possibile applicazione pratica: per risolvere una disfunzionalit, occorre saper ascoltare il punto di vista dellaltro e ricercare unintegrazione delle diverse punteggiature. Quarto assioma Quarto assioma: Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico.Il linguaggio numerico ha una sintassi logica assai piu complessa e di estrema efficacia, ma manca di una semantica adeguata nel settore della relazione, mentre il linguaggio analogico ha la semantica ma non ha alcuna sintassi adeguata per definire la natura della relazione. La comunicazione verbale (numerica) necessita del supporto del messaggio non verbale per evitare possibili fraintendimenti. Il linguaggio non verbale contiene elementi analogici che si trasmettono attraverso la postura, la gestualit, il tono della voce, la mimica e che corrispondono, in parte, a universali del comportamento umano, in parte a codici culturalmente definiti. Ne consegue

unindicazione di possibili applicazione pratica: utile ascoltare il livello non verbale e riconoscere se trasmettiamo messaggi rispettosi della cultura del ricevente in una posizione paritaria. Quinto assioma: Tutti gli scambi di comunicazione possono essere definiti simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sulluguaglianza o sulla differenza tra i due comunicanti. Il linguaggio pu configurarsi come modulo numerico o come modulo analogico. Si parla di modulo numerico con riferimento alla comunicazione verbale e ogniqualvolta il linguaggio genera un rapporto tra nome e cosa nominata arbitrario, trasmette laspetto di contenuto, ha una sintassi logica completa ed efficace e manca di una semantica adeguata (relazione). Si parla, invece, di modulo analogico con riferimento alla comunicazione non-verbale (ivi compresi gesti, posizioni del corpo, espressioni, ritmi della voce) e ogniqualvolta il linguaggio genera un rapporto tra rappresentazione e cosa rappresentata basato su analogia, trasmette laspetto di relazione, ha una semantica completa e manca di una sintassi adeguata (relazione). Luomo ha la necessit di combinare questi due linguaggi tra loro e di tradurre dalluno allaltro. Uno scambio di comunicazione : 1. simmetrico, quando basato sulluguaglianza ed , dunque, paritario e demo cratico. Uno scambio comunicativo detto simmetrico quando ciascuno dei due dialoganti tende a rispecchiare il comportamento dellaltro e a minimizzare la differenza, tendendo alluguaglianza. I due comunicanti sono sullo stesso piano e, quindi, in equilibrio tra loro; 2. complementare, quando basato sulla differenza e sul rapporto autorit/subordinazione. Uno scambio comunicativo complementare, quando il comportamento di uno completa quello dellaltro e si mantiene la differenza. I due comunicanti ha nno due diverse posizioni per cui uno prevale sullaltro. La relazione tra due individui non comunque mai definitiva, ma tende al contrario a mutare, anche senza lintervento di fattori esterni. Allinterno delle relazioni simmetriche possiamo, poi, dis tinguere altri due tipi di interazione: 1. relazioni simmetriche-simmetriche, in cui i due comunicanti sono in costante competizione per la conquista della posizione dominante; 2. relazioni simmetriche-reciproche, in cui i due comunicanti assumono alternativamente la posizione dominante, a seconda delle situazioni. Ne consegue unindicazione di possibile applicazione pratica: essere consapevoli del tipo di relazione che si vuole instaurare permette di essere chiari nel messaggio che si invia e di evitare sgradevoli conflitti di ruolo o lotte di potere.

Gli assiomi della pragmatica della comunicazione conducono al fenomeno dellirreversibilit dellatto comunicazionale: una volta che il messaggio stato inviato e che ha prodotto i suoi effetti, non lo si pu pi cancellare. Lesperto di comunicazione si addestra a prestare attenzione, durante ogni fase della comunicazione in corso, al feedback, ovvero allinsieme delle risposte, verbali e analogiche, fornite dallinterlocutore durante la relazione comunicazionale. I fattori che influenzano il grado di efficacia di una comunicazione sono: 1. lidentit dei comunicanti, che a sua volta comprende lidentit personale (et, sesso, genere, etnia, caratteristiche fisiche), sociale (ruoli sociali svolti allinte rno della famiglia, di una classe sociale o di un ceto), professionale (aspetti legati alla professione esercitata, allo status raggiunto e allautorit riconosciuta) e spirituale (aspetti relativi alla fede professata, ai valori etici, al credo o sentimento religioso); 2. la relazione tra gli attori comunicanti, che contribuisce a qualificare alcuni aspetti dellidentit. Quando viene esercitato un ruolo, gli attori della comunicazione recitano delle parti (Goffman); 3. il contenuto della comunicazione, che richiede trattazioni diverse a seconda del livello culturale degli interlocutori e delle loro implicazioni psicologiche ed emotive; 4. il linguaggio, canale dellespressione soggettiva utile a rappresentare quella realt che si vuole condividere. La scelta del lessico congiunge le modalit espressive con contenuti cognitivi e processi emotivi; 5. la congruenza tra linguaggio verbale e linguaggio analogico, tra quello che si dice e come lo si esprime, tra le parole pronunciate e i toni e i gesti che lo accompagnano; 6. il canale di trasmissione, che ha il potere di influenzare il messaggio (per Marshall Mc Luhan il mezzo il messaggio): cos, una comunicazione vis a vis diversa da una telefonica, via Internet o scritta; 7. il contesto, dimensione spazio-temporale condivisa dai partecipanti allo scambio comunicativo nella comunicazione interpersonale. Ogni processo di comunicazione va inserito nella matrice contestuale in cui si svolge; 8. gli obiettivi, ovvero lo scopo della comunicazione, inteso in senso lato, quello di aumentare la condivisione, lo scambio, la reciprocit di cognizioni ed emozioni; 9. la flessibilit delle strategie utilizzate, da adottare in relazione agli obiettivi posti. La comunicazione analogica non pu essere isolata dalla comunicazione verbale: le due forme di comunicazione, verbale e non verbale, costituiscono un insieme non separabile, se non artificialmente,

per fini didattici. La comunicazione non verbale comprende: 1. la postura, ovvero il modo di disporre nello spazio le parti del corpo, che consente di distinguere la funzione comunicativa da quella espressiva; 2. la prossemica, che indica due aspetti del modo di collocarsi e di presentarsi socialmente e di relazionarsi fisicamente con le altre persone: luso dello spazio, la prossimit in termini di vicinanza/distanza e la posizione del corpo, di fianco o di fronte; 3. le espressioni del viso, un insieme di segnalazioni involontarie che indicano le principali reazioni emotive (gli occhi non sono bugiardi); 4. i movimenti e i gesti delle braccia e delle mani, che accompagnano il linguaggio enfatizzando e punteggiando il messaggio parlato; 5. le comunicazioni mimiche o cinesiche, che determinano atti linguistici in quanto gesti emblematici (ad es. alzare la mano per chiedere parola), descrittivi (gesti che scandiscono le parti salienti del discorso illustrando in modo pi forte concetti espressi verbalmente), di regolazione (ad es. ondeggiare la mano per attenuare la forza di un concetto), di adattamento (posizionamento del corpo per dominare stati danimo o adeguare la propria espressione al contesto), di manifestazione affettiva (ad es. una carezza); 6. la comunicazione paraverbale, che riguarda la prosodia, i toni, il tempo, il timbro e il volume della voce. La paralinguistica studia i fenomeni collaterali (para), concomitanti allenunciazione verbale. Le modalit secondo cui ogni proposizione pu essere enunciata sono: il tono, indicatore dellintenzione e del senso che si da a quello che si dice, mediante il quale si pu esprimere entusiasmo, disappunto, interesse, noia, coinvolgimento, apatia, apprezzamento, disgusto; il volume, che riguarda prevalentemente lintensit sonora, il modo di calibrare la voce in base alla distanza dallinterlocutore; il tempo, ovvero le pause, la lentezza o la velocit assoluta, che possono servire come fattori che sottolineano, accentuano o sfumano il significato verbale; il timbro, ovvero linsieme delle caratteristiche individuali della voce (gutturale, nasale, soffoc ata): il colore della voce; la comunicazione verbale, costituita dal linguaggio, strumento di cui ci si serve per tradurre lesperienza interna in concetti e per esprimere i propri pensieri e trasformarli in processo interpersonale e sociale. Il processo di percezione degli stimoli esterni subiscono interferenze causate da:

1. filtri neuro-fisiologici, di natura genetica, che limitano la mera capacit percettiva; 2. socio-culturali, che condizionano la capacit cognitiva e derivano dallappartenere a una data comunit, cultura, gruppo etnico, religione, zona geografica; 3. psicologici personali, che possono condizionare il potenziale cognitivo, emotivo ed esperienziale dellindividuo. La linguistica distingue il piano denotativo, che indica la rela zione tra una parola e loggetto a cui fa riferimento in termini meramente referenziali, e il piano connotativo, che incorpora un giudizio di valore sulla forza evocativa che la parola contiene in s. Le parole rappresentano la pi piccola unit dellaspetto esecutivo del processo linguistico (Vygotsky). Ciascuna parola contiene caratteristiche distintive che possono essere utilizzate in modo diverso a seconda della forza con cui si ha intenzione di esprimere le proprie intenzioni. Le parole possono essere descrittive (descrivono fenomeni osservabili), valoriali (assegnano valore ad oggetti, persone, stati danimo e sono generalmente astratte), interpretative (sono meramente soggettive e si basano sui processi di attribuzione e categorizzazione). La scelta delle parole forma il registro linguistico. Latto linguistico riguarda i mezzi linguistici, che le persone usano per compiere le pi comuni azioni sociali, ed evidenzia il carattere dazione del linguaggio, che ha la capacit di provocare effetti sul ricevente.

Capitolo 1 La comunicazione: fondamenti Teorie dei segni, dellinformazione e della comunicazione


Il linguaggio contemporaneamente lo strumento e il modo fondamentale di comunicazione, utilizzato da ogni uomo per la costruzione di rapporti di interazione con gli altri uomini e con il mondo in generale. Lunit di base di ogni tipo di linguaggio il segno: si definisce segno ogni cosa che sta per qualcosaltro e serve a comunicare questo qualcosaltro a qualcuno. In base ai criteri dellintenziona lit e della motivazione relativa, distinguiamo almeno cinque diverse tipologie di segni: 1. indici (o sintomi), motivati naturalmente/non intenzionali, basati sul rapporto causa-effetto (ad es. starnuto per avere raffreddore); 2. segnali, motivati naturalmente/usati intenzionalmente (ad es. sbadiglio involontario per noia); 3. icone (dal gr. eikn, immagine), motivati analogicamente/intenzionali, basati sulla similarit di forma e struttura, riproducono le propriet delloggetto designato (ad es. le simbol ogie presenti sulle guide turistiche); 4. simboli, motivati culturalmente/intenzionali (ad es. colore nero per lutto);

5. segni propriamente detti, non motivati/intenzionali (ad es. comunicazione gestuale). Procedendo dagli indici ai segni propriamente detti, la motivazione che lega il qualcosa al qualcosaltro del segno sempre pi convenzionale e meno diretta, con conseguente aumento della specificit culturale del segno. Su un primo versante gli indici, essendo fatti di natura, hanno per definizione un valore universale e rimangono uguali per tutte le culture in ogni tempo; sul versante opposto, i segni propriamente detti dipendono da ogni singola tradizione culturale (ad es. il termine gatto un segno linguistico propriamente detto, prodotto intenzionalmente per riferirsi ad un animale nella specifica cultura linguistica italiana). Il segno , dunque, lunit fondamentale della comunicazione (dal latino communis, mettere in comune, rendere comune, trasmette informazioni). Si pu parlare di comunicazione utilizzando unaccezione molto larga o pi ristretta del termine. Secondo una prima ed ampia accezione, ogni fatto culturale, compresi i fatti di natura filtrati dellesperienza umana, veicola informazioni che possono essere interpretate da qualcuno. Secondo unaccezione pi ristretta, si ha comunicazione quando c un comportamento prodotto da unemittente al fine di far passare dellinformazione, percepito da un ricevente come tale. Il coinvolgimento del concetto di intenzionalit differenzia la comunicazione dal semplice passaggio di informazione. In maniera ancor pi rigorosa, verosimile individuare tre possibili categorie nel fenomeno generale della comunicazione: a) Comunicazione in senso stretto: forte emittente intenzionale es. linguaggio verbale umano, sistemi ricevente intenzionale di comunicazione artificiali

b) Passaggio di informazioni: codice: emittente non intenzionale es. parte della comunicazione non ricevente intenzionale verbale umana (postura) c) Formulazione di inferenze: debole nessun emittente ( solo presente un oggetto culturale) es. modi di vestire interpretante Teorie dei segni - Tommaso DAquino - Immanuel Kant

- Umberto Eco - Ferdinand de Saussure - Charles Sanders Peirce - Thomas Albert Sebeok - Gottlob Frege - Teorie culturologiche La teoria dellinformazione - Misura dellinformazione - Comunicazione e informazione Teorie della comunicazione - Karl Bhler - Roman Jacobson - Claude Shannon e Warren Weaver - Ferdinand de Saussure - John L. Austin - John Searle - Paul Grice - Schema di un sistema interattivo della comunicazione Lambiente o contesto I modelli comunicativi - Il modello matematico dellinformazione - Il modello semiotico-informazionale - Il modello semiotico-testuale - Il modello semiotico-enunciazionale Gli assiomi della comunicazione della Scuola di Palo Alto - Primo assioma - Secondo assioma - Terzo assioma - Quarto assioma - Quinto assioma Stili di comunicazione e comunicazione indiretta

Comunicazione persuasiva e negoziazione del conflitto - Comportamento relazionale positivo - Il conflitto Paul Grice Ultimo contributo fondamentale da considerare quello offerto da Paul Grice (1913-1988), filosofo che, con la sua opera, ha permesso un ulteriore evoluzione della teoria del significato e della comunicazione. Il cuore della riflessione di Grice rappresentato dallindividuazione di alcune regole di base che governano la conversazione tra individui e che sottostanno allunico e imprescindibile principio della cooperazione, espresso in questi termini: Conforma il tuo contributo conversazionale a quanto richiesto, nel momento in cui avviene, dallintento comune accettato o dalla direzione dello scambio verbale in cui sei impegnato. Le regole della conversazione sono state riunite da Grice in quattro massime fondamentali: 1. massima della quantit, che recita espressamente: fornisci linformazione necessaria, n pi, n meno. Secondo tale massima, il contributo che viene dato da ciascun partecipante alla conversazione deve essere informativo quanto richiesto. Non ci si aspetta che uno o tutti i partecipanti diano uninformazione sovrabbondante o inferiore alle aspettative; 2. massima della qualit, che recita espressamente: sii sincero, fornisci informazione veritiera, secondo quanto sai. Secondo tale massima in genere non si dovrebbe dire ci che si ritiene falso, o ci di cui non si hanno prove sufficienti, o lo scopo della comunicazione fallirebbe; 3. massima di relazione, che recita espressamente: sii pertinente. Secondo questa massima il contributo informativo di un enunciato dovrebbe essere pertinente con la conversazione; 4. massima di modalit, che recita espressamente:

sii chiaro. Lenunciato dovrebbe essere chiaro, poco ambiguo, breve e ordinato. Infatti questa massima, contrariamente alle altre tre, non si riferisce a quanto detto bens al modo in cui questo viene esposto. Le massime costituiscono delle norme comportamentali che il parlante generalmente segue, ma che possono anche essere sistematicamente violate, in casi particolari, per ottenere effetti di ironia o sarcasmo o per realizzare significati diversi dal semplice significato composizionale di un enunciato. Nel caso in cui tali massime siano violate entrano in gioco le implicature conversazionali (ad es. se Luigi dice Monica stata proprio carina con me e in realt Monica non si comportata in modo gentile, Luigi sta deliberatamente violando la massima di qualit per realizzare un effetto di sarcasmo). Tutti i comportamenti derivanti dallosservanza delle massime o dalle loro violazioni o sfruttamenti danno luogo a delle implicature conversazionali, che consistono in informazione supplementare derivante dal confronto di ci che il parlante ha detto con la sua supposta aderenza al principio di cooperazione e alle massime. Se, ad esempio, dico al mio interlocutore Quella signora una vecchia ciabatta e il mio interlocutore mi risponde dicendo Che bella giornata oggi, non vero?, dal fatto che egli non sta rispettando la massima di relazione (la sua risposta infatti non pertinente) e dallassunto che comunque stia rispettando il principio di cooperazione (non ho motivo per ritenere che non lo stia facendo), inferisco che la sua violazione della massima deliberata, non accidentale, e quindi egli sta implicando conversazionalmente di non voler pronunciarsi sulla signora in questione. Le implicature conversazionali sono tali in quanto essenzialmente collegate a certe caratteristiche generali del discorso e si distinguono infatti da altri tipi di implicature, principalmente dalle implicature convenzionali, che invece sono legate al significato convenzionale delle parole usate nel discorso (ad esempio luso del ma ci suggerisce che le informazioni che si trovano alla sua sinistra e alla sua destra sono in contrasto tra di loro). Il concetto di implicatura conversazionale fondamentale in pragmatica per calcolare linformazione proveniente dal rapporto tra il linguaggio e il contesto in cui viene usato.

Stili di comunicazione e comunicazione indiretta


Per scelta stile si intende la tendenza a privilegiare un modo di esprimersi e di relazionarsi piuttosto che un altro, che pu essere utile in alcune circostanze e disfunzionale in altre. Esistono diversi stili di comunicazione: 1. stile passivo, caratterizzato da un atteggiamento di minimizzazione delle proprie posizioni e dalla rinuncia a esprimere le proprie idee. Lo stile passivo pu essere utile quando non abbiamo intenzione

di dedicare energie e ci fidiamo dellinterlocutore; 2. stile aggressivo, caratterizzato da atteggiamenti tesi a mostrare la superiorit di chi parla nei confronti del suo interlocutore. Nello stile aggressivo c la tendenza a ipervalutare se stessi e a sottovalutare gli altri. Lo stile aggressivo pu essere utile quando vogliamo far valere i nostri diritti; 3. stile manipolativo, caratterizzato da atteggiamenti tesi a raggirare laltra persona con lintenzione di ottenere una risposta a proprio vantaggio. La manipolazione porta ad alterare le informazioni, a trasmetterle in modo parziale, non pertinente o congruente, a privilegiare ambiguit espositive. La manipolazione delle emozioni riguarda ladozione di comportamenti di seduzione, di dissimulazione dei propri sentimenti, emozioni e pensieri tesi a ottenere qualcosa dallinterlocutore, che cr ede invece alla veridicit di quanto dichiarato. Lo stile manipolativo pu essere utile quando abbiamo qualcosa da nascondere o da proteggere; 4. stile assertivo, caratterizzato da atteggiamenti tesi a far valere le proprie opinioni, meriti, sensazioni, diritti, nel pieno riconoscimento e rispetto di quelli degli altri. E utile usare lo stile assertivo quando vale la pena instaurare un rapporto basato sul riconoscimento dei propri e altrui diritti. A volte chi parla pu voler dire ci che esprime letteralmente; altre volte pu voler sottintendere un contenuto opposto, come nel caso dellironia; altre volte ancora desidera inviare richieste implicite che spera linterlocutore intuisca. In questultimo caso, chi parla si avvale di atti linguistici indiretti , che consentono di ottenere la risposta desiderata senza esprimerla apertamente. Negli atti linguistici indiretti, chi parla comunica allascoltatore diversi messaggi contemporaneamente, fidandosi del bagaglio di conoscenze linguistiche e relazionali dellascoltatore, del suo intuito, della sua capacit di rispondere in modo empatico. Alcuni tipi di messaggi indiretti studiati dai linguisti pragmatici sono: 1. i postulati conversazionali, ovvero modi convenzionali, espressioni idiomatiche di porgere richieste che mascherano lintenzione imperativa o di porre domande senza sembrare intrusivi; 2. i presupposti linguistici, che sono la parte sommersa del discorso, in quanto stanno prima e sotto ci che viene pronunciato, e fungono da fondamenta, in quanto sorreggono il sovrastante discorso manifesto; 3. lambiguit, un elemento strutturale del linguaggio, ovvero la tecnica di esprimere pi significati contemporaneamente; 4. luoghi comuni e truismi, ovvero un complesso di affermazioni ovvie con cui si pu intendere altro rispetto al detto.

Nellambito retorico, la metafora una figura che esprime una similitudine consistente nel trasferimento a un oggetto del nome proprio di un altro, stabilendo un rapporto di analogia. La metafora opera uno spostamento di significato attraverso una parentela di somiglianze.

Comunicazione persuasiva e negoziazione del conflitto


La comunicazione persuasiva quel tipo di comunicazione che ha come obiettivo quello di stimolare nellascoltatore ladesione alla tesi contenuta nel messaggio, usando la forza della parola che fa accedere senza costringere, che obbliga senza creare un vincolo di necessit. Il linguaggio persuasivo prevalentemente indiretto, sensorialmente specificato, suggestivo, evocativo, analogico, metaforico. La forza persuasiva si fonda sulla conoscenza dellinterlocutore, delle sue aspirazioni, delle sue debolezze, sullutilizzo delle regole retoriche. I fattori di cui si avvale un messaggio persuasivo sono: 1. fattori strutturali, che riguardano lorganizzazione del discorso, la scelta dei contenuti e delle argomentazioni; 2. fattori valoriali, che si riferiscono ai valori universali condivisi dallascoltatore e dal parlante; 3. fattori affettivi, che si riferiscono alle emozioni come leva per lazione. La persuasione pu essere centrata: 1. sul persuasore, quando chi parla utilizza se stesso come strumento persuasivo, quando crede che basta la sua presenza per persuadere (attrattiva, forza espressiva, potere); 2. sul contenuto, quando chi intende persuadere si affida a unesposizione sicura, con riferimenti precisi, affidabili, con collegamenti pertinenti, seguendo pi la logica dei fatti che quella delle idee e delle ideologie (metodo, dimostrazione, evidenza); 3. sul persuadendo, quando il relatore bada alle eventuali relazioni degli interlocutori e tenta di persuaderli in diversi modi (coinvolgimento, manipolazione). La negoziazione un processo in cui due o pi interlocutori si impegnano per risolvere uno stesso problema, partendo da interessi opposti rispetto alle soluzioni, da posizioni di potere reciprocamente relative. Il processo negoziale stimola un continuo e mutevole confronto non solo sugli obiettivi della trattativa, ma anche sulla volont di perseguirli, sullatteggiamento negoziale che g li interlocutori assumono, sulle abilit personali, sullequilibrio di potere percepito e attribuito, legittimato e riconosciuto e sulla gestione del conflitto. Si pu gestire il conflitto con diversi approcci: 1. approccio collaborativo, che richiede un confronto aperto, un processo di negoziazione basato sul principio Io vinco/Tu vinci;

2. approccio di tipo competitivo, che si avvale di tecniche di persuasione e di manipolazione; 3. approccio compromissorio, che opera espliciti richiami ad obiettivi di ordine superiore o ricorre a terzi elementi in gioco; 4. approccio di tipo accomodante, che un approccio passivo in cui si pronti a concedere o a cedere posizioni; 5. approccio di tipo confronto o collaborazione, in cui attraverso il confronto face-to-face, deponendo le armi, si pu trovare insieme la giusta soluzione che consente ad entrambi di vincere (win-win). In questo caso, entrambi i contendenti hanno interesse a rafforzarsi, eliminando al pi presto il conflitto, perch sono di pari livello ed in fondo si stimano reciprocamente; 6. approccio di tipo compromesso, adottando il quale entrambi portano a casa qualcosa, cedendo su altri punti. E un particolare risultato del confronto, dove si pratica il concetto del dout des. E quella particolare situazione in cui in qualche modo entrambi i contendenti perdono (lose-lose); 7. approccio di tipo accomodante, in cui si cerca di contenere lemotivit puntando sulle opinioni comuni e accantonando le divergenze. Tale approccio non risolve necessariamente il conflitto, ma comporta un abbandono delle ostilit in quanto si intravede una soluzione possibile. Di solito, questo approccio si sceglie quando il gioco non vale la candela e risulta pi conveniente ristabilire larmonia; 8. approccio di tipo forzato, che si realizza quando una parte cerca di imporre una soluzione ad un altra, magari ad un livello molto basso. Se il conflitto viene portato ai livelli gerarchici superiori, automaticamente si crea un vinto ed un vincitore (win-lose). Si utilizza questo approccio quando si veramente sicuri di essere nel giusto, si vuole trarre un vantaggio, la posta alta, si agisce per principio, la decisione urgente e, comunque, non si teme per la compromissione dei rapporti interpersonali; 9. approccio del tipo abbandono, che un modo per rinviare un problema. Questa scelta utile quando si sa di non poter vincere, la posta bassa, serve prendere tempo, si vuole innervosire il contendente, si vuole restare neutrali o lasciar decantare il problema, vincendo semplicemente aspettando (Confucio). Comportamento relazionale positivo Il conflitto John Searle

John Searle (1932), anche lui filosofo analitico del linguaggio, elabora la sua teoria a partire dalla critica alla tassonomia di Austin appena analizzata, non costruita, a suo dire, in base a principi chiari, tanto che si fa confusione tra verbi illocutori e atti illocutori, vi sono sovrapposizione tra le classi verbali e troppa eterogeneit al loro interno. Searle pone come criterio centrale della sua classificazione il concetto di scopo illocutorio. Lo scopo illocutorio parte integrante della forza illocutoria, ma ne distinto. Per esempio, richiesta e comando hanno lo stesso scopo illocutorio, cio il far fare qualcosa al destinatario, ma la loro forza diversa. Searle propone cinque categorie di atti illocutori: 1. gli atti rappresentativi hanno come scopo quello di impegnare chi enuncia alla verit della proposizione espressa. Verbi che denotano atti di questa classe sono, per esempio, suggerire, ipotizzare, asserire; 2. gli atti direttivi hanno come scopo illocutorio quello di costituire dei tentativi di indurre il destinatario a fare qualcosa. Verbi che denotano questa classe sono, per esempio, ordinare, comandare, invitare, sfidare, provocare; 3. gli atti commissivi hanno come scopo quello di impegnare chi enuncia ad assumere una condotta futura. Un verbo che denota un atto di questa classe , per esempio, promettere; 4. gli atti espressivi hanno come scopo quello di esprimere lo stato psicologico a proposito di una proposizione la cui verit data per scontata. Verbi che denotano questa classe sono, per esempio, chiedere scusa e congratularsi; 5. gli atti dichiarativi, se eseguiti felicemente, fanno corrispondere contenuto proposizionale e realt. Essi provocano dei cambiamenti di status nelle persone o negli oggetti a cui si riferiscono, grazie agli indicatori di forza illocutoria in essi contenuti. Verbi che denotano questa classe sono, per esempio, scomunicare, battezzare. Searle introduce, inoltre,il concetto di atto linguistico indiretto, ovvero quellatto che, pur appartenendo ad una data classe, ha lo scopo illocutorio tipico di unaltra. Per esempio, se un parlante dice Sono stanco di sentire menzogne, non sta facendo solo unaffermazione, ma sta anche invitando o ammonendo il destinatario a cambiare comportamento, cio sta proferendo un atto direttivo indiretto. In casi come questo, il parlante comunica pi del contenuto semantico della proposizione, facendo appello ad un bagaglio di conoscenze condivise con il destinatario ed alla sua capacit di trarre delle inferenze. Sinora abbiamo considerato gli atti linguistici presi singolarmente come unit. Nei discorsi, per, gli atti linguistici sono organizzati in sequenze e per essere compresi devono essere

interpretati come un solo atto linguistico complessivo, una sorta di atto linguistico globale o macroatto linguistico. La sua comprensione e interpretazione richiede allascoltatore, o lettore, capacit di riduzione, integrazione e riorganizzazione dellinformazione ricevuta attraverso operazioni non solo semantiche, ma anche pragmatiche. Individuare latto linguistico globale contribuisce a comprendere la coerenza di un discorso, che dipende non solo dalle connessione semantiche o proposizionali, ma anche da quelle relative proprio agli atti linguistici tra loro. Come semanticamente ogni discorso ha un suo argomento o tema, cos pragmaticamente individuabile uno scopo del macro-atto linguistico. Considerando il discorso nella sua globalit, possibile anche interrogarsi sul sistema di valori e sul modello interpretativo che lautore usa e che, per questa via, fa implicitamente accettare anche a chi legge. Attraverso lo studio degli atti linguistici possiamo capire come un discorso funziona, con quali strategie organizzato, qual il rapporto instaurato tra lenunciatore ed il destinatario. Per esempio, un discorso costruito su atti verdittivi costruisce un modello dotato di una certa competenza e autorit per esprimere giudizi di valore. Se un discorso, basato su atti esercitivi, allenunciatore attribuita una competenza modale di potere e al destinatario quella di dovere. Se un discorso , invece, caratterizzato da atti comportativi che esprimono lo stato danimo dellenunciatore, questo discorso fortemente emotivo e tende a suscitare ladesione e la partecipazione dei destinatari ai sentimenti dellenunciatore stesso. Ferdinand de Saussure Per Ferdinand de Saussure (1957 1913), il segno unentit unitaria ma comprendente al suo interno due componenti: il significato, ovvero il concetto a cui il segno fa riferimento, e il significante, veicolo per il precedente. Significato e significante sono entit psichiche, che esistono nella coscienza degli interagenti per suo tramite, ma non hanno una consistenza oggettiva e materiale. Allinterno del segno, il rapporto tra significato e significante arbitrario, definito attraverso una convenzione: ogni segno tale e specifico in quanto diverso da ogni altro, sia sul versante del significante che su quello del significato. Il concetto di arbitrariet presupposto imprescindibile sia per la definizione del significante che del significato. Ad un primo livello, quello del significante, ogni specifica lingua costruisce arbitrariamente una relazione di significazione tra una combinazione di suoni e una certa porzione di realt. Ad un secondo livello, ogni lingua fissa i significati in maniera arbitraria. Cos, la lingua italiana attribuisce una diversa cadenza semantica ai termini legna, legname e bosco; la lingua francese racchiude nel solo termine bois lintera valenza semantica dei precedenti di lingua italiana. In

definitiva, ogni lingua storico-naturale categorizza in modo differente la realt, sia sul versante del significato che su quello del significante. Larbitrariet come regola di ogni lingua nella fissazione di suoni e concetti dipende anche e soprattutto da tutta una serie di priorit, imposte dalla realt contestuale: vi sono delle necessit pratiche che inducono le culture a organizzare una specifica libreria di concetti, un vero e proprio apparato espressivo, che permette la comunicazione tra gli appartenenti alla comunit di turno. Ad esempio, le necessit contestuali hanno reso necessario alla comunit eschimese la codificazione di significanti diversi per distinguere diverse tipologie del fenomeno che in lingua italiana individuato sempre e solo dal termine neve. Ad un livello pi elevato rispetto a quello del segno, parlando delle unit fondamentali del linguaggio, unaltra distinzione importante fatta da de Saussure quella relativa ai concetti di langue e parole. Il concetto di langue pu essere assimilato a quello di codice. E unistituzione sociale, perch, per dirla alla Durkheim, coercitiva e trascendente lindividuo. Una lingua non pu essere controllata da singole persone perch presuppone un patto stipulato tra tutti i membri di una societ intera: non a caso sono in molti a pensare che il linguaggio sia listituzione sociale pi democratica che esiste, basandosi sullosservazione ovvia che nessuna lingua naturale mai nata per contratto. La langue una sorta di grammatica presente a tutti i livelli linguistici (suoni, sillabe, frasi) a cui tutti i parlanti di una lingua fanno riferimento, molto spesso inconsapevolmente. E un insieme di regole socialmente condivise, che costituiscono le forme della lingua. E esterna allindividuo e si acquisisce passivamente. La parole, invece, pu essere intesa come il momento della parlata, latto fonatorio in s e per s. Attraverso il parlare, il singolo individuo fa sua la langue. Latto della parlata prettamente individuale, creativo, attivo e vario, ma pur sempre prodotto in funzione di un codice (langue). Ogni lingua come una macchina che permette al suo guidatore di andare dove desidera: il cofano, il telaio, lapparato esterno la langue, mentre lindividuo alla guida rappresenta la parole, a cui spetta decidere dove andare con il mezzo a disposizione. Un aspetto davvero interessante che la langue composta da pochi elementi mentre la parole da molti. In italiano, ad esempio, ci sono meno di trenta suoni, vocali e consonanti, utilizzati in combinazioni differenti e potenzialmente infinite: la langue pertanto formale e invariante, la parole sostanziale e variabile. Al di l degli aspetti appena citati, sono diverse le caratteristiche specifiche che permettono di distinguere tra langue e parole: Caratteristiche distintive di langue e parole LANGUE PAROLE sociale VS individuale

passiva attiva esterna interna formale sostanziale pochi elementi molti elementi invariante variabile John L. Austin Soffermandoci in modo particolare sulla comunicazione verbale, ogni enunciato prodotto costituisce un atto linguistico. La pi importante teoria degli atti linguistici stata elaborata da John L. Austin (1911 1960), filosofo analitico del linguaggio. Il concetto centrale della filosofia analitica del linguaggio che parlare agire. Sulla base di tale assunto, il fenomeno linguistico viene considerato dal punto di vista pragmatico, cio si considerano gli enunciati in quanto prodotti da proferimenti del parlante in situazioni determinate. Proferimenti che equivalgono ad atti di dire qualcosa, ma anche, e in vari sensi, a delle azioni . Austin intu che produrre un enunciato vuol dire fare contemporaneamente tre cose distinte, compiere tre atti: di qui la possibilit di descrivere latto linguistico su tre livelli differenti, a partire dalla sua formulazione sino ai suoi effetti nel contesto extralinguistico. 1. Ad un primo livello individuiamo latto locutivo, o locutorio, che consiste nel formare una frase in una data lingua, una proposizione con la sua struttura fonetica, grammaticale e lessicale (ad es. Francesco mangia come struttura SN + SV, costituita da due parole a loro volta create a partire da specifici fonemi, con un certo significato denotativo,). Detto altrimenti, latto locutorio latto di dire qualcosa, sia come attivit fisica necessa ria a produrre lenunciato, sia come conoscenza della grammatica della lingua usata, sia come conoscenza del senso e del riferimento dei vocaboli usati. 2. Ad un secondo livello, latto illocutivo, o illocutorio, latto che consiste nel dire qualcosa, nellintenzione con la quale e per la quale si produce la frase, nellazione che si intende convenzionalmente compiere dicendo quellenunciato (ad es. Francesco mangia nel suo valore di dare uninformazione, descrivere, fare unaffermazione). Ogni enunciato possiede una propria e specifica forza illocutiva. Per esempio, una frase proferita da un parlante o scritta da un autore pu avere la forza illocutoria di una promessa, di una minaccia o di una semplice affermazione. Il destinatario riconosce la forza illocutoria di un atto linguistico per mezzo di indicatori contenuti nei discorsi orali o

scritti. questo il livello che la filosofia analitica del linguaggio ha maggiormente approfondito e che pi interessante, se si vuole affrontare unanalisi del discorso. 3. Ad un terzo livello, infine, latto perlocutivo, o perlocutorio, latto che consiste nel fare qualcosa, che produce sempre effetti e conseguenze. Il perlocutivo pu essere definito anche come latto che consiste nelleffetto che si provoca, e s i ha intenzione di provocare, nel destinatario del messaggio, nella funzione concreta effettivamente svolta da un enunciato prodotto in una determinata situazione (ad es. Francesco mangia pu valere, da questo punto di vista, come sollievo per gli amici di Francesco che temono per la sua salute). La frase Chiuderesti la porta? ha la struttura grammaticale di una frase interrogativa (atto locutivo), il valore di una richiesta o un ordine (atto illocutivo), leffetto di ottenere che venga chiusa la porta (at to perlocutivo), sempre che la sua forza illocutiva riesca a raggiungere lobiettivo voluto. Perch un atto linguistico sia appropriato, esso deve rispondere ad alcune condizioni. Per prima cosa, devono essere soddisfatte alcune condizioni preparatorie che riguardano le conoscenze, i desideri e le credenze del parlante e del destinatario. Per esempio, una promessa ha come condizione che latto riguardi qualcosa di piacevole per il destinatario, unasserzione che latto riguardi qualcosa che il destinatario non sa e si presume che voglia sapere. Esistono, poi, vere e proprie condizioni di sincerit, necessarie in quanto latto linguistico legato convenzionalmente al significato ed alle intenzioni del parlante. Per esempio, una richiesta sincera se il parlante vuole effettivamente che il destinatario faccia quanto richiesto. Vi sono, poi, condizioni essenziali che caratterizzano ogni singolo atto linguistico in modo specifico. Per esempio, una promessa ha come essenziale che il parlante si assuma un obbligo, un ordine presuppone come essenziale un voler far fare qualcosa a qualcuno. Infine, vi sono condizioni sociali che riguardano la posizione sociale di chi compie latto e del destinatario. Per esempio, un giudice in un processo ad assolvere o a condannare, un superiore in un esercito a dare ordini. Queste condizioni di felicit di un atto linguistico sono necessarie per un suo successo, il che avviene quando il destinatario riconosce esattamente il significato voluto dal parlante. Sia nei discorsi orali che in quelli scritti, possono essere riconosciuti indicatori di forza illocutoria che aiutano a disambiguare un atto linguistico. Per esempio, in un discorso orale importante lintonazione della voce, in un discorso scritto sono importanti i segni di interpunzione e lordine delle parole e, in entrambi i casi, sono importanti indicatori di forza illocutoria i modi verbali. Tuttavia, non possibile stabilire la forza illocutoria di un atto linguistico considerandone solo il contenuto semantico, indipendentemente dal contesto in cui si trova. Gli indicatori di forza puramente linguistici possono anche essere in contrasto

con le circostanze di proferimento. Il valore illocutorio di un atto indecidibile a prescindere dal particolare contesto in cui viene pronunciato, dalle relazioni intercorrenti fra i suoi partecipanti, dai rapporti gerarchici e di potere che li legano, dalle rispettive credenze, aspettative, desideri e volont. Nella sua riflessione teorica, Austin procede ulteriormente, tentando una propria classificazione degli atti linguistici in : 1. atti verdittivi, che esprimono, in base a prove o ragioni, un giudizio di valore o di fatto. Verbi di questa categoria sono, per esempio, valutare, giudicare, descrivere, analizzare; 2. atti esercitivi, che esprimono una decisione pro o contro una linea dazione e tendono a dirigere il comportamento del destinatario. il caso di verbi come ordinare, comandare, dare istruzioni, vietare; 3. atti commissivi, che impegnano il parlante ad una certa linea dazione. il caso di verbi come promettere, giurare, garantire; 4. atti espositivi, che servono ad esprimere i propri punti di vista, le proprie argomentazioni e a chiarificare luso o il riferimento delle parole. il caso di verbi come affermare, negare, accettare, classificare; 5. atti comportativi, che esprimono le reazioni del parlante a comportamenti od atteggiamenti appena passati o immediatamente futuri degli altri. il caso di verbi come chiedere scusa, ringraziare, maledire

Teorie della comunicazione


Il termine comunicazione deriva dalle parole latine communis e actio. Il termine communis deriva, a sua volta, da cum + munio ed indica il sentirsi o lessere obbligati nei confronti di qualcuno; il termine actio vuol dire, invece, azione. Comunicare , dunque, non vuol dire nullaltro che creare un rapporto di collegamento a ci che altro e diverso da s, sentirsi obbligati in un rapporto comune: espressioni che trovano la loro principale valenza nel termine relazione. Comunicare significa relazionarsi con qualcuno, istituire un rapporto dialettico, un incontro con qualcuno che non sia il s, ma laltro da s, e che in tale rapporto sia attivo e non passivo. Anche il semplice stare al mondo pu essere definito comunicazione, in quanto in ci individuabile sempre una posizione di confronto, uno scambio, un dialogo, non necessariamente verbale e non necessariamente rivolto allaltro uomo. Tra i termini comunicazione ed informazione la differenza molto sottile. Possiamo comprendere cosa si intende per comunicazione e cosa per informazione, introducendo due classi di differenze fondamentali. La differenza tra le due attivit , prima dogni altra cosa, una differenza di mezzi. Seguendo la pi

importante teoria sviluppata sul tema, linformazione una s pecie, nel senso che compresa, nel genere di attivit che chiamiamo comunicazione. Generalmente, trasmettendo un messaggio informativo si trasmette una notizia. La trasmissione di una comunicazione comprende, invece, varie modalit specifiche. Una comunicazione pu consistere nella modalit sponsorizzazione, promozione, manifestazione ed altro ancora. Possiamo, poi, cogliere una distinzione relativa al feedback, ovvero alla retroazione del dato trasmesso. Nellattivit di informazione, il fine che attrave rso la trasmissione di una notizia si vuole raggiungere, di far conoscere qualcosa a qualcuno. Il feedback, in questo caso, utile per poter ottenere quelle informazioni che permettono di valutare e verificare se lattivit ha raggiunto lobiettivo e, eventualmente, quale ne stata lefficacia. Lattivit di comunicazione, invece, ha lobiettivo di creare un rapporto tra due referenti, di reciproca crescita ed influenza. Allattivit comunicativa, il feedback utile per poter valutare quantitativamente e qualitativamente il cambiamento, ovviamente in senso positivo, che nella relazione i due interagenti hanno maturato. Pi volgarmente, la differenza tra comunicazione ed informazione pu essere individuata nel fatto che la comunicazione consiste in informazione significata, dotata di senso. Per una riflessione pi puntuale sul tema della comunicazione passiamo in rassegna le varie teorie che al riguardo sono state elaborate. Karl Bhler Roman Jacobson Claude Shannon e Warren Weaver Ferdinand de Saussure John L. Austin John Searle Paul Grice Schema di un sistema interattivo della comunicazione Karl Bhler Karl Bhler (1879-1963), psicologo e filosofo tedesco, ha teorizzato il modello strumentale del linguaggio e, in esso, ha individuato lesistenza di tre elementi posti in relazione tra loro nei processi comunicativi: un mittente, un destinatario e ci su cui si comunica (oggetti e fatti). In una situazione comunicativa e con riferimento ai soggetti che ne sono coinvolti, il segno linguistico assume tre funzioni di senso, in relazione alle tre componenti fondamentali della comunicazione. Il segno

simbolo, in virt della sua corrispondenza a oggetti e fatti; sintomo (indice, indicium) in rapporto alla sua dipendenza dallemittente, della cui interiorit espressione; segnale in forza del suo appello allascoltatore, di cui dirige il comportamento esterno o interno. In un processo comunicativo: 1. il mittente esprime con i suoi messaggi il suo stato danimo, le sue idee, la visione che ha del mondo e della realt in generale; 2. il messaggio viaggia dal mittente al destinatario e deve parlare di qualcosa, riguardare la realt; 3. il destinatario riceve il messaggio, cogliendolo come se fosse un appello. Il segno pu essere sbilanciato verso uno dei tre vertici del triangolo. La funzione appellativa, per, in forma esplicita o implicita, sempre presente. Oggetti e fatti Rappresentazione Espressione Appello Emittente Ricevente Modello strumentale del linguaggio Roman Jacobson Roman Jakobson (1896 1982), linguista, riprendendo e ampliando il modello di Bhler, scompone il processo della comunicazione in sei elementi principali, a ciascuno dei quali associa una particolare funzione: Modello di Jakobson 1. Il contesto luniverso nel quale avviene la comunicazione, il suo intorno, la situazione nella quale di fatto si situa la dinamica comunicativa. E loggetto, largomento, il problema a cui ci si riferisce nel messaggio. Cambiando il contesto, il messaggio pu assumere un diverso significato. Al contesto Jakobson associa la funzione referenziale, mediante la quale possibile fare riferimento o informare su un determinato contesto, un oggetto, un argomento o un problema (ad es. lacqua limpida, ha una temperatura di 15). Da sottolineare la differenza esistente tra il concetto di contesto e quello di cotesto. Il cotesto, ovvero il testo contiguo alla comunicazione, precedente o successivo, pu essere considerato un particolare caso di contesto. 2. Il messaggio ci che il testo, o linsieme di testi, comunicano o, in senso pi largo, loggetto materiale scambiato (suoni, scritti, modi di vestire). La funzione ad esso associata quella poetica,

ovvero la possibilit di esprimere in modo formalmente raffinato il messaggio (ad es. Chiare, fresche e dolci acque); lattenzione alla forma stessa del messaggio, lorientamento del messaggio al messaggio stesso. Jakobson, richiamando lo slogan riferito al presidente americano Eisenhower I like Ike, fornisce un esempio molto efficace di funzione poetica del messaggio: tale espressione risulta gradevole alludito, contiene una rima interna, efficace e semplice da ricordare. 3. Il mittente (o emittente), chi produce o origina la comunicazione. La funzione ad esso associata quella emotiva, che permette di esprimere pensieri, opinioni, sentimenti (ad es. Che bellacqua trasparente, viene voglia di berla). 4. Il destinatario (o ricevente), colui che riceve e a cui rivolto il messaggio. La funzione ad esso associata quella conativa o persuasiva, quella per cui il mittente si sforza di produrre un effetto sul destinatario, del tipo convincere, indurre, persuadere a fare, dire, credere qualcosa. (ad es. Bevi questacqua! Sentirai com buona e Fresca). 5. Il canale o contatto il mezzo attraverso il quale il messaggio passa dal mittente al destinatario. Il canale pu essere sia di tipo fisico (ad es. laria per la voce), che tecnico (ad es. un cavo). Il canale spesso responsabile di problemi di rumore, ovvero di disturbo alla comunicazione, che per lo pi dipendono dalla sua stessa natura (ad es. le interferenze nella radio). Ogni comunicazione pu essere disturbata o addirittura impedita, nel caso del rumore, oppure pu essere facilitata e rafforzata, nel caso della ridondanza. Rumore un termine tecnico, che fa riferimento a inconvenienti di tipo fisico, per es. una voce rauca o balbettante da parte dellemittente, oppure la distrazione o la sordit da parte del ricevente. Anche quando il termine intende riferirsi, in maniera pi traslata, a un codice troppo difficile o troppo oscuro, o alla mutevolezza eccessiva del referente, si tratta sempre dinconvenienti di tipo tecnico. Di fatto, lesistenza del rumore una caratteristica da considerare non solo come un disturbo, ma anche come una qualit che caratterizza la costruzione di un messaggio secondo un linguaggio specifico anzich un altro. Dunque, dagli accidenti della comunicazione, dagli errori e non solo dalle differenze che talvolta un linguaggio ha la possibilit di evolvere e trarre le caratteristiche pi utili per la cultura che ne fa uso. I principali tipi di canale sono: canale fisico sonoro, ovvero qualsiasi ambiente in cui presente laria portatrice di vibrazioni acustiche; canale fisico visivo, ovvero qualsiasi ambiente in cui presente o pu passare la luce (ad es. una sala buia per proiezione cinematografica); canale fisico olfattivo, ovvero qualsiasi ambiente caratterizzato dalla trasmissione di odori;

canale fisico tattile, ovvero qualsiasi materia che trasmette vibrazioni o sensazioni tattili (ad es. il rilievo nella scrittura braille); canale tecnico sonoro, ovvero tutti gli strumenti che trasmettono suono (ad es. telefono, microfono, radio, cinema); canale tecnico visivo, ovvero strumenti come la fotografia e il cinema; canale visivo-sonoro-tattile e olfattivo, ovvero le tecnologie di realt virtuale. La funzione che Jakobson attribuisce al canale quella fatica, che permette di verificarne il funzionamento, di assicurarsi che il canale sia funzionale al trasferimento del messaggio (ad es. Prova microfono: uno, due, tre). La funzione fatica della lingua svolge principalmente il compito di garantirsi che esista una connessione tra emittente e destinatario. Dunque, qualsiasi strategia pubblicitaria che porti lattenzione del pubblico sul messaggio, qualsiasi comportamento che creando una relazione, o rafforzandola, attraverso comportamenti abitudinari ad essa relativi, convalidi la possibilit di poter avere scambi tra i partecipanti alla relazione, rientra nel larea coperta dalla cosiddetta funzione fatica. Buona parte di quei comportamenti che, pur esprimendo dei contenuti specifici, non sono minimamente interessati al comunicarli quanto allattivare o rafforzare una determinata rete di rapporti (ad es. il farsi notare dal datore di lavoro o lintrattenervi colloqui), pu non avere per forza la finalit di scambiarsi dei contenuti, ma anche semplicemente la necessit formale di mantenere attiva la relazione. La componente fatica particolarmente presente in tutte le forme di comunicazione costruite da una societ non tanto per trasmettere determinati contenuti, quanto per garantire il rafforzamento di determinati valori sociali, che fungono da collante tra i cittadini. Far condividere la partecipazione a rituali e scambi di tipo simbolico una tradizionale forma di governo dalle civilt basate sullesistenza di miti. Se talvolta pu sembrare che lesistenza in una societ di determinate figure simboliche possa essere un modo per determinare conseguenti gerarchie nei rapporti sociali, altre volte lapparente opposizione e conflitto tra bene e male, buono e cattivo, schiavo e padrone si risolve in un canovaccio in cui le parti si scambiano, mentre ci che rimane stabile la struttura sociale: ed proprio su tale stabilit che traggono vantaggio determinate figure sociali anzich altre, pi che dal ruolo sociale che apparentemente vi svolgono. 6. Il codice un sistema strutturato per produrre segni, come ad esempio la lingua italiana, con cui il mittente formula il messaggio che invia al destinatario. E necessario che il mittente conosca il codice con cui codificare il messaggio e che questo sia condiviso dal destinatario, affinch la decodifica avvenga in maniera corretta. Vi sono situazioni che forzano luso d i un codice anzich di un altro

proprio per la natura del mezzo usato o dellambiente (ad es. una telefonata obbliga alluso del linguaggio verbale). Come si gi avuto modo di notare, lesistenza di media specifici pu influenzare la societ e, dunque, gli individui che ne fanno parte trasformandone i comportamenti e gli atteggiamenti. Secondo alcuni, una persona pensa cos come parla. Se, dunque, un linguaggio determinato ci abitua a esprimerci secondo modalit specifiche, la conseguenza sar che la mente muter di conseguenza. Per alcuni, le tecnologie dei media sono anche tecnologie della mente. Di fatto vero anche il contrario: lesistenza di linguaggi codificati della comunicazione influenza pesantemente il modo in cui si sviluppano le nuove interfacce tecnologiche della comunicazione. E importante avere ben presente che la costruzione di determinati strumenti di comunicazione e dei relativi linguaggi non sar un semplice strumento per gli individui, ma diventer parte della loro vita, ne condizioner i loro modelli cognitivi, sar un mutamento, per alcuni unevoluzione, nel loro modo di relazionarsi con il mondo. La funzione che Jacobson lega al codice quella metalinguistica, che consiste nella possibilit che la lingua parli della lingua, rendendo possibile la descrizione del codice stesso (ad es. Acqua una parola che si scrive con il gruppo consonantico cq). Nella teoria di Jakobson la comunicazione unidirezionale. Tale modello risente fortemente dellinflusso della teoria dellinformazione e da essa trae caratteristiche talvolta limitanti. Nel lavoro di Julien Greimas, linguista, cos come di Umberto Eco, semiologo, ed altri, al contrario la comunicazione vista come un processo cooperativo, in cui non si ha un unico soggetto o attore della comunicazione, ma una molteplicit che attraverso una dinamica circolare partecipano alla costruzione cooperativa del senso del discorso. I nuovi media, ed in particolare le reti telematiche, sono tecnologie in cui lutente potrebbe essere sia attore che spettatore della comunicazione. I testi sono aperti e lutente stesso, le sue azioni, sono una parte determinante del contenuto del testo. Sono strumenti potenzialmente molto cooperativi, in cui la distinzione tra mittente e destinatario rischia di diventare obsoleta, o almeno fortemente sfumata. Qualsiasi testo mediale, sia esso realizzato tramite la scrittura o attraverso un film, un romanzo o, in particolare, attraverso la televisione, deve possedere una molteplicit di livelli semantici, deve cio essere polisemico, e quindi possedere la caratteristica di essere aperto, ovvero offrirsi allessere completato attraverso il suo uso da parte del pubblico. Claude Shannon e Warren Weaver Una diversa classificazione degli elementi coinvolti nella comunicazione, intesa per nel senso di informazione, stata proposta al tempo della seconda guerra mondiale da Claude Shannon (1916

2001) e Warren Weaver, ingegneri. Le differenze rilevabili tra la loro classificazione e quella di Jakobson dipende dalla diversa formazione culturale dei rispettivi teorizzatori. Per Shannon e Weaver, le componenti della comunicazione sono in tutto sette: 1. lemittente; 2. il segnale, trasmesso dallemittente; 3. il messaggio, veicolato dal segnale; 4. il ricevente, ovvero chi materialmente riceve il messaggio; 5. il destinatario, potenzialmente diverso dal ricevente, colui a cui i messaggio diretto; 6. la fonte, da cui lemittente apprende il messaggio che trasmette; 7. il rumore, uno o pi potenziali, che disturba, se presente, il segnale. Esso pu essere di natura tecnica, come un disturbo fisico vero e proprio, oppure semantico, ad esempio un flusso di pensieri parallelo al principale che abbassa il livello di concentrazione. Per informazione, Shannon e Weaver intendono non il contenuto del messaggio, ma la misura della prevedibilit del segnale, che ridondante quando molto prevedibile, entropico in caso contrario. Pi il messaggio risulta ridondante, pi si al riparo da cattive interpretazioni. La formazione culturale di Shannon e Weaver li port a individuare nella cura della codifica del segnale e nellefficienza del sistema di trasmissione la sufficiente garanzia di una buona comunicazione. In realt, ci vale sicuramente per il passaggio di informazione che avviene tra macchine. Il caso della comunicazione umana , invece, pi complesso: la sue efficienza dipende da tutta una serie aggiunta di fattori, come, ad esempio, la condivisione del contesto, che non possono essere tralasciati.

Teorie dei segni


Luomo vive immerso in un mondo di segni: ciascuno, anche inconsciamente, in ogni istante della propria esistenza produce, riceve e interpreta segni. Ogni cosa pu essere segno, ma non detto che lo sia necessariamente: il segno, sia naturale che convenzionale, per essere tale ha bisogno di essere segno per qualcuno, che sia in grado di riconoscerlo, coglierlo ed interpretarlo. Cos, il fumo segno di fuoco solo ed esclusivamente se vi qualcuno che lo coglie come tale; in caso contrario, il fumo semplicemente fumo, privo di qualsiasi valenza signica. La realt parla solo alluomo disposto ad ascoltare e capire. La scienza che studia i segni la semiotica. Pi precisamente, la semiotica individua nei sistemi linguistici le unit che li compongono (i segni), cerca di comprenderne le relazioni reciproche e di spiegare i processi e gli atti di comunicazione che li coinvolgono. Nellambito delle

ricerche di tipo semiotico sono state formulate, dai tempi della filosofia classica ad ora, varie teorie relative ai diversi possibili tipi di relazione esistenti tra un oggetto, un segno e il modo in cui tale segno viene interpretato nella mente. Senza inoltrarci troppo in questo terreno molto delicato, analizziamo i pi importanti apporti avutisi in materia. Tommaso DAquino Immanuel Kant Umberto Eco Ferdinand de Saussure Charles Sanders Peirce Thomas Albert Sebeok Gottlob Frege Teorie culturologiche Tommaso DAquino Tra le prime riflessioni teoriche relative alla natura del segno, grande rilevanza assume il contributo di Tommaso DAquino (1221 ca. 1274), per cui il segno in s comporta un qualcosa che ci sia manifesto, dal quale siamo condotti per mano alla conoscenza di qualcosa di nascosto. Considerando in modo specifico i segni convenzionali, non centrale la maggiore rilevanza del segno o delloggetto significato: la convenzione di turno a stabilire, tra due oggetti, quale dei due sia segno e quale loggetto significato. Generalmente, luomo tende a considerare segno loggetto che coglie per primo e che costruisce laltro nella mente. In una conversazione, il termine computer pronunciato da chi parla segno in quanto induce nella mente di chi ascolta limmagine delloggetto che vi facciamo corrispondere, senza che questo sia necessariamente presente nel contesto in cui ci si relaziona Immanuel Kant Per Immanuel Kant (1724 1804), filosofo, luomo non conosce il mondo attraverso le cose, ma attraverso le rappresentazioni mentali che se ne costruisce. Esiste dunque una mediazione nel modo in cui luomo conosce il mondo, che sottrae agli oggetti e alle cose un valore assoluto e di universalit. Tutto ha inizio con lesperienza, ma non tutto deriva dallesperienza: con questaffermazione Kant accoglie la tesi empirista che nessun contenuto innato vi sia nel processo della conoscenza e che ogni acquisizione abbia la sua origine nellesperienza sensibile, ma sostiene anche che nella conoscenza

opera qualcosa che non proviene dallesperienza sensibile e che a priori. La conoscenza delluomo quindi una sintesi fra una materia del conoscere, che il soggetto conoscente riceve dallesterno, e una forma con cui questo la organizza, la unifica, generando le rappresentazioni del mondo naturale. In altre parole, la conoscenza non una ricezione passiva di dati dellesperienza, ma unattivit di organizzazione di questi dati: attivit di classificazione, elaborazione e unificazione attraverso funzioni dette a priori. Tali funzioni sono proprie di tutti gli uomini, indipendenti dallesperienza e precedenti a essa, in quanto presupposto e condizione di possibilit dellesperienza stessa. Se, quindi, ognuno di noi ha percezioni molto diverse, perch avverte le cose in modo personale e vive occasioni del tutto individuali di percezione, ha per un modo di organizzarle che poggia su condizioni comuni a tutti gli esseri umani. Umberto Eco Altro contributo rilevante, quello prestato da Umberto Eco (1932), per cui la semiotica la teoria della menzogna, posizione che si regge sulla distinzione concettuale esistente tra i segni naturali e quelli linguistici. I primi non possono che essere veritieri: il fumo, ad esempio, non pu non indicare la presenza di fuoco. I secondi, invece, possono anche essere menzogneri, come quando si riferiscono a qualcosaltro che non esiste necessariamente. La frase Sei bellis sima!, ad esempio, una menzogna se chi la pronuncia lo fa con sguardo sfuggente e incrociando le dita dietro la schiena. La scrittura utilizza segni grafici che vengono trasmessi a distanza dallemittente al destinatario. Lassenza di un rapporto vis-a-vis o di atteggiamenti che possano tradire stati danimo, agevola la menzogna. Se la frase prima presa ad esempio, anzich pronunciata verbalmente, venisse comunicata in forma scritta, lassenza di contatto diretto non permetterebbe di cogliere possibili stati danimo esplicativi, favorendo la possibilit di menzogna Charles Sanders Peirce

Per il filosofo Charles Sanders Peirce (1839 1914), il segno la risultante del rapporto dinterazione tra il veicolo segnico, linterpretante (lelemento di mediazione) e il referente (loggetto reale). I rapporti tra il veicolo segnico e linterpretante, e tra linterpretante e il referente sono diretti; tra il veicolo segnico e il referente, invece, il rapporto sempre mediato da una chiave daccesso alla realt.

Interpretante

Veicolo SEGNO segnico Referente Triangolo semiotico di Peirce Definito il segno, Peirce propone una tassonomia rappresentativa/referenziale in cui distingue i segni in simboli, icone e indici in funzione del rapporto che essi hanno con il loro denotato: 1. negli indici la relazione tra segno e cosa denotata di tipo contiguo, o in connessione fisica con loggetto: lindice intrattiene, cio, un rapporto esistenziale con loggetto che significa. Esempi di indici sono la banderuola, la stella polare, le lettere apposte alle figure geometriche. Venendo meno la contiguit, anche lindicalit del segno viene persa: un pronome contenuto in un dizionario, ed esempio, non pi indice, perch persa la contiguit non pi in grado di indicare un oggetto specifico nella realt; 2. nelle icone il rapporto tra il segno e la cosa denotata di analogia, somiglianza o metafora: icona, ed esempio, linsegna WC accompagnata dallimmagine stilizzata di un uomo o di una donna. E importante notare come la scelta dellanalogia usata, e dunque delle qualit pertinenti del segno, sia di per s un forte punto di vista in base al quale possibile caratterizzare linterpretazione di una funzionalit o di un contenuto; 3. nei simboli la correlazione significato/significante arbitraria e convenzionale: la parola casa indica in italiano una costruzione destinata ad uso abitativo solo perch cos stato deciso in modo convenzionale. Ulteriori distinzioni possono essere introdotte considerando il segno dal punto di vista del mittente, delluniverso del discorso e del destinatario. Dal punto di vista del mittente, ovvero di colui che fa il segno, questi possono essere distinti secondo criteri diversi. 1. I segni possono essere volontari o non volontari, a seconda che siano prodotti consapevolmente o inconsapevolmente. Un esempio di segno volontario lespressione Mi passi il bicchiere?, accompagnata da un gesto di indicazione; un esempio di segno involontario , invece, un tic nervoso. Oggi, tutta la sintomatologia medica si basa su segni involontari;

2. I segni possono essere intenzionali o non intenzionali, a seconda che li si producano per essere interpretati o senza volerne uninterpretazione. La distinzione tra volontariet e intenzionalit molto sottile. Limbracatura utilizzata da chi pratica bungee jumping pu essere considerata un segno che ne permette il riconoscimento volontario ma non intenzionale, poich utilizzarla non ha per costoro la primaria finalit di farsi riconoscere. Il caso di un segno volontario e intenzionale molto comune: si verifica ogniqualvolta utilizziamo volontariamente un simbolo per evocarne il senso associato. Utilizziamo un segno volontario e intenzionale, ad esempio, quando suoniamo il clacson nellintento di trasmettere allautomobilista davanti alla nostra vettura, ancora immobile nonostante sia gi scattato il verde, il messaggio Muoviti! Il semaforo verde! I segni non volontari e non intenzionali pi comuni sono i tic nervosi. E invece impossibile pensare a segni non volontari e intenzionali; 3. Posso essere, ancora, espressivi o comunicativi, a seconda che esista o meno un destinatario che interpreti i segni, trasformando la loro semplice trasmissione in comunicazione. Tutti i segni espressivi sono potenzialmente comunicativi. Una donna vestita di nero produce un segno espressivo della sua condizione di lutto, ma non comunicativo se non presente nessuno che possa interpretare il significato del colore indossato. Rispetto alla relazione segno-universo del discorso, distinguiamo i segni in base: 1. alla forma: il segno pu essere naturale, come limpronta digitale, o culturale, come il colore indossato indicante lutto per culture diverse; 2. alla relazione esistente tra il significante e il significato: il segno pu, da questo punto di vista, essere portatore di un contenuto stabile o circostanziato e dipendente dalla situazione di contesto; 3. alla relazione esistente tra significante e denotato: la distinzione tra icone, indici e simboli di matrice peirceiana; 4. allorganizzazione: i segni possono essere isolati, in serie, ovvero pi veicoli per lo stesso referente, o sistematici, ovvero un sistema chiuso e internamente consistente di segni. Dal punto di vista del destinatario del segno, colui al quale si fa segno, distinguiamo: 1. segni felici, che sono quelli interpretati correttamente dal destinatario; 2. segni infelici, ovvero semplici oggetti per il mittente erroneamente interpretati come segni dal destinatario. E il caso di abiti di colore nero, interpretati come segni espressivi di una condizione di lutto ma, in realt, semplice espressione di gusto personale; 3. segni concorrenti, che sono quei segni che vengono interpretati diversamente dallemittente e dal destinatario.

Thomas Albert Sebeok


Un punto di svolta nella storia della semiotica fu segnato nella prima met degli anni Sessanta quando Thomas A. Sebeok (1920 2001) estese i confini della scienza dei segni quale risultava fino ad allora sotto il nome di semiologia. Questultima si basava semplicemente sul paradigma verbale ed era viziata dallerrore di scambiare la parte per il tutto. Sebeok definisce tale tendenza nello studio dei segni la tradizione minore contrapponendovi quella maggiore per ampiezza temporale ed estensione tematica, rappresentata da Locke e Peirce e che risale ai primi studi sui segni e sui sintomi (lantica semeiotica medica) di Ippocrate e Galeno. Nelle sue pubblicazioni Sebeok ha fatto valere una nuova visione della semiotica in cui il campo coincide con quello delle scienze della vita, in base allassunto che tutto ci che vita segno. In seguito allopera di Sebeok, ampiamente ispirata a Peirce, ma anche a Charles Morris (1901 -1979) e a Roman Jacobson (1896-1982) diretti maestri di Sebeok sia la concezione del campo semiotico, sia la concezione della storia della semiotica sono mutate notevolmente. La semiotica odierna deve a Sebeok la sua configurazione come semiotica globale. In virt di questo approccio globale o olistico la ricerca semiotica sulla vita dei segni di rettamente interessata anche ai segni della vita. Teorie culturologiche Per le teorie culturologiche, unanalisi sui media, e dunque sui segni che essi utilizzano, non pu essere separata da unanalisi sulla societ che li impiega, sulla sua storia e la su a cultura, cio su come a determinati segni corrispondano determinati valori e implicazioni sociali. L attenzione posta su ci che gi gli epicureisti definivano il simulacro di una cosa, ovvero una sorta di pulviscolo portatore dellimmagine delloggetto. Per Denzin Norman, sociologo, il simulacro si trasforma in artefatto cognitivo, ovvero in una meta-rappresentazione del modo in cui noi ci rappresentiamo le cose nella mente. Lartefatto cognitivo funge da mediatore tra noi e le cose, non rappresentate semplicemente sulla base dellesperienza percettiva avutane, ma anche considerando come tale esperienza si organizza rispetto alle precedenti culturali che di tali cose se ne sono fatte. In tale processo, diventa importante il modo in cui delle cose selezioniamo delle qualit pertinenti, tralasciandone altre che pur gli appartengono; diviene, dunque, cruciale il punto di vista culturale che guida tale selezione. Per Louis Hjelmslev, (1899 1965) semiotico, una semiotica il rapporto che si

gioca allinterno di un segno tra il piano dellespressione, ovvero il cosiddetto piano dei significanti, e piano del contenuto, il cosiddetto piano dei significati. Hjelmlsev, parlando di semiotica connotativa, ovvero una semiotica il cui pino espressivo a sua volta una semiotica, riconosce lesistenza di due livelli di significazione insiti in un segno: la denotazione, loggetto cui il segno si riferisce, e la connotazione, linsieme di significati e valori aggiunti di cui un segno simultaneamente portatore in una determinata cultura. Per spiegare in modo semplice tale distinzione, analizziamo come segno esemplificativo la parola ulivo e la valenza che essa assume nella nostra cultura: in questo caso la denotazione consiste nelloggetto ulivo cui la parola si riferisce, la connotazione nel significato di pace che lulivo simboleggia nella cultura cattolica. Non esiste una formula unica per costruire il senso di un discorso. Tanto meno, dunque, si pu pensare che le semplici regole della sintassi siano sufficienti a ricostruire il senso di un discorso. Sebbene il modo in cui un segno si colloca allinterno di un testo sar un elemento rilevante anche dal punto di vista semantico, la restituzione di un determinato senso sar il frutto di un insieme di fattori ben pi complesso.

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