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La metafisica antica II

Parmenide Bibliografia supplementare: H. Diels-W. Kranz, Die Fragmente der Vorsokratiker, Griechisch und Deutch, 3 voll.Weidemann, Berlin 1951-19526, tr. it. I Presocratici, a cura di G. Reale, Milano, Bompiani 2006 J. Barnes, The Presocratic Philosophers, London 19822, pp. 155-230 G.S. Kirk, J.E. Raven, M. Schofield, Les philosophes prsocratiques, tr. franais de H.A. De Weck sous la direction de D.J. OMeara, Fribourg 1995, pp. 257-281 J. Barnes, Les penseurs prplatoniciens, in M. Canto-Sperber (a cura di), Philosophie grecque, Paris 1997, pp. 31-41 B. Cassin, Parmnide: Sur la nature ou sur ltant, Parigi 1998. Gli inizi dell'ontologia Liniziatore dell'ontologia (studio dell'essere) Parmenide, nato ad Elea allinizio del V secolo, in sud Italia (lodierna Ascea, vicino a Salerno). In questo corso seguiremo il costituirsi della metafisica come scienza del'essere passo dopo passo, senza darne un quadro generale e introduttivo. Tale quadro, in un'ottica squisitamente aristotelica, pu essere reperito nell'introduzione che si trova nella dispensa al primo modulo della Metafisica. Sia in filosofia, sia in politica, Parmenide esercit una forte influenza. Plutarco (Contro Colote, 1126 A-B), 28 A 12 DK (= Diels-Kranz, vedi sopra, bibliografia), ci dice che: Parmenide ordin la sua patria con leggi eccellenti al punto che, agli inizi, i magistrati facevano giurare ogni anno i cittadini di restare fedeli alle leggi di Parmenide. Parmenide ha scritto un poema in versi esametri, probabilmente abbastanza corto (200 versi circa), di cui ci rimangono parecchi frammenti, riportati principalmente da Sesto Empirico (celebre filosofo scettico del II d.C.) e da Simplicio (commentatore neoplatonico del VI secolo dopo Cristo), nei suoi commentari alla Fisica e al De caelo di Aristotele. Simplicio ne riporta grandi estratti a causa, come dice egli stesso, della rarit del trattato. In altre parole, Simplicio decide di riportare ampie parti del trattato perch diviene sempre pi difficile reperirlo. Il poema si divide in tre parti: (1) un proemio allegorico, che presenta il viaggio di Parmenide (quasi su modello omerico del viaggio di Ulisse), che viene condotto al cospetto della dea non meglio identificata, che rivela a Parmenide tutto ci che si deve sapere, cio, in pratica, il pensiero filosofico di Parmenide; (2) una parte metafisica, che descrive la via della Verit e presenta il cuore della filosofia di Parmenide; questa la parte in cui, per la prima volta nella filosofia occidentale, viene presentata la via dell'essere; (3) infine, una parte fisica, in cui Parmenide offre una teoria della natura (come i suoi predecessori). Gli studiosi si sono chiesti perch mai Parmenide, pur sconfessando questa indagine (che egli chiama via dellopinione,
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del tutto inaffidabile perch basata sui sensi), la persegua. Non stata trovata una risposta soddisfacente: quella di molti studiosi, che ritiene che Parmenide, pur sconfessando la doxa come fallace opinione dei mortali, conceda comunque una certa validit ai sensi (su cui si baserebbe la fisica di Parmenide) una forzatura che si basa su alcune affermazioni poco chiare di Parmenide, ignorandone invece altre molto pi decise ed evidenti. (3) La via dell'opinione Essa, di cui possediamo qualche frammento, conteneva delle osservazioni piuttosto avanzate, soprattutto per quello che riguarda lastronomia. Parmenide fu il primo pensatore a sostenere che la terra ha forma sferica; sostenne che la luna era illuminata dal sole; scopr che la stella del mattino e la stella della sera non costituivano che un solo corpo celeste, il pianeta Venere. Parl del fatto che i mortali hanno distinto due forme sensibili opposte, luce e notte, che si infiltrano in tutte le cose. Parmenide, come mostrano altri frammenti, fece evidentemente un uso sistematico della luce e della notte nella sua spiegazione del mondo. Nel modulo precedente, abbiamo visto questo Parmenide physikos, e le critiche che di esso fa Aristotele nel libro Alpha della Metafisica. Laspetto pi interessante di questa parte della sua opera si trova nel giudizio che Parmenide pronuncia su di essa, che inequivocabilmente negativo: testi: 28 B 1, vv. 28-32 DK (Simplicio Commentario al de caelo, 557, 25-558, 2) : Bisogna che tu tutto apprenda: e il solido cuore della verit ben rotonda, e le opinioni dei mortali, nelle quali non vi vera certezza. Eppure anche questo imparerai: come le cose che appaiono bisognava che fossero nella loro apparenza, essendo tutte in ogni senso. In questo passo, collocato pi o meno arbitrariamente da Diels-Kranz (gli autori della raccolta dei frammenti dei Presocratici, raccolta che praticamente diventata una bibbia) alla fine de Proemio (vedi infra), la dea che parla: per una ragione misteriosa (anche dell'apparenza vi un modo migliore di apparire. Per la spiegazione di questa misteriosa ragione, vedi infra), Parmenide deve apprendere tutto: sia la via della Verit (di cui parleremo tra breve, la sola via vera e certa), sia le opinioni dei mortali, che sono inaffidabili.Ora, le opinioni dei mortali sono inequivocabilmente quelle che riguardano la Fisica: 28 B 8 50-59 DK (Simplicio, Commentario alla Fisica): Qui pongo termine al discorso che si accompagna a certezza e al pensiero intorno alla verit; da questo punto, le opinioni mortali devi apprendere, ascoltando l'ordine ingannatore delle mie parole. Infatti, essi stabilirono di dar nome a due forme mentre non bisognava nominarne neanche una: in questo si sono ingannati.
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Le giudicarono opposte nelle loro struttura, e stabilirono le caratteristiche che li distinguono reciprocamente, da un lato l'etereo fuoco della fiamma che benigno e molto leggero, identico a se medesimo da ogni parte, ma non identico all'altro; nondimeno anche quello per se stesso opposto, notte oscura, di struttura densa e pesante. Questo passo davvero soprendente. Anche qui la dea che parla, e spiega che, conclusa la spiegazione della via della verit (che vedremo tra breve, ma che viene descritta per prima), adesso passa alla descrizione di quella dellopinione dei mortali, via ingannatrice. E il passo di transizione tra la descrizione della via della verit e la via dellopinione. La via della verit quella della certezza, che si distingue chiaramente da quella dellopinione, chiamata ingannatrice (la dea espone l'ordine apparente dell'opinione). Quella dellopinione quella della fisica: vengono infatti distinte le due forme sensibili della luce e del giorno, su cui si basa la Fisica descritta da Parmenide (di cui fa menzione Aristotele). Da notare che egli afferma che i mortali hanno stabilito di dar nome due forme, mentre non bisognava nominarne neppure una; per Parmenide questa distinzione del tutto arbitraria, addirittura falsa. Eppure, su questa distinzione stabilisce la sua astronomia. Molti lettori del poema, impressionati da questa dichiarazione di Parmenide, non ci hanno creduto: perch mai Parmenide avrebbe dovuto raccontare una lunga storia sulla natura, storia che include delle novit e delle nuove verit, se avesse veramente creduto che si tratta di una storia falsa? Hanno per ci avanzato unipotesi: forse bisogna ammettere che la terza parte del poema presenta anchessa il pensiero di Parmenide, cio una verit, sebbene pi debole (solo verosimile) rispetto a quella, pi forte, della seconda parte (questa linterpretazione di molti studiosi italiani, come Giovanni Reale, e stranieri). Tuttavia, tale interpretazione va decisamente rifiutata: Parmenide ci assicura con decisione che la via dellopinione falsa, e ci spiega anche perch egli lha comunque descritta: 28 B 8 DK, vv. 60-62 (si tratta della conclusione del passo che abbiamo appena considerato): Questo ordinamento del mondo, in tutta la sua totale apparenza compiutamente ti espongo, cos che nessuna convinzione dei mortali potr superarti. Anche se la spiegazione che ci fornisce non pienamente soddisfacente, quello che Parmenide dice : nonostante il fatto che la via dellopinione sia fallace, la dea istruir Parmenide fornendogli la versione pi plausibile, affinch Parmenide non si faccia superare da altri mortali, pi fallaci ancora. Inoltre, si deve sottolineare che la falsit della via dellopinione deriva direttamente dalle idee che Parmenide presenta nella parte centrale del suo poema, che riguarda la via della verit. Ma prima di affrontare questa via, due parole sul Proemio. (1) Il proemio

La primissima parte del trattato, il proemio, viene riportata da Sesto Empirico (VII 111)1, 28 B 1 DK : [1] Le cavalle che mi portano fin dove il mio desiderio vuol giungere, mi accompagnarono, dopo che mi ebbero condotto e mi ebbero posto sulla via che dice molte cose, che appartiene alla divinit e che porta per tutti i luoghi l'uomo che sa. L fui portato. Infatti, l mi portarono accorte cavalle [5] tirando il mio carro, e fanciulle indicavano la via. L'asse dei mozzi mandava un sibilo acuto, infiammandosiin quanto era premuto da due rotanti cerchi da una parte e dall'altraquando affrettavano il corso nell'accompagnarmi le fanciulle figlie del Sole, dopo aver lasciato le case della Notte, [10] verso la luce, togliendosi con le mani i veli dal capo. L la porta dei sentieri della Notte e del Giorno, con ai due estremi un architrave e una soglia di pietra; e la porta, eretta nell'etere, rinchiusa da grandi battenti. Di questi, Giustizia, che molto punisce, tiene le chiavi che aprono e chiudono. [15] Le fanciulle, allora, rivolgendole soavi parole con accortezza la persuasero, affinch, per loro la sbarra del chiavistello senza indugiare togliesse dalla porta. E questa, subito aprendosi produsse una vasta apertura tra i battenti, facendo ruotare nei cardini, in senso inverso, i bronzei assi [20] fissati con chiodi e con borchie. Di l, subito attraverso la porta diritto per la strada maestra le fanciulle guidarono carro e cavalle. E la dea, di buon animo mi accolse, e con la sua mano la mia mano destra prese, e incominci a parlare e mi disse cos: o giovane, tu che, compagno di immortali guidatrici [25] con le cavalle che ti portano giungi alla nostra dimora, rallegrati, poich non un'infausta sorte ti ha condotto a percorrere questo camminoinfatti esso fuori dalla via battuta dagli uomini ma legge divina e giustizia. Bisogna che tu tutto apprenda: e il solido cuore della verit ben rotonda, [30]e le opinioni dei mortali, nelle quali non vi vera certezza. Eppure anche questo imparerai: come le cose che appaiono
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Tranne gli ultimi cinque versi, che vengono da Simplicio, vedi supra. 4

bisognava che fossero nella loro apparenza, essendo tutte in ogni senso (gli ultimi cinque versi li abbiamo gi commentati: vedi supra). Dalla traduzione italiana (che ovviamente non pu ricalcare i versi in greco), si pu gi vedere il tenore del viaggio di Parmenide: allegorico, eroico ( stato paragonato al viaggio di Ulisse), iniziatico. Quello che per interessante considerare che questo proemio, seppur intessuto di allegorie e espressioni iniziatiche, stato interpretato dagli antichi, a cominciare da Sesto che riporta il passo, in chiave razionalista. Sesto interpreta il viaggio di Parmenide come una progressiva liberazione dalle pulsioni e dai sensi (buio) verso la ragione (luce). Vediamo alcuni elementi allegorici tradotti nellinterpretazione razionalistica di Parmenide: - le cavalle che lo portano = pulsioni irrazionali dellanima - la via che dice molte cose e che appartiene alla divinit = viaggio secondo la teoria filosofica, che conduce alla conoscenza di tutte le cose - le fanciulle che indicano la via = sono le sensazioni, delle quali presenta in modo oscuro ludito; infatti - i cerchi rotanti = le orecchie, grazie a cui si riceve il sibilo acuto, cio il suono - le fanciulle figlie del sole = sono invece la vista, altra sensazione; esse infatti abbandonano la dimora della notte andando verso la luce - la giustizia, che punisce e che tiene le chiavi che aprono e chiudono = si tratta dellintelligenza, che rende solide le apprensioni delle cose. Si tratta quindi di un viaggio verso la ragione, in cui le pulsioni e le sensazioni fanno viaggiare Parmenide lungo il tragitto della filosofia. Nellinterpretazione di Sesto Empirico di questo viaggio, non sembra che Parmenide sconfessi completamente i sensi, i quali, anzi, sembrano funzionali al raggiungimento della ragione. Di fatto, vedremo che la via dell'essere, cio della verit, sembra in altri passi raggiungibile solo mettendo da parte la via dei sensi. Arrivato al cospetto della dea, Parmenide viene istruito su tutto, e innanzitutto sulla Verit ben rotonda e solita. (2) La via della verit Testi: Proclo (Commentario al Timeo I, 345), 28 B 2 DK : Ora, ti dire tu ascolta e ricevi la mia parola quali sono le sole vie della ricerca alle quali si pu pensare: l'una <che dice> che , e che non possibile che non sia il sentiero della persuasione, perch tien dietro alla Verit; l'altra <che dice> che non , e che necessario che non sia. E io ti dico che questo un sentiero su cui nulla si apprende. Infatti, non potresti conoscere ci che non perch non cosa accessibile. Parmenide afferma che vi sono solamente due vie di ricerca concepibili (si noti che la via dell'opinione non viene menzionata come via di ricerca possibile): per ora

diciamo genericamente che una la via dellessere, la sola percorribile; laltra, quella del non-essere, impercorribile; infatti, ci che non , impensabile e inesprimibile. A queste due vie se ne aggiunge una terza: Simplicio, (Commentario alla Fisica, 117, 10-13), 28 B 6 DK: E necessario il dire e il pensare che lente : infatti, l'essere , e il non essere non : e queste cose ti esorto a considerare. E dunque da questa prima via di ricerca ti tengo lontano, ma poi, anche da quella su cui i mortali che nulla sanno vanno errando, uomini a due teste; infatti, l'incertezza che nei loro petti guida una dissennata mente. Costoro sono trascinati, sordi e ciechi ad un tempo, sbalorditi, razza di uomini senza giudizio, dai quali essere e non-essere sono e non sono la stessa cosa. In questo passo vengono riprese le due vie, quella dellessere e quella del non-essere; se ne aggiunge una terza, quella dei mortali, che una mescolanza di essere e nonessere. Vedremo che la via dellOpinione, quella che qui abbiamo considerato per prima; essa viene esclusa per ragioni di carattere logico. Ora bisogna considerare con attenzione questi due frammenti, per cercare di comprendere che cosa vuol dire Parmenide. Avverto gi da ora che la cripticit e loscurit dei suoi versi ha dato luogo a interpretazioni contrastanti. (a) la prima cosa da osservare che Parmenide parla di vie di ricerca: lo abbiamo visto nel frammento 2 a proposito dell e del non-; e nel frammento 6 (dove la dea dice a Parmenide di tenersi alla larga sia dalla via di ricerca sul non-, sia da quella dei mortali, che mescolano essere e non-essere). Quando quindi si intraprende una ricerca, si possono concepire (vedi frammento 2) due vie (o forse tre, secondo il frammento 6) lungo le quali dirigere i propri studi. Per Parmenide ci assicura che non vi che una sola via che pu in verit essere seguita. Quindi, se si fanno delle ricerche, ci si pu dirigere solo verso la prima via. Ma che cos una via di ricerca? Come caratterizzare in maniera pi precisa le tre vie che Parmenide ci prospetta, e perch, secondo Parmenide, siamo obbligati a seguire solo la prima delle tre vie? (b) il problema di base che bisogna cercare di capire a che cosa Parmenide pensa quando parla di essere e non essere. Riconsideriamo i frammenti in cui parla di essere/non essere: Frammento 2, 3-5: La prima via (che enuncia) che , e che non possibile non essere il cammino della persuasione, infatti segue la verit; laltra che non , e che necessario che non sia Frammento 6, 1: E necessario il dire e il pensare che lente : infatti lessere ma il niente ( = non ente) non A ci aggiungiamo linizio del frammento 8, che analizzeremo tra pi tardi, e che fornisce una serie di caratteristiche di questo non meglio identificato essere: Frammento 8, 1-2:
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non resta che il racconto della via: che . Parmenide prospetta quindi due vie (le sole concepibili), pi una terza (quella dei mortali), in realt non concepibile, ma frutto di errore e mancanza di lucidit: 1lente (o lessere) , e non possibile che non sia; 2il non-ente (o non-essere) non , ed necessario che non sia; 3(via dei mortali, che possiamo estrarre da ci che dice Parmenide): lente (o lessere) non , il non-ente (o il non-essere) . Si tratta della mescolanza essere-non essere. Diciamo grosso modo che tre sono le interpretazioni che sono state date dagli interpreti e studiosi antichi e moderni: i) (cf. per esempio interpretazione Reale): Parmenide parla dellessere come puro positivo scevro di ogni negativit e del non-essere come il puro negativo, assolutamente contraddittorio rispetto allessere. Questa interpretazione per ora non risulta chiara; per essa, come vedremo pi tardi, pu fare riferimento ad un essere puro e perfetto, al di l delle continue variazioni e cambiamenti che i physikoi hanno variamente teorizzato: una sorta di vero cosmo, di vera realt, al di l di quelluniverso apparente, percorso da essere e non essere, teorizzato dai physikoi. ii) Parmenide sembra usare indifferentemente linfinito (lessere) e il participio (ci che ). Egli in realt parla di ci che nel senso di ci che esiste (questa uninterpratazione che trova adepti sia tra gli antichi, sia tra i contemporanei). Parlare di tutto ci che esiste significa individuare quei tratti caratteristici ed essenziali che caratterizzano unentit in quanto esistente (indipendentemente dai caratteri fisici, che sono visti come contraddittori perch soggetti al divenire): in tal senso, Parmenide sarebbe il precursore dellontologia aristotelica. Nel libro Gamma della Metafisica, infatti, Aristotele come sappiamo afferma che vi una scienza dellente in quanto ente, e delle sue propriet essenziali, propriet che sono universali, cio applicabili ad ogni cosa che esiste. Per esempio: un cavallo, un cane, un gatto, possono essere considerati in quanto cavallo, cane, gatto, e come tali, saranno oggetto della zoologia; ma possono essere considerati anche in quanto enti, e come tali caratterizzati da propriet potremmo dire, logiche, oggetto dellontologia: un gatto ununit e non una molteplicit, identico a se stesso ma diverso da un cane, ecc. iii) Una versione un po pi caratterizzata quella anglosassone (cf. per esempio Barnes), secondo cui, cio, ci che ci che esiste, ma limitatamente agli oggetti di indagine, cio agli oggetti scientifici, agli oggetti concepibili e oggetto di conoscenza scientifica. Questa posizione giustificata dallinsistenza, da parte di Parmenide, sulle vie di ricerca, le sole concepibili. Proviamo allora ad applicare questultima teoria alle tre vie dei Parmenide. Quando si intraprende una ricerca su un qualsiasi oggettole api, per esempio, o gli astripossiamo seguire la via della posizione di esistenza, la via del che . Possiamo cio presupporre senza nessun tipo di giustificazione che gli oggetti delle nostre ricerche esistono, che ci sono api e comete. Altrimenti possiamo seguire la seconda via, evidentemente paradossale, quella del che non , facendo lipotesi che le api e le comete non esistono. Infine, possiamo prendere la via dei famosi uomini a due teste, in cui supporremo che il soggetto esiste e non esiste, che ci sono e non ci sono api e comete. Queste sono tutte le possibilit di ricerca individuate da Parmenide. La terza via, quelle dellessere e del non essere, deve sembrare strana, addirittura contraddittoria. Parmenide tuttavia indica che una tale possibilit esprima la
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supposizione pi generale che si fa prima di mettersi a fare ricerca seria; una supposizione che, in particolare, era quella degli uomini che studiarono la natura per primi. In che senso, questi ultimi hanno intrapreso la via dellessere e del non essere? Perch, come sappiamo, hanno considerato la natura come insieme di fenomeni in continuo cambiamento, sia di propriet, sia di nascita e morte. Per esempio, hanno considerato le comete come esistenti ad aprile ma inesistenti in maggio (perch non si mostrano). E dallinsieme delle osservazioni dei physikoi che Parmenide trae una conseguenza non voluta e paradossale: i physikoi hanno creduto che i loro oggetti di ricerca siano e non siano, esistano e non esistano. Perch eliminare due delle tre vie di ricerca? La seconda via, quella del non-essere, ci dice Parmenide, un sentiero su cui nulla si apprende, perch, ci dice Parmenide, non possibile n conoscere n esprimere ci che non esiste (il non-ente). Inoltre, aggiunge Parmenide, ci che non esiste non pensabile, perch, afferma Parmenide in un altro frammento riportato da Plotino (Enneadi V, 1, 8), 28 B 3 DK: Infatti lo stesso (= la stessa cosa) che pu essere pensata ed esistere. Cio, si possono pensare solo gli esseri che esistono. Se le cose stanno cos, non si pu che pensare agli esseri che esistono: di conseguenza, le cose che non esistono non possono essere n ri-conosciute, e neppure menzionate, perch, per ri-conoscere e menzionare una cosa, si deve prima pensare ad essa. La via del non-essere, dunque, esclusa: lungo questa via, non si pu pensare, n si possono fare delle ricerche. Essa dunque impraticabile. Largomento di Parmenide abbastanza chiaro, ma a prima vista risulta poco convincente. Egli sostiene che noi non possiamo pensare che agli esseri esistenti: ma noi possiamo fornire dei contro-esempi a ci che dice Parmenide. Possiamo pensare ad esseri fittizi, come Ulisse e la maga Circe; possiamo pensare ai liocorni, o ai cavalli volanti. Questi esseri non esistono, ma noi possiamo pensarci. Quindi? Ma, a dire il vero, questa obiezione un po rapida: in generale, possiamo dire che le finzioni pongono dei problemi che si riferiscono alle vie presentate da Parmenide solo in modo relativo (per esempio: forse possiamo pensare ad esseri fittizi, ma in maniera non chiara, non articolata, non scientifica. Non possiamo, cio, intraprendere una ricerca a loro riguardo). Quindi, per chiarire ci che Parmenide vuol dire, meglio considerare un esempio2 estratto dalle scienze (ci ricordiamo, infatti, dellinsistenza di Parmenide sulle vie di ricerca). Qualche anno fa, degli astronomi americani hanno supposto, fondandosi su dei fenomeni osservati, di aver scoperto, a fianco di Plutone, un altro pianeta, fino ad allora sconosciuto. Hanno chiamato questo pianeta Persefone, e hanno fatto delle congetture a proposito della sua grandezza, della sua velocit, della lunghezza del suo anno, ecc. Pi tardi hanno scoperto che Persefone non esiste e non mai esistita. I fenomeni osservati e che avevano condotto allipotesi dellesistenza di un nuovo pianeta avevano altre cause e altre spiegazioni. Ora, la questione parmenidea la seguente: prima di scoprire che Persefone non esistesse, gli astronomi hanno pensato veramente a Persefone? Hanno parlato di Persefone? Forse no: non hanno pensato n parlato di Persefone, precisamente perch Persefone non esiste. Hanno certamente parlato come se questo pianeta esistesse: di fatto, per, non hanno parlato di
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Lesempio si trova in J. Barnes, Les penseurs prplatoniciens cit., p. 35. 8

Persefone, ma probabilmente dei fenomeni che hanno condotto ad ipotizzarne lesistenza. Questo esempio non evocato come prova del fatto che Parmenide ha ragione; ma esso suggerisce che quello che noi chiamiamo il Principio di Parmenide (secondo cui si pu pensare solo a ci che esiste) non evidentemente falso. Si noti che alcuni filosofi, antichi e moderni, hanno seguito Parmenide su questa via: per esempio, Aristotele sostiene che loggetto di qualunque scienza deve esistere. Eliminazione della terza via, quella dei mortali: Parmenide sembra supporre che il suo principio, che aveva escluso la via del nonessere, escluda nella stessa maniera anche la terza via: Infatti, a proposito della terza via, egli dichiara: Platone, (Sofista 237 a), 28 B 7 DK, versi 1-2: Infatti, questo non potr mai imporsi: che siano le cose che non sono! Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero. La terza via, come abbiamo visto, ipotizza che gli oggetti di ricerca esistano e non esistano: essa quindi suppone che tali oggetti non esistano, ma largomento opposto alla seconda via ha mostrato che una tale supposizione assurda. Per valutare questo argomento, bisogna esaminare pi in dettaglio quello che possiamo chiamare il Principio di Parmenide. Tale principio afferma: (1) se un ricercatore x, pensa ad un oggetto y, bisogna che y esista. Per dare un senso a questo principio, bisogna aggiungere delle precisazioni temporali: (1A) se x pensa, a un tempo t, a y, bisogna che y esista sempre (1B) se x pensa, a un tempo t, a y, bisogna che y esista a un tempo t3 (1C) se x pensa, a un tempo t, a y, bisogna che y esista a un tempo qualunque. Ora, per eliminare la via del non-essere, sufficiente adottare la versione pi debole del principio, cio (1C): se, per pensare ad un oggetto in questo momento (per esempio, a Napoleone), sufficiente che Napoleone sia esistito in un qualunque momento (diciamo, duecento anni fa), comunque necessario che Napoleone ad un tempo sia esistito. Quindi, gli esseri che non sono mai esistiti non possono essere pensati. Invece, per eliminare la terza via (quella della mescolanza essere/non essere), Parmenide costretto ad adottare la via pi forte, (1A), quella che dice che, per pensare ora a qualcosa, questo qualcosa deve esistere sempre. Infatti, nelle altre due versioni, lesistenza eterna delloggetto non richiesta, e quindi loggetto pu esistere (a un tempo t, o a un tempo qualunque) e non esistere (a un altro tempo). Ma, accettare le versione di Parmenide, cio (1A), significa rinunciare a una serie di discipline, ed per questo che i filosofi che hanno accettato il principio di Parmenide, ne hanno accettato la versione debole, cio (1C). Se infatti accettassimo (1B), che pone come condizione lesistenza delloggetto nel momento in cui il ricercatore lo pensa, dovremmo rinunciare alla storia passata (i protagonisti, infatti, sono morti); se invece accetto (1A), che pone come condizione lesistenza eterna delloggetto di pensiero, debbo rinunciare allo studio di me stesso, perch io esisto
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Cio, al tempo in cui x lo pensa. 9

ora, ma non esiter sempre. Gli studiosi, quindi, accettano (1C): in questo modo non rinunciano alla via dellopinione. Parmenide, invece, sceglie (1A); cos facendo riduce drasticamente la ricerca agli esseri (o enti) eterni, che cio esistono sempre. Questioni di metodo 28 B 7, versi 2-6 (Sesto Empirico, M 7.111): Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero n l'abitudine, nata dalle numerose esperienze, su questa via ti forzi a muovere l'occhio che non vede, l'orecchio che rimbomba e la lingua, ma con la ragione (logos) giudica la prova molto discussa che da me ti stata data. Parmenide ci presenta qui una riflessione di metodo. E grazie alla ragione che dobbiamo scartare le due vie, quella del non-essere e quella dellopinione. In particolare, eliminando la terza, si eliminata sprezzantemente lesperienza empirica (locchio che non vede, lorecchio che rimbomba). Parmenide, o per meglio dire, la dea, esorta chiaramente a evitare qualunque percorso empirico, e ad affidarsi esclusivamente al giudizio della ragione (logos). Ma com possibile condurre ricerche esclusivamente razionali sulle api o sulle comete? Non si pu: e in effetti, Parmenide limita la richerca agli esseri eterni. Lessere di Parmenide Parmenide parte dal suo principio, secondo cui lente, oggetto di ricerca, esiste. Ma Parmenide si spinge oltre: cerca di determinare le altre propriet che tale ente (= esistente), in quanto esistente, possiede. La descrizione della via della verit, in effetti, cerca di rispondere alla seguente domanda: se qualche cosa esiste, cosa possiamo dire di tale cosa, in quanto esistente? Ecco allora presentarsi una ricerca totalmente astratta, una ricerca metafisica in senso aristotelico: Aristotele, infatti, nel libro Gamma della Metafisica, presenta come uno dei contenuti metafisici una ricerca sullente in quanto ente. Questo significa che Aristotele ha posto al cuore della filosofia la questione di Parmenide: quali sono le frontiere che limitano e determinano lesistente? La direzione a cui ci conduce il viaggio di Parmenide inattesa: in effetti, malgrado il suo principio sembri riguardare tantissimi enti, di fatto le caratteristiche dellente che Parmenide deduce, sembrano di fatto limitare lente ad uno. Testo: 28 B 8 DK (Simplicio, Commentario alla fisica, 145, 1-146, 25. Versi di questo celeberrimo frammento sono citati da moltissimi altri autori). Si tratta del frammento che contiene la metafisica di Parmenide. Noi ne considereremo solo alcuni versi. Se qualcosa esiste, si possono dedurre (e sottolineo dedurre, come vedremo tra poco nel frammento 8), le seguenti proposizioni: 1-5: non resta che il racconto della via:
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che . Su questa via ci sono un gran numero di caratteri: che l'ente ingenerato e indistruttibile intero, integro, immobile e finito. La prima cosa da dire che difficile stabilire con esattezza tutte le caratteristiche dellente che Parmenide deduce: infatti, almeno due aggettivi presentano delle lezioni discordanti nelle fonti. Comunque sia, quello che possiamo ragionevolmente dire : 1) lente (o lessere) . Da questo principio Parmenide deduce che: 2) esso non mai stato generato e non sar mai distrutto (v. 3: agheneton e anolethron; si noteranno le alfa privative, rese in italiano dal prefisso in-: in-generato e in- distruttibile); 3) esso integro (v. 4 oulomeles, che vuol dire integro; al v. 5 Parmenide specifica che esso un tutto unificato e continuo); 4) non cambia n si muove (atremes, v. 4); 5) completo e finito. Ai versi 32-49, Parmenide dimostra che lente completo e finito. La struttura del ragionamento di Parmenide quindi la seguente: (0) lente ; da ci deduciamo a. lente ingenerato e incorruttibile (dimostrazione ai vv. 5-21) b. lente integro, nel senso di un tutto unificato e continuo (dimostrazione ai vv. 22-25) c. lente immobile (dimostrazione ai vv. 26-31) d. lente completo e finito (dimostrazione ai vv. 32-49). Vediamo innanzitutto che, dalluso esistenziale del verbo essere, si passa alluso copulativo ( ingenerato, incorruttibile, ecc.). Resta anche da capire qual il riferimento del soggetto di queste proposizioni (esso; lente), cio, di che essere Parmenide sta parlando. Dalle caratteristiche individuate da Parmenide, assolutamente necessarie, sembrerebbe emergere un essere che difficilmente si identifica con qualunque oggetto di ricerca; per molti studiosi, esso sembra identificarsi con la realt del tutto, cosmica. Daltra parte, questa identificazione sembra andare contro la dichiarazione di Parmenide, secondo cui noi parliamo di enti oggetto di ricerca scientifica. Alcuni studiosi, insistendo su questo aspetto, pensano che Parmenide parli degli oggetti di ricerca scientifica. Detto questo, passiamo alle deduzioni. In effetti, Parmenide deduce le proposizioni (1)-(4) in una cinquantina di versi difficili e condensati, in cui praticamente ogni parola devessere lungamente analizzata. i) lente ingenerato e incorruttibile : ci ritorneremo fra breve, perch questa forse la deduzione pi interessante. ii) Esso un tutto unificato e continuo: qui non si capisce se Parmenide pensi a un tutto spaziale o temporale (tutto intero pieno dessere). Quello che in ogni caso cerca di dimostrare, che ci che esiste continuo, qualunque sia la dimensione che esso riveste. Il problema il seguente: Parmenide vuole dimostrare che qualunque oggetto di ricerca debba essere caratterizzato da una continuit interna, oppure Parmenide pretende che la realt nella sua interezza sia un continuo unico e solo? iii) Immobile: Parmenide dice che esso costretto in limiti che costituiscono dei veri e propri legami, poich nascita e morte (cio, generazione e corruzione) sono
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state bandite (si tratta del primo argomento, che analizzeremo tra breve). Al di l del fatto che non si capisce la consequenzialit dellargomento di Parmenide (impossibilit della generazione e della distruzione dellessere ci che esiste resta immutabile, costretto allinterno del limite), la nozione di limite ci pone dei problemi poich non si capisce in che modo Parmenide la usi. Da una parte sembrano limiti spaziali, il che confermerebbe che P. sta parlando di un ente materiale, cio del tutto, del cosmo nella sua interezza; dallaltra, potrebbe semplicemente voler dire che qualunque oggetto di ricerca non pu essere diverso da quello che , cio, deve permanere identico a se stesso, senza cambiare; iv) Completo e finito: si tratta di una sezione molto difficile da capire, oggetto di controversia. Parmenide comincia con lo schizzare brevemente il suo argomento principale: se ci che , limitato e determinato, non pu essere difettoso, e quindi perfetto (v.32-33). Poi, P. riprende il suo punto iniziale, quello secondo cui, se noi abbiamo un pensiero riguardante un oggetto di ricerca, dobbiamo obbligatoriamente pensare a qualche cosa che esiste (v. 34-36). Ora, noi abbiamo dimostrato che ci che esiste, esiste completamente e immutabilmente, e non mai in divenire (36-38). Cos, le espressioni utilizzate dai mortali (nascere e perire, essere e non essere, cambiamento), sono solo parole che non rappresentano il vero essere (38-41). Ed grazie al fatto che ci che , limitato e determinato (simile a massa di ben rotonda sfera, dice Parmenide), che noi possiamo arguire la sua perfezione (42-44). Infatti, il suo carattere determinato non esclude solo la possibilit del divenire e del cambiamento, ma anche limpossibilit che possa subire qualunque forma di deficienza (44-46). Anche qui: realt materiale o qualunque oggetto di ricerca? La parte pi interessante degli argomenti proposti da Parmenide la prima, quella riguardante lente ingenerato e incorruttibile. Io commenter solo una parte della prima deduzione, deduzione che, per i successori di Parmenide, sembrerebbe essere la pi sicura tra le sue conclusioni metafisiche: Parmenide cerca di dimostrare che ci che esiste non pu mai essere stata generato. Come prova di questa tesi, ci propone due argomenti molto brevi. Se si supponesse che ci che esiste sia stato generato: vv. 6-10: Quale origine infatti cercherai di esso? Come e da dove sarebbe cresciuto? Dal non-ente non ti concedo n di dirlo n di ensarlo, perch non possibile n dire n pensare che non . Quale necessit lo avrebbe mai costretto a nascere, dopo o prima, se ha cominciato dal nulla?.

Qui troviamo due argomenti (noi considereremo solo il primo). Questi argomenti presuppongono che ci cheipoteticamente stato generato, debba essere stato generato da ci che non esiste (in greco: ek me eontos). Primo argomento: dal non-ente non ti concedo n di dirlo n di pensarlo, perch non possibile dire n pensare che non ;

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Secondo argomento: quale necessit lavrebbe mai costretto a nascere, dopo o prima, dal momento che ha cominciato dal nulla (non-ente)? Ora, la possibilit che lesistente sia generato dal non-esistente esclusa da Parmenide per delle ragioni logiche. In effetti, se qualcosa diventa F, questa cosa non era F esattamente prima di diventare F: per esempio, se, mentre lo dipingo, questo muro diventa grigio, esso non era grigio nel momento in cui ho preso il pennello per dipingerlo. Diventare F implica il fatto che non si era F: il muro diventa grigio il muro prima non era grigio Ora, essere generato o essere creato significa diventare esistente (caso particolare di 'diventare F'): se un oggetto generato, comincia ad esistere, diventa esistente (diventare esistente sarebbe cos un caso particolare di diventare F). In tal caso, essere generato implica il fatto di non essere stato esistente: se qualcosa generata a un tempo t, allora, esattamente prima di t, questa cosa non esisteva. Socrate diventa esistente Socrate prima non era esistente E questo ci che Parmenide vuol dire quando suppone che tutto ci che (ipoteticamente) generato, deve provenire dal non-ente. Primo argomento: per costruire il suo primo argomento contro la generazione, Parmenide aggiunge a questa supposizione una sola premessa: non si pu n dire n pensare che esso non esiste (v. 9-10). (qui Parmenide fonda sicuramente questa premessa sul suo principio: se un ricercatore x, pensa ad un oggetto y, y deve esistere). Il primo argomento quindi il seguente: ci che esiste ipoteticamentegenerato a partire da ci che non esiste ora, non si pu n dire n pensare che ci che esiste non esiste quindi: ci che esiste non pu essere generato. Ora, il problema che la premessa (2) debole: infatti, se io credo che qualcosa generata, non sono obbligata a dire che questa cosa non esiste; sono obbligata a dire che essa non esisteva. Parmenide deve quindi dimostrare che: (2*) ora, non si pu n dire n pensare che ci che esiste non esisteva. Ora, per dimostrare che ogni frase della forma x non esisteva falsa, non posso invocare n la formulazione (1B) (se x pensa, a un tempo t, a y, bisogna che y esista a un tempo t) n la formulazione (1C) (se x pensa, a un tempo t, a y, bisogna che y esista a un tempo qualunque), bens la versione pi forte, e cio (1A) (se x pensa, a un tempo t, a y, bisogna che y esista sempre). Ma, come abbiamo gi detto in precedenza, la versione forte del principio di Parmenide verosimilmente falsa. Quindi, il primo argomento di Parmenide contro la generazione non concludente.

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Gli eredi di Parmenide: Platone e Aristotele Consideriamo la relazione Parmenide, Platone e Aristotele da tre punti di vista: 1) la determinazione della classe degli enti o esistenti; 2) la determinazione delle propriet che l'ente deve possedere in quanto ente; 3) il metodo della metafisica come ontologia. 1) La classe degli enti. Parmenide il primo pensatore per il quale la classe delle cose esistenti non si esaurisce nella natura (materiale). Come abbiamo visto, infatti, in Parmenide l'oggetto primario della riflessione filosofica non pi la physis (che anzi, diviene l'oggetto della via dell'opinione, delle cose che esistono e non esistono, insomma, la via di ricerca che, in teoria, va scartata). L'oggetto primo della filosofia diviene, l'ente, o esistente, cio ci che veramente e eternamente ente (= ci che esiste sempre). Quindi, lo studio della natura non esaurisce l'ente nella sua totalit; al contrario, lo studio della physis posto in secondo piano, per privilegiare lo studio della vera ontologia. In tal senso, Platone e Aristotele sono figli di Parmenide. Platone: Platone accetta senza difficolt la distinzione parmenidea tra il vero essere (eterno, immutabile, ingenerabile, divino: queste sono le caratteristiche delle idee platoniche) e il mondo sensibile, che una semplice immagine, molto imperfetta, del mondo delle idee. Anche Platone, come Parmenide, privilegia assolutamente la ragione sulla conoscenza sensibile: nel Fedone, nella Repubblica (come vedremo), l'intelletto che conosce le idee, mentre la percezione di impedimento alla vera conoscenza. Tuttavia, Platone fortemente critico nei riguardi della concezione parmenidea dellessere e del non-essere. Egli considera lessere parmenideo come unico, e Parmenide come monista (una concezione, questa, che non necessariamente corretta: molti studi contemporanei mirano a dimostrare che lessere parmenideo in realt molteplice: si tratta degli enti oggetto di ricerca, non di un ente unico. In tal senso, Parmenide sarebbe precursore di Platone, cio della sua dottrina delle idee). Quanto al non-essere, nel Sofista Platone sostiene che in qualche misura il non-essere : il rosso non il viola: esso, cio partecipa dellidea del diverso in relazione al viola. Di fatto, la dottrina delle idee di Platone vuole rendere conto della molteplicit di propriet che una cosa pu possedere, e della possibilit di pronunciare delle frasi che esprimono questa pluralit senza contraddizione. Di fatto, la dottrina delle idee, fornisce una spiegazione del perch le cose sensibili possiedono pi caratteristiche. Per esempio, una cosa bella perch partecipa del bello. Aristotele: anche Aristotele accetta la posizione di Parmenide secondo cui la physis non esaurisce tutto lesistente. Anzi, egli presenta una netta distinzione tra la metafisica come scienza dellente in quanto ente, e la fisica, che si occupa solo degli enti fisici, cio soggetti a vari tipi di mutamento. A questa parte della filosofia, egli aggiunge la teologia, che studia gli esseri eterni e divini. Aristotele, quindi, accetta loperazione parmenidea : la fisica diviene espressione non di tutto il reale, ma di una sola parte di esso. Tuttavia, a differenza di Parmenide e Platone, Aristotele non crede che solo gli esseri eterni (e divini) sono i veri esseri. Egli contro lidea parmenidea e platonica,
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secondo cui la physis di fatto non-essere: egli mantiene lo statuto positivo delle cose fisiche, e della fisica che li studia. Per Aristotele, quindi, vi sono pi esseri: gli enti fisici, gli enti divini, gli enti matematici, ecc. Casomai si tratter, come abbiamo visto, di riflettere sul concetto di esistenza: vi sono enti che esistono in maniera indipendente (le sostanze, fisiche, astrali e immateriali, cio gli enti divini); altri che esistiono in maniera dipendente (le propriet, i numeri, i concetti universali). A queste classi di enti, corrispondono scienze differenti e parziali: la fisica, la teologia, le scienze biologiche, le matematiche. Solo la metafisica come scienza dellessere sembra essere una scienza universale: essa studia la totalit dellente in quanto ente, cio nelle propriet che le appartengono in quanto ente. Quanto agli altri due aspetti (determinazione delle propriet degli enti, metodo scientifico), vedremo che, con qualche difficolt, Platone e Aristotele erediteranno certamente il metodo parmenideo, scientifico e rigoroso.

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Platone: la dialettica (Repubblica, libri VI e VII) I personaggi del dialogo non vengono indicati, e Socrate il narratore continuo degli discorsi del dialogo. I personaggi del dialogo narrato sono, oltre a Socrate, i seguenti. Nella maggior parte dei libri, (II-X) gli interlocutori sono Glaucone e Adimanto, fratelli di Platone. Essi erano uomini di eccellenza, interessati alla filosofia, ma non veri filosofi. Nel I libro, gioca un ruolo di rilievo Trasimaco di Calcedonia, la cui attivit si colloca negli ultimi decenni del V secolo. Egli era un sofista politico, sostenitore della tesi che la giustizia il vantaggio del pi forte, ed tale tesi che viene discussa nel primo libro. Il dialogo si apre con una discussione tipicamente socratica, che verte intorno alla questione che cos' la giustizia?. Tale questione si articola in una discussione etica (che verte sull'anima e sulla vita giusta) e politica (sulla citt giusta e ingiusta). Nell'insieme, come dice M. Vegetti, si possono individuare nelle Repubblica due blocchi nettamente distinti. Il primo, a carattere etico-politico, comprende i libri I-V e VIII-IX, e potrebbe effettivamente portare il titolo tradizionalmente attribuito al dialogo Sulla giustizia. Il secondo comprende proprio i libri che qui ci interessano (VI-VII) e potrebbe ricevere il titolo Sulla filosofia. In teoria, i libri VI e VII non presentano, nell'architettura del dialogo, quella centralit che verr loro riconosciuta dalla tradizione pi antica fino ad oggi. In effetti, essi si presentano come una lunga appendice destinata ad argomentare, sul piano etico e su quello della realt e dell'epistemologia, la legittimit e la plausibilit della proposta di un governo dei filosofi. Tuttavia, almento a partire dal commentario alla Repubblica di Proclo, i libri VI e VII vengono privilegiati, poich contengono la metafisica di Platone, che si identifica con la celebre dialettica platonica che, come vedremo, si configura come scienza suprema degli esseri e, al tempo stesso, come metodo filosofico rigoroso. L'unit dei libri VI e VII formata dal susseguirsi di una serie di celeberrime immagini: la metafora solare, il modello ontologico e epistemologico della linea, l'allegoria della caverna. Leggeremo il libro VII, ma cominceremo certamente dall'ultima parte del libro VI, appunto la parte che presenta le similitudini del sole e della linea. Libro VI: il sole e la linea (506E-511E, pp. 821-39 Vegetti). Per convincere gli interlocutori della bont della teoria di un governo dei filosofi, Socrate tenta una riflessione sulla vera natura filosofica, per fugare i sospetti, evocati da Adimanto, che la presentano come inutile ed eccentrica, se non addirittura malvagia (487D). Tale natura rivelata dallo statuto ontologico degli oggetti a cui il filosofo si dirige: oggetti stabili, ordinati e invariabili, di contro all'arbitrariet degli oggetti della doxa. Ovviamente, tali oggetti sono le idee, che si rivelano essere universali, contro la particolarit degli oggetti dell'opinione. Il filosofo, avendo rapporto con ci che divino ed ordinato, pu trasporre tale ordine nella giustizia. Platone si spinge ancora oltre, e nella Repubblica, gerarchizza il regno delle Idee, ponendo alla sommit di tale regno l'idea del Bene (o del buono, come traduce Vegetti: to agathon). Questo per fondare la superiorit etica, oltre che conoscitiva, del filosofo, che dovr conoscere e dominare le idee. Quindi i filosofi, nel loro cammino educativo, dovranno seguire un tortuoso e lungo percorso, quello della dialettica, che conduce alla conoscenza delle idee, su su fino all'idea del Bene (505A). Tuttavia, alla
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domanda di Glaucone su cosa sia il Bene, Socrate afferma di non sapere cosa sia, e di conseguenza propone di accontentarsi di discutere del rampollo del Bene (enkonos tou agathou: 506E): il Sole. Perch Socrate nella Repubblica rifiuta di parlare del Bene in s? Perch la definizione e la determinazione di esso sono irte di ostacoli. In effetti, prima di tutto si hanno delle opinione molto varie sul bene (si va dall'identificazione del Bene con il piacere a quella del Bene con la Saggezza), il che significa che non si possiede un accordo a proposito del bene (505A-D). Inoltre, queste opinioni si rivelano inadeguate, soprattutto se consideriamo il Bene come principio delle Idee (506C-D). E' per questo che Socrate si serve di un'immagine per parlare del Bene, ossia del Sole. E qui inizia la sezione pi celebre della Repubblica di Platone, quella appunto che si serve delle tre immagini del Sole, della Linea e della Caverna. Tuttavia, malgrado la celebrit, questa sezione resta alquanto difficile da comprendere. In effetti, si parla sempre di tre immagini (sole, linea, caverna): tuttavia, Socrate stesso opera una divisione tra, da una parte il Sole e la linea, e dall'altra la caverna. Infatti, quando Socrate arriva a parlare della caverna (VII, 514A), la distingue chiaramente dalle altre due immagini; in compenso, quando in 509C, Socrate conclude il discorso sul Sole e comincia quello della linea, fornisce una chiara indicazione del fatto che la linea completa il sole (e che quindi, non si ha un cambio di argomento). Inoltre, queste immagini non aiutano veramente a comprendere cosa sia il Bene, n a caratterizzare la conoscenza del Bene da parte dei filosofi, che tuttavia una conoscenza importantissima. Con l'immagine del Sole, Socrate stabilisce un parallelo stretto tra ci che avviene nella realt sensibile, e ci che avviene in quella intellegibile. Immagine del Sole (506E-509D) Sole (A) oggetti visibili (B) occhio (organo) (C) vista (facolt) (D) luce (E) Sole (F) Divenire Bene (A*) oggetti intellegibili (noet) (B*) intelletto (nous) o anima (psych) (C*) intelligenza (fac. di afferrare i noet) (D*) verit/essere (E*) Bene (F*) Essere

Relazioni tra gli oggetti sensibili: grazie alla vista (C), l'occhio (B) vede gli oggetti visibili (A), a patto che gli oggetti (A) siano illuminati dalla la luce (D) prodotta dal sole (E). Relazione tra gli oggetti intellegibili: grazie all'intelligenza (C*), l'intelletto (o anima) (B*) pu afferrare le Idee (gli oggetti intellegibili, (A*)), a patto che essi (A*) siano illuminati dalla Verit (D*), prodotta dal Bene (E*). Platone aggiunge un sesto oggetto ((F*); (F*)) pi una relazione. Il sole (E) anche responsabile del divenire delle cose (F); al livello dell'intellegibile, in cui abbiamo l'essere, il Bene (E*) responsabile dell'essere delle Idee (F*)). C' una sorta di equivalenza larga tra il sole che causa del divenire degli oggetti sensibili, e il Bene che causa dell'essere delle Idee. Quindi, qui siamo in presenza di una relazione causale di tipo quasi efficiente. Si noter che qui l'essere opposto al divenire: potremmo dire, in modo parmenideo, che l'essere connotato dall'invarianza, dalla a17

temporalit, dall'identit, laddove il divenire ha tutte le caratteristiche di cambiamento che conosciamo. Lo scopo dell'analogia di chiarire l'idea del Buono e la sua funzione. Tuttavia, restano parecchi problemi di comprensione. 1) 507B (p. 823 Vegetti): la base per stabilire l'idea del Buono la dottrina delle idee. Affermiamo...ne designamo la rispettiva essenza. Il fondamento di questa teoria si trova nel Fedone (74A-75B), dove si stabilisce una relazione tra l'idea e le sue manifestazioni sensibili. L'idea, con il suo carattere di invarianza, eternit, ecc., permette la definizione. 2) La natura del Buono. E' un'idea, ma anche ci che va al di l dell'essenza (509B: epekeina tes ousias). La questione che si pone allora la seguente: il Buono trascendente, o rappresenta il limite esterno del conoscibile? Ora, il Buono non viene definito, piuttosto viene caratterizzato attraverso le sue funzioni.In particolare, vengono messe in risalto le sue funzioni sulla base del rapporto conoscitivo che si ha delle idee. Il Buono conferisce agli oggetti della conoscenza (le Idee) verit ed essere. Ma cosa significa che il Buono causa dell'essere (esistenza) delle idee? E cosa significa che il Buono causa la verit delle idee? La verit risulta innanzitutto una propriet ontologica dell'essere delle idee. Essa dipende dal grado di realt deelle idee, cio dalla loro perfezione, eternit, invarianza. Dal punto di vista soggettivo, il Buono causa di scienza e verit (508E). La verit delle idee la condizione di possibilit dello statuto della conoscenza. L'essere vero delle idee deriva dal Buono, forse nel senso che il Buono l'utile, e quindi il desiderabile; le idee sono quindi desiderabili nel senso che l'anima desidera conoscerle. Il Buono, in quanto condizione di conoscenza e verit (delle idee) non si identifica con esse. Inoltre, il Buono causa dell'essere delle Idee (cos come il sole condizione del divenire delle cose). Una possibile spiegazione la seguente. Sappiamo che il modo d'essere delle idee la perfezione, l'invarianza, la permanenza. Si potrebbe pensare che il Buono causa non tanto dell'esistenza delle Idee, quanto di queste caratteristiche.

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La linea (509D-511E) Noetico Pensiero puro (dialettica) Oggetti: Idee-principio del bene? Metodo: ascesa: dall'ipotesi all'anipotetico discesa (dal principio alle conclusioni) Oggetti: sensibile metodo: dalle ipotesi alle conclusioni

Pensiero discorsivo (matematiche)

_____________________________________________________________________ Visibile (sole) Opinione Oggetti: enti sensibili (alberi, animali) Oggetti: immagini (ombre, riflessi) delle cose sensibili.

Immaginazione

Il rapporto tra le matematiche e la dialettica. Le matematiche e la dialettica hanno a che fare con il noetico. Tuttavia, Platone rileva delle debolezze delle matematiche rispetto alla dialettica. 510B : Nella prima sezione...e attraverso le idee. Le differenze principali sono le seguenti: - quando l'anima ha a che fare con il primo segmento del noetico (nel senso del pi basso), si serve delle cose sensibili (che nel segmento del visibile, sono invece le cose oggetto di imitazione delle immagini) a loro volta come di immagini (ovviamente, delle idee); ed costretta a condurre la sua ricerca a partire da ipotesi. NB. Platone inizia a parlare di ricerca solo quando l'intelletto fa la sua comparsa (cf. Parmenide). - invece, nella seconda sezione, l'anima si muove dalle ipotesi a un principio anipotetico, e non usa gli oggetti sensibili (immagini di cui si serviva nella sezione precedente), ma ma si fonda sulle idee attraverso le idee. Glaucone non ha capito, e Socrate fornisce spiegazioni ulteriori. Le matematiche 510C-D (pp. 833-835 Vegetti):
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Penso, infatti...intorno a cui verteva l'indagine. Uso delle ipotesi 1) coloro che si occupano di aritmetica, geometria e simili, pongono le ipotesi e procedono come se le conoscessero (510C6: os eidotes); 2) non ritengono di dover dare ragione (510C6-7: logon didonai) di esse n a se stessi, n agli altri; 3) in tal modo, esse fungono da punti di partenza, cio da principi (510D: ek touton archomenoi) 4) a partire dalle ipotesi, i ricercatori passano attraverso le cose restanti (510D1-2: ta loipa diexiontes; non svolgono le conseguenze, come traduce Vegetti, ma attraversando le cose restanti)) 5) concludono per accordo (510D2: teleutosin omologoumenos) 6) riguardo a ci intorno a cui verteva l'indagine. 510D-511A (pp. 835 Vegetti): Dunque sai anche...se non con il pensiero. Uso dei sensibili 7) i ricercatori di cui stiamo parlando si servono delle figure che si vedono (510D5: tois oromenois) e producono le argomentazioni (510D6: tous logous) intorno a queste. Tuttavia, il ricorso a queste immagini non fa di queste indagini, delle indagini rivolte al sensibile, in quanto: 8) questi ricercatori si servono delle figure visibili (in quanto possono essere considerati come evidenti, cf. 511A8), che disegnano e modellano, come immagini di originali visibili solo al pensiero (511A1: te dianoia); inoltre, i loro logoi, cio le loro argomentazioni, riguardano le figure visibili (510D6: peri auton), ma sono in vista (510D8: eneka) appunto degli originali visibili solo al pensiero, come per esempio il quadrato in s e la diagonale in s. Cf. Menone (82B-85B). Per contrasto, al livello superiore, quello della potenza del discorrere dialettico (511B3): 511A-C (p. 837 Vegetti): Capisci dunque...e conclude a idee. 1) le ipotesi sono pensate come realmente ipotesi, come punti di appoggio e di partenza (511B5: epibaseis te kai ormas); 2) per procedere (ion, participio di eimi) fino al non ipotetico, il principio del tutto (B5-6: tou anypothetou epi teh tou pantos archen); in tal modo 3) si perviene a disporre di ci che autenticamente principio (511B6: apsamenos autes) 4) mantenendosi connesso alle cose connesse al principio (oppure, come traduce Vegetti: segue tutte le conseguenze che ne dipendono: 511B6-7: echomenos ton ekeines echomenon); 5) si ridiscende verso una conclusione (B7: outos); 6) la conclusione verte su idee (511C2: teleuta eis eide). Con questo modo di procedere:
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7) non si fa ricorso a nulla di sensibile (511C1). La messa in parallelo di ci che fanno le matematiche e ci che fa la dialettica pone una serie di problemi e osservazioni: (1) che cos' un'ipotesi, e di conseguenza, che cos' un anipotetico? Due le interpretazioni date dagli studiosi: (a) secondo la prima, le ipotesi sono gli oggetti (il pari, il dispari, le figure, i tre tipi di angoli, secondo gli esempi dati da Platone in 510C4), e di conseguenza, i logoi che i matematici non danno (e la dialettica, s) sono le definizioni degli oggetti corrispondenti. (b) secondo la seconda interpretazione, le ipotesi sono proposizioni, che possono essere o assunzioni di esistenza (ipotizziamo che il pari esiste) o definizioni ipotetiche (ipotizziamo che questo triangolo, tracciato sulla sabbia, triangolo abbia tre lati e tre triangoli). E probabile che questa sia la posizione corretta: le ipotesi sono ci che funge (senza esserlo) da principi delle dimostrazioni. Le ipotesi sarebbero tali perch i matematici non parlano di oggetti, ma di immagini sensibili, pur deducendo da esse delle propriet che valgono non per queste immagini, ma per gli originali. (2) non rendere ragione dell'ipotesi (matematiche)/ andare fino al non-ipotetico, il principio del tutto (dialettica). Rendere ragione dell'ipotesi significherebbe procedere fino all'anipotetico? Come si configura questo percorso dall'ipotetico al non-ipotetico? Come una risalita (come sembra suggerire il testo) o come una discussione dialettica (cf. 511B3: la potenza del discorrere dialettico) che mira rendere salda l'ipotesi, diciamo secondo il modello di quella di Aristotele nel libro Gamma della Metafisica a proposito del principio di non contraddizione? Nel primo caso, lascesa corrisponderebbe a quella che, in matematica, si chiama analisi: si tratta di provare A; si cerca una proposizione B, dalla quale A sia deducibile; si ripete loperazione, fino a quando si arriva a X, proposizione che non ha bisogno di ulteriore dimostrazione. Ma perch sarebbe la dialettica a fare questa operazione, e non le stesse matematiche, di cui lanalisi un procedimento noto? Nel secondo caso, si tratterebbe di una proposizione di cui la dialettica stabilirebbe lesattezza. Dare un logos allipotesi, significherebbe dunque trasformare le proposizioni ipotetiche in proposizioni non ipotetiche. In che maniera? Con un procedimento dialettico. Prendiamo una definizione ipotetica (il triangolo ha tre angoli), e prendiamo la proposizione contraddittoria (il triangolo non ha tre angoli). Vediamo cosa deduciamo dalluna e dallaltra. Se da una delle due deduciamo conseguente contraddittorie, allora resta laltra, verificata. (3) l'anipotetico si identifica col principio del tutto (= il Buono) oppure no? Se si identifica, Platone starebbe dicendo che tutte le ipotesi di tutte le scienze derivano direttamente dal Buono. Se invece non c' identificazione, ma solo derivazione (Buono-principio antipotetico-ipotesi), allora nulla vieta di pensare che l'anipotetico sia molteplice. Avremo cos la sequenza principio anipotetico-ipotesi per ciascuna scienza; e tutti i principi anipotetici deriveranno o avranno una dipendenza, dal principio del tutto (o il Buono), anche se tale derivazione/dipendenza resta assai misteriosa.

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(4) quello che indubbio, che sia nel caso delle matematiche, che in quello della dialettica, si prospetta un procedimento di discesa deduttivo, che dalle premesse (ipotesi, o principi anipotetici, ovverosia gli assiomi) giunge alle conclusioni. E questo fa della dialettica una scienza dimostrativa.

Libro VII: la caverna (514A-517A) A questo punto, Platone presenta una terza similitudine, un po diversa dalle altre due, poich, sulla base delle sequenze ontologico-veritative presentate nelle prime due similitudini, presenta il processo educativo (o non educativo) cui sono sottoposti gli esseri umani (cf. inizio del libro, 514A: paragona alle cose dette4 la nostra natura, in rapporto all'educazione e alla mancanza di educazione). L'analogia della caverna celeberrima. Ci sono degli uomini che si trovano in una caverna sotterranea, rivolti alla parete, con collo e gambe incatenati, incapaci di muoversi. Alle loro spalle, un'entrata spalancata alla luce, larga quanto la caverna. La luce viene da un fuoco acceso, alle spalle degli uomini e lontano. Tra il fuoco e i prigionieri passa una strada, lungo di essa stato costruito un muretto. Dietro questo muretto passano degli uomini, nascosti da esso, che portano e fanno sfilare sopra il muretto delle marionette raffiguranti uomini, animali, ecc. Gli uomini incatenati vedono solo le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna, e, all'occorrenza, sentono delle voci che associano alle ombre. Essi vedono quindi ombre, ombre di loro stessi e dei compagni; ombre delle marionette che vengono fatte sfilare. L'analogia della caverna raffigura la mancanza di educazione iniziale degli esseri umani (incatenati, nelle tenebre, faccia al muro della caverna), e l'educazione intellettuale che pochi di essi subiscono (i governanti), e che si volge attraverso tre soggiorni educativi. Durante i primi due soggiorni, restiamo nella caverna. All'inizio (515A-B) siamo prigionieri, obbligati solo a vedere le ombre; in seguito (515C-D), liberati dalle catene, ma sempre nelle tenebre della caverna, vediamo le marionette stesse, che nell'analogia, rappresentano le cose sensibili. Durante il terzo soggiorno (515E-516D), ci troviamo al di fuori della caverna. L in alto, dopo una sorta di acclimatazione, potremo guardare, grazie ai raggi del sole, gli oggetti reali del mondo esteriore, cio, potremo contemplare le idee grazie all'illuminazione dell'idea del Buono. Dopo questa illuminazione metafisica, le tenebre del mondo sensibile ci avviluppano di nuovo (516E- 517A). Ridiscendiamo nella caverna, e ci riuniamo di nuovo agli uomini che sono sempre rimasti incatenati. Rapporto verit/essere. E' possibile parlare del primo soggiorno (riguardante le ombre) in termini di verit e essere? Platone afferma (515B) che se i prigionieri fossero in grado di discutere tra loro, chiamerebbero oggetti reali (onta) le ombre che vedono, e (515C) considererebbero il vero (to alethes) come nient'altro che le ombre degli oggetti artificiali (cio, le marionette fabbricate). I prigionieri, quindi, attribuiscono una verit alle ombre, ma Platone sembra indicare che essi, nel far ci, si sbagliano, sono vittime di una confusione. Quindi: il primo soggiorno non contempla gradi n di verit n di essere. Che dire, poi, del secondo soggiorno? Platone osserva (515D, pp. 843-845 tr. Vegetti):
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Il riferimento alle due similitudini del sole e della linea trattate in precedenza. 22

se qualcuno gli dicesse...di quel che adesso gli si mostra? Platone dice che il prigioniero liberato pi vicino all'essere e rivolto ad oggetti dotati di maggior esistenza (engutero tou ontos; pros mallon onta); ma che, in difficolt, riterr che ci che vedeva prima era pi vero di quel che vede adesso. Il che implica che probabilmente, per Platone, gli oggetti sensibili sono pi vicini all'essere e alla verit, senza esserlo. Quindi, liberati dalle catene, siamo pi vicini alla verit, senza averla ancora raggiunta. Quindi, anche nel secondo soggiorno, non ci sono gradi di verit n di essere. 3 soggiorno: 515D-516A (p. 845 tr. Vegetti): E se ancora ... che ora chiamiamo vere?. Anche qui, Platone insiste su ci che gli uomini ora chiamano vero, cio su ci che gli uomini prendono per la verit. Tuttavia, sebbene la formula non esprima necessariamente l'opinione di Platone, saremo d'accordo sul fatto che gli oggetti esteriori alla caverna sonoo rappresentanodelle cose vere. In effetti, tutti gli studiosi sono d'accordo sul fatto che questi oggetti rappresentano il mondo delle idee. La regione esterna alla caverna non epistemicamente uniforme, ma Platone segnala con cura le differenze tra gli oggetti esteriori, sottolineando dei gradi differenziati di sapere e di verit e essere). 516A-C (p. 845-47 Vegetti): Avrebbe dunque bisogno vedevano nella caverna. - per prima cosa vediamo le ombre; - dopo di ci, i riflessi nell'acqua degli uomini e degli animali; - in seguito le cose stesse; - dopo queste cose, i corpi celesti visti di notte; - infine, il sole; - dopo queste cose, facciamo dei ragionamenti (sulloghizesthai) a proposito del sole e delle sue operazioni. Ci son quindi sei tappe successive al di fuori della caverna, la cui interpretazione difficile. Certamente, si tratta di un processo perlomeno analogico alla formazione matematica dei governanti di cui Platone dar una descrizione pi tardi, sempre nel libro VII. Quello che certo, che qui siamo in una regione della verit. Gli oggetti di questa regione sono ordinati (si noti la sequenza: prima, dopo di ci, in seguito...). Dopo aver rimirato queste cose, dobbiamo ridiscendere nella caverna (516E-517A). Quesa ridiscesa, che forma parte integrante dell'analogia, e che ci fornisce gli echi della morte di Socrate (517A: chi provasse a scioglierli e a guidarli verso l'alto, appena potessero afferrarlo e ucciderlo, non lo ucciderebbero?), non riguarda pi la formazione dei governanti, ma piuttosto i risultati di questa formazione. Le persone cos formate se ne starebbero volentieri lass a rimirare le vere realt, ma debbono per forza tornare nella caverna per governare gli altri esseri che sono rimasti quaggi. Platone parla dei pericoli che essi correranno: ci si prender gioco di loro, nessuno creder loro, e una morte violenta non da escludere. A questo punto, Platone applica l'immagine della caverna all'educazione degli esseri umani: 517B-C (p. 849 Vegetti): Quest'immagine sia in quella pubblica. L'idea del buono, conoscibile, sebbene a stento, causa di tutto ci che vi di retto e di bello. Nel regno del visibile, ha generato la luce e il suo signore (il sole); nel regno del noetico, essa stessa signora e dispensatrice di verit e di pensiero(517C4).
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Abbiamo gi visto (analogia del sole, 508E1-3) che quest'ultima frase va intesa nel modo seguente. L'idea del buono d la verit agli oggetti conosciuti, cos come essa fornisce ai soggetti conoscenti la capacit di afferrare la verit. Il vero L'aggettivo greco alethes (vero), cos come il suo gemello pseudes (falso), possono essere applicati a due entit differenti: (a) si pu dire di un oggetto, di un 'ente', che alethes, vero (o falso); e si pu dire di una proposizionedi un pensiero, di un'affermazione, ecc.che vera (o falsa). Il primo impiego oggettivo, il secondo proposizionale. Tutti e due questi usi si trovano nel greco di qualsiasi epoca. Limitandosi a Platone, si noter l'impiego oggettivo in 515D7, in cui alethes (in forma comparativa) predicato di ci che si vede o delle marionette, e l'impiego proposizionale in 517B7, in cui alethes detto della speranza di Socrate, cio di una proposizione (spero che P (potr contemplare il buono) sia vera). Per precisare la differenza tra i due usi, possiamo invocare dei fatti sintattici e dei fatti semantici. 1) dal punto di vista sintattico. Applicato agli oggetti, l'aggettivo vero dev'essere interpretato, dal punto di vista sintattico, come aggettivo attributivo. Cio, il termine vero si attacca ad un altro termine predicativo per formare un predicato complesso. Essere vero, in questo uso, sempre essere un vero F. Per esempio, non diciamo questo gatto vero, ma questo gatto un vero gatto. La sintassi canonica del termine vero, preso come attributo degli oggetti, si esprime attraverso la formula x un vero F. Applicato alle proposizioni, il termine vero pu essere interpretato, dal punto di vista sintattico, come equivalente alla formula vero che... in cui il posto vuoto dev'essere occupato da una frase ( vero che lass potr contemplare il buono). La sintassi canonica sar: vero che P. NB anche una frase del tipo il teorema di Pitagora vero dev'essere analizzata nei termini seguenti: c' una proposizione P che esprime il teorema di Pitagora, ed vero che P. 2) dal punto di vista semantico. Nel suo impiego oggettivo, il termine vero significa pi o meno reale. Nel caso che stiamo esaminando, i veri F sono degli oggetti che sono realmente F; essi si differenziano dalle cose che possiamo nominare F solo in senso derivato, modificato, limitato, apparente. L'idea del buono vera l'idea del Buono veramente buona l'idea del Buono realmente buona. Gli oggetti sensibili sono esseri solo in senso limitato o apparente. Da un cero punto di vista, il termine vero non aggiunge nulla. Dire che le idee sono veri esseri significa dire che le idee sono esseri. Dal punto di vista proposizionale, il termine vero designa ci che si verifica ( il caso, dicono i logici). E' vero che P se e solo se P ( vero che contemplo il buono se e solo se contemplo il buono). Anche in questo caso, il termine vero in un certo senso superfluo. Ad ogni modo, i due usi non sono incompatibili. In ogni caso, Platone si interessava soprattutto alla verit degli oggetti. La teoria delle idee, infatti, si fonda su questo tipo di verit. Solo le idee, secondo Platone, sono cose vere. L'idea di F un vero F, e null'altro un vero F. L'idea di letto un vero letto, mentre i letti terrestri, nei quali dormiamo, non sono che letti immaginari o

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apparenti, a cui il predicato letto appartiene solo in maniera derivata. Con tutti i problemi che ne seguono, e di cui abbiamo parlato. 518C-521B 1) la vera educazione quindi una conversione (518D: periagogh) dellanima 2) Problema: i fondatori della citt costringono le migliori nature a indirizzarsi verso la conoscenza e poi a ritornare nella caverna 521C-531C Come formare i filosofi, futuri governanti della citt? In particolare, quali sono i saperi da cui partire, per operare la conversione alla filosofia (cio, il passaggio dal divenire verso ci che ? In questa sezione, Socrate cerca di stabilire un corso di studi che ci permettano questa conversione. Questo corso di studi costituito dalle matematiche, che in fine, ci conducono alla dialettica. I neoplatonici hanno preso questo precetto molto sul serio. Si veda per esempio figure di filosofi come Ipazia di Alessandria, Ammonio, Proclo, che sono stati matematici e che hanno ritenuto necessario fare molta matematica prima di dedicarsi alla dialettica. Per Platone, le scienze matematiche sono 5: 1) aritmetica; 2) geometria; 3) stereometria (scienza dei solidi); 4) astronomia (scienza dei solidi in movimento; 5) musica. Per quale motivo le matematiche (e non altre scienze) sono propedeutiche alla filosofia? A causa della natura degli oggetti che le matematiche studiano. In effetti, sappiamo gi che Platone opera una differenza radicale tra le Idee (entit singolari) e gli oggetti sensibili (molteplici). Ora (secondo una testimonianza di Aristotele che si trova allinizio del libro Mu della Metafisica), Platone e i suoi seguaci hanno individuato degli oggetti intermedi tra le idee e le cose sensibili, che Aristotele individua negli oggetti matematici. Lorigine di questa teoria si trova proprio nella repubblica. 525D (p. 875 tr. Vegetti): esso (= cio, il sapere relativo al calcolo) guida efficacemente corpo visibile e tangibile. Qui Platone spiega che cosa sono i numeri. Platone presenta una distinzione (che si trova anche nel libro Delta della Metafisica di Aristotele) tra i numeri in se stessi e i numeri che hanno un corpo visibile. La distinzione : - tra numeri che contiamo (es. un libro, due libri, ecc.); - e numeri con cui contiamo (i numeri stessi: es. 2+2 = 4). Si noter che questa operazione si applica ai numeri in se stessi, non alle mele, ai libri, ecc. Quello che Platone critica una concezione fisica dei numeri (forse, anche la raffigurazione dei pitagorici, che raffiguravano i numeri come insieme di sassolini). In pratica, non accetta di dividere luno in parti (per esempio, una mela che si taglia in due). Per lui luno un uno, e non una somma di parti (Platone non aveva il concetto di frazione..). Forse si pu criticare la distinzione platonica tra numeri corporei e numeri non corporei. Infatti, ci sono numeri che numerano oggetti non corporei, come per esempio, quando diciamo che questo argomento ha due premesse e una conclusione. In questo caso, si numerano oggetti incorporei, e non esatto dire che i numeri che contiamo sono solo oggetti corporei.
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La vera distinzione che sta alla base di quello che dice Platone, piuttosto la seguente: - numeri come aggettivi (per esempio, due libri); - numeri come nomi (per esempio, 2+2=4. Qui usiamo i numeri come nomi, perch non ci chiediamo due di che cosa?). Potremmo quindi dire che i numeri-aggettivi non hanno nulla a che fare con le scienze matematiche (come invece pretendono i cattivi matematici, quelli che pensano che la loro scienza abbia a che fare con oggetti sensibili). In effetti, questi numeriaggettivi si accompagnano talvolta a oggetti corporei (per esempio, i libri), talvolta a oggetti non corporei (com il caso dellesempio delle premesse, o com il caso dei nostri pensieri): ma questi oggetti non sono degli oggetti matematici. Ma: come caratterizzare i numeri in quanto oggetti matematici? Platone infatti parla di numeri in se stessi (525D6: autoi oi arithmoi). Generalmente, questa maniera di esprimersi in Platone tecnica: infatti utilizzata per designare le idee (il bello in s, il buono in s), ivi compresi i numeri (luno in s, la diade in s, ecc.). Ma nel contesto in cui ci troviamo ora, difficile credere che Platone parli delle Idee dei numeri, perch le idee non sono ancora state menzionate. Riprendiamo ancora quello che Platone afferma nel passo appena letto: 525D-E (p 875 Vegetti, in fondo): sai bene che gli esperti in questo campo ma come la somma di molte parti. Lidea di questo passo che luno in se stesso non pu mai essere diviso, mentre una mela s. 526A (p 877 Vegetti): secondo te, Glaucone accessibili soltanto al pensiero. Immaginiamo la situazione seguente: una mela e una mela fanno due. Posso immaginare che ci saranno delle differenze tra le mele, di taglia, di colore, ecc. Se invece dico 1+1 = 2 Non ci sar nessuna differenza tra i due 1, ma solo una ripetizione di essi. Questo far s che Aristotele attribuisca a Platone la teoria secondo cui i numeri sono delle entit intermedie tra le idee e gli oggetti sensibili: - le idee infatti sono uniche, e di conseguenza indifferenziate; - gli oggetti percettibili sono molteplici e indifferenziati; - i numeri sono indifferenziati, ma molteplici (1+1+1+1). Ci sono pi 1 (e cos per gli altri numeri). Secondo Aristotele, e a ragione, ci sono tali oggetti intermedi per tutte le matematiche (ed per questo che Platone consiglia di studiarle tutte): pi cerchi (geometria), pi solidi (stereometria), ecc. Per esempio, un teorema di Euclide (la costruzione del triangolo?) richiede di partire da due cerchi parzialmente sovrapposti. Resta il problema di capire in che maniera si pu credere che questo 1 e questaltro 1 sono differenti, se non hanno nessuna differenza (Principio di identit di Leibnitz: se due enti non hanno alcuna differenza tra loro, si identificano). E alcuni studiosi pensano che non ci sono molteplici 1, ma uno stesso 1, reiterato. Daltro lato, se si pensa che ci sia un solo 1, come posso ottenere, da un solo 1, 1+1=2?
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Altro problema: Platone situa laritmetica allinizio del percorso dialettico; ma forse avrebbe dovuto porta alla fine del percorso, visto che il concetto di unit pone dei problemi che solo la dialettica pu risolvere, riflettendo appunto sul concetto di uno (che, come sappiamo, sembra pi fondamentale di quello di triangolo: si pensi a ci che Aristotele dice nel libro Alpha della Metafisica, e cio che lUno principio di tutti i numeri (e di tutte le idee).

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