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Sociologia delle

Comunicazioni

ISSR - Matera
1. CONCETTO DI “COMUNICAZIONE”

Quello della comunicazione può essere definito il fenomeno originario della coesistenza, delle
relazioni e interazioni umane ed è quindi antico quanto la civiltà stessa dell’uomo. È diventato,
specialmente nell’ultimo secolo, sempre più esteso, multidimensionale e complesso, ed è oggetto di
studio di diverse, spesso convergenti, discipline. Data l’ampiezza semantica del termine
“comunicazione”, è necessario chiedersi innanzi tutto quale sia il significato del termine stesso, per
vedere poi in cosa essa consiste e come si presenta la comunicazione, e in seguito indagare
direttamente la sua diversificata dimensione sociologica.
Dal punto di vista terminologico, la parola latina communicatio deriva da cum, ‘con’, e munus,
‘dono’: esprime, si può dire, una particolare forma di “donazione”, il “mettere a parte” altri di
qualcosa che si ha ma anche “munus” come “impegno”, “ufficio” per cui si tratta di due significati
intrecciati di “amore” e “dovere” in un vincolo più difficile perché la responsabilità ne è la sintesi.
Evidentemente in questa nozione è centrale il concetto di partecipazione, che, ad esempio, si
esplicita chiaramente nella lingua tedesca nel vocabolo Mitteilung, il quale può essere tradotto,
letteralmente, più che con “comunicazione”, con “compartecipazione” (da Mit, “con”, e Teil, “parte”).
In origine ‘communico’ — da cui nella lingua latina il sostantivo communio e l’aggettivo communis
— significa complessivamente mettere qualcosa in comune con qualcuno: nel senso di “condividere
qualcosa” l’accento è posto primariamente sul contenuto comunicato.
Per ulteriore caratterizzazione semantica, dall’originario e imprescindibile senso statico di
condivisione si approda a una concezione che ne evidenzia invece il significato ‘dinamico’ di
trasmissione di informazioni-messaggi. In generale, la comunicazione implica insieme anche
l’istituzione o il riconoscimento di uno spazio comune (di relazione tra i comunicanti), in cui il
qualcosa stesso viene, appunto, trasmesso, comunicato.
Da un punto di vista psicologico si può intendere la comunicazione piuttosto come “uno
scambio interattivo osservabile fra due o più partecipanti, dotato di intenzionalità reciproca e di un
certo livello di consapevolezza, in grado di far condividere un determinato significato sulla base di
sistemi simbolici e convenzionali di significazione e di segnalazione secondo la cultura di
riferimento” (L. ANOLLI).
Un principio, molto importante, avanzato da Paul Watzlawick, è che «È impossibile non
comunicare, non esiste un comportamento che non sia comunicativo». Come sostiene lo psicologo
d’origine austriaca, infatti, parlare o restare in silenzio, tutto comunica, tutto crea un rapporto fra il
soggetto e l’ambiente sociale, quindi con gli altri soggetti. Ogni comportamento è in sé stesso
comunicativo — persino isolarsi dagli altri, un comportamento definibile ‘negativo’ — ed è
impossibile pensare di avere un non-comportamento: la comunicazione si rivela in ultima analisi come
l’orizzonte, in quanto tale intrascendibile, dell’essere e agire umani.
Per chiudere queste rapide considerazioni generali, si può concepire la comunicazione come
svolgentesi lungo due assi fondamentali o secondo una doppia relazione: l’uno verticale, relativo al
rapporto tra “messaggio” e contenuti del mondo o del pensiero; l’altro orizzontale, quello più
propriamente comunicativo, concernente la relazione che s’instaura tra produttori e destinatari del
messaggio (U. VOLLI).
Vige un rapporto molto stretto tra comunicazione e forme della relazione sociale; una delle
teorie più autorevoli in merito fu elaborata dalla Scuola di Palo Alto: “Ogni comunicazione ha un
aspetto di contenuto ed uno di relazione, in modo che il secondo classifica il primo diventando
metacomunicazione”. Qualsiasi comunicazione presenta questo doppio aspetto di contenuto e
relazione: se si litiga su più argomenti frivoli, ci si dovrebbe rendere conto che forse il problema è di
fondo. Il carattere metacomunicativo del piano della relazione è dovuto al fatto che la relazione che
vige tra due interlocutori ci fa capire se la frase “sei un genio” è un complimento o sarcastica. In
questo caso, appunto, si ha una comunicazione sulla comunicazione (metacomunicazione), processo
del tutto sconosciuto alla maggior parte dei parlanti.

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2. LA STRUTTURA DELLA COMUNICAZIONE

2.1 I fattori strutturali

Per quanto riguarda la configurazione o struttura elementare della comunicazione, essa


comprende — l’esistenza di diversi fattori:
a) un emittente: la “fonte”, il produttore di un messaggio;
b) un messaggio (un segno, un testo ecc.): l’“oggetto di scambio” dell’atto comunicativo; al
riguardo, si può anche isolare, come fattore autonomo, il contenuto del messaggio stesso; che avrà un
argomento che prenderà il nome di referente.
c) un destinatario del messaggio: il soggetto cui deve pervenire il messaggio, qualificato spesso
anche come ricevente. Le due definizioni non coincidono però totalmente, in quanto l’atto di ricezione
del messaggio può effettivamente avvenire o, al contrario, fallire. Il destinatario diventa di fatto
“ricevente” nel momento in cui effettivamente recepisce e comprende il messaggio: è possibile però
che il messaggio ricevuto differisca da quello inviato, differenza che si determina in base al livello di
attenzione ma soprattutto in rapporto ai criteri di selezione, decodifica e interpretazione (come
vedremo) usati, consapevolmente o meno, dal ricevente. Il processo della comunicazione comporta
anche che il ricevente rimandi un altro segnale, con cui rende noto che il messaggio è stato (o non è
stato) ricevuto e compreso: questo “ritorno” prende il nome di feedback.
Questa configurazione “astratta” e minimale, a tre fattori, viene poi approfondita e complicata
nel quadro delle diverse teorie comunicazionali, innanzitutto con la messa in evidenza di altri decisivi
elementi-fattori intermedi, in primo luogo di:
d) un canale (o mezzo): ciò entro cui e in virtù del quale viene trasmesso il messaggio. Il canale
può essere perciò, più precisamente, inteso sia come “ciò che sta in mezzo” sia come “ciò che media”,
mediazione che determina in atto la comunicazione. Si può però utilmente distinguere il mezzo dal
canale, fermo rimanendo che un termine rimanda all’altro, nel senso che il mezzo è definibile come il
canale attraverso il quale passa o transita il messaggio, mentre il canale come il “mezzo o apparato
fisico-tecnologico” che questo transito effettua;
e) un codice e, eventualmente, dei “sottocodici”. Un “codice” è un sistema di segni e regole di
utilizzo dei segni usato nel processo comunicativo. Si assume in linea di principio come conditio sine
qua non della effettiva riuscita dello scambio comunicativo che l’emittente e il destinatario
condividano il medesimo codice e ad esso si riferiscano nella composizione e nella comprensione del
messaggio. Quindi il messaggio della comunicazione, il suo contenuto, è elaborato dal lato
dell’emittente mediante una codifica: consiste in “una sequenza di segni o segnali risultante da
operazioni di selezione e di combinazione sulla base di un codice”. Schematicamente, all’emissione
del messaggio corrisponde poi, come aspetto complementare della comunicazione, una (adeguata o
meno) de-codifica da parte del destinatario;
tutto questo avviene in un determinato
f) un contesto o situazione, cioè una dimensione linguistica, cognitiva e culturale che funziona
come quadro di riferimento comune, senza cui qualsiasi comunicazione sarebbe soggetta a continui
rischi di fraintendimento.

2.2 Altri elementi


Alcuni elementi utili per meglio comprendere la comunicazione sono:
la ridondanza cioè un insieme di elementi che convergono verso lo stesso significato ad
esempio una conversazione disturbata al cellulare ci permette lo stesso di coglierne il significato
complessivo, in quanto abbiamo familiarità con il significato della lingua italiana.
Altro esempio è costituito da casi particolare come di fronte alla frase “la credenza non aiuta
certamente il penetrare della luce nel tuo ambiente vitale” essa può essere intesa in ambito religioso
ma anche in ambito di arredamento di una casa. In questo caso la ridondanza è costituita da ciò da
cui è preceduto l'evento (due amici che stanno arredando casa o due professoroni che parlano?).

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A questo proposito è bene anche fare riferimento ai deittici ovvero a delle parole che si riferiscono ad
altro nel discorso e che rientrano nell'ambito della ridondanza. Servono a collegare il testo al contesto
Esempi di deittici sono: qui, lì, ci, ti, prima dopo, ecco, etc.
L'INFERENZA indica, genericamente, ogni conoscenza nuova ottenuta elaborando le
informazioni in ingresso. Essa può essere
- testuale se proviene dal testo che si sta leggendo
- extratestuale se proviene da conoscenze personali pregresse a ciò che si sta leggendo,
visionando, ascoltando

ad esempio se leggo un libro che comincia con “Cenerentola era una fanciulla...” penserò
subito ad un racconto per bambini in quanto per “inferenza extratestuale” perchè per altre
conoscenze so che Cenerentola è la famosa protagonista di una fiaba ma se continuando il testo leggo
“...che viveva a New York” risulta nel lettore una “inferenza testuale” ovvero dal testo si ricavano
delle informazioni che vanno a cambiare il mio modo di pensare quello stesso brano per cui
abbandonerò la fiaba solita per aprire un nuovo orizzonte. Se poi il testo parla di una rivisitazione in
chiave moderna del famoso racconto allora ci saranno ancora delle inferenze extra-testuali che
riaffioreranno alla memoria per cui il principe sarà sempre biondo, alto e magro e con gli occhi
azzurri. A meno che l'autore non si sia divertito a descriverlo (generando una inferenza testuale) e
quindi a modificare l'idea che nella nostra mente ci era apparsa alla parola “principe”.

2.3 Relazioni tra emittente e destinatario (ovvero l'interazione complementare e simmetrica)

Nel libro “Pragmatica della comunicazione umana”, Paul Watzlawick delinea i percorsi della
comunicazione, differenziando la relazione simmetrica da quella di tipo complementare, a seconda
se i due interlocutori tendono ad uguagliarsi o piuttosto a differenziarsi.

La relazione simmetrica

Nell'interazione simmetrica, entrambi gli interlocutori tendono a porsi ad uno stesso livello
(uguaglianza della relazione).
Così mentre uno dei soggetti cerca di definire la natura della relazione, l’altro risponde alla
definizione che viene data confermandola, rifiutandola o cercando di modificarla. Abbiamo così una
relazione simmetrica sana, e quindi stabile, quando entrambi gli interlocutori riescono a posizionarsi
sullo stesso livello, considerandosi uguali e confermandosi reciprocamente. E’ il caso del rapporto fra
pari, dove io “definisco te come amico” e “tu definisci me come amico”, risultando in perfetta simmetria
(principio di uguaglianza).
Abbiamo invece una relazione simmetrica patologica, quando uno dei due attori rifiuta o
squalifica il “livello di uguaglianza” dell’altro, cercando di porsi “al di sopra” (verso una posizione
one-up) rispetto all’altro (“io sono migliore di te”, “tu sei diverso da me”). Di fronte a questa presa di
posizione il secondo interlocutore, dal lato suo, cercherà di ripristinare la posizione di uguaglianza,
rifiutando o squalificando il ruolo imposto dal primo (“tu non sei migliore di me”, “io non sono
diverso da te”). Se entrambi rimangono rigidi sulle proprie posizioni, si genera un circolo vizioso che
prelude ad un’escalation simmetrica che sarà caratterizzata da forti conflitti che rischiano di protrarsi
nel tempo, fino alla reciproca esclusione, in cui si fa finta di ignorarsi “come due perfetti
sconosciuti”, o peggio alla rottura definitiva.

La relazione complementare

Nella relazione di tipo complementare, al contrario, il comportamento di uno tende a


differenziarsi, ponendosi in posizione opposta e complementare rispetto a quello dell’altro. Un
esempio può essere fornito dal rapporto madre-figlio, dove una definisce se stessa madre e l’altro
figlio, o ancora dalla relazione medico-paziente. Avremo quindi uno che sta “al di sopra” (posizione
one-up), ovvero che dirige e consiglia, e un altro che sta “al di sotto” (posizione one-down),
obbedendo o accettando la definizione della relazione che l’altro ha deciso per entrambi. Potrebbe

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invece nascere lo scontro nel caso in cui si cercherà di puntare all’uguaglianza. Pensate ad esempio ad
un figlio adolescente che si ribella alle regole di un genitore, non riconoscendogli l’autorità.
Anche in questo caso, come nell'interazione simmetrica, possiamo parlare di relazione
complementare sana quando vi è un’accettazione spontanea e non imposta da parte di entrambi del tipo
di relazione definita. (Es. il figlio che accetta il ruolo dei genitori, il paziente che si fida del proprio
medico, etc.).
Mentre si ha una relazione complementare patologica se la posizione di chi sta “al di sopra” si
irrigidisce, rischiando di creare un un'unione morbosa fino a soffocare la personalità dell’altro.
Entrambe le posizioni, simmetrica e complementare, non sono da considerarsi né positive né
negative, fino al punto in cui non si irrigidiscono, generando forme patologiche di interazione. In questo
caso, come abbiamo visto, avremo l’esclusione o la scissione nel primo caso e la dipendenza
emotiva/intellettuale nel secondo.
La forma di relazione/comunicazione più matura, è data quindi dal sapersi porre in alcuni casi in
modo complementare e in altri in posizione simmetrica, ciò al fine di creare un “rapporto equilibrato”.

2.4 Il codice

Per far si che il processo di comunicazione sia corretto, il messaggio deve passare attraverso il
canale idoneo e deve essere comprensibile al destinatario.
L’emittente e il ricevente devono conoscere il medesimo codice, ossia l’insieme delle regole che
permettono di dare un significato e un valore ai segni e ai simboli utilizzati all’interno del messaggio
stesso.
Se analizziamo oggettivamente l’alfabeto scritto, ci accorgiamo che esso è un insieme di
simboli, i quali assumono un significato specifico solo quando emittente e ricevente sono a
conoscenza del codice necessario a decodificarli. Per esempio, nell’alfabeto Morse, un punto e una
linea rappresentano una “A”.
Al fine di rendere possibile la comunicazione, il codice deve essere scelto prima dell’inizio
della stessa e deve essere noto all’emittente e al ricevente.
Durante la comunicazione, possono modificarsi alcuni parametri che rendono necessario un
riadattamento del codice. In questi casi si parla di transcodificazione , ossia, il passaggio da un tipo di
codice ad un altro. Per esempio, se durante una chat tra due persone che comunicano in italiano
dovesse intervenirne una terza inglese, si dovrebbe adeguare il codice comunicativo in modo da
rendere possibile la comprensione a tutti i partecipanti.
Nella teoria della comunicazione, il codice è un sistema di segni e di regole per la loro
combinazione, convenzionalmente assunto.

Un codice potrebbero essere le varie lingue ma anche un sistema di codifica di determinate


situazioni (pensate al codice d'onore di un militare), al codice deontologico (ovvero una serie di
situazione per cui per convenzione ci si da delle regole per una migliore comprensione) e perfino al
codice dell'alfabeto morse.
Tutti questi sistemi “suddividono” la realtà tenendo presente l'economia e la facilità dell'uso di
essa stessa.
Per la lingua inglese (codice) la parola “make” in italiano corrisponde a “fare”, “costruire”,
“realizzare”, “creare”. Motivo per cui spesso le traduzioni “tradiscono” il testo.

2.4.1 I sottocodici

Nelle comunicazione non basta che il codice sia condiviso affinchè una comunicazione risulti
mirata.
L'individuazione del codice è un individuazione banale, Occorre riuscire ad individuare un
sottocodice utile all'occasione.
Il codice dell'emittente è il responsabile oggettivo di una tale realtà: significato denotativo. Il
significato oggettivo di una data realtà è detto significato denotativo. Le particolari sfumature di tipo
più culturale, psicologico, emotivo che si sovrappone al significato denotativo è detto significato

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connotativo. Le particolari sfumature di tipo più culturale, psicologico, emotivo che un determinato
significante può comunicare viene detto significato connotativo.
Il significato denotativo è stabilito dal codice.
Il significato connotativo è stabilito dal sottocodice.
Questa grande diversificazione corrisponde ad altrettante diversificazioni dei sottocodici. Spesso
si parla di incomprensibilità anche nel nostro piccolo.
Il codice stabilisce dei significati più o meno oggettivi (significato denotativo/oggettivo); ma si
carica di sfumature diverse a seconda dei sottocodici (es.: la parola lavoro può dare sollievo sicurezza
a un disoccupato, inquietudine preoccupazione a un minatore); connotazioni: individuazioni delle
connotazioni esatte del significante. Sottocodice (cultura implicita, non manifesta) si sovrappone al
codice (cultura esplicita).
Tutto questo aumenta i rischi di rumore semantico. L'errore non è solo nella imperfetta
sovrapposizione codici, ma anche nella cattiva utilizzazione del sottocodice. Per ovviare al rumore
semantico si possono usare dei segni molto ambigui che si prestino a diverse decodifiche (soprattutto
nei media, come la TV, che si rivolge a un target molto diversificato, non selezionabile).
La circostanza della comunicazione aiuta il destinatario a stabilire, a scegliere quale codice o
sottocodice si deve applicare.

es. Bambino = essere umano piccolo di età (denotativo) è diverso dal dire “non fare il bambino”
(connotativo).

L'emittente quando deve produrre un messaggio, per veicolarlo ha a disposizione più significanti
(ovvero parole ma anche frasi e strategie di comunicazione), raramente si ha una scelta obbligata. Se ne
sceglie uno piuttosto che un altro a seconda del destinatario e del contesto in cui il messaggio compare.
Il destinatario vede il messaggio come forma significante. Il messaggio ha una valenza di
significante. Il messaggio ha una valenza di significato ed è la valutazione delle circostanze che lo
aiuta a scegliere fra i diversi significanti.
Perché riesca il processo comunicativo devo ammettere che la circostanza della comunicazione
deve essere la stessa sia per l'emittente che per il destinatario.

2.4.2 I registri linguistici

Il registro linguistico è il livello espressivo scelto dall’emittente (vocaboli, costruzione della


frase, pronuncia, tono) in base alla situazione e al rapporto esistente tra trasmettitore e ricevente.
Il registro, però, è efficace se è adeguato ai destinatari ed è coerente in ogni parte del testo.
Ogni persona è inserita in una rete di relazioni sociali ed assume un ruolo diverso al cambiare
del contesto sociale stesso. Infatti, un giovane, nei confronti dell’insegnante, rappresenta l’alunno,
mentre nei confronti dei suoi compagni svolge il ruolo di amico ecc … A seconda dell’ambiente e
della relazione con l’interlocutore, il registro cambia I principali registri sono tre:
- Il registro alto o formale , fruibile nelle comunicazioni ufficiali con delle persone che non si
conoscono, utilizza un lessico alto e delle finezze linguistiche.
- Il registro medio , sfruttabile nelle normali situazioni al di fuori della famiglia, è costituito da
una scelta linguistica dignitosa e corretta, ma senza particolari ricerche linguistiche.
- Il registro basso o informale , si adotta con parenti e persone in confidenza, è caratterizzato da
spontaneità, poche espressioni formali, frasi brevi e spezzettate, termini generici e linguaggio colorito.
Le nomenclature sono diverse: il registro alto può essere definito come solenne, retorico e colto;
il registro medio si potrebbe assimilare a polemico, burocratico-ufficiale, offensivo o rispettoso; il
registro basso è identificabile come familiare, colloquiale o intimo-confidenziale.
Ad esso va aggiunto che esso può variare tra lo scritto e il parlato.

Ad esempio per dire per indicare il precetto della messa domenicale è probabile che dirò
ai bambini
“bisogna andare a Messa”
ai loro genitori che
“è opportuno partecipare alla Messa”
ma sul foglietto domenicale scriverò che
“la celebrazione domenicale è di precetto”
nella rivista specializzata troverò
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“la celebrazione eucaristica del giorno del Signore rientra negli obblighi del cristiano”.

2.5 Contesto

L’insieme della situazione generale e delle particolari circostanze in cui ogni evento
comunicativo è, per forza di cose, inserito, si chiama contesto.
Ad esempio il mio professore in aula userà comunicare in una certa maniera con un linguaggio
aulico, durante un incontro spirituale coi ragazzi con un linguaggio formale, pacato e più
meditabondo, durante una partita di calcio magari sbraiterà contro gli avversari.
Talvolta il contesto non corrisponde alla situazione creando equivoci e situazioni di estrema
difficoltà: immaginate ad esempio la vittoria in formula Uno durante la quale gara c'è stato un
incidente mortale: per quanto il contesto sia di felicità ad essa viene collegata una situazione triste (la
morte di un compagno). Immaginate di dover proporre la lezione sulla gioia di vivere a dei ragazzi a
cui è stata appena negata la gita di classe. Come anche spiegare durante il precetto pasquale a ragazzi
a digiuno di liturgia: il contesto (Chiesa) va bene ma la situazione (ragazzi impreparati, canti
sconosciuti) non crea comunicazione.

2.6 Rumori e ridondanza

Durante il processo comunicativo potrebbero essere presenti degli elementi che lo disturbano e
che rendono difficoltosa la comprensione; i rumori. Essi possono essere di varia natura: dal rumore
prodotto da un martello pneumatico al brusio delle voci delle persone; dall’oscurità causata dalla
mancanza di luce al fruscio del vento; ecc …
Per limitare i danni causati dai rumori si utilizza la ridondanza , ossia l’ausilio di un messaggio
secondario atto ad assicurare la riuscita della comunicazione. Nel caso in cui due persone stiano
dialogando e vicino a loro ci sia un martello pneumatico che provoca rumore, l’emittente, oltre al suo
messaggio verbale di saluto, farà anche un cenno con la mano.

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3. IL MECCANISMO DELLA COMUNICAZIONE VERBALE

Il processo fonico-uditivo

Osserviamo cosa avviene quando due


individui usano il codice lingua per comunicare.
Immaginiamo un uomo (A) di fronte ad un
secondo uomo (B) col quale vuole comunicare.
Nel cervello di A (come in quello di qualsiasi
altro uomo) con il tempo e l’esperienza si sono
depositate delle immagini mentali o concetti,
ossia delle rappresentazioni degli oggetti di cui
ho fatto esperienza. Queste rappresentazioni,
presenti come ricordi nella memoria, vengono, di
continuo, precisate ed arricchite integrando nuovi
elementi attorno al primo nucleo di significato.
Associati ai concetti il cervello memorizza i suoni (se sappiamo scrivere anche gli opportuni segni
grafici per rappresentarli) necessari per esprimerli, quella che si chiama “rappresentazione acustica”
del concetto. Quando A decide di comunicare con B egli sceglie la opportuna associazione concetto-
suono e trasmette un impulso nervoso all’apparato della fonazione.
Il termine “oggetto” deve essere qui inteso nel senso più ampio, per cui anche l’amicizia è un
oggetto d’esperienza.
Le onde sonore trasmettono attraverso l’aria i suoni all’orecchio di B e quindi al suo cervello,
qui la rappresentazione acustica riconosciuta viene associata al concetto esistente nella memoria di B.

Suoni diversi, esperienze diverse

Abbiamo visto come durante una


comunicazione verbale l’emittente usa un
particolare insieme di suoni (immagine acustica)
questi suoni vengono recepiti e classificati dal
ricevente sotto una particolare etichetta.
Ad esempio sotto l’etichetta suono “a” sono
fatte confluire tutte le leggere varianti personali,
regionali, nazionali a1, a2, a3, ecc. Un
ragionamento analogo può essere fatto per i
concetti, l’immagine che noi abbiamo nella nostra
mente di un oggetto è derivata dall’esperienza che
noi facciamo di quel particolare oggetto. Il
concetto “casa” rimanda ad oggetti di esperienza
diversi per chi vive in campagna, in città, o in mezzo al deserto.
Queste considerazioni sulle variabili suono ed esperienza ci portano alle seguenti riflessioni:
a. quando siamo emittenti di un messaggio, dobbiamo porre una particolare attenzione se
vogliamo che il messaggio trasmesso sia chiaro, in particolare:
1. Sceglieremo con cura le parole perché esprimano correttamente il nostro pensiero
2. Ci preoccuperemo di adattare ciò che diciamo al nostro ascoltatore, alla sua età, alle sue
conoscenze.
3. Porremo particolare cura alla corretta pronuncia delle parole, se il nostro ascoltatore non
riesce a comprendere i suoni che abbiamo pronunciato, non possiamo pretendere che capisca il
significato del messaggio.
4. Possiamo usare la lingua per spiegare ulteriormente ciò che intendiamo dire

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b. quando siamo nella condizione di ricevente del messaggio dobbiamo porre la massima
attenzione per la corretta comprensione del messaggio ricevuto.
Perché la comunicazione verbale possa essere attuata in maniera efficace, ci vuole la massima
attenzione da parte sia di chi produce il messaggio (emittente), sia da parte di chi lo riceve (ricevente o
destinatario).

3.1 Modello di SHANNON-WEAVER


La comunicazione è trasmissione di informazioni. Questa definizione è conosciuta come Teoria
matematica della comunicazione di Shannon e Weaver. Tale teoria scompone il processo
comunicativo nei suoi elementi fondamentali, quali:
 Una sorgente capace di
elaborare un messaggio
(insieme di informazioni da
trasmettere);
 Un apparato trasmittente
(che codifica in base al mezzo
di comunicazione prescelto);
 Un mezzo o canale di
comunicazione (attraverso il
quale viaggia il messaggio);
 Una fonte di rumore (che
può modificare o deteriorare il
messaggio);
 Un apparato ricevente (che
codifica all’inverso il
messaggio);
 Un destinatario (che riceve il
messaggio decodificato).
Lo scopo della teoria matematica della comunicazione è quello di studiare le strategie migliori
affinché il messaggio arrivi integro alla sorgente.
Il modello di Shannon (questo il suo vero nome) si applica non solo alle conversazioni
telefoniche, ma anche alle comunicazioni faccia a faccia.
Dal modello di Shannon-Weaver nascono due nuovi elementi che sono: encoder e decoder
ovvero codificazione e decodificazione.
Codificazione
È il processo attraverso il quale ciò che pensiamo viene espresso attraverso una strategia comunicativa.
Si tratta di far diventare il pensiero messaggio.
Ad esempio per far capire che sento freddo potrei dire:
“Ho la pelle d'oca”
“fra un po' divento un ghiacciolo”
“mi fa freddo”
“se continua così mi prendo una broncopolmonite”
“il freddo mi è penetrato nelle ossa”
“mi sembra di stare al Polo Nord”
ognuna di queste frasi a seconda del contesto e della situazione verranno usate secondo il piacere del mittente
ma anche le capacità del destinatario.
Decodificazione
È il processo attraverso il quale il messaggio diventa pensiero
ad esempio su un'alta montagna la fidanzata dice “quanto manca all'arrivo?” questa frase può essere intesa come
effettivamente un calcolo di tempo o di misura o come un modo per dire al fidanzato di essere stanca e quindi di
fermarsi.

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Questo modello è importante in quanto ci aiuta a comprendere quali strategie elaborare affinchè il nostro
messaggio arrivi in maniera più lineare e comprensibile.

In particolare si tratta di:

 Scegliere il canale con maggiore grandezza di banda (quantità di informazione / unità di


tempo);
 Scegliere un codice il più possibile condiviso e robusto;
 Codificare il messaggio in forma ridondante, per mantenerlo integro anche con rumori.

Il modello di Shannon ha costituito un elemento di fondamentale importanza negli anni passati,


ma ben presto ci si è resi conto della sua totale mancanza a riferimenti semantici del codice: tale
modello non offriva molti strumenti per addentrarci nei misteri della comunicazione umana. I suoi
limiti potevano essere superati solo abbandonando la concezione di comunicazione come scambio di
informazioni e cominciando a considerare gli aspetti complementari della comunicazione, come
l’intenzionalità.
L’influente Scuola di Palo Alto non riconosce il requisito dell’intenzionalità, equiparando
comunicazione e comportamento. Secondo tali esponenti, qualsiasi comportamento equivale ad una
forma di comunicazione, anche quando ci si sforza di non comunicare: è impossibile non
comunicare.
In ambito sociologico la comunicazione è semplicemente definita come un processo di
costruzione collettiva e condivisa del significato, processo dotato di livelli diversi di
formalizzazione, consapevolezza e intenzionalità.

Informazione

L'informazione a differenza della comunicazione non prevede che prevede un vero e proprio scambio
di informazioni (quindi anche di feedback e di effetti).
Ad esempio i cartelli stradali, le indicazioni riguardo una struttura, pur incontrandoli puoi anche
subito non tenerli in considerazione: se non fumo non mi dice nulla il cartello “non fumare” e
d'altronde chi ha scritto quel cartello sa che fino a quando non si trova uno che fuma quel cartello
non trasmette nulla oppure se attendo il treno e sento la voce che mi avvisa del ritardo del treno non
gli interessa se dopo tale messaggio posso imprecare, sbuffare o andare a farmi un giro o cercare un
posto più comodo perchè il suo scopo è solo di farmi prendere coscienza di una realtà o ancora se
sulla bacheca mettono il foglio dell'assenza di un professore per quanto possiamo arrabbiarci,
lamentarci alla segretaria non resta che far finta di nulla!!!

Nella sua accezione più estesa, il soggetto della comunicazione può essere di volta in volta un
essere umano, un gruppo, una pianta, un animale…
Tuttavia, nel momento in cui si utilizza il termine comunicazione col suo significato più
ristretto, ci si rende conto di quanto sia difficile utilizzare dei soggetti comunicativi che non siano
umani. Agli animali, infatti, le parole non servono, e i loro “discorsi” non si riferiscono a dati
fattuali.
Tratteremo d’ora in poi soltanto la comunicazione tra soggetti umani (individuali e
collettivi).

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Uno dei più grandi esperti di comunicazione del secolo, Paul Watzlawick, del Mental Research
Institute di Palo Alto, ha formulato quelli che sono oggi diventati dei veri e propri assiomi della
comunicazione.
Ecco di seguito di cosa si tratta:
E’ IMPOSSIBILE NON COMUNICARE. Il comportamento comunicativo non ha un suo
contrario: l’attività e l’inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggi, perché
influenzano gli altri i quali, a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni.
OGNI COMUNICAZIONE HA UN ASPETTO DI CONTENUTO E UNO DI RELAZIONE,
ED IL SECONDO CLASSIFICA IL PRIMO. Una comunicazione non soltanto trasmette informazione
ma, al tempo stesso, impone un comportamento. Ogni comunicazione è comportamento, ma anche
ogni comportamento è comunicazione. Ogni minuto che passa si comunica attraverso il
comportamento: sguardi, modi di parlare, posture, movimenti nello spazio.
LA NATURA DI UNA RELAZIONE DIPENDE DALLA PUNTEGGIATURA DELLE
SEQUENZE DI COMUNICAZIONE TRA I COMUNICANTI. La comunicazione è un flusso
continuo di messaggi a cui però i partecipanti danno una PUNTEGGIATURA, organizzando tali
scambi secondo una sequenza in cui, ad uno specifico stimolo segue una precisa risposta.
LA COMUNICAZIONE UMANA E’ ANALOGICA E DIGITALE. IL LINGUAGGIO
NUMERICO TRASMETTE IN MODO EFFICACE I CONTENUTI MA NON SPIEGA LA
RELAZIONE, IL LINGUAGGIO ANALOGICO TRASMETTE LA RELAZIONE MA IN MODO
AMBIGUO. Esistono due modi per far riferimento ad un oggetto: attraverso l’immagine (creando un
rapporto stretto tra oggetto e modo di indicarlo) o attraverso l’attribuzione di un nome (creando un
rapporto convenzionale, arbitrario, tra oggetto e modo di indicarlo). La prima comunicazione è
analogica (perché appunto esiste un’analogia tra linguaggio e oggetto), la seconda è digitale (perché è
convenzionale). La comunicazione umana analogica è qualsiasi comunicazione non-verbale, in cui
sono compresi i movimenti del corpo, i gesti, l’espressione del viso, l’abbigliamento, il tono di voce,
ecc…L’aspetto di contenuto della comunicazione è espresso normalmente dal linguaggio numerico,
quello di relazione dal linguaggio analogico. Il primo linguaggio è più preciso, strutturato, il secondo
più efficace per trasmettere la relazione , ma inevitabilmente più impreciso e difficile da interpretare.
TUTTI GLI SCAMBI DI COMUNICAZIONE SONO SIMMETRICI O COMPLEMENTARI
(o asimmetrici), A SECONDA CHE SIANO BASATI SULL’UGUAGLIANZA O SULLA
DIFFERENZA. Gli scambi comunicativi possono essere improntati all’uguaglianza dei due partner, e
in questo caso vengono definiti simmetrici, oppure possono essere improntati alla differenza, allora
sono definiti complementari. Nel secondo caso inevitabilmente un partner assumerà una posizione
dominante e l’altro quella complementare. Il primo caso è quello di colleghi, amici, il secondo è
contraddistinto dalle coppie madre-figlio, insegnante-allievo, capo-dipendente.

Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 11 -


4. COMUNICAZIONE INTERPERSONALE

4.1 linguaggio analogico e linguaggio digitale

Il primo stadio della comunicazione è il cosiddetto linguaggio gestuale naïf (indicare bocca per
esprimere fame, etc). Questi segni hanno una loro efficacia in situazioni d’emergenza, ma si
dimostrano limitati se confrontati col linguaggio verbale.
La superiorità del linguaggio verbale non deriva dall’uso della voce: la Lis (Lingua Italiana dei
Segni) si dimostra altrettanto potente e flessibile. La differenza tra Lis e linguaggio naïf sta nel fatto
che ogni gesto è rigidamente codificato e univoco.
Questo carattere di convenzionalità ci permette di distinguere tra loro i linguaggi digitali (numerici)
dai linguaggi analogici. Il linguaggio digitale è discreto, mentre quello analogico è continuo. (cane,
imitazione di un cane). Non sempre il linguaggio digitale e superiore a quello analogico: a volte un abbraccio
può valere più di mille parole.
Analogico e digitale è solo uno dei modi nei quali si possono suddividere i sistemi che usiamo
per comunicare.
Linguaggio "analogico" e linguaggio "digitale" sono termini entrati in uso in seguito agli studi
compiuti negli anni '60/'70, da parte di un gruppo di ricercatori che lavoravano presso il Mental
Research Institute di Palo Alto, California.
Analogico, cioè "non logico", é qualcosa che non é rivolto alla parte razionale della nostra
mente, ma a quello che potremmo chiamare il nostro cuore, e cioè le emozioni e i sentimenti.
Digitale, dall'inglese "digit" che significa numero, é tutto quello che si indirizza al nostro
cervello visto nelle sue capacità di ragionamento, logica, analisi, matematica.
L'uso delle parole é quasi sempre digitale, razionale: se io ti parlo e non metto le parole nella
giusta posizione, se non utilizzo i verbi ed i nomi appropriati, tu non mi puoi capire.
Volendo essere più precisi si potrebbe ancora notare che il linguaggio delle parole si presta al
linguaggio digitale ma anche ad usi analogici come l'uso dei proverbi; viaggiando tra il digitale e
l'analogico, con le parole si può decidere come modulare le emozioni: c'é una grossa differenza tra il
dire "quello che hai fatto mi dispiace molto" e il dire "mi hai spezzato il cuore"; ed ancora, parliamo di
"mente" per indicare la razionalità o l'intelligenza e di "cuore" per indicare i sentimenti, quando tutti
sappiamo che il cuore é un muscolo che serve a pompare il sangue e non é certo la sede delle nostre
emozioni d'amore; ed ancora, se dico "Carlo é un leone", tutti capiscono che sto dicendo che é un
uomo coraggioso e non un animale con la criniera.
L'uso dei gesti fa parte del linguaggio analogico; attraverso il gesto, senza parlare, comunico una
certa risposta o un mio atteggiamento; in Italia abbiamo anche tutta una serie di gesti e gestacci già
codificati e conosciuti da tutti.
Ma posso comunicare in maniera analogica anche con la posizione che assumo col corpo: se ti
ascolto stravaccato sul divano, mostro meno attenzione che non seduto e leggermente reclinato verso
di te, come per sentire meglio le tue parole; con le espressioni del viso, o solo con uno sguardo, posso
farti capire se sono d'accordo con te.
L'arte visiva, figure, disegni, fotografie, quadri, immagini pubblicitarie e non, quasi sempre
appartengono al mondo analogico, ci fanno provare delle emozioni.
Il bravo comunicatore, il giornalista, l'attore, il politico, l'uomo di spettacolo, il pubblicitario, in
modo istintivo o in modo razionale utilizzano sempre i due linguaggi per rafforzare il loro messaggio.
Se il destinatario del messaggio viene colpito al cuore e alla mente nello stesso momento, il
messaggio sarà più incisivo: ad esempio si può scrivere sulla guerra in Iugoslavia per esempio, un
articolo "digitale" serio e pieno di dati che fanno appello alla nostra parte razionale; se poi al centro di
quest'articolo ci mettiamo in maniera "analogica" la foto di un bambino mutilato e insanguinato, o la
foto di una vecchia con le mani alzate per la disperazione davanti alle rovine della sua casa, otteniamo
su chi legge l'articolo e vede la foto un effetto molto forte.

Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 12 -


Si può suggerire ad un venditore di illustrare al potenziale cliente il proprio prodotto in modo
razionale/digitale, e nello stesso tempo utilizzando anche strumenti analogici (una casa farmaceutica
italiana qualche tempo fa proponeva ai propri informatori scientifici di avvicinare il medico per
propagandare un farmaco contro l'ansia, mostrando in maniera digitale una tabella scientifica e
dicendo al medico nello stesso tempo, in maniera analogica "...e vedrà che con questo farmaco si
libererà dei pazienti rompiscatole che le vengono tutti i giorni in studio"); un uomo politico che vuol
dare di sé un'immagine forte e popolare, mentre pronuncia un discorso studiato in maniera digitale,
può rafforzarlo in maniera analogica scatenandosi sul palco, urlando, usando espressioni forti e anche
volgari, o può paragonare la nazione ad una madre da difendere contro la violenza sessuale, vantarsi
dei propri attributi maschili come simbolo di forza politica.
Un altro uomo politico invece, per darci la sensazione di solidità, serietà, soldi e raggiungimento
del successo, mentre ci parla usa sempre un linguaggio molto corretto e controllato, non alza mai la
voce, non gesticola, si veste in maniera tradizionale e seriosa, dalle giacche a doppio petto blu ai
golfini di cashmere e si fa riprendere all'interno della propria bella casa, magari con a fianco la bella
moglie ed i figli in tenuta da collegio svizzero.

4.2 il linguaggio verbale e non-verbale

Come abbiamo detto, il linguaggio verbale caratterizza e distingue l’uomo dalle altre specie
animali. La lingua determina non solo il modo di cui parliamo del mondo, ma anche ciò che di questo
mondo conosciamo (gli eschimesi hanno un sacco di termini per distinguere i tipi di neve, noi no):
questa teoria è nota col termine di relatività linguistica.
Oltre alle parole, l’uomo utilizza varie forme di comunicazione non verbale. Per comprendere
l’inaspettata ricchezza della comunicazione non verbale si può iniziare studiando le sue diverse
componenti: sistema paralinguistico, sistema cinesico, prossemica, aptica.

Il sistema paralinguistico è costituito da tutti i suoni che emettiamo a prescindere dal significato
delle parole. Si tratta in primo luogo del tono e della frequenza della voce (fattori fisiologici), ma
anche del ritmo e delle pause (che possono essere vuote, es. silenzio, o piene, come quando usiamo gli
intercalari beh, mmhh…).

Il sistema cinesico comprende i movimenti degli occhi , del volto e del corpo ma anche la
mimica facciale (es. arrossire), i gesti (es. delle mani) e la
postura ( dell’intero corpo, es. sull’attenti) zona intima

La prossemica studia la gestione dello spazio e del


zona personale
territorio. Come gli animali, anche gli esseri umani
mantengono distanze codificate tra loro: si va dalla zona
intima (50 cm dalla superficie della pelle) nella quale
entrano solo familiari e il partner (un’intrusione estranea zona sociale
provoca disagio, paura, imbarazzo), alla zona personale
(50-100 cm) nella quale sono ammessi i familiari meno
stretti, gli amici e i colleghi: è la zona delle conversazioni
informali, alla zona sociale (1-3, 4 metri), zona delle
comunicazioni formali e degli incontri casuali: riusciamo
a vedere tutta la persona che abbiamo di fronte, e alla
zona pubblica (> 4 m), quella prevista per le occasioni
pubbliche ufficiali, quali lezioni o comizi. In questa zona
la comunicazione è preparata e c’è particolare asimmetria
tra gli interlocutori (uno parla, altri ascoltano).

L’aptica studia il contatto fisico, ed è la branchia della comunicazione non verbale meno
studiata. Si va dalla stretta di mano, al doppio bacio per salutare gli amici, alle effusioni più intime.
L’aptica è importante in quanto un contatto in più o in meno può renderci invadenti o freddi.

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La comunicazione, tuttavia, non si riduce ad una semplice distinzione tra linguaggi verbali e non
verbali: nessuno di questi due ha una vera e propria supremazia sull’altro.
Per quanto riguarda la distinzione tra linguaggi digitali (numerici) e analogici dobbiamo
ricordare che questa suddivisione non è sovrapponibile con quella tra linguaggi verbali e non verbali,
ma anzi si combina con questi dando luogo a:

- Comunicazione verbale di tipo digitale (lezione universitaria): la componente più importante è


ciò che dice il docente, a prescindere da come lo dica.

- Comunicazione non verbale di tipo digitale (L.i.s.): anche un linguaggio dei segni può
possedere segni
convenzionali che vanno appresi.

- Comunicazione verbale di tipo analogico (poesia): una poesia trova il suo senso più nella
sonorità delle parole, nella sua capacità di evocare sentimenti che nel significato delle singole parole.

- Comunicazione non verbale di tipo analogico (comunicazione tra madre e figlio): il bambino
non ha ancora l’uso della parole, comunica con la madre cogliendone la tonalità, lo sguardo.

Tuttavia la suddivisione tra digitale e analogico non appare sempre netta.

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5. IL SEGNO

In linguistica si è soliti definire le due componenti di un segno come significato e significante:


il significante è il mezzo che usiamo per rappresentare il significato.
es. la parola G ATTO (significante) e felino di piccole dimensioni (significato)
La semiotica distingue inoltre i segni in indici, icone e simboli:
 Quando esiste una relazione di continuità propriamente fisica tra significato e significante il
segno assume le caratteristiche di un indice: l’altezza raggiunta dal mercurio nella
colonnina indica la temperatura.
 Quando si parla invece di relazione di similitudine o analogia tra significato e significante il
segno assume le caratteristiche di un’icona: le icone del pc o gli omini stilizzati sulle porte
dei bagni.
 Quando, infine, il rapporto tra significato e significante è arbitrario e convenzionale, come
per la comunicazione digitale, il segno assume le caratteristiche di un simbolo: la parola
“cane” è il simbolo convenzionale dell’animale in questione.

5.1 Modello di Peirce

Charles Peirce, padre della moderna


semiotica, ha riproposto uno schema simile a
quello classico, ma più complesso. In questo
caso, i tre elementi sono tutti direttamente
collegati fra loro:
il representamen (ciò che rappresenta
l'oggetto),
l'interpretante (come si interpreta
l'oggetto),
l'oggetto stesso.
L'oggetto considerato all'interno di questo
schema è definito immediato, cioè il risultato
dell'interpretazione stessa. Ad esso si oppone
quello dinamico, che non può essere all'interno
del triangolo perché è l'oggetto al di là di ogni
interpretazione, che deve comunque tendere a
raggiungerlo.
Questo avvicinamento all'oggetto
dinamico è detto semiosi: secondo la teoria
della semiosi illimitata, un representamen viene
interpretato come oggetto immediato, che a sua
volta diviene representamen per un'altra
interpretazione che tenderà a raggiungere
l'oggetto dinamico.

In parole povere la mia immagine mentale di un oggetto corrisponderà sempre di più a quello
con cui ho esperienza diretta. Un esempio lo capiamo se pensiamo quando pensiamo alla musica: per
un anziano probabilmente la musica corrisponde alla banda, per un musicista alla musica classica,
per un giovane alla musica dance, ad un adulto la musica leggera. Il concetto di musica piano piano
si aggiorna man mano che lo stesso segno viene usato per indicare differenti modalità dello stesso
genere. Per cui l'immagine verrà rinforzata di altri elementi e l'immagine mentale (interpretamen) si
modificherà per cui per l'adulto ad esempio musica diventerà anche quel “rumore” che il figlio
ascolta.

Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 15 -


6. MODELLO DI LASSWELL

Quando parliamo di modelli si intendono delle semplificazioni di ciò che effettivamente avviene
nella realtà.
Il Modello di Lasswell è un metodo corretto per descrivere un atto comunicativo che consiste
nel rispondere alle seguenti domande:

Chi? Dice cosa? Con quale A chi? Con quali


mezzo? effetti?
Comunicatore  Messaggio  Mezzo  Ricevente  Effetti

Ricerca sulle Analisi del Analisi del Analisi Analisi degli


emittenti contenuto mezzo dell’audience effetti

È con queste parole che Harold Lasswell, nel 1948, tentò di organizzare un campo di studi allora
caotico come quello della comunicazione. Il modello di Lasswell ha il merito, infatti, di identificarsi
come il primo tentativo di introdurre allo studio dei processi comunicativi, attribuendo ruoli e parti ai
diversi soggetti coinvolti nonché precise dinamiche di interazione.

Oltre a descrivere più analiticamente il processo comunicativo, il modello di Lasswell, come


detto, si presta ad organizzare il campo della ricerca e dell'analisi in aree aventi distinti oggetti di
indagine.
o Prestare attenzione a "chi" attiva il processo comunicativo significa collocarsi nell'area di studio
dell'emittenza: vale a dire di quei soggetti che producono messaggi comunicativi. Gli studi
sull'organizzazione del lavoro giornalistico, delle emittenti televisive e delle nuove tecnologie
della comunicazione si inscrivono all'interno di un filone di studi che ruotano intorno alla figura
dell'emittente e che hanno percorso due strade, l'una tracciata dalla sociologia delle professioni,
l'altra dalla sociologia del lavoro e dell'organizzazione.
o Prestare attenzione a "cosa" viene comunicato, invece, comporta un'automatica collocazione
nell'area di studio del messaggio. Il filone estremamente ricco della content analysis trova in
Lasswell, infatti, il suo padre fondatore, con studi pionieristici sulle tecniche di persuasione
utilizzate durante la prima guerra mondiale. Questa metodologia di ricerca cotninua a
rappresentare un'applicazione esemplare dell'analisi del contenuto, pur con tutti i limiti connessi
all'adozione di un'approccio basato sul conteggio dei simboli-chiave e sull'assunto implicito di
un'univoca interpretazione del messaggio da parte dei destinatari.
o Prestare attenzione a "chi" è il destinatario del messaggio implica l'assunzione di un focus
d'attenzione centrato sul pubblico dei media. Gi studi sull'audience dei media sono incredibilmente
cresciuti negli ultimi anni, a testimonianza della centralità di una problematica a lungo ignorata.
o Infine, prestare attenzione a "quali effetti" vengano attivati nei destinatari significa entrare di forza
nel campo di studio degli effetti, che ha attraversato l'intera storia della mass communication
research. Gli effetti intenzionali o inintenzionali, diretti o indiretti, a breve o a lungo termine
rappresenteranno, infatti, sin dagli inizi, il campo privilegiato degli studiosi alla perenne ricerca di
conseguenze attribuibili all'azione dei media.

L'organizzazione del campo di studio, frutto dell'applicazione del modello di Lasswell, continua
a rappresentare un utile strumento di lavoro per organizzare la raccolta dei dati e per costruire una
prima visione di insieme, come si evince dalla rappresentazione grafica di tale modello.

Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 16 -


7. LA SEMIOTICA INTERPRETATIVA (NEGOZIAZIONE DEL TESTO)

Fondamentale in Eco è quindi il problema dell'interpretazione. Eco muove dall'idea che l'analisi
delle strutture del testo coincida con la ricerca delle sue potenziali strategie interpretative. Eco
definisce il testo "una macchina pigra" in quanto ritiene che il senso di un testo sia determinato solo in
parte dalle strutture o dai percorsi di senso potenziali costruiti dall'emittente, ma che un ruolo
fondamentale venga svolto dal fruitore del testo senza il cui intervento il senso resterebbe lettera muta.
Quindi la costruzione del senso di un testo si gioca nel processo dialettico che si attiva tra le strutture
retorico-testuali e le strategie di interpretazione del lettore (principio della cooperazione interpretativa
nei testi narrativi).
Legata alla questione dell'interpretazione testuale - una delle questioni centrali del lavoro di Eco
- è quella della individuazione dei limiti dell'interpretazione medesima. Fin dal 1962 - in una fase pre-
semiotica della sua ricerca - Eco si era occupato della questione della interpretazione dei testi.
Dapprima veniva infatti elaborata una estetica della ricezione testuale, in cui il ruolo del lettore
era fortemente attivo e creativo nei confronti della definizione del senso del testo. In seguito Eco ha
notevolmente ristretto la libertà del lettore o fruitore del testo, prima con la teoria già citata della
cooperazione interpretativa tra testo e lettore, poi con una vera e propria definizione dei limiti
dell'interpretazione.
In sostanza, secondo Eco, si può definire propriamente interpretazione di un testo solo quella
lettura che sia giustificata e comprovata dalle strutture testuali medesime; ogni lettura del testo che
vada oltre tale giustificazione testuale dovrà essere definita un uso del testo medesimo e non avrà
l'obbligo di essere coerente con il testo da cui deriva.
In sintesi Eco ammette che il lettore sia attivo ma ne definisce anche i limiti di una giusta
comprensione del testo al di là del quale c'è una cattiva interpretazione del medesimo.

7.1 Problema del significato

Altra questione centrale nella ricerca di Eco è il problema del significato. In sostanza Eco ha
proposto un modello semantico a istruzioni in formato di enciclopedia. La metafora dell'enciclopedia
serve ad Eco per evidenziare la differente struttura interna del modello di sapere da lui utilizzata che si
definisce come una rete di unità culturali tra loro interconnesse.
Il modello ad enciclopedia viene contrapposto a più rigidi modelli semantici a dizionario in cui
ogni significato è semplicemente definito da una serie di unità minime tra loro interdefinite e
autosufficienti (semantica strutturale). Ma il funzionamento del processo cognitivo che porta
all'identificazione del significato è molto più aperta ed è legata all'attivazione di porzioni del sapere
culturale complessivo in ragione delle esigenze contestuali. Il significato è infatti determinato dall'uso
di concetti legati alla nostra generale esperienza o conoscenza del mondo, a stereotipi e strutture
culturalmente predefinite che abbiamo appreso nel tempo e/o da altri testi (competenza intertestuale).
Secondo Eco posti di fronte ad un nuovo fenomeno, attraverso un meccanismo di inferenza
percettiva, noi ci costruiamo dei tipi cognitivi - "privati" o individuali -, mentre sul piano dell'accordo
comunicativo, quindi sul versante intersoggettivo e culturale, ci troviamo di fronte alla elaborazione di
quello che Eco chiama contenuto nucleare, costituito dall'insieme delle diverse interpretazioni e
concezioni dell'oggetto in uso. A queste competenze si può poi aggiungere una conoscenza più
specifica e "professionale" propria solo di alcuni soggetti che Eco chiama contenuto molare.

7.2 Fagocitazione, manipolazione, inferenza

Secondo lo studioso romeno Paul Cornea, la fase cruciale della comprensione di un testo
consiste nella negoziazione del senso, un procedimento che ha lo scopo di mediare tra il repertorio del
lettore e le nuove percezioni di lettura.

Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 17 -


Il lettore integra i significati parziali e provvisori di parole, frasi, capoversi in ipotesi globali da
ulteriormente controllare nella continuazione della lettura.
Il paradosso rilevato da Cornea consiste nella stretta correlazione tra il senso di una parola da
attualizzare nell'occasione specifica e la cornice semantica in cui tale parola si colloca.
Per comprendere la cornice semantica di un enunciato occorre attualizzare determinate aree
semantiche delle parole che contiene e tenerne sotto narcosi altre, ma per capire quali aree semantiche
delle parole occorre attualizzare occorre essere a conoscenza della cornice semantica del testo nel suo
insieme. La comprensione del senso globale e quella del significato particolare vanno di pari passo.
Da queste considerazione osserviamo che:
quando l'attività del lettore è lanciata alla sua velocità massima perché non incontra ostacoli, la
negoziazione del senso è talmente facile e al di fuori del pieno controllo consapevole che non viene
nemmeno percepita come tale;
quando l'attività del lettore viene rallentata, siamo in presenza di difficoltà di lettura, come per
esempio una parola sconosciuta. La lettura può riprendere solo dopo che alla parola in questione viene
(provvisoriamente come sempre) attribuito un significato, o dopo avere consultato un testo, o per
abduzione, per congettura basata sulle opportunità di attivazione di significati plausibili nel co-testo e
nel contesto.
Nei testi fortemente referenziali, "chiusi", tali difficoltà di decodifica possono essere causate
involontariamente dall'autore, oppure da difficoltà lessicali legate a linguaggi settoriali, tecnicismi che
vengono introdotti all'attenzione del lettore. Nei testi non strettamente informativi, più tendenti
all'auto-referenzialità, dal punto di vista dell'autore le difficoltà di decodifica sono calcolate e fanno
parte della strategia dell'autore, che vuole mettere alla prova la capacità o lo stato di attenzione del
lettore.
Sia per il lettore convenzionale, sia per il lettore traduttore, gli atteggiamenti possibili di fronte a
difficoltà sono due:
reazione o rinuncia.
In quest'ultimo caso, di rifiuto della provocazione dell'autore, a farne le spese senza alcuna colpa è
il lettore. Nel caso invece in cui si propenda per affrontare le difficoltà, la negoziazione del senso viene
suddivisa da Cornea in tre procedimenti: fagocitazione, manipolazione simbolica e inferenza multipla.

Fagocitazione: con questo termine si indica un'operazione che potremmo definire


appropriazione dell'altrui, livellamento dell'elemento estraneo ai parametri prevalenti all'interno del
contesto ricevente. Ciò avviene quando il contesto semantico è stato chiarito in un modo che si ritiene
definitivo, oppure alcune unità di senso compiuto sono state individuate e non si desidera metterle in
discussione perché ritenute utili e coerenti con una prospettiva di decodificazione ben precisa.
L'approccio della fagocitazione, in senso generale, fuori dal contesto, potrà apparire livellante e poco
attento alle peculiarità del prototesto.

Manipolazione simbolica. Qui al lettore viene chiesto di non limitarsi all'attualizzazione del
senso primario, superficiale, letterale di un enunciato, ma di scoprire un senso secondario, figurato,
traslato, senso suggerito da una difficoltà di decodifica che richiede un'interpretazione particolare per
dare coerenza al testo nell'insieme.

L'Inferenza multipla è l'operazione consistente nel proporre alcune ipotesi simultaneamente e


concatenate tra loro allo scopo di superare una difficoltà di lettura. Nella negoziazione del senso, però,
che sta alla base delle inferenze, un ruolo fondamentale assumono le valutazioni soggettive, che si
basano su parametri affettivi, legati alle esperienze precedenti del lettore.
Negoziare il senso è «un'operazione molto più complessa di quanto appaia a prima vista:
richiede competenza, flessibilità associativa ed esperienza di lettura (per saper superare le difficoltà) e,
allo stesso tempo, l'adozione di un atteggiamento vigile»circa i propri pregiudizi, circa la propria
ideologia inconscia per controllare le reazioni impulsive e non distaccarsi troppo dal percorso indicato
- ancorché implicitamente - dalla strategia autoriale, sfociando nella decodifica aberrante.
In sintesi Paul Cornea riconoscendola dialettica tra testo e lettore prevede che in alcuni casi il
secondo possa avere difficoltà nel decodificare un testo per cui sceglierà se accettarlo o rinunciare:

Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 18 -


se decide di accettare dovrà attuare una triplice strategia: Fagocitazione (accettazione del termine in
questione), Manipolazione simbolica (cercare di capire il senso di quella parola in quel contesto),
Inferenza multipla (trovare nel suo bagaglio culturale, emotivo e altro qualcosa che lo avvicini al
senso) ad esempio se io trovo la frase “Ei fu, siccome immobile” dovrò scegliere se far rientrare
questa frase nel mio universo semantico-conoscitivo (fagocitazione), poi dovrò manipolare gli
elementi in questione (fu=passato remoto Ei=Egli= chi?) e infine pensare a ciò che nel mio universo
conoscitivo mi permette di comprendere il senso pieno (chi è morto il “5 maggio”? Chi è l'autore di
questo testo?).
Altro esempio è una parola come “Pneumatologico” o “Pericoresi”: devo scegliere se volerlo
inserire nella mia enciclopedia mentale poi decifrarne i contenuti attraverso una manipolazione
simbolica (pneuma=soffio, Spirito?
Pneumatico c'entra qualcosa?; peri=intorno coresi mi fa venire in mente coreografia e quindi i
balletti del saggio del musical) e infine una inferenza multipla (è il professore di Trinitaria che parla
o il mio gommista? Sto a scuola di ballo o sto in un aula?)

7.3 L'abitudine

La memoria delle percezioni passate crea una sorta di banca dati individuale parzialmente
inconscia che però, sebbene a livello subliminale, interviene attivamente per accorpare percetti affini e
sistematizzarli in categorie.
Le interpretazioni cui dà luogo una stringa di testo costituiscono una memoria storica che fa sì
che le percezioni successive di stringhe di testo uguali o analoghe possano essere confrontate e, se è il
caso, assimilate alle percezioni e interpretazioni precedenti.
Il ri-occorrere di tali associazioni è ciò che dà luogo all'abitudine, alla generalizzazione
dell'esperienza e al tentativo di ergere un fascio di esperienze al rango di norma (regolarità):
Le abitudini hanno gradi di forza che variano dalla dissociazione completa all'associazione
inseparabile.
Questi gradi sono un misto di prontezza all'azione, ossia eccitabilità e altri ingredienti che non è
il caso di esaminare separatamente qui.
Il cambiamento d'abitudine consiste spesso nell'innalzare o nell'abbassare la forza di
un'abitudine. Spesso le abitudini differiscono per durata (che analogamente è una qualità
composita).

Per capirci il lettore esperto legge, guidato dall'abitudine interpretativa, grazie alla quale
la sua lettura può procedere spedita seguendo norme generali sulla regolarità, finché non
s'incaglia in qualche zona di testo marcata, in qualche scoglio che richiede una navigazione a
vista, un'attenzione particolare per riuscire ad affrontare le peculiarità estetiche e interpretative
specifiche.
Qui l'abitudine non fa al caso interpretativo del lettore, e quindi occorre sopperirvi con un
fresco impiego di applicazione analitica ad hoc.

Le abitudini, le generalizzazioni non sono un vicolo cieco ma, come gli altri due vertici della
triade, comunicano con ciascuno degli altri elementi (ripensiamo a Peirce). Abbiamo visto che la
percezione istintiva gradualmente porta all'accumulo di esperienza, e che l'accumulo di esperienza a
sua volta porta al costituirsi di abitudini. Ma le abitudini, una volta formate, quando cominciano a dare
luogo a regolarità percettive e a ritmi di lettura più veloci, sono entità statiche?
Le generalizzazioni hanno valore assoluto e permanente?
La risposta è no, e si capisce facilmente perché. L'esperienza e l'abitudine si fondano sulla
possibilità di catalogare le percezioni di lettura e di interpretazione. Tale catalogazione implica una
semplificazione e l'istituzione di una norma (intesa, in senso descrittivo, come caso statisticamente più
frequente, regolarità) e di una serie di modi, di tempi e di quantità di scostamento standard dalla
norma.
L'elemento di novità, il testo marcato, richiama l'attenzione del sistema di lettura vigile il quale,
dopo un tempo di decodifica appesantito dalla difficoltà, finisce per compiere l'atto interpretativo. Al

Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 19 -


termine, l'elemento nuovo è stato letto e interpretato, e il ciclo percezione - esperienza - abitudine si
compie, con la peculiarità che la percezione nuova dà luogo a un'esperienza nuova, alla quale
l'abitudine (vecchia) non è applicabile e deve perciò essere adattata. Da qui scatta il segnale d'allarme
e si ha - per il passo in cui è necessario - la decodifica consapevole, lenta, analitica. A conclusione di
tale esperienza nuova, della decodifica di un testo anomalo, il vertice della triade a cui fa capo
l'abitudine risulta però integrato, arricchito, perché la vecchia abitudine è risultata inadeguata ad
affrontare la nuova esperienza, ed è uscita modificata e rafforzata e ampliata dal confronto. Perciò
il ciclo triangolare dell'acquisizione della conoscenza non ha mai fine.

L'esperienza di un lettore deve essere


molto ricca se si pretende che l'abitudine
consolidata sia relativamente stabile. In un
lettore alle prime armi, la banca dei dati
esperiti è talmente misera che alla prima
novità le sue flebili abitudini ricevono uno
scossone drastico e radicale.

In parole semplici l'abitudine crea nella


nostra mente la capacità di poter affrontare
un testo in maniera molto più scorrevole ma
essa non va vista come qualcosa di statica
ma di dinamica. Ogni volta che affrontiamo
un testo la nostra conoscenza viene a
modificarsi e quindi l'interpretamen viene
modificato (per inferenza).

Ad esempio leggendo un testo di Sacra


Scrittura mi risulterà più agevole la lettura
se conosco i vari personaggi della Bibbia e
magari anche la sua storia, oppure
pensiamo a un ragazzo che entra in chiesa e
si trova un'acquasantiera, non avendo
abitudine a intingere il dito per segnarsi
farà fatica a capire il perchè di
quell'oggetto. Solo l'abitudine gli permetterà che quell'acqua ricorda il passaggio del Mar Rosso, il
Battesimo, etc. etc.

Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 20 -


8. STORIA DEI MEDIA

A partire dalla prima metà del XX secolo, gli studi sulla comunicazione trovano un nuovo
oggetto di studio, i media. (media: lat. plurale di medium, mezzo).
Tracciamo qui di seguito una breve storia dei media:
Ogni nuovo mezzo di comunicazione è accompagnato da importanti cambiamenti sociali. La
specie umana è caratterizzata da sempre dalla facoltà di esprimersi attraverso il linguaggio verbale.

“I media, attraverso i quali gli uomini comunicano, influenzano la loro lingua, il loro modo di
pensare e anche, direttamente e indirettamente, le società in cui essi vivono” (M. Baldini, Storia della
comunicazione, in Dizionario della Comunicazione, Carocci 2009) distinguiamo tre importanti
rivoluzioni nella storia della comunicazione:

rivoluzione chirografica (con l’invenzione della scrittura);


rivoluzione gutenberghiana (con l’invenzione della stampa);
rivoluzione elettrica ed elettronica (dall’invenzione del telegrafo)

e cinque tipi di culture, di età o epoche della comunicazione, che si sono succedute alla luce dei vari
strumenti di comunicazione utilizzati.

o cultura orale o epoca dell’oralità;


o cultura manoscritta (chirografica) o epoca della scrittura;
o cultura tipografica o epoca della stampa;
o cultura dei media elettrici ed elettronici o epoca dei media elettrici ed elettronici.
o cultura dei digital media o epoca dei digital media.

Conseguenze di queste rivoluzioni: rapidità di circolazione delle informazioni e costi sempre più
bassi. Rivoluzioni succedute con ritmi sempre più ristretti.

8.1 Le tappe della comunicazione

In tal modo, ci sembra di poter individuare cinque tappe fondamentali nella storia della
comunicazione:

1. il linguaggio, perfezionatosi come strumento sistematico di trasmissione e scambio di pensieri


complessi all’incirca 40.000-30.000 anni fa;

2. la scrittura, introdotta circa nel IV millennio a.C., tecnologia che introduce la possibilità di
stoccaggio delle informazioni e un certo — sia pure limitato — grado di riproducibilità dei testi e di
comunicazione a distanza;

3. la riproducibilità tecnica, inaugurata dalla stampa, tecnologia di riproduzione della


scrittura databile intorno alla metà del Quattrocento. La riproducibilità tecnica è alla base dello
sfruttamento commerciale dei prodotti culturali e stabilisce, quindi, una delle condizioni essenziali
per l’inizio della fase di commercializzazione della cultura. Tecnologie di riproduzione sono
anche fotografia, cinema e riproduzione del suono comparse o affermatesi nella seconda metà
dell’Ottocento, che consentono di riprodurre esperienze (visione di immagini, fisse o in
movimento, ascolto di suoni) ed avviano, nell’ambito della Rivoluzione Industriale, le prime
industrie culturali Otto-Novecentesche;

4. la telecomunicazione che, con l’invenzione del telegrafo e del telefono, segna la possibilità di
comunicazione “uno a uno” istantanea a distanza. La prima metà del Novecento vede poi la nascita —
con la radio e la televisione — delle possibilità di telecomunicazione dell’esperienza, in un processo
comunicativo “da uno a molti”. Telegrafo e telefono, se influiscono profondamente sulla vita
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individuale e sociale, si riflettono solo in misura limitata nell’organizzazione degli apparati delle
industrie culturali (fatta eccezione per l’informazione, per la quale rappresentano una vera e propria
infrastruttura produttiva). La radio, e quindi la televisione, rispetto alla telecomunicazione “punto a
punto”, rappresentano un’ulteriore svolta comunicativa perché consentono a enormi quantità di
persone di sperimentare la simultaneità senza la necessità di condividere un luogo. Esse danno quindi
origine a un processo comunicativo (la comunicazione di massa) di tipo nuovo e fanno capo ad
apparati organizzativi e a modelli industriali ed economici di tipo inedito;

5. l’informatica, la telematica e l’adozione del codice digitale per la trasmissione e lo


stoccaggio dell’informazione, tecnologie che caratterizzano la fine del Novecento e gli inizi del
terzo millennio.

Le diverse tecnologie della comunicazione sono accomunate dalla funzione di permettere lo


scambio e la trasmissione attraverso lo spazio e il tempo. Grazie ad esse individui dislocati sul
territorio a distanze più o meno grandi possono:

o collegarsi fra loro ed accedere a contenuti relativi al passato (nelle forme della tradizione) e
al futuro (nelle forme della previsione);
o mettere “in comune” una quantità sempre crescente d’informazioni, sentimenti, emozioni,
pensieri;
o eliminare progressivamente i limiti spaziali e temporali;
o generalizzare le occasioni di uso e di scambio dei significati, in una rete comunicativa via via
più fitta, capillare e diversificata. La conseguenza più vistosa è quella di far circolare le
informazioni a una velocità sempre maggiore, a costi sempre minori.

Notevole è, poi, l’accelerazione dei tempi intercorrenti fra le introduzioni di nuove tecnologie
comunicative. Mentre tra i primi tentativi alfabetici e l’alfabeto latino passano circa cinquemila anni
— e altrettanti ne trascorrono dall’invenzione della scrittura a quella della stampa — tra l’invenzione
della stampa e i media elettrici non intercorrono neppure quattro secoli, mentre il passaggio dal
telegrafo al World Wide Web richiede soltanto circa 150 anni.

8.2 Oralità

Gli ominidi, che ancora non hanno conquistato la posizione eretta, comunicano in genere seguendo
l’istinto e i fattori ereditari. In questo stadio il comportamento comunicativo che dipende
dall’apprendimento è molto limitato.
Attraverso il linguaggio, l’uomo imposta l’esistenza in modo da difendersi e da organizzare
l’attività della caccia.
Con il passare dei secoli diventa capace di immagazzinare e trasmettere ai suoi successori le
tecniche di sopravvivenza e, a partire dal 10.000 a.C. circa, impara a praticare l’agricoltura.
La capacità di usare il linguaggio consente all’esistenza umana di fare passi da gigante. Parole, numeri
e altri simboli, unitamente alle regole del linguaggio e della logica, mettono gli esseri umani nella
condizione di affrontare il loro ambiente fisico e sociale in modi assolutamente non realizzabili nella
precedente età dei segni e dei segnali.
Attraverso la padronanza dei sistemi simbolici gli individui possono operare classificazioni,
astrazioni, analisi, sintesi e ipotesi. Possono, inoltre, ricordare, trasmettere, ricevere e comprendere
messaggi di lunghezza, complessità e finezza molto superiori a quelli consentiti dalle prime forme di
comunicazione.
Dalle pitture rupestri che caratterizzano l’era della parola e del linguaggio, si passa, con lo
scorrere dei secoli, alle immagini pittografiche. Spinti dalle necessità connesse all’attività agricola, dal
bisogno di registrare i confini delle proprie terre e dal progredire degli scambi commerciali, gli uomini
cercano il modo per standardizzare i significati delle immagini. Intorno al 4000 a.C., in Egitto e in
Mesopotamia, compaiono iscrizioni che è possibile associare a significati che, con il passare del
tempo, diventano sempre più standardizzati e codificati.

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8.2.1 Oralità e memoria

In una cultura orale primaria per esprimere e far conoscere agli altri pensieri e stati emotivi non
esistono altri mezzi che il linguaggio, principio convenzionale - socialmente introiettato - che vincola in
modo univoco contenuti e suoni.
Il patrimonio di conoscenze è soggetto a pesanti limiti: ha un breve raggio spaziale, ammette
uditori limitati e non assicura permanenza ai contenuti. Una cultura che non conosce la scrittura e non
possiede documenti si fonda esclusivamente sulla memoria: gli uomini sanno solo ciò che ricordano e
le conoscenze vengono trasmesse con il solo strumento della voce. In tale ambito la relazione con le
parole è profondamente diversa dalla nostra: le parole non hanno una presenza visiva, ma sono
soltanto suoni che si possono “richiamare”, ricordare. Pertanto in questa fase, per la trasmissione delle
conoscenze, tra i sensi umani, l’udito è il più importante: l’uomo è più auditivo che visivo.
In una cultura in cui non esistono testi scritti — né a mano né stampati — il sapere deve essere
organizzato in espressioni verbali essenziali, in modo da essere facilmente memorizzato e trasmesso
attraverso formule, frasi fatte, proverbi, massime. Queste ultime, per quanto reperibili ancora in opere
a stampa, nelle culture orali non sono occasionali, ma costituiscono e formano la sostanza di un
pensiero che senza di loro non può avere durata. Nella cultura orale il pensiero nasce, quindi,
all’interno di schemi a grande contenuto ritmico, si struttura in ripetizioni e antitesi, in allitterazioni e
assonanze, in epiteti ed espressioni formulaiche, in temi standard, in proverbi, in versi o in una prosa
molto ritmica, in quanto il ritmo — con il suo legame con il processo respiratorio, i gesti e la
simmetria bilaterale del corpo umano — aiuta la memoria anche da un punto di vista fisiologico. In
altre parole il pensiero è intrecciato ai sistemi mnemonici, che ne determinano anche la sintassi.
Pensare in termini non formulaici, non mnemonici, se anche fosse possibile, in questo ambito sarebbe
inutile, poiché il pensiero non potrebbe poi essere ricordato. Nelle culture orali primarie, dunque, la
memoria — che è la custode dell’intero sapere — occupa un ruolo centrale tra i poteri della mente e i
sapienti sono coloro che posseggono una memoria di ferro.

8.2.2 La cultura orale

L’universo culturale e comunicativo delle società dell’oralità primaria presenta alcune caratteristiche
di fondo.
Cerchiamo di enucleare le più importanti:
1. primato dell’udito: l’udito è il senso attraverso il quale l’uomo viene in contatto con l’intero
sapere della sua cultura. L’uomo biblico, ad esempio, è per antonomasia l’uomo dell’ascolto. Dio si
manifesta nella parola ed ascoltare e credere costituiscono quasi uno stesso atto;
2. sintesi e atemporalità: il mondo orale ha una scarsa capacità di sezionamento analitico, non
conosce divisioni e sequenze e non discrimina sull’asse temporale. Comprende, invece, eventi e
sentimenti in uno sguardo d’insieme, in un presente multiforme, sganciato dal passato e imprevidente
sul futuro;
3. ascolto partecipativo: l’uomo della cultura orale tende sempre ad una partecipazione empatica
e ad un’immedesimazione totale con ciò che ascolta. Il piacere è una condizione del suo ascolto e del
suo apprendimento: ascolta con pienezza di sensi ed è disposto a lasciarsi coinvolgere emotivamente;
4. ridondanza: l’espressione orale deve essere ridondante poiché la ripetizione serve a mantenere
l’oratore e l’ascoltatore sull’argomento e sul tracciato dell’argomentazione. Se si “perde il filo” non si
può tornare indietro a “rileggere”: bisogna ripetere. La ridondanza è, inoltre, incoraggiata
dall’esigenza dell’oratore di continuare a parlare mentre pensa (è meglio ripetersi con abilità, piuttosto
che, mentre si va in cerca di idee e argomenti, smettere di parlare). Infine, la ridondanza è favorita
anche dalle condizioni fisiche dell’espressione orale, soprattutto se si è dinanzi ad un pubblico
numeroso. Per problemi acustici o di comprensione, non tutti capiscono ogni parola dell’oratore.
Risulta, allora, vantaggioso ripetere lo stesso concetto due o tre volte;
5. costruzione paratattica: il pensiero e i processi comunicativi delle culture orali sono
caratterizzati da uno stile paratattico, cioè da una costruzione del periodo essenzialmente fondata sulla
coordinazione e sulla mancanza di connettivi logici (“quando”, “allora”, “mentre”, “così”)

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caratteristici del flusso narrativo contraddistinto dalla subordinazione analitica e ragionata tipica della
scrittura;
6. tono agonistico: le produzioni verbali di una società dell’oralità primaria sono centrate, in
genere, su dinamiche agonistiche. In queste culture, i proverbi e gli indovinelli, oltre che per
immagazzinare conoscenza, vengono usati anche per impegnare gli interlocutori in una battaglia
intellettuale e verbale: pronunciare un proverbio o un indovinello significa sfidare gli ascoltatori a
rispondere con un altro più appropriato o con uno che lo contraddica. In una cultura orale la
comunicazione è caratterizzata, inoltre, dallo scontro verbale. Il vantarsi del proprio coraggio e/o il
sarcasmo nei confronti del nemico ricorrono regolarmente nella narrativa orale; ne troviamo tracce
nell’Iliade o nella Bibbia;
7. primato del presente: nelle culture orali si tende ad eliminare, fra le cose da memorizzare —
con dispendio di tempo, fatica ed esercizio — tutto ciò che non ha rilievo per il presente. L’interesse
per il passato è sempre subordinato alle esigenze attuali, ragion per cui le parti sgradite o non più
attuali del passato sono presto dimenticate. Anche a livello linguistico, sopravvivono solo le parole di
uso quotidiano. I termini arcaici rimangono in circolazione solo se entrano a far parte del vocabolario
specializzato dei poeti e solo fin quando vengono da essi usati quasi quotidianamente;
8. pensiero situazionale: in una cultura orale non si può pensare in termini di figure geometriche,
categorie astratte, logica formale, definizioni o anche descrizioni inclusive o auto-analisi articolate —
che derivano da un pensiero condizionato dalla scrittura — ma solo secondo situazioni pratiche.
Anche le regole legali non vengono mai presentate in enunciati universali, in principi generali, ma
attraverso la creazione di una situazione esistenziale concreta. In altre parole, non “l’assassinio è un
crimine punibile con la pena di morte”, ma “se un uomo uccide un altro uomo, sarà a sua volta ucciso”
oppure, nei contesti religiosi, “tu non ucciderai”, dove la norma etica è rivolta ai destinatari sotto
forma di un comandamento personalizzato della divinità;
9. tradizionalismo e conservazione: le società a cultura orale sono chiuse, fortemente
conservatrici e tradizionali: la critica, il miglioramento o l’innovazione non vengono favoriti, ma
guardati con diffidenza e contrastati. I processi comunicativi sono tra i principali motivi di questa
propensione alla difesa della tradizione. In una cultura a oralità primaria, infatti, bisogna investire
molta energia nel ripetere più volte ciò che viene faticosamente acquisito nel corso dei secoli. La
società tiene in gran considerazione i vecchi saggi che si specializzano nel conservare la conoscenza,
che conoscono e possono raccontare le storie del passato. Ciò crea una mentalità altamente
tradizionalista e conservatrice. Soltanto la scrittura, e ancor più la stampa, immagazzinando la
conoscenza e disimpegnando energia dalla sua conservazione mnemonica, possono consentire la
libertà necessaria alla sperimentazione intellettuale.

8.3 La scrittura

La scrittura cuneiforme sumerica, la prima tra quelle conosciute, appare nel 3500 a.C. circa, in
Mesopotamia. Dopo i Sumeri, gli Egizi inventano il loro sistema di scrittura intorno al 3000 a.C. e i
cinesi nel 1500 a.C. circa. La scrittura cuneiforme potrebbe derivare almeno in parte da un sistema di
registrazione delle operazioni economiche tramite oggetti simbolici di argilla, racchiusi in piccole
capsule cave, dette anche bullae, che recano all’esterno intaccature corrispondenti agli oggetti
contenuti al loro interno. Essa si evolve, poi, attraverso le fasi del pittogramma (che adopera per la
scrittura il simbolo stilizzato di un’immagine: ad esempio quella del “Sole” per indicare il “Sole”),
dell’ideogramma (in cui il simbolo rappresenta un’idea, come negli attuali cartelli stradali) e del
fonogramma (in cui i segni rappresentano suoni), accentuando l’elemento fonetico a discapito
dell’elemento figurativo. Con il passare dei secoli, inoltre, si semplifica passando dai 1200 caratteri
della fase iniziale ai 500 circa nel 2000 a.C. Il cuneiforme - nato nella Babilonia meridionale, nel Sud
dell’attuale Irak — si diffonde lentamente in tutta l’area della Mezzaluna Fertile; alla fine del XV
secolo a.C. conquista l’Egitto e nel IX secolo a.C. è adottato dagli Urartei. Col passare del tempo
diviene la scrittura della corrispondenza internazionale, tanto che tavolette cuneiformi vengono
ritrovate anche in Transilvania.
Intorno al 3000 a.C. gli Egizi danno vita anch’essi a un sistema di scrittura a immagini —
chiamato dai Greci geroglifica (scrittura sacra incisa) — usato nelle iscrizioni religiose e

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monumentali. Successivamente sviluppano altri due stili di scrittura a immagini: la ieratica e la
demotica. Inoltre per primi usano in combinazione inchiostro liquido, penna e carta come strumenti di
scrittura. Per scrivere adoperano, infatti, penne ricavate dal gambo di un giunco masticato o martellato
ad un’estremità, in modo da trattenere una quantità di inchiostro (ottenuto mescolando fuliggine fine
con acqua e colla) sufficiente per scrivere un certo numero di segni. Un’innovazione ancora oggi alla
base della maggior parte delle comunicazioni manoscritte.
Intorno alla metà del secondo millennio avanti Cristo, quindi, nel bacino orientale del
Mediterraneo vengono utilizzati diversi tipi di scrittura: la cuneiforme in Asia; la geroglifica, nella
variante corsiva dello ieratico, in Egitto; la lineare A a Creta e la “pseudo-geroglifico ittita”, che va
affermandosi in Anatolia a fianco della scrittura cuneiforme. Il mondo semitico-occidentale, invece,
non possiede ancora una scrittura sua propria.

8.3.1 L’alfabeto

Nei secoli XV e XIV a.C. i Fenici, popolo dedito al commercio insediato sulle coste della Siria,
introducono una nuova forma di scrittura, dalla quale derivano tutti gli alfabeti del mondo.
I precedenti sistemi di scrittura associano un segno a ogni suono (c’è, ad esempio, un segno per il
“ka”, uno diverso per il “ke” un altro per il “ki” e così via per il “ko” e per il “ku”) ma, essendo enorme
il numero dei suoni, il derivante sistema di segni risulta di difficile memorizzazione e poco maneggevole
da usare. I Fenici raggruppano le sillabe in “serie”, associandovi un segno che indica un denominatore
comune: ad esempio i cinque componenti della serie “ka-ke-ki-ko-ku” sono tutti rappresentati dal segno
k, la “consonante” iniziale della serie.
Questo sistema di scrittura — definito in seguito “sillabario senza vocali” — pone le basi per il
riconoscimento della consonante come elemento teoricamente distintivo del linguaggio. Il nuovo
“alfabeto” risulta così composto da un numero di segni limitato e pertanto di facile memorizzazione.
Quella che rimane difficoltosa è la lettura, che presuppone che la parola vada — in qualche modo —
“indovinata” a partire dagli “indizi” forniti dalle consonanti. Anche se le grammatiche delle lingue
semitiche facilitano il compito, la lettura necessita sempre di buona conoscenza della lingua e grande
familiarità con i testi. Questi alfabeti possono essere quindi utilizzati efficacemente soltanto da chi è in
grado di inferire il suono della parola grazie alla conoscenza della lingua.
Mentre i sillabari presemitici cercano di rendere in modo esauriente tutti i fonemi — e
perseguendo tale obiettivo, moltiplicano i segni sillabici al punto da rendere il loro utilizzo
estremamente difficoltoso — i sillabari semitici privi di vocalizzazione (fra cui anche l’aramaico e
l’ebraico) contengono il numero dei segni entro una cifra oscillante fra i venti e i trenta, rendendoli
però suscettibili di un doppio o triplo impiego. L’economia realizzata si ottiene, quindi, a prezzo di
una forte ambiguità.
L’alfabeto fenicio viene ripreso più tardi dai Greci che, in un’epoca non anteriore alla metà del
VII secolo a.C., vi introducono significative modificazioni, consistenti essenzialmente nello sciogliere
la sillaba nelle sue (due o più) componenti foniche astratte e nello scomporre il suono in particelle
elementari — le consonanti e le vocali — componendo una serie di venticinque segni (comprendendo
le aspirate) capaci di una efficienza fonetica nettamente superiore a quella di tutti gli altri sistemi di
scrittura esistenti.
L’alfabeto greco riesce, così, a soddisfare contemporaneamente tutte le esigenze di trascrizione della
lingua, cioè:
1. rendere tutti i fonemi in modo esauriente;
2. contenere il numero dei segni entro una cifra oscillante fra i venti e i trenta;
3. attribuire ai segni un’identità fonica definita e invariabile.
Il nuovo alfabeto è, quindi, un sistema di scrittura capace di rispettare la complessità e la
ricchezza del linguaggio quotidiano e, mentre consente di descrivere adeguatamente l’esperienza
umana, nello stesso tempo è in grado di rendere conto della dialettica delle idee. Di conseguenza
favorisce il sorgere del pensiero critico.
Può essere definito democratico — perché consente finalmente a tutti, addirittura anche ai
bambini piccoli, di imparare a leggere e a scrivere senza molta difficoltà — e internazionalista, perché
può essere usato per scrivere o leggere qualsiasi lingua.

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Attraverso l’etrusco, l’alfabeto greco arriva ai Romani, che ulteriormente lo semplificano
(eliminando la differenziazione fra epsilon ed eta e fra omicron e omega) e lo diffondono come lo
strumento più semplice e completo di trascrizione del suono. La scrittura alfabetica è fra le condizioni
che permettono lo svilupparsi di una struttura sociale e politica estremamente articolata e la sua
semplicità apre ad un notevole numero di persone l’accesso alla cultura scritta.
Con l’espandersi dell’Impero Romano, la diffusione dell’alfabeto si allarga alla maggior parte
del mondo. Il successivo sviluppo storico di questo sistema di scrittura — condizionato spesso da
ragioni contingenti, come l’adozione di grafie concepite per altre lingue o l’intervento di mutamenti
linguistici non seguiti da adeguamenti grafici — fa sì che il rapporto tra fono e segno sia non di rado
impreciso nelle grafie storiche. L’alfabeto latino è, quindi, utilizzato ancor oggi, con qualche
modifica, dalla maggior parte del mondo ma, allo stesso segno — in base alle differenti lingue —
corrisponde una differente pronuncia.

8.3.2 L’uomo chirografico

Con la scrittura, dal pensiero orale (associativo e paratattico) e dal primato del campo uditivo — che
privilegia la simultaneità — si passa lentamente al pensiero analitico e al primato del campo visivo, che
privilegia la sequenzialità. Questo processo — lungo, lento e complesso — è caratterizzato da una serie di
cambiamenti:
la decadenza del primato dell’udito: nella trasmissione del sapere la supremazia dell’udito
sulla vista si attenua, ma l’orecchio conserva ancora, nei processi di comunicazione, un certo primato.
La lettura è una attività solo in parte visiva, in quanto, anche in privato, si svolge perlopiù ad alta
voce. I libri manoscritti sono pieni di abbreviazioni, la separazione tra le parole è praticamente
sconosciuta, esistono pochissimi segni di interpunzione, l’ortografia non è fissa e la grammatica è
imprecisa. Come accade anche a noi, quando ci imbattiamo in un passo di cui non riusciamo a
cogliere il senso ad una prima lettura silenziosa, l’uomo dell’antichità e del Medioevo legge
chiedendo costantemente aiuto alle orecchie, perché riesce a decifrare il senso dei testi solo unendo la
vista all’udito;
la frantumazione dell’esperienza: l’alfabeto fonetico crea una qualità dell’esperienza in cui a
segni astratti vengono associati arbitrariamente suoni che, isolatamente, sono privi di significato. Ciò
conduce alla formazione di una mentalità nella quale diviene possibile la frammentazione di ogni tipo
di esperienza in unità uniformi, come anche identificare, staccare e isolare delle unità, per poi
ricombinarle;
la temporalità: l’astrazione concettuale, unita alle capacità combinatorie necessarie a
maneggiare la nuova tecnologia di comunicazione, rende operativi — nella disciplina che regola la
successione combinatoria delle unità — i nessi temporali: il passato condiziona il presente e ipotizza il
futuro. Il tempo diventa, così, una variabile essenziale: scandisce l’ordine delle operazioni e si rivela
come l’elemento e il principio che modella le forme dell’espressione attraverso l’ordine stabilito dalla
sequenza;
la possibilità della scelta: poiché, pur seguendo le regole di combinazione, con l’alfabeto è
possibile comporre più sequenze diverse; l’analisi e la combinazione presuppongono anche la scelta:
si acuisce, così, la consapevolezza di diverse alternative possibili e se ne estende il campo;
la nascita dell’Io: l’uomo dell’oralità non è in grado di fornire un’autoanalisi articolata, né è in
grado di uscire dal pensiero situazionale e di isolare il proprio Io dal mondo delle esperienze vissute in
modo da oggettivarle, esaminarle e descriverle. Le moderne riflessioni sull’Io e sull’autocoscienza
sono una conseguenza dell’interiorizzazione della scrittura (e successivamente della stampa): il
concetto di “Io” nasce solo quando la parola si separa dalla persona che la pronuncia, così che
quest’ultima — divenuta la “fonte del linguaggio” —comincia ad assumere rilievo e identità.

8.3.3 La cultura chirografica

L’invenzione della scrittura cambia, quindi, lentamente il modo di pensare e di parlare degli
uomini e influenza anche le istituzioni politiche ed educative. Le caratteristiche della cultura
chirografica possono essere sinteticamente così individuate:
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decadenza della funzione della memoria: la cultura chirografica impara a fare a meno della
memoria. La scrittura e il libro liberano l’uomo dal dovere di memorizzare il sapere. Lo scritto è, di
fatto, una memoria artificiale, una “protesi” della mente che consente alla mente stessa di dedicarsi a
compiti più creativi. Già all’inizio del IV secolo a.C. gli intellettuali alfabetizzati cominciano a coltivare
l’arte della memoria come una tecnica utile, ma accessoria.
Questa linea di tendenza si accentuerà ancora di più nella cultura tipografica, quando la memoria
non sarà più il requisito fondamentale del sapiente e non verrà più né educata, né esercitata;
decadenza della formulaica: nelle culture orali il pensiero e le produzioni verbali sono
caratterizzate da un succedersi di formule fisse che ritroviamo. In altre parole, ad essi non è richiesta
originalità, quanto piuttosto abilità nel connettere e nell’eseguire brani familiari. Questa figura di poeta
entra lentamente in crisi con l’introduzione della scrittura.
Nella cultura manoscritta inizia a evidenziarsi l’individualità di un “autore”, cui si apre la
possibilità di una espressione “originale”;
la scrittura “riflette” sulla parola: la separazione fra la parola e la persona che la pronuncia
dà autonomia anche alla parola stessa e al discorso, che può diventare così “oggetto” di riflessione e di
studio, in modo da enuclearne e organizzarne i “principi” e i costituenti. Divengono così possibili un
ordine, un controllo, un’organizzazione del discorso, impensabili in tempi di oralità, e diviene altresì
possibile specificare tecniche dell’esposizione e di programmazione degli “effetti” del discorso. Nasce
la retorica classica che è, infatti, la più antica delle discipline concernenti il linguaggio ed anche la
prima tecnica comunicativa formalizzata;
sviluppo del pensiero astratto e analitico: la comunicazione si affida all’efficacia di criteri
costitutivi concettuali; la combinatoria alfabetica associa arbitrariamente segni astratti ai suoni
effettivamente pronunciati, così come la moneta (più o meno coevi all’alfabeto greco sono le prime
monetazioni) associa un valore a un oggetto materiale. L’astrazione dei nuovi principi identifica,
stacca e isola delle unità per poi ricombinarle. L’astrazione concettuale unita alle capacità
combinatorie, necessarie a maneggiare i nuovi strumenti, moltiplica la loro capacità generativa.
Inoltre, le verbalizzazioni della cultura manoscritta si distaccano, a poco a poco, dall’esperienza
vissuta.
Mentre in una cultura orale apprendimento e conoscenza presuppongono il rapporto personale e
una sintonia stretta, empatica fra allievo e maestro, la scrittura separa chi conosce da ciò che viene
conosciuto, stabilendo così le condizioni per l’oggettività e il distacco personale.
Nella cultura chirografica gli uomini imparano ad usare una sintassi logica ed a manipolare
enunciati teorici generali, invece di enunciati relativi a una situazione esistenziale concreta. Dove gli
uomini dell’oralità vedevano situazioni, gli uomini della cultura chirografica imparano a vedere
princìpi.
Trasportabilità del messaggio nello spazio e nel tempo.
La scrittura diviene un mezzo della comunicazione diplomatica, politica, amministrativa.
Trasmettere ordini e istruzioni scritte è un sistema che offre maggiori garanzie di fedeltà rispetto alla
comunicazione orale, perché il messaggio non corre il rischio di essere modificato dal “messaggero”,
è suscettibile di controllo oggettivo e, infine, può essere consultato nuovamente ogni qualvolta si
ritenga necessario o opportuno. Le caratteristiche della scrittura rendono possibili;
la comunicazione “in absentia”: con la scrittura la parola si separa dalla persona che la
pronuncia. Si possono verificare, così, forme di comunicazione in assenza del parlante. “Colui che
parla” può essere lontano nello spazio o nel tempo da colui che raccoglie il suo messaggio;
la conservazione del passato: nella cultura chirografica è possibile conservare la memoria degli
avvenimenti nei documenti, per cui il passato — anche quello che non è più utile per il presente — viene
conservato. La nozione dello scorrere del tempo storico e la possibilità della storiografia cominciano con la
scrittura. Inoltre, la cultura manoscritta consente l’arricchimento del lessico, grazie alla possibilità di
conservare memoria di quelle parole che escono dal traffico quotidiano delle produzioni;
la trasmissione e l’interpretazione: la possibilità di rileggere quanto si è scritto e di scoprirne
gli aspetti nuovi — poiché ogni uomo di scienza (ma anche ogni scrittore) mette molte più cose nelle
scoperte che fa (o nelle opere che scrive) di quante ne abbia immediata coscienza — è legata
essenzialmente alla scrittura; così come legata alla scrittura è la possibilità di tramandare le proprie

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opere ai posteri che, a loro volta, possono interpretare quanto leggono e scoprirne letture e indicazioni
delle quali lo stesso autore non era, o non poteva essere, consapevole.
La “fissazione” del discorso su un supporto e la possibilità di trasportare questo supporto nello
spazio e nel tempo, favorisce la nascita di forme di scambio e di commercio. Possiamo così assistere
ad alcune forme di:
creazione di un mercato della parola scritta: la parola scritta può essere mercificata, cioè
trasformata in una merce da vendere e acquistare sul mercato. Tracce di un commercio librario
risalgono alla metà del IV secolo d.C. in Grecia, si ritrovano a Roma, e si distinguono più forti tra la
fine dell’XI e l’inizio del XII secolo, in seguito alla rinascita delle città.

8.4 Tecnologie della riproduzione: la stampa

La stampa consente, con un procedimento meccanico, di riprodurre testi, disegni e altre forme
segniche in un numero di copie illimitato, partendo da un’unica matrice.
Il più antico metodo di stampa, la xilografia — ancora oggi in uso per la stampa artistica — si
afferma nel Trecento. La tecnica xilografica nasce probabilmente in Estremo Oriente, in Cina.
La tecnica utilizza una tavoletta incisa a rovescio per fungere da matrice: inchiostrata nelle parti
a rilievo, essa è lo strumento necessario per riprodurre l’immagine, attraverso l’operazione di
pressatura, su vari supporti: foglie di papiro, pergamena, tessuti e carta.
La stampa a caratteri mobili è il risultato di costanti ricerche condotte nelle officine di tutta
l’Europa in epoca rinascimentale, ma è passata alla storia come invenzione dell’orefice e incisore
tedesco Johann Genfleisch (1394/1399 ca-1468) detto Gutenberg dal paese di origine dei genitori. La
sua tecnica di stampa può essere ridotta sinteticamente al sistema punzone-matrice-carattere-torchio. Per
riprodurre meccanicamente lettere e segni, Gutenberg utilizza le tecniche d’incisione già note e due
strumenti di origini antichissime: il punzone e il torchio.
Uno dei motivi della progressiva differenziazione dei libri a stampa dai manoscritti è da
ricercarsi nella concorrenza tra gli editori per conquistarsi fette di pubblico. I manoscritti, infatti, non
tengono conto dei lettori, ma dei produttori: le abbreviazioni sono pensate per alleviare la fatica dei
copisti e non per facilitare il lavoro di chi legge. Con il nuovo metodo tipografico, la pagina viene
sottomessa a un ordine formale — definizione dei margini, allineamento delle righe, regolarità delle
lettere, disposizione delle maiuscole — che assume, invece, come punto di riferimento l’occhio del
lettore impegnato a scorrere le righe.
Alle decorazioni e alle preziosità della pagina manoscritta — che gratificano l’occhio che
guarda, ma penalizzano quello che si muove nella lettura — subentra la semplificata regolarità della
pagina stampata che agevola la lavorazione tipografica e riduce la fatica di leggere. Gli stampatori
producono, quindi, testi più leggibili, più facili da consultare, più corretti.
La stampa introduce, poi, alcune delle caratteristiche che sono per noi distintive dell’“oggetto–
libro”. La prima ad affermarsi è il frontespizio, che per noi lettori moderni rappresenta lo “stato civile”
dell’opera, una sorta di carta d’identità del libro che contiene le informazioni relative all’apparato che lo ha
prodotto: il produttore intellettuale (l’autore), il produttore commerciale (l’editore), il titolo dell’opera, il
luogo di edizione e la data di pubblicazione.

8.4.1 Autori e lettori

Il libro — nel suo doppio aspetto di prodotto culturale e merce — è l’elemento centrale sia del
processo comunicativo autore-editore-lettore, sia del processo commerciale attivato dall’apparato
della stampa. In particolare le figure dell’autore e del lettore, in seguito alla rivoluzione tipografica,
subiscono cambiamenti che meritano un esame attento e analitico:
1. Emerge la figura dell’autore:
Nella fase iniziale della storia della stampa, la figura dell’autore è pressoché assente: i testi sono
spesso opere di autori classici, scritti devozionali o di carattere commerciale di cui di solito l’autore è
anonimo. In breve tempo, però, la figura dell’“autore” diventa una componente essenziale del libro (fa
parte dell’identità del testo, funge da elemento di classificazione dei testi stessi) e del processo
comunicativo che il libro mette in atto.

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2. L’originalità diviene un valore
Le nuove modalità di pubblicazione dei testi della cultura tipografica fanno sì che, per gli
uomini della cultura tipografica, un autore sia tanto più degno di ammirazione quanto più è originale.
La creatività e l’innovazione diventano caratteristiche apprezzate nell’“autore”.

3. La parola diviene una merce, il plagio un reato


Nell’età del manoscritto copiare e mettere in circolazione l’opera di un altro può essere
considerato un atto meritorio. Nell’età della stampa lo stesso atto comincia ad assumere il carattere
di una infrazione, che può dar adito a una causa legale e alla richiesta del risarcimento dei danni. Il
plagio diviene un reato e si istituzionalizza l’uso della citazione della fonte, quando si usa un testo
altrui. La paternità letteraria individuale si fa strada e si afferma anche grazie al fatto che la stampa
rende la parola una merce tra le altre merci e crea un senso tutto nuovo della “proprietà” privata
delle parole.
4. La lettura si fa silenziosa
Nell’antichità e nel Medioevo, la gente legge non solo con gli occhi, ma anche con le labbra,
pronunciando quello che gli occhi vedono, e ascoltando le parole pronunciate. Sant’Agostino, nelle
Confessioni, cita come un fatto decisamente insolito che Sant’Ambrogio sia in grado di leggere
silenziosamente. Grazie alla normalizzazione dei testi resa possibile con la stampa, diviene più facile
leggere silenziosamente. Divenendo silenziosa, la lettura si fa privata; divenendo privata, si fa
silenziosa.
5. La lettura si fa estensiva
Sul finire del Settecento dalla lettura intensiva si passa alla lettura estensiva. Sino alla metà del
Settecento, in genere, gli uomini possiedono ben pochi libri: la Bibbia, qualche almanacco e qualche
operetta devozionale. Si pratica, quindi, una continua rilettura degli stessi testi: attenta, riverente,
iterativa. Ma fra Settecento e Ottocento — quando diviene possibile accedere a un numero crescente
di testi stampati — la lettura si fa estensiva. Il buon lettore non è più quello che conosce a fondo pochi
testi, ma quello che conosce più testi.
6. La lettura diviene un fatto privato
Con la stampa la lettura diventa un fatto interiore: un atto di devozione (per lungo tempo la
produzione è costituita principalmente da libri d’ore o di argomento religioso) un piacere o un
passatempo. Diminuendo la pratica della lettura collettiva ad alta voce, il pubblico diviene sempre più
atomizzato, individualistico, disperso.
7. La lettura diviene per molti
Fino alla fine del Seicento, tempo libero e capacità di leggere e scrivere sono solitamente
limitati agli studiosi e ai “gentiluomini”; solo nel Settecento il ceto medio dei mercanti e
specialmente le donne cominciano ad acquisire il gusto della lettura. In seguito, il processo di
allargamento del numero dei lettori si amplia ed accelera e viene favorito dalle trasformazioni
sociali legate alla prima Rivoluzione Industriale che rende “cittadini” anche masse enormi
d’individui provenienti dalle campagne. Questi, nel processo di urbanizzazione, perdono la loro
originaria identità e il senso di appartenenza ad una comunità e cercano nella lettura strumenti per
acculturarsi, riconoscersi ed elaborare una nuova cultura. In questo complicato processo, in cui
ogni fattore è, al tempo stesso, causa ed effetto di cambiamenti sociali, l’alfabetizzazione è da
considerarsi tanto un effetto, quanto una causa della diffusione e dell’affermazione della stampa e
dei suoi prodotti.
8. Il pubblico è il nuovo mecenate
Il mecenatismo letterario esercita un ruolo centrale nella storia della cultura, passando dalle
mani dei re e della Chiesa — nel Trecento e Quattrocento — a quelle di una più ampia cerchia di
aristocratici, nel Cinquecento, e a mecenati appartenenti al mondo della politica nel Seicento. Dopo
tale secolo il mecenatismo finisce per trasformarsi nella semplice dedica al personaggio dal quale
l’autore avrebbe ricevuto un compenso. Per tutto il Settecento gli autori, anche se percepiscono un
compenso dai loro editori, se ne vergognano e cercano di far passare sotto silenzio la cosa. Molti tra
loro, Voltaire in testa, si schierano pubblicamente contro quella “sciagurata specie che scrive per
vivere”. Tuttavia a partire dalla metà del Settecento editori e librai raccolgono l’eredità dei mecenati.

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Da questo momento la sopravvivenza dell’autore è legata ai capricci del mercato. Il pubblico, a poco a
poco, diviene per lo scrittore il nuovo protettore da conquistare.

8.4.2 L’uomo tipografico

Marshall McLuhan in The Gutenberg Galaxy. The Making of the Tipografic Man sostiene che
l’invenzione della stampa determini cambiamenti così profondi nel modo di conservare e trasmettere le
informazioni e nel modo stesso di pensare dell’uomo, che si può parlare della nascita di un uomo nuovo:
l’uomo tipografico.
Con la stampa, i tratti caratteristici della cultura chirografica subiscono una vistosa
accentuazione e, ad essi, se ne aggiungono di nuovi. Questi, schematicamente, gli aspetti della nuova
cultura tipografica:
1. Vittoria dell’occhio sull’orecchio: Se la pratica della lettura collettiva ad alta voce rimane
socialmente viva fino ad Ottocento inoltrato, la scrittura e ancor più la stampa abituano l’uomo a
guardare diversamente. Gli occhi non esplorano più le immagini un pezzo alla volta, ma mettono a
fuoco prima una visione d’insieme. Il processo di lettura, infatti, a partire dalle origini sumere della
scrittura, si basa principalmente sull’inferire la parola, in base alla conoscenza della lingua e grazie
alle sue caratteristiche di ridondanza: quel processo per cui riconosco, in una serie di consonanti come
prbblmnt, l’avverbio “probabilmente”;
2. Frantumazione dell’esperienza: L’alfabeto fonetico crea una qualità dell’esperienza
frantumata in unità uniformi. I caratteri mobili introducono il principio dei “pezzi intercambiabili”,
fondamento tecnico di ogni moderna produzione in serie. Nel processo produttivo della stampa, il
“testo” è diviso in “pagine” che perdono l’ordine originario (legato al processo di produzione di
senso), per acquistarne un altro, relativo al criterio detto segnatura. Esse vengono, cioè, organizzate in
modo da poter essere stampate su grandi fogli interi di carta che, a seconda del formato del libro o
dello stampato (quartino, ottavo, sedicesimo, trentaduesimo), conterranno 4, 8, 16, 32 pagine di testo.
Esse saranno disposte in ordine non sequenziale, ma corrispondente alla logica, appunto, della
segnatura, e cioè dalla piegatura che il foglio subirà prima di essere tagliato, cucito e rifilato. Anche il
testo, così, non si presenta più come un “flusso”, ma si scompone in “pezzi”, spostabili a seconda
delle esigenze.
3. Detribalizzazione: Si conclude il processo di detribalizzazione iniziato con la creazione
dell’alfabeto, grazie alla trasportabilità del messaggio nello spazio e nel tempo e alla possibilità di
comunicazione in absentia. Le aggregazioni umane possono estendersi nel-Tecnologie della
riproduzione: la stampa lo spazio, e garantirsi continuità — di cultura, leggi, tradizioni e costumi —
nel tempo. Si afferma la certezza del diritto, che diventa suscettibile di un controllo oggettivo, cui ogni
cittadino può accedere direttamente. I legami divengono più astratti, meno personali, i codici e i
sistemi di regole più rigidi e interiorizzati.
4. Individualismo: Il concetto dell’“Io” nasce quando la parola si separa dalla persona che la
pronuncia, così che quest’ultima — divenuta la “fonte del linguaggio” — comincia ad assumere rilievo
e identità: è il processo per cui lentamente emerge la figura dell’“Autore” di un testo. La pratica della
lettura silenziosa, e quindi privata, fa emergere, però, anche il “lettore” come figura individuale, non più
confusa in un gruppo di ascoltatori. Il libro di piccolo formato — e quindi trasportabile e assolutamente
“personale” — rende ancor più individuale e privato il processo di lettura e incrementa notevolmente il
nuovo culto dell’individualismo, fornendogli uno strumento essenziale.
5. Interiorità e introspezione: La stampa favorisce l’interiorità e l’introspezione, del resto già
alimentate dalla scrittura. Scrivendo si può immaginare di parlare con se stessi, ma il “discorso
intrapersonale” esclusivamente mentale non assume mai le forme possibili con la scrittura.
L’allargamento della capacità di scrivere — strettamente connesso con quello della possibilità di
leggere inaugurato dalla stampa — rende possibile nuove forme di verbalizzazione del monologo
interiore. Le riflessioni su se stessi, sulle relazioni con gli altri o con l’ambiente possono assumere una
sinteticità, analiticità, oggettività e astrattezza, che fa di loro il prodotto di una struttura mentale
modellata dalla cultura della stampa.
6. Capacità di espressione: Il tipo di controllo sul discorso che la stampa rende possibile
trasforma la scrittura: e influenza persino il discorso orale. Il controllo sociale cui la stampa sottopone

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lo scritto e la destinazione “indeterminata” del prodotto stampato (che fa della comprensibilità un
requisito indispensabile) stimolano ulteriormente l’esattezza, l’ordine, la chiarezza e la raffinatezza
dell’espressione.
7. Uniformità, ripetibilità, continuità: Nel libro stampato la pagina viene sottomessa ad un
ordine formale. La regolarità delle singole lettere, la definizione dei margini, l’allineamento e la
compattezza di ciascuna linea sono tali da conferire al testo della pagina l’aspetto di un “tessuto”,
ovvero di un “testo” (dal latino textum, participio passato del verbo texere). Lettere tutte uguali e righe
tutte uguali per copie tutte uguali. Da una stessa matrice si ricava un numero di copie potenzialmente
infinito della stessa pagina: il processo di stampa è un processo ripetibile, seriale e continuo, che tende
a rendere ripetibile, seriale e continua l’esperienza mediata e — di qui, per estensione — le altre
forme di esperienza.
8. Reificazione della parola: La parola perde definitivamente il suo legame con il magico e con
il divino per divenire “cosa” che si può produrre con mezzi meccanici. La parola diviene, inoltre, un
bene economico: merce che può essere venduta.
9. Trasformazione della memoria collettiva: La stampa allenta ancora più gli obblighi
mnemonici, allargando e diffondendo il patrimonio di “memoria artificiale” costituito dai libri. La
memoria diviene, nei libri, anch’essa “cosa”, in un processo che conduce alla reificazione della
memoria collettiva che si compie prima nelle biblioteche e, poi, nelle enciclopedie.
10. Sinteticità, analiticità, oggettività, pensiero astratto: Il controllo del testo reso possibile
dalla stampa elimina la ripetizione, che comincia ad essere considerata una pecca dell’espressione. La
possibilità di “tenere sotto controllo” il testo favorisce, ancora, l’analisi dettagliata delle questioni. Il
processo di oggettivazione e di distacco personale — iniziati con la scrittura — si accelerano e si
intensificano con la stampa. Nello stesso modo, il rivolgersi ad un pubblico vasto e sempre più
indifferenziato favorisce i concetti universali e l’espressione astratta.
11. Marginalizzazione del pensiero formulaico: Ancora per qualche secolo, dopo l’invenzione
della stampa, la prosa conserva alcuni caratteri orali, ma in maniera fortemente residuale, fino a che
nella lingua scritta il pensiero formulaico appare più che altro come eco della lingua parlata. Ma ciò
accadrà quando la lingua letteraria si sarà talmente consolidata da dover “simulare” il parlato con
artifici.
12. Creatività linguistica: Per gli uomini della cultura tipografica, un autore è tanto più degno
di ammirazione quanto più è originale, tanto nei contenuti che nelle forme dell’espressione. La
creatività e l’innovazione, anche linguistica, diventano caratteristiche apprezzate nell’“autore”. Le
possibilità di conservazione delle opere garantita dalla stampa fa sì che la lingua possa, quindi,
arricchirsi progressivamente di tutte le innovazioni che i testi le apportano.

8.4.3 La censura

Nell’antichità, dato il numero ridotto delle copie e la scarsa capacità d’influenzare l’opinione
pubblica dei testi scritti, la censura ha un ruolo meno marcato che nella cultura tipografica. Chiesa e
Stato utilizzano l’industria nascente ai propri fini — commissionandole la pubblicazione di documenti
ufficiali, comunicazioni e ordinamenti, oltre che di opere d’interesse più generale — ma hanno una
limitata capacità di controllare la produzione degli stampatori. La nascita dell’industria editoriale crea,
quindi, nuovi centri e reti di influenza che restano relativamente indipendenti dal potere esercitato
dalla Chiesa e dallo Stato. Inizialmente, la Chiesa appoggia con energia lo sviluppo dei nuovi metodi
di stampa — commissiona agli stampatori la pubblicazione di opere liturgiche e teologiche e li
accoglie nei monasteri —, ma non può certo controllare le attività di case editrici e punti di vendita,
poiché essi sono troppi, come troppo elevate sono le loro capacità produttive e commerciali. Tra la
fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, la Chiesa tenta a più riprese di distruggere parte dei
materiali stampati, spesso in collaborazione con le autorità secolari. Nel 1485, l’arcivescovo Bertoldo
di Magonza chiede al consiglio comunale di Francoforte di esaminare i libri prima della loro
esposizione alla fiera quaresimale e di aiutare la Chiesa a distruggere quelli dannosi.
Nel 1501, papa Alessandro VI tenta di imporre un sistema di censura più rigoroso e completo,
vietando la stampa di qualsiasi libro privo dell’autorizzazione delle autorità ecclesiastiche. Poiché il
numero dei libri banditi cresce, la Chiesa decide di compilare un indice, l’Index librorum

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prohibitorum, promulgato per la prima volta nel 1559. l’Index viene continuamente rivisto e,
aggiornato, e rimane in vigore per circa quattrocento anni. Per quanto assai frequenti tra la fine del
Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, gli interventi delle autorità religiose e politiche ottengono
scarso successo. Vi sono infiniti modi per sfuggire alla censura: i libri vietati in una città o regione
vengono pubblicati in un’altra e contrabbandati da mercanti e venditori ambulanti. Se la censura
ecclesiastica reprime i testi ereticheggianti o in odore di scisma, la censura politica colpisce le opere
che delegittimano o criticano i governanti. Tra il 1600 e il 1756 la Bastiglia, in Francia, ospita più di
ottocento tra autori, tipografi, librai e mercanti di stampe. Le tecniche messe in atto per eludere la
censura sono molteplici e vanno dall’indicare come luogo di edizione una “città di comodo”
all’omissione del nome dello stampatore. Per gli autori la via più seguita è quella dell’anonimato o
dello pseudonimo.
La censura nel Cinquecento, come ai nostri giorni, è la causa di grandi successi editoriali: i libri
proibiti finiscono con l’avere un fascino insolito e vengono acquistati più facilmente.

8.5 Nascita e sviluppo dei mass media

L’Ottocento e la società dell’informazione L’Ottocento è il secolo in cui prende forma la


cosiddetta società dell’informazione. È in questo periodo che nasce, gradualmente, un complesso
sistema fondato sull’informazione che deriva da una precisa esigenza: esercitare un efficace
controllo sia sulla produzione materiale sia sui mercati, sempre più distanti dai luoghi di
produzione.
Questa necessità stimola l’invenzione di tecnologie di comunicazione e di elaborazione delle
informazioni che produce una vera e propria “rivoluzione del controllo”, interessando, in primo luogo,
la produzione, la distribuzione e il consumo di beni materiali.
Gli effetti della “rivoluzione dell’informazione” non rimangono però circoscritti a questi ambiti,
bensì si estendono a una vasta gamma di altre sfere tant’è che la società dell’informazione viene
“accolta e celebrata non semplicemente come un nuovo modo di produzione, ma più in generale come
un nuovo modo di vivere.
Non solo si affinano le capacità organizzative, ma si ampliano anche le possibilità conoscitive
nonché quelle relazionali. Nella seconda metà dell’Ottocento nascono i primi mezzi di comunicazione
di massa e inizia la globalizzazione delle comunicazioni.
L’avvento del computer, poi, negli anni della seconda guerra mondiale e nel periodo
immediatamente successivo, segna l’apice della società dell’informazione in quanto tecnologia
“ineguagliabile nella sua capacità di manipolare e trasformare l’informazione e perciò di svolgere,
automaticamente e senza l’intervento degli uomini, funzioni eseguibili in precedenza solo dal cervello
umano”.

8.5.1 La stampa diventa mezzo di comunicazione di massa

Iniziamo dalla stampa che, come già detto, nasce nel Quattrocento e diventa mezzo di
comunicazione di massa nella prima metà dell’Ottocento: il periodo della cosiddetta penny press in
cui il giornale era venduto per la modica spesa di un penny. I primi quotidiani stampati compaiono
però molto prima, nel Seicento.

8.5.2 Il telefono e le sue funzioni

La nascita del telefono, che risale alla seconda metà dell’Ottocento, rinvia ad uno dei tanti
conflitti di priorità che fanno parte della storia della scienza e della tecnologia. Nel 1871, il fiorentino
Antonio Meucci brevetta l’invenzione del telefono ma, cinque anni dopo, Alexander Graham Bell
ottiene a sua volta il brevetto per la stessa invenzione. Nel luglio del 1877 nasce la Bell Telephone
Company e solo nel 1886 una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti risolve il conflitto di
priorità a favore di Meucci.
Ciò premesso, cerchiamo di capire in che modo questo mezzo di comunicazione entri
gradualmente a far parte della vita quotidiana della gente. Innanzitutto, era necessario creare il

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bisogno del telefono, ovvero la domanda di questo nuovo oggetto, vincendo timori e resistenze spesso
simili a quelli successivamente espressi in riferimento alla comunicazione telematica.
Inizialmente si pensa di far leva sull’utilità pratica di questo oggetto nonché sul suo basso costo
e, conseguentemente, le prime pubblicità sottolineano la funzione informativa del telefono, strumento
indispensabile per fronteggiare situazioni di emergenza, quali incendi o malori, ma anche per gestire
più facilmente le normali attività della vita quotidiana.

8.5.3 Lo spettacolo delle immagini in movimento

La prima proiezione cinematografica risale al 1895. Siamo a Parigi in una fredda sera di
dicembre. È passato da pochi giorni il Natale, e al Boulevard des Capucines i passanti infreddoliti
vengono invitati ad entrare nel Salon Indien del Grand Café per assistere, al prezzo di un franco, a uno
spettacolo mai visto prima: immagini in movimento. Dieci film della durata di un minuto e mezzo
ciascuno. Fino alla prima guerra mondiale, comunque, la funzione del cinema americano è
essenzialmente quella di intrattenimento. Quando però scoppia il primo conflitto mondiale, e gli Stati
Uniti decidono di intervenire nel conflitto, il capo dell’allora “Comitato per l’informazione pubblica”
pensa di usare il cinema in funzione propagandistica per contrastare i diffusi sentimenti pacifisti
presenti nella società americana. Il che imprime una nuova direzione al rapporto tra pubblico e
industria cinematografica: mentre, in un primo tempo, sono i gusti del pubblico a guidare l’industria
cinematografica, in un secondo tempo è quest’ultima a orientare il comportamento del pubblico.
Verso la fine degli anni Venti, la voce si unisce all’immagine in movimento; dal muto si passa al
sonoro; l’immagine è un’immagine che parla. È un periodo estremamente delicato per molti artisti:
l’avvento del sonoro implica un cambiamento radicale sia nel modo di fare cinema, sia nel modo di
recitare.

8.5.4 Il Novecento: la radio e la televisione

Radio e televisione sono i mezzi di comunicazione di massa della prima metà del Novecento.
Dalla trasmissione dei segnali punto-linea, caratteristica sia del telegrafo con fili di Samuel F.B.
Morse, sia del telegrafo senza fili realizzato dal padre della radio Guglielmo Marconi, si passa a un
sistema più sofisticato che consente la trasmissione della voce, tipica del mezzo radiofonico.
Sia il telegrafo con fili che quello senza fili realizzano, cioè, il sogno di un’informazione
istantanea a distanza tra un singolo emittente e un singolo ricevente; il che si rivela di grande utilità,
rendendo ad esempio possibile, per le navi in difficoltà, l’invio di richieste di aiuto.
Lo stesso Marconi non pensa ad altre possibili funzioni e, per di più, trascorre diversi anni
ad eliminare quello che, lungi dal costituire un difetto, era invece la caratteristica più importante
del mezzo: la possibilità che il messaggio potesse essere “intercettato” da altri. In sintesi, il
telegrafo non era stato pensato e realizzato come mezzo di comunicazione di massa. La radio
dimostra una grande vitalità e una notevole capacità di adattamento – peraltro favorite dalle stesse
caratteristiche strutturali del mezzo, che ben presto diventa leggero e maneggevole – mostrandosi
addirittura aperta, negli anni Novanta, al connubio con Internet.
Alla fine del secondo conflitto mondiale, il problema della radio era quello di fronteggiare la
forte concorrenza della televisione la cui tecnologia era già stata messa a punto negli anni Venti. Il
primo servizio televisivo regolare del mondo è inaugurato in Gran Bretagna il 2 novembre del 1936,
ma lo scoppio della seconda guerra mondiale blocca dappertutto la diffusione di questo mezzo
stimolando, nello stesso tempo, la ricerca nel settore elettronico.
Nell’ambito della televisione, nel suo spazio di comunicazione broadcast (unidirezionale, “da
uno a molti”), a partire dalla metà degli anni Novanta del Novecento si vanno profilando nuovi, e
parzialmente impensati, scenari. Ancora prima si era andata determinando una differenza sostanziale
tra i due modelli dominanti, quello commerciale e quello pubblico, che ancora oggi è oggetto di
discussione: almeno in Italia, sono gli unici - il modello “pubblico” anche per la sua imprescindibile
natura di televisione di servizio — ad avere, per la loro estensività, una rilevante funzione politica e
sociale. “Nonostante alcune preoccupanti somiglianze, questi due modelli di televisione non sono
sullo stesso piano, anzi sono addirittura incommensurabili.

Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 33 -


Vi sono tante varietà di pubblicazioni a stampa che perseguono le finalità più disparate, così è
per la televisione, la quale può essere generalista e tematica, digitale satellitare e terrestre, via cavo,
on-line, a pagamento o gratuita, ondemand ecc. Sempre maggiore rilevanza, in termini di modalità di
fruizione e di incremento degli utenti (qualifica che sembra più consona di “tele-spettatori”, perché
evidenzia il carattere attivo della scelta), ha acquisito la Web-Tv: la televisione presente su Internet,
con palinsesti di programmi e trasmissioni, di informazione, di intrattenimento ecc. — da vedere “in
diretta” (live) o scegliendo tra i contenuti-video a disposizione in un archivio (per esempio,
Repubblica RadioTv) — grazie alla tecnologia del video-streaming (stream, “flusso”); esistono anche
Web-Radio, oltre che radio che trasmettono anche su Web.
Il Webcasting consiste in una trasmissione unidirezionale, dall’emittente a tutti i destinatari che
sono on-line; dalla Web-Tv vanno distinti comunque tutti quei siti Web che consistono in una raccolta,
sempre più ampia e organizzata, di video che gli utenti stessi “caricano” (upload) al loro interno (gli
esempi più importanti sono il notissimo Youtube e Google Video): in questo caso non esiste una
struttura produttiva centralizzata, ma ogni utente della Rete è una sorta diffusore e/o produttore di
contenuti audiovisivi (user generated content).

8.6 Internet

Internet è contrazione della locuzione inglese Interconnected Networks, ovvero Reti


Interconnesse; è una rete di computer mondiale ad accesso pubblico, attualmente rappresentante il
principale mezzo di comunicazione di massa, e che offre all'utente tutta una vasta serie di possibili
contenuti e servizi. Costituita da alcune centinaia di milioni di computer collegati tra loro con i più
svariati mezzi trasmissivi, Internet è anche la più grande rete di computer attualmente esistente,
motivo per cui è definita "rete delle reti" o "rete globale" Internet offre i più svariati servizi, i
principali dei quali sono il World Wide Web e la posta elettronica, ed è utilizzata per le comunicazioni
più disparate: private e pubbliche, lavorative e ricreative, scientifiche e commerciali. I suoi utenti, in
costante crescita, nel 2008 hanno raggiunto quota 1,5 miliardi e, visto l'attuale ritmo di crescita, si
prevede che saliranno a 2,2 miliardi nel 2013.
La storia di Internet è direttamente collegata allo sviluppo delle reti di telecomunicazione. L'idea
di una rete informatica che permettesse agli utenti di differenti computer di comunicare tra loro si
sviluppò in molte tappe successive.
La somma di tutti questi sviluppi ha condotto alla “rete delle reti”, che noi conosciamo oggi
come Internet. È il frutto sia dello sviluppo tecnologico, sia dell'interconnessione delle infrastrutture di
rete esistenti, sia dei sistemi di telecomunicazione.
I primi progetti di questo disegno apparvero alla fine degli anni cinquanta. L'applicazione
pratica iniziò alla fine degli. Dagli anni ottanta le tecnologie che oggi costituiscono la base di Internet
cominciarono a diffondersi in tutto il globo (Italia compresa). Nel corso degli anni novanta la
popolarità della rete è divenuta massiva in seguito al lancio del World Wide Web.
Alcune date:
 1960: Avvio delle ricerche di ARPA, progetto del Ministero della Difesa degli Stati Uniti
 1967: Prima conferenza internazionale sulla rete ARPANET
 1969: Collegamento dei primi computer tra 4 università americane
 1971: La rete ARPANET connette tra loro 23 computer
 1972: Nascita dell'InterNetworking Working Group, organismo incaricato della gestione di
Internet. Ray Tomlinson propone l'utilizzo del segno @ per separare il nome utente da quello
della macchina.
 1982: Definizione del protocollo TCP/IP e della parola "Internet"
 1983: Appaiono i primi server dei nomi dei siti
 1984: La rete conta ormai mille computer collegati
 1985: Sono assegnati i domini nazionali: .it per l'Italia, .de per la Germania, .fr per la
Francia, ecc.
 1990: Scomparsa di ARPANET; apparizione del linguaggio HTML
 1991: Il CERN (Centro Europeo di Ricerca Nucleare) annuncia la nascita del World Wide
Web

Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 34 -


 1992: Un milione di computer sono connessi alla rete
 1993: Apparizione del primo browser pensato per il web, Mosaic
 1996: Sono connessi 10 milioni di computer

Le origini di Internet si trovano in ARPANET, una rete di computer costituita nel settembre del
1969 negli USA da ARPA (Advanced Research Projects Agency). ARPA fu creata nel 1958 dal
Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti per dare modo di ampliare e sviluppare la ricerca.
Verso il 1965 l'ARPA iniziò ad avere dei seri problemi di gestione: aveva diversi computer
sparsi in varie sedi (tutti molto costosi) che non potevano parlarsi: non avrebbero potuto farlo
nemmeno se fossero stati nella stessa stanza.
Scambiare file fra loro era quasi impossibile, per via dei formati di archiviazione completamente
diversi (e proprietari) che ognuno di essi usava, quindi era necessario molto tempo e molto lavoro per
passare dati fra i vari computer, per non parlare dello sforzo necessario per portare e adattare i
programmi da un calcolatore all'altro.
ARPANET sarebbe servita a condividere online il tempo di utilizzazione del computer tra i
diversi centri di elaborazione dati e i gruppi di ricerca per l'agenzia. L'IPTO si basò su una tecnologia
rivoluzionaria: la commutazione di pacchetto (packet switching),

8.6.1 Da Arpanet a Internet (anni settanta e ottanta)

In pochi anni, ARPANET allargò i suoi nodi oltreoceano, contemporaneamente all'avvento del
primo servizio di invio pacchetti a pagamento: Telenet della BBN. In Francia inizia la costruzione
della rete CYCLADES sotto la direzione di Louis Pouzin, mentre la rete norvegese NORSARpermette
il collegamento di Arpanet con lo University College di Londra. L'espansione proseguì sempre più
rapidamente, tanto che il 26 marzo del1976 la regina Elisabetta II d'Inghilterra spedì un'email alla sede
del Royal Signals and Radar Establishment.
Gli Emoticon vennero istituiti il 12 aprile 1979, quando Kevin MacKenzie suggerì di inserire un
simbolo nelle mail per indicare gli stati d'animo.
Tutto era pronto per il cruciale passaggio a Internet, compreso il primo virus telematico:
sperimentando sulla velocità di propagazione delle e-mail, a causa di un errore negli header del
messaggio, Arpanet venne totalmente bloccata: era il 27 ottobre 1980. Definendo il Transmission
Control Protocol (TCP) e l'Internet Protocol (IP), DCA e ARPA diedero il via ufficialmente a Internet
come l'insieme di reti connesse tramite questi protocolli.

8.6.2 Nascita del World Wide Web (1991)

Nel 1991 presso il CERN di Ginevra il ricercatore Tim Berners-Lee definì il protocollo HTTP
(HyperText Transfer Protocol), un sistema che permette una lettura ipertestuale, non-sequenziale dei
documenti, saltando da un punto all'altro mediante l'utilizzo di rimandi (link o, più propriamente,
hyperlink). Il primo browser con caratteristiche simili a quelle attuali, il Mosaic, venne realizzato nel
1993. Esso rivoluzionò profondamente il modo di effettuare le ricerche e di comunicare in rete.
Nacque così il World Wide Web.
Nel World Wide Web (WWW), le risorse disponibili sono organizzate secondo un sistema di
librerie, o pagine, a cui si può accedere utilizzando appositi programmi detti browser con cui è
possibile navigare visualizzando file, testi, ipertesti, suoni, immagini, animazioni, filmati.
La facilità d'utilizzo connessa con l'HTTP e i browser, in coincidenza con una vasta diffusione di
computer per uso anche personale , hanno aperto l'uso di Internet a una massa di milioni di persone,
anche al di fuori dell'ambito strettamente informatico, con una crescita in progressione esponenziale.

8.6.3 Evoluzione del WEB

Sempre più spesso si sente parlare di web 1.0 e web 2.0 senza sapere esattamente di cosa si tratti
e fondamentalmente che differenza ci sia tra i due. Visto che ormai si parla già di web 3.0, è il caso di
fare un pò di luce su questo argomento.

Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 35 -


Ci limitiamo qui a tracciare le definizioni dei vari tipi di web, introducendo, per quel che se ne
sà ancora, quelle che dovrebbero essere le caratteristiche del web 3.0.
Web 1.0: Le informazioni sono pubblicate in maniera statica, immaginate come un vostro foglio
di word con testo e immagini, portato su web. L’utente arriva sulla pagina, legge e se ne va senza
nessuna interazione. Attualmente il 70% degli utenti è ancora abituato a questo tipo di navigazione.
Web 2.0: Il termine venne coniato da Tim O’Reilly alla prima conferenza sul web 2.0. Per la
prima volta si iniziò a dare grande importanza all’usabilità e al modo di condividere i contenuti. Il
webmaster non è che una parte del sito, che, nei casi più importanti, è composto da comunità di
migliaia di utenti (si pensi a Wikipedia).
Web 3.0 Come ogni rivoluzione, si cerca ora, con il web 3.0, di raffinare l’enorme cambiamento
che ha portato il web 2.0: Il web 3.0 infatti, non sarà altro che un evoluzione del suo predecessore.
Attualmente non è ancora tutto chiaro ma da quel che si legge sulla rete, ma possiamo immaginarci
uno scenario in cui le informazioni in rete vanno sempre di più agglomerate verso un unico database,
e consultate da più pagine web.
Si parla altresì di intelligenze artificiali grazie ad algoritmi sempre più sofisticati che
permetteranno un orientamento migliore in una rete sempre più affollata.
Infine il web 3.0 si muoverà verso il 3D, con una rete non più fatta di pagine, ma di veri e propri
spazi in cui “muoverci” per trovare quello che cerchiamo. (in questo l’esperienza di second life credo
sia stata determinante).

Per finire ecco qualche esempio:


WEB 1.0 WEB 2.0
DoubleClick Google AdSense
Ofoto Flickr
Britannica Online Wikipedia
Siti personali Blogging
Screen scraping Web services
Pubblicazione Partecipazione
Sistemi di gestione dei contenuti Wikis

Come si può vedere ho evidenziato le due voci “pubblicazione” e “partecipazione” perchè


fondamentalmente è questa la differenza sostanziale. Mentre nel Web 1.0 è il webmaster il solo
interlocutore con i suoi utenti, nel Web 2.0 sono il webmaster e gli utenti a comunicare.

8.7 Cosa cambia con i media digitali

Nei precedenti capitoli già si è fatto più volte riferimento a quella che è stata definita la “Rete
delle reti”, ovvero Internet, e si è visto come essa sia, in primo luogo, uno strumento di comunicazione
creato inizialmente per permettere la comunicazione-scambio di informazioni tra computer remoti.
Autonomia, plasmabilità, interattività sono alcuni concetti-fattori, come vedremo, che
contraddistinguono la comunicazione in Rete. Internet è anche il luogo in cui è potenziata al massimo
la multimedialità, ossia l’impiego di media diversi, intesi sia come mezzi, (testo, suono, immagini), sia
come sistemi (radio, televisione) della comunicazione. Per comprenderne la principale modalità di
funzionamento si deve prendere in esame la “logica” dei “rimandi” su cui si fonda; rimandi che
possono essere di citazione, di approfondimento, di integrazione ecc., in un tessuto di richiami
intramediali — entro un unico mezzo — e/o intermediali, come nel caso di un testo collegato a un
video, collegato a un grafico e così via. Ogni fruitore-utente della rete, più o meno consapevolmente,
traccia dei percorsi di lettura, maturando gusti, opinioni, idee che poi esprime nelle proprie reti
relazionali e nei propri comportamenti quotidiani. L’insieme aperto, plasmabile, di questi messaggi-
links non direttamente prodotto ‘dall’alto’ è ormai il terreno fertile di una comunicazione che non è
più produzione di semplice spettacolo ma di altra comunicazione.
Gli anni tra il 1995 e il 2000 hanno visto il cruciale passaggio del Web da luogo della
comunicazione specializzata di tipo scientifico a luogo della comunicazione generale, diffusa e

Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 36 -


globale. Il fondamento comunicativo della network society, in cui da tempo viviamo, è costituito da un
sistema globale di reti di comunicazione orizzontale, che comprende uno scambio multimodale e
interattivo di messaggi many-to-many, ossia da ‘molti a molti’.
Ciò a differenza di quanto avviene, come visto, nella televisione tradizionale, in cui si configura
invece uno scambio (‘uno a molti’) tra l’emittente e i molti utenti.
Per una descrizione minima di alcune caratteristiche del tipo di comunicazione che la Rete rende
possibile, possiamo indicare:
a) l’estrema velocità, in modalità sia sincronica sia asincronica (i contenuti-messaggi sono
rapidamente accessibili in archivi e database);
b) la diffusione semplice e a basso costo di qualsiasi tipo di informazione in formato digitale
(testo, audio, video);
c) creazione di gruppi di interazione accomunati da interessi personali, senza che sia necessario
alcun contatto fisico tra i partecipanti: le cosiddette comunità virtuali nelle loro diverse versioni.
In sintesi, la tipologia comunicativa della Rete capovolge lo schema verticale o verticistico dei
media tradizionali (televisione, radio, stampa), i quali prevedono pochi centri di emissione e una
massa di ricettori passivi o, quantomeno, che non hanno il potere di contribuire o di partecipare
attivamente alla produzione dell’informazione. Non prevedono, insomma, quella reciprocità e capacità
d’interazione trasversale che indubbiamente rappresentano le risorse della Rete.
Data la sua particolare configurazione tecnologica, Internet non possiede centri di emissione
privilegiati: fruitori e produttori d’informazione si scambiano facilmente il ruolo di emittente e di
ricevente senza limitazioni di sorta (unico requisito è una minima alfabetizzazione informatica).
Si può allora sintetizzare la differenza strutturale tra la mass communication e la mass self-
communication: la prima verticale e unidirezionale, la seconda orizzontale e bidirezionale o, meglio,
multidirezionale Si può spesso verificare anche una circuitazione tra le due, che in ogni caso
convivono e si influenzano reciprocamente: è abituale, ad esempio, l’echeggiare di un qualche evento-
notizia nell’intero universo mediatico, sulla carta stampata, in televisione e infine, o
contemporaneamente, attraverso Internet.
8.7.1 Il cyberspazio
Questo termine, oggi molto usato, è stato coniato nel 1984 dallo scrittore di fantascienza
William Gibson; il termine deriva, come cibernetica, dal greco kybernein, e significa “governare”,
“dirigere”; nel suo senso generale indica uno spazio o una dimensione artificiale, poiché ciò che è
governato, diretto, è non naturale, non fisico. Il cyberspazio designa quindi una «realtà artificiale,
“virtuale”, multidimensionale generata, alimentata e resa accessibile dal computer attraverso le reti
globali di comunicazione: in fondo una buona parte della nostra vita si svolge o passa proprio
attraverso il cyberspazio.
Lévy è una figura di riferimento anche per la sua importante teoria dell’intelligenza collettiva e
connettiva, l’intelligenza cioè che si sviluppa in ambiente cyberspaziale: l’intelligenza collettiva è
“un’intelligenza distribuita ovunque, continuamente valorizzata, coordinata in tempo reale, che porta a
una mobilitazione effettiva delle competenze”. Il coordinamento in tempo reale delle intelligenze
implica dispositivi di comunicazione che, al di là di una certa soglia quantitativa, dipendono
obbligatoriamente dalle tecnologie digitali dell’informazione. I nuovi sistemi di comunicazione,
allora, dovrebbero fornire ai membri di una comunità i mezzi per coordinare al massimo grado le loro
interazioni nello stesso universo virtuale di conoscenza, interazioni che si effettuano all’interno di un
paesaggio dinamico di significazioni. In quest’ottica, il cyberspazio diventerebbe lo spazio mutevole
delle interazioni tra le diverse competenze dei “collettivi intelligenti deterritorializzati”. Il punto
focale delle teorie di Lévy è che «noi formiamo un’intelligenza collettiva, esistiamo come comunità
significativa». Si passa così dall’idea di un cogito individuale e autonomo (che poi si relaziona alle
altre intelligenze) al cogitamus, al “pensare insieme o in comune”. Occorre, però, precisare che nello
scenario delineato dal filosofo francese le intelligenze individuali non risultano fuse in un magma
indistinto, in una massa amorfa, poiché, al contrario, l’intelligenza collettiva stessa rappresenta in sé
— nel quadro di una rete comunicativa dinamica e condivisa — un processo di crescita, di
differenziazione e di mutuo rilancio delle specificità.
Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 37 -
8.7.2 Recenti sviluppi del web

La sigla 2.0 sta a indicare una nuova fase della vita di Internet, e più precisamente del Web, in
cui vengono sviluppate le sue enormi potenzialità principalmente nel campo della comunicazione,
dell’informazione condivisa e della fruizione di contenuti multimediali. Seguendo quanto riportato
sul sito della Microsoft: «I servizi e gli strumenti del Web 2.0 trasformano ogni utente da
consumatore a partecipante, da utilizzatore passivo ad autore attivo di contenuti, messi a
disposizione di chiunque si affacci su Internet, indipendentemente dal dispositivo che utilizza». La
sigla non indica perciò l’evoluzione della tecnologia TCP-IP che è alla base della Rete, ma quella
dei mezzi e degli strumenti che utilizzano l’infrastruttura tecnologica sulla quale poggia Internet. È
il nuovo modo di intendere la Rete, che pone al centro i contenuti, le informazioni, l’interazione. In
questa sua “nuova” dimensione o versione, il Web, oltre alle sue permanenti funzionalità, offre
sempre di più Blog, Reti sociali (Social Network), podcasting (da iPod, lettore di file audio mp3, e
broadcasting), contenuti audio-visivi.
Il blog, termine derivato dalla contrazione di Web-log, che significa “traccia su Rete”, è uno
strumento che ormai si è imposto come uno dei fenomeni comunicativi più interessanti. Si tratta di
una sorta di diario personale ma pubblico, visibile da tutti, contenente i pensieri e le riflessioni (i
cosiddetti post) di chi lo gestisce (il blogger). Il blog esprime, da un lato, un evidente bisogno di
comunicazione immediata, dall’altro, l’intenzione di dare e di lasciare una testimonianza di sé,
entrambi fenomeni interessanti per gli studi di sociologia della comunicazione. La maggior parte dei
blog verte su temi personali, ma esistono anche alcuni che veicolano una forma di impegno, di
critica, di contro-informazione a carattere sociale e politico: il caso più noto in Italia è quello del
blog di Beppe Grillo, che è riuscito, in maniera imprevedibile, ad attirare l’interesse di milioni di
persone e a creare un movimento di notevole impatto sulla società civile. Sul piano statistico,
secondo alcuni studi condotti negli Stati Uniti, risulta che circa il 52% dei bloggers sostiene di fare
un uso prettamente privato di questa forma di comunicazione, mentre il 32% si rivolge a una propria
e ben definita audience.
Una visione negativa del “fenomeno blog” mette in rilievo il fatto che tale linea di mass self-
communication rischia di dare luogo a una specie di “autismo informatico” più che ad un processo
comunicativo vero e proprio.
In ogni caso, il dato che rimane è che ogni singolo post lasciato sul Web diviene, a prescindere
dalle intenzioni dell’autore, una “bottiglia nell’oceano” della comunicazione globale: un messaggio
suscettibile di essere recepito e rielaborato in modi assolutamente imprevedibili.
Altro e interessante fenomeno della nuova Rete è la nascita di siti, spesso con relative strutture
organizzative retrostanti, il cui fine principale è fare informazione alternativa, controinformazione,
utilizzando proprio la facilità di accesso e gestione dei media elettronico-digitali: in tale direzione s’è
mossa l’esperienza di Indymedia, col suo motto, divenuto famoso, Don’t hate the Media, become your
Media (Non odiate i media, diventate i media). Libertà personale di comunicazione e impegno sociale
e politico sono i due elementi che si fondono insieme. ‘Decentramento dell’informazione’, la parola
offerta a tutti, il webgiornalismo ‘dal basso’, in cui la distanza tra gli autori e i lettori è ridotta al
minimo e spesso si annulla, sono le nuove prospettive in cui estendere le potenzialità democratiche
della società della comunicazione.
In sintesi. Internet diventa il luogo in cui si possono verificare e/o approfondire le
informazioni ricevute tramite i media tradizionali (radio, giornali, telegiornali) o il luogo
esclusivo dove si ricercare informazioni su notizie, temi ecc. La Rete inoltre offre la concreta ed
efficace occasione per presentarsi come centri autonomi di diffusione (siti, blog, forum), che
possono poi favorire interazioni finalizzate all’organizzazione di movimenti a carattere sociale
e politico: una sorta di agorà elettronica, nel quadro di quella che è stata preconizzata come
instant referendum democracy, la “democrazia del referendum istantaneo”, in cui sarebbe
possibile — pur entro certi limiti — una partecipazione più attiva sul piano dell’opinione
pubblica. L’evoluzione in corso nel Web si pone così sostanzialmente all’insegna di
un’interazione sociale sempre più forte, che marcia di pari passo con gli sviluppi in campo
tecnologico.

Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 38 -


8.7.3 Nodi problematici

Problema antropologico (quale comunicazione per quale uomo).


Nello scenario comunicativo, ciò che è sempre più a rischio è il concetto stesso di persona, la
sua privacy e la sua libertà.
Il mondo così come lo conosciamo, basato sull’incontro tra persone, coscienze che si scambiano
reciprocamente
sensazioni e sguardi, rischia di scomparire, sostituito da una comunità di corpi sintetici.
P. C. Rivoltella: “la progettazione di software sempre più raffinati e l’utilizzo delle reti neurali,
sta consentendo al computer di interagire con l’operatore in linguaggio naturale, rendendo impossibile
distinguere a quest’ultimo se colui con cui sta interagendo sia una macchina oppure un uomo”

Problema ontologico (la possibilità di un senso possibile);


L’applicazione del virtuale per simulare esperienze reali, prevedendone in anticipo le
caratteristiche, può contribuire a migliorare la qualità di vita dell’uomo?
Oppure, quella che chiamiamo simulazione sostitutiva, l’applicazione del virtuale all’area del
ludico, finisce per
creare uno spazio alternativo, trasformando il simulacro in realtà?
Il reale si dissolve, in quest’ottica, in un reduplicare continuamente un referente inesistente,
perché appunto immagine sintetica.
Conseguenza di ciò è il crearsi di un pericolo processo di derealizzazione, al limite della
patologia, in cui non
sarebbe neppure possibile procedere al riconoscimento di cosa sia vero e meno, nel mondo
sinteticamente costruito.

Problema epistemologico (l’idea di conoscenza di tale scenario)


Problema epistemologico relativo a quale
conoscenza sia possibile realizzare attraverso i
new-media. La questione è collegata al
problema ontologico.
Proprio per il rarefatto (inesistente)
legame con il vero, tale neo-realtà può
facilmente divenire luogo dell’inganno,
simulazione, imbroglio e violazione.
Non sappiamo ancora come sì
concluderà la rivoluzione segnata dall’avvento
di Internet.
Si tratta di una rivoluzione silenziosa e
sicuramente più discreta rispetto a quella del
passaggio dalla cultura orale a quella
chirografìca prima e tipografica poi.
In questo scenario della contemporaneità,
l’uomo non è più pellegrino, ma viandante e
invoca nuovamente un territorio da abitare come casa.
L’uomo della tarda modernità chiede di riappropriarsi di se stesso, delle sue relazioni, in uno
spazio che torni ad essere luogo della stabilità.

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9. TEORIE SUGLI EFFETTI DEI MEZZI DI COMUNICAZIONE

I mass media, per la loro stessa struttura comunicativa, modificano profondamente la nostra
percezione della realtà e della cultura, secondo il principio di Marshall McLuhan per cui "il medium è
il messaggio" . Infine, poiché un aspetto molto importante della comunicazione di massa è la
produzione in serie di messaggi come "merce", diventa molto importante lo studio delle strategie con
cui vengono prodotti e diffusi i messaggi, specialmente quando lo scopo di questi messaggi è quello di
influenzare le idee ed i comportamenti dei destinatari, come accade nella comunicazione politica o
nella pubblicità.

9.1 Apocalittici e integrati

Nel corso degli anni è stata prodotta un'enorme quantità di studi e ricerche sugli effetti causati
dai media e ancora oggi gli esperti si dividono, secondo una famosa definizione di Umberto Eco, fra
"apocalittici" (per i quali i media hanno una portata sostanzialmente distruttiva rispetto alla
socializzazione ordinaria) e "integrati" (propensi piuttosto a considerare gli esiti positivi e
controllabili della socializzazione tramite media).
M. Baldini: “Ogniqualvolta si è verificata una delle rivoluzioni […] gli uomini si sono divisi in
due fazioni, l’una contro l’altra armata: da un lato quella degli apocalittici e dall’altra quella degli
integrati” N. Postman: “tanto gli apocalittici quanto gli integrati sono zelanti profeti con un occhio
solo: “ogni tecnologia è al tempo stesso un danno e una benedizione; non è l’una cosa o l’altra, è
l’una cosa e l’altra” “Primo apocalittico” è Platone, che nel Fedro riconosce come la scrittura avrebbe
cambiato la mente degli uomini:
l’alfabeto nuocerà alla memoria e creerà un falso sapere.
Ogni innovazione tecnologica ridisegna le modalità di presenza dei media già esistenti.
Un nuovo medium segue una modalità di diffusione nel tempo non regolare. Si passa infatti da
una rapida crescita iniziale, a una fase di assestamento, fino all’esaurirsi della carica di novità
tecnologica.
L’avvento di un nuovo medium non comporta la fine dei media precedenti. Cambiano gli
equilibri, viene ridefinita la collocazione, ma nessun medium viene meno.
W. J. Ong: “Oggi si sente dire che i libri sono finiti, che radio e televisione li hanno rimpiazzati.
Ebbene, chiunque pensi a ciò è ben lontano dalla realtà […]. Il nuovo medium non elimina quello
vecchio, d’altra parte quest’ultimo non è più lo stesso di prima”.
Si arriva così, finalmente, a definire il processo della comunicazione di massa. Essa si basa su
organizzazioni complesse per produrre e diffondere messaggi indirizzati a pubblici molto ampi e
incisivi. Si tratta ora di capire se e come i mass media agiscono nelle società che li ospitano. Esistono
varie teorie a riguardo, che esaminiamo qui di seguito:

Teoria dell’ago ipodermico:

Più che una teoria vera e propria, può essere


interpretata come una modalità di lettura dei media. Nata
nei primi decenni del 900, la teoria dell’ago ipodermico
aveva una visione apocalittica dei media, strumenti in
grado di inoculare sotto la pelle delle persona,
qualsivoglia tipologia di messaggio. La tesi derivante è
quella che “i media manipolano le persone”. Tale tesi
poggia le sue fondamenta sui cambiamenti che
attraversavano in quel periodo le società occidentali: il
passaggio dalla comunità tradizionale, con vincoli di
sangue e di luogo, alla comunità moderna, asettica e
impersonale: una società di massa.
La teoria dell’ago ipodermico innesta un nuovo
modello comunicativo, il modello Stimolo-Risposta (S-R):

Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 40 -


in tale modello, ad ogni stimolo (messaggio dei media) corrisponde una risposta (reazione degli
spettatori). Tale modello lascia ben poca autonomia al pubblico, descritto come quasi succube dei
media. Nonostante i suoi limiti, nell’ambito della teoria dell’ago ipodermico troviamo i padri della
mass communication research (Lasswell). In definitiva la teoria dell’ago ipodermico è facilmente
criticabile: ognuno in fin dei conti sceglie cosa guardare o leggere, di solito interpretando tali cose
sotto l’influenza di qualcuno per loro importante.

Teoria degli effetti limitati e il flusso di comunicazione a due stadi:

La teoria ipodermica ha costituito la base per le


ricerche degli anni successivi. Le ricerche successive
hanno portato alla critica del modello stimolo risposta
(aggiungendo un passaggio intermedio) ottenendo così il
modello Stimolo-Variabili Intervenienti-Risposta (S-IV-R):
infatti si capì che i messaggi portavano a stimoli diversi nei
diversi target di pubblico. L’altro pilastro della teoria
ipodermica, la massa, venne demolito in quanto non era
possibile analizzare gli effetti dei media sulle masse senza
considerare il contesto sociale in cui agiscono.
Uno dei risultati più eclatanti di queste ricerche sul
campo fu la teoria del flusso di comunicazione a due stadi:
in base a tale teoria il messaggio dei media viene recepito
dal pubblico grazie a una categoria di persone che
occupano posti-chiave nei reticoli di relazioni interpersonali, i leader d’opinione. I messaggi arrivano
dunque prima ai leader d’opinione (I stadio) e dunque al pubblico (II stadio). Qui accanto gli schemi
delle due teoria sinora analizzate. Dalla teoria del flusso si cambia finalmente il punto di vista sui
media: dapprima visti come manipolatori, successivamente come persuasori, ora come influenti.

Struttural-funzionalismo (usi e gratificazioni)

Dal secondo dopoguerra gli studi sulla comunicazione in Usa entrano in una fase più matura; a
partire dallo, che studia i media distinguendoli non più per i loro obiettivi ma per le loro funzioni, si
arriva alla teoria di usi e gratificazioni: la funzione dei media viene assimilata all’uso strumentale che
il pubblico fa dei mezzi di comunicazione di massa, al fine di soddisfare i propri bisogni e di riceverne
così una gratificazione.

La teoria critica

Nello stesso periodo le ricerche sociologiche europee si svolgevano nella neo-istituita scuola di
Francoforte. Basata sulle dottrine del Marxismo, tale scuola si pone con un atteggiamento critico
rispetto alla cultura in generale. Svolge una poderosa analisi dei mass media, arrivando alla
definizione di industria culturale (l’insieme dei mezzi di comunicazione). Tra i suoi dogmi, quello
della cultura omologata, standardizzata e poi servita ai consumatori. I mass media svolgono le loro
azioni solo per raggiungere utili economici, manipolando i valori del pubblico: l’uomo diventa “a
una dimensione”, narcotizzato cioè dai media e offuscato da una falsa coscienza che gli impedisce di
liberarsi dalle sue catene.

I cultural studies

Sviluppatisi in Inghilterra negli anni ’50, pongono la cultura al centro dei loro interessi
scientifici. Il concetto di cultura cambia e viene inteso come un insieme di processi sociali e storici.
Anch’essi si appoggiano al Marxismo, rivedendone però alcuni aspetti. È all’interno di questa scuola
di pensiero che si sviluppa il modello encoding-decoding: qualsiasi prodotto mediale nasce da una

Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 41 -


messa in codice (encoding) da parte di un’organizzazione al cui vertice troviamo l’autore. Una volta
messo in circolo, il messaggio sarà decodificato (decoding) dal pubblico, portando a tre diversi casi:

1. lettura egemonica-dominante, il punto di vista dell’autore appare l’unico anche per lo


spettatore.
2. lettura negoziata, accanto al punto di vista dell’autore appaiono considerazioni autonome.
3. lettura oppositiva, quando il messaggio viene letto in modo antagonista e inserito in un
contesto opposto a quello dell’emittente.
Importante ricordare che per la prima volta viene riconosciuto al pubblico un ruolo attivo.

La Scuola di Toronto

Le basi di partenza degli


esponenti della scuola consistono nella
nuova considerazione dei media: la
tecnologia viene vista come il motore
del mutamento, una forza che può
determinare la direzione del
mutamento della società. Per gli autori
ogni tecnologia porta con sé un bias,
cioè una tendenza alla conservazione
del sapere. Ogni media (dal papiro alle
moderne tecnologie) si è evoluto in una
sorta di scala: il nuovo media
inglobava quello precedente e le
informazioni in esso contenute. Si sono
verificate delle vere e proprie
mutazioni antropologiche, come quelle dell’uomo. I media stessi vengono considerati come una sorta
di estensione dell’uomo (la scrittura, estensione della memoria; il telefono, estensione di voce e udito)
ma anche come una sorta di estensione di consapevolezza. Tali processi portano alla nascita del
villaggio globale, con la conseguente differenziazione in media caldi (stimolano un solo senso, radio e
cinema) e media freddi (abbisognano di più partecipazione da parte dell’utente, televisione, telefono e
internet).
La scuola di Toronto tende a disinteressarsi al contenuto dei media, preferendo lo studio
del media vero e proprio, poiché il contenuto del media è pur sempre un altro media: il
contenuto della scrittura è il discorso, così come la parola scritta è contenuta nella stampa, ecc…
Ogni nuovo media tende ad inglobare i media precedenti: in questa accezione, internet contiene
tutti i media.

SPIRALE DEL SILENZIO

La teoria della spirale del silenzio venne sviluppata negli anni 1970 da Elisabeth Noelle-
Neumann. La tesi di fondo è che i media, ma soprattutto la televisione, possano avere un notevole
effetto di persuasione sui riceventi e quindi più in generale sull'opinione pubblica. Nello specifico la
teoria afferma che una persona singola è disincentivata dall'esprimere apertamente e riconoscere a se
stessa una opinione che percepisce essere contraria alla opinione della maggioranza, per paura di
riprovazione e isolamento da parte della presunta maggioranza.[1] Questo fa chiudere la persona in un
silenzio che fa aumentare la percezione collettiva (non necessariamente vera) di una diversa opinione
della maggioranza, aumentando di conseguenza in un processo dinamico il silenzio di chi si crede
minoranza (da cui spirale del silenzio).
Questa teoria ebbe una notevole importanza nella scienza della comunicazione per la rinascita
del dibattito sui poteri di persuasioni forti dei mezzi di comunicazione, in contrasto con la scuola di
pensiero di un effetto debole dei mass media sul pubblico.

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10.2 Mc Luhan

Nel libro La galassia Gutenberg McLuhan sottolinea per la prima volta l'importanza dei mass
media nella storia umana; in particolare egli discute dell'influenza della stampa a caratteri mobili sulla
storia della cultura occidentale.
Nel libro McLuhan illustra come con l'avvento della stampa a caratteri mobili si compia
definitivamente il passaggio dalla cultura orale alla cultura alfabetica. Se nella cultura orale la parola è
una forza viva, risonante, attiva e naturale, nella cultura alfabetica la parola diventa un significato
mentale, legato al passato. Con l'invenzione di Gutenberg queste caratteristiche della cultura alfabetica
si accentuano e si amplificano: tutta l'esperienza si riduce ad un solo senso, cioè la vista. La stampa è
la tecnologia dell'individualismo, del nazionalismo, della quantificazione, della meccanizzazione,
dell'omogeneizzazione, insomma è la tecnologia che ha reso possibile l'era moderna.
Alla base del pensiero di McLuhan (e della Scuola di Toronto) troviamo un accentuato
determinismo tecnologico, cioè l'idea che in una società la struttura mentale delle persone e la cultura
siano influenzate dal tipo di tecnologia di cui tale società dispone.

Gli strumenti del comunicare

Questo è tra i lavori maggiormente noti di McLuhan, e costituisce una ricerca innovativa nel
campo dell'ecologia dei media . È qui che McLuhan afferma che è importante studiare i media non
tanto in base ai contenuti che veicolano, ma in base ai criteri strutturali con cui organizzano la
comunicazione. Questo pensiero è notoriamente sintetizzato con la frase "il medium è il messaggio".
Tuttavia sarebbe fuorviante ridurre l'analisi condotta ai soli mezzi di comunicazione di massa o mass -
media. La riflessione di McLuhan abbraccia, in linea generale, qualsiasi tipo di media. In effetti la
versione originale in inglese del libro in questione è titolata Understanding Media (vale a dire Capire i
media) mentre il titolo della traduzione italiana - "Gli strumenti del comunicare" - trae evidentemente
in inganno.
McLuhan afferma che "nelle ere della meccanica, avevamo operato un'estensione del nostro
corpo in senso spaziale.
Oggi, dopo oltre un secolo di impiego tecnologico dell'elettricità, abbiamo esteso il nostro stesso
sistema nervoso centrale in un abbraccio globale che, almeno per quanto concerne il nostro pianeta,
abolisce tanto il tempo quanto lo spazio". Ad esempio un primo medium analizzato da McLuhan è
stato quello tipografico. McLuhan osserva infatti che la stampa ha avuto un grande impatto nella storia
occidentale, veicolando la Riforma protestante, il razionalismo e l’illuminismo e originando il
nazionalismo, l'industrialismo, la produzione di massa, l'alfabetismo e l'istruzione universale.
Si può dunque asserire che qualsiasi tecnologia costituisce un medium nel senso che è
un'estensione ed un potenziamento delle facoltà umane, e in quanto tale genera un messaggio che
retroagisce con i messaggi dei media già esistenti in un dato momento storico, rendendo complesso
l'ambiente sociale, per cui è necessario valutare dei media l'impatto in termini di "implicazioni
sociologiche e psicologiche".
McLuhan afferma che il contenuto di una trasmissione ha in realtà un effetto minimo sia in
presenza di programmi per bambini o di spettacoli violenti. Si tratta certamente di una forzatura,
questa, che però tende a mettere l'accento sulla struttura dello strumento che sovente viene dimenticata
a favore del contenuto. Per esemplificare lo stesso film (contenuto) visto alla televisione o al cinema
(medium) ha un effetto diverso sullo spettatore. Per cui la struttura della televisione e la struttura del
cinema hanno un impatto particolare nella società e sugli individui che deve essere colto e analizzato
attentamente.
McLuhan osserva che ogni medium ha caratteristiche che coinvolgono gli spettatori in modi
diversi; ad esempio, un passo di un libro può essere riletto a piacimento, mentre (prima dell'avvento
delle videocassette) un film deve essere ritrasmesso interamente per poterne studiare una parte. È in
questo testo che McLuhan introduce la classificazione dei media in caldi e freddi.
Fra le tesi più illuminanti, quella per cui ogni nuova tecnologia (comprese la ruota, il parlato, la
stampa), esercita su di noi una lusinga molto potente, tramite la quale ci ipnotizza in uno stato di
"narcisistico torpore". Se non abbiamo gli anticorpi intellettuali adatti, questo capita appena ne

Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 43 -


veniamo in contatto, e ci porta ad accettare come assiomi assoluti, le assunzioni non neutrali
intrinseche in quella tecnologia. Se invece riusciamo a evitare di esserne fagocitati, possiamo guardare
quella tecnologia dall'esterno, con distacco, e a quel punto riusciamo non solo a vedere con chiarezza i
principi sottostanti e le linee di forza che esercita, ma anche i mutamenti sociali diventano per noi un
libro aperto, siamo in grado di intuirli in anticipo e (in parte) di controllarli.

Il medium è il messaggio

L'espressione "il medium è il messaggio" ci dice perciò che ogni medium va studiato in base ai
criteri strutturali in base ai quali organizza la comunicazione; è proprio la particolare struttura
comunicativa di ogni medium che lo rende non neutrale, perché essa suscita negli utenti-spettatori
determinati comportamenti e modi di pensare e porta alla formazione di una certa forma mentis . Ci
sono, poi, alcuni media che secondo McLuhan assolvono soprattutto la funzione di rassicurare e uno
di questi media è la televisione, che per lui era un mezzo di conferma: non era un medium che diede
luogo a novità nell’ambito sociale o nell’ambito dei comportamenti personali.
La televisione non crea delle novità, non suscita delle novità, è quindi un mezzo che conforta,
consola, conferma e "inchioda" gli spettatori in una stasi fisica (stare per del tempo seduti a guardarla)
e mentale (poiché favorisce lo sviluppo di una forma mentis non interattiva, al contrario di internet e
di altri ambienti comunicativi a due o più sensi).

Media "caldi" e media "freddi"

Questa classificazione ha dato luogo ad equivoci e a discussioni, dovute al fatto che gli aggettivi
"caldo" e "freddo" sono stati adoperati in senso antifrastico, cioè in senso opposto rispetto loro reale
significato.
Mc Luhan classifica come "freddi" i media che hanno una bassa definizione e che quindi
richiedono un’alta partecipazione dell'utente, in modo che egli possa "riempire" e "completare" le
informazioni non trasmesse; i media "caldi" sono invece quelli caratterizzati da un'alta definizione e
da una scarsa partecipazione. McLuhan nei suoi scritti parrebbe cadere in contraddizione nel definire
"caldo" o "freddo" un particolare Medium, nel caso della scrittura per esempio questa viene dapprima
definita fredda poi "calda ed esplosiva".
Per superare questa ambiguità occorre distinguere il senso emotivo degli aggettivi "caldo" e
"freddo" da quello matematico, specificamente adottato nel senso di una diretta proporzione fra
"temperatura mediatica" e "quantità di informazione". Questa proporzione ha senso nell'ambito di uno
ed un solo canale sensoriale. Confrontare il "calore" della radio con quello della televisione è un
madornale vizio di forma, poiché l'una agisce sull'udito e l'altra sulla visione.
Benché, ovviamente, televisione e cinema abbiano una forte componente uditiva, nell'analisi
della loro temperatura mediatica questa non è indicativa, a meno che non si consideri lo specifico
canale acustico in un'analisi a parte.
Ha senso, invece, un confronto tra media di diversa "vocazione" sensoriale, se si ragiona sugli
effetti, in merito ad una determinata strategia (ad esempio la propaganda politica).

Il villaggio globale

Quello del "villaggio globale" (1968) è un metaforico ossimoro adottato da McLuhan per
indicare come, con l'evoluzione dei mezzi di comunicazione, tramite l'avvento del satellite che ha
permesso comunicazioni in tempo reale a grande distanza, il mondo sia diventato piccolo ed abbia
assunto di conseguenza i comportamenti tipici di un villaggio.
Nell'opera "Understanding Media" (1964), McLuhan scrive: "Oggi, dopo più di un secolo di
tecnologia elettrica, abbiamo esteso il nostro sistema nervoso centrale fino a farlo diventare un
abbraccio globale, abolendo limiti di spazio e tempo per quanto concerne il nostro pianeta". Il
concetto che sta alla base di questa affermazione è la credenza dello studioso nel fatto che la
tecnologia elettronica sia diventata un'estensione dei nostri sensi, particolarmente la vista e l'udito. Le
nuove forme di comunicazione hanno trasformato il globo in uno spazio fisicamente molto più

Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 44 -


contratto di un tempo, in cui il movimento di informazione da una parte all'altro del mondo è
istantanea. La formazione di una comunità globale ampia ma anche molto integrata nelle sue diverse
parti incoraggia lo sviluppo di nuove forme di coinvolgimento internazionale e di correlativa
responsabilità. Il termine villaggio globale è inteso, a tal proposito, in due sensi diversi:
1) da un punto di vista più letterale, ci si riferisce alla nozione di un piccolo spazio in cui le
persone possono comunicare rapidamente tra loro e in tal modo l'informazione diviene molto più
diffusa e immediata. Infatti, mediante i nostri "sensi estesi" ognuno di noi fa esperienza in tempo reale
di eventi che possono avvenire fisicamente sull'altra faccia del pianeta;
2) da una prospettiva più ampia, si intende una comunità globale, in cui tutti sono interconnessi
all'interno di uno spazio armonioso e omogeneo.

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12. COMUNICAZIONE VISIVA

Fu Greimas, uno dei più illustri esponenti della scuola di Parigi, a sviluppare dei primi approcci
sulle nozioni di concetti semiotici. Per Greimas bisogna prima di tutto distinguere tra semiotica delle
lingue naturali, riferendosi dunque alle lingue verbali e alle loro trascrizioni e semiotica del mondo
naturale. Quest’ultima presuppone che per rendere il mondo significante sia necessario porre su di
esso una griglia (la cultura), uno schema di rappresentazioni che ci consenta di identificare le figure
come oggetti, classificarle e collegarle. Nella semiotica del mondo naturale, affinché l’uomo riesca a
raggiungere i propri fini comunicativi e di significazione, le figure devono essere trasmissibili e
riconoscibili.
Detto questo, risulta impossibile “comunicare” grandi blocchi; bisogna ridurre il mondo in tratti:
i formanti figurativi (che costituiscono le figure del mondo) dal punto di vista del contenuto; i
formanti plastici dal punto di vista dell’espressione. L’idea di Greimas è che anche i messaggi visivi
abbiano un piano dell’espressione e un piano del contenuto.
Dalla scuola di Parigi sono state individuate tre diverse tipologie di categorie ovvero delle
opposizioni che, nel momento in cui vedono richiamato un termine, mettono automaticamente in
gioco anche il secondo: le categorie cromatiche (costituite da contrasti di colore), eidetiche (costituite
da contrasti tra figure geometriche astratte) e topologiche (costituite da contrasti tra posizioni
topologiche).

Categorie cromatiche.

Il manifesto è un’esplosione di colori forti, accesi, di forte impatto con il pubblico (del resto
l’obbiettivo è quella di attirare l’attenzione del pubblico).

Categorie eidetiche

Le categorie eidetiche definiscono le configurazioni plastiche a livello della forma (es.,


convesso versus concavo) e dei contorni (es., retto versus curvo). Sono costituzionali, perché
permettono di cogliere una configurazione plastica. Più nello specifico vengono considerate
“costituite: focalizzano certe superfici nella loro funzione isolante e discriminante.

Categorie topologiche

A livello topologico l’opposizione che risalta maggiormente è quella sinistra-destra.

12.1 La grammatica del manifesto

Per manifesto pubblicitario si intende un testo composto di immagini e/o parte scritta che può
essere pubblicato con varie modalità: affisso ai muri, sui cartelloni di specifici circuiti commerciali,
sui quotidiani, sulle riviste, ecc.
Il manifesto pubblicitario, nato con funzione prettamente descrittiva del prodotto/servizio
pubblicizzato, si è evoluto come tutta la comunicazione pubblicitaria acquisendo una precisa
grammatica interna.
In un manifesto distinguiamo alcuni elementi ricorrenti che svolgono una precisa funzione in
riferimento alla retorica persuasiva obiettivo della comunicazione pubblicitaria:
•Headline: è il titolo principale del manifesto, posto generalmente in alto o in posizione
centrale, con i caratteri più grandi.
•Visual: è la scena raffigurata nel manifesto, di importanza fondamentale non solo per gli
elementi descritti, ma soprattutto per lo stile con cui essi vengono raffigurati (bianco e nero/colore,
fotografia/disegno, taglio dell’immagine, effetti particolari, ecc.).
•Copy: è il testo esplicativo che può accompagnare il messaggio dandone una spiegazione.
Normalmente non è presente sui manidùfesti destinati all’affissione murale.

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•Pay-off: è il titolo di chiusura, che completa il manifesto nella sua parte bassa. Nelle pubblicità
contemporanee sempre più spesso è assente.
•Brand: è il marchio, il simbolo identificativo dell’emittente del messaggio, la cui presenza è
fondamentale per la costruzione del senso del messaggio.

12.2 La sintassi del manifesto

La pubblicità basa la sua capacità persuasiva sull’applicazione della proprietà transitiva al


pensiero logico deduttivo, secondo le regole del sillogismo aristotelico. Nel sillogismo aristotelico,
una premessa maggiore e una premessa minore che hanno un termine in comune generano una
conclusione che viene dedotta dalle proposizioni precedenti.
 La premessa maggiore, normalmente, è un assunto cultural-mente condiviso di tipo
assiomatico, la cui veridicità spesso discende dal fatto di essere enunciato da un’autorità (ipse dixit):
es. “I gatti miagolano”.
 La premessa minore è di solito la constatazione di una proprietà evidente che si manifesta con
chiarezza agli occhi dello spettatore: “Fufi miagola”
 La conclusione è l’assunto derivante dall’unione transitiva delle due premesse: “Fufi è un
gatto”.
Nella pubblicità moderna, normalmente, il sillogismo persuasivo viene costruito “in absentia” di
alcune sue parti, cercando di portare il lettore a costruire l’entimema partendo da premesse maggiori
universalmente condivise e arrivando a conclusioni tanto più forti quanto più sentite come personali
da parte del lettore.
In molte pubblicità è assente la premessa maggiore (costituita da un luogo comune) e l’elemento
dimostrativo del messaggio (spesso il visual) è incentrato sulla dimostrazione della premessa minore.
La conclusione del sillogismo viene normalmente omessa oppure traslata su un piano metaforico
nel pay-off (quindi non attraverso un discorso apodittico), poiché un’affermazione troppo netta
sarebbe oggi rifiutata dal lettore che parte non più da un assunto di buona fede, quanto di distacco dal
mezzo pubblicitario “lo dice la pubblicità, quindi non è vero…”.
Gli elementi sono oggi spesso utilizzati in questa maniera:
•Headline: è normalmente utilizzata per catturare l’attenzione, attraverso la creazione di
analogie, metafore e polisemie nell’interpretazione del visual.
•Visual: è l’elemento più importante delle comunicazione pubblicitarie, utilizzato per dimostrare
la premessa minore (la proposizione specifica) che, normalmente è quella zoppa, falsa. Per questo
motivo oggi è soprattutto di tipo fotografico, perché la fotografia è considerata (in maniera sbagliata)
una documentazione della realtà e, per questo, più verosimile, mentre fino agli anni ’70 era di
preferenza di tipo grafico (illustrazioni, fumetti).
•Copy: è il testo esplicativo che può accompagnare il messaggio dandone una spiegazione. Si
sta progressivamente perdendo.
•Pay-off: è la chiusura, che completa il manifesto nella sua parte bassa, nelle pubblicità
classiche costituisce la conclusione del sillogismo. Nelle pubblicità contemporanee (soprattutto nei
settori immateriali, come la moda) sempre più spesso è assente.
•Brand: è il marchio, il simbolo identificativo dell’emittente del messaggio, la cui presenza è
fondamentale per la costruzione del senso del messaggio.
Nel nostro esempio, la pubblicità può essere spiegata con il seguente sillogismo:
 Premessa maggiore (luogo comune): “Internet potrebbe aprirmi molte opportunità se sapessi
come sfruttarle”.
 Premessa minore (visual focalizzato dall’headline): “Web Graphic srl sa sfruttare tutte le
opportunità del WEB”.
 Conclusione: “Con Web Graphic srl potrò sfruttare tutte le opportunità del WEB!”.

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13. USABILITÀ

Fra due spiegazioni scegli la più chiara.


Fra due forme la più elementare.
Fra due parole la più breve
(Eugenio d'Ors)

Spesso gli autori, pur essendo super-esperti della materia, non sempre sanno come scrivere un
testo, come comunicare con efficacia attraverso la scrittura. Che sia destinato alla stampa o alla lettura
a video, un testo scritto deve essere facilmente fruibile dal lettore.
Naturalmente, non mi riferisco a un testo narrativo, che deve sottostare a regole diverse riguardo
alla struttura (ma restano valide quelle di formattazione per un’agevole lettura).

Il lettore ideale
Ancora prima di cominciare a scrivere è bene chiedersi a quale tipo di pubblico si intende
rivolgersi, domandarsi chi sarà il vostro lettore-tipo.

Chi è?
Che mestiere fa? Quali sono le conoscenze tecniche e linguistiche e il background culturale che
mediamente possiede? Può essere collocato in una determinata fascia d’età? Per esempio, se vi
rivolgete a ragazzi delle scuole medie userete un linguaggio diverso da quello che usereste in un
manuale destinato a studenti universitari.
Il significato etimologico di comunicazione è ‘mettere in comune, condividere, partecipare’: nel
comunicare si ha sempre presente un ‘altro’ che si desidera raggiungere e coinvolgere in qualche
forma di attività. […] Per comunicare è dunque necessario porsi sempre il problema dell’altro, del
destinatario del nostro atto comunicativo. (Pallotti)

Perché?
Qual è la motivazione che lo ha spinto ad acquistare il libro o a restare collegato a Internet o a
scaricare e stampare questo testo? Quali vantaggi pratici potrebbe trarre dalla sua lettura? Questo testo
può dargli informazioni pratiche per risolvere un problema, o dargli gli strumenti per superare un
esame o riparare un rubinetto, o ancora ampliare le sue conoscenze, fornirgli una guida spirituale?

Come
Sarà un testo da leggere dalla prima all’ultima pagina o da consultare, saltando da una capitolo
all’altro? Sarà una pagina web interna a cui il lettore potrà accedere tramite motore di ricerca,
capitando nel bel mezzo di un discorso?

Come rivolgersi al lettore?


Forma impersonale o diretta? Dargli del voi, del tu, del noi? Se immaginate di trovarvi di fronte
a un uditorio
formato da più di una persona, potete usare il voi: è diretto, semplice, immediato.
Se si preferisce una forma più elegante si potrebbe usare quella impersonale: meno diretta, più
formale e, a volte, più complessa sintatticamente.
Se vorresti instaurare col lettore quasi un dialogo, in una comunicazione uno-a-uno, gli darai del
tu: diretto e semplice, usato in genere nelle comunicazioni commerciali e nei testi per bambini e
ragazzi.
Se invece ci sentiamo coinvolti nell’ideale gruppo di lettori/ascoltatori, e sottintendiamo che
facciamo le stesse cose, possiamo usare il noi: attenzione, però, a non incartarci con frasi poco lineari.
Se mi sento un po’ cavia un po’ esempio, o voglio che il lettore si immedesimi totalmente nella
lettura, posso usare la prima persona singolare, anche se questa soluzione in alcuni casi potrebbe
risultare… egocentrica.
Qualunque soluzione scegliate, siate consapevoli della scelta effettuata, coerenti e usatela
dall’inizio alla fine.

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Cambi improvvisi di stile sono fastidiosi e potrebbero disorientare il lettore. Se preferite una
prima stesura spontanea, questo tipo di uniformazione può essere affidato alla fase di rilettura e
revisione.

Cosa ho da dire?
Il passo successivo, dopo aver compilato il profilo ideale del lettore, è capire cosa avete da dire
in merito all’argomento prescelto. Guardate cosa c’è in frigo e in dispensa, riordinate le idee e
stendete il menu del pranzo che vi accingete a preparare. Fuor di metafora, buttate giù un elenco di
argomenti, temi, punti chiave; organizzateli in maniera coerente, preparate una scaletta strutturata, che
costituirà lo scheletro, la struttura portante del vostro lavoro di scrittura.
La fase di progettazione è indispensabile perché rappresenta un momento di riflessione sulle
idee generate, e quindi un momento di verifica, di approfondimento e di sviluppo delle idee stesse.
Organizzando le idee, si è costretti a valutarne la coerenza e l’opportunità.

È utile, poi, lasciar decantare per qualche giorno la prima scaletta e tornare in seguito a
rileggerla con la mente sgombra per assicurarsi di non aver dimenticato nulla. Quando sarete convinti
della solidità e completezza e coerenza della vostra struttura, cominciate a scrivere, possibilmente dal
primo capitolo.

Letture. Caratteristiche di un testo


Partendo dal significato etimologico, testo deriva originariamente dal latino textus, che significa
‘tessuto’: già l’etimologia ci indica che un testo è qualcosa che sta insieme, le cui parti sono
strettamente intrecciate tra loro. Per potersi definire tale un testo deve possedere queste cinque
caratteristiche:
• coerenza
• coesione
• strutturalità
• completezza
• autonomia
La coerenza indica precisamente l’aspetto di ‘tessitura’ di cui abbiamo parlato: un insieme
disordinato di idee, senza alcun legame tra loto, non è un testo. Se la coerenza riguarda i rapporti tra
idee e significati, la coesione non è altro che la manifestazione linguistica della coerenza, includendo
tutti quei meccanismi che segnalano i rapporti tra le varie parti del testo come per esempio pronomi,
sinonimi, congiunzioni, avverbi.
Un terzo aspetto comune a tutti i testi è la loro strutturalità: un testo non è un amalgama
indistinto di suoni o lettere, ma questi sono ordinati a formare delle strutture di sempre maggiore
complessità, dalle singole parole alle frasi, ai paragrafi, ai capitoli. Le due caratteristiche
dell’autonomia e della completezza evidenziano il fatto che i testi devono avere dei confini cioè
devono poter essere compresi senza bisogno di spiegazioni da parte dell’autore.

Letture. Il Lettore Modello


In un suo famoso saggio, Lector in fabula, Umberto Eco analizza il ruolo del lettore nei testi
narrativi. Benché noi qui ci occupiamo solo di testi non narrativi, alcune considerazioni di base sono
valide per qualsiasi testo. Egli afferma che un testo postula il proprio destinatario come condizione
indispensabile non solo della propria capacità comunicativa concreta ma anche della propria
potenzialità significativa. In altri termini, un testo viene emesso per qualcuno che lo attualizzi.
La figura del lettore è quindi centrale. A questo proposito, l’eminente saggista ci consiglia di
non dimenticare mai che la competenza del destinatario non è necessariamente quella dell’emittente.
Per una comunicazione efficace, bisogna quindi tener conto delle diverse competenze dei lettori
e ricordarsi che scrivere non è parlare. Infatti, se nella comunicazione faccia a faccia intervengono
infinite forme di rafforzamento extralinguistico (gestuale, estensivo e così via) e infiniti procedimenti
di ridondanza e feedback, l’uno in sostegno dell’altro non è così in un testo scritto, poiché non vi è
mai mera comunicazione linguistica, ma attività semiotica in senso lato, dove più sistemi di segni si

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completano l’un l’altro. Ma cosa accade con un testo scritto, che l’autore genera e quindi affida a
svariati atti di interpretazione, come un messaggio in una bottiglia?
Abbiamo detto — continua Eco — che il testo postula la cooperazione del lettore come propria
condizione di attualizzazione. Possiamo dire meglio che un testo è un prodotto la cui sorte
interpretativa deve far parte del proprio meccanismo generativo: generare un testo significa attuare
una strategia di cui fan parte le previsioni delle mosse altrui […].
Per organizzare la propria strategia testuale un autore deve riferirsi a una serie di competenze
(espressione più vasta che “conoscenza di codici”) che conferiscano contenuto alle espressioni che
usa. Egli deve assumere che l’insieme di competenze a cui si riferisce sia lo stesso a cui si riferisce il
proprio lettore.
Pertanto prevederà un Lettore Modello capace di cooperare all’attualizzazione testuale come
egli, l’autore, pensava, e di muoversi interpretativamente così come egli si è mosso generativamente.
Riprendendo ed esplicitando l’argomentazione di Eco, Gabriele Pallotti afferma che, poiché
l’autore non può effettivamente sapere chi saranno i suoi lettori reali, è costretto a costruirsi “lettori
modello”, che orienteranno le sue strategie di scrittura.
Quindi, se la scrittura vuol essere veramente un atto di comunicazione, occorre porsi
esplicitamente il problema del lettore, sapendo che non è di facile soluzione […] Non c’è mai un testo
‘buono’ in assoluto per tutti i lettori […]. Un testo, per essere efficace, deve sempre porsi il problema
del lettore modello, fare i conti con questa e altre limitazioni. (Pallotti 1999: 11)

Forma e contenuto: Coerenza e correttezza linguistica


Una volta identificato l’interlocutore e stabilito il contenuto è bene tener d’occhio la forma. Se è
a un tecnico che vi state rivolgendo, usate pure termini specifici, molto spesso in inglese. Ma non fate
l’errore di tradurre grossolanamente espressioni straniere, senza neanche dare un’occhiata al
vocabolario , o di usarle a sproposito.
Per esempio, se state parlando a un grafico digitale, non c’è evidentemente bisogno di spiegargli
cosa significa GIF, perché dovrebbe saperlo! Se invece vi state rivolgendo a un responsabile
marketing, potete evitare la spiegazione dell’acronimo perché a lui interessa piuttosto sapere che si
tratta di un formato immagine universale leggibile anche su piccoli schermi a 256 colori.
Inoltre, è importante essere coerenti. Spiegate gli acronimi (se necessario) o un termine
particolare la prima volta che li usate, quando introducete l’argomento.
Se scegliete uno stile diretto e informale non cambiate direzione strada facendo; non scrivete un
paragrafo asettico e staccato da giuristi e quello successivo col tono da imbonitore.
Altro elemento fondamentale è la correttezza linguistica: il rispetto delle norme ortografiche,
grammaticali e sintattiche della lingua in cui scrivete. Se nella lingua parlata sono tollerabili forme
regionali e una sintassi “disinvolta”, la lingua scritta è più formale. Chi vi legge vi giudica anche per
gli errori che fate. Un testo ben scritto è più autorevole e più affidabile.
Attenti anche all’uso della punteggiatura: sbagliare la posizione di una virgola può stravolgere il
senso di una frase.
Limitate l’uso dei punti esclamativi e dei puntini di sospensione: vanno bene nei dialoghi, in una
sceneggiatura o in un racconto. Ma se usati in un testo informativo, troppi punti esclamativi danno
l’impressione che chi scrive sia un esaltato che grida al centro di una piazza o sta cercando di vendere
qualcosa. Troppi puntini di sospensione, invece, possono dare l’idea di un discorso incompleto, vago.
Chi vi legge non vi può ascoltare mentre con la voce date la giusta intonazione e riempite di
significato le parole; non è nella vostra testa, non è in grado di ricostruire i passaggi logici che avete
omesso di scrivere. Ogni testo va interpretato.
Fate in modo che il vostro sia il più possibile chiaro e inequivocabile: frasi ambigue
disorientano il lettore.
Conviene, quando si progetta una testo per il web, essere elastici e assegnare più al valore del
contenuto, distinguendo ciò che è titolo da ciò che è nota o testo.
Bisognerà stare attenti a quali font scegliere, In pratica, i tipi di carattere che si possono usare
sul web sono tre:
• la famiglia dei bastoni (Arial, Verdana, Tahoma, Trebuchet e Lucida per Windows; Helvetica,
Monaco e Geneva per il Mac; Bitstream Vera Sans e san serif per altri sistemi);

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• la famiglia dei graziati (Georgia e Times New Roman per Windows, Times per il Mac,
Bitstream Vera Serif e serif per altri sistemi);
• i caratteri monospazio o a larghezza fissa (il più diffuso è il Courier, molto simile a quello delle
vecchie macchine per scrivere).
In realtà, secondo gli standard stabiliti dal W3C (il consorzio internazionale che definisce regole
uguali per tutti, sia nei linguaggi e nei codici usati sul web. sia nei meccanismi di interpretazione del
codice da parte dei vari browser) le famiglie generiche di font sono cinque: serif (graziati), sans-serif
(bastoni), monospaced (monospazio), cursive, fantasy.
Cursive indica tutti quei font che ricordano la grafia manoscritta, generalmente inclinata (come
il corsivo). Fantasy, invece, indica quei font le cui lettere alfabetiche presentano decorazioni di vario
tipo.
Chi visita il vostro sito è interessato al contenuto dei vostri testi, e fa poca differenza se essi
sono visualizzati in Garamond o Souvenir. Quel che conta è che il vostro testo sia ben leggibile sullo
schermo.

Formattazione e disposizione dei testi


In un testo destinato alla lettura a monitor, è importante curare anche altri aspetti di
formattazione. Leggere a video è più faticoso che leggere un testo stampato e bisogna catturare
l’attenzione del lettore.
Evitate blocchi lunghissimi di testo senza spazi bianchi, nonché righe di testo in caratteri piccoli
che attraversano tutto il monitor. In caso di righe lunghe, preferite la classica impaginazione allineata
a sinistra, ed evitate testi tutti centrati, con disordinato succedersi di righe lunghe e corte.
Attenzione al corsivo: alcuni font bastoni (tipo Arial, Helvetica) assumono un fastidioso aspetto
scalettato quando vengono corsivizzati. Se il vostro testo prevede grande uso del corsivo, preferite un
font graziato (tipo Times).
Evidenziate le parole e i concetti chiave (mettendoli in grassetto o in colore), perché anche il
lettore più distratto possa cogliere a una prima occhiata il senso del vostro messaggio. Dividete il testo
in piccoli paragrafi e usate dei titoli, di modo che il lettore possa facilmente individuare
l’informazione che gli interessa.

Il colore
Elemento visivo molto importante, il colore è spesso poco utilizzato nei testi a stampa per
ragioni di costi. Stampare un libro col solo inchiostro nero costa molto meno che stamparlo a colori,
questo è evidente, e i libri con elevati costi di produzione hanno più difficoltà a essere pubblicati.
Quando però si tratta di un testo digitale, il problema costi viene a cadere e, se sarà fruibile
esclusivamente a monitor (o proiettato, nel caso di presentazioni), l’uso del colore è consigliato,
perché aiuta a evidenziare alcune parti e a movimentare il testo. Naturalmente bisognerà porre molta
attenzione alla scelta dei colori.
Colori troppo simili al fondo (giallo, rosa, celestino su fondo bianco; blu, viola, marrone su
fondo nero) sono difficoltosi da leggere per chiunque.
Anche i migliori contenuti restano illeggibili se scritti in rosso sul viola, o verde su sfondo rosso.
Ci sono colori che messi assieme “vibrano”, cioè si impastano e rendono difficile distinguere i
contorni. La scelta si deve sempre orientare verso colori non troppo accesi e con un buon contrasto
rispetto allo sfondo.
L'analisi semiotica del manifesto si basa sul modo di esistenza semiotica semi-simbolico
cercando di estrapolare, attraverso una visione astratta del dipinto, eventuali contrasti plastici,
ripartendoli nelle tre categorie, cromatica, eidetica e topologica. È necessario questi concetti

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14. APPROFONDIMENTI

L'evoluzione dell'uomo: bussola, radar, decoder

La «navigazione» sul web è una via ormai ordinaria per la conoscenza. Oggi accade sempre
più spesso che, quando si ha la necessità di una informazione, si interroghi la Rete per avere la
risposta da un motore di ricerca come Google, Bing o altri ancora. Internet sembra essere il luogo
delle risposte. Esse però raramente sono univoche: la risposta è un insieme di link che rinviano a testi,
immagini e video. Ogni ricerca può implicare una esplorazione di territori differenti e complessi
dando persino l’impressione di una certa esaustività. Quale fede troviamo in questo spazio
antropologico che chiamiamo web?
Digitando in un motore di ricerca la parola God oppure anche religion, spirituality, otteniamo
liste di centinaia di milioni di pagine. Nella Rete si avverte una crescita di bisogno religioso che la
«tradizione» sembra faccia fatica a soddisfare. L’uomo alla ricerca di Dio oggi avvia una navigazione.
Quali sono le conseguenze? Si può cadere nell’illusione che il sacro o il religioso siano a portata di
mouse. La Rete, proprio grazie al fatto che è in grado di contenere tutto, può essere facilmente
paragonata a una sorta di grande supermarket del religioso. Ci si illude dunque che il sacro resti «a
disposizione» di un «consumatore» nel momento del bisogno.
In tale contesto occorre però considerare un possibile vero e proprio cambiamento radicale
nella percezione della domanda religiosa. Una volta l’uomo era saldamente attratto dal religioso
come da una fonte di senso fondamentale.
L’uomo era una bussola, e la bussola implica un riferimento unico e preciso.
Poi l’essere umano ha sostituito nella propria esistenza la bussola con il radar, che implica
un’apertura indiscriminata anche al più blando segnale, e questo, a volte, non senza la percezione di
«girare a vuoto». L’uomo però era inteso comunque come un «uditore della parola», alla ricerca di un
messaggio del quale sentiva il bisogno profondo.
Oggi queste immagini, sebbene sempre vive e vere, reggono meno. L’uomo, da bussola prima e
radar poi, si sta trasformando in un decoder, cioè in un sistema di decodificazione delle domande sulla
base delle molteplici risposte che lo raggiungono. Viviamo bombardati dai messaggi, subiamo una
sovra-informazione, la cosiddetta information overload.
Il problema oggi non è reperire il messaggio di senso ma decodificarlo, riconoscerlo sulla base
delle molte risposte che riceviamo. La testimonianza digitale diventa sempre di più un «rendere
ragione della speranza» (1 Pt 3,15) in un contesto in cui le ragioni si confrontano rapidamente e
«selvaggiamente». A farsi largo è il classico meccanismo della pubblicità, che offre risposte a
domande che ancora non sono state formulate. La domanda religiosa in realtà si sta trasformando in
un confronto tra risposte plausibili e soggettivamente significative.
La grande parola da riscoprire, allora, è una vecchia conoscenza del vocabolario cristiano:il
discernimento. Le domande radicali non mancheranno mai, ma oggi sono mediate dalle risposte che
si ricevono e che richiedono il filtro del riconoscimento. La risposta è il luogo di emersione della
domanda. Tocca all’uomo d’oggi, dunque, e soprattutto al formatore, all’educatore, dedurre e
distinguere le domande religiose vere dalle risposte che lui si vede offrire continuamente. È un lavoro
complesso, che richiede una grande preparazione e una grande sensibilità spirituale.
“Malati” di troppa comunicazione: un test per curarli dalla Svizzera.
La comunicazione è il male moderno. Una vera e propria malattia che come tale necessita di una
cura. Un test in Svizzera mostra come l’uso smisurato di cellulare, posta elettronica e social network
diventi per l’uomo una patologia.
Questo il progetto presentato nella mostra “Comunicare nuoce” al Museo della Comunicazione
di Berna, che spiega al visitatore come “difendersi” dalla ipercomunicazione e dal “flusso incessante”
di dati che ogni giorno ci travolge.
I dati sono impressionanti: una persona potrebbe leggere 350 pagine al giorno – se avesse
moltissimo tempo a disposizione, sia chiaro – , per vedere tutti i video caricati in un giorno su Youtube
da tutto il mondo sarebbero necessari 6 anni, che nel web finiscono 20 milioni di mail ogni 2 minuti,
che i siti nel mondo sono 325 milioni e che in un secondo inviamo 200 mila sms. Ma l’uomo come

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reagisce alla quantità di dati che continuamente lo raggiungono? L’Istituto di Sociologia
dell’Università di Berna si è posta questo problema.
La soluzione dei ricercatori di Berna è stata di formulare un semplice test che può essere
eseguito durante la mostra.
Il visitatore “subisce” una raffica di domande al termine del quale riceve un cartellino di
differente colore in base al rapporto con la comunicazione: verde per i “sani”, giallo per i “malaticci”,
arancione e rosso per i “malati”. La mostra negli ultimi due casi offre anche una cura. Gli “arancioni”
sono indirizzati in una stanza piena di sassi, una sorta di giardino zen dove ritrovare il proprio
equilibrio fisico e simbolico. Difficile la guarigione dei “rossi”, indirizzati in una stanza con cuscini
neri e luci fucsia per il relax.
Ulrich Schenk, responsabile del progetto, ha detto: “Qui nessuno ha soluzioni in tasca. Nessuno
dice che comunicare sia un male. È indispensabile, come mangiare. Mangiare male e troppo però ci
danneggia: ecco, il concetto è lo stesso. Qui diamo solo suggerimenti per fronteggiare, selezionare,
filtrare l’ondata di comunicazione che ci arriva addosso ogni giorno. E poi, sia chiaro, non è che si è
soltanto vittime. Chi partecipa al banchetto contribuisce a sua volta a crearlo, fa parte del problema”.
Insomma le indigestioni di “comunicazione” hanno una sola cura: la moderazione.
Riusciremo a staccare telefono, computer e televisione e cercare il relax ormai perduto?

Il Papa condanna il progresso della virtualità: “ha condotto ad una mutazione antropologica dei
giovani”

Secondo il Papa, il progresso avrebbe condotto i giovani a vite più concitate e ad una virtualità
che rischia di dominare la realtà. Benedetto XVI l’ha dichiarato presso la Certosa di Serra San Bruno,
dove ha recitato i Vespri.
“’Fugitiva relinquere et aeterna captare’: abbandonare le realtà fuggevoli e cercare di afferrare
l’eterno. In questa espressione della lettera che il vostro Fondatore indirizzò al Prevosto di Reims,
Rodolfo, è racchiuso il nucleo della vostra spiritualità: il forte desiderio di entrare in unione di vita con
Dio, abbandonando tutto il resto.
Ogni monastero - maschile o femminile - è un’oasi in cui, con la preghiera e la meditazione, si
scava incessantemente il pozzo profondo dal quale attingere l’acqua viva per la nostra sete più
profonda”.
“Ma la Certosa è un'oasi speciale, dove il silenzio e la solitudine sono custoditi con particolare
cura, secondo la forma di vita iniziata da san Bruno e rimasta immutata nel corso dei secoli”, ha
proseguito il Papa, ricordando alcuni effetti del progresso: “Ha reso la vita dell'uomo più confortevole,
ma anche più concitata, a volte convulsa”, con “città rumorose” e raro “silenzio”. Fra questi effetti c’è
anche la “virtualità che rischia di dominare sulla realtà”, che porta le persone ad essere “immerse in
una dimensione virtuale, a causa di messaggi audiovisivi che accompagnano la loro vita da mattina a
sera”, e i più “giovani” a “riempire di musica e di immagini ogni momento vuoto, quasi per paura di
sentire, appunto, questo vuoto”. Tutto questo sarebbe alla base di una sorta di “mutazione
antropologica”: “Alcune persone non sono più capaci di rimanere a lungo in silenzio e in solitudine”.

Spiritualità e i giovani

In quali e quanti modi la nostra generazione vive la spiritualità? Abbiamo ancora un rapporto
con un Dio, tra Chiesa Cattolica ed altre religioni, quali strade abbiamo conosciuto per vivere il
rapporto con un`entità al di sopra del mondo terreno, se ci crediamo ancora? Viviamo nell`epoca della
virtualità e della rete, il nostro contatto con l`evanescenza è quotidiano, la tecnologia ci fornisce con
una rapidità oltre-umana strumenti e mezzi per superare i nostri corpi e spesso, anche i nostri desideri.
Riuscire a trovare spiritualità in questo nuovo contesto culturale forse è molto più difficile che in
passato. Per alcuni, le religioni, così come ce le insegnavano alla scuola elementare, non hanno più
molto senso, al contempo Piazza San Pietro continua ad affollarsi ogni domenica e tra la moltitudine,
anche tanti giovani. In compagnia di Padre Cesare Atuire una riflessione sulla crisi spirituale che
attraversa le nuove generazioni. La volontà di rimettere tutto in discussione spesso racchiude il
bisogno di una dimensione religiosa più autentica che non si ferma alla superficie, ma scava in

Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 53 -


profondità nella coscienza; una fede che non nasce da imposizione esterna o da accettazione passiva,
ma da una reale aspirazione dell'individuo.

Religione e Cybernetica

Internet oggi rappresenta l’apogeo dell’astrazione e dell’intellegibile: sfruttare le risorse del web
può far sentire i giovani onnipotenti perché attribuisce loro alcune delle prerogative che
appartenevano per tradizione alla divinità, come il dono dell’ubiquità: la rete mette a disposizione un
ampio raggio di informazioni e contenuti prelevandoli da ogni parte del globo, con un solo clic ci
permette di avere di fronte un interlocutore proveniente da un’altra nazione e di conoscere notizie
provenienti da ogni parte della terra in tempo reale, superando in un soffio immense distanze sia sul
piano temporale che su quello spaziale.
Grazie all’interfaccia è possibile proiettarsi in mondi immaginari che esistono solo virtualmente
e sottoporsi ad ogni sorta di esperienza restando seduti di fronte ad uno schermo. Il mondo virtuale
non è del tutto estraneo alla cultura religiosa, basti pensare al concetto di “avatar” che è stato preso in
prestito dall’Induismo: il termine in sanscrito significa “disceso” e indica l’incarnazione di una
divinità in una forma umana per far trionfare la giustizia e il bene, ogni volta che i demoni infrangono
la legge cosmica; gli avatar o avatara sono considerati intermediari dall’aspetto umano tra l’Essere
Supremo e i mortali. Evidenti le analogie con l’avatar che diventa rappresentazione digitale (realizzata
in forme diverse, per esempio un personaggio inventato o reale) del visitatore di un ambiente virtuale:
oltre ad essere un personaggio coerente con l’ambientazione in cui viene vissuta la seconda vita,
varcando i limiti delle possibilità umane, è un modo diverso di vivere la propria personalità, in quanto
ognuno può determinare le caratteristiche del proprio avatar (pur nei limiti imposti da certi parametri)
e nella scelta far emergere la parte più profonda di se stessi che solitamente non riesce a rivelarsi nella
mondo reale.
Tuttavia anche in un contesto di questo tipo restano immutate le esigenze spirituali dei giovani
di cui la tecnologia si fa tramite, divenendo unicamente il mezzo attraverso cui esprimerle e, al limite,
soddisfarle. La volontà di non apparire in Internet, nascondendosi dietro ad un’identità inesistente, è
un atteggiamento controcorrente rispetto all’esibizionismo che invade la società nel mondo reale: il
disperato tentativo di mostrarsi davanti ai riflettori coinvolgendo esageratamente l’aspetto fisico.
Anche la Chiesa ha preso coscienza di questa nuova configurazione: il Papa ha sottolineato
l’importanza di doversi adeguare ai nuovi mezzi di comunicazione e alle nuove tecnologie per
trasmettere il messaggio evangelico, ha compreso che, per parlare ai giovani è necessario porsi sullo
stesso piano, parlare lo stesso linguaggio. Per questa ragione anche gli studiosi di teologia devono
affiancare alla loro preparazione anche nozioni di tipo informatico, per rendere più efficace il loro
messaggio –che non può prescindere dal potere suggestivo delle immagini –ed evitare fraintendimenti.
“Dio dopo Internet” è stato il primo sito italiano di omelie online, fondato dal Gesuita Padre
Nazzareno Taddei sj, nel 1995. Dopo la sua morte il sito ha riaperto i battenti con una nuove veste
grafica e viene gestito da un gruppo di religiosi che rispondono alle domande dei fedeli sui grandi
temi dell’attualità, dispensando anche consigli per la vita quotidiana. L’interesse dei giovani per le
questioni spirituali è dimostrato dalla presenza di un folto gruppo di visitatori del sito (anche persone
che si sono allontanate dalla religione e vorrebbero riavvicinarsi), desiderosi di confidare i propri
dubbi e le proprie perplessità in fatto di fede e non solo.
Oggi il rapporto tra preti e web è divenuto ancor più stretto e si sono moltiplicati i siti gestiti da
religiosi: non è stato risparmiato neppure Facebook dove, grazie alle mailing list i fedeli possono
ricevere informazioni sulle attività e notizie locali.

Come facebook ha cambiato la nostra vita

“Ti taggo nella foto di gruppo”.


“ A dieci dei tuoi amici piace questo elemento. Dì che piace anche a te”.
“Tizio ha commentato il tuo stato”.
Queste espressioni sono ormai entrate a far parte del linguaggio quotidiano di circa 800 milioni
di persone in tutto il mondo: sono gli iscritti a Facebook, il social network che ha cambiato il modo di

Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 54 -


comunicare. E' rapido, immediato e gratuito, basta un computer ed una connessione internet. Chi ha amici
sparsi in tutto il mondo conosce i molteplici lati positivi del social network: chiacchierare con l'amica
cilena o vedere le foto del matrimonio dell'amico francese non è mai stato così facile. Niente più lunghe
telefonate dispendiose, basta uno smile in bacheca per sapere che l'amico che vive lontano sta bene.
Oltre ad agevolare le persone che si vogliono tenere in contatto, permette all'uno di conoscere i
molteplici aspetti della vita dell'altro: è possibile condividere stati, canzoni, video. Favorisce il
confronto e spesso, lo scontro. Questo sito web di reti sociali permette agli iscritti di mostrare ai propri
amici i gusti musicali, le preferenze in fatto di film, la posizione politica, il credo religioso, la
situazione sentimentale. Avere un profilo su facebook significa mettere la propria vita su una
piattaforma virtuale.
“Come ci si distingue in un gruppo in cui tutti prendono 1600 al test di ammissione
universitario?” chiede Mark Zuckerberg, interpretato da Jesse Eisenberg nel film “The social
network”, alla fidanzata.
Quando ha creato Facebook, lo studente di Harvard aveva solo diciannove anni. Lui e la sua
creazione hanno ricevuto molte critiche: si passa da quelle ironiche, come quella presente nella pagina
di Nonciclopedia interamente dedicata al social network, a quelle fondate sul reale timore che questa
nuova “moda” apparentemente innocua possa invece rivelarsi pericolosa e creare dipendenza. Tre dei
colleghi universitari di Zuckerberg hanno intentato causa contro di lui: pare che il suo comportamento
non sia stato esattamente corretto durante la fondazione di Facebook.
Alcuni temono che la nostra diventi una società afona: la televisione, il computer, il telefono
cellulare portano l'individuo a isolarsi e ad evitare il contatto diretto col prossimo. La comunicazione
non verbale rischia di scomparire, secondo gli osservatori pessimisti. Nella comunicazione
multimediale non c'è spazio per i sorrisi, gli sguardi, non si può ammiccare o corrucciare la fronte.
Qualche tempo fa, un telegiornale nazionale lanciava un vero e proprio allarme: facebook dà
dipendenza.
In realtà la ricerca della prossimità è sempre presente, e spesso i social network come Facebook
vengono utilizzati proprio per favorire questo tipo di rapporto diretto. La creazione degli eventi
permette infatti a gruppi numerosi di darsi appuntamento in un determinato luogo ad una certa ora:
sarebbe quasi impossibile organizzare eventi di così ampia portata se non si avesse a disposizione uno
strumento simile. Sono stati organizzati scioperi, manifestazioni pacifiche; sono stati creati gruppi di
persone che perseguono uno stesso ideale. Si ha a disposizione una molteplicità alquanto differenziata
di fonti di informazione: sono infatti numerosi i giornali online e cartacei che hanno una propria
pagina facebook.
Molti giovani artisti riescono a farsi conoscere attraverso questo strumento: il metodo utilizzato
è il “passaparola”.
Un iscritto pubblica nella propria bacheca una sua canzone ( lo stesso vale per fotografie, poesie,
articoli ), che poi verrà condivisa da un amico nella sua bacheca, così altre persone potranno vederla,
commentarla e condividerla a loro volta.
Attualmente Facebook è il
secondo sito più visitato al mondo, con
un fatturato di 1 miliardo di dollari. Il
suo creatore è stato nominato il più
giovane miliardario al mondo nel 2008.
Ogni iscritto potrà dare una
diversa risposta alla domanda: “Perchè ti
sei iscritto a Facebook?”. Potranno
essere mosse nuove critiche, più o meno
fondate. Qualsiasi teoria sul social
network è opinabile e suscettibile di
modifiche.
Quel che invece è certo è che
Mark Zuckerberg, nel bene e nel male,
ha trovato il modo per distinguersi.
Giulia Cara

Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 55 -


INDICE GENERALE

1. CONCETTO DI “COMUNICAZIONE” p. 2

2. LA STRUTTURA DELLA COMUNICAZIONE p. 3


2.1 I fattori strutturali p. 3
2.2 Altri elementi p. 3
2.3 Relazioni tra emittente e destinatario
(ovvero l'interazione complementare e simmetrica) p. 4
2.4 Il codice p. 5
2.4.1 I sottocodici p. 5
2.4.2 I registri linguistici p. 6
2.5 Contesto p. 7
2.6 Rumori e ridondanza p. 7

3. IL MECCANISMO DELLA COMUNICAZIONE VERBALE p. 3


3.1 Modello di SHANNON-WEAVER p. 9

4. COMUNICAZIONE INTERPERSONALE p. 12
4.1 Il linguaggio analogico e linguaggio digitale p. 12
4.2 Il linguaggio verbale e non-verbale p. 13

5. IL SEGNO p. 15
5.1 Modello di Pierce p. 15

6. MODELLO DI LASSWELL p. 16

7. LA SEMIOTICA INTERPRETATIVA (NEGOZIAZIONE DEL TESTO) p. 17


7.1 Problema del significato p. 17
7.2 Fagocitazione, manipolazione, inferenza p. 17
7.3 L’abitudine p. 19

8. STORIA DEI MEDIA p. 21


8.1 Le tappe della comunicazione p. 21
8.2 Oralità p. 22
8.2.1 Oralità e memoria p. 23
8.2.2 La cultura orale p. 23
8.3 La scrittura p. 24
8.3.1 L’alfabeto p. 25
8.3.2 L’uomo chirografico p. 26
8.3.3 La cultura chirografica p. 26
8.4 Tecnologie della riproduzione: la stampa p. 28
8.4.1 Autori e lettori p. 28
8.4.2 L’uomo tipografico p. 30
8.4.3 La censura p. 31
8.5 Nascita e sviluppo dei mass media p. 32
8.5.1 La stampa diventa mezzo di comunicazione di massa p. 32
8.5.2 Il telefono e le sue funzioni p. 32
8.5.3 Lo spettacolo delle immagini in movimento p. 33
8.5.4 Il Novecento: la radio e la televisione p. 33
Sociologia della comunicazione - ISSR Matera - p. 56 -
8.6 Internet p. 34
8.6.1 Da Arpanet a Internet (anni settanta e ottanta) p. 35
8.6.2 Nascita del World Wide Web (1991) p. 35
8.6.3 Evoluzione del WEB p. 35
8.7 Cosa cambia con i media digitali p. 36
8.7.1 Il cyberspazio p. 37
8.7.2 Recenti sviluppi del web p. 38
8.7.3 Nodi problematici p. 39

9. TEORIE SUGLI EFFETTI DEI MEZZI DI COMUNICAZIONE p. 40


9.1 Apocalittici e integrati p. 40

10.2 Mc Luhan p. 43

12. COMUNICAZIONE VISIVA p. 46


12.1 La grammatica del manifesto p. 46
12.2 La sintassi del manifesto p. 47

13. USABILITÀ p. 48

14. APPROFONDIMENTI p. 52

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