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Quaderni di diritto ecclesiale

20 (2007) 320-333

I matrimoni fra cattolici


e musulmani in Italia.
Le indicazioni della Presidenza della
CEI

Un tema di grande rilevanza


I consistenti flussi migratori dai Paesi arabi e dai Balcani hanno ac-
cresciuto negli anni recenti il numero dei musulmani presenti in Italia.
Tale evento non rappresenta in sé una novità, dal momento che il nostro
Paese ha costituito nel volgere dei secoli ora il punto di partenza ora quel-
lo di arrivo di migliaia e migliaia di uomini e donne, spinti ad abbandonare
la loro terra alla ricerca di un lavoro sicuro e di migliori condizioni di vita.
Tuttavia, ciò che caratterizza l’attuale fenomeno migratorio, suscitando
preoccupazione in vasti strati dell’opinione pubblica, è la percezione di
una certa difficoltà nell’integrazione e nell’accettazione reciproca, accen-
tuata dal fatto che il rapporto fra islam e mondo occidentale, dopo i tristi
eventi dell’11 settembre 2001, sembra avere assunto i toni di uno scontro
frontale.
Queste complesse problematiche costituiscono lo sfondo nel quale
situare le Indicazioni intitolate I matrimoni tra cattolici e musulmani in Italia,
pubblicate dalla Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana il 29
aprile 20051. Come si può desumere dalla qualifica, dal soggetto da cui
promana e dal tipo di approvazione di cui gode, il documento non ha for-
za di legge né costituisce un atto di magistero dottrinale dei vescovi ita-
liani2. Tali rilievi formali non devono tuttavia sminuirne l’importanza: se,
1
«Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana» 2005, 139-165. Il testo è scaricabile an-
che dal sito www.chiesacattolica.it in internet. Fra le prime presentazioni del documento,
cf G. SALVINI, I matrimoni tra cattolici e musulmani in Italia, in «La civiltà cattolica» 156 (2005)
IV, 46-56; A. PERLASCA, Le «Indicazioni» della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana con-
cernenti i matrimoni tra cattolici e musulmani in Italia, in «Ius Ecclesiae» 17 (2005) 859-873; A.
PACINI, I matrimoni tra cattolici e musulmani, in «Vita pastorale» 2005, n. 12, pp. 22-23; ID., Il
futuro delle coppie islamo-cristiane, ibid., 2006, n. 1, pp. 22-23.
2
Cf can. 455 §§ 1-2. L’art. 2 delle norme complementari del motu proprio di Giovanni Paolo
II Apostolos suos (21 maggio 1998) ribadisce che «nessun organismo della Conferenza Epi-
scopale, tranne la riunione plenaria, ha il potere di porre atti di magistero autentico».
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infatti, dal punto di vista sistematico i matrimoni fra cattolici e musulma-

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ni seguono le regole generali fissate per i matrimoni fra una parte catto-
lica e una parte non battezzata, per i quali vige l’impedimento dirimente
di disparità di culto, ai sensi del can. 1086 § 1, è evidente che essi costi-
tuiscono un punto nevralgico nel delicato processo di relazione/integra-
zione della cultura e del costume islamico nel mondo occidentale3. Perciò
essi mettono anche alla prova la capacità del sistema canonico di rispon-
dere in maniera adeguata alle esigenze attuali della comunità cristiana,
adattandosi alle mutate condizioni storico-culturali senza smarrire la
propria identità e rinunciare ai propri principi costitutivi. Potremmo per-
ciò dire che alla base delle Indicazioni della Presidenza CEI sta non tanto
la necessità di chiarire il dato normativo, essendo in sé ben definita e fa-
cilmente attingibile la nozione dell’impedimento dirimente di disparità di
culto e la necessità della relativa dispensa da parte dell’ordinario del luo-
go per consentire nel caso la valida celebrazione delle nozze (cf can. 1078
§ 1), quanto la consapevolezza dell’opportunità di fornire ai pastori e ai
fedeli elementi utili per comprendere meglio il dato di fatto, cioè la situa-
zione in cui si trova la coppia interreligiosa che si presenta al sacerdote
chiedendo di essere ammessa alle nozze canoniche.

La genesi del documento


Che la questione sia delicata e complessa risulta con evidenza anche
dalla lunga gestazione del documento. Nel corso della sessione del gen-

3
Nella vasta bibliografia in materia, segnaliamo in particolare gli atti del XXXIII Congresso
nazionale di diritto canonico (Terni, 11-14 settembre 2001), promosso dall’Associazione
Canonistica Italiana: AA.VV., Il matrimonio tra cattolici e islamici, Città del Vaticano 2002. Il vo-
lume contiene anche alcuni fra i più significativi documenti episcopali in materia: la nota
belga Les mariages islamo-chrétiens, pubblicata nel 1983 dalla Commissione interdiocesana
per le relazioni con l’islam; le Orientaciones para la celebración de los matrimonios entre católicos y
musulmanes en España, della Commissione episcopale per le relazioni interconfessionali della
Conferenza Episcopale Spagnola (1987); l’istruzione della diocesi di Brescia I matrimoni tra
cattolici e musulmani (1994); il Dossier sur le mariages islamo-chretiens, pubblicato nel 1995 in
terza edizione dal Segretariato per le relazioni con l’islam della Conferenza Episcopale
Francese; il documento del Comitato Islam in Europa, costituito congiuntamente dalla
Conferenza delle Chiese europee (KEK) e dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Eu-
ropa (CCEE), Matrimoni tra cristiani e musulmani (1997); la Guide pastoral des mariages entre
islamo-chrétiens, pubblicata dal Centro ecumenico canadese (2001). L’opuscolo Cristiani e
musulmani: una convivenza possibile?, Torino 1996, contiene la traduzione italiana del diretto-
rio pastorale della Chiesa tedesca Musulmani in Germania (4 marzo 1993), che al capitolo 4.2.
affronta nel dettaglio la questione dei matrimoni cattolico-islamici. Fra gli studi di indole
giuridica anteriori alla pubblicazione delle Indicazioni della Presidenza CEI, cf anche
M. BORRMANS, Osservazioni e suggerimenti a proposito dei matrimoni misti tra parte cattolica e parte
musulmana, in «Quaderni di diritto ecclesiale» 5 (1992) 321-332; S. FERRARI – G. PEROTTI
BARBA, I matrimoni islamo-cattolici in Italia, Cinisello Balsamo (Milano) 2003.
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naio 2000 del Consiglio Episcopale Permanente, mons. Giuseppe Chia-


retti, che al tempo ricopriva l’ufficio di presidente del Segretariato per
l’ecumenismo e il dialogo della CEI, illustrò un dossier intitolato La pre-
senza dei musulmani in Italia: i rapporti tra cattolici e musulmani, con particolare
attenzione al problema dei matrimoni. Tale studio rielaborava i dati contenuti
nel Dossier statistico 1999 della Caritas di Roma, delineando il profilo della
presenza islamica in Italia. Nell’ultimo capitolo il testo si concentra su al-
cuni aspetti dell’incontro tra Chiesa cattolica e islam e contiene un para-
grafo dedicato ai matrimoni fra cattolici e musulmani, riportando i dati di
un’indagine effettuata per gli anni 1995-1998 mediante un questionario
inviato a tutte le curie diocesane. Dalle 120 risposte, risultava che i ma-
trimoni fra cattolici e musulmani celebrati con la dispensa dall’impedi-
mento di disparità di culto superassero il centinaio per anno4. Mons.
Chiaretti rilevò come un seminario organizzato dal Segretariato avesse
evidenziato la necessità che anche la Chiesa in Italia – come molte altre
Chiese in Europa e Occidente – elaborasse un documento di indirizzo
pastorale sul tema dei matrimoni islamo-cristiani, tenendo pure conto
del fatto che «resta un problema da affrontare la disparità di atteggiamen-
to che viene assunto dalle diocesi in merito alla concessione della dispen-
sa, a seconda delle situazioni e delle esperienze locali». La questione su-
scitò un’ampia discussione fra i membri del Consiglio Permanente,
preoccupati in particolare dall’alto tasso di fallimenti riscontrato in que-
sto tipo di matrimoni. Essi decisero di demandare alla Presidenza l’ipote-
si di elaborare un documento specifico sul tema5.
Il risultato del lavoro fu presentato al Consiglio Permanente tre anni
dopo, nella sessione del gennaio 2003. Anche questa volta i materiali ven-
nero organizzati in un dossier e furono illustrati da mons. Chiaretti, in qua-
lità di presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dia-

4
Con maggiore precisione: 124 nel 1995; 103 nel 1996; 107 nel 1997; 100 nel 1998. La ri-
partizione delle diocesi è la seguente: 43 del Nord, 35 del Centro, 28 del sud e 14 delle Isole.
La popolazione delle diocesi monitorate raggiunge i 35.752.840 abitanti. La parte musul-
mana proviene principalmente dal Marocco, dalla Tunisia e dall’Albania.
5
Nel contributo Il significato religioso del matrimonio tra un battezzato e un non battezzato, in
AA.VV., Il matrimonio fra cattolici ed islamici, cit., mons. Chiaretti ha riportato le «indicazioni
pastorali di fondo» espresse dal Consiglio Permanente in vista dello studio della questione:
«- operare per la salvaguardia della fede della donna cristiana […];
- conoscere seriamente la cultura e la legislazione religiosa e civile soggiacente nei vari Stati
alla vita della coppia e della famiglia, molto diverse da quelle occidentali di cultura cristiana;
- provvedere in ogni diocesi grande, o in ogni provincia ecclesiastica, uno o più esperti
dell’islam, e persino della lingua araba, perché siano referenti competenti e disponibili per
questo servizio di illuminazione e anche, per quanto possibile, di accompagnamento della
coppia mista» (p. 17).
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logo, subentrata al Segretariato in seguito alla revisione statutaria della

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CEI del 2000. La bozza, dopo un’introduzione piuttosto problematica su
questo tipo di matrimoni, attesi i rischi per la parte cattolica, nel primo
contributo cerca di verificare i punti di convergenza fra l’impostazione
islamica e quella cattolica circa il matrimonio, la famiglia, le relazioni uo-
mo-donna, la sessualità, la procreazione e le proprietà naturali del matri-
monio monogamico. Il secondo contributo evidenzia, invece, i punti di di-
vergenza, con specifica attenzione al ripudio, al divorzio e alla poligamia,
approfondendo anche tali temi in alcune legislazioni di Paesi islamici. Un
ulteriore contributo contiene riflessioni pastorali utili al discernimento su
tali matrimoni, in vista della preparazione, della celebrazione e del succes-
sivo accompagnamento. Segue la trattazione specificamente canonica, re-
lativa all’impedimento e agli elementi richiesti per la dispensa, con alcuni
formulari. Chiude il dossier una trattazione sulla professione di fede (shahâ-
da) richiesta ai maschi cristiani che intendono contrarre matrimonio con
una donna musulmana. Nella discussione all’interno del Consiglio Per-
manente emersero notevoli perplessità circa la convenienza di dare pub-
blicità al dossier, in base all’idea che i matrimoni fra cattolici e musulmani
non dovessero comunque essere favoriti. In quel momento parve prevale-
re la scelta di trasmettere in via riservata ai vescovi una succinta nota, pub-
blicando i materiali – giudicati peraltro interessanti – a nome di un centro
studi non direttamente riconducibile alla CEI.
La problematica tornò all’attenzione della Presidenza nella seduta del
marzo 2004, con la convinzione che la complessità e la delicatezza della
questione rendessero comunque opportuno un intervento pubblico e uffi-
ciale, per fornire agli operatori pastorali un quadro di orientamento condi-
viso sul tema e per consentire agli ordinari di decidere con cognizione di
causa se nei singoli casi debba o meno concedersi la dispensa dall’impedi-
mento, permettendo la valida celebrazione del matrimonio canonico. In ba-
se a tali considerazioni, la Presidenza affidò ad alcuni canonisti la riformu-
lazione del dossier presentato nel gennaio 2003 al Consiglio Permanente.
La nuova bozza, licenziata dalla Presidenza nella seduta del giugno
2004, fu illustrata al Consiglio Permanente nella sessione del settembre
2004 dal Sottosegretario mons. Domenico Mogavero. Essa corrisponde
nella sostanza al testo definitivo. Il 3 maggio 2004 era stata frattanto pub-
blicata l’istruzione del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti
e gli itineranti Erga migrantes caritas Christi, che affronta espressamente il
tema dei rapporti fra cattolici e musulmani e dei matrimoni fra le parti6.

6
Le Indicazioni citano due volte l’istruzione Erga migrantes: alla nota 2, laddove si sconsiglia-
no in linea generale i matrimoni fra cattolici e migranti non cristiani, e alla nota 3, dove,
324 I matrimoni fra cattolici e musulmani in Italia

Anche per questa ragione i membri del Consiglio Permanente mutarono


la precedente opinione, convergendo sull’opportunità di dare pubblicità
al documento, subordinandone la diffusione al parere delle conferenze
episcopali regionali e del Consiglio per gli affari giuridici, ai quali fu tra-
smesso in consultazione. Nella sessione del gennaio 2005 il Consiglio
Permanente espresse l’assenso alla versione definitiva del testo, dispo-
nendo di attribuirne la titolarità alla Presidenza.

Impianto e contenuti
Le Indicazioni constano di una presentazione, di quattro capitoli e di
quattro appendici. I capitoli trattano dettagliatamente il contesto pasto-
rale (nn. 1-5), la visione cristiana del matrimonio (nn. 6-13), l’itinerario
di verifica e di preparazione (nn. 14-31), la celebrazione del matrimonio
e l’accompagnamento familiare (nn. 32-37). Le appendici approfondi-
scono la natura dell’impedimento di disparitas cultus (I: nn. 38-44), la
shahâda, cioè la professione di fede musulmana (II: nn. 45-47), e forni-
scono alcuni elementi di conoscenza del matrimonio nell’islam (III: nn.
48-59). Una quarta appendice contiene la modulistica da utilizzare
nell’istruttoria prematrimoniale.
Nella presentazione, firmata dal Presidente della CEI, vengono espli-
citate le ragioni che hanno indotto a pubblicare il documento: di fronte
alla rilevanza anche quantitativa assunta negli anni recenti dalle richieste
di matrimoni religiosi fra cattolici e musulmani, favorita dalla tendenza
degli immigrati musulmani a stabilirsi in Italia, è parso conveniente «in-
dividuare un indirizzo omogeneo nella verifica dei casi e nell’eventuale
dispensa dall’impedimento». Viene poi espresso l’orientamento di fondo
del documento: «Le implicazioni esistenziali ed ecclesiali di questa pro-
blematica suggeriscono prudenza e fermezza e richiedono una riafferma-
ta consapevolezza dell’identità cristiana e della visione cattolica sul matri-
monio e sulla famiglia, anche in ragione delle conseguenze che ne deri-
vano sul piano religioso, culturale, sociale e del dialogo interreligioso». Si
ribadisce, poi, che le Indicazioni intendono offrire agli ordinari diocesani
alcune linee pastorali «al fine di motivare, orientare e favorire indirizzi co-
muni e prassi omogenee in materia di matrimoni fra cattolici e musulma-
ni nelle Chiese particolari che sono in Italia». Esse sono state elaborate
dalla Presidenza per mandato del Consiglio Permanente, che le ha valu-
tate positivamente e ha dato mandato di pubblicarle ai sensi dell’art. 23,

«per il frutto anche di amare esperienze», si raccomanda di procedere a una preparazione


particolarmente accurata e approfondita in caso di richiesta di matrimonio di una donna
cattolica con un musulmano.
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lettera b), dello statuto della CEI, dal momento che il documento concer-

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ne «problemi di speciale rilievo per la Chiesa o la società in Italia, che me-
ritano un’autorevole considerazione e valutazione anche per favorire
l’azione convergente dei Vescovi».
Il primo capitolo, relativo al contesto pastorale, considera anzitutto le
peculiari difficoltà sperimentate dalle coppie miste di cattolici e musul-
mani ed evidenzia che «far acquisire consapevolezza riguardo a queste difficoltà
è un primo, fondamentale servizio da rendere a chi chiede un tale matrimonio» (n.
1; in corsivo nel testo). In linea generale, si ritiene che «l’esperienza ma-
turata negli anni recenti induce a sconsigliare o comunque a non incoraggiare
questi matrimoni», elencando nel dettaglio gli aspetti problematici che essi
comportano (n. 3)7. Per tali ragioni, «i matrimoni tra cattolici e musulma-
ni devono comunque essere considerati unioni potenzialmente proble-
matiche» (n. 4). «Proprio da ciò deriva l’esigenza che si prospettino per tempo
alle parti i problemi che quasi inevitabilmente si presenteranno, verificando così
non solo la loro generica buona volontà, ma anche la disponibilità e la
reale attitudine ad affrontarli di comune accordo» (n. 5).
È chiaro il doppio registro in base al quale si muovono le Indicazioni:
senza sminuire la problematicità di questo tipo di unioni, offrire agli or-
dinari del luogo, dai quali dipende la concessione della dispensa che ren-
de possibile la celebrazione del matrimonio canonico, criteri generali che
agevolino il discernimento nel caso concreto, evitando gli estremi dell’ac-
quiescenza passiva alla richiesta delle parti e del rifiuto aprioristico della
dispensa; nel contempo, aiutare i nubendi a essere maggiormente consa-
pevoli delle difficoltà a cui andranno incontro soprattutto nel divenire
della convivenza coniugale8.
Il secondo capitolo riassume la visione cristiana del matrimonio, sotto-
lineandone il fondamento creaturale e l’inserimento nel piano salvifico.
Si ribadisce, in particolare, che «il matrimonio naturale – preso in conside-
razione nel caso di unioni in cui uno o entrambi i contraenti non hanno

7
«La fragilità intrinseca di tali unioni, i delicati problemi concernenti l’esercizio adulto e re-
sponsabile della propria fede cattolica da parte del coniuge battezzato e l’educazione religio-
sa dei figli, nonché la diversa concezione dell’istituto matrimoniale, dei diritti e doveri reci-
proci dei coniugi, della patria potestà e degli aspetti patrimoniali ed ereditari, la differente
visione del ruolo della donna, le interferenze dell’ambiente familiare d’origine, costituisco-
no elementi che non possono essere sottovalutati né tanto meno ignorati, dal momento che
potrebbero suscitare gravi crisi nella coppia, sino a condurla a fratture irreparabili» (ivi).
8
«Anche se talvolta è dato di incontrare coppie cristiano-musulmane di profondo spessore
umano e spirituale, capaci di amalgamare specificità e differenze senza abdicare alla propria
identità, non accade così nella maggioranza dei casi, non solo per i rilevanti condiziona-
menti sociali e culturali, ma soprattutto a causa di un’antropologia culturale e religiosa
profondamente diversa che le persone, talora inconsapevolmente, portano in sé» (n. 4).
326 I matrimoni fra cattolici e musulmani in Italia

ricevuto il battesimo – mantiene comunque intatti i valori insiti nell’atto del


consenso, che impegna tutta la vita dei nubendi in un amore indissolubile,
in una fedeltà incondizionata e nella disponibilità alla prole» (n. 10), e se
ne richiama la dignità: «Anche se il matrimonio tra una parte cattolica e
una parte musulmana non ha dignità sacramentale, esso nondimeno può
realizzare i valori propri del matrimonio naturale e costituire per i coniugi
una preziosa opportunità di crescita» (n. 11). In questo modo, senza en-
trare espressamente nel merito della questione dottrinale, le Indicazioni
recepiscono la tesi della non sacramentalità del matrimonio fra una parte
non battezzata e una battezzata9. Il fatto che anche in questo tipo di unio-
ne la parte cattolica possa conseguire i valori insiti nel matrimonio natu-
rale costituisce la ragione che legittima la concessione della dispensa e
delle condizioni a cui essa è subordinata10.
9
«Superate le perplessità che ci sono state nella storia al riguardo, oggi si ritiene dottrina pa-
cifica che il matrimonio fra un cattolico e un non battezzato non è sacramento, nemmeno
per la parte cattolica» (U. NAVARRETE, Matrimoni misti: conflitto fra diritto naturale e teologia?, in
«Quaderni di diritto ecclesiale» 5 [1992] 283). Tale posizione dottrinale trova riscontro nel
magistero recente, che ribadisce l’insegnamento contenuto già nel concilio di Trento: «Poi-
ché ne significa e ne comunica l’alleanza, il matrimonio fra battezzati è vero sacramento
della Nuova Alleanza» (CCC, n. 1617). Si veda in proposito anche quanto affermato da Pao-
lo VI e da Giovanni Paolo II: «La Chiesa non mette sullo stesso piano, né in sede dottrinale
né in sede canonica, il matrimonio contratto da un coniuge cattolico con persona non cat-
tolica battezzata e il matrimonio nel quale un coniuge cattolico si è unito con persona non
battezzata. Difatti, secondo quanto ha dichiarato il concilio Vaticano II, coloro che, anche
se non cattolici, “credono in Cristo e hanno debitamente ricevuto il battesimo, sono costi-
tuiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica” (UR 3). […] Ciò
significa che, nel caso di nozze tra battezzati – le quali sono un vero sacramento – si stabi-
lisce una certa comunione di beni spirituali, che invece manca nel matrimonio contratto da
coniugi, dei quali uno è battezzato, l’altro è privo di battesimo» (PAOLO VI, motu proprio Ma-
trimonia mixta, 31 marzo 1970); «La rivelazione raggiunge la sua pienezza definitiva nel dono
d’amore che il Verbo di Dio fa all’umanità assumendo la natura umana, e nel sacrificio che
Gesù Cristo fa di se stesso sulla croce per la sua sposa, la Chiesa. In questo sacrificio si svela
interamente quel disegno che Dio ha impresso nell’umanità dell’uomo e della donna, fin
dalla loro creazione; il matrimonio dei battezzati diviene così il simbolo reale della nuova ed
eterna alleanza, sancita nel sangue di Cristo. […] Accogliendo e meditando fedelmente la
parola di Dio, la Chiesa ha solennemente insegnato e insegna che il matrimonio dei battez-
zati è uno dei sette sacramenti della nuova alleanza (Cf. Concilio di Trento, sess. XXIV, can.
1). Infatti, mediante il battesimo, l’uomo e la donna sono definitivamente inseriti nella nuo-
va ed eterna alleanza, nell’alleanza sponsale di Cristo con la Chiesa» (GIOVANNI PAOLO II,
esortazione apostolica Familiaris consortio, 20 settembre 1981, n. 13); «La Chiesa cattolica ha
sempre riconosciuto i matrimoni tra i non battezzati, che diventano sacramento cristiano
mediante il Battesimo dei coniugi, e non ha dubbi sulla validità del matrimonio di un cat-
tolico con una persona non battezzata se si celebra con la dovuta dispensa” (ID., Allocuzione
ai Giudici della Romana Rota, 30 gennaio 2003, n. 8, in AAS 95 [2003] 397).
10
«Questa è la ratio che legittima la concessione della dispensa, quando l’Ordinario abbia
escluso positivamente la sussistenza di un pericolo prossimo e insormontabile che minacci
nella parte cattolica i valori soprannaturali, quali la fede, la vita di grazia, la fedeltà alle esi-
genze della propria coscienza rettamente formata, e sia certo che la parte musulmana non
Mauro Rivella 327

Il terzo capitolo propone un itinerario di verifica e di preparazione de-

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stinato ai fidanzati che intendono contrarre il matrimonio canonico. Con
realismo, si osserva che non si può presumere che ogni sacerdote dispon-
ga della preparazione adeguata per affrontare correttamente il caso: per-
ciò si raccomanda di individuare a livello vicariale o almeno diocesano un
sacerdote esperto, possibilmente affiancandolo con un gruppo di laici
(n. 16)11. Si noti che nella consapevolezza degli sposi in ordine al loro
concreto matrimonio è individuata un’indispensabile condizione previa
alla concessione della dispensa (n. 20). Qualora tuttavia l’ordinario riten-
ga di non poterla concedere, si suggerisce di proporre agli sposi di riman-
dare le nozze (n. 21), tollerando anche, in caso di insistenza delle parti,
l’eventuale matrimonio solo civile (n. 22). Particolare attenzione è dedi-
cata all’accompagnamento della coppia dopo il matrimonio (nn. 28-31).
Il quarto capitolo si sofferma sulla celebrazione del matrimonio e
sull’accompagnamento familiare, prospettando anche i casi in cui può essere
concessa la dispensa dalla forma canonica e le relative condizioni (nn.
33-34).
La prima appendice sintetizza la disciplina canonica circa l’impedi-
mento di disparità di culto, ribadendone le ragioni e specificando le condi-
zioni per il suo rilascio, nonché la misura del coinvolgimento della parte
acattolica12. Rifacendosi al dettato del can. 1125, vengono ribaditi gli im-

rifiuti i fini e le proprietà essenziali del matrimonio e non sia legata da un vincolo matrimo-
niale valido» (n. 11).
11
G. CHIARETTI, Il significato religioso…, cit., p. 13, rifacendosi ai dati delle indagini esperite
in Italia nel penultimo lustro del secolo passato, osserva: «Per molte diocesi non esiste alcun
itinerario prestabilito di preparazione al matrimonio (n. 23) e di accompagnamento della
coppia (n. 58); per altrettante c’è un percorso caso per caso sia nella preparazione (n. 66)
che nell’accompagnamento (n. 40), o affidato all’iniziativa del parroco (n. 19 per la prepa-
razione e n. 13 per l’accompagnamento); solo in pochissimi casi l’itinerario prestabilito è
curato dalla diocesi sia per la preparazione (n. 5) che per l’accompagnamento (n. 3). In buo-
na sostanza il problema non è stato ancora preso in considerazione».
12
La dottrina ha più volte ribadito le particolari difficoltà a cui si espone questo tipo di unio-
ni e che giustificano l’apposizione dell’impedimento dirimente: «Nel matrimonio fra catto-
lico e non battezzato, anche sotto il profilo umano e psicologico, ceteris paribus, si rende più
difficile l’integrazione degli sposi e quella intima comunione di vita e di amore che è propria
del matrimonio e che coinvolge le dimensioni più profonde e personali dei coniugi. Nel
matrimonio misto, di per sé, si ha in partenza una dissociazione degli animi in cose della
massima profondità e importanza, quali sono le convinzioni religiose. […] La diversità di
convinzioni religiose comporta di per sé diversità di comportamento in settori di attività co-
mune che possono ostacolare in gran misura la comunione di vita degli sposi: uso del ma-
trimonio, numero ed educazione dei figli, pratica esterna dei doveri religiosi ecc. Queste dif-
ficoltà saranno tanto più accentuate quanto più fervorosamente ciascuno dei due sposi vo-
glia praticare la propria religione. […] Per quanto concerne poi l’educazione della prole, non
solo quella specificatamente cattolica ma anche quella umana, sembra non si possa mettere
in dubbio che ceteris paribus tale educazione nel matrimonio fra cattolico e non battezzato
328 I matrimoni fra cattolici e musulmani in Italia

pegni che devono essere assunti dalla parte cattolica, il contenuto


dell’informazione da dare alla parte acattolica e il dovere di entrambi di
accettare e fare propri i fini e le proprietà essenziali dell’istituto matrimo-
niale. Come è noto, la parte cattolica deve dichiarare di essere pronta a
evitare il pericolo di abbandonare la propria fede e promettere di fare
quanto è in suo potere perché tutti i figli siano battezzati ed educati nella
fede cattolica. Per raccogliere questi impegni si può utilizzare la scheda n.
2 contenuta nell’appendice IV. Per quanto concerne la parte musulmana,
essa deve essere informata degli impegni a cui la parte cattolica è tenuta.
«Nel rispetto della libertà di coscienza, non le viene richiesta alcuna sot-
toscrizione che la vincoli a impegni equivalenti, pur restando auspicabile
che dia garanzie adeguate di tenere veramente un atteggiamento rispetto-
so, tale da permettere alla parte cattolica di adempiere gli impegni assun-
ti» (n. 41b). Le Indicazioni insistono sul fatto che i fini e le proprietà essen-
ziali del matrimonio, costituendo elementi inscindibilmente connessi
con l’istituto matrimoniale come configurato nel piano della creazione,
non possono essere positivamente esclusi da parte di uno o di entrambi i
contraenti. In particolare, si richiama l’attenzione sul bonum fidei, «che
può essere seriamente minacciato dalla diversa comprensione di questo
valore, connessa con la differente prospettiva, non solo culturale ma an-
che antropologica, propria del mondo islamico, il quale non mette sullo
stesso piano l’uomo e la donna: la fedeltà coniugale è infatti intesa come
un diritto dell’uomo verso la donna, in senso stretto esigibile solo da lui»
(n. 41c). Il n. 44 sottolinea, infine, che, al di là della buona volontà sog-
gettiva di uno o di entrambi, è oggettivamente assai improbabile che la
parte cattolica possa adempiere gli impegni assunti nell’eventualità in cui
la coppia intenda stabilirsi in un Paese islamico. «In questo caso – cioè in
presenza dell’intenzione manifestata sin dall’inizio di procedere a tale tra-
sferimento – non è conveniente che l’Ordinario conceda la dispensa»
(n. 44), mentre, per tutelare i diritti civili della donna cattolica, potrebbe
tollerarsi la celebrazione del matrimonio in forma civile.
La seconda appendice mette a fuoco il problema della rilevanza ca-
nonica della shahâda, cioè della professione di fede ordinariamente richie-
sta al maschio cattolico che intende contrarre matrimonio con una don-
na musulmana. È noto infatti che l’ordinamento giuridico di molti Paesi

diventi più difficile che nei matrimoni fra due cattolici, anche nell’ipotesi che il coniuge non
battezzato, attenendosi alle cautiones prestate, lasci libertà al coniuge cattolico per battezzare
ed educare i figli nella Chiesa cattolica» (U. NAVARRETE, Disparitas cultus (can. 1086), in
AA.VV., Diritto matrimoniale canonico, I, Città del Vaticano 2002, p. 520). Siffatte considerazio-
ni, applicabili in linea generale a tutti i matrimoni contratti da una parte cattolica e da una
non battezzata, valgono a fortiori se la parte non battezzata appartiene all’islam.
Mauro Rivella 329

islamici, assumendo il precetto coranico in forza del quale una donna

Corso residenziale di diritto canonico applicato. Cause matrimoniali: II anno


musulmana non può sposare un «miscredente», condiziona l’autorizza-
zione al matrimonio all’emissione della professione di fede islamica da
parte del nubente cristiano. È fondamentale che il sacerdote che incontra
i fidanzati faccia capire alla parte cattolica che pronunciando la shahâda
non si limita ad adempiere una mera formalità, bensì compie una vera e
propria apostasia dalla fede cattolica, sanzionata dal can. 1364 con la sco-
munica latae sententiae (n. 46).
La terza appendice offre in modo panoramico un ragguaglio sulla
concezione del matrimonio nell’islam, inteso come contratto bilaterale pri-
vato (n. 48), nel contesto di una concezione familiare di stampo patriarca-
le e maschilista (n. 49). È generalmente permesso il ripudio unilaterale da
parte del marito (n. 52), lo scioglimento e il divorzio giudiziario (n. 53).
Alcuni Paesi ammettono anche la poligamia, che in base al Corano è con-
sentita fino a quattro mogli e a tutte le concubine desiderate (n. 54).
La quarta appendice fornisce la modulistica da utilizzare nell’istrut-
toria prematrimoniale, riproponendo alcuni formulari già previsti dal De-
creto generale sul matrimonio canonico, integrati con una dichiarazione che
può essere sottoscritta dalla parte musulmana nel giorno delle nozze.

La dispensa dall’impedimento
Abbiamo già esposto le ragioni che giustificano l’esistenza di un im-
pedimento dirimente13 nel caso del matrimonio fra un fedele cattolico e
una parte non battezzata. Tali considerazioni si applicano in toto anche nel
caso in cui la parte non battezzata sia musulmana14. Tuttavia, se in gene-
rale l’apposizione dell’impedimento e la possibilità di ottenerne la dispen-
sa intendono contemperare il diritto naturale al matrimonio con la salva-
guardia delle prerogative della fede, nel caso di specie l’esperienza induce
a un maggiore rigore nella concessione della dispensa, a partire dalla con-
siderazione dell’alto tasso di fallimenti di siffatti matrimoni e dell’oggettiva
difficoltà a instaurare una convivenza coniugale serena, soprattutto se la
coppia preveda di stabilirsi in un Paese islamico. Tale approccio trova con-

13
Il can. 1073 ne fornisce la seguente definizione: «L’impedimento dirimente rende la per-
sona inabile a contrarre validamente il matrimonio». A ben vedere, tale definizione punta
essenzialmente a individuarne gli effetti giuridici, sottintendendone il fondamento e la na-
tura. Con G.P. MONTINI, Gli impedimenti in genere (can. 1073-1076), in AA.VV., Diritto matri-
moniale canonico, I, cit., p. 353, possiamo perciò definire l’impedimento dirimente come «una
legge divino-positiva, naturale o ecclesiastica che dichiara o rende inabile una persona a
contrarre validamente matrimonio».
14
Cf G. BONI, Disciplina canonica universale circa il matrimonio tra cattolici e islamici, in AA.VV.,
Il matrimonio fra cattolici ed islamici, cit., pp. 21-117.
330 I matrimoni fra cattolici e musulmani in Italia

ferma nella contrarietà degli ordinari di quei Paesi a concedere la dispensa,


ritenendo preferibile che la parte cattolica non sia vincolata dal matrimo-
nio canonico, e così, qualora fallisse l’unione con la parte musulmana,
possa eventualmente contrarre nuove nozze. In base a tali considerazioni,
si spiega la sfiducia delle Indicazioni quanto al buon esito di tali matrimoni
e l’invito alla prudenza nel concedere la dispensa. È questo, a ben vedere,
il punto cruciale dell’intera questione. Il documento, infatti, non mira a
fissare un divieto assoluto, ledendo il diritto fondamentale che ogni per-
sona (e quindi anche ogni cattolico) ha nei confronti del matrimonio e
quasi configurando un impedimento non dispensabile (mentre, come è
noto, a livello teorico non è consentito dispensare dalle sole norme che di-
chiarano principi di diritto divino, naturale o rivelato15). Esso intende, in-
vece, opporsi a un’equivoca benevolenza pastorale o a un irenismo inge-
nuo che, ignorando le oggettive difficoltà che la parte cattolica potrebbe
patire in siffatto matrimonio, di fatto la carica di un giogo che assai proba-
bilmente non sarà in grado di portare. Né potrebbe valere, a giustificazio-
ne di un atteggiamento permissivo e quindi generoso nel concedere la di-
spensa, il rilievo che, secondo la dottrina cattolica, detti matrimoni, anche
se celebrati con rito religioso, non sono assolutamente indissolubili, am-
mettendosi lo scioglimento del vincolo in favorem fidei nel caso in cui la
parte cattolica intenda contrarre nuove nozze con un battezzato16. La pos-
sibilità di ricorrere a tale eccezionale intervento di grazia da parte del Ro-
mano Pontefice non può infatti abbassare la soglia di attenzione dell’ordi-
nario, né ingenerare l’idea che un matrimonio canonico fra cattolico e
musulmano non sia un vero matrimonio, con tutte le implicazioni e le
conseguenze che da ciò derivano.

15
Il can. 85 definisce la dispensa come «l’esonero di una legge puramente ecclesiastica in un
caso particolare». Il can. 86 precisa che «non sono suscettibili di dispensa le leggi in quanto
definiscono quelle cose, che sono essenzialmente costitutive degli istituti o degli atti giuri-
dici». In forza del can. 87 § 1 il vescovo diocesano non può dispensare dalle leggi proces-
suali o penali né da quelle la cui dispensa è riservata in modo speciale alla Sede Apostolica
o ad un’altra autorità.
16
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Normae de conficiendo processu pro solutione
vinculi matrimonialis in favorem fidei, 30 aprile 2001, art. 7, § 1: «Petitio pro solutione vinculi
matrimonii non-sacramentalis initi cum dispensatione ab impedimento disparitatis cultus
Summo Pontifici praesentari potest si pars catholica novas nuptias cum persona baptizata
inire intendat». J. KOWAL, Nuove “Norme per lo scioglimento del matrimonio in favorem fidei”, in
«Periodica de re canonica» 91 (2002) 495-496, osserva che la fattispecie dello scioglimento
del matrimonio contratto con la dispensa dall’impedimento di disparità di culto era già pre-
vista nella precedente istruzione pubblicata dalla Congregazione per la dottrina della fede
nel 1973, anche se ora risulta alquanto semplificata e notevolmente riordinata. Alla luce di
queste considerazioni deve intendersi l’espressione utilizzata al n. 21 delle indicazioni, lad-
dove si parla di «situazione matrimoniale irreversibile».
Mauro Rivella 331

Non bisogna comunque dimenticare che, ai sensi del can. 90 § 1, la

Corso residenziale di diritto canonico applicato. Cause matrimoniali: II anno


concessione della dispensa da parte dell’ordinario è invalida «senza giu-
sta e ragionevole causa, tenuto conto delle circostanze del caso e della
gravità della legge da cui si dispensa». Ciò aiuta a intendere meglio la na-
tura dell’istituto della dispensa, che rappresenta una peculiarità del siste-
ma canonico rispetto ai sistemi giuridici degli Stati ed è di grande utilità
per comprendere lo spirito che lo informa. Il fatto che il vescovo diocesa-
no – e nel caso degli impedimenti dirimenti anche ogni altro ordinario
del luogo – possa esonerare il singolo fedele dall’osservanza di una legge
puramente ecclesiastica (o, secondo l’espressione tradizionale, discipli-
nare) ogniqualvolta giudichi che ciò giovi al suo bene spirituale, in pre-
senza di una causa giusta e ragionevole, dimostra che la pastoralità del di-
ritto ecclesiale non confligge con la giuridicità, bensì, lungi da ogni cedi-
mento all’approssimazione, lo preserva dalla sclerosi che deriverebbe dal
rigido assoggettamento alla norma positiva, che trasformerebbe lo ius in
iniuria17. Ciò che conta, infatti, è il vero bene del fedele in situazione. Ciò
giustifica, in generale, la relaxatio legis (nel caso, l’impedimento di dispa-
rità di culto), se concretamente permette al fedele di raggiungere ciò che
per lui in quel momento è davvero utile, cioè, nel caso, un matrimonio
corredato dei fini e dei beni che a esso competono a livello naturale, sen-
za perdere il diritto di accedere alla grazia dell’Eucaristia e della penitenza
(cioè che avverrebbe nel caso di convivenza more uxorio o di matrimonio
in forma civile), a patto che siano salvaguardati i valori irrinunciabili per il
credente, cioè il patrimonio di fede e l’impegno a fare tutto quanto è pos-
sibile per battezzare ed educare cristianamente tutta la prole.
D’altra parte, l’assunzione di tali impegni sarebbe velleitaria qualora
si possa prudentemente ritenere che manchino le condizioni di possibilità
per il loro esercizio. Entra qui in gioco il discernimento dell’ordinario del
luogo, che ha, rispetto alle parti direttamente coinvolte, non solo il van-
taggio prospettico della terzietà, potendo formulare un giudizio non con-
dizionato da componenti emotive e dall’influsso del sentimento, ma può
contare anche sulla competenza connessa con il ruolo di autorità e fare
tesoro dell’esperienza maturata nell’esame di casi analoghi. È del resto
evidente che la discrezionalità insita in ogni giudizio singolare di oppor-

17
«Volendo ora cercare i criteri che consentono di individuare la causa sufficiente di una di-
spensa, bisogna dire che essa deve essere tale da rendere razionale l’eccezione della legge.
[…]. L’atto dispensatorio sarà sempre un atto prudenziale, giacché la valutazione della causa
dipende da una decisione prudenziale. Niente di più lontano dall’atto con cui si rilascia una
dispensa che un atto meccanico di applicazione di una legge» (E. BAURA, La dispensa canonica
dalla legge, Milano 1997, pp. 272-273).
332 I matrimoni fra cattolici e musulmani in Italia

tunità non può tramutarsi in arbitrio, piegandosi al vento della parzialità


o del capriccio18.
A ben vedere, quest’impostazione pare essere la più rispettosa del
percorso esistenziale del fedele, chiamato a decidere di un aspetto essen-
ziale della sua vita, gravido di conseguenze non solo sul piano mondano,
ma anche su quello delle scelte significative per la salvezza eterna. Nel
contempo, nel solco dei doveri generati dall’appartenenza ecclesiale, il
credente accetta di sottomettersi al prudente giudizio dell’autorità, che
così esercita la sua funzione di servizio della comunità e del singolo. In
questo modo, inoltre, viene riconosciuto il carattere pubblico del matri-
monio, contrastando la tendenza – purtroppo oggi assai diffusa – a inten-
derlo in maniera privatistica, riducendolo a una mera esperienza affetti-
vo-sentimentale, o al più a un negozio destinato a esaurire i suoi effetti
all’interno della relazione fra i due contraenti.
Nessuna ingerenza, quindi, nella sfera delle decisioni intime della
persona, nessun rigido automatismo nell’applicazione della legge, ma ve-
ra pastoralità, preoccupata di tutelare i diritti dei fedeli e di sostenerne il
cammino nelle scelte di fondamentale rilevanza esistenziale.

L’accompagnamento pastorale
Questa prospettiva di fondo rende anche ragione dell’attenzione che
le Indicazioni riservano alla dimensione pastorale: in particolare, il colloquio
con il sacerdote in vista della concessione della dispensa non si esaurisce in
una mera formalità, ma è finalizzato ad aiutare la parte cattolica e, nella mi-
sura del possibile, entrambi i contraenti ad «accrescere la consapevolezza
circa le loro intenzioni» (n. 19). A questo scopo, viene suggerita una serie
di domande concernenti la religione, la cultura, la famiglia di appartenenza,
la famiglia futura, i figli, le garanzie giuridiche e la forma per la celebrazione
del matrimonio. Viene anche posta in risalto la convenienza di un contatto
con la famiglia della parte cristiana, che non di rado vive in maniera trau-
matica la prospettiva del matrimonio con un musulmano, con il rischio di
isolare il proprio familiare, inducendolo a passi affrettati (n. 17). È auspica-
to anche un contatto con la famiglia della parte musulmana, anche se si os-
serva con realismo che difficilmente ciò sarà possibile.
Particolare attenzione è riservata all’accompagnamento della coppia
dopo il matrimonio, sia nel caso in cui essa si stabilisca in Italia o in un
altro Paese occidentale, sia quando decida il trasferimento in un Paese

18
«Bisogna avvertire che non sarebbe giusto concedere una dispensa, di per sé permessa ma
non dovuta, ad una persona e negarla ad un’altra che si trova nelle stesse condizioni» (ibid.,
p. 275).
Mauro Rivella 333

islamico. Soprattutto in questa evenienza «la parte cattolica – nella stra-

Corso residenziale di diritto canonico applicato. Cause matrimoniali: II anno


grande maggioranza dei casi, la donna – dovrà probabilmente affrontare
notevoli difficoltà (dinamiche di vita di coppia, educazione dei figli e au-
torità su di loro, rapporto con la famiglia del marito, soggezione al diritto
di ripudio unilaterale da parte del marito, accettazione sociale della poli-
gamia, ecc.)» (n. 29). Le Indicazioni, invitando a non sottovalutare il disa-
gio provocato dallo sforzo d’integrazione nel nuovo ambiente sociale,
suggeriscono di indirizzare il fedele alle comunità cattoliche locali, presso
le quali potrà trovare sostegno e appoggio nel vivere la propria esperienza
di fede e nell’educare i figli.
Quanto alla forma della celebrazione, le Indicazioni rimandano al
cap. III del nuovo Rito del matrimonio (4 ottobre 2002), previsto espressa-
mente per le nozze tra una parte cattolica e una parte catecumena o non
cristiana (n. 32). Nel percorso di elaborazione del documento è stata ac-
cantonata l’ipotesi di predisporre un apposito rito, che avrebbe richiesto
l’approvazione da parte della Congregazione per il culto divino e la disci-
plina dei sacramenti, ai sensi del can. 838 §§ 2-3. Del resto il rito ufficiale
consente ampi margini di adattamento alle concrete situazioni.
Viene poi ricordata la possibilità della dispensa dalla forma canonica,
che, in forza del can. 1129, può essere concessa nel caso di matrimoni ai
quali si oppone l’impedimento di disparità di culto. Si dovrà peraltro tene-
re conto del fatto che «condizione per la validità di un matrimonio cele-
brato con dispensa dalla forma canonica è che sia comunque osservata
una qualche forma pubblica di celebrazione (cf can. 1127 § 2)» (n. 34), e
che in Italia la celebrazione deve avvenire davanti a un legittimo ministro
di culto, stante la necessità di dare risalto al carattere religioso del matri-
monio19. Tale dato dovrà comporsi con la constatazione che la concezione
islamica intende il matrimonio come un contratto bilaterale privato, «per
la cui validità non è necessaria una celebrazione pubblica» (n. 48).

Se riusciranno ad accrescere la consapevolezza dei nubendi circa la


serietà del passo che stanno per compiere, in ordine non solo agli impe-
gni derivanti dal matrimonio ma anche all’appartenenza confessionale, e
se favoriranno una maggiore omogeneità tra i parametri applicati dagli
ordinari diocesani e dalle curie per l’esame e la concessione della relativa
dispensa, le Indicazioni avranno sostanzialmente conseguito lo scopo per
cui sono state predisposte e pubblicate.

MAURO RIVELLA
19
Cf CEI, Decreto generale sul matrimonio canonico, art. 50.

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