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Comunicazioni
ISSR - Matera
1. CONCETTO DI “COMUNICAZIONE”
Quello della comunicazione può essere definito il fenomeno originario della coesistenza, delle
relazioni e interazioni umane ed è quindi antico quanto la civiltà stessa dell’uomo. È diventato,
specialmente nell’ultimo secolo, sempre più esteso, multidimensionale e complesso, ed è oggetto di
studio di diverse, spesso convergenti, discipline. Data l’ampiezza semantica del termine
“comunicazione”, è necessario chiedersi innanzi tutto quale sia il significato del termine stesso, per
vedere poi in cosa essa consiste e come si presenta la comunicazione, e in seguito indagare
direttamente la sua diversificata dimensione sociologica.
Dal punto di vista terminologico, la parola latina communicatio deriva da cum, ‘con’, e munus,
‘dono’: esprime, si può dire, una particolare forma di “donazione”, il “mettere a parte” altri di
qualcosa che si ha ma anche “munus” come “impegno”, “ufficio” per cui si tratta di due significati
intrecciati di “amore” e “dovere” in un vincolo più difficile perché la responsabilità ne è la sintesi.
Evidentemente in questa nozione è centrale il concetto di partecipazione, che, ad esempio, si
esplicita chiaramente nella lingua tedesca nel vocabolo Mitteilung, il quale può essere tradotto,
letteralmente, più che con “comunicazione”, con “compartecipazione” (da Mit, “con”, e Teil, “parte”).
In origine ‘communico’ — da cui nella lingua latina il sostantivo communio e l’aggettivo communis
— significa complessivamente mettere qualcosa in comune con qualcuno: nel senso di “condividere
qualcosa” l’accento è posto primariamente sul contenuto comunicato.
Per ulteriore caratterizzazione semantica, dall’originario e imprescindibile senso statico di
condivisione si approda a una concezione che ne evidenzia invece il significato ‘dinamico’ di
trasmissione di informazioni-messaggi. In generale, la comunicazione implica insieme anche
l’istituzione o il riconoscimento di uno spazio comune (di relazione tra i comunicanti), in cui il
qualcosa stesso viene, appunto, trasmesso, comunicato.
Da un punto di vista psicologico si può intendere la comunicazione piuttosto come “uno
scambio interattivo osservabile fra due o più partecipanti, dotato di intenzionalità reciproca e di un
certo livello di consapevolezza, in grado di far condividere un determinato significato sulla base di
sistemi simbolici e convenzionali di significazione e di segnalazione secondo la cultura di
riferimento” (L. ANOLLI).
Un principio, molto importante, avanzato da Paul Watzlawick, è che «È impossibile non
comunicare, non esiste un comportamento che non sia comunicativo». Come sostiene lo psicologo
d’origine austriaca, infatti, parlare o restare in silenzio, tutto comunica, tutto crea un rapporto fra il
soggetto e l’ambiente sociale, quindi con gli altri soggetti. Ogni comportamento è in sé stesso
comunicativo — persino isolarsi dagli altri, un comportamento definibile ‘negativo’ — ed è
impossibile pensare di avere un non-comportamento: la comunicazione si rivela in ultima analisi come
l’orizzonte, in quanto tale intrascendibile, dell’essere e agire umani.
Per chiudere queste rapide considerazioni generali, si può concepire la comunicazione come
svolgentesi lungo due assi fondamentali o secondo una doppia relazione: l’uno verticale, relativo al
rapporto tra “messaggio” e contenuti del mondo o del pensiero; l’altro orizzontale, quello più
propriamente comunicativo, concernente la relazione che s’instaura tra produttori e destinatari del
messaggio (U. VOLLI).
Vige un rapporto molto stretto tra comunicazione e forme della relazione sociale; una delle
teorie più autorevoli in merito fu elaborata dalla Scuola di Palo Alto: “Ogni comunicazione ha un
aspetto di contenuto ed uno di relazione, in modo che il secondo classifica il primo diventando
metacomunicazione”. Qualsiasi comunicazione presenta questo doppio aspetto di contenuto e
relazione: se si litiga su più argomenti frivoli, ci si dovrebbe rendere conto che forse il problema è di
fondo. Il carattere metacomunicativo del piano della relazione è dovuto al fatto che la relazione che
vige tra due interlocutori ci fa capire se la frase “sei un genio” è un complimento o sarcastica. In
questo caso, appunto, si ha una comunicazione sulla comunicazione (metacomunicazione), processo
del tutto sconosciuto alla maggior parte dei parlanti.
ad esempio se leggo un libro che comincia con “Cenerentola era una fanciulla...” penserò
subito ad un racconto per bambini in quanto per “inferenza extratestuale” perchè per altre
conoscenze so che Cenerentola è la famosa protagonista di una fiaba ma se continuando il testo leggo
“...che viveva a New York” risulta nel lettore una “inferenza testuale” ovvero dal testo si ricavano
delle informazioni che vanno a cambiare il mio modo di pensare quello stesso brano per cui
abbandonerò la fiaba solita per aprire un nuovo orizzonte. Se poi il testo parla di una rivisitazione in
chiave moderna del famoso racconto allora ci saranno ancora delle inferenze extra-testuali che
riaffioreranno alla memoria per cui il principe sarà sempre biondo, alto e magro e con gli occhi
azzurri. A meno che l'autore non si sia divertito a descriverlo (generando una inferenza testuale) e
quindi a modificare l'idea che nella nostra mente ci era apparsa alla parola “principe”.
Nel libro “Pragmatica della comunicazione umana”, Paul Watzlawick delinea i percorsi della
comunicazione, differenziando la relazione simmetrica da quella di tipo complementare, a seconda
se i due interlocutori tendono ad uguagliarsi o piuttosto a differenziarsi.
La relazione simmetrica
Nell'interazione simmetrica, entrambi gli interlocutori tendono a porsi ad uno stesso livello
(uguaglianza della relazione).
Così mentre uno dei soggetti cerca di definire la natura della relazione, l’altro risponde alla
definizione che viene data confermandola, rifiutandola o cercando di modificarla. Abbiamo così una
relazione simmetrica sana, e quindi stabile, quando entrambi gli interlocutori riescono a posizionarsi
sullo stesso livello, considerandosi uguali e confermandosi reciprocamente. E’ il caso del rapporto fra
pari, dove io “definisco te come amico” e “tu definisci me come amico”, risultando in perfetta simmetria
(principio di uguaglianza).
Abbiamo invece una relazione simmetrica patologica, quando uno dei due attori rifiuta o
squalifica il “livello di uguaglianza” dell’altro, cercando di porsi “al di sopra” (verso una posizione
one-up) rispetto all’altro (“io sono migliore di te”, “tu sei diverso da me”). Di fronte a questa presa di
posizione il secondo interlocutore, dal lato suo, cercherà di ripristinare la posizione di uguaglianza,
rifiutando o squalificando il ruolo imposto dal primo (“tu non sei migliore di me”, “io non sono
diverso da te”). Se entrambi rimangono rigidi sulle proprie posizioni, si genera un circolo vizioso che
prelude ad un’escalation simmetrica che sarà caratterizzata da forti conflitti che rischiano di protrarsi
nel tempo, fino alla reciproca esclusione, in cui si fa finta di ignorarsi “come due perfetti
sconosciuti”, o peggio alla rottura definitiva.
La relazione complementare
2.4 Il codice
Per far si che il processo di comunicazione sia corretto, il messaggio deve passare attraverso il
canale idoneo e deve essere comprensibile al destinatario.
L’emittente e il ricevente devono conoscere il medesimo codice, ossia l’insieme delle regole che
permettono di dare un significato e un valore ai segni e ai simboli utilizzati all’interno del messaggio
stesso.
Se analizziamo oggettivamente l’alfabeto scritto, ci accorgiamo che esso è un insieme di
simboli, i quali assumono un significato specifico solo quando emittente e ricevente sono a
conoscenza del codice necessario a decodificarli. Per esempio, nell’alfabeto Morse, un punto e una
linea rappresentano una “A”.
Al fine di rendere possibile la comunicazione, il codice deve essere scelto prima dell’inizio
della stessa e deve essere noto all’emittente e al ricevente.
Durante la comunicazione, possono modificarsi alcuni parametri che rendono necessario un
riadattamento del codice. In questi casi si parla di transcodificazione , ossia, il passaggio da un tipo di
codice ad un altro. Per esempio, se durante una chat tra due persone che comunicano in italiano
dovesse intervenirne una terza inglese, si dovrebbe adeguare il codice comunicativo in modo da
rendere possibile la comprensione a tutti i partecipanti.
Nella teoria della comunicazione, il codice è un sistema di segni e di regole per la loro
combinazione, convenzionalmente assunto.
2.4.1 I sottocodici
Nelle comunicazione non basta che il codice sia condiviso affinchè una comunicazione risulti
mirata.
L'individuazione del codice è un individuazione banale, Occorre riuscire ad individuare un
sottocodice utile all'occasione.
Il codice dell'emittente è il responsabile oggettivo di una tale realtà: significato denotativo. Il
significato oggettivo di una data realtà è detto significato denotativo. Le particolari sfumature di tipo
più culturale, psicologico, emotivo che si sovrappone al significato denotativo è detto significato
es. Bambino = essere umano piccolo di età (denotativo) è diverso dal dire “non fare il bambino”
(connotativo).
L'emittente quando deve produrre un messaggio, per veicolarlo ha a disposizione più significanti
(ovvero parole ma anche frasi e strategie di comunicazione), raramente si ha una scelta obbligata. Se ne
sceglie uno piuttosto che un altro a seconda del destinatario e del contesto in cui il messaggio compare.
Il destinatario vede il messaggio come forma significante. Il messaggio ha una valenza di
significante. Il messaggio ha una valenza di significato ed è la valutazione delle circostanze che lo
aiuta a scegliere fra i diversi significanti.
Perché riesca il processo comunicativo devo ammettere che la circostanza della comunicazione
deve essere la stessa sia per l'emittente che per il destinatario.
Ad esempio per dire per indicare il precetto della messa domenicale è probabile che dirò
ai bambini
“bisogna andare a Messa”
ai loro genitori che
“è opportuno partecipare alla Messa”
ma sul foglietto domenicale scriverò che
“la celebrazione domenicale è di precetto”
nella rivista specializzata troverò
Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 6 -
“la celebrazione eucaristica del giorno del Signore rientra negli obblighi del cristiano”.
2.5 Contesto
L’insieme della situazione generale e delle particolari circostanze in cui ogni evento
comunicativo è, per forza di cose, inserito, si chiama contesto.
Ad esempio il mio professore in aula userà comunicare in una certa maniera con un linguaggio
aulico, durante un incontro spirituale coi ragazzi con un linguaggio formale, pacato e più
meditabondo, durante una partita di calcio magari sbraiterà contro gli avversari.
Talvolta il contesto non corrisponde alla situazione creando equivoci e situazioni di estrema
difficoltà: immaginate ad esempio la vittoria in formula Uno durante la quale gara c'è stato un
incidente mortale: per quanto il contesto sia di felicità ad essa viene collegata una situazione triste (la
morte di un compagno). Immaginate di dover proporre la lezione sulla gioia di vivere a dei ragazzi a
cui è stata appena negata la gita di classe. Come anche spiegare durante il precetto pasquale a ragazzi
a digiuno di liturgia: il contesto (Chiesa) va bene ma la situazione (ragazzi impreparati, canti
sconosciuti) non crea comunicazione.
Durante il processo comunicativo potrebbero essere presenti degli elementi che lo disturbano e
che rendono difficoltosa la comprensione; i rumori. Essi possono essere di varia natura: dal rumore
prodotto da un martello pneumatico al brusio delle voci delle persone; dall’oscurità causata dalla
mancanza di luce al fruscio del vento; ecc …
Per limitare i danni causati dai rumori si utilizza la ridondanza , ossia l’ausilio di un messaggio
secondario atto ad assicurare la riuscita della comunicazione. Nel caso in cui due persone stiano
dialogando e vicino a loro ci sia un martello pneumatico che provoca rumore, l’emittente, oltre al suo
messaggio verbale di saluto, farà anche un cenno con la mano.
Il processo fonico-uditivo
Informazione
L'informazione a differenza della comunicazione non prevede che prevede un vero e proprio scambio
di informazioni (quindi anche di feedback e di effetti).
Ad esempio i cartelli stradali, le indicazioni riguardo una struttura, pur incontrandoli puoi anche
subito non tenerli in considerazione: se non fumo non mi dice nulla il cartello “non fumare” e
d'altronde chi ha scritto quel cartello sa che fino a quando non si trova uno che fuma quel cartello
non trasmette nulla oppure se attendo il treno e sento la voce che mi avvisa del ritardo del treno non
gli interessa se dopo tale messaggio posso imprecare, sbuffare o andare a farmi un giro o cercare un
posto più comodo perchè il suo scopo è solo di farmi prendere coscienza di una realtà o ancora se
sulla bacheca mettono il foglio dell'assenza di un professore per quanto possiamo arrabbiarci,
lamentarci alla segretaria non resta che far finta di nulla!!!
Nella sua accezione più estesa, il soggetto della comunicazione può essere di volta in volta un
essere umano, un gruppo, una pianta, un animale…
Tuttavia, nel momento in cui si utilizza il termine comunicazione col suo significato più
ristretto, ci si rende conto di quanto sia difficile utilizzare dei soggetti comunicativi che non siano
umani. Agli animali, infatti, le parole non servono, e i loro “discorsi” non si riferiscono a dati
fattuali.
Tratteremo d’ora in poi soltanto la comunicazione tra soggetti umani (individuali e
collettivi).
Il primo stadio della comunicazione è il cosiddetto linguaggio gestuale naïf (indicare bocca per
esprimere fame, etc). Questi segni hanno una loro efficacia in situazioni d’emergenza, ma si
dimostrano limitati se confrontati col linguaggio verbale.
La superiorità del linguaggio verbale non deriva dall’uso della voce: la Lis (Lingua Italiana dei
Segni) si dimostra altrettanto potente e flessibile. La differenza tra Lis e linguaggio naïf sta nel fatto
che ogni gesto è rigidamente codificato e univoco.
Questo carattere di convenzionalità ci permette di distinguere tra loro i linguaggi digitali (numerici)
dai linguaggi analogici. Il linguaggio digitale è discreto, mentre quello analogico è continuo. (cane,
imitazione di un cane). Non sempre il linguaggio digitale e superiore a quello analogico: a volte un abbraccio
può valere più di mille parole.
Analogico e digitale è solo uno dei modi nei quali si possono suddividere i sistemi che usiamo
per comunicare.
Linguaggio "analogico" e linguaggio "digitale" sono termini entrati in uso in seguito agli studi
compiuti negli anni '60/'70, da parte di un gruppo di ricercatori che lavoravano presso il Mental
Research Institute di Palo Alto, California.
Analogico, cioè "non logico", é qualcosa che non é rivolto alla parte razionale della nostra
mente, ma a quello che potremmo chiamare il nostro cuore, e cioè le emozioni e i sentimenti.
Digitale, dall'inglese "digit" che significa numero, é tutto quello che si indirizza al nostro
cervello visto nelle sue capacità di ragionamento, logica, analisi, matematica.
L'uso delle parole é quasi sempre digitale, razionale: se io ti parlo e non metto le parole nella
giusta posizione, se non utilizzo i verbi ed i nomi appropriati, tu non mi puoi capire.
Volendo essere più precisi si potrebbe ancora notare che il linguaggio delle parole si presta al
linguaggio digitale ma anche ad usi analogici come l'uso dei proverbi; viaggiando tra il digitale e
l'analogico, con le parole si può decidere come modulare le emozioni: c'é una grossa differenza tra il
dire "quello che hai fatto mi dispiace molto" e il dire "mi hai spezzato il cuore"; ed ancora, parliamo di
"mente" per indicare la razionalità o l'intelligenza e di "cuore" per indicare i sentimenti, quando tutti
sappiamo che il cuore é un muscolo che serve a pompare il sangue e non é certo la sede delle nostre
emozioni d'amore; ed ancora, se dico "Carlo é un leone", tutti capiscono che sto dicendo che é un
uomo coraggioso e non un animale con la criniera.
L'uso dei gesti fa parte del linguaggio analogico; attraverso il gesto, senza parlare, comunico una
certa risposta o un mio atteggiamento; in Italia abbiamo anche tutta una serie di gesti e gestacci già
codificati e conosciuti da tutti.
Ma posso comunicare in maniera analogica anche con la posizione che assumo col corpo: se ti
ascolto stravaccato sul divano, mostro meno attenzione che non seduto e leggermente reclinato verso
di te, come per sentire meglio le tue parole; con le espressioni del viso, o solo con uno sguardo, posso
farti capire se sono d'accordo con te.
L'arte visiva, figure, disegni, fotografie, quadri, immagini pubblicitarie e non, quasi sempre
appartengono al mondo analogico, ci fanno provare delle emozioni.
Il bravo comunicatore, il giornalista, l'attore, il politico, l'uomo di spettacolo, il pubblicitario, in
modo istintivo o in modo razionale utilizzano sempre i due linguaggi per rafforzare il loro messaggio.
Se il destinatario del messaggio viene colpito al cuore e alla mente nello stesso momento, il
messaggio sarà più incisivo: ad esempio si può scrivere sulla guerra in Iugoslavia per esempio, un
articolo "digitale" serio e pieno di dati che fanno appello alla nostra parte razionale; se poi al centro di
quest'articolo ci mettiamo in maniera "analogica" la foto di un bambino mutilato e insanguinato, o la
foto di una vecchia con le mani alzate per la disperazione davanti alle rovine della sua casa, otteniamo
su chi legge l'articolo e vede la foto un effetto molto forte.
Come abbiamo detto, il linguaggio verbale caratterizza e distingue l’uomo dalle altre specie
animali. La lingua determina non solo il modo di cui parliamo del mondo, ma anche ciò che di questo
mondo conosciamo (gli eschimesi hanno un sacco di termini per distinguere i tipi di neve, noi no):
questa teoria è nota col termine di relatività linguistica.
Oltre alle parole, l’uomo utilizza varie forme di comunicazione non verbale. Per comprendere
l’inaspettata ricchezza della comunicazione non verbale si può iniziare studiando le sue diverse
componenti: sistema paralinguistico, sistema cinesico, prossemica, aptica.
Il sistema paralinguistico è costituito da tutti i suoni che emettiamo a prescindere dal significato
delle parole. Si tratta in primo luogo del tono e della frequenza della voce (fattori fisiologici), ma
anche del ritmo e delle pause (che possono essere vuote, es. silenzio, o piene, come quando usiamo gli
intercalari beh, mmhh…).
Il sistema cinesico comprende i movimenti degli occhi , del volto e del corpo ma anche la
mimica facciale (es. arrossire), i gesti (es. delle mani) e la
postura ( dell’intero corpo, es. sull’attenti) zona intima
L’aptica studia il contatto fisico, ed è la branchia della comunicazione non verbale meno
studiata. Si va dalla stretta di mano, al doppio bacio per salutare gli amici, alle effusioni più intime.
L’aptica è importante in quanto un contatto in più o in meno può renderci invadenti o freddi.
- Comunicazione non verbale di tipo digitale (L.i.s.): anche un linguaggio dei segni può
possedere segni
convenzionali che vanno appresi.
- Comunicazione verbale di tipo analogico (poesia): una poesia trova il suo senso più nella
sonorità delle parole, nella sua capacità di evocare sentimenti che nel significato delle singole parole.
- Comunicazione non verbale di tipo analogico (comunicazione tra madre e figlio): il bambino
non ha ancora l’uso della parole, comunica con la madre cogliendone la tonalità, lo sguardo.
In parole povere la mia immagine mentale di un oggetto corrisponderà sempre di più a quello
con cui ho esperienza diretta. Un esempio lo capiamo se pensiamo quando pensiamo alla musica: per
un anziano probabilmente la musica corrisponde alla banda, per un musicista alla musica classica,
per un giovane alla musica dance, ad un adulto la musica leggera. Il concetto di musica piano piano
si aggiorna man mano che lo stesso segno viene usato per indicare differenti modalità dello stesso
genere. Per cui l'immagine verrà rinforzata di altri elementi e l'immagine mentale (interpretamen) si
modificherà per cui per l'adulto ad esempio musica diventerà anche quel “rumore” che il figlio
ascolta.
Quando parliamo di modelli si intendono delle semplificazioni di ciò che effettivamente avviene
nella realtà.
Il Modello di Lasswell è un metodo corretto per descrivere un atto comunicativo che consiste
nel rispondere alle seguenti domande:
È con queste parole che Harold Lasswell, nel 1948, tentò di organizzare un campo di studi allora
caotico come quello della comunicazione. Il modello di Lasswell ha il merito, infatti, di identificarsi
come il primo tentativo di introdurre allo studio dei processi comunicativi, attribuendo ruoli e parti ai
diversi soggetti coinvolti nonché precise dinamiche di interazione.
L'organizzazione del campo di studio, frutto dell'applicazione del modello di Lasswell, continua
a rappresentare un utile strumento di lavoro per organizzare la raccolta dei dati e per costruire una
prima visione di insieme, come si evince dalla rappresentazione grafica di tale modello.
Fondamentale in Eco è quindi il problema dell'interpretazione. Eco muove dall'idea che l'analisi
delle strutture del testo coincida con la ricerca delle sue potenziali strategie interpretative. Eco
definisce il testo "una macchina pigra" in quanto ritiene che il senso di un testo sia determinato solo in
parte dalle strutture o dai percorsi di senso potenziali costruiti dall'emittente, ma che un ruolo
fondamentale venga svolto dal fruitore del testo senza il cui intervento il senso resterebbe lettera muta.
Quindi la costruzione del senso di un testo si gioca nel processo dialettico che si attiva tra le strutture
retorico-testuali e le strategie di interpretazione del lettore (principio della cooperazione interpretativa
nei testi narrativi).
Legata alla questione dell'interpretazione testuale - una delle questioni centrali del lavoro di Eco
- è quella della individuazione dei limiti dell'interpretazione medesima. Fin dal 1962 - in una fase pre-
semiotica della sua ricerca - Eco si era occupato della questione della interpretazione dei testi.
Dapprima veniva infatti elaborata una estetica della ricezione testuale, in cui il ruolo del lettore
era fortemente attivo e creativo nei confronti della definizione del senso del testo. In seguito Eco ha
notevolmente ristretto la libertà del lettore o fruitore del testo, prima con la teoria già citata della
cooperazione interpretativa tra testo e lettore, poi con una vera e propria definizione dei limiti
dell'interpretazione.
In sostanza, secondo Eco, si può definire propriamente interpretazione di un testo solo quella
lettura che sia giustificata e comprovata dalle strutture testuali medesime; ogni lettura del testo che
vada oltre tale giustificazione testuale dovrà essere definita un uso del testo medesimo e non avrà
l'obbligo di essere coerente con il testo da cui deriva.
In sintesi Eco ammette che il lettore sia attivo ma ne definisce anche i limiti di una giusta
comprensione del testo al di là del quale c'è una cattiva interpretazione del medesimo.
Altra questione centrale nella ricerca di Eco è il problema del significato. In sostanza Eco ha
proposto un modello semantico a istruzioni in formato di enciclopedia. La metafora dell'enciclopedia
serve ad Eco per evidenziare la differente struttura interna del modello di sapere da lui utilizzata che si
definisce come una rete di unità culturali tra loro interconnesse.
Il modello ad enciclopedia viene contrapposto a più rigidi modelli semantici a dizionario in cui
ogni significato è semplicemente definito da una serie di unità minime tra loro interdefinite e
autosufficienti (semantica strutturale). Ma il funzionamento del processo cognitivo che porta
all'identificazione del significato è molto più aperta ed è legata all'attivazione di porzioni del sapere
culturale complessivo in ragione delle esigenze contestuali. Il significato è infatti determinato dall'uso
di concetti legati alla nostra generale esperienza o conoscenza del mondo, a stereotipi e strutture
culturalmente predefinite che abbiamo appreso nel tempo e/o da altri testi (competenza intertestuale).
Secondo Eco posti di fronte ad un nuovo fenomeno, attraverso un meccanismo di inferenza
percettiva, noi ci costruiamo dei tipi cognitivi - "privati" o individuali -, mentre sul piano dell'accordo
comunicativo, quindi sul versante intersoggettivo e culturale, ci troviamo di fronte alla elaborazione di
quello che Eco chiama contenuto nucleare, costituito dall'insieme delle diverse interpretazioni e
concezioni dell'oggetto in uso. A queste competenze si può poi aggiungere una conoscenza più
specifica e "professionale" propria solo di alcuni soggetti che Eco chiama contenuto molare.
Secondo lo studioso romeno Paul Cornea, la fase cruciale della comprensione di un testo
consiste nella negoziazione del senso, un procedimento che ha lo scopo di mediare tra il repertorio del
lettore e le nuove percezioni di lettura.
Manipolazione simbolica. Qui al lettore viene chiesto di non limitarsi all'attualizzazione del
senso primario, superficiale, letterale di un enunciato, ma di scoprire un senso secondario, figurato,
traslato, senso suggerito da una difficoltà di decodifica che richiede un'interpretazione particolare per
dare coerenza al testo nell'insieme.
7.3 L'abitudine
La memoria delle percezioni passate crea una sorta di banca dati individuale parzialmente
inconscia che però, sebbene a livello subliminale, interviene attivamente per accorpare percetti affini e
sistematizzarli in categorie.
Le interpretazioni cui dà luogo una stringa di testo costituiscono una memoria storica che fa sì
che le percezioni successive di stringhe di testo uguali o analoghe possano essere confrontate e, se è il
caso, assimilate alle percezioni e interpretazioni precedenti.
Il ri-occorrere di tali associazioni è ciò che dà luogo all'abitudine, alla generalizzazione
dell'esperienza e al tentativo di ergere un fascio di esperienze al rango di norma (regolarità):
Le abitudini hanno gradi di forza che variano dalla dissociazione completa all'associazione
inseparabile.
Questi gradi sono un misto di prontezza all'azione, ossia eccitabilità e altri ingredienti che non è
il caso di esaminare separatamente qui.
Il cambiamento d'abitudine consiste spesso nell'innalzare o nell'abbassare la forza di
un'abitudine. Spesso le abitudini differiscono per durata (che analogamente è una qualità
composita).
Per capirci il lettore esperto legge, guidato dall'abitudine interpretativa, grazie alla quale
la sua lettura può procedere spedita seguendo norme generali sulla regolarità, finché non
s'incaglia in qualche zona di testo marcata, in qualche scoglio che richiede una navigazione a
vista, un'attenzione particolare per riuscire ad affrontare le peculiarità estetiche e interpretative
specifiche.
Qui l'abitudine non fa al caso interpretativo del lettore, e quindi occorre sopperirvi con un
fresco impiego di applicazione analitica ad hoc.
Le abitudini, le generalizzazioni non sono un vicolo cieco ma, come gli altri due vertici della
triade, comunicano con ciascuno degli altri elementi (ripensiamo a Peirce). Abbiamo visto che la
percezione istintiva gradualmente porta all'accumulo di esperienza, e che l'accumulo di esperienza a
sua volta porta al costituirsi di abitudini. Ma le abitudini, una volta formate, quando cominciano a dare
luogo a regolarità percettive e a ritmi di lettura più veloci, sono entità statiche?
Le generalizzazioni hanno valore assoluto e permanente?
La risposta è no, e si capisce facilmente perché. L'esperienza e l'abitudine si fondano sulla
possibilità di catalogare le percezioni di lettura e di interpretazione. Tale catalogazione implica una
semplificazione e l'istituzione di una norma (intesa, in senso descrittivo, come caso statisticamente più
frequente, regolarità) e di una serie di modi, di tempi e di quantità di scostamento standard dalla
norma.
L'elemento di novità, il testo marcato, richiama l'attenzione del sistema di lettura vigile il quale,
dopo un tempo di decodifica appesantito dalla difficoltà, finisce per compiere l'atto interpretativo. Al
A partire dalla prima metà del XX secolo, gli studi sulla comunicazione trovano un nuovo
oggetto di studio, i media. (media: lat. plurale di medium, mezzo).
Tracciamo qui di seguito una breve storia dei media:
Ogni nuovo mezzo di comunicazione è accompagnato da importanti cambiamenti sociali. La
specie umana è caratterizzata da sempre dalla facoltà di esprimersi attraverso il linguaggio verbale.
“I media, attraverso i quali gli uomini comunicano, influenzano la loro lingua, il loro modo di
pensare e anche, direttamente e indirettamente, le società in cui essi vivono” (M. Baldini, Storia della
comunicazione, in Dizionario della Comunicazione, Carocci 2009) distinguiamo tre importanti
rivoluzioni nella storia della comunicazione:
e cinque tipi di culture, di età o epoche della comunicazione, che si sono succedute alla luce dei vari
strumenti di comunicazione utilizzati.
Conseguenze di queste rivoluzioni: rapidità di circolazione delle informazioni e costi sempre più
bassi. Rivoluzioni succedute con ritmi sempre più ristretti.
In tal modo, ci sembra di poter individuare cinque tappe fondamentali nella storia della
comunicazione:
2. la scrittura, introdotta circa nel IV millennio a.C., tecnologia che introduce la possibilità di
stoccaggio delle informazioni e un certo — sia pure limitato — grado di riproducibilità dei testi e di
comunicazione a distanza;
4. la telecomunicazione che, con l’invenzione del telegrafo e del telefono, segna la possibilità di
comunicazione “uno a uno” istantanea a distanza. La prima metà del Novecento vede poi la nascita —
con la radio e la televisione — delle possibilità di telecomunicazione dell’esperienza, in un processo
comunicativo “da uno a molti”. Telegrafo e telefono, se influiscono profondamente sulla vita
Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 21 -
individuale e sociale, si riflettono solo in misura limitata nell’organizzazione degli apparati delle
industrie culturali (fatta eccezione per l’informazione, per la quale rappresentano una vera e propria
infrastruttura produttiva). La radio, e quindi la televisione, rispetto alla telecomunicazione “punto a
punto”, rappresentano un’ulteriore svolta comunicativa perché consentono a enormi quantità di
persone di sperimentare la simultaneità senza la necessità di condividere un luogo. Esse danno quindi
origine a un processo comunicativo (la comunicazione di massa) di tipo nuovo e fanno capo ad
apparati organizzativi e a modelli industriali ed economici di tipo inedito;
o collegarsi fra loro ed accedere a contenuti relativi al passato (nelle forme della tradizione) e
al futuro (nelle forme della previsione);
o mettere “in comune” una quantità sempre crescente d’informazioni, sentimenti, emozioni,
pensieri;
o eliminare progressivamente i limiti spaziali e temporali;
o generalizzare le occasioni di uso e di scambio dei significati, in una rete comunicativa via via
più fitta, capillare e diversificata. La conseguenza più vistosa è quella di far circolare le
informazioni a una velocità sempre maggiore, a costi sempre minori.
Notevole è, poi, l’accelerazione dei tempi intercorrenti fra le introduzioni di nuove tecnologie
comunicative. Mentre tra i primi tentativi alfabetici e l’alfabeto latino passano circa cinquemila anni
— e altrettanti ne trascorrono dall’invenzione della scrittura a quella della stampa — tra l’invenzione
della stampa e i media elettrici non intercorrono neppure quattro secoli, mentre il passaggio dal
telegrafo al World Wide Web richiede soltanto circa 150 anni.
8.2 Oralità
Gli ominidi, che ancora non hanno conquistato la posizione eretta, comunicano in genere seguendo
l’istinto e i fattori ereditari. In questo stadio il comportamento comunicativo che dipende
dall’apprendimento è molto limitato.
Attraverso il linguaggio, l’uomo imposta l’esistenza in modo da difendersi e da organizzare
l’attività della caccia.
Con il passare dei secoli diventa capace di immagazzinare e trasmettere ai suoi successori le
tecniche di sopravvivenza e, a partire dal 10.000 a.C. circa, impara a praticare l’agricoltura.
La capacità di usare il linguaggio consente all’esistenza umana di fare passi da gigante. Parole, numeri
e altri simboli, unitamente alle regole del linguaggio e della logica, mettono gli esseri umani nella
condizione di affrontare il loro ambiente fisico e sociale in modi assolutamente non realizzabili nella
precedente età dei segni e dei segnali.
Attraverso la padronanza dei sistemi simbolici gli individui possono operare classificazioni,
astrazioni, analisi, sintesi e ipotesi. Possono, inoltre, ricordare, trasmettere, ricevere e comprendere
messaggi di lunghezza, complessità e finezza molto superiori a quelli consentiti dalle prime forme di
comunicazione.
Dalle pitture rupestri che caratterizzano l’era della parola e del linguaggio, si passa, con lo
scorrere dei secoli, alle immagini pittografiche. Spinti dalle necessità connesse all’attività agricola, dal
bisogno di registrare i confini delle proprie terre e dal progredire degli scambi commerciali, gli uomini
cercano il modo per standardizzare i significati delle immagini. Intorno al 4000 a.C., in Egitto e in
Mesopotamia, compaiono iscrizioni che è possibile associare a significati che, con il passare del
tempo, diventano sempre più standardizzati e codificati.
In una cultura orale primaria per esprimere e far conoscere agli altri pensieri e stati emotivi non
esistono altri mezzi che il linguaggio, principio convenzionale - socialmente introiettato - che vincola in
modo univoco contenuti e suoni.
Il patrimonio di conoscenze è soggetto a pesanti limiti: ha un breve raggio spaziale, ammette
uditori limitati e non assicura permanenza ai contenuti. Una cultura che non conosce la scrittura e non
possiede documenti si fonda esclusivamente sulla memoria: gli uomini sanno solo ciò che ricordano e
le conoscenze vengono trasmesse con il solo strumento della voce. In tale ambito la relazione con le
parole è profondamente diversa dalla nostra: le parole non hanno una presenza visiva, ma sono
soltanto suoni che si possono “richiamare”, ricordare. Pertanto in questa fase, per la trasmissione delle
conoscenze, tra i sensi umani, l’udito è il più importante: l’uomo è più auditivo che visivo.
In una cultura in cui non esistono testi scritti — né a mano né stampati — il sapere deve essere
organizzato in espressioni verbali essenziali, in modo da essere facilmente memorizzato e trasmesso
attraverso formule, frasi fatte, proverbi, massime. Queste ultime, per quanto reperibili ancora in opere
a stampa, nelle culture orali non sono occasionali, ma costituiscono e formano la sostanza di un
pensiero che senza di loro non può avere durata. Nella cultura orale il pensiero nasce, quindi,
all’interno di schemi a grande contenuto ritmico, si struttura in ripetizioni e antitesi, in allitterazioni e
assonanze, in epiteti ed espressioni formulaiche, in temi standard, in proverbi, in versi o in una prosa
molto ritmica, in quanto il ritmo — con il suo legame con il processo respiratorio, i gesti e la
simmetria bilaterale del corpo umano — aiuta la memoria anche da un punto di vista fisiologico. In
altre parole il pensiero è intrecciato ai sistemi mnemonici, che ne determinano anche la sintassi.
Pensare in termini non formulaici, non mnemonici, se anche fosse possibile, in questo ambito sarebbe
inutile, poiché il pensiero non potrebbe poi essere ricordato. Nelle culture orali primarie, dunque, la
memoria — che è la custode dell’intero sapere — occupa un ruolo centrale tra i poteri della mente e i
sapienti sono coloro che posseggono una memoria di ferro.
L’universo culturale e comunicativo delle società dell’oralità primaria presenta alcune caratteristiche
di fondo.
Cerchiamo di enucleare le più importanti:
1. primato dell’udito: l’udito è il senso attraverso il quale l’uomo viene in contatto con l’intero
sapere della sua cultura. L’uomo biblico, ad esempio, è per antonomasia l’uomo dell’ascolto. Dio si
manifesta nella parola ed ascoltare e credere costituiscono quasi uno stesso atto;
2. sintesi e atemporalità: il mondo orale ha una scarsa capacità di sezionamento analitico, non
conosce divisioni e sequenze e non discrimina sull’asse temporale. Comprende, invece, eventi e
sentimenti in uno sguardo d’insieme, in un presente multiforme, sganciato dal passato e imprevidente
sul futuro;
3. ascolto partecipativo: l’uomo della cultura orale tende sempre ad una partecipazione empatica
e ad un’immedesimazione totale con ciò che ascolta. Il piacere è una condizione del suo ascolto e del
suo apprendimento: ascolta con pienezza di sensi ed è disposto a lasciarsi coinvolgere emotivamente;
4. ridondanza: l’espressione orale deve essere ridondante poiché la ripetizione serve a mantenere
l’oratore e l’ascoltatore sull’argomento e sul tracciato dell’argomentazione. Se si “perde il filo” non si
può tornare indietro a “rileggere”: bisogna ripetere. La ridondanza è, inoltre, incoraggiata
dall’esigenza dell’oratore di continuare a parlare mentre pensa (è meglio ripetersi con abilità, piuttosto
che, mentre si va in cerca di idee e argomenti, smettere di parlare). Infine, la ridondanza è favorita
anche dalle condizioni fisiche dell’espressione orale, soprattutto se si è dinanzi ad un pubblico
numeroso. Per problemi acustici o di comprensione, non tutti capiscono ogni parola dell’oratore.
Risulta, allora, vantaggioso ripetere lo stesso concetto due o tre volte;
5. costruzione paratattica: il pensiero e i processi comunicativi delle culture orali sono
caratterizzati da uno stile paratattico, cioè da una costruzione del periodo essenzialmente fondata sulla
coordinazione e sulla mancanza di connettivi logici (“quando”, “allora”, “mentre”, “così”)
8.3 La scrittura
La scrittura cuneiforme sumerica, la prima tra quelle conosciute, appare nel 3500 a.C. circa, in
Mesopotamia. Dopo i Sumeri, gli Egizi inventano il loro sistema di scrittura intorno al 3000 a.C. e i
cinesi nel 1500 a.C. circa. La scrittura cuneiforme potrebbe derivare almeno in parte da un sistema di
registrazione delle operazioni economiche tramite oggetti simbolici di argilla, racchiusi in piccole
capsule cave, dette anche bullae, che recano all’esterno intaccature corrispondenti agli oggetti
contenuti al loro interno. Essa si evolve, poi, attraverso le fasi del pittogramma (che adopera per la
scrittura il simbolo stilizzato di un’immagine: ad esempio quella del “Sole” per indicare il “Sole”),
dell’ideogramma (in cui il simbolo rappresenta un’idea, come negli attuali cartelli stradali) e del
fonogramma (in cui i segni rappresentano suoni), accentuando l’elemento fonetico a discapito
dell’elemento figurativo. Con il passare dei secoli, inoltre, si semplifica passando dai 1200 caratteri
della fase iniziale ai 500 circa nel 2000 a.C. Il cuneiforme - nato nella Babilonia meridionale, nel Sud
dell’attuale Irak — si diffonde lentamente in tutta l’area della Mezzaluna Fertile; alla fine del XV
secolo a.C. conquista l’Egitto e nel IX secolo a.C. è adottato dagli Urartei. Col passare del tempo
diviene la scrittura della corrispondenza internazionale, tanto che tavolette cuneiformi vengono
ritrovate anche in Transilvania.
Intorno al 3000 a.C. gli Egizi danno vita anch’essi a un sistema di scrittura a immagini —
chiamato dai Greci geroglifica (scrittura sacra incisa) — usato nelle iscrizioni religiose e
8.3.1 L’alfabeto
Nei secoli XV e XIV a.C. i Fenici, popolo dedito al commercio insediato sulle coste della Siria,
introducono una nuova forma di scrittura, dalla quale derivano tutti gli alfabeti del mondo.
I precedenti sistemi di scrittura associano un segno a ogni suono (c’è, ad esempio, un segno per il
“ka”, uno diverso per il “ke” un altro per il “ki” e così via per il “ko” e per il “ku”) ma, essendo enorme
il numero dei suoni, il derivante sistema di segni risulta di difficile memorizzazione e poco maneggevole
da usare. I Fenici raggruppano le sillabe in “serie”, associandovi un segno che indica un denominatore
comune: ad esempio i cinque componenti della serie “ka-ke-ki-ko-ku” sono tutti rappresentati dal segno
k, la “consonante” iniziale della serie.
Questo sistema di scrittura — definito in seguito “sillabario senza vocali” — pone le basi per il
riconoscimento della consonante come elemento teoricamente distintivo del linguaggio. Il nuovo
“alfabeto” risulta così composto da un numero di segni limitato e pertanto di facile memorizzazione.
Quella che rimane difficoltosa è la lettura, che presuppone che la parola vada — in qualche modo —
“indovinata” a partire dagli “indizi” forniti dalle consonanti. Anche se le grammatiche delle lingue
semitiche facilitano il compito, la lettura necessita sempre di buona conoscenza della lingua e grande
familiarità con i testi. Questi alfabeti possono essere quindi utilizzati efficacemente soltanto da chi è in
grado di inferire il suono della parola grazie alla conoscenza della lingua.
Mentre i sillabari presemitici cercano di rendere in modo esauriente tutti i fonemi — e
perseguendo tale obiettivo, moltiplicano i segni sillabici al punto da rendere il loro utilizzo
estremamente difficoltoso — i sillabari semitici privi di vocalizzazione (fra cui anche l’aramaico e
l’ebraico) contengono il numero dei segni entro una cifra oscillante fra i venti e i trenta, rendendoli
però suscettibili di un doppio o triplo impiego. L’economia realizzata si ottiene, quindi, a prezzo di
una forte ambiguità.
L’alfabeto fenicio viene ripreso più tardi dai Greci che, in un’epoca non anteriore alla metà del
VII secolo a.C., vi introducono significative modificazioni, consistenti essenzialmente nello sciogliere
la sillaba nelle sue (due o più) componenti foniche astratte e nello scomporre il suono in particelle
elementari — le consonanti e le vocali — componendo una serie di venticinque segni (comprendendo
le aspirate) capaci di una efficienza fonetica nettamente superiore a quella di tutti gli altri sistemi di
scrittura esistenti.
L’alfabeto greco riesce, così, a soddisfare contemporaneamente tutte le esigenze di trascrizione della
lingua, cioè:
1. rendere tutti i fonemi in modo esauriente;
2. contenere il numero dei segni entro una cifra oscillante fra i venti e i trenta;
3. attribuire ai segni un’identità fonica definita e invariabile.
Il nuovo alfabeto è, quindi, un sistema di scrittura capace di rispettare la complessità e la
ricchezza del linguaggio quotidiano e, mentre consente di descrivere adeguatamente l’esperienza
umana, nello stesso tempo è in grado di rendere conto della dialettica delle idee. Di conseguenza
favorisce il sorgere del pensiero critico.
Può essere definito democratico — perché consente finalmente a tutti, addirittura anche ai
bambini piccoli, di imparare a leggere e a scrivere senza molta difficoltà — e internazionalista, perché
può essere usato per scrivere o leggere qualsiasi lingua.
Con la scrittura, dal pensiero orale (associativo e paratattico) e dal primato del campo uditivo — che
privilegia la simultaneità — si passa lentamente al pensiero analitico e al primato del campo visivo, che
privilegia la sequenzialità. Questo processo — lungo, lento e complesso — è caratterizzato da una serie di
cambiamenti:
la decadenza del primato dell’udito: nella trasmissione del sapere la supremazia dell’udito
sulla vista si attenua, ma l’orecchio conserva ancora, nei processi di comunicazione, un certo primato.
La lettura è una attività solo in parte visiva, in quanto, anche in privato, si svolge perlopiù ad alta
voce. I libri manoscritti sono pieni di abbreviazioni, la separazione tra le parole è praticamente
sconosciuta, esistono pochissimi segni di interpunzione, l’ortografia non è fissa e la grammatica è
imprecisa. Come accade anche a noi, quando ci imbattiamo in un passo di cui non riusciamo a
cogliere il senso ad una prima lettura silenziosa, l’uomo dell’antichità e del Medioevo legge
chiedendo costantemente aiuto alle orecchie, perché riesce a decifrare il senso dei testi solo unendo la
vista all’udito;
la frantumazione dell’esperienza: l’alfabeto fonetico crea una qualità dell’esperienza in cui a
segni astratti vengono associati arbitrariamente suoni che, isolatamente, sono privi di significato. Ciò
conduce alla formazione di una mentalità nella quale diviene possibile la frammentazione di ogni tipo
di esperienza in unità uniformi, come anche identificare, staccare e isolare delle unità, per poi
ricombinarle;
la temporalità: l’astrazione concettuale, unita alle capacità combinatorie necessarie a
maneggiare la nuova tecnologia di comunicazione, rende operativi — nella disciplina che regola la
successione combinatoria delle unità — i nessi temporali: il passato condiziona il presente e ipotizza il
futuro. Il tempo diventa, così, una variabile essenziale: scandisce l’ordine delle operazioni e si rivela
come l’elemento e il principio che modella le forme dell’espressione attraverso l’ordine stabilito dalla
sequenza;
la possibilità della scelta: poiché, pur seguendo le regole di combinazione, con l’alfabeto è
possibile comporre più sequenze diverse; l’analisi e la combinazione presuppongono anche la scelta:
si acuisce, così, la consapevolezza di diverse alternative possibili e se ne estende il campo;
la nascita dell’Io: l’uomo dell’oralità non è in grado di fornire un’autoanalisi articolata, né è in
grado di uscire dal pensiero situazionale e di isolare il proprio Io dal mondo delle esperienze vissute in
modo da oggettivarle, esaminarle e descriverle. Le moderne riflessioni sull’Io e sull’autocoscienza
sono una conseguenza dell’interiorizzazione della scrittura (e successivamente della stampa): il
concetto di “Io” nasce solo quando la parola si separa dalla persona che la pronuncia, così che
quest’ultima — divenuta la “fonte del linguaggio” —comincia ad assumere rilievo e identità.
L’invenzione della scrittura cambia, quindi, lentamente il modo di pensare e di parlare degli
uomini e influenza anche le istituzioni politiche ed educative. Le caratteristiche della cultura
chirografica possono essere sinteticamente così individuate:
Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 26 -
decadenza della funzione della memoria: la cultura chirografica impara a fare a meno della
memoria. La scrittura e il libro liberano l’uomo dal dovere di memorizzare il sapere. Lo scritto è, di
fatto, una memoria artificiale, una “protesi” della mente che consente alla mente stessa di dedicarsi a
compiti più creativi. Già all’inizio del IV secolo a.C. gli intellettuali alfabetizzati cominciano a coltivare
l’arte della memoria come una tecnica utile, ma accessoria.
Questa linea di tendenza si accentuerà ancora di più nella cultura tipografica, quando la memoria
non sarà più il requisito fondamentale del sapiente e non verrà più né educata, né esercitata;
decadenza della formulaica: nelle culture orali il pensiero e le produzioni verbali sono
caratterizzate da un succedersi di formule fisse che ritroviamo. In altre parole, ad essi non è richiesta
originalità, quanto piuttosto abilità nel connettere e nell’eseguire brani familiari. Questa figura di poeta
entra lentamente in crisi con l’introduzione della scrittura.
Nella cultura manoscritta inizia a evidenziarsi l’individualità di un “autore”, cui si apre la
possibilità di una espressione “originale”;
la scrittura “riflette” sulla parola: la separazione fra la parola e la persona che la pronuncia
dà autonomia anche alla parola stessa e al discorso, che può diventare così “oggetto” di riflessione e di
studio, in modo da enuclearne e organizzarne i “principi” e i costituenti. Divengono così possibili un
ordine, un controllo, un’organizzazione del discorso, impensabili in tempi di oralità, e diviene altresì
possibile specificare tecniche dell’esposizione e di programmazione degli “effetti” del discorso. Nasce
la retorica classica che è, infatti, la più antica delle discipline concernenti il linguaggio ed anche la
prima tecnica comunicativa formalizzata;
sviluppo del pensiero astratto e analitico: la comunicazione si affida all’efficacia di criteri
costitutivi concettuali; la combinatoria alfabetica associa arbitrariamente segni astratti ai suoni
effettivamente pronunciati, così come la moneta (più o meno coevi all’alfabeto greco sono le prime
monetazioni) associa un valore a un oggetto materiale. L’astrazione dei nuovi principi identifica,
stacca e isola delle unità per poi ricombinarle. L’astrazione concettuale unita alle capacità
combinatorie, necessarie a maneggiare i nuovi strumenti, moltiplica la loro capacità generativa.
Inoltre, le verbalizzazioni della cultura manoscritta si distaccano, a poco a poco, dall’esperienza
vissuta.
Mentre in una cultura orale apprendimento e conoscenza presuppongono il rapporto personale e
una sintonia stretta, empatica fra allievo e maestro, la scrittura separa chi conosce da ciò che viene
conosciuto, stabilendo così le condizioni per l’oggettività e il distacco personale.
Nella cultura chirografica gli uomini imparano ad usare una sintassi logica ed a manipolare
enunciati teorici generali, invece di enunciati relativi a una situazione esistenziale concreta. Dove gli
uomini dell’oralità vedevano situazioni, gli uomini della cultura chirografica imparano a vedere
princìpi.
Trasportabilità del messaggio nello spazio e nel tempo.
La scrittura diviene un mezzo della comunicazione diplomatica, politica, amministrativa.
Trasmettere ordini e istruzioni scritte è un sistema che offre maggiori garanzie di fedeltà rispetto alla
comunicazione orale, perché il messaggio non corre il rischio di essere modificato dal “messaggero”,
è suscettibile di controllo oggettivo e, infine, può essere consultato nuovamente ogni qualvolta si
ritenga necessario o opportuno. Le caratteristiche della scrittura rendono possibili;
la comunicazione “in absentia”: con la scrittura la parola si separa dalla persona che la
pronuncia. Si possono verificare, così, forme di comunicazione in assenza del parlante. “Colui che
parla” può essere lontano nello spazio o nel tempo da colui che raccoglie il suo messaggio;
la conservazione del passato: nella cultura chirografica è possibile conservare la memoria degli
avvenimenti nei documenti, per cui il passato — anche quello che non è più utile per il presente — viene
conservato. La nozione dello scorrere del tempo storico e la possibilità della storiografia cominciano con la
scrittura. Inoltre, la cultura manoscritta consente l’arricchimento del lessico, grazie alla possibilità di
conservare memoria di quelle parole che escono dal traffico quotidiano delle produzioni;
la trasmissione e l’interpretazione: la possibilità di rileggere quanto si è scritto e di scoprirne
gli aspetti nuovi — poiché ogni uomo di scienza (ma anche ogni scrittore) mette molte più cose nelle
scoperte che fa (o nelle opere che scrive) di quante ne abbia immediata coscienza — è legata
essenzialmente alla scrittura; così come legata alla scrittura è la possibilità di tramandare le proprie
La stampa consente, con un procedimento meccanico, di riprodurre testi, disegni e altre forme
segniche in un numero di copie illimitato, partendo da un’unica matrice.
Il più antico metodo di stampa, la xilografia — ancora oggi in uso per la stampa artistica — si
afferma nel Trecento. La tecnica xilografica nasce probabilmente in Estremo Oriente, in Cina.
La tecnica utilizza una tavoletta incisa a rovescio per fungere da matrice: inchiostrata nelle parti
a rilievo, essa è lo strumento necessario per riprodurre l’immagine, attraverso l’operazione di
pressatura, su vari supporti: foglie di papiro, pergamena, tessuti e carta.
La stampa a caratteri mobili è il risultato di costanti ricerche condotte nelle officine di tutta
l’Europa in epoca rinascimentale, ma è passata alla storia come invenzione dell’orefice e incisore
tedesco Johann Genfleisch (1394/1399 ca-1468) detto Gutenberg dal paese di origine dei genitori. La
sua tecnica di stampa può essere ridotta sinteticamente al sistema punzone-matrice-carattere-torchio. Per
riprodurre meccanicamente lettere e segni, Gutenberg utilizza le tecniche d’incisione già note e due
strumenti di origini antichissime: il punzone e il torchio.
Uno dei motivi della progressiva differenziazione dei libri a stampa dai manoscritti è da
ricercarsi nella concorrenza tra gli editori per conquistarsi fette di pubblico. I manoscritti, infatti, non
tengono conto dei lettori, ma dei produttori: le abbreviazioni sono pensate per alleviare la fatica dei
copisti e non per facilitare il lavoro di chi legge. Con il nuovo metodo tipografico, la pagina viene
sottomessa a un ordine formale — definizione dei margini, allineamento delle righe, regolarità delle
lettere, disposizione delle maiuscole — che assume, invece, come punto di riferimento l’occhio del
lettore impegnato a scorrere le righe.
Alle decorazioni e alle preziosità della pagina manoscritta — che gratificano l’occhio che
guarda, ma penalizzano quello che si muove nella lettura — subentra la semplificata regolarità della
pagina stampata che agevola la lavorazione tipografica e riduce la fatica di leggere. Gli stampatori
producono, quindi, testi più leggibili, più facili da consultare, più corretti.
La stampa introduce, poi, alcune delle caratteristiche che sono per noi distintive dell’“oggetto–
libro”. La prima ad affermarsi è il frontespizio, che per noi lettori moderni rappresenta lo “stato civile”
dell’opera, una sorta di carta d’identità del libro che contiene le informazioni relative all’apparato che lo ha
prodotto: il produttore intellettuale (l’autore), il produttore commerciale (l’editore), il titolo dell’opera, il
luogo di edizione e la data di pubblicazione.
Il libro — nel suo doppio aspetto di prodotto culturale e merce — è l’elemento centrale sia del
processo comunicativo autore-editore-lettore, sia del processo commerciale attivato dall’apparato
della stampa. In particolare le figure dell’autore e del lettore, in seguito alla rivoluzione tipografica,
subiscono cambiamenti che meritano un esame attento e analitico:
1. Emerge la figura dell’autore:
Nella fase iniziale della storia della stampa, la figura dell’autore è pressoché assente: i testi sono
spesso opere di autori classici, scritti devozionali o di carattere commerciale di cui di solito l’autore è
anonimo. In breve tempo, però, la figura dell’“autore” diventa una componente essenziale del libro (fa
parte dell’identità del testo, funge da elemento di classificazione dei testi stessi) e del processo
comunicativo che il libro mette in atto.
Marshall McLuhan in The Gutenberg Galaxy. The Making of the Tipografic Man sostiene che
l’invenzione della stampa determini cambiamenti così profondi nel modo di conservare e trasmettere le
informazioni e nel modo stesso di pensare dell’uomo, che si può parlare della nascita di un uomo nuovo:
l’uomo tipografico.
Con la stampa, i tratti caratteristici della cultura chirografica subiscono una vistosa
accentuazione e, ad essi, se ne aggiungono di nuovi. Questi, schematicamente, gli aspetti della nuova
cultura tipografica:
1. Vittoria dell’occhio sull’orecchio: Se la pratica della lettura collettiva ad alta voce rimane
socialmente viva fino ad Ottocento inoltrato, la scrittura e ancor più la stampa abituano l’uomo a
guardare diversamente. Gli occhi non esplorano più le immagini un pezzo alla volta, ma mettono a
fuoco prima una visione d’insieme. Il processo di lettura, infatti, a partire dalle origini sumere della
scrittura, si basa principalmente sull’inferire la parola, in base alla conoscenza della lingua e grazie
alle sue caratteristiche di ridondanza: quel processo per cui riconosco, in una serie di consonanti come
prbblmnt, l’avverbio “probabilmente”;
2. Frantumazione dell’esperienza: L’alfabeto fonetico crea una qualità dell’esperienza
frantumata in unità uniformi. I caratteri mobili introducono il principio dei “pezzi intercambiabili”,
fondamento tecnico di ogni moderna produzione in serie. Nel processo produttivo della stampa, il
“testo” è diviso in “pagine” che perdono l’ordine originario (legato al processo di produzione di
senso), per acquistarne un altro, relativo al criterio detto segnatura. Esse vengono, cioè, organizzate in
modo da poter essere stampate su grandi fogli interi di carta che, a seconda del formato del libro o
dello stampato (quartino, ottavo, sedicesimo, trentaduesimo), conterranno 4, 8, 16, 32 pagine di testo.
Esse saranno disposte in ordine non sequenziale, ma corrispondente alla logica, appunto, della
segnatura, e cioè dalla piegatura che il foglio subirà prima di essere tagliato, cucito e rifilato. Anche il
testo, così, non si presenta più come un “flusso”, ma si scompone in “pezzi”, spostabili a seconda
delle esigenze.
3. Detribalizzazione: Si conclude il processo di detribalizzazione iniziato con la creazione
dell’alfabeto, grazie alla trasportabilità del messaggio nello spazio e nel tempo e alla possibilità di
comunicazione in absentia. Le aggregazioni umane possono estendersi nel-Tecnologie della
riproduzione: la stampa lo spazio, e garantirsi continuità — di cultura, leggi, tradizioni e costumi —
nel tempo. Si afferma la certezza del diritto, che diventa suscettibile di un controllo oggettivo, cui ogni
cittadino può accedere direttamente. I legami divengono più astratti, meno personali, i codici e i
sistemi di regole più rigidi e interiorizzati.
4. Individualismo: Il concetto dell’“Io” nasce quando la parola si separa dalla persona che la
pronuncia, così che quest’ultima — divenuta la “fonte del linguaggio” — comincia ad assumere rilievo
e identità: è il processo per cui lentamente emerge la figura dell’“Autore” di un testo. La pratica della
lettura silenziosa, e quindi privata, fa emergere, però, anche il “lettore” come figura individuale, non più
confusa in un gruppo di ascoltatori. Il libro di piccolo formato — e quindi trasportabile e assolutamente
“personale” — rende ancor più individuale e privato il processo di lettura e incrementa notevolmente il
nuovo culto dell’individualismo, fornendogli uno strumento essenziale.
5. Interiorità e introspezione: La stampa favorisce l’interiorità e l’introspezione, del resto già
alimentate dalla scrittura. Scrivendo si può immaginare di parlare con se stessi, ma il “discorso
intrapersonale” esclusivamente mentale non assume mai le forme possibili con la scrittura.
L’allargamento della capacità di scrivere — strettamente connesso con quello della possibilità di
leggere inaugurato dalla stampa — rende possibile nuove forme di verbalizzazione del monologo
interiore. Le riflessioni su se stessi, sulle relazioni con gli altri o con l’ambiente possono assumere una
sinteticità, analiticità, oggettività e astrattezza, che fa di loro il prodotto di una struttura mentale
modellata dalla cultura della stampa.
6. Capacità di espressione: Il tipo di controllo sul discorso che la stampa rende possibile
trasforma la scrittura: e influenza persino il discorso orale. Il controllo sociale cui la stampa sottopone
8.4.3 La censura
Nell’antichità, dato il numero ridotto delle copie e la scarsa capacità d’influenzare l’opinione
pubblica dei testi scritti, la censura ha un ruolo meno marcato che nella cultura tipografica. Chiesa e
Stato utilizzano l’industria nascente ai propri fini — commissionandole la pubblicazione di documenti
ufficiali, comunicazioni e ordinamenti, oltre che di opere d’interesse più generale — ma hanno una
limitata capacità di controllare la produzione degli stampatori. La nascita dell’industria editoriale crea,
quindi, nuovi centri e reti di influenza che restano relativamente indipendenti dal potere esercitato
dalla Chiesa e dallo Stato. Inizialmente, la Chiesa appoggia con energia lo sviluppo dei nuovi metodi
di stampa — commissiona agli stampatori la pubblicazione di opere liturgiche e teologiche e li
accoglie nei monasteri —, ma non può certo controllare le attività di case editrici e punti di vendita,
poiché essi sono troppi, come troppo elevate sono le loro capacità produttive e commerciali. Tra la
fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, la Chiesa tenta a più riprese di distruggere parte dei
materiali stampati, spesso in collaborazione con le autorità secolari. Nel 1485, l’arcivescovo Bertoldo
di Magonza chiede al consiglio comunale di Francoforte di esaminare i libri prima della loro
esposizione alla fiera quaresimale e di aiutare la Chiesa a distruggere quelli dannosi.
Nel 1501, papa Alessandro VI tenta di imporre un sistema di censura più rigoroso e completo,
vietando la stampa di qualsiasi libro privo dell’autorizzazione delle autorità ecclesiastiche. Poiché il
numero dei libri banditi cresce, la Chiesa decide di compilare un indice, l’Index librorum
Iniziamo dalla stampa che, come già detto, nasce nel Quattrocento e diventa mezzo di
comunicazione di massa nella prima metà dell’Ottocento: il periodo della cosiddetta penny press in
cui il giornale era venduto per la modica spesa di un penny. I primi quotidiani stampati compaiono
però molto prima, nel Seicento.
La nascita del telefono, che risale alla seconda metà dell’Ottocento, rinvia ad uno dei tanti
conflitti di priorità che fanno parte della storia della scienza e della tecnologia. Nel 1871, il fiorentino
Antonio Meucci brevetta l’invenzione del telefono ma, cinque anni dopo, Alexander Graham Bell
ottiene a sua volta il brevetto per la stessa invenzione. Nel luglio del 1877 nasce la Bell Telephone
Company e solo nel 1886 una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti risolve il conflitto di
priorità a favore di Meucci.
Ciò premesso, cerchiamo di capire in che modo questo mezzo di comunicazione entri
gradualmente a far parte della vita quotidiana della gente. Innanzitutto, era necessario creare il
La prima proiezione cinematografica risale al 1895. Siamo a Parigi in una fredda sera di
dicembre. È passato da pochi giorni il Natale, e al Boulevard des Capucines i passanti infreddoliti
vengono invitati ad entrare nel Salon Indien del Grand Café per assistere, al prezzo di un franco, a uno
spettacolo mai visto prima: immagini in movimento. Dieci film della durata di un minuto e mezzo
ciascuno. Fino alla prima guerra mondiale, comunque, la funzione del cinema americano è
essenzialmente quella di intrattenimento. Quando però scoppia il primo conflitto mondiale, e gli Stati
Uniti decidono di intervenire nel conflitto, il capo dell’allora “Comitato per l’informazione pubblica”
pensa di usare il cinema in funzione propagandistica per contrastare i diffusi sentimenti pacifisti
presenti nella società americana. Il che imprime una nuova direzione al rapporto tra pubblico e
industria cinematografica: mentre, in un primo tempo, sono i gusti del pubblico a guidare l’industria
cinematografica, in un secondo tempo è quest’ultima a orientare il comportamento del pubblico.
Verso la fine degli anni Venti, la voce si unisce all’immagine in movimento; dal muto si passa al
sonoro; l’immagine è un’immagine che parla. È un periodo estremamente delicato per molti artisti:
l’avvento del sonoro implica un cambiamento radicale sia nel modo di fare cinema, sia nel modo di
recitare.
Radio e televisione sono i mezzi di comunicazione di massa della prima metà del Novecento.
Dalla trasmissione dei segnali punto-linea, caratteristica sia del telegrafo con fili di Samuel F.B.
Morse, sia del telegrafo senza fili realizzato dal padre della radio Guglielmo Marconi, si passa a un
sistema più sofisticato che consente la trasmissione della voce, tipica del mezzo radiofonico.
Sia il telegrafo con fili che quello senza fili realizzano, cioè, il sogno di un’informazione
istantanea a distanza tra un singolo emittente e un singolo ricevente; il che si rivela di grande utilità,
rendendo ad esempio possibile, per le navi in difficoltà, l’invio di richieste di aiuto.
Lo stesso Marconi non pensa ad altre possibili funzioni e, per di più, trascorre diversi anni
ad eliminare quello che, lungi dal costituire un difetto, era invece la caratteristica più importante
del mezzo: la possibilità che il messaggio potesse essere “intercettato” da altri. In sintesi, il
telegrafo non era stato pensato e realizzato come mezzo di comunicazione di massa. La radio
dimostra una grande vitalità e una notevole capacità di adattamento – peraltro favorite dalle stesse
caratteristiche strutturali del mezzo, che ben presto diventa leggero e maneggevole – mostrandosi
addirittura aperta, negli anni Novanta, al connubio con Internet.
Alla fine del secondo conflitto mondiale, il problema della radio era quello di fronteggiare la
forte concorrenza della televisione la cui tecnologia era già stata messa a punto negli anni Venti. Il
primo servizio televisivo regolare del mondo è inaugurato in Gran Bretagna il 2 novembre del 1936,
ma lo scoppio della seconda guerra mondiale blocca dappertutto la diffusione di questo mezzo
stimolando, nello stesso tempo, la ricerca nel settore elettronico.
Nell’ambito della televisione, nel suo spazio di comunicazione broadcast (unidirezionale, “da
uno a molti”), a partire dalla metà degli anni Novanta del Novecento si vanno profilando nuovi, e
parzialmente impensati, scenari. Ancora prima si era andata determinando una differenza sostanziale
tra i due modelli dominanti, quello commerciale e quello pubblico, che ancora oggi è oggetto di
discussione: almeno in Italia, sono gli unici - il modello “pubblico” anche per la sua imprescindibile
natura di televisione di servizio — ad avere, per la loro estensività, una rilevante funzione politica e
sociale. “Nonostante alcune preoccupanti somiglianze, questi due modelli di televisione non sono
sullo stesso piano, anzi sono addirittura incommensurabili.
8.6 Internet
Le origini di Internet si trovano in ARPANET, una rete di computer costituita nel settembre del
1969 negli USA da ARPA (Advanced Research Projects Agency). ARPA fu creata nel 1958 dal
Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti per dare modo di ampliare e sviluppare la ricerca.
Verso il 1965 l'ARPA iniziò ad avere dei seri problemi di gestione: aveva diversi computer
sparsi in varie sedi (tutti molto costosi) che non potevano parlarsi: non avrebbero potuto farlo
nemmeno se fossero stati nella stessa stanza.
Scambiare file fra loro era quasi impossibile, per via dei formati di archiviazione completamente
diversi (e proprietari) che ognuno di essi usava, quindi era necessario molto tempo e molto lavoro per
passare dati fra i vari computer, per non parlare dello sforzo necessario per portare e adattare i
programmi da un calcolatore all'altro.
ARPANET sarebbe servita a condividere online il tempo di utilizzazione del computer tra i
diversi centri di elaborazione dati e i gruppi di ricerca per l'agenzia. L'IPTO si basò su una tecnologia
rivoluzionaria: la commutazione di pacchetto (packet switching),
In pochi anni, ARPANET allargò i suoi nodi oltreoceano, contemporaneamente all'avvento del
primo servizio di invio pacchetti a pagamento: Telenet della BBN. In Francia inizia la costruzione
della rete CYCLADES sotto la direzione di Louis Pouzin, mentre la rete norvegese NORSARpermette
il collegamento di Arpanet con lo University College di Londra. L'espansione proseguì sempre più
rapidamente, tanto che il 26 marzo del1976 la regina Elisabetta II d'Inghilterra spedì un'email alla sede
del Royal Signals and Radar Establishment.
Gli Emoticon vennero istituiti il 12 aprile 1979, quando Kevin MacKenzie suggerì di inserire un
simbolo nelle mail per indicare gli stati d'animo.
Tutto era pronto per il cruciale passaggio a Internet, compreso il primo virus telematico:
sperimentando sulla velocità di propagazione delle e-mail, a causa di un errore negli header del
messaggio, Arpanet venne totalmente bloccata: era il 27 ottobre 1980. Definendo il Transmission
Control Protocol (TCP) e l'Internet Protocol (IP), DCA e ARPA diedero il via ufficialmente a Internet
come l'insieme di reti connesse tramite questi protocolli.
Nel 1991 presso il CERN di Ginevra il ricercatore Tim Berners-Lee definì il protocollo HTTP
(HyperText Transfer Protocol), un sistema che permette una lettura ipertestuale, non-sequenziale dei
documenti, saltando da un punto all'altro mediante l'utilizzo di rimandi (link o, più propriamente,
hyperlink). Il primo browser con caratteristiche simili a quelle attuali, il Mosaic, venne realizzato nel
1993. Esso rivoluzionò profondamente il modo di effettuare le ricerche e di comunicare in rete.
Nacque così il World Wide Web.
Nel World Wide Web (WWW), le risorse disponibili sono organizzate secondo un sistema di
librerie, o pagine, a cui si può accedere utilizzando appositi programmi detti browser con cui è
possibile navigare visualizzando file, testi, ipertesti, suoni, immagini, animazioni, filmati.
La facilità d'utilizzo connessa con l'HTTP e i browser, in coincidenza con una vasta diffusione di
computer per uso anche personale , hanno aperto l'uso di Internet a una massa di milioni di persone,
anche al di fuori dell'ambito strettamente informatico, con una crescita in progressione esponenziale.
Sempre più spesso si sente parlare di web 1.0 e web 2.0 senza sapere esattamente di cosa si tratti
e fondamentalmente che differenza ci sia tra i due. Visto che ormai si parla già di web 3.0, è il caso di
fare un pò di luce su questo argomento.
Nei precedenti capitoli già si è fatto più volte riferimento a quella che è stata definita la “Rete
delle reti”, ovvero Internet, e si è visto come essa sia, in primo luogo, uno strumento di comunicazione
creato inizialmente per permettere la comunicazione-scambio di informazioni tra computer remoti.
Autonomia, plasmabilità, interattività sono alcuni concetti-fattori, come vedremo, che
contraddistinguono la comunicazione in Rete. Internet è anche il luogo in cui è potenziata al massimo
la multimedialità, ossia l’impiego di media diversi, intesi sia come mezzi, (testo, suono, immagini), sia
come sistemi (radio, televisione) della comunicazione. Per comprenderne la principale modalità di
funzionamento si deve prendere in esame la “logica” dei “rimandi” su cui si fonda; rimandi che
possono essere di citazione, di approfondimento, di integrazione ecc., in un tessuto di richiami
intramediali — entro un unico mezzo — e/o intermediali, come nel caso di un testo collegato a un
video, collegato a un grafico e così via. Ogni fruitore-utente della rete, più o meno consapevolmente,
traccia dei percorsi di lettura, maturando gusti, opinioni, idee che poi esprime nelle proprie reti
relazionali e nei propri comportamenti quotidiani. L’insieme aperto, plasmabile, di questi messaggi-
links non direttamente prodotto ‘dall’alto’ è ormai il terreno fertile di una comunicazione che non è
più produzione di semplice spettacolo ma di altra comunicazione.
Gli anni tra il 1995 e il 2000 hanno visto il cruciale passaggio del Web da luogo della
comunicazione specializzata di tipo scientifico a luogo della comunicazione generale, diffusa e
La sigla 2.0 sta a indicare una nuova fase della vita di Internet, e più precisamente del Web, in
cui vengono sviluppate le sue enormi potenzialità principalmente nel campo della comunicazione,
dell’informazione condivisa e della fruizione di contenuti multimediali. Seguendo quanto riportato
sul sito della Microsoft: «I servizi e gli strumenti del Web 2.0 trasformano ogni utente da
consumatore a partecipante, da utilizzatore passivo ad autore attivo di contenuti, messi a
disposizione di chiunque si affacci su Internet, indipendentemente dal dispositivo che utilizza». La
sigla non indica perciò l’evoluzione della tecnologia TCP-IP che è alla base della Rete, ma quella
dei mezzi e degli strumenti che utilizzano l’infrastruttura tecnologica sulla quale poggia Internet. È
il nuovo modo di intendere la Rete, che pone al centro i contenuti, le informazioni, l’interazione. In
questa sua “nuova” dimensione o versione, il Web, oltre alle sue permanenti funzionalità, offre
sempre di più Blog, Reti sociali (Social Network), podcasting (da iPod, lettore di file audio mp3, e
broadcasting), contenuti audio-visivi.
Il blog, termine derivato dalla contrazione di Web-log, che significa “traccia su Rete”, è uno
strumento che ormai si è imposto come uno dei fenomeni comunicativi più interessanti. Si tratta di
una sorta di diario personale ma pubblico, visibile da tutti, contenente i pensieri e le riflessioni (i
cosiddetti post) di chi lo gestisce (il blogger). Il blog esprime, da un lato, un evidente bisogno di
comunicazione immediata, dall’altro, l’intenzione di dare e di lasciare una testimonianza di sé,
entrambi fenomeni interessanti per gli studi di sociologia della comunicazione. La maggior parte dei
blog verte su temi personali, ma esistono anche alcuni che veicolano una forma di impegno, di
critica, di contro-informazione a carattere sociale e politico: il caso più noto in Italia è quello del
blog di Beppe Grillo, che è riuscito, in maniera imprevedibile, ad attirare l’interesse di milioni di
persone e a creare un movimento di notevole impatto sulla società civile. Sul piano statistico,
secondo alcuni studi condotti negli Stati Uniti, risulta che circa il 52% dei bloggers sostiene di fare
un uso prettamente privato di questa forma di comunicazione, mentre il 32% si rivolge a una propria
e ben definita audience.
Una visione negativa del “fenomeno blog” mette in rilievo il fatto che tale linea di mass self-
communication rischia di dare luogo a una specie di “autismo informatico” più che ad un processo
comunicativo vero e proprio.
In ogni caso, il dato che rimane è che ogni singolo post lasciato sul Web diviene, a prescindere
dalle intenzioni dell’autore, una “bottiglia nell’oceano” della comunicazione globale: un messaggio
suscettibile di essere recepito e rielaborato in modi assolutamente imprevedibili.
Altro e interessante fenomeno della nuova Rete è la nascita di siti, spesso con relative strutture
organizzative retrostanti, il cui fine principale è fare informazione alternativa, controinformazione,
utilizzando proprio la facilità di accesso e gestione dei media elettronico-digitali: in tale direzione s’è
mossa l’esperienza di Indymedia, col suo motto, divenuto famoso, Don’t hate the Media, become your
Media (Non odiate i media, diventate i media). Libertà personale di comunicazione e impegno sociale
e politico sono i due elementi che si fondono insieme. ‘Decentramento dell’informazione’, la parola
offerta a tutti, il webgiornalismo ‘dal basso’, in cui la distanza tra gli autori e i lettori è ridotta al
minimo e spesso si annulla, sono le nuove prospettive in cui estendere le potenzialità democratiche
della società della comunicazione.
In sintesi. Internet diventa il luogo in cui si possono verificare e/o approfondire le
informazioni ricevute tramite i media tradizionali (radio, giornali, telegiornali) o il luogo
esclusivo dove si ricercare informazioni su notizie, temi ecc. La Rete inoltre offre la concreta ed
efficace occasione per presentarsi come centri autonomi di diffusione (siti, blog, forum), che
possono poi favorire interazioni finalizzate all’organizzazione di movimenti a carattere sociale
e politico: una sorta di agorà elettronica, nel quadro di quella che è stata preconizzata come
instant referendum democracy, la “democrazia del referendum istantaneo”, in cui sarebbe
possibile — pur entro certi limiti — una partecipazione più attiva sul piano dell’opinione
pubblica. L’evoluzione in corso nel Web si pone così sostanzialmente all’insegna di
un’interazione sociale sempre più forte, che marcia di pari passo con gli sviluppi in campo
tecnologico.
I mass media, per la loro stessa struttura comunicativa, modificano profondamente la nostra
percezione della realtà e della cultura, secondo il principio di Marshall McLuhan per cui "il medium è
il messaggio" . Infine, poiché un aspetto molto importante della comunicazione di massa è la
produzione in serie di messaggi come "merce", diventa molto importante lo studio delle strategie con
cui vengono prodotti e diffusi i messaggi, specialmente quando lo scopo di questi messaggi è quello di
influenzare le idee ed i comportamenti dei destinatari, come accade nella comunicazione politica o
nella pubblicità.
Nel corso degli anni è stata prodotta un'enorme quantità di studi e ricerche sugli effetti causati
dai media e ancora oggi gli esperti si dividono, secondo una famosa definizione di Umberto Eco, fra
"apocalittici" (per i quali i media hanno una portata sostanzialmente distruttiva rispetto alla
socializzazione ordinaria) e "integrati" (propensi piuttosto a considerare gli esiti positivi e
controllabili della socializzazione tramite media).
M. Baldini: “Ogniqualvolta si è verificata una delle rivoluzioni […] gli uomini si sono divisi in
due fazioni, l’una contro l’altra armata: da un lato quella degli apocalittici e dall’altra quella degli
integrati” N. Postman: “tanto gli apocalittici quanto gli integrati sono zelanti profeti con un occhio
solo: “ogni tecnologia è al tempo stesso un danno e una benedizione; non è l’una cosa o l’altra, è
l’una cosa e l’altra” “Primo apocalittico” è Platone, che nel Fedro riconosce come la scrittura avrebbe
cambiato la mente degli uomini:
l’alfabeto nuocerà alla memoria e creerà un falso sapere.
Ogni innovazione tecnologica ridisegna le modalità di presenza dei media già esistenti.
Un nuovo medium segue una modalità di diffusione nel tempo non regolare. Si passa infatti da
una rapida crescita iniziale, a una fase di assestamento, fino all’esaurirsi della carica di novità
tecnologica.
L’avvento di un nuovo medium non comporta la fine dei media precedenti. Cambiano gli
equilibri, viene ridefinita la collocazione, ma nessun medium viene meno.
W. J. Ong: “Oggi si sente dire che i libri sono finiti, che radio e televisione li hanno rimpiazzati.
Ebbene, chiunque pensi a ciò è ben lontano dalla realtà […]. Il nuovo medium non elimina quello
vecchio, d’altra parte quest’ultimo non è più lo stesso di prima”.
Si arriva così, finalmente, a definire il processo della comunicazione di massa. Essa si basa su
organizzazioni complesse per produrre e diffondere messaggi indirizzati a pubblici molto ampi e
incisivi. Si tratta ora di capire se e come i mass media agiscono nelle società che li ospitano. Esistono
varie teorie a riguardo, che esaminiamo qui di seguito:
Dal secondo dopoguerra gli studi sulla comunicazione in Usa entrano in una fase più matura; a
partire dallo, che studia i media distinguendoli non più per i loro obiettivi ma per le loro funzioni, si
arriva alla teoria di usi e gratificazioni: la funzione dei media viene assimilata all’uso strumentale che
il pubblico fa dei mezzi di comunicazione di massa, al fine di soddisfare i propri bisogni e di riceverne
così una gratificazione.
La teoria critica
Nello stesso periodo le ricerche sociologiche europee si svolgevano nella neo-istituita scuola di
Francoforte. Basata sulle dottrine del Marxismo, tale scuola si pone con un atteggiamento critico
rispetto alla cultura in generale. Svolge una poderosa analisi dei mass media, arrivando alla
definizione di industria culturale (l’insieme dei mezzi di comunicazione). Tra i suoi dogmi, quello
della cultura omologata, standardizzata e poi servita ai consumatori. I mass media svolgono le loro
azioni solo per raggiungere utili economici, manipolando i valori del pubblico: l’uomo diventa “a
una dimensione”, narcotizzato cioè dai media e offuscato da una falsa coscienza che gli impedisce di
liberarsi dalle sue catene.
I cultural studies
Sviluppatisi in Inghilterra negli anni ’50, pongono la cultura al centro dei loro interessi
scientifici. Il concetto di cultura cambia e viene inteso come un insieme di processi sociali e storici.
Anch’essi si appoggiano al Marxismo, rivedendone però alcuni aspetti. È all’interno di questa scuola
di pensiero che si sviluppa il modello encoding-decoding: qualsiasi prodotto mediale nasce da una
La Scuola di Toronto
La teoria della spirale del silenzio venne sviluppata negli anni 1970 da Elisabeth Noelle-
Neumann. La tesi di fondo è che i media, ma soprattutto la televisione, possano avere un notevole
effetto di persuasione sui riceventi e quindi più in generale sull'opinione pubblica. Nello specifico la
teoria afferma che una persona singola è disincentivata dall'esprimere apertamente e riconoscere a se
stessa una opinione che percepisce essere contraria alla opinione della maggioranza, per paura di
riprovazione e isolamento da parte della presunta maggioranza.[1] Questo fa chiudere la persona in un
silenzio che fa aumentare la percezione collettiva (non necessariamente vera) di una diversa opinione
della maggioranza, aumentando di conseguenza in un processo dinamico il silenzio di chi si crede
minoranza (da cui spirale del silenzio).
Questa teoria ebbe una notevole importanza nella scienza della comunicazione per la rinascita
del dibattito sui poteri di persuasioni forti dei mezzi di comunicazione, in contrasto con la scuola di
pensiero di un effetto debole dei mass media sul pubblico.
Nel libro La galassia Gutenberg McLuhan sottolinea per la prima volta l'importanza dei mass
media nella storia umana; in particolare egli discute dell'influenza della stampa a caratteri mobili sulla
storia della cultura occidentale.
Nel libro McLuhan illustra come con l'avvento della stampa a caratteri mobili si compia
definitivamente il passaggio dalla cultura orale alla cultura alfabetica. Se nella cultura orale la parola è
una forza viva, risonante, attiva e naturale, nella cultura alfabetica la parola diventa un significato
mentale, legato al passato. Con l'invenzione di Gutenberg queste caratteristiche della cultura alfabetica
si accentuano e si amplificano: tutta l'esperienza si riduce ad un solo senso, cioè la vista. La stampa è
la tecnologia dell'individualismo, del nazionalismo, della quantificazione, della meccanizzazione,
dell'omogeneizzazione, insomma è la tecnologia che ha reso possibile l'era moderna.
Alla base del pensiero di McLuhan (e della Scuola di Toronto) troviamo un accentuato
determinismo tecnologico, cioè l'idea che in una società la struttura mentale delle persone e la cultura
siano influenzate dal tipo di tecnologia di cui tale società dispone.
Questo è tra i lavori maggiormente noti di McLuhan, e costituisce una ricerca innovativa nel
campo dell'ecologia dei media . È qui che McLuhan afferma che è importante studiare i media non
tanto in base ai contenuti che veicolano, ma in base ai criteri strutturali con cui organizzano la
comunicazione. Questo pensiero è notoriamente sintetizzato con la frase "il medium è il messaggio".
Tuttavia sarebbe fuorviante ridurre l'analisi condotta ai soli mezzi di comunicazione di massa o mass -
media. La riflessione di McLuhan abbraccia, in linea generale, qualsiasi tipo di media. In effetti la
versione originale in inglese del libro in questione è titolata Understanding Media (vale a dire Capire i
media) mentre il titolo della traduzione italiana - "Gli strumenti del comunicare" - trae evidentemente
in inganno.
McLuhan afferma che "nelle ere della meccanica, avevamo operato un'estensione del nostro
corpo in senso spaziale.
Oggi, dopo oltre un secolo di impiego tecnologico dell'elettricità, abbiamo esteso il nostro stesso
sistema nervoso centrale in un abbraccio globale che, almeno per quanto concerne il nostro pianeta,
abolisce tanto il tempo quanto lo spazio". Ad esempio un primo medium analizzato da McLuhan è
stato quello tipografico. McLuhan osserva infatti che la stampa ha avuto un grande impatto nella storia
occidentale, veicolando la Riforma protestante, il razionalismo e l’illuminismo e originando il
nazionalismo, l'industrialismo, la produzione di massa, l'alfabetismo e l'istruzione universale.
Si può dunque asserire che qualsiasi tecnologia costituisce un medium nel senso che è
un'estensione ed un potenziamento delle facoltà umane, e in quanto tale genera un messaggio che
retroagisce con i messaggi dei media già esistenti in un dato momento storico, rendendo complesso
l'ambiente sociale, per cui è necessario valutare dei media l'impatto in termini di "implicazioni
sociologiche e psicologiche".
McLuhan afferma che il contenuto di una trasmissione ha in realtà un effetto minimo sia in
presenza di programmi per bambini o di spettacoli violenti. Si tratta certamente di una forzatura,
questa, che però tende a mettere l'accento sulla struttura dello strumento che sovente viene dimenticata
a favore del contenuto. Per esemplificare lo stesso film (contenuto) visto alla televisione o al cinema
(medium) ha un effetto diverso sullo spettatore. Per cui la struttura della televisione e la struttura del
cinema hanno un impatto particolare nella società e sugli individui che deve essere colto e analizzato
attentamente.
McLuhan osserva che ogni medium ha caratteristiche che coinvolgono gli spettatori in modi
diversi; ad esempio, un passo di un libro può essere riletto a piacimento, mentre (prima dell'avvento
delle videocassette) un film deve essere ritrasmesso interamente per poterne studiare una parte. È in
questo testo che McLuhan introduce la classificazione dei media in caldi e freddi.
Fra le tesi più illuminanti, quella per cui ogni nuova tecnologia (comprese la ruota, il parlato, la
stampa), esercita su di noi una lusinga molto potente, tramite la quale ci ipnotizza in uno stato di
"narcisistico torpore". Se non abbiamo gli anticorpi intellettuali adatti, questo capita appena ne
Il medium è il messaggio
L'espressione "il medium è il messaggio" ci dice perciò che ogni medium va studiato in base ai
criteri strutturali in base ai quali organizza la comunicazione; è proprio la particolare struttura
comunicativa di ogni medium che lo rende non neutrale, perché essa suscita negli utenti-spettatori
determinati comportamenti e modi di pensare e porta alla formazione di una certa forma mentis . Ci
sono, poi, alcuni media che secondo McLuhan assolvono soprattutto la funzione di rassicurare e uno
di questi media è la televisione, che per lui era un mezzo di conferma: non era un medium che diede
luogo a novità nell’ambito sociale o nell’ambito dei comportamenti personali.
La televisione non crea delle novità, non suscita delle novità, è quindi un mezzo che conforta,
consola, conferma e "inchioda" gli spettatori in una stasi fisica (stare per del tempo seduti a guardarla)
e mentale (poiché favorisce lo sviluppo di una forma mentis non interattiva, al contrario di internet e
di altri ambienti comunicativi a due o più sensi).
Questa classificazione ha dato luogo ad equivoci e a discussioni, dovute al fatto che gli aggettivi
"caldo" e "freddo" sono stati adoperati in senso antifrastico, cioè in senso opposto rispetto loro reale
significato.
Mc Luhan classifica come "freddi" i media che hanno una bassa definizione e che quindi
richiedono un’alta partecipazione dell'utente, in modo che egli possa "riempire" e "completare" le
informazioni non trasmesse; i media "caldi" sono invece quelli caratterizzati da un'alta definizione e
da una scarsa partecipazione. McLuhan nei suoi scritti parrebbe cadere in contraddizione nel definire
"caldo" o "freddo" un particolare Medium, nel caso della scrittura per esempio questa viene dapprima
definita fredda poi "calda ed esplosiva".
Per superare questa ambiguità occorre distinguere il senso emotivo degli aggettivi "caldo" e
"freddo" da quello matematico, specificamente adottato nel senso di una diretta proporzione fra
"temperatura mediatica" e "quantità di informazione". Questa proporzione ha senso nell'ambito di uno
ed un solo canale sensoriale. Confrontare il "calore" della radio con quello della televisione è un
madornale vizio di forma, poiché l'una agisce sull'udito e l'altra sulla visione.
Benché, ovviamente, televisione e cinema abbiano una forte componente uditiva, nell'analisi
della loro temperatura mediatica questa non è indicativa, a meno che non si consideri lo specifico
canale acustico in un'analisi a parte.
Ha senso, invece, un confronto tra media di diversa "vocazione" sensoriale, se si ragiona sugli
effetti, in merito ad una determinata strategia (ad esempio la propaganda politica).
Il villaggio globale
Quello del "villaggio globale" (1968) è un metaforico ossimoro adottato da McLuhan per
indicare come, con l'evoluzione dei mezzi di comunicazione, tramite l'avvento del satellite che ha
permesso comunicazioni in tempo reale a grande distanza, il mondo sia diventato piccolo ed abbia
assunto di conseguenza i comportamenti tipici di un villaggio.
Nell'opera "Understanding Media" (1964), McLuhan scrive: "Oggi, dopo più di un secolo di
tecnologia elettrica, abbiamo esteso il nostro sistema nervoso centrale fino a farlo diventare un
abbraccio globale, abolendo limiti di spazio e tempo per quanto concerne il nostro pianeta". Il
concetto che sta alla base di questa affermazione è la credenza dello studioso nel fatto che la
tecnologia elettronica sia diventata un'estensione dei nostri sensi, particolarmente la vista e l'udito. Le
nuove forme di comunicazione hanno trasformato il globo in uno spazio fisicamente molto più
Fu Greimas, uno dei più illustri esponenti della scuola di Parigi, a sviluppare dei primi approcci
sulle nozioni di concetti semiotici. Per Greimas bisogna prima di tutto distinguere tra semiotica delle
lingue naturali, riferendosi dunque alle lingue verbali e alle loro trascrizioni e semiotica del mondo
naturale. Quest’ultima presuppone che per rendere il mondo significante sia necessario porre su di
esso una griglia (la cultura), uno schema di rappresentazioni che ci consenta di identificare le figure
come oggetti, classificarle e collegarle. Nella semiotica del mondo naturale, affinché l’uomo riesca a
raggiungere i propri fini comunicativi e di significazione, le figure devono essere trasmissibili e
riconoscibili.
Detto questo, risulta impossibile “comunicare” grandi blocchi; bisogna ridurre il mondo in tratti:
i formanti figurativi (che costituiscono le figure del mondo) dal punto di vista del contenuto; i
formanti plastici dal punto di vista dell’espressione. L’idea di Greimas è che anche i messaggi visivi
abbiano un piano dell’espressione e un piano del contenuto.
Dalla scuola di Parigi sono state individuate tre diverse tipologie di categorie ovvero delle
opposizioni che, nel momento in cui vedono richiamato un termine, mettono automaticamente in
gioco anche il secondo: le categorie cromatiche (costituite da contrasti di colore), eidetiche (costituite
da contrasti tra figure geometriche astratte) e topologiche (costituite da contrasti tra posizioni
topologiche).
Categorie cromatiche.
Il manifesto è un’esplosione di colori forti, accesi, di forte impatto con il pubblico (del resto
l’obbiettivo è quella di attirare l’attenzione del pubblico).
Categorie eidetiche
Categorie topologiche
Per manifesto pubblicitario si intende un testo composto di immagini e/o parte scritta che può
essere pubblicato con varie modalità: affisso ai muri, sui cartelloni di specifici circuiti commerciali,
sui quotidiani, sulle riviste, ecc.
Il manifesto pubblicitario, nato con funzione prettamente descrittiva del prodotto/servizio
pubblicizzato, si è evoluto come tutta la comunicazione pubblicitaria acquisendo una precisa
grammatica interna.
In un manifesto distinguiamo alcuni elementi ricorrenti che svolgono una precisa funzione in
riferimento alla retorica persuasiva obiettivo della comunicazione pubblicitaria:
•Headline: è il titolo principale del manifesto, posto generalmente in alto o in posizione
centrale, con i caratteri più grandi.
•Visual: è la scena raffigurata nel manifesto, di importanza fondamentale non solo per gli
elementi descritti, ma soprattutto per lo stile con cui essi vengono raffigurati (bianco e nero/colore,
fotografia/disegno, taglio dell’immagine, effetti particolari, ecc.).
•Copy: è il testo esplicativo che può accompagnare il messaggio dandone una spiegazione.
Normalmente non è presente sui manidùfesti destinati all’affissione murale.
Spesso gli autori, pur essendo super-esperti della materia, non sempre sanno come scrivere un
testo, come comunicare con efficacia attraverso la scrittura. Che sia destinato alla stampa o alla lettura
a video, un testo scritto deve essere facilmente fruibile dal lettore.
Naturalmente, non mi riferisco a un testo narrativo, che deve sottostare a regole diverse riguardo
alla struttura (ma restano valide quelle di formattazione per un’agevole lettura).
Il lettore ideale
Ancora prima di cominciare a scrivere è bene chiedersi a quale tipo di pubblico si intende
rivolgersi, domandarsi chi sarà il vostro lettore-tipo.
Chi è?
Che mestiere fa? Quali sono le conoscenze tecniche e linguistiche e il background culturale che
mediamente possiede? Può essere collocato in una determinata fascia d’età? Per esempio, se vi
rivolgete a ragazzi delle scuole medie userete un linguaggio diverso da quello che usereste in un
manuale destinato a studenti universitari.
Il significato etimologico di comunicazione è ‘mettere in comune, condividere, partecipare’: nel
comunicare si ha sempre presente un ‘altro’ che si desidera raggiungere e coinvolgere in qualche
forma di attività. […] Per comunicare è dunque necessario porsi sempre il problema dell’altro, del
destinatario del nostro atto comunicativo. (Pallotti)
Perché?
Qual è la motivazione che lo ha spinto ad acquistare il libro o a restare collegato a Internet o a
scaricare e stampare questo testo? Quali vantaggi pratici potrebbe trarre dalla sua lettura? Questo testo
può dargli informazioni pratiche per risolvere un problema, o dargli gli strumenti per superare un
esame o riparare un rubinetto, o ancora ampliare le sue conoscenze, fornirgli una guida spirituale?
Come
Sarà un testo da leggere dalla prima all’ultima pagina o da consultare, saltando da una capitolo
all’altro? Sarà una pagina web interna a cui il lettore potrà accedere tramite motore di ricerca,
capitando nel bel mezzo di un discorso?
Cosa ho da dire?
Il passo successivo, dopo aver compilato il profilo ideale del lettore, è capire cosa avete da dire
in merito all’argomento prescelto. Guardate cosa c’è in frigo e in dispensa, riordinate le idee e
stendete il menu del pranzo che vi accingete a preparare. Fuor di metafora, buttate giù un elenco di
argomenti, temi, punti chiave; organizzateli in maniera coerente, preparate una scaletta strutturata, che
costituirà lo scheletro, la struttura portante del vostro lavoro di scrittura.
La fase di progettazione è indispensabile perché rappresenta un momento di riflessione sulle
idee generate, e quindi un momento di verifica, di approfondimento e di sviluppo delle idee stesse.
Organizzando le idee, si è costretti a valutarne la coerenza e l’opportunità.
È utile, poi, lasciar decantare per qualche giorno la prima scaletta e tornare in seguito a
rileggerla con la mente sgombra per assicurarsi di non aver dimenticato nulla. Quando sarete convinti
della solidità e completezza e coerenza della vostra struttura, cominciate a scrivere, possibilmente dal
primo capitolo.
Il colore
Elemento visivo molto importante, il colore è spesso poco utilizzato nei testi a stampa per
ragioni di costi. Stampare un libro col solo inchiostro nero costa molto meno che stamparlo a colori,
questo è evidente, e i libri con elevati costi di produzione hanno più difficoltà a essere pubblicati.
Quando però si tratta di un testo digitale, il problema costi viene a cadere e, se sarà fruibile
esclusivamente a monitor (o proiettato, nel caso di presentazioni), l’uso del colore è consigliato,
perché aiuta a evidenziare alcune parti e a movimentare il testo. Naturalmente bisognerà porre molta
attenzione alla scelta dei colori.
Colori troppo simili al fondo (giallo, rosa, celestino su fondo bianco; blu, viola, marrone su
fondo nero) sono difficoltosi da leggere per chiunque.
Anche i migliori contenuti restano illeggibili se scritti in rosso sul viola, o verde su sfondo rosso.
Ci sono colori che messi assieme “vibrano”, cioè si impastano e rendono difficile distinguere i
contorni. La scelta si deve sempre orientare verso colori non troppo accesi e con un buon contrasto
rispetto allo sfondo.
L'analisi semiotica del manifesto si basa sul modo di esistenza semiotica semi-simbolico
cercando di estrapolare, attraverso una visione astratta del dipinto, eventuali contrasti plastici,
ripartendoli nelle tre categorie, cromatica, eidetica e topologica. È necessario questi concetti
La «navigazione» sul web è una via ormai ordinaria per la conoscenza. Oggi accade sempre
più spesso che, quando si ha la necessità di una informazione, si interroghi la Rete per avere la
risposta da un motore di ricerca come Google, Bing o altri ancora. Internet sembra essere il luogo
delle risposte. Esse però raramente sono univoche: la risposta è un insieme di link che rinviano a testi,
immagini e video. Ogni ricerca può implicare una esplorazione di territori differenti e complessi
dando persino l’impressione di una certa esaustività. Quale fede troviamo in questo spazio
antropologico che chiamiamo web?
Digitando in un motore di ricerca la parola God oppure anche religion, spirituality, otteniamo
liste di centinaia di milioni di pagine. Nella Rete si avverte una crescita di bisogno religioso che la
«tradizione» sembra faccia fatica a soddisfare. L’uomo alla ricerca di Dio oggi avvia una navigazione.
Quali sono le conseguenze? Si può cadere nell’illusione che il sacro o il religioso siano a portata di
mouse. La Rete, proprio grazie al fatto che è in grado di contenere tutto, può essere facilmente
paragonata a una sorta di grande supermarket del religioso. Ci si illude dunque che il sacro resti «a
disposizione» di un «consumatore» nel momento del bisogno.
In tale contesto occorre però considerare un possibile vero e proprio cambiamento radicale
nella percezione della domanda religiosa. Una volta l’uomo era saldamente attratto dal religioso
come da una fonte di senso fondamentale.
L’uomo era una bussola, e la bussola implica un riferimento unico e preciso.
Poi l’essere umano ha sostituito nella propria esistenza la bussola con il radar, che implica
un’apertura indiscriminata anche al più blando segnale, e questo, a volte, non senza la percezione di
«girare a vuoto». L’uomo però era inteso comunque come un «uditore della parola», alla ricerca di un
messaggio del quale sentiva il bisogno profondo.
Oggi queste immagini, sebbene sempre vive e vere, reggono meno. L’uomo, da bussola prima e
radar poi, si sta trasformando in un decoder, cioè in un sistema di decodificazione delle domande sulla
base delle molteplici risposte che lo raggiungono. Viviamo bombardati dai messaggi, subiamo una
sovra-informazione, la cosiddetta information overload.
Il problema oggi non è reperire il messaggio di senso ma decodificarlo, riconoscerlo sulla base
delle molte risposte che riceviamo. La testimonianza digitale diventa sempre di più un «rendere
ragione della speranza» (1 Pt 3,15) in un contesto in cui le ragioni si confrontano rapidamente e
«selvaggiamente». A farsi largo è il classico meccanismo della pubblicità, che offre risposte a
domande che ancora non sono state formulate. La domanda religiosa in realtà si sta trasformando in
un confronto tra risposte plausibili e soggettivamente significative.
La grande parola da riscoprire, allora, è una vecchia conoscenza del vocabolario cristiano:il
discernimento. Le domande radicali non mancheranno mai, ma oggi sono mediate dalle risposte che
si ricevono e che richiedono il filtro del riconoscimento. La risposta è il luogo di emersione della
domanda. Tocca all’uomo d’oggi, dunque, e soprattutto al formatore, all’educatore, dedurre e
distinguere le domande religiose vere dalle risposte che lui si vede offrire continuamente. È un lavoro
complesso, che richiede una grande preparazione e una grande sensibilità spirituale.
“Malati” di troppa comunicazione: un test per curarli dalla Svizzera.
La comunicazione è il male moderno. Una vera e propria malattia che come tale necessita di una
cura. Un test in Svizzera mostra come l’uso smisurato di cellulare, posta elettronica e social network
diventi per l’uomo una patologia.
Questo il progetto presentato nella mostra “Comunicare nuoce” al Museo della Comunicazione
di Berna, che spiega al visitatore come “difendersi” dalla ipercomunicazione e dal “flusso incessante”
di dati che ogni giorno ci travolge.
I dati sono impressionanti: una persona potrebbe leggere 350 pagine al giorno – se avesse
moltissimo tempo a disposizione, sia chiaro – , per vedere tutti i video caricati in un giorno su Youtube
da tutto il mondo sarebbero necessari 6 anni, che nel web finiscono 20 milioni di mail ogni 2 minuti,
che i siti nel mondo sono 325 milioni e che in un secondo inviamo 200 mila sms. Ma l’uomo come
Il Papa condanna il progresso della virtualità: “ha condotto ad una mutazione antropologica dei
giovani”
Secondo il Papa, il progresso avrebbe condotto i giovani a vite più concitate e ad una virtualità
che rischia di dominare la realtà. Benedetto XVI l’ha dichiarato presso la Certosa di Serra San Bruno,
dove ha recitato i Vespri.
“’Fugitiva relinquere et aeterna captare’: abbandonare le realtà fuggevoli e cercare di afferrare
l’eterno. In questa espressione della lettera che il vostro Fondatore indirizzò al Prevosto di Reims,
Rodolfo, è racchiuso il nucleo della vostra spiritualità: il forte desiderio di entrare in unione di vita con
Dio, abbandonando tutto il resto.
Ogni monastero - maschile o femminile - è un’oasi in cui, con la preghiera e la meditazione, si
scava incessantemente il pozzo profondo dal quale attingere l’acqua viva per la nostra sete più
profonda”.
“Ma la Certosa è un'oasi speciale, dove il silenzio e la solitudine sono custoditi con particolare
cura, secondo la forma di vita iniziata da san Bruno e rimasta immutata nel corso dei secoli”, ha
proseguito il Papa, ricordando alcuni effetti del progresso: “Ha reso la vita dell'uomo più confortevole,
ma anche più concitata, a volte convulsa”, con “città rumorose” e raro “silenzio”. Fra questi effetti c’è
anche la “virtualità che rischia di dominare sulla realtà”, che porta le persone ad essere “immerse in
una dimensione virtuale, a causa di messaggi audiovisivi che accompagnano la loro vita da mattina a
sera”, e i più “giovani” a “riempire di musica e di immagini ogni momento vuoto, quasi per paura di
sentire, appunto, questo vuoto”. Tutto questo sarebbe alla base di una sorta di “mutazione
antropologica”: “Alcune persone non sono più capaci di rimanere a lungo in silenzio e in solitudine”.
Spiritualità e i giovani
In quali e quanti modi la nostra generazione vive la spiritualità? Abbiamo ancora un rapporto
con un Dio, tra Chiesa Cattolica ed altre religioni, quali strade abbiamo conosciuto per vivere il
rapporto con un`entità al di sopra del mondo terreno, se ci crediamo ancora? Viviamo nell`epoca della
virtualità e della rete, il nostro contatto con l`evanescenza è quotidiano, la tecnologia ci fornisce con
una rapidità oltre-umana strumenti e mezzi per superare i nostri corpi e spesso, anche i nostri desideri.
Riuscire a trovare spiritualità in questo nuovo contesto culturale forse è molto più difficile che in
passato. Per alcuni, le religioni, così come ce le insegnavano alla scuola elementare, non hanno più
molto senso, al contempo Piazza San Pietro continua ad affollarsi ogni domenica e tra la moltitudine,
anche tanti giovani. In compagnia di Padre Cesare Atuire una riflessione sulla crisi spirituale che
attraversa le nuove generazioni. La volontà di rimettere tutto in discussione spesso racchiude il
bisogno di una dimensione religiosa più autentica che non si ferma alla superficie, ma scava in
Religione e Cybernetica
Internet oggi rappresenta l’apogeo dell’astrazione e dell’intellegibile: sfruttare le risorse del web
può far sentire i giovani onnipotenti perché attribuisce loro alcune delle prerogative che
appartenevano per tradizione alla divinità, come il dono dell’ubiquità: la rete mette a disposizione un
ampio raggio di informazioni e contenuti prelevandoli da ogni parte del globo, con un solo clic ci
permette di avere di fronte un interlocutore proveniente da un’altra nazione e di conoscere notizie
provenienti da ogni parte della terra in tempo reale, superando in un soffio immense distanze sia sul
piano temporale che su quello spaziale.
Grazie all’interfaccia è possibile proiettarsi in mondi immaginari che esistono solo virtualmente
e sottoporsi ad ogni sorta di esperienza restando seduti di fronte ad uno schermo. Il mondo virtuale
non è del tutto estraneo alla cultura religiosa, basti pensare al concetto di “avatar” che è stato preso in
prestito dall’Induismo: il termine in sanscrito significa “disceso” e indica l’incarnazione di una
divinità in una forma umana per far trionfare la giustizia e il bene, ogni volta che i demoni infrangono
la legge cosmica; gli avatar o avatara sono considerati intermediari dall’aspetto umano tra l’Essere
Supremo e i mortali. Evidenti le analogie con l’avatar che diventa rappresentazione digitale (realizzata
in forme diverse, per esempio un personaggio inventato o reale) del visitatore di un ambiente virtuale:
oltre ad essere un personaggio coerente con l’ambientazione in cui viene vissuta la seconda vita,
varcando i limiti delle possibilità umane, è un modo diverso di vivere la propria personalità, in quanto
ognuno può determinare le caratteristiche del proprio avatar (pur nei limiti imposti da certi parametri)
e nella scelta far emergere la parte più profonda di se stessi che solitamente non riesce a rivelarsi nella
mondo reale.
Tuttavia anche in un contesto di questo tipo restano immutate le esigenze spirituali dei giovani
di cui la tecnologia si fa tramite, divenendo unicamente il mezzo attraverso cui esprimerle e, al limite,
soddisfarle. La volontà di non apparire in Internet, nascondendosi dietro ad un’identità inesistente, è
un atteggiamento controcorrente rispetto all’esibizionismo che invade la società nel mondo reale: il
disperato tentativo di mostrarsi davanti ai riflettori coinvolgendo esageratamente l’aspetto fisico.
Anche la Chiesa ha preso coscienza di questa nuova configurazione: il Papa ha sottolineato
l’importanza di doversi adeguare ai nuovi mezzi di comunicazione e alle nuove tecnologie per
trasmettere il messaggio evangelico, ha compreso che, per parlare ai giovani è necessario porsi sullo
stesso piano, parlare lo stesso linguaggio. Per questa ragione anche gli studiosi di teologia devono
affiancare alla loro preparazione anche nozioni di tipo informatico, per rendere più efficace il loro
messaggio –che non può prescindere dal potere suggestivo delle immagini –ed evitare fraintendimenti.
“Dio dopo Internet” è stato il primo sito italiano di omelie online, fondato dal Gesuita Padre
Nazzareno Taddei sj, nel 1995. Dopo la sua morte il sito ha riaperto i battenti con una nuove veste
grafica e viene gestito da un gruppo di religiosi che rispondono alle domande dei fedeli sui grandi
temi dell’attualità, dispensando anche consigli per la vita quotidiana. L’interesse dei giovani per le
questioni spirituali è dimostrato dalla presenza di un folto gruppo di visitatori del sito (anche persone
che si sono allontanate dalla religione e vorrebbero riavvicinarsi), desiderosi di confidare i propri
dubbi e le proprie perplessità in fatto di fede e non solo.
Oggi il rapporto tra preti e web è divenuto ancor più stretto e si sono moltiplicati i siti gestiti da
religiosi: non è stato risparmiato neppure Facebook dove, grazie alle mailing list i fedeli possono
ricevere informazioni sulle attività e notizie locali.
1. CONCETTO DI “COMUNICAZIONE” p. 2
4. COMUNICAZIONE INTERPERSONALE p. 12
4.1 Il linguaggio analogico e linguaggio digitale p. 12
4.2 Il linguaggio verbale e non-verbale p. 13
5. IL SEGNO p. 15
5.1 Modello di Pierce p. 15
6. MODELLO DI LASSWELL p. 16
10.2 Mc Luhan p. 43
13. USABILITÀ p. 48
14. APPROFONDIMENTI p. 52