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Facoltà di Lettere

Storia della scrittura


L’alfabeto latino deriva dalla scrittura greca attraverso la mediazione degli etruschi.
Comprende 21 segni, compresa la K e la X, e ha un unico segno, scritto
indifferentemente U o V per indicare le nostre U e V. Più tardi vennero introdotte le
lettere Y e Z per indicare i suoni delle parole straniere.
La scrittura latina in età romana nasce già bipartita: da un lato abbiamo la
tradizione libraria, cioè la scrittura dei libri o dei monumenti (ma in questo secondo
caso è oggetto dell’epigrafia e non del nostro corso), in cui le lettere sono tracciate
in modo posato, tratto dopo tratto, secondo un modello canonizzato e stilizzato, e
sono ripetute sempre uguali a sé stesse.
Dall’altro abbiamo la tradizione corsiva della scrittura ‘usuale’ (di cui ci restano
solo sporadiche e parziali tracce) e documentaria: qui sono frequenti legature,
semplificazioni e dissimilazioni di tratti, che fatalmente portano all’alterazione della
morfologia delle lettere. Questo è l’ambito in cui la scrittura è più viva e in cui si
origina il cambio grafico.
Vedremo come l’Età di mezzo erediterà questa biforcazione grafica e la adatterà
alla nuova realtà storica.

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Facoltà di Lettere

La scrittura per eccellenza dell’antichità è la Capitale, una scrittura maiuscola il cui


alfabeto corrisponde alla nostra maiuscola comune e che possiamo seguire nella tav. 3
presente negli strumenti didattici.
Nell’ambito della tradizione documentaria trovano spazio le scritture d’uso comune, che
partano dall’alfabeto capitale ma lo alterano nell’esecuzione corsiva.
Il ductus tuttavia è comune, ma mentre nell’ambito librario la riproposizione del
medesimo canone porta a fissità, nell’ambito corsivo l’esecuzione stessa porta a nuove
morfologie di lettere, a sperimentazioni, selezioni, alternanze e coesistenze, che
determinano una grande varietà grafica.
La realizzazione corsiva dell’alfabeto capitale origina la Corsiva romana antica, una
scrittura corsiva maiuscola, di cui si può vedere un esempio nella Tav. 5, scaricabile
interamente da http://www.icar.beniculturali.it/biblio/pdf/Steffens/017_tav009.pdf.

Riga 2, trascrizione: TIGRIDE EMIT PUERUM NATIONE

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Scritture maiuscole canonizzate
Le scritture librarie canonizzate che il Medioevo eredita dalla tarda Antichità sono la
Capitale, nelle sue varianti epigrafica o monumentale e rustica o libraria e l’Onciale.
La capitale, scrittura dell’antichità, è adottata in ambito librario in una veste che
imita le realizzazioni epigrafiche (e perciò è detta epigrafica o elegante o
monumentale o quadrata). Si tratta di una scrittura artificiale, rigida, con lettere
assai larghe, iscrivibili in un quadrato, con prevalenza di archi di cerchi e angoli retti.
I tratti, assai grossi, presentano sottili trattini di complemento e nel chiaroscuro
vogliono imitare il solco triangolare delle incisioni epigrafiche. Si tratta di una scrittura
artificiale, usata in alcuni codici di cui ci sono rimaste sporadiche sopravvivenze della
fine del V-inizio VI sec. d. C. (a lungo ritenuti del IV sec. d. C., in base a raffronti con
epigrafi dell’epoca di papa Damaso).
Cfr. Tav. 6 (http://www.icar.beniculturali.it/biblio/pdf/Steffens/022_tav012a.pdf)
La reale capitale libraria è la cosiddetta rustica, in cui le lettere, grandi e
spaziate, sono iscrivibili in un rettangolo, è presente un notevole chiaroscuro (per cui
la scrittura è ‘pesante’), con un angolo di scrittura di 45°. Cfr. la tav. 7, scaricabile da
http://www.icar.beniculturali.it/biblio/pdf/Steffens/030_tav019.pdf.
La capitale decade nell’alto Medioevo e verrà recuperata in epoca carolingia.

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La corsiva romana antica e nuova
Prima di parlare della terza delle scritture maiuscole canonizzate, che il Medioevo eredita
dall’Antichità, (la scrittura Onciale), è opportuno considerare le corsive, per l’azione
profondamente incisiva che esse hanno impresso all’evoluzione della scrittura.
Una più antica realizzazione grafica in forme corsive è la corsiva romana antica,
detta anche maiuscola corsiva. In essa le forme dell’alfabeto capitale sono realizzate in
modo corsivo. Venne impiegata in lettere, documenti, atti amministrativi e anche,
sporadicamente, per opere letterarie (in forma di bozze o minute). Si distingue per
l’inclinazione verso destra e per alcune lettere caratteristiche: la B, cosiddetta ‘à pance à
gauche’, la D in cui la fusione dei primi 2 tratti ha formato un occhiello, la H priva della
metà superiore della seconda asta, la Q con piccolo occhiello, la R con secondo tratto
sinuoso e ampio che sovrasta l’asta. Si veda la tav. 8 che illustra tutte le forme, mentre
nella tav. 5 abbiamo già visto un esempio di corsiva romana antica.
Dal III secolo subisce una profonda evoluzione nella morfologia e nel ductus: ne
deriverà una corsiva minuscola che assume il nome di corsiva romana nuova. I primi
documenti della corsiva minuscola risalgono al sec. IV: essa vi appare già formata, dritta,
con una precisa selezione di forme, tra cui spiccano le lettere A, B (‘à pance à droite’), G,
L, M, N, P. Avrà lunga vita: fino al sec. X, in tutte le sue variazioni morfologiche. Si veda la
tav. 9 (in strumenti didattici e scaricabile dall’indirizzo
http://www.icar.beniculturali.it/biblio/pdf/Steffens/024_tav013.pdf ).
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FACOLTÀ DI LETTERE

Paleografia
TAVOLE 6-9
TAVOLA 6: Capitale quadrata

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FACOLTÀ DI LETTERE

TAVOLA 7: Capitale libraria

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FACOLTÀ DI LETTERE

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FACOLTÀ DI LETTERE

TAVOLA 8: Capitale e corsive

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TAVOLA 9: Corsiva nuova

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Facoltà di Lettere
Le scritture canonizzate librarie: onciale e semionciale
Le nuove scritture librarie di età romana non sono altro che la canonizzazione di uno
stadio raggiunto all’interno della scrittura corsiva: si selezionano e fissano forme specifiche,
che verranno trasmesse agli scribi e ai copisti affinché le ripropongano in forme immutate.
Il primo tipo a comparire, a partire dal IV secolo, è l’Onciale, scrittura ampia e rotonda,
maiuscola, ma con l’inserzione di alcune lettere minuscole (H, P, Q, V). Lettere tipiche sono
A, D, E, M, tutte eseguite con tratti curvi; B e R appaiono tratte dall’alfabeto capitale. Ebbe
una vita lunga, perché , essendo nel tardo Impero la scrittura libraria più nuova e dunque
ritenuta più adatta a trasmettere i testi della nuova religione, ossia del Cristianesimo, fu la
scrittura privilegiata per la Bibbia (mentre la capitale fu ritenuta più adatta ai testi pagani) e
dal VI sec. divenne la scrittura libraria per eccellenza, in uso fino al sec. IX.
Si distinguono due fasi, una più antica (onciale old style), più fluida, meno pesante e
perfettamente bilineare, con un angolo di scrittura di 45° (di origine italiano o anche
nordafricana) e una più tarda (secc. VI-VIII, new style), in cui spesso le lettere, più rigide
e pesanti, sforano la bilinearità. Negli esempi più antichi la lettera M inizia con un tratto
dritto, cui si appoggiano i 2 tratti curvi, ma prestissimo si afferma la forma caratteristica a
doppio arco, con tratto centrale dritto.
Si veda la tav. 10 (http://www.icar.beniculturali.it/biblio/pdf/Steffens/033_tav021b.pdf)

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L’altro tipo di scrittura libraria derivato dalla corsiva è invece una minuscola, la
seminociale (tav. 11 http://www.icar.beniculturali.it/biblio/pdf/Steffens/031_tav020.pdf)
Viene utilizzata inizialmente negli scoli e nei commenti marginali dei codici dei secc. IV e
V, ma dalla fine del V sec., probabilmente per il largo diffondersi di testi grammaticali e
giuridici in cui veniva impiegata, diventa una scrittura libraria minuscola impiegata nei centri
di produzione di libri, essenzialmente centri ecclesiastici. Si caratterizza per la sua
verticalità, tratteggio pesante e disegno rigido, con forme rotonde e schiacciate, aste sopra
e sotto il rigo ridotte e spesso clavate (ossia con un ingrossamento sulla parte superiore); le
lettere sono isolate e ridottissime le legature. Le lettere tipiche sono A, che verrà in seguito
ripresa dalla minuscola carolina, E, G senza occhiello, N sempre in forma maiuscola, R e S
in forme assai simili (si osservi la lunghezza e l’inclinazione del 2° tratto), Q. L’origine
corsiva è denunciata dalla clavatura delle aste (residuo del movimento ascendente e
discendente della penna) e da sporadiche legature, con I posteriore (R+I, T+I).
Di origine africana, fu meno diffusa dell’onciale, ma venne usata in Italia (un grosso
centro scrittorio era nei pressi di Napoli), Spagna e Francia e probabilmente anche in
Inghilterra nei secoli precedenti l’epoca carolingia, tanto per i testi sacri quanto per i testi di
studio e lettura.

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Paleografia
TAVOLA 11: Semionciale

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Facoltà di Lettere
Ripasso, verifica e approfondimento
Abbiamo ormai cominciato a vedere diverse tavole, ossia riproduzioni di manoscritti. E’
ora arrivato il momento di considerare più da vicino questo materiale e vedere come
utilizzarlo. Le tavole presenti nella cartella Strumenti didattici sono per lo più tratte da un
vecchio e storico manuale di paleografia: Franz Steffens, Lateinische Palaeographie, nella
sua traduzione in francese del 1910. Di questo manuale sono oggi apprezzabili le tavole
con il loro commento, anche se le datazioni sono state spesso riviste dai moderni studi
paleografici, e la terminologia adottata per definire le scritture è assolutamente superata.
L’indirizzo di ciascuna tavola viene offerto nelle rispettive lezioni, mentre l’intero manuale
è disponibile all’indirizzo del sito dei Beni culturali
http://www.icar.beniculturali.it/biblio/_view_volume.asp?ID_VOLUME=51.
Qui è possibile scaricare le tavole, chiamate ‘Planches’, in formato Pdf: si tratta
generalmente di 2 pagine, in cui la prima offre la riproduzione della pagina del
manoscritto o del documento, mentre la seconda presenta un titolo formato da Data –
Nome del manoscritto / autore – nome della scrittura. Segue una presentazione del codice
con le sue dimensioni e brevi notizie. Sotto, in corpo minore, le osservazioni prettamente
paleografiche, inerenti la scrittura, i segni di abbreviazione ecc. Infine, in corsivo, la
trascrizione della tavola.

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Facoltà di Lettere
Il codex Amiatinus (tav. 10)
Mentre il testo di Steffens è riportato in francese, e pertanto non ne viene pretesa
assolutamente lo studio o la lettura, la trascrizione ovviamente è nella lingua del testo,
pertanto va letta, confrontata parola per parola se non lettera per lettera con l’immagine
della tavola, almeno per le prime righe. È l’unico modo per capire realmente come è fatta
una scrittura. Quando la lezione indica le lettere caratteristiche di una scrittura, lo
studente deve ricercarle nella tavola, e magari trascriversele, per memorizzarle.
L’esempio offerto dalla tav. 10 è significativo perché presenta un codice della Bibbia,
conservato a Firenze ma proveniente dall’abbazia di San Salvatore sul monte Amiata (da
qui il nome ‘Amiatino’). E’ un monumentale codice che qualsiasi studioso avrebbe ritenuto
prodotto a Roma intorno al sec. VI. Solo un attento esame della dedica del donatore,
scritta nel primo foglio (riportato dalla tavola), ha permesso di rilevare alcune
cancellature e riscritture e di ricostruire, grazie anche ad alcune testimonianze indirette, il
testo originario: la Bibbia fu fatta scrivere da Ceolfrid, abate del monastero di Jarrow in
Nortumbria (GB) nel 716 ed era destinata ad essere donata alla basilica di San Pietro a
Roma.
La sorprendente qualità grafica dell’onciale testimonia la grande abilità raggiunta in
fatto di apprendimento dai copisti anglosassoni nei secc. VII-VIII, formatisi chiaramente
su modelli romani: codici probabilmente giunti insieme ai missionari inviati dal papa.
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Paleografia
TAVOLA 10: Codice Amiatino

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