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COSTRUTTIVISMO

La teoria costruttivista afferma che i sensi veicolano


l’informazione proveniente dalla realtà, ma che questa è
troppo caotica per il nostro cervello. Pertanto, il nostro
cervello, deve strutturarla e, per farlo, categorizza le
informazioni caotiche in concetti e interpretazioni.
Partendo da un’affermazione del genere, la realtà
oggettiva diventa qualcosa di inaccessibile.
Possiamo ritrovare le radici di questa corrente già nei
lasciti di diversi filosofi presocratici. Senofane, ad
esempio, espresse nelle sue riflessioni l’idea secondo cui ogni persona ha le capacità
necessarie per pensare e imparare da solo. Un altro esempio è Eraclito, il quale affermava che
tutto ciò che esiste cambia continuamente e che, di conseguenza, nulla è statico. Da ciò si
dedurrebbe che la conoscenza cambia a seconda dell’esperienza delle comunità e degli
individui stessi.
L’effettivo modello costruttivista nasce con la pedagogia di Jean Piaget e la sua teoria
dell’apprendimento. In essa infatti si possono ritrovare le basi del costruttivismo stesso. Piaget
sosteneva che ogni persona ha una diversa percezione della realtà, quindi anche il suo modo di
interpretare la conoscenza è diverso. Sebbene questa visione gettava le basi del modello il suo
sviluppo venne approfondito tra gli anni ’50 e ’70 (George a. Kelly- l’uomo come scienziato),
per poi consolidarsi effettivamente negli anni ’80. Ciò portò ad un ulteriore riflessione su due
aspetti: la tendenza critica (ossia i processi interni all’individuo) e la tendenza radicale
(impossibile conoscere il “reale”).
Sembrerebbe quindi che siamo noi, mediante le nostre percezioni, a dare forma al mondo che
abbiamo dentro e fuori di noi. A questo punto, se ciascuno di noi è una persona attiva che
costruisce la sua realtà, come è possibile che tutte le persone abbiano una visione della realtà
molto simile?
Per dare una risposta a tale quesito, possiamo fare riferimento ad un altro grande esponente del
movimento, lo psicologo Vygotskij e alla sua teoria socio-costruttivista, che introdusse nel
paradigma costruttivista il concetto di cultura, sottolineandone l’influenza: nonostante ognuno
di noi costruisca il suo mondo, tutti nasciamo in una società e in una cultura che ci guida. Dato
che ci nasciamo immersi, questa non solo orienta le nostre interpretazioni, ma ci fornisce una
moltitudine di costrutti precostituiti.

Oggi si parla anche di psicologia culturale, branca della psicologia che cerca di spiegare le ragioni
e le modalità tramite cui le azioni di un gruppo di individui varino, in maniera anche
sostanziale, in base al contesto nella quale esso viene inserito. Questa prospettiva ci permette
una maggior comprensione delle culture altrui, mettendo in luce dettagli altrimenti dati per
scontati.
NEUROSCIENZE

Se è vero che cultura ed esperienze personali influenzano il


nostro modo di interpretare la realtà, allora sembra corretto
presupporre che anche i nostri schemi mentali cambino grazie
alle continue interazioni con l’esterno.
Il nostro cervello, nella forma matura, può essere considerato il
risultato del potenziale genetico e dell’ambiente. Infatti, una delle
scoperte più importanti negli ultimi anni nell’ambito delle
neuroscienze è stata l’evidenza che le esperienze di vita sono in
grado di apportare delle modifiche strutturali al cervello, agendo
direttamente sull’espressione genica.
Il concetto di neuroplasticità, infatti, non riguarda solo il periodo dell’infanzia e quello pre-puberale
ma, come scoperto grazie alle ricerche effettuate negli ultimi venti anni, include tutte le funzioni
cerebrali e prosegue, se pur con intensità diverse, per tutta la durata della vita. La rete sinaptica
cerebrale e le strutture correlate, compresa la corteccia cerebrale, si riorganizzano attivamente
grazie all’esperienza. Quindi il pensiero, l’apprendimento e le esperienze di vita sono in grado di
produrre delle modifiche strutturali e funzionali, agendo in maniera diretta sull’espressione genica
(epigenetica).

SISTEMICA

All'inizio degli anni Ottanta è avvenuto l'incontro


dei terapisti sistemici con la riflessione
costruttivista. L'idea che ha scosso il "mondo dei
terapisti sistemici" è che l'osservatore non è
esterno al processo di conoscenza, ma partecipa
attivamente alla costruzione del sistema osservato
e in ogni momento egli vi si rapporta con una
comprensione che modifica la sua relazione col
sistema.
Uno degli aspetti principali è quello dell’auto
riflessività, che è diventata un principio di metodo per i terapisti sistemici. Il costruttivismo ha
evidenziato che, oltre alla responsabilità tecnica, i terapisti hanno anche una responsabilità
epistemologica che fa riferimento al dovere del terapista di riflettere sul proprio modo di pensare e
sui propri sistemi di riferimento, in modo tale da valutare le conseguenze che sul piano sociale ed
interattivo hanno le operazioni conoscitive che esso effettua nei confronti del paziente e del suo
sistema significativo. Dall'interno di una prospettiva costruttivista, il sapere terapeutico non è più
neutrale, esso partecipa alla dinamica interattiva e può contribuire a innescare processi positivi ed
evolutivi, ma anche negativi e destabilizzanti.

È sicuramente una prospettiva che implica una figura di terapista che non si fa vincolare dai dettami
del suo sistema di riferimento, pur conoscendo le tecniche, che non esita a fare affermazioni lineari,
pur essendo sistemico, che non rinuncia a fare diagnosi, pur essendo costruzionista, che non si
rifiuta di dare consigli, pur sapendo che non sono i consigli che cambiano le persone.
BIBLIOGRAFIA

Centro Bolognese Di Terapia Della Famiglia – Scuola Di Psicoterapia Sistemico-relazionale,


www.terapiafamiliare.org. Accessed 27 Sept. 2022.

Fruggeri, L. (1998). Dal costruttivismo al costruzionismo sociale: implicazioni teoriche e


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Rivista Di Psicologia Individuale, 59, 69–84.

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