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SEMIOTICA CAPITOLO 1 .

COMUNICAZIONE 1. DEFINIRE LA COMUNICAZIONE


Vi sono due accezioni correnti del termine comunicazione La prima riguarda la possibilità di un
collegamento fisico tra un luogo A e un luogo B. Il secondo senso del termine comunicazione ha invece a
che fare con la trasmissione di un " oggetto cognitivo " ( di un significato , di un contenuto , di
un'emozione , di una sensazione ) da una qualsivoglia fonte - non necessariamente umana e non
necessariamente intenzionata a comunicare alcunché - a qualche destinatario . La comunicazione può
essere provvisoriamente definita come una trasmissione di informazioni . Informazione come il processo di
manipolazione e organizzazione di una serie di dati tali da indurre un cambiamento nella rete di conoscenze
di chi li riceve .
1.1 . LA SOGLIA MINIMA DELLA COMUNICAZIONE
Siamo proprio di fronte a una serie di fenomeni che sembrano collocarsi lungo i margini del campo della
comunicazione vera e propria , senza uscirne del tutto . Questi fenomeni si situano sulla soglia minima della
comunicazione , in quanto l' apparato meccanico che riceve l' informazione ha solo una possibilità di
interpretazione Questi fenomeni rivestono un ruolo rilevante perché sembrano ridurre la complessità della
comunicazione al minimo , esibendone solo gli aspetti essenziali
1.2 , IL MODELLI INFORMAZIONALI DELLA COMUNICAZIONE
Sotto la soglia minima si collocano tutti quei fenomeni in cui il passaggio di informazioni da un dispositivo A
a un dispositivo B avviene attraverso un processo puramente meccanico di cause ed effetti materiali .
Modelli postali della comunicazione . Il modello di Shannon e Weaver ( 1949 ) : Elaborato nell'ambito della
teoria dell'informazione , delinea i passaggi essenziali che caratterizzano i diversi momenti del
trasferimento di " pacchetti di informazione " da un apparato meccanico a un altro . Appaiono prima di
tutto i dispositivi che partecipano allo scambio dell'informazione : la fonte e il destinatario . Alla fonte è
abbinato un dispositivo di trasmissione , o trasmittente , che ha la funzione di trasformare il messaggio in
segnale . Al destinatario è abbinato il ricettore , che la funzione speculare di ritrasformare il segnale in
messaggio . Trasmittente e ricettore sono messi in contatto da un canale , il quale può essere di natura
diversa a seconda di come si sta comunicando . Ciò che la fonte deve comunicare è il messaggio , il quale
deve essere trasformato in qualcosa di materiale per poter essere lanciato sul canale e colpire così l'
apparato ricettivo del destinatario . Il segnale è la veste materiale con cui il messaggio si concretizza . II
rumore è tutto ciò che può deteriorare il segnale lungo il canale creando uno scarto tra il segnale originario
e il segnale ricevuto . Una volta ricevuto dall'apparato ricettivo del destinatario , quest'ultimo compie l'
operazione inversa rispetto a quella compiuta dal dispositivo trasmittente , convertendo nuovamente il
segnale in messaggio .
L' unico elemento che può ostacolare è il rumore , ossia la presenza di disturbi sul canale che possono
degradare il segnale , alterandone la forma . Il modello si applica a processi elementari di trasferimento di
informazioni . Nella comunicazione spesso l' assenza di segnale è tanto significativa quanto la presenza . La
comunicazione linguistica potrebbe , almeno superficialmente , essere descritta negli stessi termini :
quando si parla con un'altra persona , il cervello di chi parla è la fonte dell'informazione , l' apparato
fonatorio è l' apparato trasmittente , le vibrazioni sonore costituiscono il segnale e l' aria è il canale della
comunicazione ; l' orecchio dell'interlocutore è il ricettore e il suo cervello è il destinatario finale del
messaggio . Tuttavia , quando si descrive la comunicazione umana , allo schema di Shannon e Weaver
sembra mancare qualcosa.
Il modello di Jacobson: individua sei fattori essenziali della comunicazione : -il mittente , cioè colui che invia
il messaggio , e il destinatario , cioè colui che lo riceve , ai fini della sua operatività , il messaggio deve
riferirsi a un contesto ed esibire un codice condiviso tra mittente e destinatario , infine , ci deve essere un
contatto , ovvero un canale fisico e psicologico fra mittente e destinatario. Rispetto al modello precedente ,
Jakobson introduce due nuovi elementi : il contesto e il codice . Vengono meno , invece , le distinzioni tra
fonte e trasmittente da un lato , e ricettore e destinatario dall'altro . Jakobson ha una concezione
preminentemente umana degli attori della comunicazione come essere senziente dotati di appartati
percettivi e di sistemi complessi per l' elaborazione dell'informazione . Jakobson si riferisce a questi due
ruoli chiamandoli anche codificatore e decodificatore , e condensando perciò in un unico elemento due
fattori che apparivano distinti nel modello ingegneristico . La distinzione tra messaggio e segnale a favore
della nozione di messaggio , mentre il riferimento al rumore scompare , rimanendo sottinteso , in quanto
non determina , dal punto di vista semiotico , un fattore rilevante . Il motivo per cui Jakobson predilige la
nozione di messaggio a quella di segnale è ciò che per lui è rilevante è il modo in cui un pensiero può
assumere una veste materiale , ciò che diventa centrale è sapere che cosa mette in relazione ciò che noi
pensiamo con ciò che noi comunichiamo , e viceversa . E nella nozione di codice che Jakobson trova una
risposta a questa domanda : il codice è un sistema di correlazioni tra i pensieri e le loro manifestazioni
espressive .
Il contesto è per Jakobson la realtà esterna a cui il proferimento verbale si riferisce . Jakobson è
consapevole che gli essere umani comunicano per dirsi qualcosa , e non solo per copiare un file da un
dispositivo mnemonico a un altro . Con Jakobson comincia ad affiorare la consapevolezza del valore
semantico e cognitivo della comunicazione . Il mittente ha qualcosa che vuole comunicare , un proprio
pensiero . Per poterlo comunicare , deve trasformarlo in messaggio avvalendosi , a questo scopo , delle
regole del codice , che è un insieme di associazioni tra i significati e le espressioni o significanti . L' azione
che permette di formulare il messaggio è chiamata codifica , mentre l' azione di decifra mento del
messaggio è chiamata decodifica.
Un'altra novità importante nel modello di Jakobson è che ogni fattore della comunicazione esso associa una
determinata funzione linguistica . Le funzioni stabiliscono , secondo Jakobson , le condizioni di esistenza del
linguaggio , ovvero ciò che si può fare e ciò di cui si può parlare con un linguaggio . Certamente , un
linguaggio può essere utilizzato per parlare del mondo esterno ed è il caso delle asserzioni , cioè delle frasi
che sono passibili di essere giudicate vere o false . In questo caso , si dice che il linguaggio esibisce la
funzione referenziale in posizione dominante. Ma non si comunica solo per scambiarsi informazioni sul
mondo esterno : il linguaggio viene utilizzato anche per esprimere stati d' animo , per indurre i destinatari
ad agire , per coltivare il contatto con l' altro indipendentemente da ogni scopo ulteriore , per mettere a
punto il codice comune e per giocare con gli ingranaggi del linguaggio stesso .
Ogni messaggio assolve altre cinque funzioni :
La funzione espressiva o emotiva che si concentra sul mittente , pone l' attenzione sullo stato d' animo ,
sull'atteggiamento dell'emittente stesso rispetto a ciò di cui parla . Essa tende a suscitare l' impressione di
un'emozione determinata , vera o finta che sia . La funzione emotiva " colora in qualche modo tutte le
nostre espressione a livello fonico , grammaticale e lessicale .
La funzione conativa è orientata principalmente sul destinatario e sugli effetti che il messaggio mira
suscitare in lui o in lei . La sua forma grammaticale più pura è costituita dal vocativo e dall'imperativo , ma
può esserci una funzione conativa dominante anche in enunciati a funzione apparentemente referenziale
come " fa freddo qui " .
La funzione fatica è invece mirata a stabilire , a prolungare o a interrompere la comunicazione , ovvero a
verificare se il canale funziona ad attirare l' attenzione del destinatario o ad assicurarsi la sua continuità . E
la prima funzione verbale che viene acquisita dai bambini , nei quali la tendenza a comunicare precede la
capacità di trasmettere o di ricevere un messaggio comunicativo.
la funzione metalinguistica ha come oggetto il codice stesso : il linguaggio parla del linguaggio . Ogni volta
che il mettente e / o il destinatario devono verificare se essi utilizzano lo stesso codice , il discorso è
incentrato sul codice .
La funzione poetica è incentrata sul messaggio . Essa non riguarda solo le poesie in senso stretto ma
permea il linguaggio nelle sue varie manifestazioni .
In definitiva , il modello di Jakobson non si distacca molto da quello di Shannon e Weber . Entrambi danno
per scontato che la comunicazione non sia possibile senza un codice condiviso , di cui si suppone che
emittente e destinatario siano pienamente in possesso prima ancora di entrare in contatto . Vengono
contemplate solo due ragioni per cui la comunicazione può fallire : o perché i due partner non condividono
il medesimo codice oppure perché un rumore sul canale altera il segnale o messaggio . Ma questi modelli
non spiegano i fraintendimenti che talvolta intervengono anche nel caso in cui emittente e destinatario
condividano lo stesso codice di base , e non subentri alcun deterioramento del messaggio lungo il canale .
i processi compiuti dal codificatore e dal decodificatore
. Secondo questi modelli , il lavoro svolto dal primo è perfettamente speculare a quello svolto dal secondo .
L' azione di codifica è insomma il reciproco della decodifica e viceversa . E difficile sostenere , in questo
modello teorico , che in condizioni di normalità , una volta appresso il codice , ci possa essere una disparità
di esecuzione tra l' una e l' altra operazione , al di là delle difficoltà di produrre un suono articolato .
1.2 . FARE A MENO DEL CODICE : LA COMUNICAZIONE COME SESTO SENSO
La situazione appena delineata si pone fuori dal modello di Jakobson , il quale presuppone la previa
condivisione di un codice come condizione indispensabile dell'atto comunicativo . Ma vi sono anche altre
differenze . Stando ai modelli informazioni , oltre alla non condivisione del codice , l' unica ragione che può
far fallire la comunicazione è l' interferenza di un rumore lungo il canale . Se tuttavia noi ricostruiamo il
ragionamento formulato dall'interprete . ci rendiamo conto che le ragioni che potrebbero condurlo una "
decodifica aberrante " del messaggio sono molteplici . Il fatto che ogni volta che due esseri umani
comunicano non si limitano a scambiarsi informazioni su ciò che viene esplicitamente detto . L' interprete
non solo recupera l' informazione che l' esecutore esplicitamente gli fornisce , ma recupera anche tutta una
serie di altri dati connessi a vario titolo con il messaggio . Il fraintendimento è una parte costituente e
ineludibile della comunicazione umana , essendo una conseguenza diretta degli stessi meccanismi che
permettono agli esseri umani di comprendersi e non cadere in un increscioso incidente di percorso. Si può
affermare che la comunicazione umana è interpretativa per sua stessa natura , cioè non esiste nessuna
strategia o regola comunicativa che ne garantisca la riuscita , anche se tutti gli apparati coinvolti nel
processo funzionano a perfezione . La comunicazione umana non permette di individuare un algoritmo che
la descriva priori , ma consente solo di ricostruire a posteriori come si suppone che siano andate le cose . Lo
scopo primario della comunicazione è di rendere la nostra rappresentazione della realtà esterna sempre più
adeguata alle nostre esigenze di sopravvivenza . La comunicazione svolge la stessa funzione delle
operazioni messe in atto dagli organi di senso , vedere , odorare , assaporare , e così via , ci sono utili
perché ci permettono di costruire una rappresentazione mentale il più possibile adeguata dell'ambiente
circostante .
3. UN MODELLO INFERENZIALE DELLA COMUNICAZIONE
Il codice non è una condizione necessaria e sufficiente della comunicazione . Non è sufficiente , perché
senza la nostra attività inferenziale la semplice condivisione di codice condurrebbe al massimo a un mero
scambio di dati , mentre abbiamo visto che la comunicazione tra esseri umani non è riducibile a un
meccanismo così elementare .
Modello inferenziale : L' esecutore ha qualcosa che vuole comunicare , un proprio significato ( Messaggio
e ) . A partire da questo , l' esecutore attua una strategia che gli permetta di conferire un carattere
materiale al proprio pensiero ( per renderlo trasmissibile ) , e costruisce così un proprio segnale ( segnale e )
. Quindi , lancia il segnale lungo il canale L' apparato ricettivo dell'interprete viene sollecitato da
quell'oggetto material ma , essendo esso ( l' apparato ricettivo ) un dispositivo individuale , l' interprete
capterà gli stimoli in modo idiosincratico , trasformandoli nel segnale dell'interprete ( segnale i ) . A questo
punto , l' interprete cercherà di individuare una strategia con la quale spiegare il perché del
comportamento dell'esecutore . Cercherà di ipotizzare cosa l' esecutore abbia verosimilmente voluto
comunicargli / le in quella determinata occasione , ottenendo così nuova mente un significato - in questo
caso il messaggio dell'interprete ( messaggio i ) . Il segnale i fornisce delle indicazioni per la strategia
interpretativa , ma vi pone dei limiti , e di conseguenza indirizza l' interprete a costruire il proprio
messaggio ( messaggio i ) Secondo questo modello , la comunicazione può dirsi riuscita se Messaggio e
messaggio i sono ragionevolmente simili : maggiore è la somiglianza , più accurata sarà la comunicazione .
Novità da questo modello: Scompare la nozione di codice , la quale si trasferisce nelle pieghe più o meno
riposte delle due strategie ( comunicativa e interpretativa ) attuate rispettivamente dall'esecutore e
dall'interprete : il primo per cercare di plasmare nel modo desiderato le cognizioni dell'interprete , il
secondo per cercare di capire le strategie dell'esecutore in modo da reagire adeguatamente ( rispetto a
determinati scopi ) a essi. Tanto più personale e inedita sarà la strategia dell'esecutore , tanto più faticoso e
creativo sarà il lavoro che l' interprete dovrà intraprendere , soprattutto se vorrà cercare di risalire alle
presunte intenzioni comunicative dell'esecutore in generale , o del parlante nel caso particolare della
comunicazione linguistica . La comunicazione non è sempre un fenomeno intenzionale : vi sono diversi
livelli , più o meno intenzionali , di comunicazione . Dobbiamo concludere che più si comunica meglio si
comunica ? In un certo senso sì : come per tutte le cose umane , più si fa pratica di una certa attività e più
questa risulterà facile da svolgere . Ma esiste anche un rovescio della medaglia . Quanto più si comunica
con una persona , tanto più si cristallizzano certe pratiche comunicative e interpretative . Man mano che le
azioni si automatizzano , si tendo a non prestare più attenzione a cose che prima erano altamente rilevanti ,
con conseguente aumento di possibilità di commettere un errore e quindi un incidente , ed è per questo
che alla lunga la possibilità di fraintendimento aumenta anziché diminuire .
Un altro aspetto che il modello inferenziale pone in evidenza è che non è sempre facile stabilire s un °
scambio comunicativo abbia avuto successo oppure no . Non c'è un criterio infallibile per decretare il
successo di un atto comunicativo e non è neppure possibile ridurre l' esito della comunicazione alla mera
dicotomia tra comprendere e non comprendere . La comunicazione non funziona sul principio on/off : non
è questione ricomunicare o di non comunicare , ma è una questione di gradi . Quanto più il messaggio i
risulterà simile al messaggio e , tanto più si potrà dire che l' interprete abbia compreso ciò che voleva
comunicare l' esecutore .
4 , UNA DEFINIZIONE COGNITIVAMENTE PLAUSIBILE DI COMUNICAZIONE.
Gran parte della comunicazione umana non è spiegabile nei termini di un mero processo di codifica -
decodifica partire da sistemi di significazione condivisi . Sicuramente non è spiegabile in questi termini la
comunicazione che avviene fuori dalle regole semantiche , come nel caso di buona parte della
comunicazione gestuale .
1.3 . L' AMBIENTE COGNITIVO La comunicazione ha come funzione primaria la cognizione : chi comunica
vuole plasmare o intaccare le cognizioni del proprio destinatario . Gli apparati per il trattamento
dell'informazione dovranno essere forniti di una memoria a lungo e a breve termine , nonché di un
ambiente di lavoro , di un luogo in cui fare reagire le nuove informazioni in entrata con parte delle
conoscenze già registrate in memoria . Chiameremo questo ambiente di lavoro ambiente cognitivo , l'
insieme dei fatti mantenuti attivi in un determinato momento da un appartato per il trattamento
dell'intonazione , e che , per questa ragione , chiameremo fatti manifesti . Un fatto si dice manifesto in un
determinato momento per un determinato individuo se e solo se questo individuo è capace en quel
momento di rappresentarsi mentalmente questo fatto e di accettare la sua rappresentazione come vera o
probabilmente vera . È possibile ottenere le informazioni attraverso la percezione del mondo , ma anche
attraverso la comunicazione , oppure per inferenza da fatti già presenti nel proprio ambiente cognitivo .
Tutti i fatti che riempiono la mente di un particolare individuo in un determinato memento costituiscono l'
ambiente cognitivo di quell'individuo , ma non tutti i fatti registrati nei diversi tipi di memoria fanno parte
dell'ambiente cognitivo , bensì solo quelli che si riesce a rappresentare in quel determinato momento . L'
ambiente cognitivo è suscettibile di continue variazioni , esattamente , come varia in continuazione l'
insieme di pensieri che affollano la nostra mente .
1.4 . COMUNICAZIONE E COMPRENSIONE
Comunicare significa tentare di intaccare l' ambiente cognitivo di un individuo e comprendere significa
cercare di rendere manifesti a se stessi i fatti che prima non lo erano . Queste due pratiche si possono avere
separatamente , sebbene nella maggior parte dei casi siano concomitanti . Esse non devono
necessariamente essere speculari , ma possono anche essere molto diverse tra loro . L' effetto del
comunicare è quello di portare alla consapevolezza di un individuo qualcosa che prima non lo era , o perché
non era già iscritto nei dispositivi mnemonici di quell'individuo , o perché era iscritto , ma non
craquelé'individuo , o perché era iscritto , ma non era cosciente in quel determinato momento . Lo scopo
primario della comunicazione benché non l' unico , è di rendere più adeguata la nostra rappresentazione
della realtà , e questo al fine di aumentare le nostre opportunità di sopravvivenza nell'ambiente in cui ci
muoviamo .
1.5 . COMUNICAZIONE ININTENZIONALE COMUNICAZIONE INTENZIONALE
Ci sono comunicazione determinate dall'intenzione consapevole di informare qualcuno di qualcosa e
comunicazioni che non sono determinate da alcuna volontà comunicativa . Le comunicazioni non
intenzionali sono estremamente comuni in tutta la nostra attività di interpretazione quotidiana del mondo
esterno e dei comportamenti altrui . Non è possibile non comunicare . Qualunque situazione interattiva tra
esseri umani implica una qualche forma di comunicazione , intenzionale o in intenzionale che sia . Anche se
in una situazione sociale si decide di non comunicare di fatto si comunica qualcosa , non fosse altro che la
propria determinazione a non comunicare . Ora , però , se è vero che qualsiasi comportamento può essere
interpretato da qualcuno come una forma di comunicazione , no è vero che tutti i comportamenti siano
intesi da chi li produce come fatti comunicativi .
Comunicazione in intenzionale : tutti quei comportamenti che intaccano l' ambiente cognitivo di un
interprete e che vengono realizzati senza una specifica intenzione comunicativa da parte dell'esecutore .
Comunicazione intenzionale : tutti quei comportamenti che vengono realizzati con il precipuo scopo di
intaccare l' ambiente cognitivo di qualcuno .
1.6 . COMUNICAZIONE STANDARIZZATA COMUNICAZIONE NON STANDARIZZATA
Se la comunicazione è divisibile in intenzionale e in intenzionale , la comunicazione intenzionale è
ulteriormente scindibile in comunicazione standardizzata e comunicazione non standardizzata . La
comunicazione standardizzata fa uso in modo predominante di strumenti comunicativi convenzionali ,
quindi organizzati al loro interno secondo le regole di uno o più codici , cioè di insiemi di norme socialmente
condivise che ne regolano la realizzazione . Al contrario , la comunicazione non standardizzata è prodotta in
modo immediato e spontaneo , e di solito non si ripete nel tempo , salvo nei casi in cui , con il tempo ,
subisca un processo di standardizzazione . Si potrebbe disegnare una sorta di albero della comunicazione :
Sia la comunicazione intenzionale standardizzata sia la comunicazione intenzionale non standardizzata
possono essere realizzate con strumenti che sfruttano le differenti capacità sensoriali e articolare umane .
Così , un enunciato linguistico sfrutta la capacita squisitamente umana di articolare suoni e la facoltà
percettiva dell'udito . Nelle interazioni comunicative difficilmente gli esseri umani utilizzano una sola
modalità per volta : più spesso i diversi canali comunicativi vengono utilizzati contemporaneamente al fine ,
da un lato , di raffinare , rafforzare e rendere più semanticamente complesso il proprio segnale , e ,
dall'altro , di indirizzare l' interpretazione nel senso voluto , arricchendo il segnale di ulteriori indizi , a volte
anche ridondanti , e realizzando così un testo altamente sincretico .
CAPITOLO 2 : SEGNO
La semiotica viene comunemente definita come la disciplina che studia i segni . Tenuto conto che non c'è
comunicazione senza segni e che pertanto il segno è uno degli elementi essenziali di qualsiasi fenomeno
comunicativo , uno dei compiti della semiotica è di capire che cosa apparenta tutti questi usi diversi della
parola segno
2.1 La relazione di rinvio
La definizione più elementare disegno da cui possiamo partire è la seguente : il segno è qualcosa che sta
per ( al posto di ) qualcos'altro . Il qualcosa che fa da supporto espressivo al segno è un fenomeno
percepibile che rimanda a qualcos'altro . Laddove il qualcosa ( aliquid ) è presente , il qualcos'altro ( aliquo )
è assente , nel senso che non è direttamente accessibile ai sensi , va pertanto rielaborato a partire proprio
da quel qualcosa iniziale . In linea di principio tutto ciò che colpisce i nostri sensi può diventare aliquid di un
segno , l' importante , affinché si possa parlare di segno , è che l' esperienza percettiva rinvii ad un aliquo
assente ( interpretazione ) . Questa dinamica di rapporto tra il qualcosa e qualcos'altro viene definita
relazione di rinvio .
2.1.1 . Segni naturali e artificiali
Come avviene il passaggio dall'aliquid all'aliquo del segno ? Il compito di istituire la relazione di rinvio può
essere totalmente a carico dell'interprete , il quale assume che vi sia un nesso tra gli stimoli percettivi che
colpiscono la sua attenzione e il loro significato possibile ( meccanismo inferenziale ) . In altre parole un
qualcosa può diventare segno solo nel momento in cui sopraggiunge un interprete che li considera come
tali . Anche qui , come in tutti i segni , c'è qualcosa che rinvia a qualcos'altro , tranne che questo qualcosa
non viene prodotto da qualcuno con l' intenzione di comunicare alcunché . Viceversa è naturale che un '
interazione comunicativa ci sia un destinatario che abbia l' esplicita intenzione di comunicare qualcosa al
destinatario . Si suole distinguere , a questo proposito , tra segni artificiali e segni naturali , dove il criterio
discriminante è per l' appunto la presenza o meno di un'intenzione comunicativa : Segni naturali : privi di
emittente consapevole , il rinvio è fissato a valle da un interprete che decide di considerare un certo
fenomeno come segno di qualcosa . Segni artificiali : emessi con l' intenzione di comunicare : il rinvio è
fissato a monte da un esecutore attraverso la realizzazione di una strategia comunicativa più o meno
consapevole Si potrebbe obiettare che non è sempre chiaro se un segno sia stato emesso intenzionalmente
oppure no . In questi casi come si fa a determinare il carattere naturale o artificiale del segno ? Una risposta
elementare a questa domanda è che la classificazione dei segni non è netta , ma bensì sfumata , e come
tale ammette casi ambigui e intermedi . U. Eco afferma che " è segno tutto ciò che può essere usato per
mentire " . '
2.1.2 . Segno come inferenza e come equivalenza
Nel caso di un segno naturale il passaggio dall'aliqui dall'aliquo avviene tramite un ragionamento , o
inferenza , il quale può essere più o meno complesso e più o meno consapevole . L' interpretazione del
segno consiste nel congetturare quale possa essere la causa di un determinato fenomeno sensoriale . Si
tratta pertanto di un ragionamento a ritroso ( dall'effetto si ricostruisce la causa ) . In un segno artificiale
invece sembra che la relazione di rinvio sia più semplice e immediata in quanto , tale immediatezza , è
dovuta a convenzioni che correlano un dato gesto o fenomeno a un significato culturalmente condiviso e
codificato . Il meccanismo che associa un determinato gesto con un significato generalmente riconosciuto si
chiama equivalenza ( un esempio è la segnaletica stradale ) . E i segni linguistici ? La semiotica di stampo
strutturalista considera le parole di linguaggio come i segni per eccellenza , imperniati sul modello
dell'equivalenza . Tale idea però non è affatto scontata . Nella semiotica novecentesca vi sono due
definizioni di segno principali che hanno dato origine a due distinti filoni di ricerca : La prima definizione di
stampo linguistico fa a capo Ferdinand De Saussure ed è fondata sui meccanismi dell'equivalenza e si
sofferma esclusivamente e sui meccanismi interni di una categoria ristretta di segni artificiali fortemente
standardizzati . La seconda definizione di segno , di impianto logico cognitivo , è stata invece formulata da
Charles Pierce e tiene in considerazione una più ampia gamma di segni ( comprende pure quelli naturali ) e
tratta i segni del linguaggio alla stregua si una sottocategoria dei segni in generale.
2.2 Il modello di equivalenza : il segno secondo Saussure
Saussure auspica la fondazione di un campo di studio unificato che consideri la lingua alla stregua di un
qualsiasi sistema di segni . Egli introduce alcune dicotomie concettuali destinate a dominare il panorama
degli studi linguistici del Novecento , la principale di esse è quella che contrappone la langue ( l' aspetto
sociale e astratto del linguaggio ) alla parole ( gli usi individuali e concreti che i singoli parlanti fanno della
lingua ) . La langue è per Saussure un patrimonio collettivo e culturalmente acquisito , la cui conoscenza
rende possibile l' esecuzione dei singoli atti di parole
2.2.1 . Il circuito della comunicazione
Grande importanza per Saussure , nel circuito della comunicazione , è la parte psichica . Egli punta l'
attenzione sul rapporto associativo che si instaura , nel cervello dei parlanti , tra i concetti ( le idee o i fatti di
coscienza ) e le immagini acustiche che servono alla loro espressione .
2.2.2 . Il segno è un'entità psichica a due facce
Nel linguaggio comune si tende a identificare il segno con la pura espressione ( aliquid ) del segno , intesa
come sequenza di suoni articolati . Il significante è quella parte del segno a cui ci riferiamo quando diciamo
che " albero è una parola di sei lettere " : è la pura superficie espressiva del segno . Il significato è invece la
parte concettuale del segno . Il significato è invece la parte concettuale del segno e corrisponde all'idea , al
pensiero , alla rappresentazione mentale che vien associata alla parola albero . Dato che non è possibile
scindere il significante dal significato possiamo affermare che Saussure nega la definizione di segno come
qualcosa che sta al posto di qualcos'altro in quanto le due cose sono entrambe faccia del segno
2.2.3 significato e significante sono tipi e non occorrenze
Cosa vuol , dire Saussure quando afferma che il segno è un'entità psichica a due facce ? Vuol dire
innanzitutto , che significante e significato sono " tipi e non occorrenze " . Il tipo è qualcosa di astratto e
generale ; l' occorrenza è concreta e individuale . Se dovessimo analizzare le varie occorrenze di una certa
parola , scopriremmo che c'è variabilità di pronuncia da individuo a individuo , ma i diversi significanti -
occorrenze faranno capo a un solo e unico significante - tipo . Alla stessa stregua i contesti che ciascuno di
noi associa a una determinata parola non sono mai identici e sovrapponibili ( se dico cane , ognuno attiverà
una rappresentazione mentale e personale di cane ) . Si osservi che la distinzione tra i tipi e le occorrenze è
esattamente la stessa che , nell'impianto teorico di Saussure , intercorre tra " langue " e " parole "
. 2.2.4 . " Il segno linguistico è arbitrario "
Quando afferma che il segno è arbitrario , Saussure intende che non c'è nessun motivo particolare per cui
intende che non c'è nessun motivo particolare per cui il concetto di < cane > debba essere associato alla
parola cane e non a chine , dog , perro o hund , in quanto i significanti linguistici non hanno alcun legame
con i significati corrispondenti . Un segno linguistico deve la propria capacità di significa re a una regola
correlativa arbitrariamente posta , a una legge la cui previa conoscenza è indispensabile per poter attribuire
valore al segno . La riprova dell'arbitrarietà del legame tra significante e significato è data dall'esistenza
stessa di lingue diverse . Il fatto che il segno sia arbitrario non significa , ovviamente , che ciascun individuo
sia libero di associare a proprio discrezione qualunque significante qualunque significato , in caso contrario
vi sarebbe il collasso dell'istituzione sociale ( Ia lingua ) che è alla base della comunicazione stessa . Le
eccezioni al principio dell'arbitrarietà del segno linguistico sono le onomatopee e le interazioni .
Nel momento in cui un dato oggetto viene preso a simbolo di un determinato concetto ( es . bilancia-
giustizia ) , e la sostituzione di tale oggetto con un'altro , non fosse possibile ( tostapane non può significare
giustizia ) , si dice che il segno è motivato Convenzione e standardizzazione Abbiamo visto che per Saussure
il rapporto tra significante e significato è arbitrario e convenzionale , nel senso che è stabilito da una legge
socialmente accettata . Ma cosa si intende per convenzionale ? In genere , un segno si dice convenzionale
quando il rapporto tra significante e significato è espresso da una legge , da una regola , da una norma
semantica che prescrive di utilizzare quel determinato termine per riferirsi a quel significato es .
metalinguaggio scientifico medico , chimico ecc . . Una convenzione , per essere tale , deve essere stipulata
prima di poter essere applicata . Nelle convenzioni linguistiche però , sembra essere più adeguato parlare di
standardizzazione , un fenomeno che può essere riscontrato in quasi tutte le pratiche che richiedano una
certa coordinazione . Essa non è altro che il sedimentarsi di una pratica strategicamente efficace per il
raggiungimento di un particolare obbiettivo . Arbitrarietà " orizzontale " L' arbitrarietà di cui abbiamo
parlato fin'ora coinvolge il rapporto tra significante e significato . Ma c'è un altro tipo di arbitrarietà del
segno linguistico su cui si sofferma Saussure , la quale riguarda i rapporti tra significanti e altri significanti ,
da un lato , e tra significati e altri significati , dall'altro . Questo tipo è chiamato arbitrarietà " orizzontale " .
Ogni lingua rappresenta in modo esclusivo , con una determinata struttura , gli oggetti d' esperienza .
2.2.5 . " La lingua è un sistema di valori puri "
Dalle sue riflessioni circa l' arbitrarietà del segno , Saussure trae la conclusione che la lingua sia " un sistema
di valori " . Che cosa vuol dire ? Saussure introduce la nozione di valore linguistico attraverso una metafora
monetaria . Da cosa dipende il valore di una moneta ? Non dalle sue caratteristiche materiali , ma da una
sorta di accordo sociale , da una convenzione che ne fissi la possibilità di scambio all'interno di un sistema
economico . La prima accezione di valore coinvolge la relazione di rinvio tra il significante e il significato
linguistico : come la moneta da 2 € può essere scambiata con una certa quantità di pane cosi la parola "
pane " può essere scambiata con il significato corrispondente . La seconda accezione di valore di una parola
è che , tale valore , non è intrinseco ma dipende esclusivamente dalla rete di relazioni che tale parola
intrattiene con le altre parole , nonché con la grammatica complessiva della lingua a cui essa fa capo ( il
valore di un elemento all'interno di un sistema si calcola in rapporto al valore relativo degli altri elementi ) .
Rapporti sintagmatici e rapporti associativi rapporti e le differenze tra i segni si articolano in due parti
distinte dell'attività linguistica : i " rapporti sintagmatici " , secondo i quali il valore di ogni singolo segno è
stabilito dalla relazione con il segno che lo precede e / o lo segue , e formati dalla successione lineare delle
parole nella loro effettiva disposizione ; e i " rapporti associativi " , secondo cui tutti i suoni che possono
comparire in un medesimo contesto intrattengono tra loro rapporti di tipo associativo ( paradigmatico ) ,
ma sono rapporti in absentia , ovvero se ne realizziamo uno escludiamo tutti gli altri .
2.2.6 . Dal segno al codice
Una parola deve il proprio valore semiotico , ovvero la capacità di significare qualcosa , alla rete di rapporti
nella quale è inserita . La semiotica strutturale abbandonerò la prospettiva ristretta del segno per dedicarsi
allo studio dei codici , in quanto resta impossibile sganciare del tutto il significato di una parola da un
substrato concettuale ( interpretazione del mondo dell'esperienza ) . Non basta dire che maschio è il
contrario di femmina e viceversa per capire cosa significhino queste due parole , prima o poi bisognerà
agganciare la definizione a un qualche elemento di esperienza percettiva ( per ES . indicando con il dito ) .
2.3 segno come inferenza : La semiosi secondo Pierce
Secondo questa definizione , il segno viene concepito come un elemento percepibile che rimanda a un
elemento che non è manifesto , attraverso una catena di ragionamenti ( o inferenze ) basati su conoscenze
pregresse , su informazioni circostanziali , nonché sulle caratteristiche fisiche che il segno stesso presenta .
Visto in questa luce , è segno ogni porzione del mondo sensibile sulla quale decidiamo di esercitare la
nostra attività interpretativa . Compito della semiotica sarà perciò comprendere i meccanismi in base ai
quali gli essere umani attribuiscono senso al mondo attraverso l' interpretazione dei segni .
2.3.1 . Fallibilissimo
La conoscenza passa attraverso cicli di congetture e confutazioni . Il principio che fonda il pensiero
scientifico moderno è quello del fallibilissimo : non si può mai raggiungere un grado assoluto di certezza
delle ipotesi scientifiche , perché può sempre presentarsi qualche dato inaspettato che metta in crisi ciò che
veniva precedentemente creduto vero .
. 2.3.2 . Contro il nominalismo
Due capisaldi della teoria perceana sono la critica dell'autore verso due dottrine : il nominalismo e l'
intuizionismo . Il nominalismo è quella dottrina filosofica' intuizionismo . Il nominalismo è quella dottrina
filosofica secondo la quale le idee generali , che la tradizione filosofica definisce universali , non avrebbero
alcuna esistenza al di fuori delle espressioni linguistiche che le nominano e dei concetti a esse
corrispondenti . Per i nominalisti le idee generali non sono il alcun modo riconducibili alle proprietà degli
oggetti , indipendentemente dai nomi che li designano . Esse sono costrutti mentali , corrispondenti alle
parole della lingua , e non vi sarebbe nulla in natura che ci obbliga o induce classificare insieme quegli
oggetti piuttosto degli altri . Al nominalismo si contrappone il realismo , che riconosce alle idee generali una
realtà non esclusivamente concettuale o linguistica , c'è qualcosa nel mondo , secondo i realisti , che ci
suggerisce di classificare gli oggetti in alcuni modi anziché in altri . Pierce si trova vicino a questa corrente .
Se siamo portati a concepire l' idea di " cavallo " in quanto distinta dall'idea di maiale " , ciò non avverrebbe
solo in virtù di una convenienza linguistica , ma anche perché gli individui cui attacchiamo lo status di "
cavallo " condividono una serie di proprietà che ne fanno realmente una specie distinta dalle altre .
2.3.3 . Contro l' intuizionismo
Tale dottrina afferma che accanto alle conoscenze incerte che derivano dal ragionamento per ipotesi e
verifiche successive , esistono delle verità indubitabili ed evidenti di per se . Tali cognizioni sicure , o
intuizioni , sarebbero quelle conoscenze dirette degli oggetti che implicano una relazione speculare fra due
termini ; un soggetto conoscente e una realtà conosciuta . In altre parole , si può dire di trovarsi di fronte ad
una intuizione pura , se questa per essere identificata , non necessità di altre informazioni re -
immagazzinate e si presenta , perciò , come una verità immediata e auto evidente . La confutazione di Lerce
si basa sul fatto che non sembrerebbe possibile fare una distinzione tra intuizione ( come cognizione non
determinata da cognizioni precedenti ) e cognizione ( determinata da cognizioni precedenti ) . Secondo
Pierce l' intuizione non è qualcosa di dimostrabile , e il modello dell'inferenza è già in grado di rendere
conto di tutti quei fenomeni generalmente associati all'intuizione .
2.3.4 . Percezione come inferenza
La nostra conoscenza dei dati sensoriali esterni è mediata da un processo inferenziale che seleziona solo
alcune proprietà dello stimolo esterno e tramite un ' opposizione precedentemente stabilita , rispetto ad
altre qualità ( ES . durezza vs mollezza ) , formula un giudizio percettivo del tipo " questo è duro " . Ciò
avviene in modo pressoché automatico . Ogni volta che interagiamo con il mondo lo facciamo mediante
una serie di complesse operazioni facciamo mediante una serie di complesse operazioni concettuali , le
inferenze
. 2.3.5 . Deduzione , induzione , abduzione
La struttura generale di un'inferenza è formata da tre elementi : un caso ( occorrenza a cui viene applicata
una regola ) , una regola ( mediatore tra caso e risultato tramite un rapporto di implicazione ) e un risultato
( conseguenza dell'applicazione della regola al caso ) . Esistono solo tre tipi di inferenza : la deduzione
( inferenza di un risultato da un caso e una regola ) , l' induzione (inferenza di una regola da un risultato e
un caso) e l' abduzione ( inferenza di un caso da una regola e un risultato ) .
CASO : pecora è ruminate REGOLA : ( forse ) tutti i ruminati mancano incisivi { DEDUZIONE = RISULTATO : la
pecora manca degli incisivi
CASO : pecora è ruminante RISULTATO : la pecora manca degli incisivi { INDUZIONE REGOLA : ( forse ) tutti i
rum i nati mancano incisivi
oppure :
RISULTATO : la pecora manca degli incisivi REGOLA : ( forse ) tutti i ruminati mancano incisivi ABDUZIONE
CASO : ( forse ) la pecora è un ruminante.
Tipi di abduzione
Il meccanismo dell'abduzione è in gioco ovunque ci sia interpretazione , dalla percezione alla formulazione
di ipotesi scientifiche . Esistono tre tipi di fondamentali di abduzione :
1 . Abduzione lpercodificato: la legge - mediazione cui ricorrere per inferire il caso del risultato è dato in
modo obbligante e automatico .
2 . Abduzione lpocodificata : la legge - mediazione cui ricorrere per inferire il caso dal risultato viene
reperita per selezione nell'ambito dell'Enciclopedia disponibile .
3 . Abduzione Creativa : la legge - mediazione cui ricorrere per inferire il caso dal risultato viene costituita
ex novo , inventata .
Il Macroargomento: Il " secondo passo della ricerca " di cui parla Peirce è la fase deduttivo - induttiva
dell'argomento scientifico . La sequenza abduzione - deduzione - induzione rappresenta l' impalcatura
costante di ogni indagine scientifica : a partire dalla constatazione di un fatto sorprendente , che
contravvenga alle attese dell'interprete , quest'ultimo avanza per tentativi una possibile spiegazione , la
quale , se accettata , fa sì che il fatto non sia più sorprendente .
2.3.6 . L' indagine
Abbiamo visto che l' indagine parte dalla constatazione di un fatto sorprendente . Dunque l' indagine è
avviata da qualcosa che colpisce l' attenzione dell'interprete , inducendo quest'ultimo a ritagliare tale cosa
dal proprio sfondo e a renderla pertinente ( una specie di messa fuoco ) . Si avverte la necessità di
intraprendere un'indagine quando si verifica una rottura di regolarità , ovvero quando si presenta un
fenomeno che , a prescindere da una spiegazione particolare , ci sarebbe ragione di aspettarsi che non
accadesse.
Il fissarsi della credenza
credenza è uno stato mentale che si oppone al dubbio , il quale , come abbiamo visto , nasce quando una
regola interpretativa precedentemente accettata viene messa in crisi dal sorgere di un'anomalia , ovvero da
un'esperienza falsificante . L' unica soluzione per placare l' irritazione del dubbio è l' affacciarsi di una
credenza ( o regola interpretativa stabile ) che segni un provvisorio punto di non ritorno della ricerca . Il
passaggio dal dubbio alla credenza , e cioè lo stabilirsi di un'opinione , può essere conseguito in diversi
modi : -Metodo della Tenacia : aggrapparsi ostinatamente alle opinioni precedentemente accettate ,
evitando il contatto con possibili " dubbi " . Metodo dell'Autorità : l' individuo sceglie di ancorare le proprie
credenze a quelle di un'autorità superiore . Metodo della Ragione a priori : idea che le credenze debbano
essere fisse , universali , e in accordo con la ragione . Es . " ci credo perché è così ! " - Metodo Scientifico :
realismo ( ricerca confronto ) , inferenziale e si fida nella capacità della comunità degli interpreti di
discendere tra ipotesi plausibile e non L' abito in qualunque modo avvenga il fissarsi della credenza , il suo
esito è la provvisoria eliminazione del dubbio tramite l' accettazione di una regola d' azione , detta abito
mentale . Peirce definisce abito la tendenza comportarsi in modo simile in circostanze simili future ( dopo
aver scoperto che il fuoco brucia , la regola d' azione ci ha imposto che non è consigliabile appoggiare le
mani su un fuoco acceso ) . Quando funziona , l' abito diventa legge , convenzione e significato
standardizzato
2.3.7 . La missione pragmatica
Peirce Dice che " ciò che una cosa significa è semplicemente l' abito che comporta " . Il significato di un
concetto coincide con l' insieme delle operazioni che si possono compiere per avere l' esperienza percettiva
dell'oggetto che il termine denota o dei suoi usi possibili . Quando diciamo che una cosa è dura ,
intendiamo che le sostanze che la possono scalfire non sono molte . II significato di durezza comprende
quindi tutte le operazioni che potremmo compiere per constatarne la solidità , robustezza e resistenza .
2.3.8 . La semiosi secondo Peirce
rispetto alla definizione tradizionali del segno ( aliquid stat pro aliquo ) , quella proposta da Peirce presenta
un elemento in più : c'è si qualcosa che sta al posto di qualcos'altro : ma questo " stare al posto di ' , non è
un rapporto di pura sostituzione , poiché il Rapresentamen sta per l' oggetto non sotto ogni possibile
aspetto , bensì in base a una qualche scelta di pertinenza ( es . della mela ) Peirce definisce semiosi l' atto
con cui , per conoscere l' oggetto di un segno , occorre fare una formulazione di un'altro segno che lo
interpreti .
Oggetto dinamico e oggetto immediato: Peirce intende per oggetto il referente ( concreto ) o il concetto
( idea astratta ) ? Per spiegare tale ambiguità , Peirce conia la definizione di Oggetto Dinamico ( Oggetto
quale esso è nella realtà esterna , esiste indipendentemente dal fatto che qualcuno lo pensi ) , e di Oggetto
Immediato (modo in cui l' Oggetto Dinamico viene focalizzato dal segno; somma degli attributi dell'Oggetto
Dinamico resi pertinente da quel particolare segno )
. Oggetto Immediato e Interpretante: l' interpretante corrisponde all'effetto che il primo segno provoca
sulle disposizioni e sui comportamenti dell'interprete , mente l' Oggetto Immediato corrisponde all'insieme
( virtuale ) degli abiti interpretativi che il primo segno autorizza l' interprete a formulare .
interpretante immediato, Dinamico e Logico – finale: Pierce divide l' interpretante in 3 modi :
1. / immediato : interpretante come il segno lo rappresenta , colto attraverso una corretta comprensione
del segno .
2 . Dinamico : effetto realmente prodotto sulla mente dell'interprete .
3. Logico - Finale : ipotesi interpretativa più comprensiva che segna un provvisorio punto di non ritorno per
la riflessione intellettuale , un abito interpretativo che blocca temporaneamente il processo potenzialmente
infinito dell'interpretazione .
(Fuga degli interpretanti e semiosi infinita Fuffa incomprensibile . )
2.3.9 . Icona , Indice e Simbolo Peirce elabora una complessa griglia di classificazione dei segni , fondata
sull'incrocio di tre tricotomia ( secondo le relazioni che si instaurano tra le tre parti del segno ) : / cono : è
un segno che sta per il proprio oggetto Dinamico in virtù di un rapporto di somiglianza ( ES , i quadri ) .
Indice : è un tipo di segno motivato che deve la propria capacità di significare il proprio oggetto
esclusivamente all'intervento di un interpretante , che si tratti di una convenzione , di una regola
arbitrariamente posta , o anche di una consuetudine consolidata , la quale correla un certo Rapresentam en
- tipo a un determinato oggetto . ( es . Attenti al cane ) .

LINGUA, CODICE ED ENCICLOPEDIA


ESPRESSIONE E CONTENUTO
La prima caratteristica di una lingua è il fatto di mettere in rapporto una serie di significanti con
una serie di significati. Ma i significanti e i significati non si limitano ad essere correlati gli uni agli
altri. I diversi significanti intrattengono relazioni reciproche, delimitandosi l’un l’altro e
manifestando in un principio di organizzazione interna. L’autore che più di ogni altro ha sviluppato
un simile modello di lingua come struttura è Louis Trolle Hjelmslev, linguista danese, il quale,
riprendendo le principali dicotomie saussuriane, ha formulato una dottrina quasi-algebrica, in cui
la lingua è intesa come un sistema chiuso di parti interagenti. Si parla, così, del principio di
immanenza, ovvero del principio secondo cui la lingua va studiata in sé per sé, indipendentemente
da qualunque settore extralinguistico, come il contesto sociale e culturale, l’identità e la psicologia
dei parlanti e degli ascoltatori, o i rapporti tra la lingua e il mondo esterno. L’obiettivo è di
formulare una teoria linguistica che identifichi la struttura specifica della lingua, senza ricorrere a
premesse extralinguistiche. Per questo motivo Hjelmslev riformula la definizione saussuriana di
segno, ribattezzandola funzione segnica per evitare ogni interferenza con le accezioni comuni della
parola “segno”. I due elementi della funzione segnica sono Espressione e Contenuto, i quali
costituiscono il significante e il significato di Saussure, ma Hjelmslev afferma che Espressione e
Contenuto si definiscono come tali in quanto essi sono funtivi l’uno dell’altro, ed entrambi rispetto
alla funzione segnica complessivamente intesa.
Espressione e Contenuto sono i due piani del linguaggio. Rispetto a Saussure, qui si passa dalla
dimensione del singolo segno a quella del sistema linguistico complessivo. Ne deriva che sul piano
dell’Espressione si dispiegano i significanti, con le loro regole di correlazione e giustapposizione,
mentre su quello del Contenuto si dispongono i significati, anch’essi con le loro regole di
correlazione e di giustapposizione.
MATERIA, FORMA E SOSTANZA
Il piano dell’espressione e il piano del contenuto si possono descrivere in maniera esauriente e
coerente come strutturati in modo analogo. Sulla base di questa premessa, Hjelmslev riprende
l’opposizione saussuriana tra langue e parole per distinguere tra due strati del linguaggio, che gli
chiama forma e sostanza.
La forma è la costante in una manifestazione, dove la sostanza è variabile. Insomma la forma è il
sistema astratto dei tipi dell’Espressione e dei tipi del Contenuto, mentre la sostanza corrisponde
alla realizzazione materiale degli elementi dei due piani. Così, la fonologia ha dimostrato che esiste
una forma e una sostanza dell’Espressione: la forma è la matrice opposizionale, la griglia vuota
delle opposizioni fonologiche. La sostanza è invece l’insieme dei fenomeni espressivi concreti che
corrispondono agli effettivi suoni articolati dalla voce. Ugualmente sull’altro piano del linguaggio si
dovrebbe poter distinguere tra forma del Contenuto e una o più sostanze del Contenuto. La coppia
forma/sostanza si basa su un terzo elemento: la materia. La materia corrisponde all’universo non
ancora semiotizzato, e comprende sia gli stati fisici del mondo sia gli stati psichici, come le idee che
si suppongono avere luogo nella mente degli utenti delle funzioni segniche. È il fattore comune a
ogni lingua, cioè un insieme inconsistenze di pensieri, suoni, comportamenti e percezioni che ogni
lingua articola diversamente, ritagliando ad essa determinati spazi e suddivisioni. La materia in sé
non interessa alla linguistica, ma è l’oggetto di studio di altre scienze, quali la fisica e
l’antropologia. Essa diventa linguisticamente rilevante solo quando entra in rapporto con la forma
per dare luogo alla sostanza. Hjelmslev per far capire il rapporto che vi è tra materia, forma e
sostanza spiega attraverso una metafora che la sabbia è la materia, il secchiello può essere
considerato come la forma, mentre il castello di sabbia che ne risulta è la sostanza. Quindi la forma
va intesa come uno stampino che viene sovrimpresso alla materia amorfa, per produrre una
sostanza. Dopo aver distinto tra i diversi strati del linguaggio, Hjelmslev precisa che la funzione
segnica è una relazione formale, interna, che non riguarda le sostanze. L’unico modo che abbiamo
per accedere alla forma è attraverso l’analisi delle sostanze che la manifestano. Scopo della
linguistica strutturale è giungere a una conoscenza delle forme sottostanti alle sostanze.
LINGUAGGI RISTRETTI E LINGUAGGI LINGUISTICI
Hjelmslev parla di linguaggi ristretti e linguaggi linguistici detti anche linguaggi pass-partout.
Un linguaggio non ristretto può essere usato per veicolare ogni significato possibile, laddove i
linguaggi ristretti, come le formule matematiche, si adattano solo una classe definita di significati.
Ogni testo qualsiasi, nel senso più ampio della parola, può essere tradotto in ogni linguaggio non
ristretto, mentre ciò non è altrettanto vero per i linguaggi ristretti. Ad esempio tutto ciò che è
espresso in danese può essere tradotto in inglese e viceversa, poiché entrambi sono linguaggi non
ristretti. Tutto ciò che è espresso in una formula matematica può essere tradotto in inglese, ma
non è vero che ogni espressione inglese può essere resa in una formula matematica: questo
perché il linguaggio delle formule matematiche è ristretto mentre l’inglese non lo è.
SISTEMA E PROCESSO
Qualsiasi codice per essere tale deve possedere un piano dell’Espressione e un piano del
Contenuto. Un altro tratto comune a tutti i codici riguarda i tipi di relazione che gli elementi di
ciascuno dei due piani intrattengono tra loro. Hjelmslev postula l’esistenza di due assi del
linguaggio: l’asse del processo e l’asse del sistema.
Sull’asse del processo si dispongono i vari elementi che formano la catena del sintagma: le parole
si concatenano per formare le frasi e i periodi, aggregandosi tra loro per dar luogo a sintagmi
sempre più estesi e complessi. Ma anche nei codici ristretti vige un analogo principio sintagmatico.
I colori del semaforo si succedono secondo un ordine prestabilito, il rintocco dell’orologio formula
sintagmi riconoscibili, per quanto elementari, i numeri delle camere d’albergo, così come numeri
del telefono, sono a loro volta sintagmi scomponibili in unità di taglia minore.
Sull’asse del sistema, invece, si dispiegano gli elementi che potrebbero stare al posto
dell’elemento che effettivamente è presente in quella particolare posizione del sintagma.
Hjelmslev definisce i rapporti sintagmatici funzioni e…e, in quanto gli elementi che entrano in
relazione reciproca si congiungono l’uno con l’altro in presentia. Diversamente i rapporti che si
instaurano tra i vari elementi di un sistema vengono definiti o…o, in quanto alla presenza dell’uno
implica l’assenza degli altri elementi. Ad esempio nella frase “il bambino calcia la palla”, l’articolo
determinativo intrattiene una relazione o…o con l’articolo indeterminativo “un”, il quale avrebbe
potuto occupare quel posto nella catena del sintagma linguistico. Analogamente, il rosso del
semaforo intrattiene una relazione o..o con il giallo e con il verde, mentre le cifre del numero della
camera d’albergo del telefono entrano in relazione sistematica con le altre cifre che avrebbero
potuto trovarsi in ciascuna posizione della catena sintagmatica. I sintagmi che formano il processo
realizzano alcune delle possibilità virtualmente offerte dal sistema, nel senso che ad ogni anello
della catena viene selezionato un solo elemento tra le diverse opzioni rese disponibili alla lingua. In
questo senso, la nozione di processo coincide con la nozione di testo, dove per testo Hjelmslev
intende, per l'appunto, un processo linguistico, ossia una particolare disposizione di elementi
linguistici: possiamo chiamare il processo testo e il sistema lingua. Il testo-processo, così come lo
intende Hjelmslev, pertiene allo strato della forma e non a quello della sostanza. Ne segue che
possono esserci diverse relazioni concrete di un processo. Non è detto, però, che il sintagma si
snodi in maniera lineare, con un prima e un dopo. Vi sono codici in cui processo non si sviluppa
linearmente, poiché gli elementi del sistema vengono disposti secondo schemi spaziali di diverso
tipo. Intendere il processo in questo modo significa, pertanto, pensarlo come una serie di caselle
da riempire dove ciò che è importante è l’ordine posizionale che vari elementi possono o devono
assumere all’interno del processo stesso. A questo proposito Hjelmslev si interroga sulle relazioni
che caratterizzano la creazione di sintagmi ben formati, distinguendo tra due tipi di rapporto che
egli chiama reggenza e combinazione.
REGGENZA E COMBINAZIONE
Quando un elemento del processo stringe una relazione di reggenza con un altro elemento del
processo, ciò significa che la presenza del primo elemento implica necessariamente la presenza
dell’altro Quando invece due elementi si susseguono senza che uno implica necessariamente
l’altro, si parla di combinazione. Le combinazioni sono dipendenze più libere, in cui i due termini
sono compatibili, ma nessuno dei due presuppone l’altro.
Così, sul piano dell’Espressione il grafema q in italiano intrattiene una relazione di reggenza con il
grafema u. Ovviamente, non è vero il contrario, cioè che la u intrattenga una relazione di reggenza
con la q. Si dirà, pertanto, che la u stringe con la q una relazione di combinazione. La stessa
distinzione tra reggenza e combinazione si applica al piano del Contenuto. Per esempio, nella frase
“il bambino calcio alla palla”, l’unità di Contenuto “bambino” stringe un rapporto di combinazione
con l’unita di Contenuto “palla”. Mentre tale rapporto di compatibilità non esiste nella frase
semanticamente anomala “la palla calcia il bambino”. Analizzare un testo significa ricostruire il
sistema dei divieti di accostamenti più o meno obbligatori presupposti del codice soggiacente. Per
esempio, si può dire che nel Codice dell’architettura classica la colonna di un tempio regge il
timpano, mentre il timpano a sua volta si può combinare con un alto o un bassorilievo.
DAL PROCESSO AL SISTEMA
L’idea che il processo possa essere inteso come una struttura di parti che intrattengono relazioni
interne di reggenza e di combinazione ha dato il via a una metodologia di analisi strutturale volta a
dissotterrare i livelli di organizzazione immanente dei testi, cioè i livelli interni al testo stesso. Per
Hjelmslev l’analisi del testo non è un esercizio fine a se stesso, essendo funzionale al rinvenimento
del sistema presupposto del testo stesso. Obiettivo ultimo della teoria hjelmsleviana è analizzare la
lingua in quanto struttura, smontandone l’ingranaggio fino individuare le parti costitutive e
ricostruendo le relazioni che tali parti intrattengono le une con le altre e ciascuna con la struttura
complessivamente intesa. Tuttavia l’unico modo per accedere alla lingua è attraverso l’analisi dei
testi, i quali realizzano le possibilità combinatorie che la lingua mette a disposizione a chi ne fa uso.
In base alla tesi secondo cui ogni processo presuppone un sistema sottostante, Hjelmslev propone
un metodo di analisi che, partendo da un vasto corpus di testi inanalizzati, scomponga tali testi
nelle loro parti costituenti attraverso una procedura deduttiva che sia quanto più rigorosa
possibile. Hjelmslev chiama tale scomposizione processo partizione. La prima partizione da
compiere è quella di distinguere tra i due piani del sintagma. Hjelmslev raccomanda di svolgere
separatamente l’analisi del piano dell’Espressione e l’analisi del piano del Contenuto allo scopo di
individuare le varianti irriducibili di ciascuno dei due piani. Per ciascun piano di linguaggio l’analisi
procedura attraverso diversi stadi, ognuno dei quali si concluderà quell’individuo azione di un
elenco di elementi invariati di taglia sempre minore: per esempio sul piano dall’Espressione, si
passerà dalla superficie espressiva dei testi ai singoli paragrafi o ai pericoli che li compongono, dai
periodi alle frasi, dalle frasi alle parole, dalle parole alle sillabe, e così via. L’ipotesi di Hjelmslev è
che a ogni stadio del complesso d’analisi il numero degli elementi costanti si sfoltisca. Ad esempio
numerosissime sono le parole, meglio i morfemi di una lingua, ma appartengono a inventari più
ridotti rispetto a quelli a cui appartengono le frasi, tant’è vero che le parole e i morfemi possono
essere elencati esaustivamente all’interno di un dizionario, dove sarebbe impensabile riunire tutte
le frasi componibili una lingua all’interno di un unico volume o di una serie di volumi. E
naturalmente le sillabe e i fonemi fanno capo a repertori estremamente più limitati di quelli a cui
appartengono le parole.
I PARADIGMI
All’interno della lingua, smontando il sintagma dell’Espressione e il sintagma del Contenuto in
blocchi, si possono assemblare innumerevoli costruzioni diverse, a partire da un inventario limitato
di parti dell’Espressione, da un lato, e di parti del Contenuto, dall’altro, dunque si dovrebbero
costruire innumerevoli sintagmi. Allo stesso tempo, in questa operazione di smontaggio del testo
si sono ricostruiti due inventari ancora non organizzati al loro interno, l’uno riferito al piano
dell’Espressione e l’altro al piano del Contenuto. La compilazione di questi due inventari
costituisce il primo passo per la ricostruzione del sistema. Ma tali inventari possono essere
organizzati in funzione della posizione che essi possono assumere all’interno del processo.
L’insieme degli elementi che possono occupare la medesima posizione in un processo, cioè i singoli
inventari delle singole posizioni, è chiamato paradigma. Dall’insieme disorganizzato di elementi del
piano dell’Espressione, ricavati da una prima analisi di un processo, attraverso un’ulteriore analisi,
si è riusciti a organizzarli in un insieme ordinato di paradigmi.
La stessa analisi può essere effettuata anche sul piano del Contenuto. La nozione di paradigma
semplifica e rende più precisa la nozione saussuriana di rapporto associativo. Laddove il rapporto
associativo era ordinato dalla costanza o dei suffissi o dei prefissi, oppure dalla somiglianza di
significante e significato, qui le relazioni in absentia vengono definite in base all’ordine posizionale
che i vari elementi possono assumere in ciascuno dei due piani, delimitando così la serie degli
elementi che possono essere utilizzati al posto di un altro in quella determinata posizione del
processo.
LA COMMUTAZIONE
Quando due elementi del piano dell’Espressione vengono messi in relazione paradigmatica tra
loro, determinando un cambiamento sul piano del Contenuto quando vengono sostituiti l’uno
all’altro sul piano dell’Espressione, si parla di prova di commutazione. Ciò vale anche nel
procedimento inverso, cioè sul piano del Contenuto. Ciò indica che c’è una correlazione tra gli
elementi di un paradigma dell’Espressione e gli elementi del paradigma corrispondente del piano
del Contenuto, ma non tutte le sostituzioni su un piano determinano dei cambiamenti sull’altro.
Ad esempio se si sostituisce il Contenuto “Roma” con “l’attuale capitale della Repubblica italiana”,
questa situazione non determinerà alcuna variazione sul piano dell’Espressione. Traini afferma:
“Se i cambiamenti introdotti su un piano del linguaggio provocano trasformazioni sull’altro piano,
siamo in presenza di una mutazione e diremo che l’elemento in questione è un invariante. Sei
cambiamenti introdotti su un piano non provocano trasformazioni sull’altro piano, allora siamo in
presenza di una sostituzione e diremo che l’elemento sostituito è una variante del sistema”.
Dunque la relazione stretta sul piano dell’Espressione e quella stretta sul piano del Contenuto
creano delle relazioni tra loro, cioè una relazione tra relazioni, che unisce la relazione
paradigmatica tra due o più elementi di un piano con la relazione paradigmatica di due o più
categorie dell’altro piano. Questa relazione secondo ordine è chiamata da Hjelmslev appunto
commutazione. Le invarianti minime da Hjelmslev sono chiamate figure. Perciò, ogni sistema ha le
sue varianti e le sue invarianti. Si prenda, per esempio una qualsiasi frase italiana, come “Proletari
di tutti i Paesi, unitevi!”. Ora è possibile sostituire un elemento della frase sul piano
dell’Espressione, come la parola proletari, con un’altra che è in relazione paradigmatica con essa,
come la parola “precari”, determinando così anche una parete al piano il Contenuto. Si può perciò
dire che “proletari” e “precari” sono 2 elementi invarianti della lingua italiana. Ma se a proletari
sostituiamo “lavoratori” oppure “salariati”, allora non avremmo variazione sul piano del
Contenuto, e quindi queste 2 espressioni possono essere considerate come delle semplici varianti
di proletari. In questo caso, il cambiamento sul piano dell’Espressione può essere considerato
come una semplice sostituzione. Chiaramente lo stesso discorso vale per il piano del Contenuto. Si
prenda per esempio la frase “Gualtiero è un proletario”. Limitiamo la nostra analisi, in questo caso,
alla sola copula. A essa corrisponderanno, sul piano del Contenuto, le marche: “presente,
indicativo, terza persona singolare, essere”. Ora se si sostituisce il “presente” con “l’imperfetto”, si
ottiene sul piano dell’Espressione “Gualtiero era un proletario”; Se si sostituisce l’indicativo con il
condizionale si avrà “Gualtiero sarebbe un proletario” e così via. “Presente” e “imperfetto”, così
come “indicativo” e “condizionale” sono invarianti del piano del Contenuto dell’italiano. La prova
di commutazione è un metodo già ampiamente collaudato dalla fonologia, la quale ha dimostrato
che ogni piano dell’Espressione di qualsiasi lingua parlata da comunità umane si fonda, in ultima
analisi, su un pacchetto molto ristretto di fonemi, le cui possibili combinazioni danno luogo
all’infinita variabilità espressiva. Per identificare il repertorio dei fonemi di una lingua, i fonologi di
Praga, hanno elaborato un metodo che consiste nell’introdurre artificialmente un cambiamento
nella catena dell’Espressione (per esempio, sostituendo la g di gatto con la 4r) per verificare se tale
variazione produca un cambiamento sul piano del Contenuto. In caso affermativo, l’elemento
sostituito, nella fattispecie la g, e l’elemento che lo sostituisce, costituiscono due invarianti del
sistema dell’Espressione di quella lingua. I fonemi di una lingua sono, pertanto, quei tipi di suoni
per i quali esiste almeno una coppia di parole che, scambiando i 2 suoni, presentano una
differenza di significato. Se, viceversa, i cambiamenti introdotti sul piano dell’Espressione non
provocano trasformazione sull’altro piano, allora si dirà che l’elemento che sostituisce è una
variante dell’elemento sostituito (per esempio per il sistema fonologico italiano la c aspirata dei
toscani è una variante della c dura).
LA DOPPIA ARTICOLAZIONE
All’interno del sistema dell’Espressione si possono individuare due livelli distinti di articolazione,
definito principio della doppia articolazione, in cui i morfemi (le unità minime dell’Espressione
fornite di significato) sono gli elementi di prima articolazione e i fonemi sono gli elementi di
seconda articolazione. Per esempio, la parola gatto è composta da due morfemi (unità di prima
articolazione), gatt (che ritroviamo anche in gatta, gattino, gattesco ecc.) e o (che ritroviamo in
moltissimi sostantivi singolari maschili). I morfemi si combinano tra loro per costituire le parole, le
parole si combinano per formare le frasi, le frasi si combinano per formare i testi e così via.
La seconda articolazione riguarda, invece, le unità sprovviste di significato, e cioè il combinarsi dei
fonemi (per lo scritto dei grafemi g + a + 2t + o) all’interno delle parole. Dunque non si può dire
che la g gatto si prenda carico di una parte del contenuto corrispondente (atto non è un gatto che
non miagola o che è un po’ meno felino). La g di gatto è, invece, un’invariante minima del sistema
dell’Espressione della lingua italiana, disponibile per formare catene dotate di significato, ma di pe
sé priva di qualsivoglia corrispettivo sul piano del Contenuto. Grazie alla doppia articolazione, il
sistema espressivo del codice linguistico, offre la possibilità di combinare una trentina di unità
sfornite di significato (i fonemi) per produrre un numero indefinito di unità fornite di significato,
che, combinandosi tra loro, formano a loro volta un numero infinito di frasi.
LE FIGURE
Come il sistema dell’Espressione si regge su un numero limitato di invarianti infinitamente
combinabili per produrre un numero aperto di sintagmi, anche il sistema del Contenuto dovrebbe
essere riconducibile a un repertorio chiuso di invarianti non ulteriormente scomponibili.
L’obbiettivo perseguito da Hjelmslev è di individuare, attraverso le diverse parti del complesso di
analisi, un inventario incluso di elementi minimi, non ulteriormente scomponibili, sul piano
dell’espressione sia su quello del Contenuto: Hjelmslev chiama questi elementi minimi dei due
piani figure dell’Espressione e figure del Contenuto.
Come un fonema sta alla parola, così una figura del Contenuto dovrebbe stare a un concetto
complesso. Per esempio: come la parola casa è composta dai fonemi c + 2a + s, così il concetto
complesso di “casa” dovrebbe essere scomponibile in pochi concetti semplici, per esempio
“artefatto”, “cavo”, “coperto” e “abitabile”. Una figura del Contenuto sarebbe dunque un atomo
di significato, un elemento semantico che non è definibile da nessun altro elemento. Applicata al
piano del Contenuto, la prova di commutazione consisterà nell’introdurre una trasformazione
semantica nel sintagma, per vedere se tale trasformazione provochi un cambiamento sul piano
dell’Espressione. Siccome il cambiamento semantico in questione produce una trasformazione
nella catena dell’Espressione (gatto/gatta), si può desumere che “maschio” e “femmina” siano due
varianti del sistema del Contenuto. Se poi si commuta il significato di “felino”, sostituendolo con il
significato di “suino”, si constata un’ulteriore trasformazione sul piano dell’Espressione
(gatta/scrofa). Da ciò si dovrebbe evincere che “felino” e “suino” siano a loro volta due invarianti
del sistema del Contenuto della lingua italiana.
Il modello hjelmsleviano consente di agganciare i significati dei termini gli uni agli altri in maniera
univoca, evidenziando la rete di relazioni che, a un certo livello di analisi, li tiene insieme.
I PRIMITIVI SEMANTICI
Il sistema hjelmsleviano ha suscitato alcune importanti obiezioni, poiché un sistema del Contenuto
che riproducesse le caratteristiche strutturali del sistema dell’Espressione dovrebbe riuscire a
definire tutti i significati di una lingua e non solo una porzione ristrettissima di essi. Ma allora le
figure necessarie per delimitare e differenziare le unità di Contenuto che compongono l’intero
lessico della lingua finiscono per moltiplicarsi indefinitamente, vanificando il tentativo di
ricondurre il piano del Contenuto ad un pacchetto chiuso e ristretto di figure del Contenuto. La
seconda obiezione riguarda il carattere non primitivo dei presunti primitivi semantici. Laddove non
si fatica ad ammettere che i fonemi siano gli elementi minimi del piano dell’Espressione,
infinitamente combinabili per dare un luogo all’inesauribile varietà delle stringhe espressive, è
molto più problematico riconoscere la primitività di quelle che Hjelmslev identifica come le figure
del contenuto. Si può affermare che i significati di “ovino”, “suino”, “bovino” eccetera siano delle
figure che possono dar luogo ai significati complessi di “montone”, “pecora”, “porco” eccetera,
nella misura in cui ciascuna delle unità di Contenuto in questione è a sua volta definibile nei
termini di altre unità di Contenuto, come dimostra l’esistenza di altre voci corrispondenti del
dizionario della lingua italiana. Se una voce dizionariale è in grado di fornire una definizione del
significato di “ovino” o di “ape”, per esempio classificando entrambi come “animali”, ciò
suggerisce che tali significati non siano gli elementi ultimi del sistema del Contenuto, come invece
pretenderebbe Hjelmslev. Il problema si risolverebbe e c’è un errore a livello di analisi che
contempla sia contenuti più generici come “mammifero”, “insetto”, “animale”. Per distinguere un
montone da un cavallo occorrerebbe introdurre ulteriori figure di contenuto e ci si ritroverebbe
pertanto nella situazione imbarazzante da cui si è partiti: o i presunti semantici sono unità di
Contenuto che, non appaiano affatto come gli atomi ultimi e non ulteriormente analizzabili del
piano del Contenuto oppure assumono come figure poche unità di Contenuto generalissime, ma
allora si perde la possibilità di differenziare i significati di termine più specifici come pecora e
giumenta. Alla base di queste obiezioni vi è una critica di più ampia portata che investe l’intero
progetto strutturalista di considerare il piano del Contenuto come isomorfo rispetto al piano
dell’Espressione. Ciò che viene contestato è la possibilità stessa di descrivere il sistema semantico
di una lingua in termini analoghi a quelli impiegati per descrivere il sistema fonologico: il sistema
semantico non è riducibile a un inventario chiuso di primitivi e non vi sono elementi, sul piano del
Contenuto, che svolgano il ruolo di “mattoni primi” che i fonemi svolgono sul piano
dell’Espressione. L’ipotesi che il senso che attribuiamo alle parole passi attraverso la
scomposizione del significato di ciascun termine in un certo numero di figura del Contenuto
appare psicologicamente poco plausibile. Sarebbe discutibile interpretare l’enunciato “stasera
Monica esce con il suo uomo” come “questa sera Monica esce con l’animale umano maschio
adulto di sua proprietà”. Dunque le parole si prestano ad essere interpretate in modi diversi a
seconda del rispetto o capacità sotto cui esse vengono messe a fuoco, e le proprietà semantiche
Teresa di volta in volta pertinenti variano a seconda delle circostanze comunicative del con testo in
cui esse sono inserite.
LE SEMANTICHE A TRATTI
Se è vero che il piano del contenuto non si presta a essere analizzato in figura, è vero anche che, se
si prende in considerazione un campo semantico alla volta, si possono definire adeguatamente i
rapporti differenziati che intercorrono tra i vari termini che lo popolano. Secondo Pottier il
significato di ciascun termine si definisce in rapporto alla presenza o all'assenza di una serie di
tratti che lo differenziano rispetto agli altri termini. Ma oltre a Inter definire i termini, agganciando
che l’uno all’altro, la matrice di Pottier si propone di fornire delle definizioni esaustive di ciascun
termine, in modo da catturare il significato una volta per tutte attraverso la serie di tratti semantici
che lo compongono. il significato letterale di poltrona dunque: 1. “sedile”, 2. “soffice”, 3. “a un
posto”, 4. “con braccioli”, 5. “con schienale”, 6. “con quattro gambe”. Si potrebbe allora tentare di
scomporre i significati delle singole parole nei tratti semantici che concorrono a definirli. Per
ciascuna parola dunque si può individuare un insieme di Condizioni Necessarie e Sufficienti (CNS)
per definire esaustivamente il significato lessicale di tale parola. Ciò che resta dell’originario
progetto dei primitivi semantici è l’idea che tutte le entrate lessicali di una lingua siano
scomponibili in un pacchetto di tratti semantici, sebbene tali tratti siano a loro volta scomponibili
in altri tratti, e così via all’infinito. Per questo tutti i tratti che concorrono alla definizione del
significato di un termine sono esattamente quelli che servono per definirlo: di conseguenza,
nessuno può venire cancellato e nessuno può essere aggiunto.
Definire i CNS delle figure geometriche o di Termini appartenenti al lessico giuridico risulta
alquanto semplice, ma diventa abbastanza problematico quando si cercano le CNS dei significati di
altre parole. Ciò avviene ad esempio per la definizione di gatti, montoni, maiali, la loro definizione
è molto più ardua poiché si ha a che fare con i significati delle parole che designano i generi
naturali sia perché, là dove i termini matematici e giuridici vengono introdotti per riferirsi e
costrutti culturali i cui tratti sono definiti a priori, i termini del genere naturale si applicano a
oggetti del mondo reale dotati di caratteristiche che paiono sussistere indipendentemente dalle
definizioni linguistiche con cui cerchiamo di catturarle. In virtù di tale differenza, la proprietà dello
“scapolo” di non essere sposato appare meno cancellabile di qualsiasi altra proprietà che si possa
attribuire al “gatto”. Per quanto il suo significato posso essere stabilito convenzionalmente in
modo netto e inequivoco, nel momento in cui la parola scapolo entra nel circuito della
comunicazione viene associato alle esperienze che accompagnano il suo uso, incrostandosi così di
sensi secondari che, alla lunga, possono perfino colonizzare il nucleo semantico, sostituendosi alle
proprietà che in precedenza venivano poste come incancellabili.
DAL DIZIONARIO ALL'ENCICLOPEDIA
Alla base dei modelli dei primitivi semantici e delle semantiche a tratti vi è un assunto comune che
sia possibile distinguere tra due repertori distinti delle nostre conoscenze: da una parte, le
conoscenze della lingua e, dall’altra, le conoscenze del mondo. diversamente dalle conoscenze del
mondo, che confluiscono in inventari aperti e in definitivamente dilatabili di informazioni tratte
dall'esperienza empirica, le conoscenze della lingua dovrebbero far capo a strutture chiuse di tratti
semantici che il linguista dovrebbe essere in grado di identificare e definire in modo univoco. Eco
nel 1984 si riferisce a questi modelli con l'espressione semantichechiuse di tratti semantici che il
linguista dovrebbe essere in grado di identificare e definire in modo univoco. Eco nel 1984 si
riferisce a questi modelli con l’espressione “semantiche a dizionario”. Per esempio, nell'insieme
aperto dalle descrizioni che potremmo associare la parola tigre si dovrebbe poter distinguere tra
un nocciolo duro di proprietà strettamente dizionariali, come “animale”, “mammifero” e “felino”,
è una serie potenzialmente illimitata di proprietà enciclopediche, tra cui “feroce predatore”, “che
ha un manto fulvo a strisce scure”, “che probabilmente proviene dalla Siberia”, “che si è diffuso in
Asia circa 2 milioni di anni fa” ecc., Fino a includere tutto il sapere culturalmente registrato sulle
tigri.
Le proprietà dizionariali sarebbero quelle che ci permettono di decodificare le frasi contenenti la
parola tigre e, di conseguenza, sarebbero incancellabili, pena l’impossibilità di assegnare a questa
parola il proprio significato linguistico, mentre le proprietà enciclopediche sarebbero quelle che si
possono cancellare o ignorare senza per questo pregiudicare la disambiguazione semantica della
parola.
Le parole non sono sganciate dalla nostra conoscenza del mondo, ma, al contrario, selezionano e
condensano nei tratti pragmaticamente più salienti della nostra esperienza linguistica. Da qui,
l’impossibilità di distinguere in modo netto tra proprietà dizionariali e proprietà enciclopediche. Se
è vero che, rispetto al nostro modo di percepire, classificare e rappresentare il mondo, alcune
proprietà semantiche appaiono più salienti di altre, non vi è alcun confine preciso tra due tipi di
proprietà. Le proprietà messe in rilievo dal vocabolario sono chiaramente legate alla sfera
dell'esperienza, ovvero alle rappresentazioni che la nostra cultura assegnato l'unità di Contenuto.
L’ENCICLOPEDIA COME POSTULATO SEMIOTICO
Eco tra il 1975 e il 1984 elabora la sua nozione di enciclopedia, in aperta contrapposizione rispetto
alle semantiche di tipo dizionariale. Constata l’impossibilità di ridurre le unità di contenuto a un
pacchetto chiuso di marche semantiche strettamente dizionariali, si prende atto che ogni marca
con cui si può definire un certo semema è a sua volta un semema definibile attraverso altre
marche. A ciò si aggiunga che ciascuna marca può essere condivisa da altri sememi. Perciò
l'enciclopedia è dominata dal principio della semiosi illimitata e della fuga senza fine degli
interpretanti, principio che annulla la distinzione tra linguaggio-oggetto e metalinguaggio
descrittivo. Secondo Eco, l'enciclopedia è un postulato semiotico: cioè l’insieme registrato di tutte
le interpretazioni, concepibile oggettivamente come la libreria delle librerie, dopo una libreria è
anche un archivio di tutta l’informazione non verbale in qualche modo registrata, dalle pitture
rupestri alle cineteche. Ma deve rimanere un po’ salato perché di fatto non è descrivibile nella sua
totalità.
Poi, l’enciclopedia non ospita solo le conoscenze scientificamente accreditate, ma anche tutte le
credenze, le leggende, le creazioni funzionali elaborate dalla cultura in questione. Se il significato
di un segno risiede nella serie persa degli effetti che tale segno produce o è in grado di riprodurre
su qualcuno, Allora il significato di una parola coincide con la somma degli interpretanti che tale
parola virgola allora il significato di una parola coincide con la somma degli interpretanti che tale
parola e o è stata in grado di suscitare è o è stata in grado di suscitare.
LE MOLTE ENCICLOPEDIE

L'enciclopedia è conosciuta e controllata in modi diversi dai suoi diversi utenti, senza che a
nessuno sia dato di possederla integralmente. Si può distinguere perciò tra enciclopedia e globale,
intesa come insieme di tutti gli interpretanti registrati da una data cultura, pena competenza
enciclopedica possedute misura variabile da ciascun individuo. Chiaro che l’enciclopedia globale è
un concetto troppo generico è virtuale per essere di qualche utilità a una teoria della
comunicazione.
La competenza enciclopedia , infatti, in quanto soggettiva e individuale, non rende ancora conto
del fatto che per comunicare occorre condividere, almeno in parte, alle competenze
enciclopediche del proprio interlocutore. per poter impiegare il concetto di competenza
enciclopedica nell'ambito delle teorie della comunicazione, occorre postulare che i soggetti
comunicanti condividono porzioni più o meno ampie dell'enciclopedia globale. Per esempio, si può
ritagliare dall'enciclopedia globale una porzione di saperi specialistici che rendono possibile la
comunicazione all'interno di determinate comunità scientifiche, come le comunità degli zoologi,
dei chimici, degli antropologi, degli storici.
Far parte di una certa comunità significa condividere la conoscenza di una o più enciclopedie locali,
le quali, nel corso degli scambi comunicativi possono rimanere sottaciute in quanto da te per
compartecipate dalla comunità. l'enciclopedia locali possono essere di varia estensione, sia nel
senso che possono riguardare campi semantici più o meno vasti, sia nel senso che possono essere
condivise da gruppi più o meno allargati di persone. La stessa appartenenza a una determinata
comunità linguistica presuppone un’Enciclopedia media fatta di conoscenze, di credenze e di
regole per l’azione pratica, il cui possesso è la condizione necessaria per potersi riconoscere come
membri a pieno titolo di tale collettività.
In questo senso l'enciclopedia “media” può essere vista come un'enciclopedia locale molto
particolare, un'enciclopedia locale “privilegiata”, che pur essendo parte dell'enciclopedia Globale
costituisce Tuttavia il suo interno non sotto universo coerente e delimitato, e costituisce una sorta
di “rappresentazione complessiva” di una data cultura.
L'enciclopedia media e il prodotto dell'interazione tra innumerevoli Enciclopedie individuali, le
quali si confrontano e si intersecano durante i concreti processi comunicativi, stabilizzando Sei su
un nucleo di abiti interpretativi condivisi che agevolano la comunicazione interpersonale nella
misura in cui la rendono più standardizzata e fluida.
TESTO ED ENCICLOPEDIA
Dunque la teoria semiotica che adottano enciclopedia come proprie ipotesi regolativa rinuncia in
partenza ha l'obiettivo di rappresentare il piano del Contenuto in modo esaustivo. Ciò non
significa, tuttavia, che le Enciclopedie locali non possono essere anche delle realtà semiotiche
effettivamente operative ogni volta che, interpretando un testo, integriamo le informazioni che il
testo fornisce esplicitamente con informazioni che attingiamo dal bagaglio delle nostre
conoscenze enciclopediche.
Ogni testo discorso circoscrivere Infatti un’area di consenso entro la quale il discorso stesso si
muove, stabilendo quali zone dell’enciclopedia devono essere attivate per garantire il buon
andamento dell’interazione comunicativa e quali invece vadano temporaneamente messe tra
parentesi in quanto non pertinenti in quel particolare contesto.
Per interpretare le frasi ambigue, ad esempio, la scelta del topic è resa possibile dagli indizi
supplementari che l'interprete ricava (a) dalle circostanze di enunciazione in cui avviene lo
scambio comunicativo e (b) dal contesto, ossia da ciò che precede e segue la frase nel flusso del
discorso.
Se ne deduce che, in assenza di indicazioni supplementari circa le circostanze di enunciazione e/o
il co-testo in cui la frase inserita, quest'ultima sia priva di significato. A questo proposito vi sono le
teorie del testo le quali negano la possibilità di stabilire il significato di un termine o di un sintagma
a prescindere dall'effettiva situazione enunciativa in cui esso viene preferito.
A questa famiglia di teorie testuali, e fortemente polemiche nei confronti di qualsiasi tentativo di
rappresentare il significato linguistico delle parole al di fuori dei contesti comunicativi specifici Eco
contrappone le cosiddette “teorie di seconda generazione” , le quali pongono dei “punti di
raccordo tra uno studio della lingua come sistema strutturato è uno studio del discorso dei testi
come prodotti di una lingua parlata o in ogni caso parlanda”. L’assunto da cui Eco trae avvio è che,
anche prima di calare una parola o una frase all'interno di una determinata situazione enunciativa,
sia possibile prevedere un ventaglio di usi comunicativi a cui tale frase dalle parola potrebbe dare
adito.
L’Enciclopedia registra, tra le informazioni, i contesti in cui è statisticamente più probabile che
ciascun termine venga impiegato, i sensi più o meno cristallizzati che esso in genere assume in
ognuno di questi contesti o gli altri sememi che prevedibilmente lo accompagnano nei sintagmi in
cui sarà inserito. da ciò si capisce che l’Enciclopedia funziona come una sorta di manuale di
istruzioni per l'inserzione testuale e contestuale dei sememi, consentendo al interprete di
anticipare le possibili espansioni testuali di ciascun insieme ma, a seconda dei contesti in cui è
prevedibile che esso venga utilizzato.
È su questo principio di prevedibilità degli usi comunicativi dei termini che si fondano le definizioni
dei vocabolari, e quali registra una non la totalità degli usi possibili di ciascuno dei termini definiti,
bensì il ventaglio dei loro senti statisticamente più probabile.
4 Interpretazione
4.1PERCHÉ L'INTERPRETAZIONE?
Per comprendere quali meccanismi fanno definire un testo interpretabile e quali sono le
particolarità che consentono a un determinato qualcuno di stabilire quale, tra le varie
interpretazioni a cui il testo potrebbe dare adito, sia quella più corretta o quantomeno quella più
adeguata rispetto a quel particolare contesto comunicativo, sono dei quesiti sui quali molti
semiologi si sono interrogati e li hanno spinti verso gli ingranaggi dell'interpretazione, in base
all’ipotesi della centralità dell’interprete nel processo di costruzione del senso.
Peirce ha spiegato che il processo dell’interpretazione può essere scandito in diverse fasi a
partire dal momento in cui l’interprete entra in contatto con qualcosa che cattura la sua
attenzione e si accinge a interpretarlo, passando attraverso il flusso della semiosi in azione e la
scelta delle ipotesi, per approdare alla fase conclusiva in cui l’interprete identifica il
qualcos’altro per il quale suppone che il segno stia e, al contempo, formula l’interpretante
(mentale o comportamentale) che sancisce la chiusura di un ciclo di interpretazione.
Altri studiosi hanno elaborato modelli che, sulla scorta di quello tracciato da Perice, tentano di
spiegare che cosa accade quando un interprete entra in relazione con un testo. La premessa che li
accomuna è l’idea che ogni atto interpretativo coinvolga almeno due elementi incancellabili:
un dispositivo che interpreta e un testo da interpretare. Le nozioni di testo e di interpretazione
sono inestricabilmente intrecciate e non è possibile definirne una senza chiamare in causa
l’altra.
4.1.1 TRE INTENZIONI
Testo e interprete si presuppongono a vicenda nel meccanismo della comprensione. Come
ogni altro tipo di interpretazione, la ricezione di un atto comunicativo richiede l’intervento dei
meccanismi cognitivi e inferenziale. Nel momento in cui riconosce un’intenzione comunicativa
dietro alla superficie espressiva del testo, l’interprete collaborativo si predispone a ricostruire tale
intenzione, per esempio, cercando di capire se il proferimento sia da intendere in senso letterale,
figurato o ironico, in modo da potervi rispondere adeguatamente.
Per Schleiermacher, l’interpretazione completa di un discorso si raggiunge solo quando
l’interprete fa rivivere in sé l’esperienza individuale testimoniata dal discorso stesso. Ma
mentre per l’autore il passaggio dall’evento psichico alla sua messa in discorso può avvenire in
modo largamente inconsapevole, l’interprete giunge alla riproduzione dell’evento originario
solo dopo essersi impadronito della struttura costitutiva profonda del testo, ossia dopo aver
compiuto un rigoroso studio di tipo filologico, linguistico e comparativo, per ricostruire le
norme grammaticali e stilistiche alle quali l’autore si è attenuto nella stesura della sua opera.
Per Schleiermacher, il culmine dell’interpretazione si raggiunge quando l’intentio lectoris riesce a
riprodurre esattamente l’intentio auctoris attraverso il dispiegamento dell’intentio operis.
Ciò che l’autore voleva dire è da considerarsi come una questione ininfluente: difatti, o
l’autore è riuscito a esprimere la propria intenzione comunicativa nel testo, e allora non c’è
bisogno di interrogarsi sui suoi proposti reali per conoscerla, oppure non è riuscito a
rappresentare la propria intenzione, e allora essa è irrimediabilmente persa.
L’analisi strutturale dei testi elegge a proprio oggetto di studio preferenziale il testo
“letterario”, narrativo o poetico. Ciò che conta ai fini dell’analisi di questo tipo particolare di testi
non è principalmente l’intentio auctoris, bensì il testo inteso come una forma conchiusa dotata di
un senso proprio.
Il significato di un testo sia racchiuso nelle maglie stesse del testo prima ancora che qualcuno
cominci a interpretarlo. Con ciò, non si nega che tale testo possa dare adito a una varietà di
possibili interpretazioni, magari anche sensibilmente diverse tra loro. Solo che, secondo questo
approccio, il testo è la matrice strutturale in grado di generare tutte le sue interpretazioni
possibili: ne deriva che ogni interpretazione empirica (intentio lectoris) che emana dal testo
realizzerebbe alcune delle potenzialità virtualmente contenute nel testo stesso (intentio
operis). Il problema è come definire tale intenzione del testo una volta che essa sia stata
definitivamente sganciata dai proposti comunicativi dell’autore e dagli usi che ne fa il lettore.

4.2 PER UNA PRAGMATICA DELLA COMUNICAZIONE


Secondo la Teoria pragmatica della comunicazione di Peirce e Eco il comunicare è ciò che produce
una comunicazione e che comprende una comunicazione.

4.3 CIÒ CHE È DETTO E CIÒ CHE È INTESO


La nozione di segno come equivalenza è strettamente legata alla nozione di significato
letterale. Ciò a cui il significante equivale è proprio il significato letterale del segno
corrispondente, significato che esaurirebbe il valore semantico del segno stesso.
Il significato letterale sia ciò che per convenzione è collegato al significante, ma questa
definizione non dice molto, essendo una petitio principii, in quanto assume ciò che vuole
definire, la nozione di significato.
Il significato letterale di una frase coincide con le condizioni che si devono realizzare perché la
frase stessa risulti vera. Significato referenziale o vero-funzionale della frase e questo è quanto
intende Grice quando para di “ciò che una frase dice”
Si comunica e si comprende ciò che è inteso e non ciò che è detto.
La distinzione fra ciò che è detto e ciò che è inteso sottolinea un primo limite all’apporto del
codice nel lavoro di interpretazione: il codice, il significato letterale, può servire a ricostruire ciò
che è detto, ma rimane poi da spiegare come da questo l’interprete riesca a ricostruire ciò che è
inteso dall’esecutore.
4.4 IL PRINCIPIO DI COOPERAZIONE
Chi ha cercato la distinzione tra ciò che è detto e ciò che è inteso è stato Paul Grice. Ha cercato di
colmare la distanza tra queste due parti di significato, quella convenzionale e quella
situazionale, cercando di mostrare come l’una possa condurre all’altra.
L’idea centra e fondante di Grice è che l’attività comunicativa sia per necessità un’attività
collaborativa, in quanto finalizzata a uno scopo comune: chi si impegna in una conversazione, si
impegna a fare il modo di farsi comprendere e a cercare di comprendere i propri
interlocutori.
L’esistenza di uno scopo comune o convergente fa sì che le interazioni comunicative
intenzionali, come tutte le altre azioni coordinate e collaborative, debbano conformarsi a
quello che Grice chiama il Principio di Cooperazione sostenendo:
“Conforma il tuo contributo conversazionale a quanto è richiesto, nel momento in cui avviene,
dall’intento comune accettato o dalla direzione della scambio verbale in cui sei impegnato.”
Il Principio di Cooperazione rende il proprio contributo a un’attività cooperativa adeguato a
quanto è richiesto. Il Principio di Cooperazione è tanto intuitivo quanto importante.

4.5 LE MASSIME CONVERSAZIONALI


Grice scompone il Principio di Cooperazione in quattro Massime Conversazionale: massima
della quantità, massima della qualità, massima della relazione e massima della modalità. Le
massime conversazionali non sono condiciones sine qua non della comunicazione, ma sono
piuttosto dei suggerimenti. Seguire le massime significa realizzare il Principio di Cooperazione.

4.5.1 LA MASSIMA DELLA QUANTITÀ.


La categoria della quantità si riferisce alla quantità di informazione che deve essere fornita e
comprende le seguenti massime:
1. Dà un contributo tanto informativo quanto richiesto (dagli intenti dello scambio verbale in
corso).
2. Non dare un contributo più informativo di quanto sia richiesto.

4.5.2 LA MASSIMA DELLA QUALITÀ


La categoria della qualità comprende una supermassima: “cerca di dare un contributo che sia
vero” e due massime più specifiche:
1. Non dire ciò che ritieni falso
2. Non dire ciò di cui non hai prove adeguate
La massima della qualità si suddivide in due sottomassime, che potremmo chiamare della
sincerità e dell’anti-pettegolezzo.

4.5.3 LA MASSIMA DELLA RELAZIONE


Nella categoria della relazione colloco un’unica massima, e cioè “si pertinente”

4.5.4 LA MASSIMA DELLA MODALITÀ


Infine, la categoria della modalità, che si riferisce alla maniera in cui si dice, comprende la
supermassima “sii perspicuo” e varie sottomassime quali:
1. Evita oscurità d’espressione
2. Evita ambiguità
3. Si conciso (evita inutili prolissità)
4. Si ordinato

4.5.5 LE MASSIME IN AZIONE


Le indicazione delle massime valgono per tutte le interazioni caratterizzate dalla presenza di uno
scopo comune.
Le massime si riferiscono sempre e solo a ciò che è detto, che secondo Grice è il risultato
meccanico, o quasi meccanico, dell’applicazione ricorsiva delle regole del codice linguistico di
riferimento.
VIOLARE LE MASSIME:
Più ci si attiene alle massime, più la comunicazione dovrebbe risultare fluida e semplice,
mentre un allontanamento sistematico dai dettami delle massime potrebbe avere
conseguenze deleterie per i processi comunicativi.
Le violazioni delle massime possono essere sussunte in quattro categorie:
1. Dissociazione: la dissociazione dal principio e dalle massime consiste nei tirarsi
letteralmente fuori dal gioco conversazionale. Questo tipo di violazione comprende
quei casi in cui non si vuole parlare o comunicare in genere, come quando si dice “No
comment”.

2. Violazione nascosta: consiste nei violare una massima, ma senza che gli interlocutori se ne
rendano conto. L’effetto di questo tipo di violazione è sempre di fuorviare in un modo o
nell’altro i propri interlocutori.
3. Conflitto: fra massime, si ha quando per rispettare una massima si è costretti a
violarne un’altra. È il caso delle risposte evasive.

4. Violazione palese (farsi beffa-flout- o sfruttare una massima) ci si fa beffa di una


massima, o in altri termini si sfrutta una massima, quando la si viola in modo
clamorosamente evidente, cioè quando l’esecutore può smaccatamente fare in modo di
non osservarla. Difatti, lo sfruttamento di una massima è sicuramente uno dei modi più
proficui per riuscire a comunicare più di quello che si dice, perché la violazione
sfacciata di una massima costringe l’interprete a trovare una ragione che riconcili il
comportamento dell’esecutore con il Principio di Cooperazione.
Tutti i tipi di violazione avvengono sempre e solo a livello del significato letterale, cioè a livello di
ciò che è detto e mai a livello di ciò che è inteso.

4.5.6 L’ESPLICITO E L’IMPLICITO


Se con esplicito si intende tutto ciò che è ricavabile da un proferimento senza utilizzare le
informazioni contestuali e circostanziale, allora anche una parte dell’inteso sarà costituita da una
parte di esplicito. Il significato referenziale o vero- funzionale di una frase, ciò che è detto appunto,
è solo una parte delle informazioni che esplicitamente vengono ricavate dalle regole logiche e
linguistiche associate alle espressioni. Si ha così, in opposizione alla coppia ciò che pe detto vs. Ciò
che è inteso, la coppia formata dall’esplicito e dall’implicito. Ciò che è detto vs, ciò che è inteso
ed esplicito vs. Implicito, non sono sovrapponibili. Mentre la prima coppia comprende, da un
lato, il solo significato referenziale e, dall’altro, il resto delle informazioni comunicate, la seconda
comprende, da un lato, tutto ciò che è ricavabile esclusivamente dalle regole logiche e linguistiche
e, dall’altro, tutto ciò che è ricavabile dall’interazione della frase con le informazioni che
costituiscono il contesto o, in generale, la circostanza di enunciazione.
IMPLICATURE CONVENZIONALI, PRESUPPOSIZIONI E IMPLICAZIONI:
L’inteso non è una nozione uniforme. Una parte di ciò che è inteso è determinata direttamente
dalla parte sintattica del significato della frase.
Una parte importante dell’inteso è costituita dalle implicature convenzionali, che sono quella
porzione di inteso veicolata linguisticamente dalla frase, ma che non appartiene al significato
referenziale della stessa.
Un’altra parte dell’inteso che fa parte dell’esplicito è costituita dalle presupposizioni e dalle
implicazioni e dalle implicazioni logiche di una frase.
Le presupposizioni sono ciò che si deve assumere come vero o dare per scontato per ritenere una
frase semanticamente adeguata.
Le implicazioni sono ciò che una determinata frase implica logicamente, cioè le proprie
conseguenze logiche, tutto ciò che è deduttivamente ricavabile dalla frase stessa.
In generale, possono essere individuate tre tipologie di presupposizioni: presupposizioni
esistenziali, semantiche e strutturali.

 Le presupposizioni esistenziali vengono attivate da fatto stesso di nominare qualcuno.

 Le presupposizioni semantiche sono prodotte dal significato particolare di alcuni verbi quali
smettere, dispiacersi, farcela, rendersi conto…

 Le presupposizioni strutturali dipendono da certi tipi di frase come le frasi controfattuali e


quelle scisse.
La distinzione tra presupposizione e implicazione può essere resa più evidente dal test della
negazione, che consiste nel negare la frase che genera questi fenomeni semantici e verificare se
questi vengono ancora prodotti. Se vengono generati anche dalla negazione della frase,
allora ci si trova di fronte a presupposizioni. Se invece la frase negata non suggerisce più quella
determinata informazione, allora, ci si trova di fronte a un’implicazione. Infatti, le
presupposizioni hanno la caratteristica di venire generate anche dalla negazione della frase in
questione.
LE IMPLICATURE CONVERSAZIONALI
IMPLICATURE CONVERZAZIONALI GENERALIZZATE E PARTICOLARI
CANCELLABILITÀ E INDISTACCABILITÀ

4.6 IL CIRCUITO COMUNICATIVO: UNA DESCRIZIONE GRICIANA


Due agenti del circuito comunicativo, l’esecutore e l’interprete. Secondo Grice, l’esecutore, che
vuole comunicare qualcosa al suo interlocutore seguendo le regole del codice, il principio e le
massime, cercherà un modo economico, compatibilmente con le proprie capacità espressive, per
dare una verste sensibile, percettibile, all’informazione che intende comunicare, in base agli
effetti che vuole suscitare, e quindi valutando la possibilità di violare palesemente a livello di
significato letterale una o più massime. L’esecutore produce così il segnale dell’esecutore,
lanciandolo sul canale. L’ambiente percettivo dell’interprete viene perciò sollecitato dal segnale
prodotto dall’esecutore, e per prima cosa, sempre secondo Grice, l’interprete applica le regole del
codice per ricavare il significato referenziale o letterale del testo, inclusi i riferimenti delle
espressioni che occorrono nel proferimento.
L’interprete verificherà se ciò che è detto è in accordo con le Massime conversazionali o se, al
contrario, qualcosa non funziona. Assumendo che l’esecutore si stia attenendo al Principio di
Cooperazione, l’interprete cercherà una spiegazione del comportamento apparentemente
dissonante dell’esecutore.
L’apparato griciano può essere di aiuto anche dal punto di vista della produzione di un oggetto
comunicativo: nella misura in cui il Principio di Cooperazione costituisce una norma implicita alla
quale conviene attenersi per rendere più fluida ed efficace la comunicazione, la sua
padronanza può essere perfezionata per migliorare le capacità espressive di un individuo.

4.7 I LIMITI DEL CODICE


La comunicazione non prevede mai un segnale prettamente linguistico, ma segnali formati da
indizi di natura diversa, di cui solo alcuni veicolano informazioni linguistiche, mentre tutti
concorrono a orientare l’interpretazione.
Si può sostenere che l’indeterminatezza semantica, o sottodeterminazione del significato, sia una
delle caratteristiche più importanti della lingua, perché ha un valore adattivo rispetto alla lingua
stessa, dandole plasticità e produttività, cioè conferendole, sia sul piano dell’espressione sia
sul piano del contenuto, la possibilità di articolarsi su una realtà esterna, e quindi comunicabile, in
continuo mutamento.
I modelli postali della comunicazione non possono essere considerati come possibili modelli
descrittivi dell’attività umana, e forse non solo umana, di comunicare e comprendere.
Tutto il lavoro che non richiederà una scelta potrà essere attribuito alla nozione di codice,
mentre tutto il lavoro che implicherà una scelta sarà il risultato di un’attività inferenziale.
Perciò, se il significato letterale deve essere conseguenza esclusiva dell’applicazione delle
regole del codice, deve poter essere ottenuto senza richiedere scelte.
L’esperienza interpretativa suggerisce che, di fronte a un enunciato potenzialmente ambiguo,
solitamente l’ambiguità non viene neppure percepita dall’interprete, il quale opta a colpo
sicuro per un’interpretazione, senza neppure contemplare la possibilità che ve ne siano altre.

Le teorie che fondano la loro spiegazione sulla condivisione di un codice sono costrette a
riordinare e a sistematizzare questi casi di ambiguità in un numero sempre maggiore di
categorie, con soluzioni spesso ad hoc per ogni singola categoria di esempi.
Lo stesso processo di saturazione, cioè il processo dell’assegnazione di riferimento alle
espressioni che compongono le frasi, non è spiegabile in base a regole semantiche condivise. È
vero che una lingua è un codice che associa rappresentazioni fonetiche a rappresentazioni
semantiche, ma la rappresentazione semantica di una frase non coincide con i pensieri che
possono essere comunicati pronunciando quella frase. Si passa dalla rappresentazione
semantica al pensiero comunicato non attraverso un’aggiunta di codifica, ma per mezzo
inferenze. Sperber-Wilson.
L’inferente diviene il vero motore di tutto il processo interpretativo, inclusa la ricostruzione
dell’esplicito.
4.8 LA COMUNICAZIONE OSTENSIVA
Tutte le forme di comunicazione umana intenzionale, sia standarizzata sia non standarizzata,
rientrano nella categoria generale della comunicazione ostensiva.
Per comunicazione ostensiva si intende un processo che si realizza attraverso la produzione e
l’analisi di indizi di vario genere e natura. La strategia comunicativa dell’esecutore consiste
nell’individuare e produrre indizi, mentre la strategia dell’interprete coincide con il tentativo
inferenziale di dare un senso a quegli stessi indizi. Un indizio, nel senso comunicativo, non è altro
che un atto di ostensione.
Un atto ostensivo non è altro che la realizzazione dell’intenzione comunicativa, e cioè
dell’intenzione di rendere manifesta l’intenzione informativa.
Caratteristica degli atti ostensivi è quella di creare delle aspettative. Quando qualcuno indica una
cosa, cisi aspetta che questi abbia una ragione per farlo. Ci si aspetta anche che la ragione che
spinge un individuo a produrre un atto ostensivo, sia esso un gesto o un proferimento o qualsiasi
altro genere di segno, sia in qualche modo rilevante per il destinatario dell’atto. La rilevanza
dell’atto è ciò che giustifica lo sforzo, cioè la speranza di ottenere un’informazione che tenderà a
ottimizzare la nostra rappresentazione della realtà esterna. Il realizzarsi dell’intenzione
comunicativa funziona da segnale per l’interprete, il quale si sforzerà di capire quale sia
l’informazione rilevante che l’esecutore intende trasmettergli.
Questo è lo schema della comunicazione ostensivo-inferenziale, la quale può essere definita
come un’azione che realizza uno stimolo, il quale rende mutuamente manifesto all’esecutore e
all’interprete che l’esecutore intende trasmettergli una serie di informazioni.
La gomitata trasforma il normale sbadiglio in un atto ostensivo.
Le parole e le frasi non sono altro che un genere molto particolare di indizi; hanno la
caratteristica di manifestare immediatamente, per il semplice fatto di essere prodotti,
l’intenzione comunicativa e, grazie alla loro elevata standardizazzione, permettono di
restringere il campo delle ipotesi interpretative. Infatti, l’apporto del codice nel processo di
interpretazione è proprio quello di restringere il campo delle possibili ipotesi interpretative,
tendendo a escluderne alcune e sollecitandone altre. Così, comunicazione linguistica non è
altro che un caso particolare della comunicazione ostensiva.

4.9 IL PROCESSO DI INTERPRETAZIONE


L’idea generale è ancora quella griciana della comunicazione come azione coordinata e
collaborativa: chi si impegna in uno scambio comunicativo di qualsiasi tipo, si impegna di fatto a
cooperare, sia come esecutore sia come interprete. Anche per ottenere quello che un
determinato esecutore dice, il significato referenziale o vero- funzionale, bisogna operare tutta
una serie di scelte che ci permettano di individuare tra i tanti possibili significati compatibili con le
regole linguistiche quello che l’esecutore verosimilmente intendesse trasmettere. In condizioni
normali, un’interpretazione si presenta alla mente come l’unica possibile, e solo dopo un ulteriore
lavoro cosciente e forzato di interpretazione si giunge ad afferrare anche le altre interpretazioni
virtualmente possibili. Il meccanismo che realizza il lavoro di comprensione deve funzionare
come un filtro che lascia passare l’interpretazione intesa, ma blocca le altre.
4.9.1 LA PERTINENZA
Secondo Sperber e Wilson, gli esseri umani prestano attenzione a ciò che appare loro
pertinente:
esiste un’unica proprietà – la pertinenza – che determina quale informazione particolare riceverà
l’attenzione di un individuo in un dato momento.
Quindi, se un’informazione è pertinente, questa solleciterà l’attenzione dell’individuo,
altrimenti semplicemente non verrà notata.
La pertinenza è quella proprietà delle informazioni che serve ad attivare e focalizzare la nostra
attenzione.
Teoria della Pertinenza di Sperber e Wilson:
Un’informazione risulterà tanto più pertinente quanto più genererà nell’ambiente cognitivo di un
individuo una serie di effetti cognitivi, vale a dire un mutamento nella sia rappresentazione del
mondo esterno. Un’informazione risulterà tanto meno pertinente quanto più sforzo cognitivo
richiederà per essere elaborata. Due fattori principali: gli effetti cognitivi (tanti più effetti, tanto
maggiore la pertinenza) e gli sforzi cognitivi (tanto maggiore lo sforzo, tanto minore la
pertinenza).
La pertinenza, inoltre, non è una nozione assoluta. Ciò che può risultare pertinente in una
determinata circostanza, potrebbe non esserlo in un’altra.
SI può perciò dire che la pertinenza è sempre in funzione della situazione in cui l’informazione è
afferrata, cioè è il contesto a fornire la misura per giudicare la pertinenza di un informazione. Non
esiste un’informazione pertinente in assoluto, ma solamente informazioni più o meno
pertinenti in determinati contesti.

DEFINIRE IL CONTESTO:
Givon ha individuato tre modi di intendere il contesto: il contesto generico, cioè la
condivisione del mondo e della cultura descritti da una determinata lingua; il contesto deittico,
cioè la condivisione della semplice situazione enunciativa; e infine il contesto del discorso (o co-
testo), cioè la condivisione della conoscenza del discorso immediatamente precedente al
proferimento stesso. Ma neppure questa distinzione è sufficiente per capire quali informazioni
entrino in gioco nel lavoro di interpretazione.
Bisogna considerare che il contesto è qualcosa con cui la nuova informazione deve reagire, e deve
perciò essere riducibile all’ambiente cognitivo, ambiente in cui l’interpretazione avviene.
Il contesto deve essere costituito da un sottoinsieme ritagliato dall’insieme di informazioni che
formano l’ambiente cognitivo di un individuo.
In primo luogo, nella mente dell’ascoltatore vi sono le informazioni utilizzate per
l’interpretazione dei proferimenti precedenti in generale e le informazioni attivate per la loro
stessa interpretazione. Vi sono le informazione risultanti dalle percezioni derivanti
dall’ambiente circostante. Infine, vi sono le entrate enciclopediche attivate in ordine di
accessibilità dal proferimento che deve essere trattato.
La ricerca del contesto è parte integrante dell’interpretazione di un proferimento e viene
guidata dagli stessi meccanismi che guidano l’interpretazione dei proferimenti, alla quale la
mente umana è biologicamente orientata.
E solo il proferimento che fornisce le indicazioni per la costruzione del contesto appropriato, ed è
solo dopo che il proferimento è stato eseguito che l’interprete parte alla ricerca del
contesto inteso, selezionandolo dall’ambiente cognitivo secondo diversi procedimenti.

GLI EFFETTI COGNITIVI


Gli effetti cognitivi sono il risultato dell’interazione dell’informazione acquista con il contesto, cioè
con una selezione delle informazioni che compongono l’ambiente cognitivo di un individuo in
un determinato momento. Questi effetti vengono chiamati da Sperber e Wilson effetti
contestuali. Un effetto contestuale è il risultato dell’interazione di una nuova informazione
con le ipotesi che formano il contesto in cui l’informazione stessa viene processata, in modo
tale che queste ulteriori informazioni ottenute da questa interazione non siano ottenibili solo dal
contesto o solo dalla nuova informazione separatamente. In altre parole, un effetto
contestuale deve essere il risultato della genuina interazione tra queste componenti.
Sperber e Wilson individuano e definiscono almeno tre tipi di effetti contestuali:

 Le implicazioni contestuali sono costituite dal risultato di tutte le deduzioni derivabili dalla
congiunzione delle informazioni del contesto con la nuova informazione acquisita percettivamente
o comunicativamente dall’esterno, e non sono derivabili separatamente solo dalla nuova
informazione o solo dalle informazioni contestuali.

 Il rinforzo, via conferma, e l’eliminazione, via contraddizione, di informazioni


precedentemente mantenute dal sistema cognitivo costituiscono gli altri tipi di effetti contestuali
individuati da Sperber e Wilson.
È possibile che una nuova informazione avvalori una credenza preesistente, allo stesso modo è
possibile che una nuova informazione cancelli una precedente credenza.
Si hanno tre modi in cui una nuova informazione può interagire con un contesto: le
implicazioni contestuali, il rinforzo e l’eliminazione di informazioni preesistenti. Questi sono gli
effetti cognitivi che caratterizzano in positivo la nozione di pertinenza: maggiore è il numero degli
effetti, maggiore risulta la pertinenza, o meglio, una nuova informazione è tanto più
pertinente in un contesto quanti più effetti cognitivi essa produce. Un’informazione che non
produce alcun effetto contestuale, è di fatto un’informazione irrilevante, per nulla pertinente. Non
tutte le informazioni risultano pertinenti in un contesto.
LO SFORZO COGNITIVO:
La fatica cognitiva che occorre per interpretare una nuova informazione, sia percepita sia
comunicata, è detta sforzo di trattamento. Lo sforzo di trattamento è un fattore negativo:
coeteris paribus maggiore è lo sforzo di trattamento, minore è la pertinenza.
Una serie di ragioni che determinano lo sforzo è indiscutibilmente legata al singolo individuo.
Un’altra serie di ragioni è, ovviamente, legata alla circostanza di enunciazione: è ovvio che
costa molta più fatica decifrare un proferimento verbale in un ambiente molto rumoroso di
quanto non lo sia farlo in un ambiente silenzioso.
Altro fattore oggettivo che determina un maggiore o minore sforzo di trattamento è la
complessità linguistica e logica del proferimento.
Infine, dato che la ricerca del contesto è parte integrante dell’interpretazione, un altro fattore che
sarà determinante per lo sforzo di trattamento è costituito dall’accessibilità e dalle
dimensioni del contesto: tanto più difficilmente accessibile o tanto più esteso sarà il contesto,
tanto maggiore sarà lo sforzo per costruirlo e maneggiarlo. I diversi contesti che siamo in grado di
costruire a partire da un determinato ambiente cognitivo sono più o meno accessibili

IL PRINCIPIO DI PERTINENZA OTTIMALE:


La teoria della pertinenza è riassumibile in quattro assunti:
1. Ogni dato proveniente dal mondo esterno ha un molteplice numero di interpretazioni possibili
compatibili con le regole di codifica e decodifica a esso abbinate.
2. Le diverse interpretazioni non appaiono alla mente dell’interprete in maniera caotica o
contemporaneamente, ma in ordine rispetto alla loro accessibilità data la particolare
circostanza.
3. Esiste un criterio che guida l’interprete nella ricerca dell’interpretazione intesa.
4. Questo criterio è abbastanza forte da permettere di escludere tutte le possibili
interpretazioni tranne un: quella intesa dall’esecutore.

Principio di Pertinenza Ottimale: un’interpretazione è ottimamente pertinente se e solo se è


Per principio di pertinenza ottimale si intende un’interpretazione che è ottimamente pertinente se
è in grado di produrre un numero sufficiente di effetti contestuali tale da meritare di essere
trattato dall’interprete, e se e solo se non richiede all’ascoltatore uno sforzo ingiustificato nel
raggiungere gli effetti voluti. Il merito della teoria della pertinenza è proprio quello di trattare i
fraintendimenti come casi normali e non come eccezioni. Si può sostenere che la Teoria
della pertinenza non ha eccezioni, ma tutto risulta spiegabile nell’ambito dei parametri previsti
dalla teoria.
4.10 IL CIRCUITO COMUNICATIVO: UNA DESCRIZIONE PERTINENTE.
Stando ai dettami della teoria della pertinenza, quando qualcuno vuole comunicare qualcosa,
prima di tutto deve fare in modo che sia resa manifesta la sua intenzione comunicativa, cioè
l’intenzione di secondo livello che rende manifesta l’intenzione informativa. Quindi,
l’esecutore cercherà di fornire una serie di indizi, anche linguistici, che possano indirizzare il
lavoro di ricostruzione della strategia comunicativa messa in atto. Trovato il segnale adeguato,
l’esecutore lo lancia sul canale e questo arriva a colpire l’apparato ricettivo dell’interprete. La
prima azione dell’interprete, nel caso in cui il messaggio sia costruito utilizzando anche
strumenti standardizzati, è l’azione di decodifica. L’azione di decodifica è determinata
dall’attivazione delle abduzioni ipercodificate associate a quel determinato segnale. Questo
lavoro è coattivo. La decodifica non produce tanto un significato letterale, quanto piuttosto una
serie di possibili interpretazioni letterali, le quali si presentano alla mente dell’interprete in
maniera ordinata secondo la loro accessibilità data quella particolare circostanza di
enunciazione.
L’interprete parte sempre dalla presupposizione che ciò che l’esecutore voleva comunicare deve
essere in qualche mono pertinente. Così, l’interprete comincia a formare diversi contesti a
partire dal proprio ambiente cognitivo. Questi gli appaiono nella mente secondo un ordine di
accessibilità. In questo modo, l’interprete comincia a valutare la prima interpretazione
letterale che gli è venuta in mente con il primo contesto che ha a disposizione. Se questa
intenzione non gli fornisce un numero di effetti contestuali soddisfacenti, valuta la prima
interpretazione letterale nel contesto che per secondo gli è apparso alla mente, il quale
verosimilmente sarà una versione arricchita del primo conteso. Contemporaneamente,
comincia a valutare la seconda interpretazione letterale nel primo contesto che gli era apparso alla
mente, portando avanti così un processo sia seriale sia in parallelo. L’interpretazione si
ferma quando l’interprete raggiunge una coppia interpretazione/contesto che lo soddisfa,
oppure quando l’interprete si stanca di valutare coppie di interpretazioni e contesti possibili.
Questo è, in breve, il circuito comunicativo visto dalla prospettiva della Teoria della pertinenza.
CAPITOLO 5: NARRAZIONE
I segni si concatenano per formare narrazioni ( raccontare storie ). Secondo la narratologia, l'
intera esperienza umana si organizza secondo la logica del racconto: gli esseri umani per natura
sono portati cercare un senso narrativo nelle cose che li circondano.
5.1 Che cosa è la narrativa
La narratività è un modo in cui gli esseri umani sono portati a organizzare i dati sconnessi
dell'esperienza. Filo rosso semantico: percorso di lettura coerente che unisce i vari elementi per
formare uno schema unitario più complesso. Anche i segni naturali possono essere letti in chiave
narrativa, -dove non esiste successione non c'è racconto- ( bremond 1969: 102 ) Bremond allarga i
confini della categoria dei testi narrativi, includendo testi non canonicamente narrativi, come la
barzelletta o l' articolo di giornale. Esclude la fotografia ( in quanto manca la successione ), la pura
cronaca, e la descrizione del funzionamento del motore di una macchina ( assente il soggetto
umano).
5.2 a cosa servono le storie ?
Si suppone che la predisposizione umana a narrativizzare l'esperienza risponda ad un bisogno
adattivo fondamentale. Raccontare storie è una facoltà che ci permette di comunicare con altre
persone, sia perché la narrazione crea dei legami di coesione sociale attorno ad uno stesso
repertorio narrativo (bruner) , sia perché le storie insegnano a " leggere nel pensiero " degli altri , e
perciò interpretarne gli stati mentali e comportarsi di conseguenza. Secondo Miller , Galanter e
Príbman, il progetto è l' unità neuropsichica elementare della consapevolezza e dell'azione umana.
In base a questa ipotesi, i processi cognitivi che regolano le nostre azioni intenzionali,
produrrebbero sequenze logicamente organizzate ( progetti. ) Il progetto, dunque, sarebbe la
struttura cognitiva minima con cui ci rappresentiamo le azioni umane. L'essere umano può essere
considerato un animale progettuale, ha la capacità, rispetto agli altri primati, di prefigurarsi scenari
possibili alternativi , rispetto quello attuale, e di manipolare tali scenari in vista di obiettivi futuri.
La capacità di formulare progetti, a parte della facoltà adattiva, questa capacità ci permette di
esercitare un controllo sulla realtà, dominandola cognitivamente, poiché affiniamo la nostra abilità
di anticipare il modo in cui la natura reagirà e impariamo prevedere le reazioni degli altri esseri
umani alle nostre sollecitazioni. La capacità progettuale, oltre ad essere un indispensabile progetto
di sopravvivenza, è anche una fonte di ansia e paura. Nulla ci turba più dell'imprevisto
incontrollabile. La cultura con il suo potere normalizzante, fornisce agli individui che si riconoscono
in essa, un repertorio di schemi relativo a situazioni socialmente stereotipate. Il repertorio
narrativo fornisce un substrato comune di sceneggiature o di fabulae prefabbricate, che orientano
il modo in cui i membri di una certa comunità interpretano i comportamenti propri e altrui;
attivando aspettative che riguardano la condotta. Le aspettative, benché condivise dagli altri,
fanno sì che si segua un copione culturale, che riduca il rischio di organizzazione narrativa anche se
di diversa natura ( manuale di istruzioni, quadri, comportamenti sociali, ecc ) Greimas adotta la
prospettiva della generazione, nel rappresentare il testo in forma stratificata. Il percorso
generativo organizza una gerarchia di livelli testuali a partire dalle strutture elementari della
significazione, le quali si articolano nel livello intermedio ( schema narrativo canonico e struttura
attanziale ) e infine nelle strutture discorsive che, attraverso l'enunciazione danno corpo alla
superficie espressiva del testo.

5.3 analisi del testo narrativo


La narratologia strutturale è quel filone di studi semiotici che ispirandosi ai principi della linguistica
saussuriana e agli studi dei formalisti russi, su ciò che fa di un testo un testo narrativo. Al di sotto
della dell'apparente diversità degli intrecci, dei personaggi e degli intrecci narrativi, vi è una
impalcatura comune che permetta di fissare degli elementi invariabili, la presenza dei quali
definirebbe la natura narrativa di un testo. Si tratterebbe di portare alla luce la langue narrativa
partire dai concreti atti di parole, ovvero dei singoli racconti che sarebbero le tracce materiali di
tale struttura profonda.
5.3.1 lo smontaggio della fabula : dai motivi alle funzioni narrative
Tomasevsky nel 1928 introdusse la distinzione tra fabula e intreccio:
Fabula - catena di eventi che compongono una storia, collegati in senso temporale e logico;
intreccio: insieme degli stessi eventi, nella medesima successione in cui sono dati nel testo.
Nelle fiabe popolari, la fabula e l' intreccio coincidono, questo perché il narratore si attiene alla
sequenza cronologica e causale degli avvenimenti, senza introdurre alcun altro elemento.
-Morfologia Skazki, Propp , rileva l'esistenza di un unico modello compositivo, da cui
scaturirebbero tutte le fabulae possibili. La ricerca di Propp parte dall'assunto che al di sotto della
varietà del genere fiabesco, sia possibile trovare una struttura comune a tutte le fiabe di magia.
Prima di Propp si era cercato di classificare le fiabe in base agli intrecci. Propp osserva che i sistemi
di classificazione basati sull'intreccio sono poco sistematici, a seconda del punto di vista prescelto,
una stessa fiaba, infatti, può essere inserito in una categoria differente. Propp cerca i tipi fiabeschi
non a livello di intrecci, ma livello di elementi primari ( particelle minime non scomponibili ). Gli
elementi minimi invariabili vengono chiamati funzioni narrative ( funzione - azione del
personaggio, determinata dal punto di vista del suo significato per l' andamento della narrazione ),
e sono considerati come mattoni primi della storia. Le funzioni si collocano su un livello ancora più
profondo della fabula, poiché svincolate dai singoli testi che le contengono, appartenendo invece
al repertorio comune del genere fiabesco. Attraverso l' analisi di 100 fiabe russe, Propp individua
31 funzioni che, secondo lui, forniscono l'ossatura di ciascuna fiaba. Ogni funzione viene dotata di
un simbolo. La successione delle funzioni è sempre la stessa. Ciò non significa che ogni fiaba debba
presentare tutte le funzioni, ma che l'ordine delle funzioni rimane costante.
5.3.2 attanti e schema narrativo canonico
Ispirandosi agli studi di Propp, i narratologi degli anni ‘60 del '900 hanno scavato sempre più a
fondo nella ricerca degli elementi invariabili, fino ad individuare un'unica matrice profonda, posta
su un livello astratto, da poter essere condivisa da tutti i testi narrativi. Uno degli effetti di queste
ricerche, è stato l'allargare la categoria del testo narrativo, fino a considerarla coestensiva rispetto
alla categoria dei testi tout court. Per Greimas, al di sotto di un livello apparente della narrazione,
è possibile rintracciare un livello immanente, costitutivo di una sorta di tronco strutturale comune.
Greimas definisce la narratività in termini astratti; e definisce narrativi, tutti quei testi che
presentano una struttura profonda di tipo polemico- contrattuale, basata sullo scontro - incontro,
di due programmi narrativi, complementari e opposti, il soggetto e l' anti - soggetto, che si
intersecano, grazie alla presenza di un'azione comune Per poter estendere il modello Proppiano
ad altri generi narrativi, occorre spogliarlo della sua specificità fiabesca e collocarlo su un piano di
maggiore astrazione. È ciò che fa Gremiamo quando rielabora le sfere d' azione, ribattezzandoli
ruoli attanziali. I ruoli attanziali ( attanti ) sono dei ruoli sintattici, privi di qualunque specificità, e
vanno tenuti distinti dai personaggi che incarnano i vari ruoli attanziali attori. Gli attanti formano lo
scheletro del racconto, laddove gli attori sono attanti rivestiti di polpa, colori, passioni, ecc. ruoli
attanziali sono 6 e si collocano su 3 assi:
Asse della comunicazione DESTINANTE OGGETTO DESTINATARIO
Asse del desiderio AIUTANTE SOGGETTO OPPONENTE
Asse del potere SOGGETTO E OGETTO
sono ruoli interdefiniti: non c'è l'uno senza l'altro. Il soggetto si definisce unicamente per la sua
relazione di desiderio nei confronti dell'oggetto. L' asse portante di tutta la storia, è costituito
dall'insieme delle azioni compiute dal soggetto per realizzare questa congiunzione. Queste
sequenze di azioni mirate al raggiungimento di uno scopo, vengono chiamate da Greimas,
Programmi narrativi.
Destinante e destinatario si collocano sull'asse della comunicazione e introducono la dimensione
cognitiva del racconto. Il destinante è colui che rende desiderabile l'oggetto agli occhi del
destinatario - soggetto, ovvero è colui che investe l'oggetto del suo valore. La comunicazione tra
destinante e destinatario assume la forma del contratto. Si può dunque distinguere, all'interno del
ruolo Attanziale del destinante, un destinante manipolatore, e un destinante giudicatore. Come
per l'oggetto, anche nel caso del destinante non è indispensabile che questo ruolo attanziale
assuma una orma fisica concreta. In alcuni casi, il destinante può coincidere con un sistema
astratto di norme morali che il soggetto si auto - impone.
Infine, aiutante e opponente si collocano sull'asse del potere. L' aiutante è colui che pone il
soggetto nella condizione di superare la sua prova, mentre l' opponente è colui che ostacola il
superamento della prova stessa. I ruoli attanziali si ritrovano in tutte le fiabe, i racconti, i romanzi,
gli articoli di cronaca. Anche le azioni compiute dagli attanti possono essere ricondotte ad
un'impalcatura narrativa che ricorre in tutti i racconti. Greimas, rifacendosi a Propp, riscontra
all'interno del repertorio fiabesco la presenza di tre prove ( qualificante, decisiva, glorificante ) che
scandiscono il flusso dell'azione narrativa. La prova qualificante coincide con l'acquisizione della
competenza da parte del soggetto, il quale , convocato dal Destinante - mandante, si equipaggia
dei mezzi necessari per intraprendere il suo programma narrativo. La prova decisiva consiste nel
vero e proprio scontro tra soggetto e antisoggetto, e sfocia nella realizzazione del programma
narrativo del soggetto. La prova glorificante coincide con la fase in cui l' operato del soggetto viene
sanzionato dal Destinante giudicatore. La successione di queste tre prove si riscontra in quasi tutte
le narrazioni, e anche in molte nostre esperienze quotidiane ( preparazione esame - interrogazione
- voto finale ) In un'elaborazione successiva, Greimas, riformula la sequenza delle tre prove nei
termini dello schema narrativo canonico, articolabile nella sequenza: manipolazione - competenza
- performanza - sanzione. Tuttavia prima della competenza necessaria per la performanza, il
soggetto deve essere motivato ad intraprendere il suo compito: manipolazione. Perciò deve volere
o dovere affrontare la prova se vuole affrontarla: il soggetto è il destinante di se stesso. se deve
affrontarla: il soggetto è spinto all'azione da un destinante esterno, che funge da mandante. In
entrambi i casi, viene stipulato un contratto tra Destinante e soggetto, solo nella fase della
sanzione, la performanza del soggetto viene valutata dal Destinante Giudicatore. Lo schema
narrativo canonico si propone come un modello che rende conto della sintassi narrativa di tutti i
testi, secondo l' ipotesi che esistano forme universali di organizzazione narrativa anche se di
diversa natura ( manuale di istruzioni, quadri, comportamenti sociali, ecc ) Greimas adotta la
prospettiva della generazione, nel rappresentare il testo in forma stratificata. Il percorso
generativo organizza una gerarchia di livelli testuali a partire dalle strutture elementari della
significazione, le quali si articolano nel livello intermedio ( schema narrativo canonico e struttura
attanziale ) e infine nelle strutture discorsive che, attraverso l'enunciazione danno corpo alla
superficie espressiva del testo.

5.3.3 figure del racconto


Lo schema narrativo canonico è una forma logica semanticamente molto scarna, la quale assume
caratteristiche più determinate man mano che viene proiettata su particolari contesti culturali e su
specifiche situazioni comunicative. Un contributo rilevante per la messa a punto dei mezzi adatti
all'analisi narratologica dei testi è opera di Gerard Genette, che in figures /// sistemizza diversi
elaborati in campo di teoria della letteratura in quadro metodologicamente unitario. Genette
osserva che tra i concetti / livelli di storia ( fabula - concatenazione di eventi di cui parla il
racconto), racconto ( discorso narrativo-manifestazione espressiva del testo ) e di narrazione ( atto
concreto di narrare il racconto ), quello relativo al discorso narrativo ( ovvero al racconto ), sia l'
unico a offrirsi all'analisi testuale. Genette introduce le categorie tradizionalmente associate
all'analisi grammaticale dei verbi per impostare lo studio del racconto. Le categorie d'analisi,
secondo Genette, sono: ordine, tempo, durata, frequenza, distanza, racconto, modo, prospettiva,
tempo della narrazione, voce, livelli narrativi, persona, Tempo: riguarda il rapporto tra il tempo
della storia ed il tempo del racconto. Ordine: La disposizione cronologica di una storia può essere
disordinata per dare luogo ad pancronie, a loro volta suddivisibili in analessi ( salti all'indietro ) e
prolessi ( salti in aventi ). Il lettore ricostruisce mentalmente l'ordine degli avvenimenti. Durata: il
racconto può giocare anche sugli effetti del ritmo, espandendo o contraendo la durata di uno
stesso "blocco" narrativo. L' espansione provoca un rallentamento del racconto, a cui il lettore può
attribuirne un maggior peso narrativo, mentre l'omissione frettolosa dei dettagli, viene
interpretata come un caso di reticenza, e dunque un invito al lettore di riempire da sé le parti
mancanti. Per cogliere gli effetti di durata di un testo di prosa, occorre stabilire un rapporto tra:
durata variabile dei segmenti diegetici ( pezzi di storia ) e la loro pseudo - durata ( lunghezza del
testo ). Il grado zero della durata ( esatta coincidenza tra durata della storia e pseudo - durata del
racconto / racconto dalla velocità costante ) esiste solo come uguaglianza convenzionale, che si
riscontra per esempio nel dialogo – Frequenza: riguarda le relazioni di ripetizione fra racconto e
storia. Ci sono 3 forme: * -racconto singolativo ( forma più usata ): consiste nel raccontare una sola
volta ciò che si è verificato una volta sola; * -racconto ripetitivo: raccontare x volte ciò che si è
verificato una volta sola; -racconto iterativo: raccontare una volta sola ciò che si è svolto x volte.
Modo: le figure del modo hanno a che fare con il dosaggio dell'informazione narrativa: una storia
può assumere sembianze diverse a seconda della distanza e della prospettiva da cui si guardano gli
avvenimenti. Per rintracciare le figure genettiane del Modo in un brano letterario, si può
immaginare di trasportare il brano in chiave cinematografica, cercando di seguire i movimenti di
un'ipotetica telecamera che riprende la scena da distanze più o meno ravvicinate e da prospettive
più o meno ristrette. La focalizzazione di un racconto può essere più o meno determinata.
Focalizzazione zero: focalizzazione onnisciente che conosce ogni articolazione della storia.
Focalizzazione esterna: prospettiva che rimane al di fuori rispetto ai pensieri dei personaggi.
Focalizzazione interna: la prospettiva coincide con il punto di vista di uno dei personaggi Genette
rimarca che la focalizzazione interna può essere: -fissa: quando il punto di vista dominante si
identifica con lo sguardo di un determinato personaggio lungo tutta la durata del racconto. -
variabile: il personaggio focale cambia durante il racconto. Multipla: lo stesso episodio viene
raccontato attraverso più punti di vista consecutivamente. Voce: il punto di vista di un
focalizzatore interno, può essere riferito da un narratore esterno alla vicenda. Riprendendo le
riflessioni di Benveniste sull'enunciazione, Genette osserva come ciascun testo presupponga un io
che lo enuncia, sia che questo io si espliciti nel discorso sotto forma di marche di enunciazione, sia
che si nasconda sotto forme impersonali. L'io enunciatore presuppone sempre un tu a cui
l'enunciato è rivolto. Applicato all'analisi dei testi narrativi, il concetto di enunciazione riguarda i
rapporti che intercorrono tra il racconto e l' atto della narrazione che tale racconto presuppone. Se
c'è un racconto significa che da qualche parte c'è un narratore che lo ha enunciato. Per una
narratologia di stampo strutturalistico, il narratore non va inteso come la persona empirica che
produce fisicamente il racconto, bensì come l'istanza enunciativa logicamente presupposta dal
racconto stesso. Occorre perciò distinguere tra l' autore in carne ed ossa (figura semioticamente
irrilevante) ed il ruolo del narratore. Le strutture grammaticali della lingua impongono di
posizionare il tempo della narrazione rispetto al tempo della storia. Genette distingue 4 tempi
della narrazione: narrazione ulteriore: posizione classica del racconto al tempo passato; narrazione
anteriore: racconto predditivo, al futuro. Solitamente compare per brevi segmenti narrativi;
narrazione simultanea: racconto al presente, contemporaneo all'azione dei fatti; narrazione
intercalata: racconto narrato al passato, che si frammenta e inserisce fra i vari momenti della
storia, come un reportage più o meno immediato. Genette distingue le persone del narratore in:
_- eterodiegetico: assente come personaggio dalla storia che racconta; -omodiegetico: presente
come personaggio nella storia che racconta. Prince ha coniato il termine narratario per riferirsi alla
controparte del narratore sul versante della ricezione. Narratario: colui / colei al quale è destinata
la narrazione. Se il narratore è extradiegetico lo è anche il narratario, comparendo nel testo come
l'istanza di ricezione a cui vengono rivolte allocuzioni dirette. Viceversa, un narratore
intradiegetico chiama in causa un narratario intradiegetico. In ogni caso, sottolinea Prince, una
delle funzioni comunicative del narratario è di costruire un raccordo tra il narratore ed il lettore.
5.3.4 enunciazione
Riprendendo l' opposizione sussuriana langue vs parole, e traducendola in lingua vs discorso,
Benveniste osserva che è nel discorso che la lingua assume una forma specifica e si attualizza. La
presenza di un repertorio di segni vuoti, è ciò che garantisce il funzionamento economico del
linguaggio. segni vuoti ( o deittici ) segni che rimandano alla situazione di enunciazione. Io e tu
costituiscono l' ossatura fondamentale di ogni situazione di scambio comunicativo. Io= persona
che enuncia l' attuale situazione di discorso ( soggetto dell'enunciazione ) e la persona di cui si
parla nell'enunciato contenente io (soggetto dell'enunciato ). lo e tu insieme costituiscono la
condizione di dialogo che è la condizione fondamentale del linguaggio in atto. Per quanto riguarda
l'organizzazione temporale del discorso, Benveniste osserva che la lingua mette disposizione
diverse categorie di parole che consentono al parlante di localizzare l' azione di cui si parla in
rapporto alla sua situazione attuale. I più importanti indicatori del tempo sono i verbi. Tutte le
variazioni del paradigma verbale dipendono dalla situazione di discorso.
Strategie enunciative: talvolta, la presenza del soggetto dell'enunciazione e quella del suo
interlocutore, sono rese esplicite a livello della manifestazione espressiva del discorso. È il caso di
quei discorsi in cui il parlante si palesa come io e si rivolge direttamente ad un tu, facendo uso di
morfemi che come qui e ora organizzano rimandi spazio - temporali. In altri casi i segni della
presenza del soggetto dell'enunciazione e della situazione discorsiva in cui si trova, vengono
soppressi. Secondo Benveniste, è possibile parlare a questo proposito di 2 tipi diversi di
enunciazione: enunciazione discorsiva: dichiaratamente soggettiva; enunciazione storica
apparentemente oggettiva. L' enunciazione storica, oggi, è riservata alla lingua scritta, e
caratterizzerebbe la narrazione di eventi passati ed è contraddistinta dall'assenza di marche di
enunciazione. Per enunciazione discorsiva, Benveniste intende ogni enunciazione che presuppone
un parlante ed un ascoltatore, e l' intenzione del primo di influenzare il secondo. Benveniste
sostiene che l'intenzione di convincere e di manipolare il destinatario sia una caratteristica
esclusiva dell'enunciazione discorsiva. Nel caso di enunciazione storica, il soggetto
dell'enunciazione si cancella dalla superficie espressiva del testo, per conferire a quest'ultimo
un'apparenza di oggettività e di naturalezza razionale. L'istanza di enunciazione trasforma i
racconti in discorsi. Per discorso si intende quel testo che rappresenta e iscrive al suo interno la
forma della propria soggettività e intersoggettività. Secondo la semiotica Gremasiana, è a partire
dalle marche enunciative disseminate nel testo che si possono ricavare i tratti dell'enunciatore e
dell'enunciatario. L’enunciazione è quella particolare istanza grazie a cui l' intersoggettività è
iscritta all'interno del discorso stesso. Enunciatore ed enunciatario sono ruoli comunicativi iscritti
nel testo. Essi sono i simulacri, ovvero le immagini così come vengono rappresentate nel discorso.
Compito dell'analisi semiotica sarà allora dissotterrare le strategie che il discorso impiega per
costruire al proprio interno i simulacri dell'enunciatore e dell'enunciatario. Il concetto di
enunciazione può essere esteso anche ai testi non verbali ( caso studiato da Luis Marin e ripreso
da Fabbri ): quadro in cui i personaggi sono raffigurati di profilo poiché interagiscono fra loro.
Esempio: manifesto dello Zio Sam: personaggio: zio Sam, (simulacro dell'enunciatore ); sguardo
frontale che simula la situazione di conversazione frontale (appello diretto al destinatario, il quale
proiettandosi nel ruolo di enunciatario, si sente chiamato in causa) Altra marca enunciativa: dito
puntato, che ripropone il rapporto lo : tu, istituito dallo sguardo. Rapporto io tu: enfatizzato dalla
parte verbale: I Want You.
5.4 il ruolo del lettore interprete
Colui che completa gli indizi testuali e contribuisce a dar vita ai ruoli di enunciatore e di
enunciatario abbozzati nel testo. Per spiegare la convergenza di interpretazioni, negli anni ‘70 del
1900 alcuni narratologi ( perlopiù semiologi e critici letterari ) hanno rivolto la loro attenzione allo
spazio che separa l'autore anagrafico dal narratore, e il lettore reale dal narratario. L' intervallo si
popola di autori e lettori impliciti, ideali, intesi o modello, a seconda del quadro concettuale in cui
viene inserito. Inizialmente i ruoli che vengono assegnati all'autore ed al lettore modello, sono
assimilabili a quelli di Narratore / narratorio e di Enunciatore / enunciatario, ricavabile dalla
superficie del testo, sotto forma di segnali linguistici, che rimandano all'asse io tu su cui si fonda la
situazione di enunciazione. Solo nel corso dell'analisi di testi specifici, che il lettore si carica di
attributi più spiccatamente interpretativi. Il lettore o : -trova una spiegazione naturale ai fatti
insoliti raccontati nel testo: in questo caso il fantastico si risolve nello strano; costretto ad
ammettere nuove leggi di natura: il fantastico scivola nel meraviglioso. Dunque il fantastico per
Todorov dura il tempo di un'esitazione e svanisce non appena l' ambiguità iniziale viene risolta. Il
lettore non è tenuto a credere alle parole del personaggio poiché potrebbe mentire. Il lettore
postulato da Todorov è qualcosa in più rispetto al narratario o all'enunciatario. In quanto
interfaccia tra le strutture testuali ed il lettore reale, il lettore "fantastico" può essere considerato
da due prospettive diverse: -prospettiva dell'autore: esso appare come il frutto della strategia
enunciativa che allestisce il tu nel discorso, prescrivendo al lettore l'atteggiamento da assumere
nei confronti degli eventi narrati; prospettiva del lettore reale: si pone all'origine dell'effettivo
processo interpretativo e corrisponde alla sequenza delle mosse interpretative che il lettore del
racconto fantastico è incoraggiato a compiere mentre si addentra nella lettura. Recuperando le
figure tradizionali dell'analisi del racconto tempo, modo, voce egli mostra come ciascuna strategia
narrativa influisca sui processi di costruzione dell'universo narrativo che il lettore è chiamato ad
attivare, così: la scelta di adottare una focalizzazione multipla induce il lettore a incrociare i
resoconti parziali forniti dai vari personaggi per costruirsi una rappresentazione sfaccettata del
mondo narrativo in questione. L' uso di anacronie ( flashback, flashforward ) richiede al lettore un
lavoro interpretativo supplementare, volto ricostruire gli eventi secondo un ordine logico e
cronologico.
5.4.1 Lettore Modello e Autore Modello
Anche la teoria della cooperazione interpretativa formulata da Eco è basata sulla tesi, secondo cui
un testo è incompleto senza l'intervento di un lettore che, con la sua attività interpretativa,
riempia di senso gli 'spazi vuoti' di cui il testo è necessariamente intessuto. Questa tesi può essere
interpretata in 2 modi: più moderato: senza un interprete competente il testo non è in grado di
comunicare nulla , per comunicare bisogna essere almeno in due , un esecutore e un interprete.
Più radicale: senza un interprete competente in testo non è in grado di significare nulla. Per lo
strutturalismo il significato di un testo è già racchiuso nel testo stesso. Il testo è per Eco una
macchina presupposizionale, ovvero un meccanismo che stimola il destinatario ad attualizzare
diverse presupposizioni. Ciò significa che il testo delega al lettore il compito di generarne il senso.
Per investire di senso la superficie espressiva del testo, il lettore si avventura in una serie
complessa e stratificata di operazioni, di attribuzioni ipotetiche di senso parziali e di verifica delle
abduzioni. L'interpretazione del lettore è in gran parte guidata, infatti, solitamente, un testo è
strutturato in modo tale da prevedere l' interpretazione del proprio destinatario, incoraggiando la
formulazione di determinate ipotesi Eco: -Un testo è un prodotto la cui sorte interpretativa fa
parte del proprio meccanismo generativo: generare un testo significa attuare una strategia di cui
fan parte le previsioni delle mosse altrui . Chi scrive un testo ha in mente un tipo ideale di lettore,
dotato di certe competenze linguistiche ed enciclopediche. A seconda del tipo di destinatario a cui
si rivolge , l'autore strutturerà il testo per avere un equilibrio tra ciò che ritiene debba essere detto
esplicitamente, e le informazioni che possono essere date per scontate. Un testo, perciò, prevede
l'intervento di un lettore - tipo che cooperi con esso per dar senso agli indizi testuali e per saturare
gli impliciti, a partire da una certa enciclopedia di riferimento. Nel momento in cui collabora con il
testo, ogni lettore ha la possibilità di rivestire o meno, il ruolo del Lettore Modello. Il lettore
modello è una strategia di lettura contenuta nel testo stesso: è l' insieme delle mosse
interpretative che il testo incoraggia o autorizza compiere. Il lettore modello è un ruolo astratto,
che può essere rivestito o meno dal lettore empirico, e che il testo comunica attraverso una serie
di indizi. L'Autore Modello, invece, è una strategia testuale, una voce, un ritratto, ideale di autore
così come lo si può ricavare dalla lettura del testo, perciò, l' autore modello, è una strategia
comunicativa mirata a produrre determinati effetti nel proprio lettore.

5.4.2 livelli di cooperazione interpretativa


Nello schema di Eco, l'interpretazione di un testo viene concepita come una serie di mosse
inferenziali. La parte sinistra dello schema riguarda i movimenti compiuti dal lettore in intensione,
coinvolgono il riconoscimento delle strutture intrinseche al testo; nella parte destra, invece, la
cooperazione testuale - interpretativa riguarda i movimenti compiuti dal lettore in estensione, e
cioè i rapporti che il lettore postula tra i corsi di eventi descritti nel testo e le proprie conoscenze
del mondo reale. Quando comincia a leggere, il lettore empirico ha di fronte a sé la manifestazione
lineare del testo. Mentre riconosce la lingua, il lettore ricostruisce le circostanze di enunciazione
del testo: a partire dalle informazioni di cui dispone circa la situazione in cui il testo è stato
prodotto, comincia a valutare il tipo di atto comunicativo che il testo gli propone, e
contemporaneamente, a identificare la parte di enciclopedia che è tenuto ad attivare
nell'interpretazione del testo. Codici e sottocodici mentre valuta gli indizi del testo, il lettore mette
la manifestazione lineare del testo in relazione ai diversi tipi di codici e sottocodici di cui dispone e
che riconosce essere della lingua in cui il testo è scritto. Inizialmente il lettore ricorre al dizionario
di base della lingua utilizzata; procedendo con la lettura è in grado di amalgamare in unità di
contenuto più ampie alcune proprietà semantiche di lessemi. Inoltre, il letto reattiva una serie di
regole di conferenza, ovvero di norme con le quali la lingua organizza il riferimento reciproco e
incrociato di alcuni suoi elementi. Queste regole permettono di organizzare le frasi di un testo in
una sequenza sintatticamente coesa, assicurandola comprensibilità dei rinvii all'interno del testo.
Le selezioni contestuale circostanziali riguardano, invece, le operazioni di scelta del valore
semantico di una parla tra i diversi significati che essa può virtualmente assumere. Un altro
elemento che entra in gioco nell'interpretazione del testo riguarda l'ipercodifica retorica e
stilistica, grazie alle quali il lettore empirico riconosce un repertorio di espressioni altamente
codificate provenienti e tramandate dalla tradizione retorica. L'ipercodifica ideologica riguarda le
connotazioni che possono essere associate all'uso di determinate espressioni. Il lettore modello
presuppone nel proprio lettore empirico la conoscenza di un certo numero di sceneggiature. Eco
ne distingue due tipi: sceneggiature comuni relative alle situazioni della vita quotidiana;
sceneggiature intertestuali: acquisite grazie alla lettura. Intensioni sul versante delle intensioni,
Eco colloca le operazioni compiute dal lettore per ricostruire le strutture di senso interne al testo,
a partire dai primi accordi di proprietà semantiche che rendono possibile la disambiguazione dei
singoli enunciati. Lo scopo del lettore è di creare un piano di coerenza all'interno del testo: ovvero
procede abduttiva mente per ricondurre le parti che compongono il discorso ad un'unica struttura
coerente di dati da poter registrare in memoria. Oltre a ricostruire i ruoli attanziali, il lettore può
formulare dei giudizi sui valori che ogni personaggio incarna. Quando la struttura attanziale viene
incarnata di valori profondi ( verità , falsità , ordine , disordine ) il testo " esibisce in filigrana la sua
ideologia ". ( Eco ) Estensioni una delle prime operazioni che il lettore deve fare, per quanto
riguarda le estensioni, è quella di determinare se il testo si riferisce a individui ed eventi
dell'esperienza attuale, o a mondi narrativi diversi e incompatibili a quello reale. Prima di far ciò,
però, il lettore effettua una serie di espressioni parentetizzate: leggendo le frasi del testo,
l'interprete assume transitoriamente un'identità tra il mondo a cui l'enunciato fa riferimento, e il
mondo della propria esperienza. Ciò permette al lettore di interpretare i termini che incontra in
modo conforme alle caratteristiche che l'Enciclopedia attribuisce al mondo di riferimento attuale.
Queste prime estensioni sono poste tra parentesi, ovvero lasciate in standby, in attesa che il testo
ne dia una conferma della loro adeguatezza. Il lettore attualizza porzioni di contenuto,
costruendosi contemporaneamente un'immagine del mondo narrativo e del tipo di eventi che ci si
può attendere al suo interno. Intervengono in questo processo anche i cosiddetti segnali di genere
che agiscono sul sistema di attese ( ciò che si aspetta, es. fabula : c'era una volta , ecc. ) del
destinatario. Nel corso dell'allestimento del mondo narrativo il lettore è sollecitato a collaborare
con il testo, anticipando gli stati successivi della fabula. Eco considera la fabula come una sorta di
rete di svincoli ferroviari, che quando arriva punti di disgiunzione di probabilità, porta il lettore
chiedersi cosa succederà dopo.
5.4.3 lettore modello come strategia interpretativa
Eco, quando introduce la figura di lettore modello, sottolinea che si tratta di un ruolo astratto,
estrapolabile dal testo, e sembrerebbe essere un parente dell'enunciatario di cui parlano gli
strutturalisti. Se il lettore modello si identificasse esclusivamente con i segnali presenti nel testo
per identicare il tu del discorso, il problema non sussisterebbe perché il lettore rimarrebbe
ancorato alle strutture enunciative del testo. Se il lettore comprende anche le operazioni in
estensione, allora diventa più difficile determinare in quale misura queste operazioni siano
estrapolabili dal testo, e quanto esse richiedano una conoscenza di ciò che sta al di fuori del testo.
Il lettore modello invita il lettore empirico a intraprendere le sue escursioni inferenziali ogni volta
che il testo presenta uno “spazio vuoto”. Il lettore modello che sta all'origine di tutte le
interpretazioni possibili di un testo è a sua volta il frutto di un ragionamento abduttivo che trae
avvio dall'incontro tra testo e lettore empirico.
5.4.4 la narrazione dei testi
A partire dagli anni ‘70 del '900 si è sviluppato un filone di ricerche che mira a monitorare i
processi cognitivi che vengono attivati nel corso della lettura dei testi in generale e dei testi
narrativi in particolare. L' obiettivo è di costruire dei modelli psicologicamente e cognitivamente
plausibili. L'ipotesi di fondo è che la comprensione di un testo coinvolga diversi processi di
elaborazione dei dati in entrata. Affinché vi sia comprensione, occorre che gli stimoli esterni
vengano in qualche modo trasformati. Rumelhart, Stein, Glenn e altri, hanno ipotizzato l'esistenza
di uno schema delle storie, ossia di una struttura cognitiva profonda, che orienta le aspettative
dell'interprete riguardo il tipo di informazione che si ritrovano in una storia ben costruita :
ambiente o situazione iniziale , evento perturbante, risposta da parte di un agente, piano per
ristabilire l' ordine perduto, tentativi di metterlo in atto e eventuale soluzione del problema.
Possiamo considerare lo schema delle storie come il corrispettivo psichico di ciò che lo schema
narrativo canonico di Greimas è sul versante del testo.
5.5 la finzione narrativa
Molti narratologi tendono ad appiattire il concetto di narratività su quello di finzionità, e questa
tendenza ha portato a narcotizzare l' opposizione finzionale vs fattuale: se tutto è narrativo, allora
tutto è in qualche modo finzionale. Le opposizioni -: narrativo vs non - narrativo e finzionale vs
fattuale non sono sovrapponibili, poiché sono fondate su livelli di pertinenza diversi. -Narrativo vs
non - narrativo: riguarda la capacità o meno di un testo, di veicolare una fabula; finzionale vs
fattuale: si fonda sul tipo di operazioni logiche che il testo incoraggia il destinatario a compiere. Se
ci limitiamo a considerare il sistema dei generi discorsivi così come si è assestato nella cultura
occidentale moderna, possiamo sostenere che una distinzione tra fatti "inventati" e discorso di
fatti "veri" sia funzionale all'organizzazione della nostra società. L' interprete individua gli eventuali
scarti tra mondo testuale il mondo reale. Contemporaneamente a seconda dei segnali di genere
con cui il testo manifesta le proprie intenzioni comunicative, valuta quale atteggiamento assumere
nei confronti degli scarti identificati.
5.5.1 narrative naturali e artificiali
Il linguista Teun Van Dijk ha elaborato i concetti di narrativa naturale e narrativa artificiale. La
narrativa naturale è una forma di racconto autobiografico, che si trova all'interno della
conversazione naturale. Ciò che van Dijk considera naturale, non è tanto la narrativa come tale,
ma il contesto comunicativo in cui viene proferita: lo scambio quotidiano. Con l' intenzione di
informare l'ascoltatore delle azioni e delle interazioni in cui l' esecutore è stato coinvolto in prima
persona, o a cui ha assistito. La narrativa artificiale è una narrativa la cui esecuzione avviene in un
contesto più specifico ed esclusivo. E una descrizione di corsi di eventi fittizi. Van Dijk precisa che
"il fatto che le narrative artificiali siano descrizioni di corsi fittizi è spesso una ragione sufficiente
per chiamarle arti - ficiali, e cioè i corsi di eventi cui si riferiscono sono 'inventati', 'costruiti'".
L'artificialità di un racconto riguarda il carattere fittizio degli eventi narrati. Una narrativa naturale
è un testo al quale il destinatario riconosce l'intenzione di descrivere una sequenza di stati di cose
e di corsi di eventi presentati come realmente accaduti. Ciò che contraddistingue questi resoconti
fattuali rispetto ai racconti finzionali è il tipo di atteggiamento interpretativo che essi si aspettano
dal proprio lettore. Un resoconto fattuale chiede al proprio destinatario di concedergli la propria
fiducia e in cambio, gli promette di raccontare la verità: questo scambio di garanzie (equivalgono
alla regola essenziale del contratto) è detto in semiotica Patto referenziale. Mentre le narrative
naturali invitano il lettore a credere alla realtà dei fatti narrati, le narrative artificiali gli chiedono di
far finta di credere a ciò che raccontano. L'atteggiamento del lettore della fiction viene definito,
secondo l'espressione di Coleridge, "volontaria sospensione dell'incredulità". Il destinatario di una
narrativa artificiale è invitato sottoscrivere un Patto finzionale che il testo gli propone: l'autore si
impegna a fingere di fare delle asserzioni (affermazioni) e il lettore gli promette di fingere di
credergli. Secondo Eco, la narrativa artificiale, rispetto a quella rispetto a quella naturale, gode di
un 'privilegio atletico': solo le narrative artificiali possono permettersi di costruire un mondo
testuale completo e coerente, in cui la sequenza delle azioni possa essere considerata
definitivamente conclusa scrittura terminata.
5.5.2 mondi narrativi
Per analizzare il particolare statuto logico dei mondi costruiti dalla finzione narrativa, diversi
studiosi di teoria della letteratura impiegano il concetto di mondo possibile. La teoria dei mondi
possibili si fonda sull'ipotesi che il mondo che ci circonda sia descrivibile attraverso un certo
numero di proposizioni, corrispondenti ad altrettanti fatti che siamo disposti ad attribuire a esso.
Per stipulare un mondo possibile, ci si avvale delle proprie conoscenze del mondo reale. I mondi
possibili coincidono in tutto e per tutto con il mondo di riferimento attuale. Affinché un mondo
possa dirsi possibile, è necessario che sia accessibile dal mondo di riferimento. Un mondo possibile
(ml) è accessibile dal mondo di riferimento (mo) se un individuo che abita in (mo) è in grado di
costruire mentalmente (mi) senza incorrere a contraddizioni logiche, biologiche, fisiche. Il creatore
di un mondo finzionale è potenzialmente svincolato da ogni costrizione, ovvero è libero di dettare
le proprie regole del gioco e nulla gli impedisce a priori di proprie regole del gioco e nulla gli
impedisce a priori di creare un mondo immaginario, in cui i cerchi siano quadrati, e un individuo
sia il padre di se stesso. Un mondo narrativo contraddittorio non può essere descritto
esaustivamente: l' autore si limita a nominare un certo stato di cose logicamente impossibili, e il
lettore è tenuto ad accettare le contraddizioni che ne conseguono. Eco a questo proposito parla
dell'atteggiamento superficiale e flessibile richiesto al lettore di una narrativa artificiale, e tali
requisiti sono a maggior ragione necessari quando una narrativa artificiale mette in scena mondi
logicamente impossibili. Nei mondi narrativi non vi sono ' verità necessarie, poiché non vi è una
regola fisica, chimica, biologica o logica che non possa essere rovesciata al suo interno. La
creazione di un mondo narrativo è la creazione del mondo di riferimento stesso. -Tipi di mondo
narrativo considerando le relazioni tra il mondo narrativo costruito da narrativa artificiale e mondo
reale, i mondi narrativi della fiction risultano incompleti. Oltre a essere incompleti, i mondi
possibili narrativi sono anche parassitari rispetto al mondo di riferimento attuale, anche se in
senso diverso dai mondi possibili: sono parassitari perché, se il testo non specifica proprietà
alternative, il lettore tende a dare per scontate le proprietà enciclopediche che attribuisce al
mondo di riferimento. Marie - Laure Ryan chiama questo fenomeno: principio di scostamento
minimo. Eco classifica diversi generi di mondi narrativi, a seconda della misura e dal tipo di
deviazione che assumono rispetto al mondo attuale: · mondi verosimili: mondi narrativi che
possiamo concepire senza essere costretti ad alterare alcuna delle leggi fisiche generali che vigono
nel mondo di riferimento attuale; mondi inverosimili: mondi narrativi che non potremmo costruire
a partire dalla nostra esperienza attuale, poiché infrangono alcune leggi fisiche e / o nozioni
enciclopediche di base. Simili mondi sono concepibili solo a condizione che il lettore sia
sufficientemente flessibile; mondi inconcepibili: mondi narrativi che vanno al di là della nostra
capacità di concezione, perché contraddicono alcune leggi logiche fondamentali; mondi impossibili
: mondi narrativi in cui il lettore è in grado di concepire quanto basta per rendersi conto che si
tratta di mondi narrativi impossibili.

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