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IL NEOPLATONISMO: PLOTINO

1 L'incontro tra la cultura greca e quella orientale


Nel periodo ellenistico la riflessione filosofica si diresse verso tematiche religiose
reinterpretando i grandi filosofi greci in una prospettiva orientale
Nel contesto culturale ellenistico, nacque l'idea che tutta la filosofia greca traesse origine
dall'Oriente. Si diffusero infatti scritti che proponevano una rilettura di Pitagora, di Platone, di
Aristotele e degli stoici alla luce della sapienza religiosa orientale. È questo per esempio il caso
degli scritti attribuiti a Ermete Trismegisto o di Apollonio di Tiana (I secolo d.C.) che scrisse una
Vita di Pitagora presentandolo come un mago o di Plutarco di Cheronea (50 d.C. - dopo il 120) che
rifletté sui temi religiosi contenuti nei miti greci e orientali. Invece ad Alessandria, dove si era
costituita una ricca comunità ebraica, fu tradotta in greco la Bibbia, nella cosiddetta versione dei
Settanta, che realizzò il primo trasferimento della cultura ebraica nel contesto ellenico.
L'interpretazione della rivelazione biblica attraverso la filosofia greca caratterizzò poi anche la
riflessione di Filone di Alessandria. Nato nella fiorente comunità ebraica di Alessandria tra il 30 e il
20 a.C., Filone fu autore di una vasta produzione flosofico-religiosa e ambasciatore a Roma, sotto
l'imperatore Caligola, dove si adoperò in difesa degli ebrei dalle persecuzioni. Attento lettore di
Platone, soprattutto del Timeo, Filone supera il politeismo pagano e l'idea di un dio ordinatore
dell'universo, per affermare invece quella di un Dio che dal nulla crea la materia. Così Filone si
esprime nella sua opera Le allegorie delle leggi: «Dio, quando generò tutte le cose, non le ha
semplicemente rese visibili, ma produsse ciò che prima non era, essendo Egli non soltanto
Demiurgo, ma anche Creatore». Rispetto al Demiurgo di Platone, il "divino artigiano" che plasma la
materia prendendo a modello le idee, il Dio di Filone è anche creatore in quanto non presuppone
nessuna realtà precedente. Il mondo delle idee, cioè il mondo intellegibile di Platone, diventa così
per Filone l'intelletto divino, il lógos: una sorta di progetto che Dio stesso ha pensato per poter poi
creare il mondo sensibile, proprio come un architetto che prima pensa il progetto e poi lo realizza. Il
lógos è distinto da Dio, come "un figlio primogenito", un "Dio secondo", un'immagine di Dio: da
qui la sua funzione di modello della creazione e conseguentemente di mediazione tra Creatore e
creature. Una concezione che sarà ripresa poi da Giovanni nel suo Vangelo in cui il lógos assume il
ruolo di "sapienza creatrice" di Dio.
La religione e la filosofia pagana non sono in grado di offrire conforto spirituale, così si
diffondono rapidamente il cristianesimo e il neoplatonismo
Nel clima di insicurezza che pervase l'Impero romano attorno al II-III secolo la religione pagana
non bastava più a offrire agli uomini un conforto adeguato alla profonda inquietudine che pervadeva
gli animi. Si avvertiva in breve la necessità di un profondo rinnovamento spirituale, come
testimonia la straordinaria diffusione del cristianesimo. In questo contesto il platonismo si trasformò
in neoplatonismo: così viene definita la tendenza filosofica che tra il III e il VI secolo d.C. pose in
relazione fino a fonderli tra loro elementi pitagorici, aristotelici e stoici; una fortunata sintesi che
attraverso i secoli influenzerà profondamente la tradizione medievale, sino a giungere all'età
moderna. Fondatore del neoplatonismo fu Ammonio Sacca, vissuto tra 175 e 242 d.C. Ammonio,
che secondo la tradizione inizialmente era un bracciante o un facchino (da cui pare derivi il
soprannome "Sacca"), ebbe fama di uomo "ispirato da Dio". Personalità schiva e riservata,
Ammonio concepì la filosofia come strumento di ascesi spirituale. Ad Alessandria, dove visse, restò
lontano dal clamore mondano e come Socrate non scrisse nulla. Fra i suoi discepoli vanno ricordati
il retore Cassio Longino, i due Origene (uno cristiano, l'altro pagano) e soprattutto Plotino, la
personalità di maggior spicco del neoplatonismo e tra i massimi filosofi dell'antichità.

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2 Plotino, il filosofo dell'Uno
La filosofia neoplatonica nasce come risposta al crescente bisogno di certezze spirituali da
parte degli individui
Plotino, il più celebre allievo di Ammonio Sacca, a differenza del suo maestro mise per iscritto la
sua riflessione filosofica. Nato nel 205 d.C. a Licopoli, in Egitto, a 27 anni si recò ad Alessandria
dove ascoltò tutte le personalità filosofiche più eminenti, senza trovare nessuno degno di attenzione.
Infine un amico lo condusse ad ascoltare Ammonio. Ne rimase talmente ammirato da dichiarare
all'amico: «Questo è l'uomo che cercavo!». Poi rimase con Ammonio per undici anni. Il rapporto tra
Plotino e Ammonio fu così profondo da essere paragonato a quello tra Platone e Socrate. A 38 anni
Plotino lasciò la scuola di Ammonio e si unì alla spedizione in Oriente dell'imperatore Gordiano al
fine di conoscere le dottrine persiane e indiane. Alla morte dell'imperatore si recò a Roma, dove
aprì la sua scuola. Tra il 244 e il 253 non scrisse nulla, fedele all'insegnamento del maestro. A
partire dal 254 d.C. però, avendo altri allievi di Ammonio iniziato a scrivere, anche Plotino si decise
a mettere per iscritto le proprie riflessioni filosofiche, che vennero pubblicate e ordinate da un suo
allievo, Porfirio di Tiro (autore anche di una Vita di Plotino). Porfirio divise i 54 scritti di Plotino in
sei gruppi di nove, da cui il nome di Enneadi (dal greco ennéa: "nove"). La scuola di Plotino attirò
le più eminenti personalità del tempo, tra cui lo stesso imperatore Gallieno e sua moglie Solonina,
che nutrirono una stima così profonda nei confronti di Plotino da prendere in considerazione l'dea di
realizzare in Campania il suo sogno: una città di filosofi, Platonopoli, in cui gli abitanti avrebbero
dovuto vivere secondo le Leggi di Platone cercando costantemente l'unione col divino. Il progetto
però fallì, probabilmente per l'opposizione dei cortigiani dell'imperatore. Plotino morì nel 270 d.C.
Si narra che le sue ultime parole, rivolte al medico Eustochio, furono: «Cercate di ricongiungere il
divino che è in voi al divino che è nell'universo».
Riprendendo la riflessione sull'essere, da Parmenide a Platone, Plotino elabora una metafisica
del tutto nuova, per realizzare il ricongiungimento con il divino
La filosofia di Plotino è indubbiamente nuova, sebbene Plotino dichiari di essere rimasto fedele
tutta la vita agli insegnamenti di Platone.
Non sono certo nuove queste mie teorie, sono state enunciate già anticamente, tuttavia senza essere
sviluppate, e le teorie di oggi sono una spiegazione di quelle, della cui antichità noi siamo certi in
base alla testimonianza delle opere stesse di Platone. (Enneadi)
Una dichiarazione di fedeltà che va compresa nel contesto dell'epoca: nell'antichità infatti la fedeltà
a un maestro era un valore aggiunto, mentre si guardava con sospetto all'originalità in quanto la sua
validità non era ancora universalmente riconosciuta. La differenza tra la filosofia di Platone e quella
di Plotino si può coglierla innanzitutto nel suo motivo ispiratore. Platone infatti intende la filosofia
socraticamente come ricerca della verità, un percorso razionale in cui i risultati raggiunti vengono
messi costantemente in dubbio; Plotino invece tenta l'impossibile: si pone cioè l'obiettivo di tradurre
in filosofia la sua esperienza spirituale, dimostrandone la fondatezza razionale.

Secondo Plotino la radice della realtà è l'Uno, il principio di tutto cui l'uomo deve tendere a
ricongiungersi
Punto di partenza della filosofia di Plotino è l'Uno in rapporto alla molteplicità, argomento su cui
Platone si era interrogato a lungo nel Parmenide. Per Plotino l'Uno è alla base di tutto, e nessuna
realtà esiste se non è in rapporto con l'Uno. Se non ci fosse infatti l'unità verrebbero meno gli enti
stessi, cioè le cose.
Tutti gli enti sono enti in virtù dell'Uno [...] non si ha esercito se esso non sa presentarsi uno, né si
ha coro né greggia, se non sono "uno" [...] niente casa o nave se non hanno unità, dal momento che
la casa è una unità, e così pure la nave, tanto che se perdono l'unità, la casa non sarà più casa e la
nave non sarà più nave [...] la salute stessa si ha solo allora che il corpo sia coordinato in unità. E
si ha bellezza quando le parti siano tenute insieme dalla virtù dell'Uno. (Enneadi)
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Per Plotino l'Uno non è l'uno matematico ma l'Uno in sé, inteso come la ragion d'essere di tutte le
unità: in altri termini, l'Uno è la radice, cioè il principio di tutto. Nessuna realtà infatti può esistere
se non è una. Ne consegue che il molteplice non soltanto è costituito da molte unità - come il due
presuppone l'uno - ma ogni singolo ente esiste come unità. Inoltre Plotino afferma che «meno
essere, meno unità, e viceversa», ovvero che gli enti con maggior dignità, come ad esempio i
pianeti, hanno maggiore unità; gli enti invece di minore dignità, come ad esempio il fango, ne
hanno meno. Infine l'Uno è "essere" in modo però radicalmente diverso da ogni altro ente che da lui
si origina. Nella visione di Plotino, infatti, l'Uno è ciò che è assolutamente semplice in opposizione
a ciò che è complesso, inteso come molteplicità. La sua semplicità però non è povertà, ma infinita
ricchezza nel senso di «illimitata potenza» e «potenza di tutte le cose».
Pertanto Plotino, a differenza di come il mondo greco aveva tradizionalmente pensato l'essere, gli
attribuisce il carattere dell'infinità: «Occorre concepire l'essere infinito non perché sia interminabile
vuoi in grandezza, vuoi in numero, ma per il fatto che la sua grandezza non è circoscritta». Infatti,
l'infinito non è solo «interminabile in grandezza», cioè realtà senza limite, ma neanche infinita
grandezza spaziale, come lo era stato ad esempio l'apeiron di Anassimandro; così come non è
neppure «interminabile in numero», cioè una realtà infinita in senso matematico. L'infinito è
piuttosto da intendere come una realtà infinitamente potente.
Ne consegue che l'Uno:
• è privo di forma (ámorfos);
• non assume nessuna figura (anéidos);
• non può avere un'essenza;
• risulta «al di là dell'essere» e «della sostanza» che derivano dall'Uno.
L'Uno è dunque al di sopra del pensiero e delle idee, oltre la vita e l'anima; non può neanche venire
descritto dal punto di vista spaziale o temporale o in base a categorie di qualità e quantità. Risulta
così del tutto impensabile e ineffabile, cioè indicibile: essendo infatti l'Uno «infinito senza forma»
non può essere né pensato né definito con le parole. Il pensarlo inoltre implicherebbe una relazione
duale tra il soggetto pensante e l'oggetto pensato. Dell'Uno non si può dunque affermare nulla in
quanto ogni determinazione negherebbe l'infinità e la trascendenza assoluta.

L'essenza dell'Uno non è pertanto "qualcosa", né qualità, né quantità, né spirito, né anima; non è
neppure "in movimento", né, d'altronde, "in quiete"; non è "in uno spazio", non è "in un tempo" [...]
è invece l'Ideale solitario, tutto chiuso in sé stesso, o, meglio, l'Informe che esiste prima di ogni
ideale, prima del moto, prima della quiete. (Enneadi)
L'ineffabilità dell'Uno costringe pertanto Plotino a ricorrere a un linguaggio ricco di immagini e
metafore. In termini teologici l'Uno designa infine Dio, anche se dobbiamo soltanto limitarci a dire
ciò che Dio "non è": un modo di procedere che verrà più tardi definito "teologia negativa". In
alternativa all'Uno, Plotino usa il termine Bene, soprattutto in relazione al mondo in quanto nulla
sarebbe se non ci fosse l'Uno: più che bene per sé l'Uno è dunque bene per noi. Il termine "causa",
invece, potrebbe indurci in errore facendoci ritenere che l'Uno sia una causa come le altre cause
finite di enti finiti
MAPPA CONCETTUALE
Le caratteristiche dell'Uno

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3 Dall'Uno alla molteplicità
Plotino ritiene l'Uno sovrabbondante di essere e descrive il passaggio dall'Uno ai molti come
un processo di emanazione
Nella sua perfezione assoluta l'Uno non necessita di nulla, pertanto il mondo non nasce per
un'esigenza creativa dell'Uno, anche se da lui deriva la realtà molteplice in cui viviamo. Il fatto è
che l'Uno, nella sua infinita potenza, è caratterizzato da sovrabbondanza (hyperpléres), intesa come
«generoso eccesso di essere». Il mondo non nasce quindi in virtù di un atto deliberato e consapevole
di volontà da parte dell'Uno; piuttosto esso si origina in modo necessario da questo «generoso
eccesso di essere» che costituisce la natura dell'Uno: «Perfetto com'è, giacché nulla possiede, di
nulla ha bisogno, l'Uno trabocca, per così dire, e la sua esuberanza dà origine a una realtà novella».
Ma se il mondo ha avuto origine dall'Uno, come si spiega la molteplicità che lo caratterizza? La
spiegazione consiste nel fatto che il mondo deriva dall'Uno secondo un processo variamente
definito: irradiazione, processione o emanazione (quest'ultimo è il termine più usato dai
commentatori di Plotino). Si verifica cioè un processo simile a quello della luce che si irradia a
partire da una sorgente luminosa perdendo intensità man mano che se ne allontana. Esempi simili
sono quelli del fuoco che emana calore o della sorgente da cui scaturiscono le acque o della
sostanza odorosa che emana profumo. La molteplicità deriva dunque dall'Uno in modo graduale e
gerarchico: si presenta cioè dotata di sempre minor pienezza d'essere man mano che ci si allontana
dall'Uno. La graduale distanza dall'Uno implica di conseguenza un processo di degradazione
determinato dal fatto che le cose perdono progressivamente perfezione. Ma come la luce si
manifesta contemporaneamente alla sua sorgente luminosa o il calore insieme al fuoco, così il
mondo è simultaneo all'Uno: il processo di derivazione non è quindi da intendersi
cronologicamente, l'Uno e i molti esistono simultaneamente. Il processo di emanazione è dunque
senza inizio e senza fine, eterno come l'Uno da cui proviene.

La dottrina di Plotino si distingue sia dal dualismo di Platone e Aristotele, sia dal panteismo,
sia dal creazionismo cristiano

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Nella storia della filosofia la dottrina plotiniana dell'emanazione rappresenta una grande novità,
differenziandosi fortemente dalle ipotesi più diffuse circa l'origine del mondo nel contesto culturale
ellenistico. Analizziamo le tre principali.
1. Nel modello dualistico di Platone e Aristotele il mondo non è opera divina, in quanto Dio e il
mondo sono co-eterni e Dio esercita la propria azione sulla materia dandole forma, ordine e misura
(Dio come causa ordinatrice). Per contro Plotino afferma l'esistenza prioritaria dell'Uno e la
necessaria derivazione del mondo da esso, come semplice effetto dell'emanazione divina.
2. Secondo la concezione ebraico-cristiana, Dio è il creatore del mondo: all'origine esisteva infatti
solo Dio e la sua creazione è avvenuta dal nulla (creatio ex nihilo), per un atto d'amore volontario di
Dio. Per Plotino invece il mondo non viene creato deliberatamente da Dio, ma si emana dalla sua
fonte in modo spontaneo. Inoltre questo processo non è frutto di un atto amorevole da parte di Dio,
ma discende necessariamente dalla sua abbondanza di essere: il mondo non serve in alcun modo
all'Uno.
3. Per il panteismo greco Dio e il mondo coincidono in quanto Dio è interno al mondo e costituisce
l'essenza vivificante dell'universo. Per Plotino invece Dio è trascendente poiché esiste al di sopra
del mondo ed è un principio assolutamente non corporeo ed è immateriale.

A partire dall'Uno si formano l'Intelletto e l'Anima del mondo che stanno tra loro in un
rapporto simile a quello della luce con il Sole e la Luna
Secondo Plotino la realtà nel suo complesso deriva da tre ipòstasi, cioè da tre princìpi che formano
il mondo intellegibile. La prima ipostasi è naturalmente l'Uno stesso che è dotato di infinita potenza,
nel senso che è «potenza di ogni cosa». Per questo in termini teologici designa Dio, inteso come
essere trascendente e immateriale. La seconda ipostasi è il Nous, l'Intelletto che si genera nel
momento in cui l'emanazione fa immediatamente ritorno all'Uno contemplandolo. Distinto dall'Uno,
l'Intelletto è così chiamato in quanto pensa ed è la sede delle idee. Le idee sono nell'Intelletto divino
conosciute nella loro totalità e al di fuori di ogni processo che implichi temporalità e sviluppo. Se
l'Uno è assoluta semplicità, l'Intelletto contiene già la dualità, originatasi dalla differenziazione tra
soggetto pensante e oggetto pensato. L'Intelletto pensa e i suoi pensieri sono gli archetipi di tutte le
cose presenti nella realtà, quei modelli eterni e perfetti delle cose che Platone aveva chiamato idee.
Nel momento in cui poi l'Intelletto contempla se stesso nasce la terza ipostasi, cioè l'Anima, che da
un lato guarda all'Intelletto divino e pensa; dall'altro guarda al mondo e lo governa unendosi alla
materia. Per Plotino dunque esistono due anime:
• una superiore legata all'Uno tramite l'Intelletto, l'Anima suprema;
• una inferiore che vivifica la realtà materiale e che chiama Anima del mondo.
L'anima occupa una posizione intermedia, di mediazione tra due dimensioni opposte: una spirituale,
l'Intelletto, e l'altra materiale, il mondo. Il rapporto tra l'Uno, l'Intelletto e l'Anima è da Plotino
paragonato a quello tra la luce, il Sole e la Luna: l'Uno è la luce che illumina tutto, l'Intelletto è il
Sole attraverso cui la luce si irraggia e l'Anima è la Luna, che dal Sole trae la sua luce, mentre la
materia è oscurità.

Il mondo sensibile deriva dall'Anima del mondo quando si unisce alla materia, cioè all'ultimo
grado nella scala dell'emanazione dell'Uno
Il mondo sensibile, cioè la realtà corporea, si origina per emanazione dall'Anima del mondo. La
materia, secondo Plotino, è intesa negativamente come mancanza di essere: in altri termini è come il
buio che vediamo là dove non arriva la luce. Essendo privazione dell'essere, in quanto esaurimento
dell'Uno e quindi del Bene, la materia per Plotino coincide anche con il male da intendersi però non
come una forza negativa, in opposizione al positivo, ma semplicemente come assenza del positivo,
non essere. L'Anima del mondo pervade interamente il mondo, come fosse lo spirito di un grande
animale, conferendogli unità e armonia. Fanno quindi parte dell'Anima del mondo anche le anime
particolari che vivificano tutti gli esseri viventi. Le anime particolari però sono soltanto distinte
dall'Anima del mondo senza esserne separate. Il tempo nasce infine dall'attività dell'Anima del
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mondo nel momento in cui vivifica gli esseri viventi: questa attività segna infatti la nascita di un
prima e di un dopo, mentre nell'immutabile mondo intellegibile vi è unicamente l'eterno presente.
MAPPA CONCETTUALE
Il percorso "all'ingiù": il processo di emanazione

4 Il ritorno all'Uno
L'anima sente nostalgia per l'origine e diventa la protagonista del ritorno all'Uno attraverso il
distacco dalla dimensione materiale
Il mondo sensibile e il mondo intellegibile trovano un punto di contatto nell'uomo, la cui anima
sente di dovere superare i limiti corporei e fare ritorno all'originaria condizione di unità con l'Uno.
L'anima umana quindi ripercorre "all'insù" la stessa via che l'Uno percorre "all'ingiù". Il percorso
"all'ingiù" consiste nel processo di emanazione che a partire dall'Uno determina le successive
ipostasi. Il percorso "all'insù", invece, è la risalita che l'anima compie verso l'Uno, attraverso la
conversione.
Le anime vivono una vera e propria "caduta" nella dimensione corporea. Questa caduta, se da un
lato è necessaria conseguenza del processo di emanazione dall'Uno, dall'altro è gravata da una
duplice condizione di colpevolezza da parte dell'anima: in primo luogo l'anima è colpevole nel
momento in cui apprezza la dimensione materiale; in secondo luogo, l'anima è colpevole nel caso in
cui ecceda nella cura delle cose materiali. Ma benché viva nella dimensione materiale, l'anima non
può non sentire il richiamo dell'Uno, da cui proviene, tanto da avvertire una vera e propria
"nostalgia dell'origine" che attanaglia l'anima nel corso della sua esistenza: «vivere quaggiù e tra le
cose della terra non è che "crollo" ed "esilio" e "perdita d'ali"». In breve, l'anima vive una
condizione simile a quella di Ulisse narrata da Omero: vaga per il mondo subendo il fascino di mille
sirene, ma ciò che in realtà più intimamente desidera è tornare nel proprio paese. Affinché però
l'anima possa intraprendere il percorso che la porta a ricongiungersi con l'Uno deve distaccarsi dalla
dimensione materiale; scelta che Plotino incoraggia con un consiglio: "Rinuncia a tutte le cose!".

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In altri termini, impegnandosi a seguire le virtù l'anima:
• tramite la sapienza impara a fare affidamento unicamente su sé stessa;
• attraverso la temperanza si emancipa dalle passioni;
• grazie al coraggio osa separarsi dal corpo;
• per mezzo della giustizia affida la guida dei propri atti unicamente alla ragione.
Dopo essersi esercitata in queste virtù, l'anima è pronta per tentare di raggiungere l'Uno attraverso
tre vie: la via estetica dell'arte, la via etica dell'amore e la via intellettuale della filosofia. Come per
Platone, queste vie corrispondono ai tre ideali per cui merita vivere: il Bello, il Bene e il Vero.

Il ritorno dell'anima all'Uno si compie attraverso l'arte, l'amore e infine la filosofia che
consente di cogliere l'Uno con l'intelletto fino all'estasi, cioè all'unione mistica con Dio
La prima via che si presenta all'anima per tentare di raggiungere l'Uno è quella dell'arte e ha per
oggetto la Bellezza, definita da Plotino «l'apparire dell'indivisibile nel molteplice»: per questo essa
ci aiuta a elevarci dalla corporeità indirizzandoci verso lo splendore dell'Uno. La bellezza è
innanzitutto presente nella natura: non si manifesta però nella proporzione e simmetria delle parti
come sosteneva Aristotele (se così fosse non si capirebbe perché talora lo stesso oggetto possa
apparirci bello e in altri casi meno), ma nel momento in cui cogliamo in una cosa l'unitarietà che la
fa esistere. Oltre che nella natura la bellezza è presente anche nell'arte come manifestazione della
tensione dell'uomo verso l'Uno. L'arte dunque è intuizione del mondo intellegibile e non imitazione
del mondo sensibile come riteneva Platone, che di conseguenza la condannava. Per esempio Fidia
«non ha scolpito il suo Zeus sulla base di un modello sensibile, ma ha immaginato quale sarebbe se
Zeus consentisse ad apparire al suo sguardo». Particolarmente poi adatta secondo Plotino a farci
intuire il mondo intellegibile è la musica, in quanto è un'espressione artistica non materiale. Nel
momento in cui poi si scopre la bellezza dell'anima inizia la seconda via per tentare di raggiungere
l'Uno, quella dell'amore: così facendo, si passa dal piano estetico a quello etico in quanto l'amore si
manifesta come «contemplazione della bellezza morale, cioè del Bene». Una contemplazione che si
trasforma nel suo più alto grado in filosofia, la terza via, nel momento in cui diventa riflessione
intellettuale dell'Uno. Con la filosofia tuttavia l'anima coglie l'Uno non come assoluta unità ma
come oggetto pensato, che rimane distinto dal soggetto pensante. Anche la via intellettuale dunque
si dimostra inadeguata. La sola possibilità che l'uomo ha di raggiungere l'Uno non è pertanto una
via che tutti possono percorrere ma un'esperienza spirituale eccezionale, l'estasi, da intendersi non
come uno stato di incoscienza irrazionale, ma di superamento della razionalità: uno "slancio" per
mezzo del quale l'anima trascende la dimensione finita e si perde finalmente nell'Assoluto.
Nell'estasi infatti l'anima si immedesima con l'Uno al di là della stessa ragione.
È questa l'esperienza spirituale che Plotino cerca di tradurre in filosofia. Spesso io mi
sveglio a me stesso, abbandonando il mio corpo: straniero a ogni altra cosa nella mia
propria intimità, vedo la più straordinaria bellezza che si possa immaginare. Sono
convinto, soprattutto allora, di avere un destino superiore, il mio rapimento è il grado più
alto cui possa giungere la vita, sono unito all'essere divino e, arrivato a questo rapimento,
mi fisso in Lui al di sopra di tutti gli altri esseri intelligibili. Ma dopo questo riposo
nell'Essere divino, ridisceso dall'intelletto al pensiero riflesso, mi domando come io
effettuai in pratica questa discesa e come l'anima abbia potuto entrare nel corpo pur
essendo come mi è apparsa, e cioè essendo già in un corpo. (Enneadi)
Quali forze conducono l'uomo all'estasi? Restando fedele alla tradizione del pensiero greco, Plotino
ritiene che l'uomo giunga all'estasi con le proprie forze, in quanto si tratta della «fuga di un singolo
verso l'Uno». Per illuminare l'uomo Dio dunque non interviene con la sua "grazia", il "dono di Dio
di sé", come sostiene il cristianesimo. È invece l'uomo stesso che con le sue capacità razionali può
giungere a oltrepassarle per riunirsi a Dio, l'assolutamente Uno. L'estasi è dunque l'ascesa mistica
verso Dio, una ricongiunzione e identificazione con Dio, in cui viene abolita l'alterità tra l'Uno e il
molteplice, allo stesso modo in cui le singole note musicali si perdono all'interno di un'unica

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sinfonia. Una religiosità tutta filosofica che non richiede sacerdoti e liturgie in quanto si tratta di
un'esperienza individuale, un personale "amoroso contatto" (prosbolé) con l'Uno.
MAPPA CONCETTUALE
Il percorso "all'insù": il ritorno dell'anima all'Uno

5 Il tardo neoplatonismo
Porfirio riprende la teoria dell'Uno di Plotino attenuando le differenze fra le varie ipostasi e
rifiutando l'alterità dell'Uno
Originario di Tiro, Porfirio nasce nel 232 d.C. In seguito a una fase molto incerta della sua
esistenza, nel 268 medita di suicidarsi. Per distoglierlo dal proposito, Plotino lo invita a compiere
un viaggio in Sicilia. Durante questo viaggio compone, probabilmente, uno scritto contro il
cristianesimo, andato perduto. In tarda età sposa la vedova di un amico, cui è dedicata l'opera
Consolazione a Marcella. La sua opera più famosa, molto studiata nel Medioevo, è però l'Isagoghé
(dal greco "introduzione"), meglio nota come L'introduzione alle Categorie di Aristotele. Celebre è
la sezione in cui Porfirio discute la natura degli universali, all'origine di uno dei più importanti
dibattiti filosofici che hanno attraversato il Medioevo. Porfirio riprende la dottrina plotiniana
dell'Uno, sottolineando maggiormente gli aspetti mistici e introducendo elementi misterici di
derivazione orientale. Rispetto a Plotino, attenua fortemente le differenze tra le varie ipostasi e
insiste, al contrario, sulle loro reciproche analogie: secondo Porfirio, infatti, la differenza tra le
ipostasi condurrebbe a introdurre il concetto di alterità, che implica un rapporto e una limitazione
reciproca tra differenti realtà. Essendo assolutamente da escludersi per l'Uno qualunque limitazione,
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l'alterità va ricusata e con essa la differenza tra le ipostasi. A differenza di Plotino, Porfirio sostiene
inoltre l'importanza della pratica della teurgia, un insieme di rituali la cui efficacia è tale da
estendersi oltre il piano sensibile. Infine, in polemica col cristianesimo, rifiuta l'ipotesi di un Dio
fattosi uomo, che soffre e muore, ritenendola una semplice assurdità.
Proclo è il maggiore esponente della scuola di Atene: recupera la tradizione filosofica greca
per elaborare la teologia pagana delle enadi divine derivata dall'Uno
Attorno al IV secolo, Atene, torna a essere un fiorente centro di studi. In questo contesto al
principio del V secolo venne fondata da Giamblico di Calcide (250 ca.-330 ca.) l'Accademia
neoplatonica, il cui maggior esponente fu Proclo. A Proclo si devono i Commentari al Timeo, alla
Repubblica, al Parmenide, all'Alcibiade I, al Cratilo, l'Istituzione teologica e la Teologia platonica.
Originario di Costantinopoli, dove nacque nel 410, Proclo si recò in gioventù ad Atene e rimase a
capo della scuola neoplatonica sino al 485, anno della sua morte. Proclo aderì infine al paganesimo,
e praticò la teurgia, tanto che ad Atene ebbe fama di guaritore e sciamano. Merito di Proclo è la
sistematizzazione del neoplatonismo a partire dal Parmenide platonico. In particolare interpreta il
rapporto tra Uno e molteplicità in chiave teologica. Secondo Proclo, si tratta infatti di una
rivelazione religiosa, operata dagli dei stessi, confluita inizialmente nel pitagorismo e nell'orfismo.
Recuperando questa tradizione religiosa rivelata, Platone si è poi fatto garante della sua
continuazione. Inoltre Proclo sottolinea la continuità tra l'Uno e le ipostasi aumentandone il numero
ed elabora la dottrina delle enadi divine. All'interno dell'Uno, derivanti da esso, sussistono le enadi
divine: una serie di ipostasi conoscibili dall'intelletto umano, a differenza dell'Uno che è assoluta
trascendenza ed è inconoscibile. Le enadi sono le divinità del pantheon pagano e contengono le
cause delle realtà inferiori, che non potrebbero trovarsi nell'Uno, in quanto l'Uno non può contenere
realtà inferiori a sé. Le enadi sono disposte secondo una ricca e ordinata piramide gerarchica, i cui
gradi inferiori aumentano di numero e perdono via via di potenza. Inoltre sono dotate di onniscienza
e svolgono funzione provvidenziale, non in quanto agiscano materialmente nella realtà, bensì
garantendo semplicemente con la propria esistenza la natura divina della realtà.

Per Proclo il processo di emanazione ha una struttura triadica e Dio opera a tutti i livelli della
realtà, dunque la materia non può essere identificata con il male
Proclo mantiene dunque il principio del neoplatonismo sulla base del quale ogni processo si compie
in rapporto alla somiglianza; di conseguenza l'Uno che produce resta immutato, ma la cosa prodotta
porta in sé qualcosa del producente, cioè gli somiglia. Pertanto il prodotto è al tempo stesso identico
al producente (per ciò che gli somiglia) e diverso da esso (per ciò che differisce). Inoltre
nell'ipostasi ogni essere che procede dall'Uno ritorna per sua natura a esso.
Proclo quindi individua nel processo di emanazione di un essere tre momenti:
• il permanere immutabile della causa;
• il procedere dalla causa dell'essere derivato;
• il ritorno o conversione dell'essere derivato alla causa.
Ciò che Plotino aveva illustrato con la metafora della luce che si irradia, viene concepito da Proclo
come un processo circolare in cui il principio e la fine si congiungono. Dio, perciò, opera a tutti i
livelli del reale attraverso le sue ipostasi, ed è pertanto presente anche al livello più basso, la
materia, che non può quindi essere identificata con il male: esso non esiste come realtà positiva, ma
come mera assenza di bene. Il male infatti è tale solo in quanto realtà particolare, separata dal tutto,
e rappresenta la perversione transitoria di una singola realtà che si oppone all'aspirazione di tutto
verso il bene. Secondo Proclo, infine, la pratica della teurgia è molto importante per l'anima umana,
in quanto il teurgo, evocando gli dei e trasferendone la presenza nella materia, si avvicina al divino.
La magia differisce dalla teurgia per la condizione spirituale del teurgo, maggiormente ispirata dal
divino, il cui obiettivo ultimo consiste nel raggiungimento dell'estasi mistica per ricongiungersi
all'Uno.

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