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Traduzione

Al giorno d’oggi il processo di traduzione è più dinamico e preciso rispetto al passato grazie ai
nuovi strumenti di cui disponiamo adesso, e alcuni anni fa impensabili.
Molti studiosi della traduzione sostengono, con una frase che è diventata quasi un mantra in
questo settore di studi, che non si traduce parola per parola o frase con frase, ma testo con testo;
e che non si traduce da una lingua a un’altra ma da una cultura a un’altra. Per cui, sarebbe troppo
riduttivo de nire l’attività del tradurre come semplice passaggio da una lingua a un’altra.
Un traduttore avveduto deve essere consapevole che quando traduce ha a che fare con un testo
in genere riconducibile a una tipologia particolare (descrittiva, narrativa, argomentativa espositiva),
scritto secondo norme grammaticali, stilistiche e retoriche condivise da una comunità di scriventi
e di lettori. Dovrà essere consapevole che il testo è un tessuto, cioè un complesso intreccio di li,
come indica l’etimo della parola testo (da textus, tessuto appunto), che lo rendono qualcosa di più
della semplice somma delle parole che lo compongono; dunque, il signi cato di certi testi non si
può enucleare dal modo in cui è esposto. Un traduttore dovrà non solo essere consapevole del
motivo per cui quel testo è stato scritto e per chi è stato scritto, ma dovrei anche sapere per chi
quel testo deve essere tradotto e con quale scopo.
Si tende distinguere fra la traduzione di testi settoriali, che non richiedono la rma e l’autorialità
del traduttore (ad esempio manuali di istruzione), e quelli invece editoriali, che prevedono il
riconoscimento al traduttore dei diritti d’autore. Ciò sancisce una distinzione fra due categorie di
testi, non fondata unicamente su aspetti linguistici, ma determinata da convenzioni extra
linguistiche (il committente, la liera editoriale, il mercato). Il traduttore compie delle scelte in base
alla situazione comunicativa.
Le convenzioni stilistiche e le norme traduttive, cioè quelle modalità dell’agire che conducono il
traduttore a operare certe scelte in un particolare contesto, variano nel tempo e nelle culture. Da
diversi decenni si parla di una svolta culturale negli studi della traduzione, che da questione
meramente linguistica diventa un problema che riguarda più ambiti della ricerca, dalla linguistica
alla letteratura, dalla sociologia alla politica, dall’etica alla lologia, ai cultural studies e alle sue
varie declinazioni (post-colonial studies, feminist studies, queer studies, ecocriticismo…).
La svolta culturale e inoltre uno dei nuclei fondati dei moderni Translation Studies, che a partire
dagli anni 70 hanno cominciato a rivendicare una certa autonomia accademica con studiosi come
André Lefevere, James Holmes, Susan Bassnett, José Lambert.
I Translation studies non costituiscono tanto una disciplina chiusa, bensì piuttosto una ricerca per
sua natura interdisciplinare, dove con traduzione si intende un concetto nomadico, che mette in
discussione la stessa distinzione fra traduzione, parafrasi, l’scrittura, imitazione, adattamento.
La preoccupazione dei TS non è quella di giungere a una serie di regole su come si debba
tradurre, ma di comprendere l’atto produttivo nella sua complessità: un approccio quindi non
descrittivo, che ci dice le regole immutabili dal tradurre, ma descrittivo, poiché studia quell’atto
nella sua complessità e nelle sue svariate applicazioni.
Per comprendere come questo approccio allarghi gli ambiti di competenza della nuova disciplina
è utile il saggio di James Holmes The Name and nature of Translation studies, considerato una
sorta di statuto fondante nel campo di studi. Secondo Holmes i Translations studies si devono
occupare soprattutto dell’analisi e della descrizione dei prodotti della traduzione (ad esempio con
l’analisi comparata anche di più traduzioni di uno stesso testo nel tempo), dei processi (che cosa
accade nella mente dei traduttori), delle funzioni delle traduzioni e lo studio del contesto sociale.
Holmes prevede inoltre una sezione che riguarda gli aspetti pratici, come la formazione dei
traduttori, gli strumenti alla loro disposizione, la critica delle traduzioni. L’impostazione di Holmes
ha sintetizzato l’ambito degli studi della traduzione, allargando lo spettro delle competenze e
rendendoli ancora più evidentemente interdisciplinari.
Questa particolare attenzione verso la traduzione o la “tradizione della traduzione”, un ambito di
ricerca delle letterature comparate, ha sollecitato anche un maggiore interesse nei confronti dei
traduttori, della loro formazione.
Sono inoltre state intraprese opere monumentali come The Oxford History of Literary Translation in
English, che studiano l’impatto che le traduzioni di opere letterarie hanno avuto nella letteratura
nazionale, sui vari generi.l’approccio di questi volumi all’argomento non si limita a individuare le
in uenze di una letteratura nazionale su un’altra o di un autore su un altro. La prospettiva è in
realtà è molto più ampia, e mette in discussione la nozione stessa di canone letterario nazionale.
La letteratura occidentale si può considerare come un tutto unitario in cui i protagonisti non sono
le tradizioni nazionali, bensì gli stili e le tendenze, i quali sono mai stati nazionali. Tutti gli stili sono
translinguistici: Donne è più vicino a Quevedo che Wordsworth. Gli stili sono collettivi e passano
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da una lingua all’altra, le opere invece sono uniche, ma non isolate in quanto ognuna di esse
nasce e vive in relazione con altre opere di lingue diverse.
Alcuni testi teorici hanno o erto chiavi di lettura per indagare le dinamiche di queste relazioni.
Molto in uente nell’ambito dei TS è stato il lavoro di Even-Zohar, che ha introdotto la nozione di
polisistema: la letteratura tradotta, così come tutti quei generi considerati secondari rispetto alla
letteratura del canone nazionale e in genere trascurati nelle storie della letteratura, come la
letteratura per l’infanzia, i gialli e così via, in realtà costituiscono una parte importante di un più
complesso e articolato sistema di sistemi, in cui i vari generi si in uenzano tra loro.
In particolari condizioni storiche, quando ad esempio una cultura letteraria è giovane, o mostra
segni di debolezza, o si trova in una fase di svolta, la letteratura tradotta tende a svolgere una
funzione molto attiva, di modellizzazione del centro del polisistema letterario, introducendo cioè
stili, temi, modalità. La letteratura tradotta si adatta alle convenzioni retoriche dominanti quando
invece il sistema letterario è solido.

Il tradurre è un atto transculturale, socialmente e politicamente situato. Di conseguenza, l’analisi


delle traduzioni non potrà limitarsi al confronto linguistico fra testo di partenza e testo di arrivo,
ma dovrà estendersi anche agli extra-textual sources, e cioè i manoscritti dei traduttori, le loro
note, le interviste. Il peritesto diventa così una strumento importante per comprendere le strategie
traduttive.
Si può ricostruire la storia della traduzione a partire dalla civiltà classico-romana. Un’idea del
tradurre si può fare risalire a un testo di Cicerone, scritto nel 46 a.C., De optimo genere oratorum.
Ri essioni importanti sul tradurre, diventate a loro modo pagine canoniche della disciplina, si
leggono nelle lettere (epitesti) di Girolamo a Pammachio (395), di Erasmo da Rotterdam a
proposito della sua versione latina del Nuovo Testamento (XVI secolo), di Lutero o nelle
annotazioni private di Leopardi nel suo Zibaldone.
A questi peritesti vanno a ancati gli studi autonomi più sistemati dell’umanista Leonardo Bruni, il
quale scrisse il primo trattato dedicato alla traduzione nel mondo occidentale redatto in lingua
latina, il dialogo Del modo dello tradurre di Fausto da Longiano, primo trattato in lingua italiana, il
trattato francese di Dolet, primo martire traduttore, torturato e bruciato sul luogo con l’accusa di
ateismo ed eresia per avere “erroneamente” tradotto un passo sull’immortalità dell’anima di
Platone.

Spesso gli autori hanno messo a confronto strategie a tratti opposte come quella parola per
parola vs senso per senso; oppure hanno descritto in modo più articolato i diversi generi di
traduzione, come ha fatto Dryden con la metafrasi, la parafrasi e l’imitazione; o hanno sottolineato
la legittimità di strategie attente alle esigenze dei lettori.

Con Nida si coltiva l’idea di una scienza della traduzione. Al centro degli studi di Nida c’è la
questione dell’equivalenza, già indicata da Jakobson, il quale a erma che il traduttore ricodi ca e
ritrasmette un messaggio ricevuto da un’altra fonte. Così la traduzione implica due messaggi
equivalenti in due codici diversi.
Rifacendosi al modello di Chomsky, Nida indica due orientamenti di base che possono condurre il
traduttore nella codi ca del messaggio: l’equivalenza dinamica e l’equivalenza formale. Seguendo
l’equivalenza formale, il traduttore si concentra sugli aspetti stilistici e formali del messaggio
originale e cerca di riformularli nella lingua di arrivo, mentre con l’equivalenza dinamica il
traduttore intende produrre nel lettore della lingua di arrivo lo stesso e etto che il testo di partenza
aveva avuto sul lettore della lingua di origine.
La nozione di equivalenza, tuttavia, per quanto costituisca una svolta scienti ca nell’ambito della
traduzione, è stata oggetto di numerose critiche: come si può misurare l’e etto di un messaggio
su due riceventi appartenenti a culture diverse?

Il critico Levy a erma che nell’atto del tradurre è inevitabile procedere a scelte, e quindi a ordinare
gerarchicamente le caratteristiche del testo. Secondo Levi, come nel gioco degli scacchi, nella
traduzione ogni mossa, cioè ogni scelta traduttiva, in uenza le scelte seguenti.
Per poter procedere nella traduzione è necessario individuare nel testo di partenza la dominante,
ovvero quella componente centrale di un testo che governa e determina le restanti componenti:
quindi la caratteristica intorno alla quale si costituisce il testo come sistema integrato, come lo
de nisce Jacobson. La dominante è una componente fondamentale dell’analisi tragica, poiché
sulla sua individuazione si basano la strategia produttiva e la decisione di cosa tradurre. Si tratta
quindi di un nucleo semantico che dovrebbe essere mantenuto nel trasferimento al testo di arrivo.
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Secondo Laura Salmon, è opportuno distinguere all’interno della teoria della traduzione due
macro aree designate dal loro oggetto principale di studio: i prodotti della traduzione da un lato e i
processi della traduzione dall’altro.
L’area che studia i prodotti della traduzione comprende settori prettamente umanistici:
- la storia delle traduzioni (intese come testi scritti);
- la storia del pensiero della traduzione (inclusa la storia dell’interpretazione);
- gli studi socio-culturali della traduzione (che costituiscono i TS).
L’area che studia i processi comprende i settori più prossimi all’ambito delle scienze formali,
sperimentali e applicate:
- la linguistica teorica e applicata, con i suoi sotto-settori (neuro linguistica, psico linguistica,
sociolinguistica…);
- le scienze cognitive;
- la traduzione automatica (linguistica applicata informatica);
- la traduzione assistita (l’uso delle banche dati elettroniche e di applicazioni speciali di supporto
a un trattore umano).
In ogni caso, chi si occupa dei processi della traduzione non può ignorare lo studio dei prodotti
della traduzione e viceversa, nella loro varietà nel tempo e nello spazio. Per cui, è innegabile
l’indispensabile complementarietà delle due macro-aree.

Gli studi sulla traduzione, no agli ultimi anni del novecento, si sono occupati soprattutto della
tradizione occidentale. Con lo sviluppo degli studi e l’intensi carsi degli scambi con il mondo
orientale si è registrato un sempre maggiore interesse nei confronti delle storie e delle teorie non
occidentali.
Questo ha aperto la strada a una serie molto imponente di studi che si sono intrecciati con i
Cultural Studies, l’etnogra a, la sociologia, la geogra a, l’etica, la politica, ecc.

Il legame tra TS e comparatistica si stringe in Europa a partire dagli anni 70, quando studiosi quali
José Lambert e André Lefevere discussero di traduzione letteratura comparata sulle pagine delle
maggiori riviste internazionali.
Come notano Susan Bassnet e David Johnston, i TS hanno messo al centro della loro ri essione
concetti chiave radicati nel discorso della di erenza, della simultaneità, della contingenza, della
mobilità e dell’ospitalità, concetti il cui continuo intrecciarsi aumenta la capacità di approfondire
ed estendere la ricerca. La svolta auspicata con la loro proposta di outward turn, cioè di apertura
dei TS verso l’esterno, è di considerare gli studi della traduzione come interdisciplina.
La traduzione è da sempre una delle principali forme di circolazione del sapere: questo ha reso i
TS il centro di indagini sulle forme di egemonia e sui rapporti di forza tra le lingue e le culture.
La traduzione ha anche aspetti politici a più livelli: riguarda le strategie di marketing editoriale, il
riconoscimento o meno delle culture minoritarie, la costruzione di canoni letterari, la gestione delle
pratiche sociali di inclusione ed esclusione. In queste dinamiche il processo adottivo, come ha
segnalato Lawrence Venuti nel libro L’invisibilità del traduttore, porta in primo piano la posizione
etica e politica di chi compie l’atto del tradurre. Non si tratta tanto di “addomesticare” un testo
straniero rendendolo uido alla lettura come se fosse stato prodotto nella cultura di arrivo,
piuttosto si tratta di fare un lavoro etico che faccia emergere il traduttore dall’invisibilità in cui era
relegato permettendogli di sovvertire lingue e culture dominanti e di introdurre la di erenza
culturale come un valore democratico.
Si è iniziato indagare sull’agency del traduttore, cioè il loro impegno come soggetti che traducono
e che possono agire nel contesto di arrivo.

La traduzione è un’operazione complessa che fa interagire lingue e linguaggi, codici e culture,


mettendo in primo piano la trasformazione culturale che producono.
Il percorso di studi critici sul processo traduttivo ha fatto superare gradualmente due pregiudizi
importanti:
- il pregiudizio culturale
- il pregiudizio autoriale, che relegava nell’invisibilità gli autori delle traduzioni
L’avvento dei media digitali ha segnato il passaggio dall’idea di traduzione intelinguistica a quella
di traduzione transmediale (tra media diversi).
Nell’età globale si è ampliata l’idea del testo come tessuto per aggiungere anche le nuove
possibilità narrative. Alla luce dei nuovi elementi di scambio, inclusi vita e apertura, l’idea di testo
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si è dilatata e attento stesso complicata, come a erma Massimo Fusillo: la letteratura non viene
più considerata un linguaggio separato nella sua autonomia espressiva, ma una delle tante
pratiche sociali con cui si elabora la cultura e si costruisce l’identità.
A letteratura, cinema e teatro si sono aggiunti televisione, web, videogiochi, fumetti, pubblicità,
video. La letteratura ha quindi perso il suo primato come forma più e cace e nobile di
espressività artistica. È stata evidenziata la presenza simultanea di più media nella stessa opera:
verbale e visiva convivono in un lm o in romanzo tanto quanto in un videogioco.

L’intertestualità, termine introdotto negli anni Sessanta da Kristeva e Barthes, considera ogni testo
come un mosaico di citazioni, come un intreccio di testi. Nel 1982 Genette de nisce
l’intertestualità come ogni relazione che unisce un testo B (ipertesto) a un testo anteriore A
(ipotesto).
La traduzione è la riscrittura di un testo originale. La riscrittura è un processo di manipolazione dei
testi realizzato in base a obiettivi ideologici e poetici dei traduttori e riscrittori.
Ogni testo letterario crea un mondo nzionale che impone delle leggi proprie e apre un orizzonte
di possibilità (questo concetto si rifà all’idea dei mondi possibili di Thomas Pavel). Dolezel
sottolinea il ruolo attivo del lettore/autore che riceve un mondo nzionale e lo riscrive secondo tre
modalità principali:
- la trasposizione. Si conservano l’impianto e la storia principale del testo di riferimento,
collocandoli però in una diversa ambientazione temporale e/o spaziale;
- l’espansione. Si creano un prequel o un sequel della vicenda oppure si colmano lacune
narrative o si completano le vicende di personaggi secondari, estendendo la portata del mondo
nzionale iniziale;
- la dislocazione. Si dà vita a una versione sostanzialmente nuova della storia precedente.
La svolta mediale realizzata dalla transmedialità arriva ai nostri giorni alla possibilità di creazione
di realtà virtuali. Tale svolta assume varie modalità.
- Adattamento. L’adattamento non deve essere inteso come un prodotto derivato, non
autonomo ed esteticamente inferiore, in quanto si tratta di un prodotto con piena dignità. In
Teoria degli adattamenti Linda Hutchison sostiene la piena autonomia degli adattamenti in
quanto estensive rivisitazioni di opere precedenti. Gli adattamenti costituiscono la forma più
di usa di replicazione delle narrazioni.
- Rimediazione. I media digitale sono caratterizzati da una grande quantità di prestiti, omaggi,
critiche e rimodellamenti tratti dai loro predecessori. Dunque, i videogiochi ri-mediano la
narrazione cinematogra ca e viceversa. Il termine è stato coniato a causa della rapidità di
sviluppo dei nuovi media e la modalità di risposta dei media preesistenti. Trasportare un
medium in un altro può avvenire in due modi:
- con l’immediatezza trasparente: ad esempio un lm tratto da orgoglio e pregiudizio non rivela
tracce del testo letterario per permettere allo spettatore l’illusione di immediatezza simile a
quella della lettura;
- con l’ipermediazione: ad esempio un sito web dal quale sia possibile scaricare opere
letterarie, o rendo in maniera esplicita un nuovo modo di accesso a materiali preesistenti.

Henry Jenkins introduce l’idea di convergenza: un nuovo modello estetico basato sul usso dei
contenuti su più piattaforme. La convergenza non avviene tra le attrezzature dei media ma nei
cervelli dei singoli consumatori nonché nelle loro reciproche interazioni sociali.
Un esempio sono le fan ction, i video, i costumi. I consumatori non sono più da considerarsi
passivi, ma piuttosto attivi e connessi fra loro e anche molto rumorosi. Matrix è per Jenkins
l’emblema della narrazione transmediale: una “nuova estetica” emersa dalla convergenza di più
media.

Le relazioni fra le diverse forme di immaginario vengono riconosciute come degli ecosistemi
narrativi basati su relazioni complesse fra singoli. Fra le conseguenze di tale di usione, ricordiamo
la trasformazione dell’idea di testo è quella della gura dell’autore. In parte spogliato dal suo ruolo
di controllo, l’autore singolo ha visto crescere il fenomeno della co-autorialità.
Il caso letterario di Gomorra è un esempio e cace della nascita di un ecosistema narrativo (o
transmedia storytelling): il romanzo, nato come scrittura di denuncia, ha dato vita a lm, serie TV,
spettacoli teatrali, app e scritture dei fan. Un vero brand, insomma, in cui lo scrittore ha
controllato le derivazioni del suo testo.
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Partendo dal presupposto che la traduzione sta alla base di ogni comunicazione e di qualsiasi
struttura politica, economica e sociale sociale, Gentzler si interroga sugli e etti prodotti dalla
traduzione se la intendiamo come una materia viva in grado di intervenire su cambiamenti
culturali.
Ad esempio, la traduzione cinese dell’opera di Marx introduce un cambiamento sul ruolo della
classe contadina che può avere dei risvolti politici.

Le trasformazioni apportate dalla sempre maggiore di usione della tecnologia hanno investito
anche l’ambito letterario, rivoluzionando l’idea di autore, di narrazione, le modalità di lettura e
scrittura e, ovviamente, la nozione di testo, radicalmente modi cata dall’avvento della cultura
digitale. All’interno di queste macro-trasformazioni, uno dei nodi decisivi è rappresentato dalla
rilevanza della cultura visiva, ovvero dalle variegate forme visuali con cui si presentano oggi le
narrazioni, nonché dai nuovi rapporti che la parola scritta intrattiene con la cosiddetta cultura di
massa nello scenario dei multimedia conglomerates contemporanei, cioè la concentrazione della
produzione culturale in grandi gruppi industriali integrati tra loro sia in senso orizzontale (case
editrici, canali televisivi, case di produzione cinematogra che, piattaforme digitali, parchi a tema),
sia in senso verticale (attraverso il controllo dell’intero arco produttivo, dalla stampa alla
promozione). Ad esempio, spesso dal romanzo prende avvio il circuito di rimediazioni, riscritture e
adattamenti su cui si de nisce l’intermedialità contemporanea. La letteratura dunque non può
essere pensata come un segmento isolato della cultura digitale.

Henry Jenkins introdusse l’espressione cultura convergente, ben presto divenuta paradigma di
riferimento di quelle trasformazioni innescate dalla di usione della tecnologia.
Convergenza signi ca utilizzare una sola interfaccia (il computer, per esempio) per molta attività:
la visione di una serie TV, la lettura di un libro, l’ascolto della musica. Il computer diventa un
supporto in cui convergono vari media tradizionali. La convergenza va intesa anche nel quadro più
ampio di una convergenze economica (multimedia conglomerates), di una convergenza globale
che de nisce le forme e le estetiche dominanti dei linguaggi, e in ne di una convergenza culturale
che modella le nostre abitudini, incoraggiandoci a interagire con i contenuti, a creare nuove
connessioni tra i testi, a promuovere la loro migrazione su diverse piattaforme.
In tal senso l’idea di cultura convergente si pone come ampliamento e superamento dell’idea di
intermedialità. Essa dà conto, infatti, oltre che dell’attraversamento dei con ni che separano i vari
media, della loro integrazione in senso economico e dell’intersezione tra le logiche della
produzione e quella della fruizione, assegnando un posto di rilievo alle eterogenee modalità di
appropriazione e riscritture dei testi da parte delle audience, ad esempio le cosiddette fan ction.
La convergenza si occupa dunque anche del modo in cui lo stesso contenuto attraversa media
di erenti.
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