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L'enciclopedia è conosciuta e controllata in modi diversi dai suoi diversi utenti, senza che a
nessuno sia dato di possederla integralmente. Si può distinguere perciò tra enciclopedia e globale,
intesa come insieme di tutti gli interpretanti registrati da una data cultura, pena competenza
enciclopedica possedute misura variabile da ciascun individuo. Chiaro che l’enciclopedia globale è
un concetto troppo generico è virtuale per essere di qualche utilità a una teoria della
comunicazione.
La competenza enciclopedia , infatti, in quanto soggettiva e individuale, non rende ancora conto
del fatto che per comunicare occorre condividere, almeno in parte, alle competenze
enciclopediche del proprio interlocutore. per poter impiegare il concetto di competenza
enciclopedica nell'ambito delle teorie della comunicazione, occorre postulare che i soggetti
comunicanti condividono porzioni più o meno ampie dell'enciclopedia globale. Per esempio, si può
ritagliare dall'enciclopedia globale una porzione di saperi specialistici che rendono possibile la
comunicazione all'interno di determinate comunità scientifiche, come le comunità degli zoologi,
dei chimici, degli antropologi, degli storici.
Far parte di una certa comunità significa condividere la conoscenza di una o più enciclopedie locali,
le quali, nel corso degli scambi comunicativi possono rimanere sottaciute in quanto da te per
compartecipate dalla comunità. l'enciclopedia locali possono essere di varia estensione, sia nel
senso che possono riguardare campi semantici più o meno vasti, sia nel senso che possono essere
condivise da gruppi più o meno allargati di persone. La stessa appartenenza a una determinata
comunità linguistica presuppone un’Enciclopedia media fatta di conoscenze, di credenze e di
regole per l’azione pratica, il cui possesso è la condizione necessaria per potersi riconoscere come
membri a pieno titolo di tale collettività.
In questo senso l'enciclopedia “media” può essere vista come un'enciclopedia locale molto
particolare, un'enciclopedia locale “privilegiata”, che pur essendo parte dell'enciclopedia Globale
costituisce Tuttavia il suo interno non sotto universo coerente e delimitato, e costituisce una sorta
di “rappresentazione complessiva” di una data cultura.
L'enciclopedia media e il prodotto dell'interazione tra innumerevoli Enciclopedie individuali, le
quali si confrontano e si intersecano durante i concreti processi comunicativi, stabilizzando Sei su
un nucleo di abiti interpretativi condivisi che agevolano la comunicazione interpersonale nella
misura in cui la rendono più standardizzata e fluida.
TESTO ED ENCICLOPEDIA
Dunque la teoria semiotica che adottano enciclopedia come proprie ipotesi regolativa rinuncia in
partenza ha l'obiettivo di rappresentare il piano del Contenuto in modo esaustivo. Ciò non
significa, tuttavia, che le Enciclopedie locali non possono essere anche delle realtà semiotiche
effettivamente operative ogni volta che, interpretando un testo, integriamo le informazioni che il
testo fornisce esplicitamente con informazioni che attingiamo dal bagaglio delle nostre
conoscenze enciclopediche.
Ogni testo discorso circoscrivere Infatti un’area di consenso entro la quale il discorso stesso si
muove, stabilendo quali zone dell’enciclopedia devono essere attivate per garantire il buon
andamento dell’interazione comunicativa e quali invece vadano temporaneamente messe tra
parentesi in quanto non pertinenti in quel particolare contesto.
Per interpretare le frasi ambigue, ad esempio, la scelta del topic è resa possibile dagli indizi
supplementari che l'interprete ricava (a) dalle circostanze di enunciazione in cui avviene lo
scambio comunicativo e (b) dal contesto, ossia da ciò che precede e segue la frase nel flusso del
discorso.
Se ne deduce che, in assenza di indicazioni supplementari circa le circostanze di enunciazione e/o
il co-testo in cui la frase inserita, quest'ultima sia priva di significato. A questo proposito vi sono le
teorie del testo le quali negano la possibilità di stabilire il significato di un termine o di un sintagma
a prescindere dall'effettiva situazione enunciativa in cui esso viene preferito.
A questa famiglia di teorie testuali, e fortemente polemiche nei confronti di qualsiasi tentativo di
rappresentare il significato linguistico delle parole al di fuori dei contesti comunicativi specifici Eco
contrappone le cosiddette “teorie di seconda generazione” , le quali pongono dei “punti di
raccordo tra uno studio della lingua come sistema strutturato è uno studio del discorso dei testi
come prodotti di una lingua parlata o in ogni caso parlanda”. L’assunto da cui Eco trae avvio è che,
anche prima di calare una parola o una frase all'interno di una determinata situazione enunciativa,
sia possibile prevedere un ventaglio di usi comunicativi a cui tale frase dalle parola potrebbe dare
adito.
L’Enciclopedia registra, tra le informazioni, i contesti in cui è statisticamente più probabile che
ciascun termine venga impiegato, i sensi più o meno cristallizzati che esso in genere assume in
ognuno di questi contesti o gli altri sememi che prevedibilmente lo accompagnano nei sintagmi in
cui sarà inserito. da ciò si capisce che l’Enciclopedia funziona come una sorta di manuale di
istruzioni per l'inserzione testuale e contestuale dei sememi, consentendo al interprete di
anticipare le possibili espansioni testuali di ciascun insieme ma, a seconda dei contesti in cui è
prevedibile che esso venga utilizzato.
È su questo principio di prevedibilità degli usi comunicativi dei termini che si fondano le definizioni
dei vocabolari, e quali registra una non la totalità degli usi possibili di ciascuno dei termini definiti,
bensì il ventaglio dei loro senti statisticamente più probabile.
4 Interpretazione
4.1PERCHÉ L'INTERPRETAZIONE?
Per comprendere quali meccanismi fanno definire un testo interpretabile e quali sono le
particolarità che consentono a un determinato qualcuno di stabilire quale, tra le varie
interpretazioni a cui il testo potrebbe dare adito, sia quella più corretta o quantomeno quella più
adeguata rispetto a quel particolare contesto comunicativo, sono dei quesiti sui quali molti
semiologi si sono interrogati e li hanno spinti verso gli ingranaggi dell'interpretazione, in base
all’ipotesi della centralità dell’interprete nel processo di costruzione del senso.
Peirce ha spiegato che il processo dell’interpretazione può essere scandito in diverse fasi a
partire dal momento in cui l’interprete entra in contatto con qualcosa che cattura la sua
attenzione e si accinge a interpretarlo, passando attraverso il flusso della semiosi in azione e la
scelta delle ipotesi, per approdare alla fase conclusiva in cui l’interprete identifica il
qualcos’altro per il quale suppone che il segno stia e, al contempo, formula l’interpretante
(mentale o comportamentale) che sancisce la chiusura di un ciclo di interpretazione.
Altri studiosi hanno elaborato modelli che, sulla scorta di quello tracciato da Perice, tentano di
spiegare che cosa accade quando un interprete entra in relazione con un testo. La premessa che li
accomuna è l’idea che ogni atto interpretativo coinvolga almeno due elementi incancellabili:
un dispositivo che interpreta e un testo da interpretare. Le nozioni di testo e di interpretazione
sono inestricabilmente intrecciate e non è possibile definirne una senza chiamare in causa
l’altra.
4.1.1 TRE INTENZIONI
Testo e interprete si presuppongono a vicenda nel meccanismo della comprensione. Come
ogni altro tipo di interpretazione, la ricezione di un atto comunicativo richiede l’intervento dei
meccanismi cognitivi e inferenziale. Nel momento in cui riconosce un’intenzione comunicativa
dietro alla superficie espressiva del testo, l’interprete collaborativo si predispone a ricostruire tale
intenzione, per esempio, cercando di capire se il proferimento sia da intendere in senso letterale,
figurato o ironico, in modo da potervi rispondere adeguatamente.
Per Schleiermacher, l’interpretazione completa di un discorso si raggiunge solo quando
l’interprete fa rivivere in sé l’esperienza individuale testimoniata dal discorso stesso. Ma
mentre per l’autore il passaggio dall’evento psichico alla sua messa in discorso può avvenire in
modo largamente inconsapevole, l’interprete giunge alla riproduzione dell’evento originario
solo dopo essersi impadronito della struttura costitutiva profonda del testo, ossia dopo aver
compiuto un rigoroso studio di tipo filologico, linguistico e comparativo, per ricostruire le
norme grammaticali e stilistiche alle quali l’autore si è attenuto nella stesura della sua opera.
Per Schleiermacher, il culmine dell’interpretazione si raggiunge quando l’intentio lectoris riesce a
riprodurre esattamente l’intentio auctoris attraverso il dispiegamento dell’intentio operis.
Ciò che l’autore voleva dire è da considerarsi come una questione ininfluente: difatti, o
l’autore è riuscito a esprimere la propria intenzione comunicativa nel testo, e allora non c’è
bisogno di interrogarsi sui suoi proposti reali per conoscerla, oppure non è riuscito a
rappresentare la propria intenzione, e allora essa è irrimediabilmente persa.
L’analisi strutturale dei testi elegge a proprio oggetto di studio preferenziale il testo
“letterario”, narrativo o poetico. Ciò che conta ai fini dell’analisi di questo tipo particolare di testi
non è principalmente l’intentio auctoris, bensì il testo inteso come una forma conchiusa dotata di
un senso proprio.
Il significato di un testo sia racchiuso nelle maglie stesse del testo prima ancora che qualcuno
cominci a interpretarlo. Con ciò, non si nega che tale testo possa dare adito a una varietà di
possibili interpretazioni, magari anche sensibilmente diverse tra loro. Solo che, secondo questo
approccio, il testo è la matrice strutturale in grado di generare tutte le sue interpretazioni
possibili: ne deriva che ogni interpretazione empirica (intentio lectoris) che emana dal testo
realizzerebbe alcune delle potenzialità virtualmente contenute nel testo stesso (intentio
operis). Il problema è come definire tale intenzione del testo una volta che essa sia stata
definitivamente sganciata dai proposti comunicativi dell’autore e dagli usi che ne fa il lettore.
2. Violazione nascosta: consiste nei violare una massima, ma senza che gli interlocutori se ne
rendano conto. L’effetto di questo tipo di violazione è sempre di fuorviare in un modo o
nell’altro i propri interlocutori.
3. Conflitto: fra massime, si ha quando per rispettare una massima si è costretti a
violarne un’altra. È il caso delle risposte evasive.
Le presupposizioni semantiche sono prodotte dal significato particolare di alcuni verbi quali
smettere, dispiacersi, farcela, rendersi conto…
Le teorie che fondano la loro spiegazione sulla condivisione di un codice sono costrette a
riordinare e a sistematizzare questi casi di ambiguità in un numero sempre maggiore di
categorie, con soluzioni spesso ad hoc per ogni singola categoria di esempi.
Lo stesso processo di saturazione, cioè il processo dell’assegnazione di riferimento alle
espressioni che compongono le frasi, non è spiegabile in base a regole semantiche condivise. È
vero che una lingua è un codice che associa rappresentazioni fonetiche a rappresentazioni
semantiche, ma la rappresentazione semantica di una frase non coincide con i pensieri che
possono essere comunicati pronunciando quella frase. Si passa dalla rappresentazione
semantica al pensiero comunicato non attraverso un’aggiunta di codifica, ma per mezzo
inferenze. Sperber-Wilson.
L’inferente diviene il vero motore di tutto il processo interpretativo, inclusa la ricostruzione
dell’esplicito.
4.8 LA COMUNICAZIONE OSTENSIVA
Tutte le forme di comunicazione umana intenzionale, sia standarizzata sia non standarizzata,
rientrano nella categoria generale della comunicazione ostensiva.
Per comunicazione ostensiva si intende un processo che si realizza attraverso la produzione e
l’analisi di indizi di vario genere e natura. La strategia comunicativa dell’esecutore consiste
nell’individuare e produrre indizi, mentre la strategia dell’interprete coincide con il tentativo
inferenziale di dare un senso a quegli stessi indizi. Un indizio, nel senso comunicativo, non è altro
che un atto di ostensione.
Un atto ostensivo non è altro che la realizzazione dell’intenzione comunicativa, e cioè
dell’intenzione di rendere manifesta l’intenzione informativa.
Caratteristica degli atti ostensivi è quella di creare delle aspettative. Quando qualcuno indica una
cosa, cisi aspetta che questi abbia una ragione per farlo. Ci si aspetta anche che la ragione che
spinge un individuo a produrre un atto ostensivo, sia esso un gesto o un proferimento o qualsiasi
altro genere di segno, sia in qualche modo rilevante per il destinatario dell’atto. La rilevanza
dell’atto è ciò che giustifica lo sforzo, cioè la speranza di ottenere un’informazione che tenderà a
ottimizzare la nostra rappresentazione della realtà esterna. Il realizzarsi dell’intenzione
comunicativa funziona da segnale per l’interprete, il quale si sforzerà di capire quale sia
l’informazione rilevante che l’esecutore intende trasmettergli.
Questo è lo schema della comunicazione ostensivo-inferenziale, la quale può essere definita
come un’azione che realizza uno stimolo, il quale rende mutuamente manifesto all’esecutore e
all’interprete che l’esecutore intende trasmettergli una serie di informazioni.
La gomitata trasforma il normale sbadiglio in un atto ostensivo.
Le parole e le frasi non sono altro che un genere molto particolare di indizi; hanno la
caratteristica di manifestare immediatamente, per il semplice fatto di essere prodotti,
l’intenzione comunicativa e, grazie alla loro elevata standardizazzione, permettono di
restringere il campo delle ipotesi interpretative. Infatti, l’apporto del codice nel processo di
interpretazione è proprio quello di restringere il campo delle possibili ipotesi interpretative,
tendendo a escluderne alcune e sollecitandone altre. Così, comunicazione linguistica non è
altro che un caso particolare della comunicazione ostensiva.
DEFINIRE IL CONTESTO:
Givon ha individuato tre modi di intendere il contesto: il contesto generico, cioè la
condivisione del mondo e della cultura descritti da una determinata lingua; il contesto deittico,
cioè la condivisione della semplice situazione enunciativa; e infine il contesto del discorso (o co-
testo), cioè la condivisione della conoscenza del discorso immediatamente precedente al
proferimento stesso. Ma neppure questa distinzione è sufficiente per capire quali informazioni
entrino in gioco nel lavoro di interpretazione.
Bisogna considerare che il contesto è qualcosa con cui la nuova informazione deve reagire, e deve
perciò essere riducibile all’ambiente cognitivo, ambiente in cui l’interpretazione avviene.
Il contesto deve essere costituito da un sottoinsieme ritagliato dall’insieme di informazioni che
formano l’ambiente cognitivo di un individuo.
In primo luogo, nella mente dell’ascoltatore vi sono le informazioni utilizzate per
l’interpretazione dei proferimenti precedenti in generale e le informazioni attivate per la loro
stessa interpretazione. Vi sono le informazione risultanti dalle percezioni derivanti
dall’ambiente circostante. Infine, vi sono le entrate enciclopediche attivate in ordine di
accessibilità dal proferimento che deve essere trattato.
La ricerca del contesto è parte integrante dell’interpretazione di un proferimento e viene
guidata dagli stessi meccanismi che guidano l’interpretazione dei proferimenti, alla quale la
mente umana è biologicamente orientata.
E solo il proferimento che fornisce le indicazioni per la costruzione del contesto appropriato, ed è
solo dopo che il proferimento è stato eseguito che l’interprete parte alla ricerca del
contesto inteso, selezionandolo dall’ambiente cognitivo secondo diversi procedimenti.
Le implicazioni contestuali sono costituite dal risultato di tutte le deduzioni derivabili dalla
congiunzione delle informazioni del contesto con la nuova informazione acquisita percettivamente
o comunicativamente dall’esterno, e non sono derivabili separatamente solo dalla nuova
informazione o solo dalle informazioni contestuali.