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Tradizione manoscritta e critica del

testo nel Medioevo - Appunti -


Filologia germanica
Filologia Germanica
Università degli Studi di Verona (UNIVR)
39 pag.

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INTRODUZIONE
Fine primario dell’indagine filologica è il testo, in quanto testimone di una specifica mentalità e di
una determinata tradizione culturale. Questo significa che il testo deve essere salvaguardato prima
di tutto da qualsiasi tentativo di ottimizzazione d’ordine estetico, pericolosa in quanto trascina
inevitabilmente nell’arbitrario e nel soggettivo.
Dev’essere saldo e costante il principio di conservare l’integrità e il valore documentario dell’opera,
recuperandone la storicità mediante un attento e rigoroso lavoro di ricostruzione dell’originale
deteriorato o corrotto o lacunoso.
Due sono i principali referenti su cui occorre indagare: “il testo, che dalla copia d’autore si
tramanda di discendenza in discendenza, e il libro manoscritto, supporto e vettore del testo, che ne
provoca la stessa emergenza, ne consente la circolazione e la trasmissione, ne condiziona i modi di
trascrizione e le circostanze di conservazione”. [Cavallo]
L’intelligenza assoluta di un testo passa per la conoscenza della sua storia, interna ed esterna;
richiede che quel testo sia ripensandolo nella totalità dei suoi rapporti, nessi, referenze: ed è in
questa forte tensione ricostruttiva che si comunica quella complessa e difficile operazione
scientifica, rigorosamente scientifica, che prende il nome di critica testuale o ecdotica.

IL SEGNO SCRITTO

LA SCRITTURA RUNICA
1. Funzione, impieghi e ambiti di diffusione
Il primo problema che pone il testo scritto riguarda la comunicazione. Il processo comunicativo ha
bisogno per compiersi estensivamente, che il segno scritto venga decifrato, con rapidità e facilità e
dal maggior numero possibile di persone, è subito evidente che la scrittura ha giocato un ruolo di
primissimo piano nel momento dell’alfabetizzazione delle culture, cioè del passaggio da una cultura
orale, fondata sulla parola pronunciata, ad una cultura fondata sulla parola scritta e sulla capacità di
leggere e scrivere.

Presso i Germani fu in uso una tecnica scrittoria di origine assai discussa e dall’impiego
esclusivamente epigrafico, chiamata runica dal nome dei segni utilizzati, le rune (che significa
“segreto”, “mistero”).
La scrittura runica come le scritture alfabetiche tradizionali applica un simbolo in forma di lettera
ad ogni suono, ma da quelle si diversifica nettamente non solo per il diverso ordine dei simboli
assegnati a ogni tipo di suono linguistico, ma soprattutto perché ogni simbolo grafico identifica al
tempo stesso un suono specifico e uno specifico referente esterno.

Ad es.
- il simbolo runico per la fricativa labiodentale è denominato feoh cioè “ricchezza” ed esprime sia
il suono linguistico relativo sia il concetto di possesso di elevate capacità economiche.
- il simbolo per la fricativa interdentale detto thorn cioè “spina” indica sia il suono, sia ogni tipo di
oggetto aguzzo e pungente (in senso concreto) oppure ogni motivo di tormento e di angustia (in
senso figurato). Di qui l’uso del solo simbolo grafico per esprimere talvolta il concetto o l’oggetto
corrispondente.

Nella lunga controversia sull’origine della scrittura runica, sembra godere di maggiore credito la
teoria “nord-etrusca”.
La scrittura runica presenta forme nettamente diversificate a seconda che sia stata utilizzata in area
continentale, settentrionale, insulare. In quest’ultima area si nota la tendenza ad adattare la scrittura
ai suoni della lingua e soprattutto ad ampliare con l’aggiunta di nuove rune il fupark originario di
24 segni; invece in Scandinavia si verifica la tendenza opposta, cioè una graduale semplificazione
a 16 dei simboli runici.
Nella maggior parte di casi fu adoperata per iscrizioni su pietra o altri materiali (metallo, legno,
corno, avorio…) di norma brevissime: incise su armi, ornamenti, utensili, amuleti e oggetti simili,

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compaiono a volte dediche e notazioni, a volte i nomi del proprietario o del donatore dell’oggetto,
a volte addirittura brevi testi di carattere magico e perfino messaggi e comunicazioni urgenti in
tempo di guerra. Stele funerarie, lastre tombali e croci, nell’Inghilterra anglosassone e della
Scandinavia: ad esempio sono impiegate nella splendida croce di Ruthwell (Scozia inizi del sec.
VIII) per conservare alla memoria un ampio passo di un poema anglosassone The dream of the
Rood pervenutoci anche in tradizione manoscritta assai più tarda.
Le troviamo anche usate nell’elaborazione e conservazione di documenti legalmente probatori,
come avviene nell’iscrizione vichinga di Hillersjo la più lunga dell’Uppland (284 rune) che
stabiliva un’insolita successione ereditaria.
E’ certo che le rune non ebbero mai alcuna funzione nella trasmissione della tradizione letteraria,
che è sempre connessa con le dimensioni del tempo e dello spazio.
Era legata a un ceto sociale ristretto e artigianalmente specializzato. Cesare, Tacito, Plutarco le
collegano esclusivamente ad attività magiche e oracoli, per la cui decifrazione occorreva
l’intervento l’intervento di un mediatore, di un incarico ad arcana.

2. Spazi di utilizzazione
Non sappiamo se la tecnica di esecuzione della scrittura runica sia stata analoga a quella delle
iscrizioni classiche (incisione a scalpello effettuata dal lapicida il cui lavoro veniva preceduto
dall’ordinator perché spessp il lapicida era analfabeta), ma non poche iscrizioni distinguono
chiaramente l’esecutore e l’operazione compiuta.
Runenmeister (rune-master) cioè colui che conosce il fupark e Runenritzer (runographer) cioè colui
che dipinge o incide le rune.
Forse lo stesso termine runa potrebbe alludere non tanto alla loro natura “magica” quanto piuttosto
ai loro mezzi di “comunicazione pubblica” o di “mezzo elitario” dedicato a un piccolo gruppo di
letterati, ancora una volta in opposizione alla parola, comprensibile a tutti.
Col tempo si stabilì una sorta di modus vivendi o di dominio parallelo riservandosi le rune
l’egemonia epigrafica e la scrittura alfabetica (greca e latina) l’egemonia propriamente letteraria.
Venanzio Fortunato dice mentre il papiro giungeva ad identificarsi limpidamente con una precisa
tradizione culturale segnata dal testo scritto ed era perciò da privilegiare la barbara rhuna dipinta
su tavolette di frassino, esclusa da questa prerogativa poteva trovare spazio solo entro gli ambiti
ristretti di un’utilizzazione non letteraria.
L’essere rimasta ai margini della cultura del libro non le giovò ma le rese inaccessibile, almeno per
un certo tempo, alla pressione dell’alfabetizzazione diffusa.

LE SCRITTURE ALFABETICHE
ALFABETISMO E CULTURA SCRITTA PRESSO I GERMANI NELL’ORIENTE GRECO

1. I GOTI
1. Vulfila e la costituzione dell’alfabeto gotico
Le gentes germaniche che per prime vennero coinvolte nel processo di introduzione e di diffusione
dell’alfabetizzazione furono i Goti. Giunti a contatto con il mondo greco dell’Impero romano
d’Oriente sin dagli inizi del III sec, quando si stabilirono sulle rive del Mar Nero poi divenuti
foederati sotto Costantino nel 332, furono per tempo evangelizzati dal cristianesimo di lingua greca,
dalla conversione all’arianesimo di cui rimasero sempre i più strenui difensori in Occidente
all’attività teologico-esegetica.
Secondo la communis opinio fondata sulle testimonianze di Jordanes e di Isidoro di Siviglia spetta a
Vulfila, vescovo ariano di Durostorum (Bulgaria), di ascendenza greco-cappadoce, vissuto tra il 311
e 383 il merito di aver rinnovato o meglio rivoluzionato il precedente sistema germano-gotico di
comunicazione, creando per la sua traduzione della Bibbia dal greco in gotico una nuova scrittura
alfabetica, originale e artificiosa.
Per maiuscola si intende la scrittura che ha il suo alfabeto compreso in un sistema formato di due
parallele, senza che vi siano aste ascendenti o discendenti che le oltrepassino in alto o in basso; per
minuscola si intende invece la scrittura di cui il sistema bilineare comprende solo il corpo delle

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lettere mentre altre due linee parallele tracciate al di sopra e al di sotto delle prime due,
comprendono le aste ascendenti e discendenti.

La maiuscola calligrafica definita di recente “maiuscola biblica” e nota anche impropriamente come
“onciale biblica” nel IV aveva raggiunto il proprio splendore: ricordiamo gli splendidi Sinaiticus
(British Library of London) e Vaticanus (Città del Vaticano).
I motivi che indussero Vulfila a tradurre la Bibbia da una lingua di enorme influenza e prestigio
come il greco in un volgare germanico di nessun retroterra culturale qual era appunto il gotico,
furono gli stessi che lo portarono a inventare un tipo di scrittura “nazionale”, ma di ideare una
scrittura gota, dalle forme eleganti e solenni capace di reggere il confronto con la maiuscola biblica
dei codici greci. Vulfila diede vita infatti ad una scrittura artificiosa sostanzialmente maiuscola.

1.2 L’alfabeto gotico e la maiuscola biblica greca


Non fa meraviglia che i modelli o referenti scrittori di Vulfila nel momento della fissazione
dell’alfabeto gotico, legato saldamente alla su esperienza religiosa, siano stati la maiuscola biblica
e, in misura assai minore, l’onciale latina.
Mentre nel mondo greco “la maiuscola fiorisce nella pratica quotidiana come nell’uso librario e
calligrafico in genere, dando vita ad una canonizzazione come la maiuscola biblica” nel mondo
latino la capitale libraria era ormai di uso raro, relegata in poche scuole di indirizzo profano. Sorse
allora e si diffuse dal IV sec una nuova scrittura libraria latina definita onciale una “artificiosa
mistura di forme maiuscole e minuscole” che ricordava in modo vago e fors’anche solo
esteriormente proprio la maiuscola biblica.
E’ chiaro che per il diretto e predominante contatto con i Greci Vulfila fu portato a privilegiare le
caratteristiche forme della maiuscola greca per eccellenza. Egli accolse i segni A B Γ Ε Z Θ Ι Κ Λ
Μ Ν Π Τ Ψ in tutti gli altri casi scelse la strada del rimodellamento formale e dell’adattamento
fonetico.
Vulfila assegno così ai simboli Ψ e Θ nuovi e diversi valori fonetici e seguì anche l’ordine
dell’alfabeto greco conservando il gamma sia come occlusiva sonora come nasale velare se seguita
da altre velare. Adottò invece le lettere dell’onciale latina ogni volta che esse sembravano in grado
di ovviare ad ogni ambiguità scrittoria.
Ad esempio al delta greco talvolta confuso graficamente con le lettere alpha e lambda, preferì la
tipica D dell’onciale latina; sostituì il rho con la R dell’onciale in tre tratti; eliminò il simbolo Φ
forse per evitare confusione e adottò la F; usò i simboli onciali latini H e U (Q) per rendere in
gotico rispettivamente la fricativa velare sorda o la semplice aspirazione, interpretò infine come J
consonantico la G onciale latina, ricciuta e caudata. [vedi pag. 17]

1.3 La documentazione
La produzione gotica di maggiore rilevanza che ci è pervenuta è costituita da testi religiosi ed è
conservata in codici attribuiti alla fine del V sec o agli inizi del VI in gran parte provenienti
dall’Italia settentrionale dove giunsero forse per sollecitazione dello stesso Teodorico che mirava a
costruire un regno romano-gotico. Con la fine del dominio gotico in Italia questi manoscritti ormai
privi di valore (fa eccezione il famoso codex Argentus) fecero parte di quel vasto materiale
inutilizzato che fu riscritto tra i secoli VII e VIII a Bobbio. L’edizione completa dei testi gotici alla
quale si fa ancor oggi riferimento è quella curata da Streitberg.
La Bibbia di Vulfila. I manoscritti
a) il codice più antico fra quelli rimasti è il Carolinus (fine V sec) un palinsesto o codex
rescriptus (cioè un codice i cui scritti originali sono stati raschiati e sostituiti con altri)
proveniente dal monastero di Bobbio. Il testo bilingue latino-gotico dell’epistola paolina
Ad Romanos è oggi parzialmente visibile sotto la scrittura superiore le Etymologiae di
Isidoro di Siviglia.
b) della fine del V sec o più probabilmente dei primi del VI sec è il notissimo codex
Argenteus oggi conservato a Uppsala, il testimone più importante della Bibbia gotica. Si
tratta di un evangeliario scritto in scripto continua su pergamena purpurea con inchiostro

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argenteo. Proveniente probabilmente dall’ambiente teodericiano dell’Italia settentrionale


(nn è da escludere che il prezioso codice sia stato scritto proprio per Teodorico),
l’Argenteus ha un esatto corrispettivo nel contemporaneo codex Brixianus (Biblio
Queriniana) che conserva il testo latino dei vangeli nella medesima successione [Matteo,
Giovanni, Luca e Marco]
c) alla fine del V sec o ai primi del VI appartiene il codex Gissensis che conserva in due
fogli pergamenacei di un quaternio originario un breve frammento di un evangeliario
bilingue latino-gotico. Il codice oggi completamente rovinato in seguito all’alluvione del
fiume Lahn fu rinvenuto in Egitto nel 1907-08
d) ai primi del VI sec appartengono codices Ambrosiani della Biblioteca Ambrosiana di
Milano tutti palinsesti provenienti da Bobbio
• l’Ambr. A contiene sotto al testo latino delle Homiliae in Ezechielem di Gregorio
Magno, vari frammenti delle epistole di Paolo e un frammento di un calendario
gotico
• l’Ambr. B che contiene nella scrittura superiore il testo latino della Explanatio in
Isaiam di San Girolamo
• l’Ambr. C consta di un bifolio contenente nella scrittura superiore latina parte di
un antico evangeliario e in quella inferiore frammenti in gotico del Vangelo di
Matteo. Questo codice colma alcune lacune dell Argenteus e presenta un tipo di
scrittura gota assai diversa da quella degli altri manoscritti.
• l’Ambr. D consta di tre fogli e conserva i frammenti di un commento latino ai
Reges scritti sopra gli unici frammenti del Vecchio Testamento che siano
pervenuti in gotico
e) il codex Taurinensis che consta di quattro fogli è anch’esso un palinsesto proveniente da
Bobbio e contiene frammenti delle epistole paoline ai Galati e ai Colossesi in origine
scritte sotto le omelie di Ezechielem di Gregorio Magno. Pessimo stato di conservazione.

Il commento al Vangelo di Giovanni (“Skeireins”)


Questo commento chiamato Skeireins dal suo primo editore (1834) pervenuto incompleto
(dei 78 fogli originari ne rimangono soltanto 8 relativi ai primi sette capitoli giovannei) è
conservato in un unico codice palinsesto della prima metà del VI sec proveniente da Bobbio.
Oggi si trova diviso tra Biblioteca Ambrosiana e Biblioteca Apostolica Vaticana. Non è
possibile accertare chi sia l’autore del commento e se si tratti di una traduzione dal greco o
di un’opera originale gotica; le citazioni bibliche concordano però con quelle del testo
vulfiano.

Altre testimonianze
Le testimonianze di carattere non religioso sono complessivamente esigue e di rilevanza
limitata. Si tratta di 3 alfabeti gotici con l’indicazione del nome delle lettere secondo il
sistema scrittorio runico, di 2 atti notarili di vendita scritti su papiro (unici esempi, la
documentazione germanica è sempre pergamenacea) e di pochi altri reparti minori.
Cerca “gotico di Crimea” sec XVI.

1.4 Tipi di scrittura


Dal punto di vista paleografico la scrittura gota è stata finora assai poco studiata. Nel complesso si
presenta come una scrittura decisamente ibrida, sottoposta a forti condizionamenti grafico-culturali
di vario tipo, anche se vi appare prevalentemente l’influsso della maiuscola biblica soprattutto per
la ricerca di uno stile calligrafico solenne e monumentale.
Es. la A, la M e la S: presentano asse perfettamente dritto nel Argenteus, Carolinus, Gissensis,
Ambrosiani A, D, E; presentano asse leggermente inclinato a dx Ambr. B e soprattutto Ambr. C e
glosse marginali di Ambr. A; con più accentuata inclinazione le sottoscrizioni apposte nell’atto
notarile di vendita di Arezzo e in quello di Napoli.

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Per quanto riguarda la forma delle lettere Argenteus sembra essere caratterizzato dall’alternanza di
moduli rettangolari e quadrati o circolari. L’Ambr. A non si sviluppa in altezza ma proietta l’asta
discendente in senso sinistroso oltre la linea di base. Al sigma greco di forma circolare l’Argenteus
sostituisce la tipica S onciale latina a forma di serpente.

ALFABETISMO E CULTURA SCRITTA PRESSO I GERMANI NELL’OCCIDENTE


LATINO
Il processo di alfabetizzazione delle popolazioni germaniche nell’Occidente latino e cristiano
assunse caratterizzazioni diverse nelle varie aree geografiche in rapporto alle singole condizioni
storico-culturali; soprattutto in rapporto a
• diverso grado di influenza e penetrazione della civiltà romana nei territori dell’Impero
occupati poi dalle popolazioni germaniche
• al diverso processo di conversione dei Germani al cristianesimo

2. I germani insulari. Gli anglosassoni


2.1 La Britannia prima della conversione
Considerata in rapporto a questi punti di vista, la condizione della Britannia appare nettamente
diversificata da quella delle regioni dell’Europa continentale.

Divenuta tributaria di Roma sin dal 54 a.C. sotto Giulio Cesare e successivamente dal 43 d.C. la più
importante provincia della frontiera nord-occidentale dell’Impero romano in quanto baluardo
difensivo anche della Gallia e del Belgio (sede di un vasto contingente militare), la Britannia
romana fu elevata per la sua importanza al rango di diocesi in seguito alla riforma diocleziana della
fine del III sec. Fu poi divisa in 4 province: Britannia Prima; Britannia Seconda; Maxima
Caesariensis; Flavia Caesarensis, alle quali alla fine del IV sec ne fu aggiunta una quinta Valentia.
La Britannia romana si era estesa progressivamente giungendo a fissare la linea di frontiera a) tra
122 e 133 d.C. vallo di Adriano; b) circa 143 d.C. vallo di Antonino (il Pio). Vennero così inglobati
i territori prima occupati da Dumnonii, Votadini, Selgovae e dai Novantae.
L’importanza di questi territori è attestata dalle grandi fortificazioni costruite per difenderla,
protette da mura di pietra furono non solo le principali città ma anche quelle minori. Ricordiamo la
fortezza di Eburacum (oggi York) dove nel 306 Costantino fu proclamato imperatore e la cui
magnificenza documenta in modo esemplare l’attenzione imperiale alla Britannia.

La presenza di un forte contingente militare dovette rappresentare un elemento di notevole


importanza per lo sviluppo economico dell’isola. Dovette godere di fiorenti commerci al suo
interno ed esterno e di un alto tenore di vita. Questa buona condizione durò sino alla fine del IV sec.
Fu salvaguardata dalla stessa posizione geografica e dalle terribili invasioni che devastarono la
Gallia. Verso la fine del sec cominciò però a vacillare sotto la pressione dei Vandali, degli Alani e
dei Seubi che avevano attraversato il Reno e dei Visigoti che si affacciavano in Italia, la Britannia
non più protetta dall’autorità imperiale, passò ben presto sotto il controllo dei Germani invasori.

2.2 La conversione
Fino al IV secolo la Britannia conobbe una diffusione dell’uso della scrittura, adottata in tutti i
settori dell’economia, dell’amministrazione, del sistema giuridico, dell’apparato politico-militare e
della religione.
La situazione mutò radicalmente quando alla metà del V sec l’isola passò in gran parte sotto il
controllo delle popolazioni germaniche che si erano stanziate talvolta con la forza delle armi ma
spesso in accordo con gli abitanti stessi. In seguito a queste invasioni, nel lungo periodo che va dal
crollo dell’autorità imperiale romana (407-410 d.C.) alla missione evangelizzatrice di Agostino nel
Kent (597 d.C.) voluta da Gregorio Magno, i territori che avaveno fatto parte della Britannia
romana conobbero condizioni di effettivo isolamento del continente con conseguente declino
economico e culturale.

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2.3 Il processo di alfabetizzazione. L’alfabeto anglosassone


La conversione degli Anglosassoni alla religione cristiana, che era fondata sulla tradizione scritta
significò anche la loro conversione all’uso della scrittura con le sue specifiche modalità. La
conversione alla scrittura alfabetica comportò con l’assunzione dei simboli latini, anche
l’incorporazione e l’adattamento graduali di quei segni runici che esprimevano suoni
specificamente anglosassoni. Questa gradualità è ricostruibile su una solida base documentaria. Da
principio il criterio prevalente fu quello di rendere con artifici grafici i suoni non latini. Sino alla
metà dell’VIII sec i manoscritti pervenuti attestano infatti l’uso normale della lettera u latina (o
anche uu) per rappresentare il suono anglosassone [w]; la fricativa interdentale sorda e sonora che il
latino non conosceva fu resa con il diagramma th.

Uno dei testimoni più antichi che conserva tale uso è un codice della prima metà dell’VIII sec, noto come
“More Bede”, la redazione in antico inglese dell’Inno di Coedmon.

Con la fine dell’VIII sec l’alfabeto anglosassone acquista una dimensione più autonoma nei
confronti di quello latino. Dalla scrittura runica vennero accolti i due simboli Þ (thorn) e P (wynn)
per esprimere rispettivamente la fricativa interdentale sorda e sonora e la semivocale u bilabiale.
Un altro simbolo (eth) introdotto in questo periodo per la fricativa interdentale sorda e sonora è la d
onciale tagliata obliquamente da una lineetta (δ).
I due segni δ e Þ furono usati indifferentemente per i suoni sordi e sonori. Un’altra peculiarità
grafica riguarda l’uso del segno œ detto œsh (ash) ottenuto dall’unione di a con e; nei manoscritti
più antichi la a palatale è ancora resa col diagramma ae secondo l’uso latino.

2.4 Le forme scrittorie di importazione


La conversione degli Anglosassoni alla fine del VI sec non solo aveva reintrodotto nell’isola
l’alfabetizzazione ma, per conseguenza, aveva portato un tipo di comunicazione specificamente ed
esclusivamente letteraria e libresca. E’ ben noto che i volumi che fecero la loro apparizione in
questo primo periodo furono opere necessarie all’attività evangelizzatrice voluta da Papa Gregorio.
Racconta Beda che i numerosi cooperatores e ministri della Chiesa inviati nel 601, portarono con sé
non solo tutto ciò che occorreva al culto e al servizio della Chiesa, ma anche soprattutto numerosi
codici (codices plurimos). Non sappiamo esattamente quali manoscritti furono portati in Inghilterra
dovettero essere vergati nelle scritture librarie latine più largamente usate nel VI sec in ambito
cristiano: l’onciale e la semionciale.

L’onciale è una scrittura sostanzialmente maiuscola, che adopera alcune lettere dalle aste ascendenti
(D,H,L) e discendenti (F,G,P,Q,Y) che si proiettano fuori del sistema bilineare. Usata nei codici dal
IV sec soprattutto in quelli contenenti testi di autori cristiani, essa è caratterizzata “dalla scrittura
continua e dalla fluidità del tratteggio”.

La semionciale è una scrittura minuscola libraria (la prima minuscola) che tra la fine del V sec e
l’inizio del VI sec acquistò una tipizzazione “in forme librarie più rigide e stilizzate che il passato”
assumendo caratteristiche rotondeggianti con schiacciamento delle forme, soprattutto degli occhielli,
e notevole accorciamento delle aste sia in alto sia in basso. La semionciale fu almeno fino al VI sec la
diretta rivale dell’onciale quale scrittura libraria anche se non poté mai superarla in popolarità. Fu utilizzata nei
testi di studio e di lettera in uso nelle comunità e nelle scuole religiose.

Notevole fu l’influenza di entrambe le scritture librarie romane nella formazione e nello sviluppo
del sistema scrittorio anglosassone; coincidendo la ripresa rigorosa dell’onciale col periodo di
iniziale alfabetismo e di totale dipendenza cultuale da Roma e costituendo invece la semionciale il
modello scrittorio originalmente rivisitato, non solo nella prestigiosa maiuscola o semionciale
insulare, ma nella stessa successiva minuscola ibrida.

La documentazione in onciale L’importanza che ebbe l’onciale per tutto l’VIII sec in Inghilterra
(ma non in Irlanda, dove non fu mai praticata) è attestata primariamente dal largo uso che se ne fece
nell’ambito della produzione libraria nei principali scriptoria monastici sia del Nord che del Centro.

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Fu dunque nei centri romanizzati dell’Inghilterra che l’onciale visse, fra il tardo VII sec e i primi
IX, un lungo periodo di grande splendore, di cui offrono preziosa testimonianza numerosi codici di
celebrata fattura.

a) Scritto probabilmente a Canterbury in onciale inglese della prima metà del VIII sec è il cosiddetto “Vespasian
Psalter” che contiene il testo latino del salterio copiato da un originale italiano, c’è illustrazione che raffigura
a tutta pagina Davide in trono nell’atto di suonare una lira oblunga a sette corde, circondato dai suoi musicanti.
b) In un elegante scrittura onciale databile tra 700 e 750 è scritto un antico testo esistente della Regula di San
Benedetto copiato sicuramente da un modello italiano
c) Piccolo manoscritto contenente il Vangelo di Giovanni proveniente dalla Northumbria, forse appartenuto a san
Cuthbert (+697), ritrovato nella sua tomba insieme ad altri oggetti con la sua originaria rilegatura in pelle
eccezionalmente intatta
d) Il codice forse più famoso è il codex Amiatinus così denominato perché proveniente dall’abbazia benedettina
sul monte Amiata oggi conservato nella Biblioteca Medicea-Laurenziana di Firenze, con una versione antica e
pregevole della Vulgata gerolimiana in un solo volume.
Fu una di tre grandi Bibbie commissionate da Ceolfrith per essere offerta in dono al Papa in occasione del suo
viaggio a Roma del 716,. Il dono non arrivò mai a destinazione a causa dell’intervenuta morte del donatore
durante il viaggio.

L’uso dell’onciale non coinvolse soltanto la produzione libraria locale, consistente nella copiatura,
spesso su commissione di esemplari funzionalmente importanti per la vita religiosa; coinvolse
anche la scrittura di “carte” attestanti quasi esclusivamente, in questo periodo, donazioni di terre o
privilegi da parte del re alla Chiesa. I pochissimi documenti pervenuti sono in latino e scritti in
onciale come i libri sacri e liturgici.

La carta ritenuta più antica è del 679 e attesta la donazione di terre al futuro arcivescovo di Canterbury

2.5 Dalla semionciale alla scrittura insulare


Più significativa per l’evoluzione delle scritture convenzionalmente dette insulari fu l’influenza
esercitata dalla semionciale romana. Durante il VII sec cominciò ad apparire in Inghilterra una
libreria locale che condivise con la contemporanea scrittura libraria irlandese forme molto simili
anche se non identiche. Lo Springmount Bog Tablets si tratta di tavole cerate che contengono passi
dei salmi usati forse a scopo didattico da religiosi.
In Inghilterra le prime testimonianze di scrittura insulare provengono dalla Northumbria. Questa
aveva conosciuto il monachesimo celtico di Colomba saldamente legato alla Chiesa irlandese e
aveva accolto la tradizione romano-anglosassone diffusa nei monasteri benedettini e nelle grandi
cattedrali facenti capo a Roma tramite Canterbury.
L’apparizione della scrittura insulare in Northumbria segnala dunque la nascita di una coscienza
culturale per così dire insulare. Questa stretta interazione culturale andò progressivamente
attenuandosi sotto Alfredo il Grande alla metà del IX sec quando le nuove sollecitazioni politiche
imposero un sistema scrittorio decisamente anglosassone, locale, nazionale.

Fino alla metà del IX sec il modello scrittorio per eccellenza f la semionciale romana, anche se fu
una vera e propria rivisitazione delle caratteristiche forme semionciali, adattate ora alle diverse
esigenze scrittorie insulari.

La maiuscola o semionciale insulare. La documentazione E’ un scrittura ibrida, solenne e


calligrafica che ha funzione e carattere di maiuscola, pur non essendo formata da sole lettere
maiuscole. Scritta con una penna d’oca o di cigno dal taglio dritto o squadrato, è caratterizzata dalla
rotondità delle forme alquanto compresse e dal tratteggio pesante, sviluppo ridotto delle aste
ascendenti e discendenti dalla limitazione dei legamenti e delle abbreviazioni.
Alcune lettere hanno una forma peculiare: la g ripete il caratteristico simbolo semionciale; la a
appare come l’unione di oc; la n è sempre di forma maiuscola; la d ha due forme alternative una
con asta in senso sinistroso e quasi orizzontale nel senso della scrittura, l’altra invece con asta dritta
e occhiello tondo aperto in alto.

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E’ utilizzata nei codici più impegnativi come gli evangeliari, i salteri...

Alla prima fase appartiene il “Book of Durrow” probabilmente scritto da un copista irlandese o di scuola
irlandese, di nome Colomba. La forma del codice lunga e stretta fa pensare ad un manoscritto utilizzato da
missionari nei loro viaggi.

Alla seconda fase appartengono i manoscritti prodotti negli scriptoria di Lindisfarne a nord di Canterbury
a) il codice northumbrico più famoso scritto su due colonne in una bellissima accurata maiuscola insulare e
splendidamente miniato è il Ms Cotton Nero contenente i vangeli in un testo molto simile al codice
Amiatino (Lindisfarne Gospels). Questo manscr è databile grazie a un colofonie della metà del X sec che
trasmette inoltre il nome dello scrib,, del legatore, dell’artigiano che applicò le pietre preziose e le
ornamentazioni della legatura e infine il nome di colui che aggiunse una glossa in anglosassone.
b) I Lindisfarne Gosples sono spesso associati ad altri tre importantissimi evangeliari scritti in maiuscola
insulare e sontuosamente decorati: “Vangeli di Lichfield” (o di San Chad) i “Book of Durrow” e i “Book
of Kells”.
Per maggiori informazioni su altri manoscr vedi pag. 40

La minuscola insulare. La documentazione Scrittura quadrilineare vergata conb penna d’oca o di


cigno a taglio obliquo e piuttosto sottile fu adoperata per la scrittura di testi religiosi, letterari o
documentari d’uso comune o per le scuole e divenne in breve tempo la scrittura più comune tra le
popolazioni insulari. In Irlanda fu utilizzata per diversi anni, sicchè oggi la si ritrova nei caratteri a
stampa detti gaelici
.
In Inghilterra la prima fase si articolò in due tipi principali denominati A e B e localizzati
rispettivamente nel nord e nel sud dell’isola. Il tipo contenente i Carmina di Paolino di Nola copiati
da ben cinque scribi diversi mostra un tratteggio ancora pesante e compresso invece nel tipo B è
decisamente più leggero e corsivo.

Nella seconda fase la minuscola insulare assunse quattro forme diverse. Il tipo cosiddetto ibrido
tende a riprodurre la semionciale, c’è ancora oc per a, ma dalla quale di differenzia per il taglio
obliquo anziché dritto; delle altre tre forme tutte adoperate in libri soprattutto di preghiera o d’uso
corrente la più comune è forse la corsiva caratterizzata dall’arco acuto delle lettere, attestata nel
famoso Book of Cerne.

2.6 Le scritture anglosassoni tra il IX secolo e la fine del XII


Periodo che di solito viene definito anglosassone per mettere in evidenza la coincidenza con la fase
culturale e politica inaugurata da Alfredo il Grande, la fine del periodo di stretta interazione con
l’Irlanda e l’inizio di uno nuovo.
Le scritture di questo periodo assunsero tre forme principali: a) minuscola anglosassone o cursiva
anglosassone ad archi acuti; b) minuscola anglosassone o cursiva anglosassone quadrata; c)
minuscola anglosassone o cursiva anglosassone rotonda.
Sono l scritture di tutta quella produzione letteraria e documentaria in vernacolo che non trova
riscontro in nessun altrove nell’Alto Medioevo. E gli Anglosassoni ne furono consapevoli, perché
quando più tardi si diffuse una varietà regionale della minuscola carolina continentale, gli scribi
utilizzarono pressoché due alfabeti distinti. Questo avvenne fino a poco dopo la conquista
normanna.

La minuscola “ad archi acuti”. La documentazione Nota come pointed è rappresentata da alcuni
famosi manscr tra i quali emerge ms Hatton 20

Scritto probabilemente a Winchester tra 890-897 in una minuscola anglosassone dalle forme singolarmente
appuntite e compresse. E’ un ottima copia contemporanea ad Alfredo il Grande, unica esistente dell’altra
rimangono solo alcuni fogli.

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La minuscola “quadrata”. La documentazione Fin dai primi anni del sec X cominciò a modificarsi
gradualmente in una nuova scrittura canonica altamente stilizzata, dalle aste ascendenti e
discendenti sviluppate in senso verticale e dalle forme decisamente quadrate soprattutto nelle lettere
a, d, e, q. Impiegata in modo preminente per gli scritti in volgare e in certi ambienti culturali e
religiosi anche per quelli in latino, essa rappresenta la scrittura tipica anglosassone del X secolo.
Occorre però precisare che non rimase compatta e uniforme. Sottostò a numerose modificazioni o
se si preferisce a forme evolutive. E’ certo che avesse assunto caratteri carolini, per esempio la
rotondità, sotto l’influenza della varietà regionale.

C’è poi un evento assai importante che si manifesta in Inghilterra nella seconda metà del X sec: la
differenziazione delle scritture in funzione della lingua. Nella pratica si ebbel’uso della minuscola
quadrata per la lingua volgare, e quello della minuscola carolina per scritti in latino. L’intenzione di
differenziarsi si manifesta sia nei documenti che nei libri. E’ certo che questa divisione fu
estremamente popolare e diffusa e contribuì a specificare in senso del tutto nazionale e insulare la
scrittura e la cultura espresse in Inghileterra.
Vedi pag.48 ultimo paragrafo accenna al BEOWULF

2.7 Verso la ricomposizione dell’unitarietà grafica


Alla metà del XII sec fece la sua comparsa in Inghilterra lo stile grafico caratterizzato dalla forma
delle lettere non più rotonda ma ovale, dal tratteggio notevolmente appesantito fors’anche per il
diverso taglio della penna (a punta larga e col taglio obliquo verso sinistra); rappresentò
inizialmente una scrittura di transizione, la minuscola protogotica o pregotica.

L’introduzione e lo sviluppo in Inghilterra della protogotica sia libraria che documentaria chiuono
l’epoca delle gloriose scritture anglosassoni a forte caratterizzazione nazionale e locale.
La scrittura che al di là della specificità e varietà locali o nazionali accomunò l’Inghilterra e
l’Europa per lungo tempo, sicuramente dalla fine del XII sec al XVI fu la gotica: sistema complesso
di scritture formali e corsive, adoperato in tutti i contesti sociali da quelli secolari a quelli monastici
o religiosi.

Caratteristiche: angolosità del disegno e spezzatura delle curve, accentuazione della compressione
laterale delle lettere, scarso sviluppo delle aste superiori e inferiori, nell’uso sempre maggiore delle
abbreviazioni al fine di rendere più rapida e immediata la lettura.
a) se due lettere contigue si presentano con le rispettive linee curve l’una di fronte all’altra, queste
curve si sovrappongono fondendosi; b) per evitare l’incontro di linee curve e di linee diritte, le
forme per d e per r si modificano in funzione della lettera successiva.

La scrittura gotica inglese, che assieme a quella francese esercitò una grande influenza sul
continente, si distingue anzitutto: a) in una libraria detta textualis o textura suddivisa ulteriormente
in rapporto agli usi nel tipo glossarium adoperata per le glosse e nel tipo notularis usata per le note;
b) in una nuova minuscola corsiva, la corsiva anglicana originariamente destinata alla registrazione
dei documenti e successivamente a partire dalla fine del sec XII usata anche come scrittura libraria.
Una speciale evoluzione della corsiva che coinvolse anche la Francia e la Germania fu detta
secretary.

3. I germani continentali fra le Alpi e l’Eider


3.1 Le forme scrittorie regionali
Il latino fu il principale mezzo di comunicazione scritta: non solo nelle regioni occidentali dove si
parlavano lingue romanze, ma nelle stesse regioni orientali, dove le parlate regionali erano
germaniche e il latino una lingua straniera, una lingua diversa però accettata come la lingua della
legge, della religione e dei testi scritti.

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Questa continuità fu sostenuta e sollecitata dalla Chiesa, sia nella sua strutturazione episcopale che
nella sua organizzazione monastica. Furono dunque questi centri scrittorii o scriptoria che
garantirono la trascrizione e la circolazione di importanti testi latini e dell’intera produzione in
volgare.

Il processo di “minuscolizzazione” affermatosi tra il II e III sec si trasferì anche nelle scritture documentarie e
amministrative. La minuscola corsiva Col V sec divene l’unica corsiva di tutto il mondo romano.

Queste nuove scrtitture si svilupparono così:


• la minuscola visigotica in Spagna, scrittura che meglio realizzò la fusione della corsiva
nuova con le forme semionciali, distinta per ‘scuole’ scrittorie mozarabiche (andalusa,
toletana, leonese) e cattolica (casigliana)
• la minuscola merovingica nella Gallia tardoromana distinta in un tipo prettamente
cancelleresco e documentario
• la minuscola dell’Italia settentrionale con diversi tipi
• la minuscola beneventana dell’Italia meridionale con importanti centri come Benevento,
Bari, Montecassino…

3.2 Le missioni insulari


Le personalità che più spiccano per la loro opera missionaria e culturale al tempo stesso sono
l’irlandese Colombano fondatore dei monasteri di Luxeuil 590 e di Bobbio 613, gli anglosassoni
Willibrord/Clemente cristianizzatore della Frisia e Wynfrid/Bonifacio apostolo della Germania.

Molto significativa fu l’influenza anglosassone, non solo nell’ambito propriamente miniaturistico,


dove la tradizione insulare è individuabile in documenti di altissimo livello artistico, ma soprattutto
per l’azione intensa svolta dai missionari anglosassoni in ordine alla registrazione e alla trascrizione
dei testi in volgare e per gli effetti durevoli della stessa tradizione scrittoria anglosassone esportata
sul continente.

L’influenza anglosassone sulla documentazione glossografica In questa attività glossatoria un


ruolo di primissimo piano spetta ai centri monastici insulari. Quasi la metà delle glosse altotedesche
del VIII sec sono vergate in scrittura insulare.
Un ulteriore testimonianza di questa situazione è offerta dalla contemporanea presenza negli stessi
manoscritti del VIII sec di glosse anglosassoni e di glosse altotedesche molte delle quali incise a
sgraffio con lo stilo e senza inchiostro, vergate in scrittura insulare anglosassone o comunque
insularizzata.

I due più antichi monumenti della glossografia altotedesca sono:


1. il cod. Sang. 911 scritto in minuscola precarolina di tipo alamannico, che contiene la redazione
più antica del glossario bilingue latino-tedesco
2. il cod. Sang. 913 scriutto invece in semionciale anglosassone-continentale contiene un glossario
latino-tedesco noto come Vocabularius Sancti Galli o Hermenermata, piccolo codice ‘tascabile’
articolato per soggetto e organizzato per la vita quotidiana di un utilizzatore non di madre-lingua
tedesca.

Il cod. Sang. 911 contiene anche la traduzione in volgare del Paternoster e del Credo

Il cod. Sang. 913 fu scritto verso 790 era anche una sorta di enciclopedia teologica costituita da vari excerpta
patristici, una serie di domande del tipo Ioca monachorum.

L’influenza anglosassone a Fulda fino alla metà del IX secolo L’abbazia conobbe un periodo di
grande splendore culturale proprio nella prima metà del IX secolo quando operarono nella famosa
scuola monastica personalità illustri.
L’era diu Rabano a Fulda è segnata dall’adozione generalizzata della minuscola anglosassone.

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Da pag. 68 in poi ci sono numerosi esempi. Vedere quello che si memorizza maggiormente, quindi scelta individuale.

3.3. La conversione dei Sassoni e la loro alfabetizzazione


Ancora più importante per scoprire i rapporti tra Inghilterra e area germanica continentale è il
poema Heliand la messiade dei Sassoni appena convertiti al cristianesimo, pervenutaci incompleta.
Offre un illuminante spaccato del contesto religioso e culturale nel quale il poema fu composto.

I Sassoni furono l’ultimo raggruppamento indipendente di gentes germaniche ad oriente del Reno che si
convertì al cristianesimo. All’inizio questa conversione fu sentita come un evento ineluttabile connesso con la
loro sottomissione politica a Carlo Magno 785, dopo una strenua resistenza durata più di trent’anni. La loro
convinta accettazione del nuovo credo fu invece conseguente all’attività catechetica dei missionari
anglosassoni. I nuovi convertiti furono i più disponibili ad accogliere le istanze spirituali e missionarie del
credo cristiano, La spinta iniziale alla cristianizzazione sassone venne da Utrecht.

La documentazione Il luogo d’origine dell’Heliand è tuttora ignoto.

I rapporti col mondo anglosassone fino al XII secolo Alla fase iniziale della cristianizzazione dei
Sassoni appartengono anche tre frammenti del poema Genesis tramandati in codex unicus nel
manoscritto vaticano del Heliand.

Una nutrita documentazione dà poi conferma delle frequenti e fattive collaborazioni intercorrenti fra gli artisti
insulari e continentali. Un esempio il notissimo salterio di Ludovico il Germanico.

3.4. La diffusione della minuscola carolina. La documentazione


Il lento, progressivo abbandono delle forme scrittorie anglosassoni anche nei centri monastici che
più erano stati sensibili all’influenza insulare come Magonza, Wuerzburg e Fulda, aveva coinciso
fin dagli inizi del IX sec con l’espansione della minuscola carolina su buona parte della Germania.
Attorno all’anno 1000 la carolina raggiunse qui una consapevole stilizzazione calligrafica, segnata
da una coerente e regolare forma ‘a ovale inclinata’.
Il Parisinus scritto su pergamena di qualità inferiore perché forse adibito ad uso privato, contiene i
testi latino e altotedesco del De fide catholica.
Da pag. 76 in poi ci sono numerosi esempi. Vedere quello che si memorizza maggiormente, quindi scelta individuale.

3.5. Lo “scriptorium” di San Gallo e le sue forme scrittorie


Una menzione particolare nell’ambito degli scriptoria continentali va riservata al centro scrittorio
di San Gallo in territorio alemannico che sin dalla metà del VIII sec si era imposto non solo per la
quantità e qualità della documentazione conservata e trascritta in latino e in volgare.

All’epoca prestigiosa dell’abate Grimald 841-872 cancelliere di Ludovico il germanico, è legato il


periodo aureo dello scriptorium di San Gallo. La miniaturistica raggiunse allora altissime vette
artistiche, come dimostra l’esecuzione del famoso salterio di Folchart

In una minuscola carolina contraddistinta dagli archi acuti delle lettere e delle forme appuntite sono
scritti alcuni codici che contengono le opere di Notker III detto Labeo o Teutonicus certamente la
personalità più rappresentativa e multiforme della cultura alotedesca. Uomo coltissimo conoscitore
dell’ebraico del greco e del latino, grammatico e teologo, cultore di astronomia e di musica.

3.6 Verso la ricomposizione dell’unitarietà grafica


La trascrizione al gotico passò attraverso fasi alterne e diverse da regione a regione e da scriptorium
a scriptorium: in alcune scuole della Baviera meridionale i mutamenti introdotti nella scrittura
furono pochi, incerti e saltuari.

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Importanti furono la textura quadrata e textura rotonda adoperate principalmente nella produzione
vastissima di libri liturgici conseguente alla grande diffusione degli ordini religiosi, dai cistercensi
agli agostiniani.

La maggior parte della produzione in volgare è pero conservata in minuscola gotica corsiva, che
ebbe grande applicazione sia come scrittura documentaria sia poi come scrittura libraria insieme
alla bastarda.

4. I Germani settentrionali
La diffusione tra le popolazioni germaniche settentrionali della capacità di leggere e di scrivere, la
loro consuetudine con la natura e la circolazione dei prodotti letterari della civiltà del libro, la loro
conseguente adozione del sistema alfabetico latino di scrittura, poi modificato secondo l’uso
anglosassone, furono tutte esperienze riconducibili alla loro (lenta e contrastata) conversione al
cristianesimo.

Il processo di cristianizzazione che le coinvolse assunse forme sistematiche e organizzate soltanto


tra il terzo decennio del IX sec e la metà del XII e fu segnato sin dall’inizio da imponenti flussi
missionari provenienti dall’Inghilterra.

4.1 I Danesi
La conversione I primi ad essere convertiti furono i Danesi allora stanziati in un’ampia area che
comprendeva ad est anche alcune regioni dell’attuale Svezia meridionale e che giungeva a sud fino
alla base della penisola dello Jutland.
I temutissimi Danesi, le cui feroci scorrerie lungo il Mare del Nord, segnalate per la prima volta
nella Cronaca anglosassone per l’anno 789, avevano messo l’intera Europa cristiana, e in
particolare i Franchi, dinnanzi ad una nuova esplosiva realtà.
La contromisura, in qualche modo obbligata, che si profilò dinnanzi a Ludovico il Pio, il
cattolicissimo figlio di Carlo Magno, fu la cristianizzazione della Danimarca: che egli difatti scelse
quale suo primo e principale obiettivo politico-religioso.
Il primo missionario inviato da Ludovico fu l’arcivescovo Ebo di Rheims il quale predicò fra i
Danesi ma senza successo duraturo, né sorte migliore toccò ad Ansgar nonostante la conversione
del re Harald, che aveva ricevuto il battesimo insieme alla sua famiglia nel monastero di
Sant’Albano a Magonza, i Danesi restarono ben saldi nel loro paganesimo.
Ansgar intendeva operare “non con la Croce, ma con il Libro” portando con sé un’intera biblioteca.
Ma un incidente occorsogli durante il viaggio lo privò di parte del suo prezioso bagaglio: assalito
dai “pirati del mare” presumibilmente Vichinghi, fu derubato di circa 40 codici.
Forse il furto di codici più famoso che sia stato effettuato dai Vichinghi fu quello che coinvolse lo splendido
codex Aureus di Stoccolma. Questo manoscritto in onciale superbamente decorato con figure naturalistiche su
fogli purpurei e scritte in oro e argento.

Tuttavia l’ambizioso progetto di Ansgar crollò in seguito alle devastanti incursioni vichinghe 845;
saccheggiata Amburgo la sede vescovile dovette essere spostata a Brema.
Definitiva conversione della Danimarca alla nuova religione, conversione avvenuta in seguito al
battesimo nel 960 di Harald Blaatand (“Dente Azzurro”) figlio di Gorm il Vecchio e Thyri.

L’evento è ricordato in una celebre iscrizione runica della seconda metà del X sec su un grande blocco di pietra
triangolare, impreziosito dalle raffigurazioni di un drago e della crocefissione.

Le influenze continentali e insulari Sotto il Canuto il Grande e soprattutto sotto Canuto il Santo
1080-86 l’influenza tedesca si attenuò gradualmente sopraffatta dal peso del forte ascendente
anglosassone. Non pare certo un caso che le prime due Passiones in onore di Canuto il Santo siano
state composte in latino.

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Quest’influenza insulare agì in modo penetrante e diffuso, con importanti conseguenze non solo
religiose e politiche, ma quel che più interessa culturali.
I risultati furono invero stupefacenti. Poco più di cent’anni dopo la morte di Canuto, la Danimarca
vantava una Chiesa ricca e autorevole, dotata di prestigiose chiese episcopali e numerosi monasteri;
una Chiesa ligia al papato e perfettamente integrata nell’Occidente cristiano.

La letterarizzazione e le forme scrittorie Fino alla metà dell’IX secolo, ebbe inizio la fissazione dei
documenti in tradizione scritta; l’alfabeto latino fu modificato con l’aggiunta di nuovi simboli. Il
segno ø fu così ho usato per la modificazione vocalica di o (oe).
Quanto alla scrittura, inizialmente fu usata come libraria la minuscola carolina nelle sue forme
tarde: il testo più antico scritto in Danimarca è un evangeliario latino in minuscola carolina.

La documentazione in latino Anche la Danimarca conobbe quella forma grafica di transizione


risultata dalla minuscola carolina, che è spesso chiamata protogotica per la sua anticipazione dei
caratteri tipici della scrittura gotica: la predilezione per le forme rotonde, la spezzatura delle curve,
la compressione delle lettere…
In questa scrittura di transizione sono pervenute le prime trattazioni in latino di carattere religioso e
le prime cronache, o annali in latino sebbene eminentemente ecclesiastiche sono tuttavia importanti
per conoscere l’intreccio dei flussi culturali da e per la Danimarca attraverso l’organizzazione delle
familiare episcopali e le loro connessioni con la regulae canonicorum accolte nell’Europa nord-
occidentale. Il testo più significativo a riguardo è Necrologium Lundense; la Brevis historia regum
Daciae e le Gesta Danorum. I sedici libri in cui l’opera è divisa costituiscono non solo un prezioso
thesaurus delle antiche saghe nazionali, sebbene non esclusivamente danesi, un indispensabile
complemento all’Edda e principale fonte della storia della Danimarca.

La documentazione in volgare Quando però nel secondo decennio del XIII sec apparvero i primi
manoscritti in volgare, la scrittura carolina e quella di transizione avevano ormai ceduto il passo
alla textura gotica: ed è in scrittura gotica spesso calligrafica che fu trascritta tutta la produzione in
danese. Il primo importante è un libro di erbe e di medicina del 1216.
La produzione danese più significativa è un corpora giuridico.

4.2 Gli svedesi


La conversione: forte resistenza della Svezia all’evangelizzazione e quindi all’occidentalizzazione.
Le confederazioni scandinave dei Gotar e degli Svear privilegiarono l’espansione a est (attraverso il
Baltico, verso le coste meridionali della Finlandia) e attraverso la Russia (lungo i corsi del Dnieper
e Volga) verso l’impero bizantino e il califfato arabo, stabilendo sin dal IX sec una fitta rete di
rapporti e contatti con l’europa orientale. Qst situazione attenuò la pressione della cristianità
occidentale sulla Svezia, allonbtanandone gli effetti culturali (es tradizione runica svedese è la +
ricca del mondo germanico; inizi tradizione scrittoria collocabili intorno metà XIII sec)
1 missione a Birka guidata da sant’Ansgar con scarsi risultati: il paganesimo resiste in tutto il
territorio. Anno 1000 -> sotto Re Olafr (1 re cristiano della Svezia) viene istituito a Skara un
vescovato dalle finalità missionarie. Dopo di lui tutti i re svedesi accettano cristianesimo. Anche se
qst ha grande rivonoscimento formale la reazione pagana almeno fino al 1070 fu +ttosto violenta,
molti predicatori danesi e anglosassoni subirono il martirio. La penetrazione cristiana proseguì
molto lenta fino alla seconda metà del XII sec e nel corso di qst sec iniziò a darsi un’organizzazione
stabile (apporto degli ordini monastici -> 1164 consacrato a Uppsala il 1 arcivescovo locale; 1200
Chiesa acquisisce una certa indipendenza in seguito alla concessione di privilegi fiscali accordati
dal re).

Gli inizi della tradizione scrittoria: La conversione di Olafr segna l’ingresso ufficiale delle
popolazioni svedesi nel mondo alfabetizzato occidentale. Incontriamo x la prima volta, su una
moneta del tempo di re Olafr, l’uso dell’alfabeto latino; tuttavia la tradizione scrittoria su
pergamena in latino e volgare ha inizio solo nella prima metà del XIII. Con la diffusione degli

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ordini dominicano e francescano si sviluppa una letteratura cristiana in latino di grande misticismo
(es. Brynolphus, Boethius, Petrus…Birgitta Birgesdotter…). Proprio il monastero di Vadstena, nel
quale visse e operò santa Brigida, diviene il principale centro religioso e culturale del Medioevo
svedese. -> Esperienza mistico ascetica di s.Birgitta contenuta negli otto libri delle sue
Revelationes, redatte in origine in svedese ma subito tradotte in latino. La loro singolarità produsse
una ricca letteratura agiografica in latino.

La documentazione in volgare: Prima documentazione in volgare – scritta nelle forme alfabetiche


latine modificate secondo l’uso anglosassone modiante l’aggiunta del segno runico Þ, di ð, di oe e
di ø, e vergata in scrittura gotica - è interamente rappresentata da codificazioni di norme e leggi:
alla metà del XIII è attribuito il + antico documento di lingua svedese, un frammento dei
Vastgotalagen che contiene elenco dei + impo personaggi laici e religiosi con essenziale commento.
Di natura giuridica sono i documenti in volgare (fine XIII sec o prima metà XIV sec) redatti in
scrittura gotica; del XIV sec e in scrittura gotica son le prime traduzioni dal latino di opere mistico
religiose e della Bibbia, i primi scritti omiletici e di edificazione, e la stessa prima produzione
innologica e lirica.

4.3 I norvegesi
La conversione: l’espansione in europa dei vichinghi norvegesi tra la seconda metà del VIII sec e
l’XI aveva messo in contatto col critstianesimo le popolazioni scandinave ancora pagane ben prima
che la religione cristiana venisse imposta x legge (995-1030) quale credo ufficiale della norvegia.
La prima conversione dei primi norvegesi di fatto non avvenne in patria ma nei territori colonizzati
dell’Occidente europeo, poi attraverso rapporti diretti o mediati i nuovi convertiti influirono su
amici e congiunti ancora pagani per indurli ad accettare la nuova religione. Eppure il cristianesimo
incontrò una violentissim resistenza da parte della popolazione legata ai culti e alle istituzioni
pagane e riuscì a imporsi solo quando i re, divenuti cristiani, per superare le tensioni tra la nuova
religione e la vecchia, adottarono mezzi e sistemi repressivi e crudeli, perfino coercitivi e
intolleranti. Di qst conversione furono artefici intorno all’aa 1000, il re Olafr Tryggvason e il re
Olafr Haraldsson, entrambi convertiti e battezzati fuori Norvegia, in Inghilterra, così come
convertito e battezzato fuori Norvegia fu re Hakon Haraldsson (“il Buono”), che dopo aver per
primo tentato l’evangelizzazione del paese era tornato al paganesimo.

Le forme scrittorie: la tradizione scrittoria della Norvegia conserva tracce evidenti delle salde
connessioni con l’inghilterra anglosassone nel momento cruciale della conversione, anche se
differentemente distribuite sul territorio. Il cristianesimo diffonde l’alfabeto latino nella sua forma
ortografica tardomedievale e la scrittura alfabetica appare diversificata nei documenti + antichi a
seconda delle aree di provenienza, orientali e occidentali.
a) la scrittura nelle aree orientali l’origine è anglosassone. I + antichi manoscritti, numericamente
esigui (XII sec) riconducono alla tradizione anglosassone post alfrediana per l’assunzione del suo
duplice sistema scrittorio, con la minuscola carolina per i testi in latino e l’insulare x i testi in
volgare + forme alquanto angolari delle lettere, ripresa dei peculiari segni grafici anglosassoni,
come le rune wynn e thorn, ð, y con valore fonematico proprio, eo per ø, f, r.
Prendiamo ad esempio il segno Þ: la sua resa grafica seguì rigidamente la forma assunta in
Inghileterra tra i primi del XI e gli inizi del XII sec, con la caratteristica pancia triangolare o
bombata eseguita in un solo tempo, sia nelle regioni orientali che nord-occidentali. Assunse invece
nei distretti sud-.occidentali una diversa caratterizzazione, con la pancia squadrata eseguita in due
tempi. Qst caratteristiche sn risontrabili nel manoscritto norvegese ritenuto il + antico, l’AM 655
IX, 4°, attribuito alla seconda metà del XII sec, proveniente dall’area orientale che contiene i
frammenti di una saga su S.Matteo scritta a Trondheim in scrittura ormai protogotica.
b) la scrittura nelle aree occidentali rispetto alla data della conversione al cristianesimo la
documentazione pervenuta è assai tarda. Nessun documento rimasto è infatti anteriore al 1150,
eppure è quasi certa l’esistenza di una + antica tradizione letteraria norvegese oggi perduta: lo

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confermano non pochi ms islandesi, i quali sembrano essere in realtà copie di ms norvegesi nn +
esistenti, forse giunti in Islanda tramite la Chiesa norvegese. Nella storia della letterarizzazione
della Norvegia, i rapporti con l’Islanda sn occupano una posizione di preminente importanza. Le
maggiori contiguità legarono l’islanda all’area norvegese sud-occidentale: contiguità linguistiche e
scrittorie, pratiche scribali (uso esclusivo carolina x txt in latino e volgare sino all’avvento della
scrittura gotica) condivise dai distretti meridionali e dall’Islanda. Con la sottomissione dell’Islanda
alla giurisdizione della diocesi di Trondheim nel 1152 e con l’annessione politica dell’islanda alla
norvegia nbel 1262, l’influenza norvegese si fece + evidente. Dalla metà del XII sec fino a tutto il
XIV nn solo intnsissimi divennero i contatti culturali tra i 2 paesi, ma enorme fu l’influsso
esercitato sull’islanda dai distretti orientali. Qst condizionde permise una grande circolazione fra un
paese e l’altro di uomini di chiesa, religiosi, intellettuali e studiosi, scribi, libri e documenti; molte
opere furono copiate e trasmesse in una redazione linguistica diversa da qll originale e versioni
nuove o rinnovate e modificate. Di qst attività quasi nulla è rimasto che provenga quasi sicuramente
dalla norvegia; la maggior parte della produzione è a noi nota per quel che han conservato e
trasmesso i ms islandesi, antecedenti oltretutto ai + antichi codici norvegesi rimasti; ma sn proprio i
codici islandesi che parlano a favore della ragguardevole leterarizzazione della Norvegia tra l’XI e
il XII sec.

4.4 Gli islandesi


La conversione anche l’alfabetizzazione dell’islanda affonda le sue radici nel processo di
cristianizzazione (fine X sec). Abitata periodicamente da eremiti irlandesi sin dalla fine dell’VIII
sec, colonizzata dai Vichinghi nrovegesi provenienti dalle coste sud occidentali della Norvegia sin
dalla fine dell’IX sec. Fu poi compresa nella grande azione missionaria della chiesa sassone. (dopo
molti tentativi anche da parte dei norvegesi nell’estate dell’anno 1000 il cfristianesimo divenne la
religione di stato dell’islanda). La letterarizzazione dell’isola, successiva alla conversione e in parte
legata ai missionari stranieri, si sviluppò quando attorno alla metà del XI sec vennero fondate
scuole locali, rette da un clero locale. (prime scuole fondate nel sud dell’isola, poi con gli inizi del
XII sec anche il nord è inserito attivamente nella vita intellettuale dell’isola + fondata una scuola
famosa in quanto vi operavano insegnanti professionisti.)

Le fasi dell’alfabetizzazione secondo Benediktsson la genesi dell’alfabetismo dell’Islanda è il


risultato di due diversi tipi di influssi, uno continentale, l’altro anglosassone, riconducibili a 2
diverse fasi storiche.
1) segnata dall’influenza continentale e coincidente col periodo delle missioni, momento
passivo dell’assunzione dell’alfabeto latino e delle forme scrittorie allora imperanti in
europa – minuscola carolina –
2) attestata dalla documentazione manoscritta, momento attivo dell’elaborazione e
dell’adattamento graduali dell’alfabeto latino al vernacolo e quindi della formazione di
un’ortografia nazionale secondo il modello anglosassone, diffuso e sperimentato sul
continente presso i germani.

La documentazione
a) Il primo periodo il processo di adattamento al volgare dell’alfabeto latino, assunto nelle
forme scrittorie della minuscola carolina, è individuabile nei + antichi ms islandesi, circa 24,
redatti tra i primi decenni del XII sec e gli inizi del XIII, in maggioranza di provenienza
clericale e attestanti una documentazione spesso frammentaria dal carattere prevalentemente
omiletico o devozionale.
b) Il periodo dell’influenza norvegese orientale la sottomissione dell’islanda alla diocesi
norvegese di Trondheim, avvenuta nel 1152 significò nn solo l’incremento dei rapporti
rteligiosi tra i due paesi, ma l’inizio di un vero e proprio predominio culturale della norvegia
orientale sull’islanda, che raggiunse l’apice nel XIV sec. Tra la fine del XII sec e gli inizi
del XIII sec cominciarono a farsi evidenti nella tradizione scritta i segni di questa influenza.
Vennero allora introdotti alcuni segni grafici tipicamente insulari. Anche la scrittura

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islandese di qst periodo, pur conservando i tipi carolini delle lettere, acquisì via via
caratteristiche grafiche assai simili a quelle della scrittura protogotica inglese, forse mediata
dall’area norvegese orientale. Le lettere assunsero forme ovali, rinunciando alle forme
rotonde della carolina, mentre si accentuò la tendenza alla compressione delle lettere e
all’elaborazione delle aste nei cosìddetti “minimi”, aste nn + poggianti sul rigo inferiore ma
ora terminanti con un trattino obliquo ripiegato verso dx; inoltre le ligaturae, usate
raramente agli inzi e sconosciute nella minuscola carolina, divennero nel XIII sec in poi
molto frequenti, spt qll x ft, ct, an, ar, af, pp, ng. A qst periodo risalgono poi le prime
manifestazioni di quella fusione delle curve convesse, verso dx e sx, in due lettere adiacenti,
che è una delle principali caratteristiche della scrittura gotica.
c) La documentazione nei secoli XIV-XV sin dalla metà del sec. XIII la scrittura islandese
aveva assunto le caratteristiche grafiche tipiche della scrittura gotica la quale divenne
dominante anche in islanda tra la fine del XIII sec e gli inizi del XIV. La tendenza alla
compressione e all’accentuata perpendicolarità delle lettere è individuabile in tutti i ms che
conservano la vasta produzione letteraria di qst periodo, messa x iscritto dopo una lunga
tradizione orale di cui è difficile ripercorrere la storia. I filoni principali di qst complesso di
testimonianze sono costituiti dalle saghe (di re, santi, poeti, illustri personaggi…) e poi
dalla poesia di corte, detta scaldica, perché composta da poeti-cantori professionisti, gli
scaldi. A qst periodo risale anche la tradizione manoscritta della famosa Edda di Snorri
Sturluson, nota anche come Snorra Edda o Edda in prosa (1220). L’opera, divisa in 3
sezioni, raccoglie da un lato le tradizioni storiche e mitologiche norrene, dall’altro si
presenta come manuale o trattato tecnico dello scaldo, volto alla sua educazione
professionale.

PARTE SECONDA CODICI E COPISTI

Capitolo terzo
La composizione materiale del libro medievale e le tecniche di esecuzione

1. Il libro manoscritto
Quando tra il V e VI sec furono prodotti gli unici manufatti a noi noti che conservano testimonianze
gotiche, può definirsi ormai conclusa la grande trasformazione culturale che aveva segnato il
passaggio dal rotolo al codice quale forma principale usata x conservare e trasmettere i testi della
tradizione scritturistica, giuridica e letteraria.
Fra i manufatti gotici e l’originaria elaborazione del testo intercorrono quasi due secoli. Questo
significa che quando nel IV sec Vulfila approntò la sua traduzione della Bibbia dal greco in gotico
era ancora in atto la rottura con la tradizione del rotolo, con la cultura ufficiale che esso
rappresentava e di cui era depositaria una determinata classe. Nei primi sec dell’Impero, tra la
piccola gente senza ruolo politico, di scarse possibilità economiche e di modesta formazione
intellettuale, un vero libro, un rotolo era cosa rarissima; usuale era invece il libro nn ufficiale, il
codice, il cui pubblico era formato da cristiani nella società emarginata, era il libro delle letteratura
popolare, cristiana e anche tecnica, cmq destinato a classi subalterne e meno abbienti, il mezzo +
economico di comunicazione scritta, di fronte al quale stava il rotolo, riservato a élites sociali,
tradizionalmente colte.
Alla rottura con la tradizione del rotolo contribuirono due eventi storici
• Grandi trasformazioni economico-sociali dell’età diocleziana fra il 284 e il 305 d.C.
connesse con la crisi economica generale;
• Nell’età costantiniana (306-337 d.C.), il mutato atteggiamento dell’imperatore verso il
cristianesimo portò ad una radicale innovazione della posizione giuridica e oggettiva
della nuova religione, che passò da setta perseguitata a culto preminente e uficiale dello
stato.

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Estesa diffusione del cristianesimo (religione del libro) fra gli umili e i meno abbienti + richiesta
sempre più insistita di un tipo di produzione libraria largamente + acquisibile = fortuna del codice
del IV sec. Nello stesso lasso di tempo in cui in Oriente e Occidente il codice si imponeva cm forma
privilegiata e di ampio consenso fra i nuovi utenti e/o possessori del libro medievale, il vescovo
Vulfila realizzava la sua innovativa esperienza di tradurre nel suo volgare le Sacre Scritture.
No testimonianze dei codici in lingua gotica scritti tra l’elaborazione del testo vulfiliano (seconda
metà IV sec) e la fine del V sec. Possiamo solo ipotizzarne qualche caratteristica. Possiamo dire che
i primi codici della Bibbia gotica dovessero essere fatti di pergamena e non papiro, il quale a partire
del IV sec venne sostituito sia in ambito greco bizantino sia nell’occidente latino dalla pergamena;
e inoltre noto che fu la Chiesa a dare piena dignità a quella materia libraria umile e popolare,
sciegliendola come mezzo + adatto x conservare e trasmettere la parola di Dio. La Chiesa si poneva
dunque dalla parte degli umili e degli emarginati privilegiando la forma e il supporto materiale dei
loro libri. Pergamena = veicolo di trasmissione del credo cristiano.
Il papiro cmq fu ancora usato anche oltre il VI sec al di fuori dell’Egitto, in area greca e latina, ma
esso risulta declassato, confinato in prevalenza a libri non scritturali, di secondaria importanza.
Duplice caratterizzazione del libro sacro in rapporto al tipo di committenza e di utilizzazione
(codici biblici pergamenacei monumentali accanto ad altri più umili senza pretese destinati a lettura
e catechesi).
La tendenza allo sfarzo nell’elaborazione dei codici (ostentazione di ricchezza), mossa
dall’esigenza di dare esteriore visualizzazione alla grandezza della parola divina o di rivestirla di
certi attributi imperiali, ricevette impulso sicuro in Occidente in ambito gotico, spt presso la corte
ravennate di Teodorico (alla Ravenna teodoriciana sn da ricondurre codici biblici di prestigiosa
fattura -> Bibbia Queriniana, Codex Argenteus uppsaliense, che contiene il testo della Bibbia di
Vulfila). Quest’ultimo codice citato, la cui produzione sembra essere avvenuta nella ravenna di
teodorico, per la sontuosità eccezionale del manufatto, riconduce a una destinazione connessa con
gli ambienti aristocratici della corte gotica o con quelli delle + alte autorità ecclesiastiche.
L’ideologia che stava alla base della traduzione della Bibbia in gotico – diffusione msg cristiano
ariano – fa presumere che i codici membranacei del txt vulfiliano abbiamo ampiamente circolato,
oltre che negli ambienti eruditi ed ecclesiastici, anche tra i ceti bassi e medi; e che perciò quei
codici siano stati prodotti per un pubblico tutt’altro che esigente e di scarse possibilità economiche.
Alla fine del VI sec mutarono radicalmente i meccanismi di produzione del libro. Le nuove officine
librarie furono nn + le botteghe laiche ma i soli scriptoria ecclesiastici: scriptoria che avevano già
operato in precedenza in modo attivo pur senza avere l’esclusiva della produzione libraria, ma che
ora, decaduti i grandi centri culturali laici in Occ. E Oriente, divennero gli unici depositari, almeno
fino alla rinascenza carolingia, delle tecniche di esecuzione e composizione librarie. Nn mutò xò la
forma del libro, che conservò la forma del codice, sicchè tutta la successiva produzione letteraria
germanica, religiosa e laica, si espresse nell’unico esempio fruibile di libro, il codice membranaceo,
fatto di pelli di animale.

2. La strutturazione del codice


Il libro medievale è un’unità costituita di una serie di unità più piccole assemblate in successione.
La sua struttura-base è infatti il fascicolo, non la pagina singola. Il fascicolo consisteva nell’unione
di + fogli incorporati gli uni negli altri, i quali talvolta si presentavano isolatamente, ma di norma
erano solidali due a due, in quanto provenienti dalla piegatura di un foglio in due (bifolium). A
seconda del nr dei bifolia impiegati il fascicolo assumeva nomi diversi (binione, ternione,
quaternione…). Binione: formato da due bifolia, ottenuto secondo la prassi della duplice piegatura
(piega in-quarto) della pelle dell’animale disposta in posizione testa-coda verticale: una prima
piegatura era fatta in senso orizzontale (perpendicolare alla colonna vertebrale dell’animale), una
seconda in senso verticale. Quaternione: formato da 4 bifolia, poteva essere costituito in vari modi,
sia mediante bifolia indipendenti incorporati gli uni negli altri, sia mediante l’assemblamento di due
binoini. (vedi figure pagg.117-8-9).
Talvolta xò i ms erano formati da fascicoli di configurazione diversa e persino irregolare in ragione
sia dell’ampiezza del txt trascritto sia spt delle fasi di costituzione del libro; in alcuni casi poi la

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diversa dimensione del fascicolo poteva essere determinata dalla natura stessa del txt, in quanto la
sua eventuale strutturazione autonoma e indipendente rispetto agli altri fascicoli del codice poteva
consentirne la (momentanea) rimozione senza nuocere alla configurazione dei fascicoli contigui.
Impo è la meccanica della piegatura dei fogli di pergamena per formare il codice. Le due facce del
codice presentavano di solito una differenza relativamente marcata di colore, tendente al bianco dal
lato della carne e al giallo bruno dal lato del pelo. Ad evitare disformità di colore fra pagg contigue
i codici furono organizzati in modo che la pag di sx avesse un aspetto = a qll di dx. Pratica + usuale
= disporre il lato della carne all’asterno del fascicolo e organizzare i fogli secondo una successione
“a coppia”, lato del pelo di fronte al lato del pelo, lato della carne di fronte al lato della carne.
(regola del vis-à-vis o regola di Gregory). Nell’area continentale quest’alternanza a coppie fu quasi
sempre rispettata: i fascicoli, fatti di membrane in genere sottili di consistenza e di buona qualità
(che dipendeva da età animale, tipo di pelle, cura con cui veniva preparata), furono costituiti con qst
tecnica iniziando in prevalenza, almeno fino al IV sec, col lato della carne.
Non avvenne così negli scriptoria insulari (Inghilterra, Irlanda) dove vi erano tecniche innovative.
Le pergamene insulari, + rigide e + spesse) ruvide e pelose al tatto, di colore quasi uniformemente
grigiastro, mostrvano poco contrasto tra le facce, sicchè i fascicoli furono organizzati prescindendo
spesso dall’alternanza “a coppia” (il lato del pelo era qui contiguo a quello della carne).
Certamente, gli scrptoria insulari sperimentarono talvolta le tecniche continentali preparazione del
codice (in dipendenza da condizionamenti culturali), ma gli usi insulari cmq nn scomparvero.
I fascicoli venivano ripiegati rispettando il senso della membrana. Affinchè le pagg si voltassero
facilmente senza forzare ed il libro rimanesse aperto, occorreva che la piegatura avvenisse in senso
perpendicolare alla colonna vertebrale dell’animale; diversamente era impossibile tenere apero il
libro se non esercitando una pressione particolare.
A quale stadio della strutturazione del codice i fogli del fascicolo venivano tagliati affinché il
copista potesse trascrivere il testo? Si può ipotizzare che il copista tagliasse i fogli o
preventivamente, o a mano a mano che la trascrizione procedeva, o in due tempi, o a lavoro
ultimanto.
Impo erano anche la foratura e la rigatura dei fogli, che servivano a guidare l’amanense nelola
trascrizione del txt e a fissare la costruzione dell’impaginazione. Foratura = serie di forellini apposti
sui margini di sx e dx del foglio x segnalare la distanza fra le righe; avveniva tramite uno strumento
ben affilato (punctorium), una specie di compasso la cui punta metallica produceva sulla pergamena
un segno visibile di forme diverse.
I sistemi di foratura e rigatura furono eseguiti in modo assai diverso a seconda dei periodi e località.
Sul continente le membrane venivano di solito sottoposte a foratura e rigatura prima della piegatura
del bifolium (fori-guida fissati unicamente sui margini laterali della pergamena distesa e nn ancora
piegata). Negli scrptoria insulari invece la foratura e rigatura era eseguita in modo diverso. Qui si
procedeva prima alla piegatura del fascicolo, poi il quaternione veniva corredato delle dovute
forature su entrambi i margini esterni e interni e quindi rigato. Sembra difficile credere che i
quattro bifolia di pergamena potessero essere forati con facilità in una sola volta; è perciò probabile
che vi fossero due distinte operazioni di foratura, una prima sul foglio esterno del fascicolo (lato
pelo) e una seconda, aperto a metà il quaternione, sul foglio interno di dx. Conseguenza di tt ciò è
la presenza nei ms insulari di due colonne verticali di forature in ogni foglio.
Le forature + frequenti sn qll che guidano la rigaura o squadratura, orizzontale e verticale,
necessaria nn solo x fini essenzialmente pratici (delimitazione area di scrittura) ma x fini estetici, in
quanto supporto indispensabile x la realizzazione di una pagg armoniosa. Le righe erano approntate
in funzione del txt scritto. Quanto + prezioso ed elegante era il codice, tanto + elaborato era il
sistema di rigatura. I codici privi di rigature invece erano qll a basso costo e senza pretese.
Fino all’XI-XII sec la rigatura, cm la foratura, venia eseguita a secco, cn punta metallica o di legno,
foglio x foglio o a gruppi di fogli o addirittura a fascicolo x volta. Dal XII sec fu usata sia la
rigatura a piombo sia qll a inchiostro, incluso qll rosso o violetto.
Nell’intraprendere l’operazione di foratura e rigatura lo scriba doveva predisporre gli spazi destinati
ai capoversi, alle lettere iniziali e alle illustrazioni, in quanto la decorazione dei codici avveniva di

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norma a trascrizione ultimata da parte di artisti qualificati; ecco xkè talvolta un ms conserva ancora
vuoti gli spazi riservati alle illustrazioni previste ma nn effettuate.
Le proporzioni eleganti dell’impaginazione di certi codici inducono a ritenere che in nuomerosi
casdi l’organizzazione del txt fosse regolata da precisi calcoli matematici e geometrici, sebbene nn
sempre è possibile riconoscere simili procedimenti nella mise en page dei codici.

3. Le materie scrittorie
I Germani conobbero e utilizzarono come mezzi materiali x la scrittura dei loro testi le materie
scrittorie d’uso comune sin dal’età classica: tavolette lignee e il papiro (x impieghi estemporanei),
la pergamena (x trasmissione loro txt letterari).
Le tavolette cerate: Le tavolette (déltoi), largamente adoperate nell’antichità e a lungo
sopravvissute in età medievale, consistevano in assicelle rettangolari di legno duro o talvolta di
avorio, che presentavano nella parte centrale un incavo spalmato di cera, o piuttosto gomma lacca
fusa, sulla quale si scriveva a sgraffio con uno strumento a punta dura o metallica, lo stilus. Si
trattava di una vera e propria incisione. Quando poi il tst nn era + di nessun interesse, la cera veniva
rimossa e sostituita con altra, meglio adatta a ricevere un nuovo scritto. Si conosce anche un altro
tipo di déltos, scritta non con lo stilo ma con penna e inchiostro direttamente sul legno (ritrovamenti
in Britannia romana, lungo la frontiera romana settentrionale pre-adrianea, cosìddetta Stanegate
Line). Grazie a un sensazionale ritrovamento di ben 800 tavolette lignee scritte cn penna e
inchistro sembra di capire che nella stragrande maggioranza dei casi si predilessero le nuove déltoi,
fatte di sottili assicelle di legno tenero e destinate a essere scritte cn penna e inchiostro.
Le tavolette erano di solito riunite a due a due (dittico) o a tre a tre (trittico) o a + assicelle
(polittico) mediante lacci di cuoio o di stoffa o anelli di metallo; una volta disposte in serie e legate
da cerniere, assumevano la forma di un codice: e infatti codex fu il termine latino usato x indicare la
pluralità di tavolette così collegate. Anche fra i Germani era molto diffuso l’uso delle tavolette,
com’è documentato da testimonianze letterarie e archeologiche di varia epoca provenienza.
Un’interessante info proviene dal cap. 25 della Vita Karoli Magni imperatoris dove si legge che
Carlo Magno era solito fare esercizi di scrittura sulle tavolette (“tentava anche di scrivere e soleva
porre sotto i cuscini del letto le tavolette e codicilli per esercitarsi a tracciare le lettere durante il
tempo libero, ma iniziò troppo tardi e il risultato della sua fatica fu mediocre”). Tabulae-> comuni
tavolette; codices o codicilli -> insieme di due o + tabulae tenute unite da fermagli metallici.
La diffusione delle tavolette in età germanica è poi ben attestata dai numerosi ritrovamenti
archeologici di tavolette corredate da stili di bronzo, fra i quali si segnalano reperti di età vandalica
nell’Algeria sud-Orientale, i reperti anglosassoni provenienti da Blythburgh, nel Suffolk, e dal
monastero pre vichingo di Withby, e i ritrovamenti di area scandinava. Inoltre su tavolette cerate sn
preservate le tracce + antiche pervenuteci di scrittura insulare, le “Springmount Bog Tablets”
irlandesi dei primi del VII sec, che conservano estratti dei Salmi vergati in quel nuovo sistema di
scritture che di lì a poco avrebbe assunto la preminenza in tutta l’area insulare: Irlanda e Inghilterra.
Il papiro: Il papiro cm materia scrittoria fu di uso comune nell’antichità. Ricavato da giunco
palustre (cyperus papyrus) che cresceva lungo gli acquitrini del delta del Nilo, ebbe in egitto il suo
principale centro di produzione anche se è nota la coltivazione della pianta anche fuori egitto, cm in
sicilia dove fu introdotta dagli arabi. Secondo Plinio dopo aver rimosso la corteccia, una parte dello
stelo della pianta veniva divisa in strisce verticali (phylirae) sottili e lunghe, che venivano poi
adagiate su un piano rigido e accostate l’una accanto all’altra, in successione sino a formare uno
strato continuo. Sopra qst primo strato venivano poi allineate in senso perpendicolare alle
precedenti e in successione, altre strisce ottenute allo stesso modo: ne risultava una sorta di
reticolato fitto e compatto (plagula), che veniva poi martellato con un mazzuolo di legno per far
aderire insieme i due strati, quindi posto ad essiccare al sole, infine appianato e levigato con pomice
sino a rendere il foglio liscio e flessibile. Per formare il rotolo, o volumen, i fogli venivano disposti
l’uno accanto all’altro e incollati lungo i margini adiacenti; nei rotoli + accurati le giunture
(kolléseis), larghe uno o due cm, subivano un’ulteriore levigatura dopo l’incollatura x eliminare
ogni dislivello. La parte interna del rotolo, dv le fibre corrono in senso orizzontale, è la faccia che
accoglie il tst scritto. Cominciando dal margine estremo di sx, lo scriba trascriveva di solito il txt

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sul lato interno e su colonne perpendicolari alla lunghezza del rotolo; quindi via via che scriveva,
mentre avvolgeva il rotolo con la mano sx lo svolgeva cn la dx. Una caratteristica del rotolo è che,
di solito, il primo foglio veniva incollato con le fibre interne disposte in senso verticale
(protocollon), nn orizz, ed era lasciato in bianco a protezione del tst scritto. Una volta scritto il
rotolo veniva avvolto a cilindro, quindi legato con una fibra estratta dalla parte esterna sulla quale si
imprimeva il sigillo. Anche dopo che il codice sostituì il rotolo cm forma principale x i tst il papiro
continuò a lungo a essere usato cm materia scrittoria. X qnt riguarda il mondo germanico, le uniche
testimonianze scritte su papiro pervenuteci sn le sottoscrizioni in lingua gotica (sec VI)
La pergamena: Impo materia scrittoria ricavata da pelli d’animale attribuita a Eumene, re di
Pergamo, dal IV sec in poi prevale sul papiro in tt il mondo occidentale nell’uso sia di tst letterari
sia documentari. Anche se si usa il termine pergamena in generale x indicare fogli di origine
animale, in realtà pergamena=superfici ricavate da pelli di ovini; vello=superfici scrittorie ricavate
da pelli di vitello. La qualità della pergamena dipendeva da età animale, tipo di pelle e cura con cui
veniva preparata. Di norma si preferivano pelli di animali o nn ancora nati o nati morti o uccisi
entro 3 mesi d’età (davano pergamene sottilissime e candide). Poco richieste erano le pelli di
animali adulti, troppo rigide, spesse, di difficile lavorazione. Pergamene continentali -> pelli di
pecora; pergamene irlandesi e anglosassoni -> pelli di vitello.
(inserire tt la lavorazione della pergamena?!)
Demandato alla preparazione della pergamena era il parcamenarius, presso i principali monasteri
qst attività specialistica era svlota di solito da un monaco, ma talvolta anche i laici furono preposti
a tale compito all’interno della stessa officina monastica. (lunellum era il coltello cn cui il
parcamenarius raschiava la pelle).
I costi di produzione della p.erano molto elevati, inoltre ogni pellem di vitello (ca 3 mesi d’età)
poteva fornire nn + di 2 bifolia x codici di ampiezza modesta, x i grandi ms serviva un’intera pelle
x un solo bifolium.
L’elevato costo economico della p., la resistenza e la versatilità di qst sn confermati dal suo riuso
nei cosìddetti palinsesti (=raschiato di nuovo), cioè un ms pergamenaceo il cui txt primitivo è stato
raschiato e sostituito con un altro (codex rescriptus). Il ms veniva immerso una notte nel latte x
eliminare l’inchiostro poi dopo esser stato ricoperto di farina e pressato, veniva raschiato e levigato
cn pietra pomice. (i codici + famosi di area germanica sn qll che contengono nella scrittura inferiore
(sec VI) alcune parti in frammento del tst biblico di Vulfila in ll gotica). Difficile decifrazione e
comprensione della scrittura inferiore dei palinsesti, un tempo si usavano reagenti chimici che
produssero disastrosi effetti sulle scritture inferiore e superiore rendendole illeggibili.
Un secondo uso della pergamena è connesso con le tecniche di rilegatura dei codici cartacei. (fogli
di p. già utilizzati usati cm sostegno alla rilegatura del ms). Dal XV sec in poi supporti di p. vennero
inseriti nei punti di cucitura delle segnature x limitare la sfascicolazione del ocdice, altre vv fogli di
ms dismessi incollati insieme x formare un sostegno spesso tra la copertina e il frontespizio.
La carta: naturale alternativa alla costosissima pergamena nn appena cominciò ad essere prodotta
su vasta scala in occidente alla metà del XII sec. Nel 1151 entrava in funzione a Jàtiva, Spagna, la
prima cartiera impiantata dagli arabi nel mondo mediterraneo. Scoperta nell’impero cinese sin dal II
sec, la sua apparizione in occ fu dovuta agli arabi: fin dal IX sec si ebbe la carta in Spagna e nel
tardo XI sec nella sicilia normanna, poi Bologna, Genova, Venezia e Fabriano. Nel mondo
germanico la carta fece la sua apparizione + tardi, tra il XIII sec e gli inzi delXIV: le prime
fabbriche in germania risalgono xò al XIV (colonia, magonza) e in inghilterra a Stevenage attorno
al 1450.

4. Gli strumenti per scrivere


Abbiamo prima parlato di scrittura “a sgraffio”, a secco, senza inchiostro che ebbe un impiego
rilevante in area germanica quale scrittura di un ampio nr di glosse, le scratched glossae o
Griffelglossen. Questo tipo di scrittura si serviva dello stilo (stilus), una sorta di asticciola di ferro o
bronzo o avorio, talvolta argento, che terminava da una parte con una punta metallica e dall’altra
con una spatola triangolare, in modo da poter essere utilizzato sia x scrivere che per raschiare il tst
scritto in caso di errori o ripensamenti. Lo stilo fu usato spt x scrivere su tavolette cerate e fu

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quindi comunissimo in tutta l’antichità e nell’Alto Medioevo. In epoca + tarda lo stilo ebbe poi un
ampio impiego cm strumento x effettuare la foratura e la rigatura dei fogli e persino x disegnare a
secco illustrazioni in tutto o inparte successivamente miniate.
Per scrivere su pergamena o papiro furono invece usati prima il calamo (calamus), cioè una canna
tagliata a punta aguzza, poi, dal IV sec, la penna di volatile (penna), d’oca o cigno. Il taglio della
penna assunse grande impo nella caratterizzazione delle varie forme di scrittura. (es pennino a
taglio obliquo: slanted pen…)
Atrezzatura copista medievale: scrittoio cn piano inclinato, gesso, 2 pietre pomici, due corni
l’inchiostro (rosso e nero), coltello affilato, 2 rasoi x raschiare la pergamena, il punctorium
(punteruolo), una mina di piombo, riga e righello, un compasso e poi anche uan rotellina cn punte a
distanza regolare, che potevano servire cm strumento x segnare i fori destinati a guidare la rigatura.

5. L’inchiostro
I differenti tipi di inchiostro usati nelle varie epoche possono essere molto utili x avere preziose
conferme di datazione dei codici, poiché a seconda della composizione dell’inchiostro il colore
sulla pergamena variava notevolmente, passando dal colore tra il gialoo scuro e il marrone olivastro
dei sec IV-VI, al colre decisamente bruno del VI, al marrone scuro del VII, a qll verdastro dell’VIII.
Gli irlandesi e gli anglosassoni scrissero ocn un inchiostro nero tendente al grigio, ma usavano xò
spesso qll rosso x distinguere singoli elementi del txt o per evidenziare le citazioni. In età gotica fu
invece molto diffusa l’alternanza fra il rosso e l’azzurro.
La scrittura in argento o in oro fu riservata sin dall’antichità cristiana a codici particolarmente
lussuosi o pregiati.

Capitolo quarto
“Scriptoria e scribi”

1. Gli “scriptoria”
Processo di copiatura molto importante. Dove avveniva? Fino alla fine del VI sec nelle officine
laiche a cui l’aristocrazia intellettuale pagana e cristiana si rivolgeva x la confezione dei codici,
marginalmente negli scriptoria ecclesiastici annessi a biblio cristiane. (impo corte Teodorico di
Ravenna, principale bottega laica dell’occidente latino. Dopo VI sec situazione che muta
radicalmente: scomparsa classi colte pagane e cristiane che avevano sostenuto la produzione
dell’artigianato laico librario → trapasso produzione libraria dalle botteghe laiche agli scriptoria
ecclesiastici.
Influenza egemonizzante della Chiesa (VI sec) condiziona la nuovoa cultura, i cui protagonisti cono
gli uomini di Chiesa. Le sedi episcopali e i principali monasteri diventano nuovi centri culturali,
dove venivano educati anche coloro che nn intendevano prendere ordini sacri. (es. Monastero di
San Gallo con doppia scuola: di clausura o ad uso interno ed esterna). E’ bene sottolineare come il
buon funzionamento di una scuola dipendesse in gran parte dai libri posseduti dalla annesse
biblioteche. Bisogna xò precisare che il termine biblioteca cm lo intendiamo noi oggi nn esisteva
nel medioevo. Allora i libri erano conservati in armadi (armaria o arca libraria), tenuti spesso
distinti in base alle diverse necessità monastiche (libri di scuola, funzioni liturgiche, lettura ad alta
vioce durante i pasti…), erano quindi funzionali alla preparazione culturale e religiosa dei monaci
ma anche alle attività connesse alla loro vita conventuale. I monaci per di più si occupavano anche
di arricchire continuamente la biblio tramite acquisizioni di opere oltre che ascetiche e devozionali,
anche secolari e profane. Parte del patrimonio librario delle biblio monastiche proveniva da
donazioni:
• Doni ricevuti nel tempo da altri centri ecclesiastici o da personalità influenti religiose e
laiche;
• Volumi acquisiti in conseguenza dell’abitudine dei monaci di portar con sé i propri volumi
ogni volta che si spostavano x fondare un altro centro monastico in un’altra regione

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Spesso xò parte del contingente librario veniva fornito dallo scriptorium annesso al monastero, un
locale riservato alla scrittura dove avveniva la copiatura o la stesura di opere originali. Nei
monasteri benedettini questo spazio faceva parte integrante della chiesa (carattere sacro conferitogli
dove gli scribi operavano in silenzio).
Esisteva però presso i monaci cistercensi (benedettini riformati) una regola (cenobitica) che li
obbligava a una vita di solitudine nella loro cella, x cui questa veniva debitamente attrezzata al fine
di costruire un luogo di lavoro individuale.
Tra XII e XIII sec rapido sviluppo delle scuole annesse alle grandi cattedrali e sorgere di università
→ richiesta produzione libraria più ampia e meno costosa di quella prodotta nei monasteri per
soddisfare la sempre maggiore richiesta di libri sia secolari che religiosi →necessario lavoro
d’équipe: gruppi di artigiani specializzati che x mestiere, sotto la direzione di un responsabile, si
dedicano alla preparazione dei libri su commissione nei nuovi ateliers laici o clericali. Gli stessi
ecclesiastici, pressati da ontinue richeiste di libri impiegavano spesso negli scriptoria, accanto ai
monaci copisti, artigiani laici professionisti salariati. Gli scriptoria ecclesiastici ebbero il monopolio
della produzione libraria sino alla nascita, nella prima metà del XIII sec, dello stationarius (specie
di libraio/editore specializzato nella rapida riproduzione dei txt scolastici a basso prezzo mediante
il sistema della pecia).

2. L’organizzazione del lavoro negli scriptoria


Compito principale: copiatura libri necessari alla vita della comunità (in uso x servizi religiosi, x
educazione studenti, x arricchire biblio). Libri mancanti chiesti in prestito spesso dietro pagamento
di un deposito. I libri inoltre potevano essere commissionati ai monaci scribi da committenti esterni
(missionari, studenti scuole ecclesiastiche, religiosi e laici d’alto rango come re imperatori –
propaganda imperiale fatta tramite la sontuosità dei codici - vescovi.
Organizzazione del lavoro nello scriptorium, regolata e diretta dal capo scrivano, variava spesso in
relazione al codice da riprodurre. 2 mansioni fondamentali: COPISTA (trascrive testo) e
CORRETTORE (revisione lavoro copista), svolte in modi diversi: dalla stessa persona, da due o più
artigiani…

3. Copisti e correttori
Di solito il copista è ritratto mentre seduto su una sedia dallo schienale altro e diritto scrive su un
piano di scrittura spesso fortemnte inclinato munito di calamai x l’inchiostro e alcune penne. La
forte inclinazione del piano di scrittura permette di capire cm i copisti scrivessero senza mai
appoggiare la mano sul foglio. Alla copiatura i copisti dedicavano giornalmente molte ore.
Interrotta solo dalle funzioni liturgiche, qst faticosa attività era spesso causa di malanni e disturbi
fisici. (es. scarsa illuminazione…etc). Anche l’ambiente di lavoro creava spesso distrazioni e
inconvenienti. Per i monaci distratti vi erano cmq severe punizioni.
Lo scriba svolgeva un ruolo essenziale non solo nella società secolare illetterata ma anche
all’interno della stessa comunità religiosa. Allo scriba era spesso demandato + che la semplice
copiatura di un libro. A lui potevano spettare la scelta dell’esemplare di copiatura, il suo
reperimento altrove se il tst desisderato nn era conservato nello scriptorium, l’organizzazione della
mis en page, a lui competeva anche la funzione di correttore, sebbene gli scriptoria + organizzati
avessero una persona specificamente preposta a rivedere e a correggere il lavoro di copiatura svolto
dagli scribi. Era impossibile trascrivere il tst senza commettere errori, sia pure di semplice
trascrizione, quindi il correttore svolgeva il compito di controllare il tst trascritto al fine di
correggerlo.

Capitolo quinto
La trascrizione dei manoscritti

1. Il meccanismo della copia

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La fase + delicata della produzione libraria era il momento del raccordo tra le componenti esterne
del ms (materiali e strumenti x scrivere; la struttura del codice) e le sue componenti interne
(contenuto letterario e documentario).
I copisti, nell’atto della copia introducevano nel txt una serie di errori, spesso fonetici, quindi nel
corso degli anni attorno al processo di copiatura si sviluppò un acceso dibattito scientifico che si
incentrò su due problemi principali:
a) la posizione dello scriba durante la trascrizione
b) il modo in cui la trascrizione veniva effettuata, sotto dettatura oppure x copiatura diretta
Per quanto riguarda il mondo antico, le rappresentazioni egiziane hanno dimostrato ch lo scriba
operava seduto a gambe incrociate, col suo gonnellino corto ben steso sopra gli arti inferiori sui
quali, cm su uno scrittoio, era posata la porzione aperta del rotolo di papiro, pronto a ricevere la
scrittura; da altre raffigurazioni risulta che sedesse con un ginoccvhio ben sollevato rispetto
all’altro, in modo da costituirsi un piano di scrittura inclinato. Nn erano usati né tavoli né scrittoi.
Questa posizione dello scriba nn sembra sia rimasta identica sempre e ovunque nel mondo classico.
Nell’arte greca e romana abbiamo esempi di scribi in piedi o seduti su uno sgabello, o a volte con in
parte un leggio.
La tipica rappresentazione dello scriba seduto a gambe incrociate, col rotolo appoggiato sulle
gambe e apparentemente privo di esemplare di copiatura, sembra suggerire che la sola tecnica usata
nell’antichità consistesse nello scrivere sotto dettatura. Esisteva xò un altro tipo di copiatura, qll
visiva, per via diretta senza intermediari. Anche qst ultima prevedeva xò una dettatura a voce alta.
Nel mondo antico ogni lettore pronunciava di solito a voce alta le parole mentre le leggeva,
essendo la lettura personale e silenziosa un evento isolato ed eccezionale; perciò anche il copista
che operava in solitudine, pronunciava a voce alta ogni parola che leggeva nel suo esemplare
dettandola così e se stesso, e così facendo produceva dei suoni che, nn diversamente da quanto
avveniva nel caso di una copiatura sotto dettatura, influenzavano e determinavano ciò che egli
metteva x iscritto.
X qnt riguarda l’età medievale lo scriba sta seduto su una sedia dallo schienale alto e diritto e copia
il codice da un esemplare posto su un leggio davanti a sé. Questo sta a significare che la copiatura
visiva fu certamente la tecnica abitualmente usata negli scriptoria monastici, dove la regola del
silenzio assunta come ideale ascetico nn potè nn imporre la pratica dell’auto dettatura.
Che la copiatura visiva sia stata la prassi normalmente osservata negli scriptoria nn vuol dire che
tutti i ms, in tutti i centri e in ogni occasione in un dato periodo, siano stati tutti visivamente
riprodotti; al contrario la copiatura sotto dettatura di numerosi codici sarebbe dimostrata dagli
specifici errori singolari che essi conservano.
Per esempio Skeat sostiene che lo scriba del codice Mediceus abbia operato sotto dettatura di una
persona balbuziente poiché nello spazio di pochi righi scrive x ben 2 vv l’errato ante tribuni al
posto di an tribuni e rerepente in obsonium per il corretto repente inops omnium.
Eppure gli errori provaocati dalla dettatura del tst sn solamente superficiali e una vv eliminati
consentono la preservazione di un tst migliore di qll ottenuto cn una copiatura visiva. Lo scriba che
copia autonomamente, infatti, ha modo di esaminare il modello a suo piacimento per comprendere
il significato, può scorrere con l’occhio le righe di scrittura avanti e indietro e non è mai pressato
dalla necessità di stare al passo con il dettatore: in qst situazione egli può commettere errori visivi e
auditivi, ma gli è anche possibile di alterare o di omettere ciò che nn capisce e così di apportare al
modello modifiche talvolta rilevanti. Invece il copista che scrive sotto dettatura dipende intermente
da una singola e fugace immagine auditiva e se fraintende le parole del dettatore ha ben poche
possibilità di rettificare, persino capire, l’errore.
Secondo Janet Bately la copiatura in età medievalepoteva assumere due forme distinte, dattatura da
una persona a un’altra o dettatura a se stesso. Lo scriba che copia autonomamente può arrivare a
commettere errori di natura visiva attraverso l’errata lettura del suo esemplare, ma può anche
commettere errori di natura auditiva attraverso la dettatura fatta a se stesso; lo scriba che copia sotto
dettatura può riprodurre gli errori visivi del dettatore, ma può anche produrre errori fonetici suoi
propri attraverso l’errata audizione del tst. Gli errori dovuti a mancanza di liaison tra lo scriba e il
dettatore determinano errori testuali specifici e singolari causati appunto da queste incomprensioni.

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Ne risulta che in ogni ms copiato sotto dettatura è da supporre la presenza di un certo nr di errori
singolari i quali variano in rapporto all’esperienza di colui che scrive sotto dettatura e alla ll in cui
si copia.
(copiatura visiva -> procedura usuale e generalizzata; copaitura sotto dettatura -> sistema usato in
via eccezionale e straordinaria)
In casi di particolare urgenza, quando occorreva risolvere il problema del notevole impiego di
tempo, gli scriptoria monastici fecero a vv ricorso alla distribuzione dei fascicoli tra + scribi perché
ciascuno trascrivesse la sua parte in modo autonomo. Si otteneva in tal modo una copia in tempi
assai + ridotti, anche se il risultato rischiava di essere insoddisfacente: nn solo la scrittura poteva
variare da un fascicolo all’altro nell’andamento (ductus), nel modulo delle singole lettere, ma
poiché nn sempre era possibile riprodurre esattemente la mise en page e la mise en ligne
dell’esemplare, i fascicoli a vv terminavano in modo diseguale.

2. La formazione degli errori


Il copista tendeva di solito a riprodurre esattamente il suo modello x intero, conservandone
individualità e particolarità. Questo nn significa che tutti gli scribi abbiano operato in tal modo. Non
pochi tra loro trascrissero il tst cn negligenza, spesso x pigrizia o per stanchezza o per insensibilità.
E non pochi per migliorare il tst o per correggerne errori spesso presunti, lo riprodussero senza
rispettarlo, manipolandolo o introducendovi modifiche ed emendamenti. Anche nei casi di copiatura
attenta e scrupolosa le alterazioni erano inevitabili, essendo il processo stesso di trascrizione che
introduceva anomalie ed errori, sia pure incidentali e casuali. “il processo di trascrizione è
caratterizzato dalla variazione, ed è soltanto nel processo di trascrizione che sorgono le lezioni
varianti”.
Il primo responsabile della formazione degli errori fu il sisrtema di copiatura. Il copista scorreva
con l’occhio un breve passo del suo modello, lo leggeva fra sé ad alta voce, lo memorizzava, infine
lo trascriveva; un’operazione che poteva comportare sviste ed errori di natura visiva ed auditiva.
Vi era una molteplicità di errori:
• erronea interpretazione delle forme paleografiche
• confusione tra suoni uguali e rafie diverse
• assimilazione di suoni nel corpo della parola o fra parole contigue
• omissione di parti anche minime del discorso
• duplicazione di una sillaba o di una parola o di intere sezioni del testo
(dittografia)
• riduzione o contrazione di parole o sezioni di tst (aplografia)
• fraintenimento di una parola del modello con un’altra formalmente simile
• incapacità di comprendere le abbreviazioni usate
• semplificazione e sostituzione di termini rari con altri facili e banali
• trasposizione dell’ordine delle parole (praeposteratio)
Quando poi riprendeva a leggere una nuova pericope di tst lo scriba riportava l’occhio al punto in
cui aveva interrotto la lettura. Anche quello era un altro momento critico, poiché la presenza, entro
un breve spazio, di due parole simili nella sillaba finale o identiche poteva indurre il copista a
riprendere la lettura in un punto sbagliato: se per errore andava troppo indietro e ricominciava a
leggere e a trascrivere dalla prima ocorrenza, era portato a ripetere quanto aveva già scritto,
semplici lettere o gruppi di parole o perfino intere parti di tst (dittografia); se invece ricominciava
dalla seconda occorrenza, senza accorgersi d’essere andato troppo oltre, era indotto a omettere o
saltare il segmento di tst compreso fra le parole simili (omissione per omeoteleuto, saut du meme au
meme, eye-skip)
Confusione tra le lettere: le confusioni tra le lettere, dovute principalmente a imperizia
paleografica del copista o alla sua fretta nel leggere e nel trascrivere, sono innumerevoli. Alcune
sono spiegabili con la somiglianza fra loro di alcune forme minuscole insulari (anglosassoni) e di
alcune fra queste con i simboli dell’alfabeto runico: p per (wynn) e viceversa, r per s, f per s etc…
Omissioni e salti: es tst della Historia ecclesiastice gentis Anglorum segnato da omissioni diverse
che vanno da quelle di singole lettere e addirittura di intere parole. L’eccessiva frettolosità di lettura

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o di scrittura del copista ha talvolta coinvolto nell’errore alcune parole contigue, che sono state
corrette p’er aplografiam (es germanitatis per germanae caritatis; praefamula per praefata dei
famula). Vi sono omissioni per omeoteleuto (cm spiegato sopra)
Sn da segnalare errori dovuti alla mancata apposizione per distrazione o per pura dimenticanza dei
segni abbreviativi derivati dal sistema tironianoe comunissimi in tutto il medioevo. Es omissioni del
simbolo 7 (et = ond, and, enti, ecc) oppure delle lineette orizzontali soprascritte e delle lineette
ondulate o oblique che stanno ad indicare ora una contrazione o un troncamento, ora la mancanza di
singole lettere o di gruppi di lettere in fine di parola. In casi simili la svista del copista si ripercuote
sul nuovo testo che inevitabilmente riproduce l’errore.
Dittografie: ripetizione di sillabe o gruppi o gruppi di lettere; duplicazione di parole singole o
intere frazioni di tst.
Assimilazioni: assimilazione parziale di una parola ad un’altra vicina es on hoealgum bocum
gewritum anziché on hoealgum bocum gewtriten.
Metatesi: errori dovuti all’inversione di due segmenti fonologici contigui (es smile per simle;
helad per heald)
Trasposizioni: spostamento di passi contigui ad opera dell’amanuense. Talvolta singole parole o
intere pericopi potevano essere omesse involontariamente durante le varie fasi della lettura, della
memorizzazione, della dettatura, della scrittura. Se il copista si accorgeva dell’errore commesso, di
solito era portato a correggerlo; ma se non disponeva più di alcuno spazio per inserire al punto
giusto la porzione di tst saltato, ricorreva sia alle aggiunte interlineari e marginali ( richiamate nel
tst cn appositi segni), sia al ripristino del tst omesso nello spazio ancora disponibile per la scrittura
(anche qui richiamando cn appositi segni). Se però il copista successivo nn teneva conto per mera
distrazione di questi segni di richiamo, la trasposizione era inevitabile: il passo saltato era ricopiato
fuori posto e tramandato secondo un ordine inverso.
Un tipo particolare di trasposizione è costituito dall’inversione dell’ordine delle parole in una frase
(praeposteratio), ed è di solito riconducibile a una caduta di memoria: lo scriba che doveva
memorizzare la pericope prima di trascriverla, era talvolta indotto inconsciamente a invertire
l’ordine delle parole. Es an God syndon per syndon an ece God.
Erronea separazione delle parole: durante tutta l’antichità i tst furono trascritti senza separazione
di parole secondo un uso definito scriptio continua. Furono gli scribi insulari ad impiegare per
primi la separazione delle parole, un’innovazione irlandese derivata dall’apprendimento del latino
come lingua straniera. Sebbene tale pratica fosse usata sempre + di frequente a far data dal IX sec
anche sul continente, tuttavia la separazione rimase nel complesso imprecisa e talvolta decisamente
erronea: gli scribi interpretavano spesso una parola come fossero due, o viceversa, oppure parte di
una parola come parte di un’altra, oppure i prefissi e il primo elemento dei composti come parole a
sé stanti.

3. Dagli errori casuali alle modificazioni intenzionali


Il cpoista era solo uno dei due agenti della trasmissione dei tst, l’altro era il correttore, cioè la
persona, a vv lo stesso scriba, che modificava la copia deliberatamente, introducendovi innovazioni
e variazioni manipoloandola, spesso all’atto del copiare, nell’intento di migliorarla e di correggerne
gli errori veri o presunti. Vi sono alterazioni inconscie, correzioni errare di errori veri o presunti,
abbellimenti. La correzione interferiva cm elemento modificatore o disturbatore nella trasmissione
del tst, e poiché in ogni caso innovava il testo originario, rappresentava una fase ulteriore nel
processo della sua trasmissione.
Il correttore poteva procedere in due modi: ex libro se correggeva la sua copia sulla scorta del suo o
di un altro esemplare di copiatura o con l’aiuto di varianti già indicate a margine o nell’interlinea
dell’esemplare; ex ingenio se innovava e modificava il tst sulla base dei suoi intendimenti e delle
sue convenzioni al fine di facilitarne la comprensione e di migliorarlo.
Gli effetti della revisione furono diversissimi, a seconda che:
1) ad operare il controllo fosse lo stesso scriba o un’altra persona
2) il correttore procedesse ex libro o ex ingenio
3) il correttore, procedendo ex libro, si basasse sul modello usato dallo scriba o su altri modelli

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Se il correttore era lo stesso scriba e si serviva del solo antigrafo (esemplare di copiatura) per la
correzione, la revisione effettuata non determinava alcuna alterazione dell’originaria fisionomia del
tst; se l’errore veniva corretto, si ripristinava il tst genuino; se invece la correzione veniva eseguita
negligentemente, al più la copia conservava gli errori casuali e involontari commessi dal copista.
Poiché in qst caso le innovazioni riscontrabili nella trascrizione erano sorte direttamente dalla fonte
x corruttela, senza la mediazione di elementi estranei, esse erano variazioni di derivazione diretta
tra il discendente e il suo antenato, ossia erano “variazioni verticali”.
Ad ogni modo le innovazioni, oltre a produrre una divergenza tra la copia e il suo modello,
producevano anke la rottura della normale linea di trasmissione e del rapporto di filiazione diretta.
Si trattava di modificazioni testuali non già derivative, prodottesi direttamente x semplici errori di
trascrizione, ma aggiuntive o sostitutive, volute dal copista x liberare o correggere il tst da anomalie
o errori (veri o presunti) (varianti orizzontali o collaterali)

3.1. Le modificazioni “ex ingenio”


La congettura si intende una parola o un gruppo di parole che il copista correttore immetteva come
sua proposta nel tst, in sostituzione e a emendamento di un passo lacunoso o corrotto, o da lui
ritenuto tale sotto il profilo morfologico e semantico o sotto il profilo paleografico. Questa
sostituzione comportava la deformazione della copia nn solo x l’eliminazione di qll caratteristiche
o errori dell’antigrafo che pure avrebbe dovuto conservare, ma anche x l’inserimento al loro posto
di una o + congetture, elementi di disturbo, che alteravano le condizioni normali della tradizione
manoscritta e che spezzavano i rapporti di derivazione fra ms e ms. Il 1° errore era rimpiazzato da
un altro e qst ultimo poteva costituire la fonte nuova di una sequela di errori. Se poi i copisti eran +
d’uno era improbabile che le correzioni ex ingenio in oridne a un detrerminato errore coincidessero;
e se nn coincidevano, il risultato era che l’anomalia o errore veniva rimosso o rimpiazzato nelle
varie copie da differenti correzioni per congettura, a loro volta sorgenti di altri errori o varianti. La
correzione determinava le condizioni che davano origine a quel fenomeno che suole essere definto
diffrazione o dispersione delle varianti.
La diffrazione le diffrazioni si possono dividere in 2 categorie: a) in assenza, quando l’errore che
ha causato la diffrazione, oppure la lectio difficilor, nn si è conservata in nessuno fra i testimoni
esistenti; b) in presenza, quando uno dei testimoni conserva l’errore che ha provocato la diffrazione
negli altri ms.
Il presupposto necessario xkè la diffrazione abbia luogo è che vi sia un ostacolo (paleografico,
morfosintattico, semantico…) che impedisca la corretta interpretazione della parola di una frazione
di tst e ne arresti in tal modo la normale propagazione verticale: gli interventi scribali che
propongono l’eliminazione dell’ostacolo provocano la decomposizione o il frazionamento della
lezione discussa in + lezioni varianti, tutte apparentemente plausibili e capaci di sormontare la
difficoltà o l’errore iniziale, ma lezioni che a loro volta diventano, in rapporto alla propagazione del
tst, nuovi centri di emissione di altre trasmissioni verticali o sorgenti di eventuali successivi errori.
Le alterazioni al tst (varianti scribali, v. redazionali, rifacimenti) Una parte notevole delle
modificazioni alle quali i tst furono sottoposti consiste in aggiunte e amplificazioni, riduzioni e
tagli, adattamenti e rimaneggiamenti. Qst tendenza a manipolare le opere altrui fu nel Medioevo
una disposizione ideologica generale. Autori di qst modificazioni furono gli scribi, essi
sicomportavano cm revisori, persino cm creatori di vere e proprie nuove composizioni ed erano
perciò difficilmente distinguibili da tt gli altri scrittori-artisti. Questa distinzione esigua tra lo scriba
e l’artista-compositore in volgare rende oggi difficile e delicato il problema dell’accertamento della
paternità delle modificiazioni nel caso sia di tst anonimi sia a vv di opere di riconosciuta auorità.
Quel che spesso è problematico è distinguere se le versioni o le alterazioni pervenuteci
rappresentino deliberati atti di revisione da parte dell’autore o se siano prodotto di manomissioni
altrui avvenute durante la trascrizione o nel corso della trasmissione del tst.
Alcuni tipi di tst, + d’altri, furono sottoposti a modifiche (glossari, trattati grammaticali, romaces,
racconti agiografici, opere popolari a careattere catechetico o moraleggiante, trad. dal latino in
volgare, sia in prosa che poesia: tt tst che fu legittimo sfrondare, adattare amplificare, ridurre,
ritoccare). C’è da tener conto che il fenomeno dei rimaneggiamenti riconduce a un periodo in cui lo

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sviluppo crescente della trasmissione scritta dei tst rendeva estranea alla società la tradizionale
trasmissione orale. Composizioni che erano state precedentemente trasmesse in forma orale da poeti
cantori di professione furono ora affidate alla pergamena. Conseguenza di qst nuova situazione
culturale fu che le 2 attività, dello scriba e del poeta esecutore professionista, divennero a vv
complementari l’una all’altra e perfino indistinte. Scambi di funzione e interferenze reciproche.
Alcuni scribi furono essi stessi poeti cantori, alcuni poeti cantori furono in grado di eseguire la
trascrizione delle loro composizioni secondo le tecniche degli scribi di professione.

3.2. Le modificazioni “ex libro”


Nel trascrivere un codice a vv il copista usava 2 o + esemplari dello stesso tst posseduti nello
scriptorium e spesso appartenenti a tradizioni diverse. Quando l’amanuense mescolava materiali
diversdi presenti in + antigrafi, dava origine a un tst ibrido o contaminato: gli elementi spurii si
intercciavano a quelli originari e a vv li rimpiazzavano, altre vv si accumulavano in modo così
inestricabile che ogni loro eventuale eliminazione fa oggi correre il rischi di coinvolgere nel taglio
anche le parti autentiche del tst. Le contaminazioni possono coinvolgere singole lezioni o intere
parti di codici; possono essere verificate, secondo diverse modalità, cm effetto di una sola
collazione con un solo esemplare (contaminazione semplice), oppure di + successive collazioni con
un solo esemplare (contaminazione frazionata) o addirittura di una o + collazioni cn + esemplari
(contaminazione multipla); possono coinvolgere un solo esemplare o + esemplari secondo differenti
intensità di collazione, che vanno dalla contaminazione sporadica a quella fitta a quella completa.
(C. Segre)
Si deve distinguere la contaminazione di singole lezioni e contaminazione di esemplari.

Contaminazione di lezioni una delle cause + frequenti di contaminazione di lezioni è data dalle
glosse, connesse con l’abitudine di annotare e commetare i tst. Il copista per spiegare un parola o
frase del tst ritenuta oscura, a vv inseriva a margine o nell’interlinea le sue osservazioni personali,
o qll riprese altrove: qst operazione nn determinava al momento alcuna modificazione del tst, ma
creava le premesse x modificazioni successive, perché qst annotazioni o glosso potevano in seguito
penetrare nel test, sia in sostituzione delle parti da spiegare, sia in aggiunta ad esse, con effetti
contaminatori e sempre banalizzanti.
Quando il copista inseriva nel tst, x correggerlo, le varianti segnate a margine o fra le righe
dell’esemplare di copiatura, era l’apografo che veniva contaminato. Se invece le varianti spurie si
trovavano scritte, già nell’antigrafo, su rasura (parte del codice in cui la scrittura originaria era stata
raschiata), il ms contaminato era l’antenato; e se il recupero della lezione originaria era impossibile
tramite altri esemplari, la linea di derivazione restava unica ed era sin dall’origine contaminata.
Contaminazione di esemplari quando uno scriba copiava simultaneamente da + di un esemplare,
adottando al tempo stesso usi ortografici e grammaticali suoi propri, oppure copiava
sistematicamente da un solo ms ma riprendeva da altri esemplari quelle varianti che + lo
soddisfacevano, oppure aggiungeva da altri antigrafi le parti mancanti nel suo esemplare, si
verificava la condizione della contaminazione da trascrizione: la tendenza a saltare da un esemplare
all’altro. Ne risultava un tst composito, costituito da parti diverse, ciascuna delle quali apparteneva
a differenti antenati e quindi a differenti linee di derivazione.
Pare opportuno segnalare una serie di contaminazioni che sono indipendenti dalla volontà
dell’amanuense di saltare da un esemplare all’altro e che sn subordinate alle circostanze della
trasmissione del tst. A vv il tst risultava contaminato da una serie di interferenze della trasmissione
orale su qll scritta. I metodi della trasmissione orale o di qll scritta coesistettero per lungo tempo gli
uni accanto agli altri, sovrapponendosi e incrociandosi; è anche noto che certi tipi di tst dopo essere
stati fissati sulla pergamena, poterono talvolta essere trasmessi anche a memoria e circolare così sia
oralmente che per iscritto: nn è da escludere che molte delle anomalie riscontrate nei rapporti tra i
tst e la stessa varia lectio presente nella tadizione di certe opere siano dovute proprio alle
contaminazioni risultanti dalle interferenze della trasmissione a memoria su qll scritta.
Contaminazione e rimaneggiamento gli scribi rimaneggiavano il tst e lo ricostruivano per scopi
migliorativi. Qst tendenza mette in evidenza gli strettissimi legami tra esistenti tra contaminazione

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e rimaneggiamento: di fatto la contaminazione determina un rimaneggiamento del testo; a sua volta


poi il rimaneggiamento conseguente a fenomeni di interpolazione per collazione (ex libro) produce
una copia contaminata.
Un tipo di interferenza è qll conseguente alla confusione di funzioni tra il poeta-artista e il copista,
confusione che favorì la sovrapposizione delle competenze tecniche, con evidenti ripercussioni
sulla trasmissione dei tst.
Esiste un legame tra contaminazione e rimaneggiamento: si può dire che, mentre la contaminazione
sporadica corrisponde a un intento di fedeltà, la contaminazione fitta o multipla suggerisce un senso
di relatività, invità a raggiungere, con mezzi autonomi, una almeno speciosa scorrevolezza: il
copista si fa, da cercatore, creatore di varianti. (C. Segre)

PARTE TERZA
Ogni testo durante la sua circolazione e trasmissione ha subito innumerevoli mutamenti che hanno
contribuito ad alterare la sua forma originaria. La critica testuale cerca attraverso una attenta
ricostruzione basata il più possibile su criteri oggettivi di restituire un testo che risulti quanto più
vicino all’ originale. Le tappe di questa ricostruzione sono:
1) La recensio che:

• Raccoglie e analizza la tradizione manoscritta


• Ne ricostruisce le vicende

• Restituisce ciò che può essere assunto come originale basandosi unicamente sullo
stemma codicum (schema grafico che rappresenta le relazioni di filiazione fra i
manoscritti di una tradizione)

2) La emendatio che ricostruisce il testo mediante correzioni congetturali laddove la recensio


è risultata insufficiente a sanare guasti o anomalie che, introdottesi nel testo durante la
trasmissione,sono serviti a stabilire i rapporti genealogici fra i codici.

CAPITOLO 6: LA “RECENSIO”
La conoscenza e la ricostruzione delle tradizioni letterarie germaniche sono possibili grazie allo
studio dei pochi codici conservatisi fino ai giorni nostri, i quali dunque assumono un importante
valore documentario. Il rapporto che lega il testo al codice che lo contiene è molto stretto e solo
tenendo conto dei cambiamenti di entrambi è possibile ricostruire interamente la storia e le vicende
del testo stesso. Infatti come un testo può subire modificazioni, innovazioni e revisioni nel corso del
tempo, altrettanto può avvenire per il suo veicolo di trasmissione (possono cambiare il tipo di pelli
usate, la composizione e l’ampiezza dei fascicoli, la mise en page, il tipo di rilegatura ecc…).
L’insieme delle testimonianze pervenuteci di un testo costituisce la sua tradizione.
Quando il testo è conservato (integralmente o meno)da uno o più codici oppure da eventuali
edizioni a stampa si parla di tradizione diretta:in questi casi il testo è tramandato per via diretta
dai codici e la storia delle sue vicende può essere ricostruita indagando sia sul codice che sul testo
stesso. La tradizione diretta può essere costituita da un solo testimone o da più codici. Nel primo
caso si parla di codex unicus e il manoscritto in questione rappresenta l’unico superstite di tutti gli
altri probabili codici che inizialmente contenevano il testo e che poi sono andati dispersi, quindi
l’unica fonte sicura per recuperare la storia del testo stesso (un esempio di codex unicus è il
Beowulf che non rappresenta un’eccezione, infatti nell’ambito delle letterature germaniche,
soprattutto per quanto riguarda i testi più antichi, è frequente che le tradizioni siano costituite da un
unico codice, spesso neppure integro). Nel caso un’opera sia tramandata da più manoscritti si parla
invece di codices plurimi, il cui confronto delle differenti circostanze e modalità di produzione
offre un quadro articolato e complesso delle vicende dell’opera stessa.
Quando invece il testo è recuperabile per via mediata,attraverso testimonianze di altri autori
(citazioni, traduzioni) oppure tramite semplici riferimenti o notizie acquisite in altri contesti si parla
di tradizione indiretta.

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La tradizione di un testo infine può essere identificata anche come recensione aperta o recensione
chiusa. Un testo alterato, rimaneggiato, contaminato in uno o più luoghi (per effetto o degli
interventi dello scriba o delle interferenze della trasmissione orale sulla trasmissione scritta) e
trasmesso anche per vie trasversali conduce di solito ad una recensione aperta; invece un testo
immune da rimaneggiamenti o alterazioni (escluse quelle meccaniche della trasmissione verticale)
conduce di norma a una recensione chiusa.
La distinzione tra recensione chiusa e aperta si distingue dalle altre (diretta/indiretta; codex unicus/
codices plurimi) perché:
1) si fonda sui risultati di un’analisi interna, ossia dopo che siano state accertate le
relazioni fra i codici, mentre le altre distinzioni si fondano sui risultati della
documentazione esterna, cioè sull’insieme delle testimonianze esistenti relative a un
dato testo

2) differentemente dalle altre distinzioni, che si escludono a vicenda, la recensione chiusa


e quella aperta possono essere rappresentate entrambe nella stessa tradizione, come
dimostrato da Giovan Battista Alberti

NB: per altra definizione di recensione chiusa/aperta vedi pagina 8

Ogni volta che ci si trova di fronte a una tradizione plurima il primo problema è quello di scegliere
fra i vari testimoni quello che verosimilmente conserva il testo più attendibile e sicuro. Il metodo
più seguito per rintracciarlo è quello ricostruttivo o “genealogico”, inizialmente elaborato e
utilizzato da Lachmann e poi corretto, innovato e ridefinito da Giorgio Pasquali negli anni Trenta
del ‘900. Questo metodo si basa sul presupposto che la ricostruzione delle varie fasi dell’evoluzione
del testo sia ottenibile identificando tutte le variazioni o deformazioni trasmesse in comune dai
testimoni esistenti, dunque non solo gli errori testuali ma anche le alterazioni prodotte dagli
amanuensi e quelle subìte dai codici per motivi esterni o meccanici (es. la perdita di fogli o parti di
essi, lo smembramento e la dispersione dei fascicoli, l’inserimento di nuovi fogli singoli ecc..).
Sono dunque necessarie due operazioni:
1. la cosiddetta collatio codicum ovvero la comparazione fra tutte le varianti testuali
pervenute nei codici.

2. valutazione critica delle innovazioni comuni per individuare gli errori che servono a
costituire il canone o la genealogia del testo.

Le operazioni della collatio: per definire i rapporti genealogici fra tutti i testimoni di cui si
compone la tradizione di un testo occorre:
1. trascrivere in modo fedele, scrupoloso e esatto uno dei codici (in genere il più completo),
che viene scelto come testo di collazione. In questa fase il testo deve essere trascritto e
riprodotto integralmente e nel modo esatto in cui è conservato (con tutte le cancellature,
annotazioni, lacune, correzioni ecc..). Quanto più obbiettivo sarà l’operatore tanto più
affidabile sarà la collazione.
2. confrontare questo codice in modo ordinato e rigoroso con gli altri testimoni pervenuti. In
questa fase si registrano sui fogli di trascrizione, in parallelo col testo di collazione, tutte le
variazioni che intercorrono fra i codici, di qualunque natura esse siano (quelle comuni alla
maggioranza de testimoni, quelle comuni ad un eventuale minoranza e quelle proprie di un
solo testimone), annotando in modo imparziale tutto quello che non è trasmesso in comune
dai testimoni.

L’analisi dei risultati della collatio: durante questa operazione si esaminano:

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1. la distribuzione delle innovazioni, sia testuali che codicologiche

2. i luoghi in cui esse compaiono

3. il tipo, la qualità e il valore di queste variazioni

con lo scopo di definire i rapporti di parentela fra i manoscritti e la posizione che essi occupano
all’interno dell’albero genealogico. In tal modo si potrà dunque ricostruire il o i capostipiti di tutti i
codici o di quei gruppi di codici che hanno prodotto le variazioni comuni. I rapporti di parentela
intercorrenti tra i manoscritti vengono rappresentati graficamente per mezzo di un grafico o
diagramma (stemma codicum) il quale consente di ricostruire in uno schema riassuntivo e
genealogicamente ordinato le vicende della trasmissione di un testo nei suoi momenti nodali
attraverso gli errori progressivamente accumulatisi nei codici appartenenti alla tradizione in
questione.

Gli errori
L’indagine sui rapporti di parentela fra i manoscritti deve accertare la distanza (uguale,maggiore o
minore) dei discendenti nei confronti del capostipite comune sulla base delle loro reciproche
affinità o diversità relativamente a determinati caratteri. I caratteri che garantiscono l’esattezza e la
validità delle parentele sono quelle variazioni rispetto al capostipite che riescono a conferire
un’impronta caratteristica a tutti i manoscritti derivati dal codice dove esse hanno avuto luogo,
determinandone il raggruppamento per famiglie. Queste deviazioni comuni sono i cosiddetti errori
direttivi o errori guida (errores significativi). Essi si dividono in due tipi:
1. errori congiuntivi: viene identificata come errore congiuntivo la variazione comune a due
o più manoscritti che ha caratteristiche tali da documentare che secondo ogni probabilità i
copisti non possono averla prodotta indipendentemente gli uni dagli altri. Secondo il criterio
probabilistico che sta alla basa della ricostruzione genealogica infatti è improbabile che due
o più copisti introducano nel testo le medesime informazioni negli stessi luoghi se operano
indipendentemente l’uno dall’altro. Tuttavia talvolta l’errore che congiunge uno o più codici
non può offrire la certezza di essere stato ereditato dall’antenato comune, perciò non può
essere assunto come segno distintivo di quel gruppo di codici che lo contiene (ad es. non
hanno valore congiuntivo le omissioni o lacune per omoteleuto, le ripetizioni, le confusioni
fra lettere; le lacune che dipendono dai guasti materiali (come perdita di fogli o fascicoli,
fori ecc..) subìti in un secondo tempo dal capostipite)

2. errori separativi: sono quelli che servono a dimostrare l’indipendenza di un testimone da


un altro. Gli errori separativi più comuni sono le lacune.

La differenza fondamentale tra le due tipologie di errori è che i primi sono rilevanti per ricostruire il
processo di filiazione dei codici dal primo modello o archetipo, i secondi al contrario risultano in tal
senso irrilevanti.
Il processo di ricostruzione genealogica dei manoscritti si fonda su alcuni criteri operativi
rigorosi e sicuri, che riducono al minimo l’inevitabile ipoteticità di ogni ricostruzione critica:
• l’identificazione dell’errore deve comportare anche l’identificazione della causa che
l’ha determinato. Nessun errore infatti esiste senza una causa che l’abbia prodotto:

• se gli errori sono collegati a cause diverse (per es. hanno origine psicologica o sono
connessi con l’attività correttrice di un copista) non ci sono sufficienti garanzie che
essi derivino da un modello comune e quindi essi risultano essere non significativi
per la ricostruzione

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• se invece la causa dell’errore non può essere ricondotta a interventi correttivi o


risulta essere legata alla trasmissione verticale, meccanica,questi errori sono
sicuramente significativi per l’ identificazione del modello d’origine.

• È solo la comparazione che consente di individuare, ai fini della ricostruzione dei


rapporti genealogici che intercorrono fra i manoscritti,quali errori siano significativi e
quali no. E’ infatti la comparazione fra gli errori presenti nei vari codici di una tradizione a
determinare la valutazione ultima e definitiva degli errori stessi. Dunque, un errore ha peso
nella tradizione solo se dalla comparazione fra i codici della tradizione medesima risulta con
sicurezza la sua “significatività”.

• Sono irrilevanti ai fini della ricostruzione:

• Le innovazioni isolate, singolari e specifiche di un dato codice perché evidenziano


le peculiarità testuali di un solo testimone, non condivise da altri.

• L’accordo generale sulle conservazioni perché ciò che viene trasmesso senza
mutamenti dall’ascendente ai discendenti indica, sì, l’eredità comune pervenuta dal
più antico capostipite della tradizione fino al più recente, ma sicuramente non serve
ad accertare le relazioni di filiazione e di parentela.
• L’attenzione prioritaria del filologo in una classificazione genealogica è alla
cronologia, all’età dei manoscritti, essendo evidente che mentre il codice trascritto per
ultimo può contenere le innovazioni via via accumulatesi nel corso della trasmissione e,caso
mai, aggiungerne di nuove, il primo non può conservare le innovazioni di cui i codici
successivi sono responsabili.

Ipotesi stemmatiche

I. Stemmi di manoscritti in tradizioni incontaminate


Consideriamo un testo conservato in due manoscritti, che denominiamo A e B. Ognuno dei due
manoscritti contiene oltre alle conservazioni comuni, che comprendono la parte del testo originario
ereditato da entrambi, anche un insieme di variazioni, comuni e non comuni sulle quali indagare per
accertarne la natura e l’origine. Ammettiamo che siano stati individuati uno o più errori significativi
e che si sia quindi verificata la situazione ottimale per stabilire i rapporti fra i due codici. Il primo
passo da compiere è quello di ordinare cronologicamente i testimoni. Potremo trovarci in tre diverse
situazioni:
• A è più antico di B

• B è più antico di A

In questi due casi (identici) l’origine degli errori comuni risiede nel codice più antico
• L’età di A e di B è incerta o è la medesima

In questo caso i rapporti fra i codici possono portare:


• A una tradizione con archetipo: in questo caso i manoscritti conservano almeno un errore
significativo congiuntivo in comune fra loro e quindi dipendono da un intermediario perduto
(che può essere il primo capostipite della tradizione o archetipo), responsabile dell’errore
comune. (esempi di tradizioni con archetipo a pag. 207-211)

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• A una tradizione senza archetipo: in questo caso i manoscritti non conservano errori
significativi congiuntivi in comune fra loro. Qualora sussistano fra loro soltanto errori
separativi ed eventualmente errori in comune non significativi, essi dipendono dall’originale
senza intermediari comuni. (esempi di tradizioni senza archetipo a pag. 212-217)

NB: l’archetipo si colloca idealmente al posto più alto della tradizione manoscritta dopo l’originale
e, come tutti i manuali di critica testuale insegnano, è il codice cui risalgono tutti i manoscritti
contenenti un’opera, che si interpone fra tali manoscritti e l’originale.

II. Stemmi di manoscritti in tradizioni contaminate

La tradizione di un testo che ha subìto una contaminazione (fenomeno che può svilupparsi in una
vastissima varietà di casi) in qualche momento della sua storia si presenta inevitabilmente
complicata. Quando infatti i manoscritti sono contaminati, non si può ricostruire meccanicamente il
rapporto di derivazione diretta e verticale fra antenato e discendente; per effetto della
contaminazione le relazioni fra i codici risultano in vario modo ambigue e instabili, condizionate
dagli apporti di testimoni indipendenti o appartenenti ad un’altra tradizione; ma soprattutto, in
presenza di divergenze sostanziali intervenute agli inizi della tradizione, è spesso difficile, a volte
addirittura impossibile, costruire lo stemma.
Nel caso i testimoni si raggruppino in modo incostante e la contaminazione sia sicura è necessario:
• Identificare i manoscritti contaminati

• Distinguere in questi manoscritti il testo-base dal testo-di-contaminazione


Il problema non è, in generale, di facile soluzione, dal momento che la contaminazione può
presentarsi sia all’interno dello stemma che al di fuori dello stemma, nel senso che i rapporti di
contaminazione possono legare fra loro due o più manoscritti, oppure un manoscritto esistente e un
esemplare ricostruito all’interno della stessa tradizione (contaminazione intrastemmatica,
esempio a pag.220) oppure uno o più manoscritti di una tradizione e uno o più capostipiti di altre
tradizioni (contaminazione extrastemmatica, esempio a pag.220). Però, comunque si configurino
le manifestazioni contaminatorie, l’unica possibilità, pur minima, per tentare di accertarle e di
delimitarne l’estensione è quella di studiare in modo approfondito la tradizione.
Talvolta invece l’identificazione del manoscritto non presenta alcuna difficoltà. Per esempio, ogni
volta che un manoscritto conserva le varianti trascritte erroneamente in un luogo diverso da quello
corretto, oppure se attesta, copiate di seguito, doppie lezioni o varianti, una delle quali è condivisa
da un altro codice di altra famiglia (o di altra tradizione), il manoscritto contaminato è con certezza
quello che conserva entrambe le varianti, essendo improbabile che la lezione singola, propria della
tradizione a cui il codice appartiene, provenga da una scelta conseguente alla contaminazione.
L’identificazione è invece più difficile quando si devono valutare le varianti che in un codice si
conservano a margine o nell’interlinea e in un altro sostituiscono il testo genuino. Le soluzioni
possibili sono infatti due:
• I due codici sono fra loro in un rapporto di derivazione genetica, com’è quello che
intercorre fra antenato e discendente (antigrafo e apografo): in questo caso le innovazioni
testuali dell’uno provengono dalle glosse dell’altro
• I due codici sono indipendenti: in questo caso le varianti accolte a margine o nell’interlinea
derivano dalla contaminazione o con l’altro testimone o con l’antenato comune.

La soluzione al problema in questi casi è l’accertamento dei rapporti di parentela fra i codici.
La recensio è indispensabile anche per isolare in un testimone le banalizzazioni, le alterazioni, gli
abbellimenti, le correzioni, le varianti buone o cattive, insomma tutte le varianti che possono

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facilmente penetrare nei manoscritti per collazione. A questo proposito bisogna ricordare che sono
trasmessi direttamente:
• Gli errori come le lacune, essendo inverosimile che il copista le abbia accolte per
contaminazione. Un manoscritto contaminato sarà perciò legato genealogicamente piuttosto
a una famiglia con cui condivide errori importanti come le lacune, che non ad una famiglia
con cui ha in comune soltanto lezioni caratteristiche o banalizzazioni o semplici varianti che
possono essere frutto di correzioni

• Le varianti di scarsa rilevanza, come le varianti grafiche, fonetiche, ecc.., essendo


improbabile che nel processo di collazione il copista riprenda da un altro esemplare le
lezioni minime che, in quanto tali, non attraggono la sua attenzione. I rapporti genealogici,
verticali, si stabiliscono piuttosto fra codici che hanno in comune più lezioni di modesta
entità che non fra codici che condividono soltanto poche varianti macroscopiche; si può
infatti osservare che lo spostamento in senso trasversale della trasmissione si giustifica di
norma se il copista presume di migliorare o di correggere il testo in singoli punti importanti,
non nei punti irrilevanti o senza significato.

In alcuni casi, i rapporti fra i codici sfuggono a qualsiasi tentativo di ricostruzione genealogica,
soprattutto quando ora l’uno, ora gli altri, si contaminano reciprocamente. In casi simili la
costellazione può assumere la forma o l’aspetto di un anello, non essendo possibile ricostruire
l’archetipo (costellazioni anulari, es. pag. 221).

Esempio di una tradizione preservata in documentazione epigrafica e manoscritta pag.222-224.

Le fasi della “restitutio textus”

Una volta conclusa la ricostruzione delle vicende della tradizione manoscritta, il filologo ha il
compito di costruire, lezione per lezione, un testo che si avvicini quanto più possibile
all’originale. Le operazioni che conducono a tale risultato passano attraverso due fasi ben distinte:
1. Examinatio: è l’ultimo momento di indagine della recensio e mira a determinare con l’aiuto
dello stemma ciò che è o può essere assunto come originale. Compito essenziale di questo
esame è dunque la restituzione del testo (inteso come insieme di lezioni) conservato
unitariamente dai testimoni:

• Quando la tradizione è plurima il testo (inteso come insieme di lezioni) che si va a


costituire è quello comune a tutti i testimoni esistenti o ricostruibili più quello che,
nei luoghi di parziale convergenza fra i codici, è conservato dalla maggioranza dei
testimoni indipendenti (i criteri che regolano tali operazioni sono noti come legge
della maggioranza.)

• Quando la tradizione è costituita da un solo codice, in assenza di termini di


confronto, è l’analisi codicologica del testo com’è portato dal codice che aiuta ad
individuare le eventuali modificazioni testuali intervenute per effetto della
trascrizione oppure a suggerire l’identificazione dell’unico testimone con l’originale.

In questa prima fase, dunque, il testo viene ricostruito unicamente su basi meccaniche (ope
codicum), senza interventi interpretativi o correttivi del filologo: è perciò un testo che, nei luoghi di
divergenza fra i codici, è ancora precario e indefinito; esso tuttavia rappresenta il testo che risulta
dalla tradizione, il testo unitario che i codici nel loro insieme hanno trasmesso e che il filologo avrà
davanti a sé nella fase successiva.

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2. Emendatio: questa seconda fase della costituzione del testo mira a risanare per congettura,
con l’ aiuto del iudicium del filologo (ope ingenii), ciò che dall’esame precedente risulta
alterato dai copisti o corrotto o comunque estraneo al testo originario. In essa avviene il
passaggio dal testo trasmesso dai codici al testo criticamente rivisitato, ristabilito nella
forma presumibilmente più vicina all’originale.

NB: riprendendo la distinzione tra recensione aperta/chiusa vediamo che:


1. Ogniqualvolta le lezioni di un testo si possono ricostruire meccanicamente, mediante lo
stemma, la recensione è chiusa.
2. Quando l’automatismo della scelta è inapplicabile e le lezioni giuste vengono determinate
con l’aiuto del iudicum del filologo la recensione è aperta.

CAPITOLO 7: LA “EMENDATIO”
Le operazioni della emendatio possono essere di tre tipi:
1. Divinatio : risanamento per congettura dei guasti e delle anomalie presenti in una tradizione
corrotta. Queste operazioni di restauro possono consistere in:

• Integrazioni al testo, laddove vi siano state omissioni di varia natura;


• Espunzioni, se si sono verificate intrusioni o interpolazioni;

• Sostituzioni,se si individuano scambi erronei fra singole lettere, forme pronominali ecc..

Quando la corruttela non è in alcun modo sanabile, come avviene a volte in caso di lacune,
occorre rinunciare a proporre la congettura e segnalare l’irrecuperabilità del passo corrotto (che
viene di solito delimitato all’inizio e alla fine con una croce, detta crux desperationis). La
segnalazione è d’obbligo anche nei casi dubbi, quelli in cui non si riesce a trovare soluzioni
soddisfacenti o se ne trova più d’una, altrettanto buona e alternativa; l’essenziale è rendere
conto del lavoro svolto, impiegare la massima precisione e il massimo scrupolo nel riprodurre
fedelmente lo stato della ricostruzione
2. Selectio : scelta, effettuata dal filologo,:

• fra varianti di pari valore stemmatico o per le quali l’automatismo dello stemma non è
applicabile;

• fra più congetture possibili

allo scopo di determinare, quando possibile, le lezioni originali non accertabili


meccanicamente . I princìpi che regolano tali scelte sono fondati su criteri interni di giudizio
che sono:
• l’ usus scribendi : si fonda sulle specificità linguistiche e stilistiche dell’autore, del genere
letterario, dell’epoca alla quale l’opera appartiene. Ma la difficile, problematica acquisizione
dei dati esterni necessari alla valutazione, come la cronologia dell’opera, l’attribuzione,
l’ambiente di produzione, le scuole e i centri scrittorii ecc..e la stessa incertezza che li
circonda, non consentono di ricorrere sempre e con fiducia a tale criterio.

• la lectio difficilior: consiste nella scelta della lezione più difficile, fra quelle attestate o
congetturate, per la sua maggiore rarità lessicale, sia morfologica che semantica. Questo
criterio trova la sua giustificazione nella condizione specifica della trasmissione
manoscritta:i copisti, com’ è noto, per facilitare la comprensione del loro esemplare di

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copiatura operavano frequenti ringiovanimenti espressivi (e formali), sostituendo parole


poco note o di significato difficile con altre abituali e di uso comune; di qui l’accoglimento
di quella lezione che per le sue intrinseche difficoltà lessicali (lectio difficilior) sta alla base
delle successive banalizzazioni scribali (lectio facilior) (nella scelta fra lezione difficilior e
facilior il filologo deve porre le varianti in una relazione stemmatica ).

3. Combinatio: recupero della lezione originale per mezzo della “combinazione” di due o più
varianti che si possono interpretare come errori determinanti dalla medesima lezione
ancestrale.

Una volta accertata la legittimità del restauro testuale, il filologo, qualunque si a la soluzione da lui
proposta, deve osservare i seguenti criteri:
• Non può prescindere dalle condizioni linguistiche, stilistiche, metriche e, più in generale,
culturali delle varie epoche per le quali passa quella specifica tradizione manoscritta
• Deve congetturare o scegliere lezioni che siano congrue non solo col senso che l’autore
intendeva con ogni probabilità esprimere ma che, anche mediante il confronto coi tipi di
corruttele più di frequente ricorrenti nella tradizione, rendano conto dell’origine delle
deformazioni intervenute nella tradizione medesima.

I metodi pre-lachmanniani per la costituzione del testo


Il metodo per la costituzione del testo che ha come fondamento la recensio innovò decisamente i
criteri di esame delle varianti in uso prima del Lachmann. Questi criteri erano:
• Il criterio del codex optimus: con questo metodo la costituzione del testo veniva effettuata
sulla scorta del codice migliore, di solito identificato con il più antico (codex vetustissimus),
in quanto si presupponeva che il codice più antico avesse subìto meno corruttele di un
recenziore e desse perciò maggiori garanzie di genuinità. In linea puramente teorica, questo
è senz’altro vero; ma oggi sappiamo bene, proprio grazie alla recensio, che l’
”autorevolezza” di un testo trasmesso da un certo codice dipende non dalla sua maggiore
antichità ma dalla storia della sua tradizione: sono infatti i rapporti fra i testimoni, ricostruiti
genealogicamente nello stemma, che determinano precedenze o superiorità; l’anteriorità nel
tempo ha dunque un valore relativo.

• Il criterio dei codices plurimi: secondo questo metodo la lezione veniva scelta in base
all’accordo del maggior numero dei codici. (Invece la “legge della maggioranza” che oggi
sta alla base della stemmatica, prende in considerazione la concordanza della maggioranza
dei testimoni che risultano indipendenti in rapporto allo stemma: il codex interpositus è
ricostituito con l’aiuto della maggioranza dei soli suoi discendenti indipendenti; l’ archetipo
o l’originale è ricostituito con l’aiuto della maggioranza dei codices interpositi (o dei
subarchetipi) ai quali fanno capo i rami indipendenti della tradizione)

• Il criterio del textus receptus: con il termine textus receptus si intende la “vulgata”, cioè il
testo dell’dizione corrente o in uso di un’opera, la cui autenticità critica (la conformità
sostanziale col testo originale) è solo supposta, ma è accettata nella pratica editoriale sulla
base dell’autorevolezza e all’antichità della tradizione, senza riguardo per la qualità della
testimonianza. Al metodo del textus receptus si oppone oggi il concetto stesso di edizione

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critica di un testo:l’edizione che è per l’appunto “critica” nella misura in cui, rifiutando ogni
imposizione precostituita, è fondata sui risultati delle operazioni della recensio e della
emendatio.

CAPITOLO 8: L’EDIZIONE DI UN TESTO


In rapporto alla sua utilizzazione, un testo letterario può essere presentato o in edizione
diplomatica o in edizione critica.
• Edizione diplomatica: con questo termine si intende la riproduzione visiva di un testo, di
cui venga rappresentata in modo conforme alla realtà sia la mise en page che la mise en
ligne, (cioè le caratteristiche esterne e le peculiarità grafiche e fonetiche dalla punteggiatura
alle abbreviazioni e all’uso delle maiuscole ecc..), e le alterazioni dovute alla trasmissione
(rasure, correzioni, aggiunte), limitando al minimo o addirittura abolendo il ricorso
all’apparato critico, e adottando invece un’ampia serie di segni critici.

• Edizione critica: con questo termine si intende l’edizione interpretativa di un testo, reso
accessibile al lettore mediante l’adozione dei correnti segni di interpunzione, della divisione
delle parole, delle maiuscole e delle minuscole, e mediante l’uso di tutti quei segni
supplementari convenzionali (comunemente detti segni diacritici) che servono a precisare
le correzioni più importanti introdotte dall’editore o le particolarità che non vengono rese
dai segni consueti.

Dal momento che l’edizione critica è un’ipotesi di lavoro, l’editore-filologo deve mettere il lettore
nella condizione di verificare luogo per luogo le operazioni compiute per la restituzione del testo. E’
quindi necessario far precedere quest’ ultimo da un’introduzione o nota prefatoria che illustri in
modo esauriente e accurato:
• Il complesso della tradizione diretta e indiretta, corredata di tutte le informazioni sia
sugli aspetti esterni e interni di ogni singolo testimone (segnatura, datazione,
materia, misure, struttura o costituzione dei fascicoli, scrittura, ornamentazione,
legatura ecc..), sia sulle eventuali mutilazioni, lacune, aggiunte riscontrate nei testi
restituiti dai vari testimoni.

• La posizione di ogni codice nella tradizione manoscritta con la connessa discussione


sull’origine degli errori, sulle varianti, sulle ragioni delle congetture e delle scelte
effettuate e, più in generale, su ogni luogo oscuro.

• Le conclusioni della trattazione, compresa (se è possibile) la raffigurazione dello


stemma. E’anche opportuno, oltre che sempre utile, illustrare nella prefazione le
fonti, i tipi di glossatura, le epitomi e le traduzioni.

Una particolare attenzione deve essere dedicata inoltre alla bibliografia. L’editore deve rendere
conto di tutte le edizioni precedenti e di quei singoli contributi (emendamenti, correzioni, ecc..) che
hanno segnato tappe importanti per la comprensione del testo. E’ poi opportuno indicare in un
apposito prospetto o tabella riassuntiva (conspectus siglorum) l’elenco dei segni diacritici usati
nell’edizione al fine di poter identificare immediatamente i tipi di intervento al testo; si dovrà anche
compilare, per comodità di consultazione, la lista dei sigla dei codici, con l’indicazione dell’età e
della segnatura relative.
I segni diacritici

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Gli accorgimenti tipografici variano spesso da autore a autore, ma quelli più in uso sono i seguenti:
• ( ) le parentesi tonde o il corsivo per sciogliere le abbreviazioni; il corsivo (se non viene
usato per sciogliere le abbreviazioni) può anche essere usato per indicare le lettere che
l’editore ha sostituito ad altre erronee;
• < > le parentesi uncinate per le aggiunte o le integrazioni congetturali dell’editore, o
comunque per colmare lacune. A volte si usano, con lo spazio all’interno vuoto o segnato da
puntini o da asterischi, per indicare omissioni o lacune del testo sicuramente esistenti ma
non sanabili dall’editore. Le lettere sostituite ad altre non vengono mai indicate con le
parentesi uncinate;

• [ ] le parentesi quadre per indicare le parti espunte dall’editore o per eliminare le


interpolazioni di qualsiasi natura. Secondo l’uso epigrafico e papirologico molti filologi le
adoperano per indicare parti di testo perdute per danno meccanico; quando poi il danno è
valutabile quanto al numero di lettere mancanti, lo si indica con un numero uguale di punti
(o di asterischi);

• † * una croce e un asterisco (crux desperationis) al principio o alla fine della corruttela per i
luoghi non sanabili in alcun modo (loci desperati);

• Un punto per ogni lettera illeggibile;

• { } le parentesi graffe per sostituire le parentesi quadre quale segno di espunzione


proposta dall’editore;

• [[ ]] le doppie parentesi quadre per indicare lettere o parole che lo scriba ha espunto nel
manoscritto (i puntini nello spazio vuoto indicano le lettere espunte ma non più leggibili);

• ‘ ’ gli apici per indicare le aggiunte scribali;

La scelta dei “sigla”

I manoscritti conservati sono contrassegnati di norma con le lettere maiuscole dell’alfabeto


latino. Di solito è preferibile conservare invariati i sigla dei manoscritti correntemente adoperati in
altre edizioni;se però si rende necessario introdurne di nuovi, è opportuno scegliere lettere che
abbiano in qualche modo un richiamo mnemonico. I codici ricostruiti sono invece contrassegnati
con le lettere greche, meno frequentemente con le lettere minuscole dell’alfabeto latino. La lettera
greca omega, maiuscola (Ω) o minuscola (ω), indica di solito l’archetipo;meno usato a questo
scopo è il simbolo O, che rappresenta invece, più di frequente, l’originale perduto o il capostipite
supremo di tutti i manoscritti, non segnato da errori congiuntivi comuni.

La disposizione dell’edizione

Il testo criticamente ricostruito è collocato nella parte superiore della pagina. Quando le recensioni
sono diverse, è vantaggioso per il lettore che esse siano disposte su colonne parallele o sulla pagina
a fronte; in alcuni casi si è invece scelta la soluzione di presentare le recensioni o le versioni l’una
di seguito all’altra.
Sotto il testo vanno invece posti, in due fasce distinte:
• L’indicazione delle fonti o dei loci paralleli (quei passi dell’autore che trovino riscontro nel
testo);

• L’apparato critico; esso riveste una funzione importantissima nel’edizione dei testi poiché
serve presentare al lettore i risultati raggiunti. E’ perciò buona norma apporre l’apparato

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critico in calce al testo ( a piè di pagina) per rendere in tal modo più agevole la sua
consultazione (e utilizzazione). E’ importante che l’apparato sia redatto in modo chiaro e
completo, perché è di qui che il lettore può procedere per conoscere luogo per luogo la
tradizione del testo e per valutare le scelte editoriali.

L’ apparato può essere:

• Positivo quando registra tutte le lezioni attestate, quelle scelte per la costituzione
del testo e quelle rifiutate (comprese le lezioni eronee dell’archetipo che sono state
sostituite nel testo da un emendamento congetturale).
In tal caso, immediatamente dopo la lezione adottata, che si ripete in apparato
facendola seguire dai rispettivi sigla dei manoscritti che la conservano e poi dal
segno divisorio ] , si elencano le lezioni rifiutate, anch’esse accompagnate dal
corrispondente siglum del codice che le contiene.

• Negativo quando omette l’indicazione dei codici che concordano sulla lezione
scelta e indica soltanto, dopo il segno ], le lezioni rifiutate (accompagnate dai sigla
dei testimoni che le conservano). L’apparato negativo è più economico ma talvolta
può rendere faticosa la ricostruzione della tradizione manoscritta, soprattutto se
ampia.

L’apparato, sia esso positivo o negativo, deve dar conto:


1. Degli emendamenti o delle congetture proposti in precedenza da altri studiosi (indicandone
il nome);

2. Delle soluzioni divergenti adottate dalle precedenti edizioni;

3. Degli eventuali dubbi causati da luoghi oscuri o difficili (anche se discussioni ampie e
articolate vengono destinate alla nota prefatoria);

Esso deve inoltre rendere conto dell’aspetto paleografico di tutte le lezioni, o accolte nel testo o
rifiutate: è necessario infatti che il lettore identifichi subito la mano che ha apposto le correzioni o
le aggiunte e/o deciso le espunzioni;si parlerà così di “prima mano”, per indicare l’amanuense e di
“seconda/terza/quarta mano” per indicare i vari copisti che si succedettero nella correzione del
testo. Analoga distinzione va fatta per segnalare le glosse, a margine o interlineari.
L’apparato non deve invece comprendere (poiché da inserire nell’introduzione):
1. Le lezioni di un singolo manoscritto, prive di valore stemmatico (lectiones singulares) e già
eliminate nella costituzione del testo (eliminatio lectionum singularium);

2. Le varianti meramente grafiche e fonetiche;

3. Gli “errori” di precedenti editori;

(esempi di edizione diplomatica e critica in appendice pag. 249)

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