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SCRITTORI D'ITALIA

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LE PIACEVOLI NOTTI
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PIACEVOLI NOTTI

DI

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GI US. LATERZA & FIGLI
TfPO GRAFl-EDITORl · LlBRAl
PROPRIETÀ LETTERARIA

GENNAIO r.tC lXXVII - 70 3 2


IBR PRIM
RFEO ALL C RT
LLE PIACEVOLI ED A. IORO E DO E, ALUTE.

Meco pensando, amorevoli donne quanti e quali ian o


tati quelli cele ti e allevati spiriti, i quali cosi ne gli antichi
come ne' moderni tempi hanno de critte varie favole, delle
quali voi, leggendole ne prendete non picciolo diletto, io com-
prendo, e voi parimente lo potete comprendere, che da altra
cau a non sono mossi a scrivere, se non a consolazione vostra
e per compiacere a voi. Es endo adunque cosi si come io
giu dico, anzi certissimo tengo, voi come piacevoli ed amorose
non arre te a sdegno se io, vo tro buon servo, a nome v o tro
darò in luce le favole e gli enimmi dell' ingenioso mes er
Gioanfrancesco Straparola da Caravaggio, non men elegante
che dottamente descritti. E quantunque la loro materia non
porgesse a vostre orecchie quel piacere e diletto che nelle
altre solete trovare , non però per questo le sprezzarete ponen-
dole da canto e dandole totalmente ripulsa, ma con allegro viso
l'a bracciarete, si come le altre solete abbracciare. Perciò che
se voi leggendole con iderarete la diversita de' casi e le astuzie
che in quelle si contengono, almeno vi aranno di ammaestra-
mento non picciolo. Appresso di ciò voi non risguardarete
il basso e rimesso stile dello autore, perciò che egli le s ri e,
PRE AZIO E

non come egli voi e , ma come udi da quelle donne che le


raccontarono , nulla ion endole ttra ndol . E e m
co a l una egli fu tato manchevole , non accu arete lu i,
be ha fatto ciò che puote e ep , ma me he contra il ole r
uo le iedi in luce . c ettate adunque con lieto vi o il p ic-
iolo don del o tr , il qual e intenderà e en i,
ome egli spera , grato , f rzeni p r innanzi d narn
o e che i arann di maggior piacer e contento . tate feli ci,
m mori di me . Da Vine ia alli ij di nna1 1. . L.
OMI L• r IL LI BR DELL F LE E E l l .U
DI 1E. ER · IO A FRA reE T PAROL D R
I TT ITOJ.A T LE pl CE OLl TTI.

PRO I

In Melan , anti a principal itta di L mb rdia , opio a


le iadr onn , ta di up rbi palagi e bbondevol
di tutt que ll e c ad una !orio a citta i con ngono ,
a ita a tta vian f rza elett vo di L di , al
quale per d bito di er dita , mort forza duca di
~elano , l im eri del tat ragi ne !mente appartener . Ma
r lo ra glim nt d mal a i t mpi , per gli a rbi di p r
a n ~uin lenti battagli e 1 e r l c ntinov mutament d '
a ti . indi i parti, ed a L di co n la figliuola Lucr zia moglie
di iovan ran . o nza a. c ugin ederi o marche
li Mant va na c arne nte n ' and i i p r alcun t mpo dimo -
rando. li h e a ndo 1 re entito li . uoi , non enz su gra e
r. e uit r n . Il mi erello , v dendo la per ecuzion
parenti uoi d il mal a nim ontra lui e la figliuola h
inanzi ra rima a vedova, p res uelle poche crioie e denari
che egli i tro a ere ed a inegia on la figliuola
n ' ndò : do tr ato il Ferì r Beltramo , uom di alto legnag-
i di natura benigno , amor ole e entile , fu da lui in -
i me c n la figliu la nella propia casa con trette accoglienz
~ OTTE PRD!A

norevolmente ric \·uto. E perché la troppa e lunga dim ranza


nell'altrui a e il piu delle olte enera rincre cimento, egli
con matur di cor o in i partire i voi e, ed altro\'e trovare
pr pio allo giamento. Laonde a ce e un giorno con la fìo-liuola
una na icella, ed a Morano e n'andò. Ed adocchiatovi un
palagi di maravi lio a bellezza he allora ,·uot si trO\'a a,
in quello entrò; e on iderato il dilettevole sito la spaziosa
·orte, la u erba l ggia, l'ameno giardino p i no di ridenti
fiori e opioso di vari frutti ed abbonde ole di verdeggiantì
rbette, quello sommamente c mendò. d a o opra le
marmore scale, vidde la magnifica a la, le morbid camere
ed un erone sopra l'acqua che tutto il luogo ignoreggi va.
La figliuola , del vago e pi e ole ito invaghita, on dolci
d umane par l tanto il 1 adre pr c:rò, che egli a mpiaci -
mento di lei il palagio pre e a pi ione . i che ella ne enti
randi ima allegrezza, perci che mattino e ·era e ne andava
sopra il erone mirand li quammo i pe ci che n Ile hiare
marittime acqu in frotta a piu hier nuotavano,
lo li guizzare or quinci r quindi omrno iletto n'appren eva.
E p rché ella era abbandon ta da qu Ile lamigel le che prima
la orteggiavano, ne cel e dieci altre non men graziose che
elle, le cui virtu e leggiadri g ti arebbe lungo raccontare.
e' quai la prim fu Lodo ica i cui begli chi ri plendenti
·ome lucide telle, a tutti che la guardavano ammirazion non
pie iola porgevan . L'altra fu icenza, i ' stumi lodevoli,
bell di forma e di manier a c rta , il cui ag e delicato
i o da a grandis imo refrigerio a hiunque la mira a. La
t rz fu Lionora, la quale a eno-a che per la ua natura!
bellezza alquanto altera pares era però tanto grazio a e
c rt e quanto mai alcun'altra donna tra ar i pote e. La
quarta fu Alteria dalle bionde trecce la quale con fede e
don ne capi ta di continov alli er i i della ignora dimorava.
La quinta fu Lauret va a di a petto ma digno etta alquanto,
il cui aro ed amaro o guardo incatena\ a iascuno eh fi
la mirava . La esta fu ritrea , la quale quantunque picciola
fus e , non però :i tene a alle a ltr di bellezza e Ji grazia
7

inferior per ciò he in lei erano duo occhi cintillant1 e lucidi


iu che 'l ole, la bocca 1 iccola e 'l petto poco rilevato, né
c sa alcuna in lei i tro ava che di somma Iaude degna non
fus e. La ettima fu ateruzza, per cognome Brunetta chiamata;
la quale tutta leggiadra, tutta amoro a, con le l i ed affe
tuose sue parole non pur gli uomini nelle amoro e panie in e
scava, ma il ommo io e a rebbe potuto far giu di cendere
da l'alto cielo. L'ottava fu Arianna, giovane di eta, di faccia
enerabile, di a petto grave e di eloquenza ornata; le cui di·
v ine irtu accompagnate da infinite lodi, come telle in cielo
parte rilucono. La nona fu Isabella, molto ingenio a, la uale
on le sue ar ute e i e proposte tutti i circostanti ammirativi
rende a. L 'ultima fu Fiordiana, prudente e d'alti pen ieri ador-
nata le cui egr gi e irtu e opere avanza ano tutte uelle
ch'in ogn altr donna i de sero iammai. Queste adunque
dieci vaghe damigelle tutte insieme, e cias heduna da per sé,
ervivano alla aenerosa Lucrezia ua signora. La quale in ieme
·on esso loro ele e due altre matrone di enerando a petto,
di sangue nobile, di età matura e pregiate molto, acciò che
con uoi on igli l'una alla d tra , l'altra alla inistra
empre le fu . L'una delle quai ra la signora Chiara , mogli
di Girolamo Guidiccione , gentiluomo ferrarese; l'altra la si-
ora Veronica, fu gia consorte di anto rbat, anti o nobil
di Crema. A questa dolce ed one ta compagnia con orsero
molti nobili dotti imi uomini, tra' quai il Ca al bologne
vesco o e del re d'Inghilterra ambas iatore, il dotto Pietro
Bembo, ca aliere del gran mae tro ùi Rodi, e V ngeli ta d '
Cittadini melanese, uomo di gran maneggio, il primo luoco
appres o la signora t ne ano. Dop costoro vi erano Bernardo
Cappello, fra gli altri aran ersifi atore, l'amoroso Antonio
Bembo, il dome tico Benedetto Tri igiano, il faceto Antonio
Molino dett Bur hiell , il erimonioso erier Beltramo e
molti altri gentiluomini , i ' ui nomi ad uno ad uno raccontar
arebbe noi so.
Questi adunque tutti, OY ro la maggior parte di l ro, uast
gni era a ca a della ignora Lucrezia si riducevano; ed ivi
TI PRI1:

ora c n m r e anze ra n pia e v l i ragionamenti ed


ora con . uoni e canti la intertene ano ; e co i quando in un
modo e uan o in un altr il olubile e fugace tempo pa a-
v no. Di he la e nti! ignora con l a ie da migelle somrn
diletto n 'appr ndeva . Furono ancora tra l ro ovente proposti
al uni pr blemi, d ' quai la ignora ra la difinitric . E per
ciò h ratn i 'ap pro ima n i o-iorni u ltimi di carne al e
dedicati ll piacev lezze, la ianora a tutti c mandò eh otto
pena della ua a conci t ri la egu nt era ritor-
n iò he divi ar p ero il modo e l 'o rdin ch e
a ve ero tra loro t ner .
enut le t ne br della eguente notte , tutti econd i l
c mandam nt a lor fatto 'Ì ennero; me si i tutti a . edere
con o 1 radi l r , la ignora c si a ir incomin i : - n-
tiluomini mi e i n rati molt , i piac oli donn noi . iam
q ui raunati e nd l'u ato modo p r mettere regola a' dolci
dilett v li i ntertenimenti no tri , acciò h e questo arnesa l
di ui gimai p hi giorni ci r tano , pos iamo prender
a lcun pia evol tra tullo. Cias uno adunque di \'Oi propon rà
q uelJ eh più g li a grada ciò h e alla maggior parte parerà
tì d liberato. -Le donne parim nte g li uomini ad una oc
n po ro e h era com ene\ ole he e lla determinas e il tutto.
L ign ra, \i d ndo e erl tal arie tmp t , ri olta i ver
la o-rata c mpa nia , di e : - a poi che co i vi pia , eh
di c nt ntam nt tr ditermini l rdine che i ha a t nere ,
in p r me vo rr i ra infin a tanto he ureni il
arn le , da nz eh mqu damigelle un canzo -
n tta . u b l g rad anta sero; e ia eh duna d ' cinque
damigell a cui \'erni la orte , debba una qual he fa rola ra -
ntar , ponen ole nel fine uno enimma d e ere tra tutti
n i ottili 1mam nt ri otto . Ed i p diti tai ragionam nti ta-
sc uno di 01 n and rà alle l r as a po ar . Ma · In
que t il mio (ché di po ta io ono il
v ler vo tr ia cuno di 01 dirà qu 11 che piu gli
pr ponimento fu da tutti com ndato molto .
ort re un ,.a ett d r , e postivi dentro di
P E.ll 9

10 ue nne n m1 il prim he u sci del \'a o. fu quello


d Ila yag-a Laur tta; la qu le per vero-ogna tutta arro ita di -
Ye nn come mattu ina ro a. Indi, eguendo l ' incominciato
rdine, il ec nd h u ci fuori fu di lteria il nome, il terzo
di ateruzza il quart i Eritrea, il quint di Arianna. Ap-
pre qu c mand h li tromenti ,·eni ero ; e fatta i
r ar una ghirlan ett di ,. rd alloro in di maggio-
ranza 10 apo di Lauretta la puo e che n lla
gu nt . era l dol f voleggi r des principi . opo voi
n t n io Bemb c n gli altri in ieme face una danza .
.. gli. 1 r a' mandamenti dell ignora, pre e per mano
i rdiana, di cui era alquanto invao-hito; e gl i altri parimenti
f cer il migliant . Fi nila la danza, con tardi pa i e c n
o-Ji amaro i ragionam nti i o-iovani n le damigelle i ridu -
_e ro in una ca m ra , dove eran appare h iati confetti e vi n i
prezi i. E l donne e g li uomini, rallegrati i alquanto, al
m tteggiar dieder ; finito il dilette ole motteggiare pre-
. r licenza cl alla genero a ignora, e tutti con . ua buona
grazia i partir no.
nu ta la eguent era tutti raunati a li ' o ne ti imo c 1-
le~)o, fatti al uni balli nella u ata maniera, la ignora f c·
e n n alla \aga Lauretta h de e al cantare e al favoleggiar
principio. Ed ella nza piu a p ett r eh detto le fus , l -
\' ta i in pie i fatta la debi riverenza alla io-nora e l ai
circo ta nti , a ce un luogo alquant rilevato, dove ra la
b Ila edia di dr PI o di eta tutta guarnita; e fatte i v nir
le quattr comp gn el tte la · guente canzonetta con ang -
Jiche voci in Jaude della ignora tutte inque in tal mani ra
.cant r n :

li tti, d nna o-enti!, m de ti e grati


c n l'ace nz vagh e p llegrine
alir fann tra l'al me divine.
tr tato real ch'ogni altro ava nza
per cui divengo dole mente men
l'ornamento d' gni laude pieno
pa cendomi di o tra alma embianza,
IO OTT PRIM

ten n miei pirti in i tanto avezzati ,


che e o li d'altrui formar parola,
dir mi c nvien di oi nel mondo ola.

a poi he le cinque damigelle tacend dimo trarono la sua


a nzo ne esser venuta al lorioso fine, sonorono gli stromenti ;
• la ezzosa Lauret , a cui il primo luogo di que ta notte
per orte tocca a , enza aspettare altro comandamento dalla
ignor a diede principio alla ~ ua fa ola o i dicendo:
alardo, figliuolo di Rainaldo caglia, si parte da Genova, e va a Mon -
ferrat , dove fa contra tre comandamenti del p dre la ciatili per
testam n to , e condannato a mort vien liherato ed alla propia patna
ritorna.

tutt le o e 'he l' u mo fa ov r intende di fare , o


b uone o rie che lle 1 iano dovrebb empre il termine
maturament con iderare. Laond , dov nd noi dar omincia-
mento a' nostri dolci e pi ce oli ragionamenti a sai piu car
mi sarebbe tat , se altra d nna che io al favo leggiare aves e
dato rinc1p10; per i che a tal impre a n n molt fficiente
mi tr o, erché di quella facondia eh in tai r gi namenti
·i richiede , al tutto pri a mi reggio, er non mi e ere er-
itata nell 'arte dell ' ornato polito dire, i com hanno fatto
u te n o tre o-razio compagne. ifa poi hé co i piac a 1,
ed emmi d t per orte h' io a ragionare sia l prima, ac i'
he 'l mio tacere a ue ta no tra am revo)e compagnia n n
agi ni di ordine alcuno , on quella maniera di dire he mi
a dal di in favor conce a, a l nostro favole iare dar '
debole cominci mento, la ciando l ampio e sp zio o amp
a lle ompagne, he dopo (l) me err nno di poter meglio e
on piu leggiadro tile icuramente r contare le loro fa ol ,
di ci che da me ora udirete.
eato, nzi beati im è tenuto quel fi liuolo he on ogni
ebita ri erenza è ubidiente al padre, perci che egli adempi e
il comandamento datoli dallo eterno Iddio, e lun amente vive
sopr la t rra ed o ni co a che gli fa d per li riu i ce (2 )
in bene. Ma pe 'l contrario quel! che li è di ubidi ente, infeli e
anzi infeli i sim è riputato , perci' che a crudele e malvagi
fine riu ci cono le co e ue i come er la pre ente fa ola, che
r ccontar i intendo , a e lmente potrete c mprendere.
12 TTE PRJ IA

ic n dun u , grazi e d nne , che in eno\'a, citta


ntiqui. im for e o i ilette ol , piu, co m ne in
alcun altra, fu , n n è r n tempo , un o- ntiluomo. Rainal o
aglia per chiamato , uomo nel ero n n meno abon-
d e ol Ila fortuna eh di qu elli dell 'animo . Egli.
end ri c ott , " a un figliuolo n minato alardo,
il qual amando il padre ltr gni o a, lo ammae tra a e i
a tumava , com d fare un buono e b nio-no padre . né
l i la ciava man are cosa h li fu e eli utile , nore e g lori a .
enn che Rai naldo , e ndo gia pervenut alla ecchiezza.
<rra\' m nte inf rmò. Y dendo e r iunt il termine della
vita ua ch iam · un notai e fe e il u te tam nto, nel qual e
in titui alardo uo uni er al ered ; d pr o-oll , ome buon
padre , he egli ol e ten r a memoria tre pr etti né mai
o tar i da qu lli . D quai il rimo fu che per l'amo r g rand e
h o-Ji a ll a moglie porta e, secret alcuno mai non le pal -
. L ' altrt che per maniera alcuna figliuolo da é no n
g n rat non a ll e a e c me uo fi liuolo ed r d de ' uoi
b ni. 11 t rz , che non 1 ttopone e a nor che per la
ua te ta o la l uo tato regg ~ ue t detto datai i la
h n dizion , ri ol e la faccia al pariete, e p r ~ pazl di un
quart d ' ra spirò .
M rl a unqu Raina ld e nm a alarci red um er-
a l , v d nd h e egli e ra <ri O\ a ne , ricc di a l t legnabgio .
in lu o· di ensare ali anima del ec hi l alla mol -
titudin d ' man gi eh m a nu es or d ' pat rni
beni g li o orr vano , itermin di pr nd r mogli , tro a ria
ta l e di i fatt 1 dre he e li di l i ne riman e conte nto .
é pa l'an no della m rte d l adr che alarci
t i marit ,
tol per m glie Teodora, figliu la di me er d scalea Doria ,
o- ntilu m renove e de rimi della itta. E p rei che ella
ra b Ila ed ac o tumata , ancor he eleo-no etta fu e, era
ta nto amata da alardo uo marito , h gli non pur la notte,
ma an he il iorno non i co tava da lei. E ndo amendu
piu anni d imorati insieme ne pot ndo per aventura av r
figliu li 1 arve a alardo. ontr agli ultimi paterni aricord i,
FA LA PRIMA I .,

on en d e ll m lie adottarn uno ed all e ari come


uo legittim e natur l figliuolo ed l fin e la iarlo erede
l tutto. 1 om e n Il nimo uo a a pr po to . co i
enza indugio e au1 , per ad tti\ o fi liu l un fan-
iull di un va , Po tumio chi mat , il quale a
l r fu iu h n n li onvem va , nodri t
d alle ato .
ert tempo , parve a alard d i partir i di ~ no ·a
ed andar a a itar altro e ; n n gia he la c itta n n fu ·e
lla n r " le ma mo o da un erto non o che p
he l iu elle v lte tr" e coloro che enza o verno · a lcun
up n i ono . Pr adunque grandi ima quantita di danar i
di o-io i e e me e i n etto tutte l a valcatur e c rna 1 ,
con T odora, ua di letta moglie e c n Po tumio , uo adottiv
figi i uolo , da Geno a i parti, d a iato i er o Piamonte , a
11onferrato e n'and . Do e a ettato i ada iament , comin i
rend re amicizia con que to con quello cittadin andand
con e so loro alla cac ia e prendendo molti altri pi ceri d e'
qual li molto i di letta a. E tanta era la magnificenza ua
er o eia cuno, che non pur mato ma anch norat era
mmamente da tutti.
ia era per enuta all i orecchi del marche ·e la gr n li e-
ralita di alar e ed nd l gio ane, ricco nobile , a io
d atto ad gnr impre li pr tanto amore h non ap ·a
star un iorno be egli non lo a e e con lui. E tanto
ra lar lo col marchese in ami ta ongiun to , che a chiunque
vole a dal ignor grazia alcuna, era bi gno che egli anda e
p r le ue mani, altrimenti la grazia non on egui a. Laond .
edend i alard a l marche e in tanta a ltezza p to e
ingegnava on ogni tudio ed arte di compiacerli di tutte quelle
ose he giudica a p tes ero e s rli grate. 11 march e , che
arim nt er i vane , m lto di andare a sparviere si diletta a ,
ed a e a nella ua c rte molti uccelli, brac hi ed altri nimali
i come ad un illu tr si nore i c n· iene; né mai 1 ur una
ol olta arebbe andato "' Jla ca eia ad u ellare , a lar lo
eco ta t o n n fu s .
venne che, ritrovandosi alardo un gwrno nella ua ca-
mer olo, cominci tra . é te so pensare al grande onore
che li faceva il marchese; do o si riduceYa a mente le maniere
accorte , i g r azio i gesti, gli one ti costum i di Postumio, suo
fig liuolo, e come egli gli era ubidiente. E cosi stando in
que ti pensieri , diceva : - Deh quanto il padre mio e ingan-
nava. certo io dubito che g li teneva del cemo, come il piu
degli in"ensati ecchi fanno. Io non so qual frene ia, anzi
. cio chezza lo induces e a comandarmi e pres amente di non
ver allevare figliu lo da me non generato , né sottopormi
alla testa d'un ignore che olo si noreggia se. Io ora vedo
g li suoi precetti e ser molto dalla erita lontani; perci che
Postumi è mio figliuolo adottivo né mai lo g n rai , ed egli
· pur buono, avi o, gentil , a c tumato ed a me molto ubi -
diente. E ch i mi otrebbe piu dolcemente carezzare ed ono-
rare di ci che fa il marchese? ~gli è pur te ta ola, né ha
. uperiore; nondimeno, tanto è l' a more che egli mi porta, e
tanto mi onora , che ba terebbe io li fu si uperiore e che egli
teme e me. Di che tanto mi maravigiio che io non so che
mi dire . ono certamente al uni v ech i insensati, i quali non
ri cordandosi di quello che hann fatto nella loro gio entu, vo-
gliono dar leg i ed ordini ai loro figliuoli , imponendoli carichi
che elli col dito non toccherebbeno. E ciò fanno non per amore
che li p rtino ma mos i da una implicita, acciò che lunga-
mente tiano in qualch travaglio. Ora io di due delle gravezze
impo temi da mio padre sono oltre la speranza riu cito a lieto
fine, e presto voglio fare della terza larg isperienza; e tengo
cert che la cara dole mia con orte mi c nferm enl. mol to
piu nel uo cordiale e ben fondato amore. Ed ella, che i
amo piu che la luce degli occhi miei, ampiamente scoprira
uanta e qual sia la simp licita , anzi pazzia, della misera vec-
hiaia, la quale allora molto piu i gode, quando empie il
uo te tamento di biasmevoli condizioni. Cono co ben ora c he
' l padre (3) quando te tava era di memoria privo e come vec
chio insen ato e fuori di é faceva gli atti da fanciullo. In
hi potrei io piu icurament fidarmi che nella propia moglie?
FAV LA PRI 1A

La uaie, a end abbandonato il padre, la madre, i fratelli,


le s rei le e la pro pia casa, i è fatta meco una i tes a anima
ed uno i te so cuore. L onde rendomi icur che io le po so
aprire il mio ecreto, quantunque quello i nportantis imo sia .
Far adunque i peri nza della ua fede, non gia per me, ché
i sono ert mi ami piu di é medesima, ma solo tentaroll
ad e empi de emplic1 iovani, i quali sci ccamente credon
e sere 1 ecc to irr mi ibile il contrafare a' pazzi ri ordì de'
ecchi padri, i quali, a gui a di uomo che ogna, entrano in
mille frene ie e continovo acillan . -
Deleggiando adunque alard tra é . te o in tal maniera
1 aggi e ben regolati comandarne ti paterni, d liberassi di
contra enire al terzo. nde u cit di camera sceso giu delle
cale , enza mettervi indugi alcuno, e ne andò al palagio
del Marchese, ed appre ato i ad una stanga dove erano molti
falconi, ne prese uno he r il migli re ed al marchese piu
caro, e enza che egli fusse da alcuno veduto, via lo port ;
chetamente andato ene casa di uno suo amico, nominat
ran oe, glielo appresentò pregandolo per lo amore grande
che er tra loro, eu todire l d vesse fin a tanto che egli
'ntende e il voler uo; e ritornato ene a ca a, pre e uno de'
uoi , e ecretamente, senza che lcuno lo vede e, lo ucci e,
e portoll (4) alla m glie, cosi dicendole : - Teodora, mogli e
mia diletta, io, come tu puoi ben apere, non posso con que t
n str marchese aver m i pur un ora di riposo, perci che
egli ra cacciando, ora uccellando, ora armeggiando ed or,
f cendo altre co e, mi tiene in si contino o e sercizio, che i
non so Ile volte se io morto ivo. a per rimuover!
dallo an are tutto il di alla accia, io gli ho fatt una beffa,
che egli si vedr poco contento e for e egli per a lquanti
giorni riposera, l sciand ne ancor noi altri po re.- cui disse
la mog lie: - E che gli vete f tto voi? - A cui ri pose a-
lardo : - I gli ho ucci o lo miglior fai one e lo piu caro che
egli abbia, e pen o , quando egli non lo trovi, qu i da rabbia
non moia. -Ed perti i li rappi dinanzi , ca ò fuori il fal-
one ucci o e diello alla mogl ie, imponendole che lo faces e
fE PRI A

ucinare , ché ena per amor del marche e lo mangerebbe . La


mo lie , udendo le p rol e del marito e ed endo il falcone uc-
10 molto i ramaric e voltatai ontr lui, lo comi nc i '
rimpro erare , cari andolo f rt ment dello errore comme o .
- Io non come v i avete mai p tuto mmettere i grave
cee , ol trag ian o lo , che tanto cordial -
1nente v1 ama. li vi 1 he voi a diman -
diate , appre i ten te il rimo luo o appo la
ua. alardo mio , v i vete tirata una gran
1gn r e m e a a perlo.
rto voi incorrere t in p ricolo di m rte.
- Di e alardo: - E com v u i tu eh gli l intenda? 'inno
e non tu ed i . Ma ben ti pr go per quell amore
che m hai portato e porti , ·he qu t e r to ap1 al ar non
ogli ; p rciò che manife tand lo ne are ti e d Ila tua e dell a
mia t tal roina ca io n . - cui l n p e: - on
dubitate punt eh · io piu to t o r ir i di m rire , h ma t
tal e ret ri elare. - otto adunq u ben co ncio il falcon .
alardo e T eodora i puoser a d re a men n n v le nd
e lla mangiare del fai one n · attendere 11 paro! del mari t
he a mangiare do! mente la e rtava, alard alzò la man
e opra ' l i o le diede i fatta guanzata. che le f ce la (Yuanza
destra tutta vermiglia . ll per hé ella i mi e a pian re e
dolersi c he egli battut l ' a va , e le ata i d men a , tuttavia
barbottando , l mmacc1 che di tal a tt 111 ita ua ricorde-
rebbe, e a tempo e luoco s) si endicarebbe (6l. venuta
la mattina , molto per tempo i levò d i letto enza porr
indugi alla cosa , andossene al marchese, e puntalment li
raccontò la morte del falcone . Il che intendendo , il mar he
i a ce e di tanto sdegno ed ira , che lo fece prendere, e enza
udir ragione e dif a alcuna , comandò che in qu llo in tant
fu e impiccato per la gola e he tutti gli suoi beni fu ero
divi i in tre parti, de' quai l ' una data fus e alla m g lie che
accu ato lo a eva, l 'altra al figliuolo e la terza fu e a ignata
a colui che lo impiccasse . Postumio, che era ben formato della
per ona ed aitante della vita int sa la entenza fatta contro
A PRI. 17

il lui adre e l 1 1 1 ne e' beni, con molta pre tezza cor e


lla madre, e di ele:- O madre, non arebbe meglio che io
o nde i il adre mio e che io guadagna i il terzo de' su i
beni he alcun 'altra trana per ona?- cui ri po e l ma-
dre: -Veramente, figliuolo mio, tu hai ben i cor o· per iò
che, facendolo, la facul .
di tu padre r imarn\ integralm nte
noi . - E enz metter li int r all di tempo, il figl iuolo e
ne andò al marche e chie eli grazia di ospendere il padre,
acci che ella terza parte de' uoi beni, come carnefice, uc-
e sore rimane e. L dimanda Po tumio dal mar he e fu
grazio amente conce a.
ve a alar pregato ran oe, uo fedel amico, a cui
aperto a e a lo uo ecreto, che, quando la famiglia del mar-
he e lo condu e se per darli la morte, che egli fus e pre to
a andare l m rche e, pr gandolo Salardo li fusse menato
dinanzi, e, prima che fu e o-iu tiziato, beni namente lo a ol-
tas e. Ed egli, 1 come impo to li fu, co i fece. imorando
l ' infeli e lardo co' ceppi a' piedi nella dura prigione, ed
a p ttando di ra in ora di er cond tto al patibolo della
ignominio ·a mor.e, tra é duramente piangendo a ire inco-
minciò: -Ora c no c e chiaramente comprendo il mio vec-
chio padre con la ua lun a i perienza aver provisto alla
al ute mia . Egli prudente e avio mi d iede il con iglio, ed
i ribaldo e in en to lo prezzai. Egli per alvarmi mi coman~ò
che i fugge i qu ti miei ome tici nemici ; ed io, ac iò mi
uccidessino e poi di mia mort ne godes ino, me li ono dato
in preda. o-Ii, cono end l natura d 'prencipi che in un'ora
c man e di amano, e al a n d abbas ano , mi confortò tare
uelli lontan ; ed i , er perdere la robba, l'onore e la
ita incautam nte li ricercai. h io volesse che io mai isper-
mentat non a e i l' infid mia moglie! O lardo, quanto
meglio ti arebbe e e uitato avesti la pa rn· ra ia, l -
ci ndo a' lu inghieri ed agli adulatori il corteggiare i prencipi
ignori ! Ora i eo- io a he ondotto mi ha il tropp
fidarmi d i me te so, di mia moglie e del scelerato figliuol o
sopra tutto il trop po credere all' in~rrato mar hese. Ora no

C;. . .TRAP ROLA, /.~ piOCt!VOli no/Ji. 2


I TTE PRl L\

h i r q uant egli m1 ma . E che pegg i p o te ami egli


fare? ertament null ; perci he e nell a robba e nell ' onor
e nella ita a un tratto mi offende . h quanto pre to l'amor
uo è in crud e acerbo dio rivolto ! Ben edo ora il pr -
verbi , eh olgarmente er erificato: cioè il ignor
e er imile al ino del fi quale la mattina è buon ,
e poi la ra alardo , a he ei enuto?
do ·' · ra la tua n bilta? no i cari parenti tuo i? dov
no le mpi ricchezze? r la tua lealtà integrit ·
e m re olezz ? 1 adre mio io credo he tu , riguardando ,
c i morto c me ei, nel chiaro pec hio dell' terna bonta,
mi vedi qua condotto per er o pe o non per a ltra agione
e no per non a 1er creduto né ubidito a' tuoi a i ed amo-
re oli precetti· e credo che con quella tenerezza di cuore, ch e
ia mi ama ti , a ncora ade o mi ami e pre(Yhi il ommo Iddio
eh l 'abbi compassione de' i c hi miei gio enili errori ; e l
i , com ingTato tu fi ·liuol e di ubidiente a' comandamenti
t wi, preg ti mi perdoni. -
Mentre he in tal rnod tra é tes o alardo é medesim
ripren e a, Postumio , uo figliuolo , come ben amma strat
c rnefi e e ne ndò con la birra lia a lla prigione; e arro an-
t mente appre et tat si innanzi a l padre, di e tai parole: - Pa-
dr mi , poi che per entenza del ignor mar he e 1 . nz ~

u bio dovete es er so peso, e oven o i dar la terza I art


e' vostri beni a colui che fara l' ufficio de impiccar i, e o-
no cen amore che i mi portate, io so che voi non
arrete a ù gno e io farò tal ufficio; erciò eh , facendolo,
i beni v tri non and ranno nell altrui mani, ma i re terann
in ca c me prima: e di i oi ne rimarret c ntento . -
alardo , he attentamente ascoltate a eva le parole del figliuolo,
ri pos : - Iddi ti benedica figliuo lo mi ; tu hai pen ato ci
he molto mi piace , e e prim mon a ntento, ora, inte
l tu parole, me ne morrò co ntento . a dunque, figli uol
mio, l'u fficio tuo, e non tardare. - Po tumio prima li dimand
perdo no e ba ioll in bocca; dopo, pre o il capestro, gli elo
p e al coli , e rt n olo e con fortandolo che pazientemente
P \' L. PRI.IA I

rta tal 1 ort . alardo , Yedendo il muta mento dell e


att nit e tupefatto rim e· e u cito della prigione co
le m ietro l o-ate e col pestr ra olt al coli accom -
a t dal carnefic e e alla birraglia , 1 av1 con frett lo
rer o il lu della iu tizia; iunto i, ri ol e le palle
alla cala che era a o giata alla for , ed in tal m o 1
. ao-li ne in agli ne quella a ce . E on intrepido co tante
animo pervenuto al d putat termin d lla ala, guard d'in -
t rn al opolo e raccont gli a pi no la cau per la quale
nli era ond tto alla f r a ; dop c n d lei d amor v li pa-
r le d ' ogni oltrag io umilm nte diman ò perdono, e ort ndo i
fi liu li ad er ubidienti ai loro ecchi padri. Udita che e
il p au a della ondannazione alardo, n n vi fu
he dirottamente n n piang e la iagura del sv ntu -
rato aio ane , e che non e idera e la ua liberazione .
Mentr eh l opradette c e ·i facevan Fran e n
r andat al pala io al mar he e tai parole dicendo: - JUu -
.·tri r , e mai f i Ila di pieta fu ac e a nel petto
ign r e rendomi certo quella raddopr iar i in voi ,
c n la olita clemenza con id rar te la inn cenza dell'amic
all' trem di m rte ia c ndotto per rror non cono iuto .
ual caus ignor mio, i ind u a sentenziare a mort
a lard che tant ordialment ama ate? Egli n n i ha
mat ffe né [ ur pen ato di f} ndervi. Ma e oi, beni ni.·-
.·imo sign re, ammetterete il fedeli simo amico o tro e r
q ui alla pre enza v tr c ndott innanzi eh egli moia, faro n
pert mente c n cer la inn enza ua. - Il marche e con
li hi p r ira affocati , nza altra ri po ta all ' amico Fransoe
r nd r , le lo al tutto da · ca ciare; quando egli , gittato i
terra ed abbra iateli le o-in cchia, tutta i piangendo, c -
minciò are: -Mercé, signor giu t merc · , i nor benigno !
non moia, pre oti per tua cao-io ne l innocente a lardo. Ce i
la pertur azione tua, ed io manife terotti l 'innocenza ua.
es a per un'ora, ignore, per amore ella on r ata empre
a ' tuoi vecchi e da te giu tizia! n ia detto di te, signor ,
che trab chevolmente enza cau a facci morire i tuoi
20 -- TT PRT. !A

ami i. - Il marche e, tutto de no o contra Fran oe, di c:


edo he tu attendi d'e. er compagno di alardo; e e poco
piu accendi il fuoco di mi mano te li metterò
appres o. - i e Fransoe: - i nore, io ono contento che
la lunga mia ervitu abbi ri ompen ~ o che tu faccia
impiccarmi m ieme con al r o, e non lo tr i innocente. -
Il mar he e, on iderata la grandezza dell' mico Fran oe, fra
te o pen ò che enza certezza della innocenza ua eg-li
non i obligarebbe ad e ere u pe o c n alardo e perciò
di e che era contento che pra tes e per un'ora, e non
provando Fransoe lui e er innocent , appar c hia e a ri e-
vere la morte on e o lui. E fattosi hiamare uno ervente ,
gli ordin che egli anda e al lu c della giu tizia imponendo
p r nome uo a' mini tri h piu oltre non precedes ero, e
he alardo, co i le ato e col cape tro al ollo, dal carnefice
c ompagnat , alla presenz sua fus e ondotto.
iunto alardo alla presenza d l march e e veggendolo
a ncora nella faccia infiammato, fermò il uo altiero animo; e
on a iutt is ed aperto né da parte alcuna turbato, co i li
i se: - io-nor mio, la servitu mia ver o te l 'amore che
io ti porto, non a e an meritato l' ltraggi la 'ergogna h
mi hai fatta ondannandomi a ituperevole ed ignominie a
m rt . E quantunque il degno pre o per la mia gran follia ,
. e f llia dir i dee, vo lia che tu c ntra tua natura in me
in rude li ca, non però dovevi, senza udire la ragione, i fret-
talo amente ndannarmi a mort . Il falcone per la u1 pen-
ata morte e1 ontra me fo o am nt adirato tv ed è In
uel tat he era prima; né pre i per uccider! né per
ltrao-o-iarti , ma per f r piu certa i peri nza d'un mio cela o
oo-g tto: il quale ora ra ti ara (7) manife to. - E chiamato
Fran e he i i era presente, lo pregò che il falcone porta e
e al car e dolce uo padrone rende se. da principio ino
alla fin li ra contò o-li amore oli mandamenti del padre e
l contrafazione l ro. Il march e udite le parole di alardo
he uscivano dalle intime parti del cuore, e veduto il suo
falc n rasso e bell piu che prima, qua i muto div nn e .
F L PR!:IL\ 21

1a po he alquanto in é mede imo n nne con ider ·


J'err r uo in a er ina edutamente condannato lo innocente
amico a morte, alciò gli occhi qua i di lagrime pregni, e guar-
d ndo fi nel Y lto di alard , c i li di e:- alardo, e
r tu p te ti penetrare con gli occhi della ( ) parte di dentr
del mio cuore , pertamente c n cere i he la fune che ti
ha fin ora tenute legate l mani, e il ape tro, che ti ha cir-
n to il c 11 , n n hann app rlato a te tant dol re quanto
a me afE nno. né tan pena a te quanta a me doglia; n ·
n o mai piu viver liet e contento, p i che in tal maniera
h o offes te che c n t nt sincera fede mi amavi e ser i i. E e
po ibil fu e che quello è gia f tto ~i pote e annullare, io
per me l annullarei. :VI e ndo ci impo ibile C rzerommi
con ogni mia o a di ri taurare in tal ui a la ric vuta otre a,
he di me rim rrai ntento. - Ciò detto. il marche e con l
pro ie mani li tra e il cap tro dal coll e le mani li sciol e ,
bbr a cian olo con s mm amorevolezza e piu fiate ba ciao-
dolo; e pre olo con la d tra mano, lo f e appres o é sedere .
v lend il m r h e che 'l lac io fu po to a l co llo di
turni per 1 u i m l ao-i portamen ti, ed impic ato, alardo
n 'l per me e; m fatto! eni re a é innanzi di eli tai pa-
r le: - turni da m per da fanc iul l insin a te ta
eta allevato, io d i te Ilo Id di che non o che far . a l'una
pa rte mi tira l'amore che i fin ra ti ho portato; da l'altra
mi trae lo sdegno c ntra te per li tu i mali o-esti on puto.
L un u le eh c m buon dr ti erd ni; l'altro mi e -
orta eh o n tra te rigidamente m incrud l i ca. h e debb
un ue far io? e i ti perdon , arò m trato a dito;
f rò la gi u ta v n detta far n tra lo di vino precetto. Ma
acc1 eh io non ii detto tropp pi né troppo crud le, t rr
la via di mezzo: e da m non arai corporalm ente punito,
né anche i fia da m al tutto perdonato. Prendi adunque
questo ape tr he tu mi c e i a inchiato l collo, ed in ri-
·ompen de' mi i b ni, che tu e id ravi av re, lo porterai
teco, ric rdandoti sempre di me e del tuo gra e errore: stand
da me i lontano, che mai non po i più entir nova di te. -
22 TTE PRI lA

E i ert da · e mandollo 1n ua ma l' ra ; ne


più di lui e int e nov lla alcuna. Ma Teodora alle c ui orec-
hie r a gi ' pervenuta la no a ella liberazi o ne di 'alardo,
e ne fuCY i· an at ne in un mona teri di uo re, cl. Joro-
mente fini la ita ua. Indi Lardo , r ntita (9) la m or te
i T dora u moglie chi buona li c nza d a l mar h e e,
da onferrat i parti ed a Geno a ritornò : do ve lietam e ntt::
l un tempo 1 e, e per io di pen · la maggior parte
d e' uoi b ni ritenendone tanti , q uanti fu er ba te vo li al
uo. -
eva la favola da Lauretta raccontata , più lt mo . e
le compagn a lagrimare; ma p i che int ero alard e· er
liberato dalla forca, e o ·turni ituper lmente cac i t , e
Teodora mi ramente morta, rallegrarono molto e r e ero
l d bite 2Tazie a Dio che da morte l'avea campat . La igno ra,
h attentamente a coltata aveva la pietosa favola e qu a:-i
'\ncor a da olcezza piange a , di e: - e q ue te altre d nzel Le
nel narrar le loro favole i porter nno i valoro amente c me
ha fatto la piacevole Lauretta, ia cheduna di no i i p tra
a g olmente ontentare . - E enza ir altr , né a pettar altra
ri p ta, le omandò che ' l uo enimma propon e , a iò ch e
L' o rdi ne dat nella precedente er SI s er as e. Ed ella pr e ta
uoi comandamenti c n lieto co 1 di

acqui tra du in ar rata;


di me nacqu un tri to figli o
rande com ar him mal nata!
un pie i l ()'rano di minuto miglio:
da cui p r fame fui poi di rata,
senza riguardo alcun, enza c n iglio.
tri ta rte mia dura pr terva,
di madr non p ter re tar pur r a.

on enza randi imo ilett fu da tutti a coltat il o tto


d argut enimma dalla fe t ole Lauretta in enio amente
raccontato , e chi in uno mod e chi in un altr lo int rpreto-
r no. a niu n o fu che aggiuno-e e al O'no. Laonde la vao-a.
F OL PRI.i

a uretta Yedendolo irr olubile rimaner , , orrid ndo dis e:


- L o nimma per me propo to , e io non rro , altro non signi-
fica e non la fa a ecca, la quale, e sendo nata, giace chiu a
tra duo erragli cioè due corze; dop na e di lei, a guisa di
un anello di micrlio, un 'Crmicell , il quale i fieram nte la
rod e e con uma , che, di madre, erva non può rimanere. -
.\d o-n un maraYigtio amente piacque la i posizione di Lau-
rctta, e tutti ad una voce molto la comendorono. La quale ,
fa tta la d bita reverenza, al uo luoc i po e seder . Eù
. lt ria, Ia quale appre · o Lauretta sedeva ed a cui il econdo
luoco di fa aleggiare toccava, de idero a piu di dire che di
ascoltare, non a pettando altro comandamento daJia sicrnor ,
in tal maniera a dire incominciò:
F. r L Il.

Cas · ndrino, fa sis imo ladro ed a mico del pretor.:: dt Peru .1, lt fura
il letto ed un suo ca atl leard o; indi, a ppresentatoli pre' e erino
in un accone le ato, diventa uom da hene e di r n maneggio.

- i alta, valorose donne , e re vigliata è la virtu dello in-


telletto umano, che non è cosa in questo mondo si grave e 1
malagevole, che, rappre entata dinanzi ali u mo, non li paia
lieve e facile, e con spazio di tempo non la mandi a perfe-
zione. Laonde tra la gente minuta comrn unamente dir i uole
che l'uomo fa ciò che gli vuole. Il qual proverbio mi da
materia di raccontarvi una favola , la quale, avenga che ridi -
culo a non ia, ara però piacevole e di diletto, ammae tran-
dovi ad agevolmente cono cere l'astuzia di coloro che conti novo
m olan o i beni le fa ulta d'altrui.
In Perugia, antica e n bile citta della Romagna, celeber-
rima di studi ed abondanti ima del vi ere , dimora a, non gia
gran tempo fa, un giovane giott e della vita ben dispo to
quanto alcuno altro fu e giamai, e da tutti era Ca andrino
chiam t . Costui, i per la sua fama i per li uoi ladronezzi ,
era qua i noto a ciascuno del popolo perugino. Molti cittadini
e plebei eransi andati a richiamare a l pretore, facendo contra
lui gra i e lunghe querele per cagione de' beni che egli involati
gli ave a. Ma egli dal pretore non fu mai castigato, quantunque
da lui con minacce ( r) fusse agramente ripreso. Ed a venga eh
Cas andrino fu se per i ladronezzi e per le ltre gi ttonie in-
fame di perduta peranza, niente di men egli aveva in sé
una laudevole virtu, che essercita a il latrocinio non gia per
a arizia , ma p r potere a tempo e luoco u are la liberalita e
magnificenza verso col ro che gli erano benigni e favorevoli.
E perciò he egli era affabile, piacevole e faceto, il pretore si
F LA E D 2

rdialmente l ama a, che non pote a tar un giorno che


eco non lo e e.
er e era d a u que Cas andrin in ue ta parte bia me-
' l e parte la de le ita, e con iderando il pret re le giu te
querele he i giorno in iorn c ntra lui erano porte , e per
1 amor ande eh li porta a non poten olo punire, un giorno
lo chiarn ' a sé; ri ott lo in uno ecret camerino , lo co-
minciò r itati '• me te amm nire, e rtandol vole , e la ciare
c al ragia ita e ace tar i alla irtu, fug endo i tra-
b cche · li eri oli n e' uai gli per li uoi pe imi portamenti
incorreva. Ca andrino, che attentamen e r cc lte a eva le a-
r le del pretore ri po e: - ignor mio, io ho udì e e hiara-
mente int e le more oli ammonJztoni che voi per o tra
urb nità fatte m i a ve te, e quelle cono u eire dal vi o
chiaro f nte di uello amore che 1 m1 portate. Di he
ringrazio a ai. M ben mi d glio che certi in ensati, invidio
egli altrui beni, di ontino er ano eminar candali e to-
g iere con sue velen e 1 ar le l'altrui onore e fama. eglio
fare bon que ti tali che ci vi dicono tenere la velenifera
lingua tra' denti, he improp rare ltrui.- Il pre i e che di
·poca lev tura ve bi ogno, diede piena ed alle par le di
Cas ndrino, nulla poco delle querel contra lui late curan-
si; perciò che lo amore h e ' l pretore li porta a a e ali
i abbarb glia ti gli occhi, eh piu ltr non ede a. A enn
he, tr vando i un gi rno Ca. an rino ol pretore alla men a
e ragionando on esso lui di arie co e he ran di piacer
e dilett , tra l'altre li raccont d'un gi vane he era di tan
astuzi dalla n atura dotato, he n n vi era co a alcuna i na-
co a e iligenternente eu todita, che ei con ue arti furtiva-
mente non l prende se. Il che intendendo, il pretore di e:
- Que t o-io ane non pu e er altri che tu eh ei uom
accor o, malizio o ed stuto. Ma quando ti ba ta e l animo in
que ta notte furarmi il l tto della amera o e io dormo, ti
promett opra l m1a fé di donarti fiorini cento d oro. -
Udendo Ca andrino la prop ta del pretore a a1 i turbò.
e in tal maniera li ri po e:- io-nor, a qu l che mi pos
26 'OTTE PRDfA

·oi m1 t net un ladr · ma io non ono ladro, né an-


h figliuolo di ladro, he io d lla propia indu tria e
de' propi udori me ne iYo: e co i pa o la ita mia. Ma pur,
e i · in piac r di far mi per tal au a morire, io, per lo
am re che i ho empre rtat d r porto, f rovvi que to
d og n 'altro piacere 01 me n m rrò cont nt . -
e idero o adunqu a a ndrino i c mpiac re al pr tor ·.
enza a pettare da lui al tra ri po ta, i parti, e tutto quel giorno
fren ticando e n 'andò om gli pote e rubbare il letto che
gli n n 'avede e· e tand in que ta frene ia gli venn un
pen i ro: il qual fu qu to. Era, il gic rno che que ta ima ·na-
zione li enne, morto in Perugia un mendic , l quale ra tato
tterrato in un veli fu ri lell hie de' frati predì atori.
Laonde eg li la notte u l primo onno andò la do e era il
mendico polt , e leo-germente lo a\ ello aper e; pre o il
orp morto per li pi di, fuor della e ultura lo tra e: e po-
aliatol nud , lo ri e ti de ' propi pa nni , i q uali li a ·ano s1
b ne indo , eh non il men di o, ma a ·andrino chiunq ue
a e vedut , giudi ato lo a r be . E l vato elo u l spali ,
meglio c h'ei puote, ver o il palagio n'and ·; e g iunto i c l
mendico in palla montò u per una cale che . eco recato
a v a, e u ' l tetto del p a lagio ·ali, e chetamente cominciò
oprire il o ert del palagi e o n li u i tromenti di ferro
i fattamente perfor' l tra i he f e un gran
pertugio o ra la amera d il pretor d rmiva. Il presid ,
c he nel letto gi ceva e non dormiva, entiva chiaramente tutto
q uello che faceva a andrin · e quantun ue ne enti e lanno
er lo rompere el coperto , pu r ne pr nde a iacer e gio c.
a p ettando di punto in pu nto che e li ven i e a furarli il letto
di otto . E tra é tes o dice a : -Fa pur Ca ndrino il
peggio che tu ai,- che in questa nott il le t mio non
averai. - tando adunque il pr tore con ali echi aperti e con
l orecchie attent , ed a pettando h e 'l letto li fu se in olato.
e co h e Ca andrino mandò giu er l pertugi il mendico
morto : il uale nella amera el pre de i fatta botta
in t rra, che lo fe e tu tto smarr ire . tto e
L\Y LA E ... ~DA

il lume Yide il corp he in t rra tutto franto e pi to


n do ramente he 'l corpo aduto fu e Ca ..;-
he er de' u i panni, fra e t o
m1 r ! gu ta, do! nt tne,
o appetito, lla tu i
mort i me qu· ndo a1 era
he auti ed a eduti gli
u ffilnl lam nti ,
i chi mera di un
nt il mi ro inter venuto: r gandol
fac e una fo a nel iardin e dentr q e, a ci·
eh tal itupero o fatt ad lcun t mp non veni e in luce .
Mentre il pretore e l er nte dieder sepultura al c rpo
mort , Ca andrino, h di 1 ra h to 1 ta ·a ed ogni co a
ede a, n n ud ndo n d ndo per ona alcuna nella camera,
1 rimamente i calò giù per una fune, e fatto uno ilupp d l
l tt , on molto ia lo portò . epolt il cor morto,
ritorn to il pr ore nella camera per po are vide h il lett
li man a . Di he lutto u pe o rima ; e e egli ol e dor-
m ire, forza li fu prend r altro partito, pen ando tutta ia alla
~- ~ ga ità a tuzia del ttili · imo Jadr .
Venut il O'j rn , a andrino, cond h e gli s leva, , e
n andò al palagi , e ppr ento i al pretor · il qua l v g-
g-endol dis e: - eram nte, a a nd rino tu i un famo i 11110
ladro. Chi mai i arebbe ima inato d' involar il l tt on n-
t a tuzi , e non tu?- a a ndrino nulla ri pondeva; ma . 1
, m il fatto uo non fu e, ammir ti i t a. - Tu m ne
h i f tt una delle beft , - di eva il pr tor ; - m li o he
tu me ne facci un'altr , ed allora cono cer ' i qua nt il tu
ingegno a lia . e tu n Ila eguente n tte mi rubberai il a all
leardo e h tant mi piace e tengo caro , io ti prom tto, oltre i
cento fiorini che io ti promi i, dartene altri nto . - C s n -
drino, udita la irnanda del pretore, fece em iant di e · r
m olto turbat , duo! e i he ei a e e di lui o i 1111 tra
ppemone preO'an olo tutta ia c he della ua r ina (2 ) non v -
l e e er agi ne. Il retore , vedend Ca andrino rifiutare
26 OTTE PRI lA

c i che cYli addimandava, i egnò e di eli: - uando non


far i que t , non < pettare altro da me, e non es er appiccato
c l c pe tro ad una delle mor. e delle mura di que ta citta. -
andrino, he vede a la co a er molto pericolo a ed
importare a ltr che finocchi di e al pretore: - Io far gni
mio forzo di c ntentar i, intravenga ci · che . i vog lia, ancor
che a tal co atto n n mi trovi. - E pre a licenza, si parti .
Il pret r che cerca a i perimenta re l' ingeO"no ottile di Ca -
andrin , h iam · a é uno s uo ervent , e dis egli: -Va alla
t Ila, m tti in punto il mio cavall l ard , e montali u ,
fa che in que ta notte tu non monti giu; ma guata bene, ed
abbi buona cura he ' l ca v llo non ti . i a tolto . - E ad un
ltro omandò che a guardia del palagio si te e; e ch ius
le p rte . i del palagio c me della . talla con forti si me chia i l

. 1 parti.

enuta la bui notte a ·andrino 1 r e li uo1 . tromenti ;


nd to e ne a ll 'u cio del pal g · , tr v· che l uardian dol -
cemen te ormi a. E perci che egli ttim mente ap va tutti
i luoghi ecreti d el p la i la c iollo dorm ir , e pre a un'altra
strada, entrò nell c rte ; e andatosene ali ta lla e trovat la
hiu tant con i uoi ferri hetament operò, eh l ' uscio
per e; e veduto il ser ente opra il ca a llo con l briglia in
m no , alquanto i marri , e appres ato i pianamente a lui,
vide h 'ancor ei fieramente d rmi a. Lo a tut e trincato ladro ,
vedend il ervo a gui a d'una marmotta prof ndamente dor-
mire, tr v la piu beli m lizia che uomo ivente si pote se
mai ima inare· imperci che eg li tol e la mi ura dell ' altezza
del ca allo, dandole per quello a v n t ggio ch e all'opera , ua
n n eva e partito i e gito ene nel g iardino , pre e quattro
ran pali che o tenevano le viti d'u n pergolato e fattali l'acuta
punta , a lla tal i ritorn ; e eduto il ervo ancora dirottamente
d rmire, a tutamente tagli le r dine della briglia che il ser-
vente tene a in mano; dopo tacYliò il pettorale, la cingia, la
groppiera ed ogn 'altra co a che pare a li fu e ad impedirlo .
E fitto in terra uno palo otto l'uno de cantoni della sella.
quella alquanto chetament oli vò dal a vallo e po ela u l l
FA T LA . ECO. -oA

palo. Indi po tone un altro otto l'altro antone, fece il omi-


liante ; e fatto il imile negli altri duo cantoni, levò la ella
tut di netto dalla schiena del cavallo; e, tutta ia il en o
opra la ella dormendo, opra i quattro pali in terra fitti la
puose: e pre o il cape tro e m olo al capo del cavallo, quello
ia condu e. Il pretore, levato i di letto la mattina per tempo ,
d andato ene alla talla, e redendo trovar il cavallo, trovò
il ervente che profondamente dormiva opra la sella dai quattro
pali o tentata. de tatolo, li di e la maggior villania che si
d icesse mai ad un uomo del mondo, e tutto sopra sé manendo,
cii stalla si parti.
Venuto il giorno, Cas andrino, econdo l'u o uo e n'and
al palagio ed appre entossi al preside, con lieto viso salutan-
dolo. " cui disse il pre ide:- eramente, Ca . andrino, tu porti
il vanto di tutti i ladri: anzi i ti po so chiamare re e pren-
ipe de' ladri. Ma ora ben cono cer io se tu sei saccente d
ingenioso. Tu ono ci, ·e non m'enganno (3), pre' everino, ret-
tore della chiesa di an Gallo non molto lontana dalla citta;
e tu me lo porterai qua in un sa co legato, promettoti opra
la mia fé oltre li ucento fiorini d'oro che io ti promisi, dar-
ten e altrettanti ; e non facendolo , pen a di morire.- Era que to
pre' e rino uomo di buona fama e di nesti sima vita ' ma
no n molto a eduto; ed attendeva olamente alla su chie a,
d'altro nulla o poco i urava. edendo Cas andrino l'animo
del pretore contro lui i mal di po to , disse tra é medesimo;
- Certo co tui cer a farmi morir ; ma for e il pensi r uo gli
:1ndera fallito, per ciò che io mi delibero a piu potere di so-
di fari al tutto. - olendo adunque Ca sandrino far si che
il pretore rimane se contento, ' imao-inò di far al prete una
beffa: la quale, econdo che egli de iderava, gli andò ad ef-
fetto. La beffa adunque fu questa: he egli prese da un suo
amico in pre tanza uno amice acerdotale lungo ino a' piedi
d una tola bianca tutta ri amata d'oro, e porto eia a ca a.
opo, presi certi cartoni g randi e sodi, fece due ali di vari
olori dipinte ed un diadema che allumina a l'aria d'intorno.
E praggiunta la era, con le opradette cos u ci fuori della
o -~ TTE PR I lA

irta ed ando ene a quella villa dove abita a pre' e erino ;


e l ivi i na co e dietro una mac hia di pungenti pine , e tant
n tett che venne l aurora . L onde Ca andrino, cacciato i in
d o il amice acerdotal e me a i la tola al oli o e lo
diadema in capo le ali alle pall , i appiattò , e cheto tette
i no a tant eh enn il prete a onar l'A e Maria. Appena
andrino i era ve tito ap iattat , che pr evenno
l cherichetto o-iun e all'uscio d Ila chi e a· ed entrat i dentro ,
lo la ci a erto e an do ne a fa r li uoi er igi. Cas andri no,
che ta a attento e edeva l'u io della chie a aperto, mentr
che il 1 rete nava l \·e Maria u i della macchia e cheta-
tamente entr in chie a; e a co tat i al cantore d ' un al tar
e . tando dritto in i ed i con un accone eh con amb le mani
t neva, cominciò con umile e ba a voce co i dire: - Chi vuoi
andare in loria , entri n l acco. chi uol andare in gloria,
e tri nel acco! - ontinovando Ca andrino in tal maniera l
ue parole ecco che il cherichetto u i fuori di acrestia;
eduto l camice bianco come neve e lo diadema che ri plen -
d va come il ole e le ali che parevano penne di pavon , ed
udita la oce , molto i marri; ma rin enuto alquanto, r itorn
al pr t e di eli: - Mes ere, non ho io veduto l'angiolo d l
ielo con un s eco in mano, il qual di e: Chi uol andar in
gloria entri n l acco? Io vi vogli andare , me ere. - II prete,
he a a p c sale in zucca pre tò fed e alle parole del eh -
richetto; e u it fuori di acr stia vide l 'an iolo parato ed
u i le parole . nde e ider il pret i andare in loria,
d ubitando che il eh richetto non gli to li la oltc entrand
prima he lui nel sacco, fin e di aver i domen icato il bre iari
a ca a e di e al cherichetto: - a a c a o·uata nella a-
mera mia e recami il mio breviari che mi ho domenticat
canno. - Mentre che' l cherichetto andò a ca a re
erino ri erentemente acco to i all ' angel e on grandis im
umilta nel acco i mi e. as andrino trin ato, malizie o e
a tuto , vedendo il suo di egno riuscir bene, subito hiuse i l
s eco e trettamente legollo· tratt si di do so il carni e a-
cerdotale e posto giti lo diadema e le ali , f ce un iluppo ,
F L 3I

e m olo c l pra le palle \ er o Perugia e ne a ndò.


E fatt il e ntr nella città; ed a convenevole ora
ap pre n t a co al pretore, ciolto l tra e fuori pre'
verin . l) quale piu morto che i o tro,·ando i in pre. enza
d l pr et r ed c r en o 1 er eri . fece gran querela
c mr l ltamente ~rr id nel ome egli era tato a a inat
ed a tut
pr gand ua e e far giu tizia non las iare
tal e ce nza ·ran i imo a ti am nto , a ciò che la
. ua p na sia chiaro manife to empi a tutti o-li altri mal-
fa ttori . Il pretor e, che g ia a e\'a inte. il ca o al princi i a l
fine, uasi dalle ri a n n i pote\ a a te ner ; e ltat
pre' everino, o. i li di e: - Padrezzol (4) mio , tat
1 n g o mentat · p r i che noi non i fa -
Yore e i giu tizia , ncor eh que ta co a i come noi potiam
mprendere, ia . tata una berla. - tant seppe fare e dire
il pretore che lo tta entò · e pre o un a chetto on a lquanti
fi orini d'oro , li e to puose in mano , ordinò che fu e fin fuori
dell terre a compagn to. E oltato i er o sandrin , di
- C a andrin , a a ndrino , mao-giori ono o-li effetti delli
tu i ladron zzi c he n n è la fama per la terra par a. Per
pren di i uattr ento fiorini d ' oro da m a te promes i, perci
eh n r ti simamente g ua agnati li hai. a a he nell ' av -
mr att ndi a i er piu mode tamente di ci eh p r lo adietr
h i fatt ; p r i · e h di t più mi verr. ali orecchie qu -
rel a l una, io ti prometto enza remi ion e di farti impiccar
per le canne della o-ola . - Ca ndrino , pre i li quattro ent
fi rini d oro e re e ) debit g razie a l 1 re ore , i parti ; e me s
l mercatant re di enn e u mo ag io di gran man ggi . -
VOLA 111.

Pre' carpacifico, da tre malandrini una ol olta gabbato, tre fiat gabha
loro; e finalmente ittorìo o con la ua ina lietamente rimane.

(CATER ZZA:)

- Il fin
della fa ola da Alterìa precedentem nte raccontata
m1 da materia di dovere racc ntarne una, la quale i fia non
men piacevole eh grata; ma sara differente in uno: che in
quella pre' e erino fu da Ca andrino gabbato, ma in questa
pre' Scarpacifico piu olte gabbò oloro che lui gabbare cre-
de ano, i come nel di or della mia fa ola a pieno inten-
der te.
A re l mola, citta \ endiche ole ed a' tempi nostri dall e
arti qua i ridotta all'ultimo terminio, trovasi una illa, chi a-
mata Postema, nella cui chi a ufficia a nei tem pi pa sati un
prete , nominato pre' ar pacifico, uomo n l ero ricco, ma oltre
modo mi ero ed avaro. ostui per suo go erno tene a una
f mina caltrita ed a ai agace Nina chiamata· ed era si ave-
duta, che uomo non si tro a a, che ella non ardis di dirli
ciò che bisognava. E perché el la era fedele e prudentemente
go ernava le co e ue la teneva molto cara. Il buon prete,
mentre fu giovane, fu uno di quelli gagliardi uomini che nel
territorio imole e i trova se· ma giunto all'estrema ecchiezza,
non pote a piu apportare la fatica el camminar a piedi.
Laonde la b uona femin piu e piu volte lo persuase che un
c vallo comperar do e se, acci · che nell'andar tanto a piedi
la vita ua innanzi ora non terminasse.
Pre' carpacifico into dalle preghiere e dalle per uasion i
della sua fante, e ne andò un giorno a l mercato; e adocchiato
un muletto che alle bisoo-ne sue parevali convene ole per ette
FA OLA TERU. 33

orini d ' r lo compero. enne che a quel mercatu erano


tre buoni compa noni, i quali piu dell'altrui che del suo, st
c me anche <' moderni tempi . i u a, i diletta ano viver .
eduto che bbero pr carpacifico av r il mul tto com-
perato, di e uno li loro : - ompagni miei, v lg-lio che quel
muletto sia no tro. - E come? - di ero gli altri.- Voglio eh
noi ci andi m alla ·trada dove egli ha a pa ·sare, e he l'un
tia lontano d ll'altro un quarto di miglio; iasc- duno d1
noi separatamente li dirà, il mul tto da lui com erato es er un
ino. E e noi staremo fermi in que to detto, il muletto age -
volmente ara no tro . - E partitisi di comun accordo, s'ac -
conciarono u la trada, i come tra loro ave ano deliberato;
pa sando pre' 'carpacific , l'uno de' ma nadieri, fingendo
d'altrove che d· l mercato enir , li di e:- Iddio vi alvi, me -
ere. - A cui ri pose pre carpacifico: -Ben venga il mio fra-
tello.- E di dove enete oi?- di il ma nadiero.- Dal
mercato - ri pose il prete. - E che av te voi di bello om-
perato?- di e il ompagnone.- Questo muletto,- rispo e i
prete.- Qual mule to? - ciisse il masnadier . - Qu . to eh ora
avalco,- rispo e il prete.- Dite voi da do ero, o ero bur-
late meco?- E per h·?- di e il prete. - P rciò che non un
mulo, ma un a ino mi pare.- Come, asi no?- di e il prete .
E senza altr dire, fretto lo amen te egui il uo cammino . . · é
appena ca alcato a e ·a due tratte d' reo, che se li fe' incontro
l'altro com) aO'no, e di eli:- Buon giorno, m sser ; di dove
venete voi?- Dal mercato,- ri po e il pr te.- è bel
mercato?- di se il ompagno.- i hene,- ri po e il pr t .
- A ete fatta \OÌ alcuna buona pe a? - dis e il compagnone.
- i , - ri. po il prete;- ho omperato que to muletto che
ora tu vedi. - i te il vero?- disse il buon compagno; -ave-
telo i comperato er un mulo?- i , - ri po e il rete .
- Ma, in erita, e li è un a ino,- disse il buon ompagno .
-Come, un a mo?-di se il prete;- e piu alcun me lo dice.
voglio di e o farli un pre ente. - E eguendo il suo cammino ,
'inc ntrò nel terzo ompagno, il qu, l li di se:- Ben ·enga
il m1 mes ere· do ete per av ntura venir dal m r _ato voi?-

G. F. TRAPAROLA, Le puu;evo/i noi/r. 3


•1 TTE PRL tA

i , - ris e il prete.- 1a che avete comperato n> i di e \l .


- di il buon compagn . - Ho fatto spesa di questo muletto
che tu v i. - Come mulett ? - di e il compagnone : -di t
dc dover , o rer burlate oi? - I dico da dovera e no n
burlo, - ri pose il buon prete.- h povero uomo! - di ~e
il masna iero ; - n n vi avedete che egli è un a ino e non mu-
lett ? Oh ghiotti, come bene gabbat vi hanno! - Il che in-
t e ndend , r ' carpacific di e: - . ne r duo altri poco fa
m l'hanno d tto , ed io n n ' l crede o. - E ce o giu del mu-
letto di e: - Pigliato, eh· i lui io ti f un present . - 11
c mpagno, pre olo e ringraziatolo della corte ia, ai campa ni
e ne t rnò, lasciando il prete andar alla eqona .
Pre' carpacific , giunto che fu a ca a di alla ina come
egli aveva comperato una cavalcatura, e r dendo i a er com -
perat un muletto, a e a comperato un a ino· e perché per
trada molti ciò detto gli a evan ali ultimo n'aveva fatto un
pre ent . Disse la ina: - cri tian Ilo, non vi avedete che
elli vi hanno fatto una beffa? Io mi pen a o che voi fo te piu
·caltro di quello che oi iete. Alla mi a f ' , che elli non mi
arrebben (r) ingannata. - Di e allora pre' carpacifico : - on
ti affannare di que to, ché, e egli me ne hanno fatto una 10
gliene farò due ; e non dubitare, perciò che i, che incrannat
mi h a nno , n n si contenteranno di que to , anzi con nuova
stuzia errann vedere e potranno cavarmi al una co a da
le mani. -
Era nella villa un conta 10 n n molto lontano dalla ca. a
del prete, ed a e , tra l 'al tre , due capre eh i somiglia ano
he l ' una dall'altra agevolmente cono cer non i poteva. Il
prete fece di quell due mer a t , d a contanti le comperò.
E enuto il giorno seguente, rcl inò alla ina che appar c-
chia e un bel desinare , perciò he voleva alcuni uoi amici
veni er a mangiar con e o lui ; e l' i m o e che ella tolles
-cer ta carn di vitello e la le sa e, ed i polli e il lombo a r-
r tis e . opo le 1 orse alcun pezie ed ordinolle eh li fa-
cesse un aporetto ed una torta , econdo il modo che ell a era
lita a fare . Po eia il prete pre una de le capre, e lego lla
F.\ \'OLA TERZA

un ie e nel coni i , andole da man iare; e l' altra legolla


c n un ape tro. e con e o lei al mercato n'andò .• é fu
al mer ato, eh i tre compagni dell'asino l'eh-
veduto; e acco tati i a lui, di . ero : - en venga il no tro
che andate voi facendo? v lete voi com p rare al-
na c a di b Ilo. - cui ri pos il me re: - Io me ne
•enuto co ti p r i pendere, perci · eh alcuni miei ami i
verrc nn a d mar oggi me quando ·i fu a gra o di
enire an ora oi, mi fare te piacere. - I uoni compagni
m 1t v lenti ri ac ettorno lo invito. Pr ' carpacifico , fatta la
h e i ogna va, mi. e tutt qu Ile robb comperate opra
ella ca1 ra, d in t>r enza de' tre compagni dis e Ila
capra: - Va a a a, di' alla ina he l s i que to vit llo
il l mb i p Ili arro. ti a; e dill che c n que te pezie la
faccia una bu na torta d a lcu no a oretto e ondo l 'u anza
no tra. H ai tu ben inte. o? r vattene in pa . - La capra , ca-
rica di quell r bbe e la ciata in liberta, i parti; ma ne le
cui mani capita . e, non a. 1a il prete ed i tr compagni
t lcuni altri uoi amici int rnioron il m rcat , e parendoli
l'ora, e n 'andaron a ca a del pr t ; d ntrati nella ort ,
ompagni balcor n la apra l gata al iepe eh l'erb
rumma , e cr dett r che a fu. e quella h l
pret a eva mandata a ca a; molto i mara J -
g lior n . Ed entrati tutti in ieme in ca a, di e pre' carpaci-
tì alla 'ina: - 1 ina , hai tu fa tto quell eh ti ho mandato
a dir per la c pra? - Ed ella, accorta ed intend ndo qu Il
vol va dir il pr te, ri p se: -Me sere i; io ho arro tit il
ed i p lli e le. ata la carne di it Ilo. ppre o que to,
fatta la torta il ,ap rett c n lle ezie per d nh· ,
. 1 me mi di la capra. - 'ta bene, - di e il pret
l tre c mpagni, edendo il rosto, il le o e la torta al fu oco,
ed endo udite le p r l della ma. m lt iù che prima
i maravigliorono; e tra l mincior no pen ar opra della
pra, com a r la p te ino. enuta la fine d l d sinare.
a ndo molto pen ato di furar la a ra di gabbare il
prete, 'edendo non pot rn riu eire, di le er , noi
.,6 •· TTE PRI lA

o liamo he oi n Yendiate quella capra . - . cui rispose il


uon prete, non olerla vendere, perché non vi erano d nar i
he la paga ino; e pur quando elli la ·ole ero, cinquama
fiorini d'or l'apprecciava. I buoni compagni, credendo i ayer
robbati panni frane chi, ubit gli annov rorono i cinquanta
fiorini d'oro.- Ma avertite, - di e il prete, - che non vi do-
gliate poi di me; perciò che la capra , non cono endo i in qu e-
ti rimi iorni per non esser a u fatta con s o voi , for e non
fara l ' fretto che fare do rebbe. - a i campa ni nz ' altra
ri po ta darli , con somma a llegr zza condu ser la capra a
ca a; e dis ero alle lor mogli: - imane non apparecchiar t
altro da desinare, fino a tanto he noi non lo mandiamo a
a a. - andati ene in piazza, comperarono polli ed altre cose
he face a no bisogno al loro mangiare; e po tele opr il dorso
della capra che ec condotta a e ano, l'ammae trarono di
tutto quello eh et ole ano che face e e alle loro mogli di -
es e. La c pra, carica di vetto aria, endo in li b rta, i parti ,
e ando ne in tanta bon'ora, che mai piu la idero. enuta
l'ora del de inar , i buoni campa ni ritornarono a casa, ed
addimandarono l loro mogli se la apra era venuta con la
etto aria asa, e e fatto a evano quello che ella detto gli
e a. Ri po er o le donn : - h ciocchi e privi d'intelletto ,
voi i per u dete he una bestia debba far i ervigi vo tri ~
certo v n re tate in annati, p rciò he voi volete ogni giorn o
gabbare altrui d alla fine i rimanete gabbati.- I ompa-
gnoni, edendosi dirisi (2 ) dal prete ed aver tratti i cinquanta
fior in i d oro, s'accesero di tanto furore, he al tutto lo vole -
7ano per uomo morto; e pre e le u arme, a tro arlo e n'an -
darono. Ma lo agace pre' carpa ifi o he non ta a enza
o petto della sua Yi ta ed aveva sem1 re i compagni innanzi
li occhi, che non li fe ero alcuno di piacere, dis e alla sua
fante: - ina, piglia qu sta e cica piena di angue ponela
. otto il g uarnello; perciò he, en ndo qu sti malandrini, da-
ro tti la colpa del tutto; e fing ndo di e er teco adirato tire-
rotti con que to coltello un colpo nell a ve cica e tu , non
altrimenti che morta fo ti a terra cad rai: poi lascia lo
F. L TERZ 37

cari o a me. - . Té ap ena pre' arpa ifico a e \·a finite


role con la fante, che opra<riun ero i malandrini, i quali
r ero ado o al prete per ucci erto. Ma il prete di se: -Fra-
t Ili, non . o la ca io ne perché voi mi o liate offendere . For
uesta mia fante vi ebbe aver fatto alcuno di piacere ch ' io
n n so. - v ltato i ontra l i, mi e man al olt Ilo e ti-
r lle di punta ferilla nella e cica h era di angue piena.
eli , fin en er morta, in terra cad ·; ed il angu
o me un ogni parte orreva . oscia il prete veg-
g ndo il caso trano, fin e di e er pentuto, e ad alta voc
min i · gridare: - h mi ero ed infeli e me che ho fatt' io?
h come cio camente ho ucci o o tei che era il ba. tone della
'" c hi zz mia ! come potrò io piu i' r enza lei?- E pre a
una pi va fa tta al m do uo le\ olle i panni e g liela po e fra
le n atich ; e tanto d ntr offi · , che la Jina rin enne, e a na
alva alt in pi i. Il h vedend i malandr ini re torano
attomt1: e mes o da canto ogni furor , comproron la pi a
p r fiorini due ento , lieti a a a ritornarono. venne eh
un giorno un de' malandrini f e parole on la ua moglie,
d in uel degno le ficc il oltello nel p tto: 1 er la cui botta
Ila e ne mori. 11 marito pre la pi comperata dal prete
CYliel mi e tra le nati h . e fece i come il prete fatto ave
. peran o che rito ·na e i va. Ma in vano affaticava in parger
il fiato· perci che la mi era alma era partita di qu sta vita
n ra ita all'altra. L altro compagno, v d nd que to ,
dis h ci eco, tu non hai aput ben fare ; lascia un p co
fare a m . - E pre. a la 1 ro pia moglie per li capelli, con un
ra. i l t gli le anne della gola· dopo tolta la pi a, le offi
n l martino: ma per que to la me china non re u it . E pa-
riment fece il t rzo: co i tutta tre rima ero privi delle loro
m gli. L aonde . de n ti andarono a ca del prete e non vol-
ro piu udire ue fole ma lo presero e lo po er in un a c
o n animo di affogarlo n l vicino fiume; e mentre he lo porta-
vano per attuffarlo nel fiume, opraCYiunse non o che ai ma-
landrini , onde forza li fu metter giu il pret che era nel sacco
trettam nte legato e fug ir ene. In que t mezzo he il prete
ta a hiu n l a er a ventura ind i pas. ò un pecoraro
l uo gregge, la minuta erba pa cendo; e cos1 pascol.1ndo uch
una la mente ole oce c he dice a:- l me la \'og-liono rur dare,
non la vo !io: eh · io prete c;o n , e prend ere non !et
po o ; - e tutt bi ottito rima e, p r iò che non poteva . a-
l e r don e em e uella ' O e tante v lte ri1 etita. E \·oltato ·i
r quinci r quindi, fina lmente ·i e il acco nel quale il prete
r legato; d a co tato i al acco. tutta ia il prete · if m do
forte, lo ciolse e tro il prete. E addimandatolo per qual
cau a fu e nel acco chiu o e co. i a ltame nte grida . e, li ri-
. po e c he 'l . ignor della citta li ·o leva dar per mogl ie una
ua figliuola . ma che egli non la ole a, i per he era attem-
pato , i anche per che di ragione avere non la pote ·a, per
e ser p rete. [J pa torello , che pienamente dava fed alle fi nte
parole del prete, di se: - Credete 'oi , me ere, che il signore
a me la de e?- Io credo di i, - ri po e il prete, - quand tu
f ti in que to acco, i co me i era legato. - me o i il
pastor Ilo nel a co, egli trettam nte lo leg , e con le p core
da quel luogo si aJiontanò. on ra ancor pa ata un'ora, che
li tre m l ndrini ritornar no al luog dove a e ·ano la. ciat
il r te n l accp; senza g uatarvi dentro, 1 re ero il ace m
.·palla e nel fiume lo gittorno : e cosi il 1 a torello , in ece d l
pr te, la ua ita mi ramente fini. Pa rtiti i, i malandrini 1 re-
sero il cammino ver o la lor a a: e ragi nando in ieme , vi-
dero le pec r e che n n molto lontano pa c a no. nd e deli -
berarono di rubbare uno paio di agnelli ; e acco tati. i al
g r gge (I) id r pre' arpacifìco che era di loro il pa tor .
i mara iglior no molto, p r iò he pen avan eh nel fium
a nn gato i fu e. nde l addimand ron , co me fatto av va ad
u ir d l fiume. Ai quali ri po e il prete: - h pazzi, v i non
, pete nulla. e voi p1u ott m'affocavate , con dieci volt
artant pecore di opra m ne eniva . - Il h udendo , i tre
· mpagni d i m er , voi t i farn qu to bene-
fi cio ? o i n porrete ne' acchi e ne gitterete n l fJUme , di
masnadi eri u lodi di pe ore d iv rr mo. - Di il prete:
- I on a1 par cchiato a far tutto quello eh Y I ag Tada, e
F VOLA 'lERZ. 39

non è co a i n q u to mondo che n ti eri non la fa c es i . -


E tro ati tre buoni acconi di ferma e fi a canevazza, li puose
dentro, e trettarnente che u cir non p te ero, li legò, e nel
fiume li aventò; e o i infelicemente s n'andorono le anime
l ro ai luoghi bugi o e entono et rno dolore: e pre' ~ carpa ­
cifico, ricco e di anari e di pecore, ri ornò a a a, e con la
'ina anc ra alquanti anni alle rament Yis e. -
FAV LA I .

Tebaldo, pr ncii e di alerno, vuoi oralìce, unica ua figliuola , per


roo lie; la quale, per eguitata d al padre, capita in Inghilterra, e Ge -
nese la piglia per moglie, e co n lei ha doì figliuoli, che da Tebald u
furono u ccisi: di che Genese re i vendicò.

(E RITREA:]

- Qua nta ia la pot nza d ' ~more, quanti li timoli della


corrottibile carne, pen. o che non ia alcuna di noi ch e per
i perienza provato non l'abbia. Egli , come potente ignore,
regge e governa enza pada a un solo cenno lo imperio suo:
si come per la pre ente favola che raccontar i intendo , potrete
comprendere.
Tebaldo, prencipe di alerno , amorevoli donne, i come
piu fiate udii d ai no tri maggiori ragionare, ebbe per moglie
una prudente e accorta donna e non di ba o leo-naggio, e di
lei generò una figliuola che di bellezza e di costumi tutte le
a ltre alernitane donne trapassava. ila molto meglio a Tebaldo
sarebbe stato, e quella avuta non ave se; per iò che a enuto
non li sarebbe quello che gli avenne. La moglie, giovene di
anni ma vecchia di enno, venendo a morte, pregò il marito ,
che cordialissimamente amava, che altra donna per moglie
prendere non dove e , se l'anello , che nel dito portava , non
tes e bene nel dito di colei che per econda moglie prendere
intendeva. Il prencipe, che non meno a mava la moglie che
la moglie lui , giur 01 ra la sua testa di osservare quanto
ella gli a veva commesso. Morta la bella donna ed orrevolmente
sepolta, venne in animo a Tebaldo di prender moglie; ma
rìmembrandosi della promis ione fatta alla morta moglie, lo
uo ordine in mani era a lcuna pretermettere non volse . Gia
era divulgato d'ogn ' intorno come Tebaldo, prencipe di alerno,
F . LA Q ART 41

v l a imari tar i ; e l fama perYenne alle orecchi ' 1 ' di m o l


pun ell , le quali e di tat e i ·i rtù · Tebaldo n n era no
inferiori. Ia e<Yli, de idero dempire la volont<t della
mort moglie , tutte uelle puncelle, he in moglie offert
o-li erano , vol e primieramente provar e l'anello dell prima
moglie le con •eni v ; e n n trov ndone verun a a ui l'anello
c n eni. e, perci che ad una era tr pp largo , a l' altra trop o
tretto , a tutte a fatto diede ripul a.
ra venne che la fi liuola di Tebaldo , oralice per nome
-hiamata, e inando un gi rno c l padre e a endo veduto
sopra la men l'aneli della m rta madre q u li nel di t
mi ; e oltatasi a l padre, di e: - edete, padre mio, om
lo anello della madre mia mi i con •i ne al dito. - Il eh
eggendo, il padre lo confirmò. 1a non tette molt tempo
che un trano diabolico pen iero entr nel uore a Tebaldo :
di avere oralic , ua fi<Yliuola , in moglie; e lungamente di-
mor tr il i e 'l no. Pur vinto d l iabolico proponimento
e acceso della ua ell zza, un giorn a é la chiamò e l
dis e: -Dorali e fi liu la mia , ivendo tua madre d s ndo
n 11' stremo dell a ua vita caldamente mi p re. ò che n i un'altra
p r mo lie prender doves i, e non colei a cui conveni . e
l'an ello ch e tua madre vi endo in dit portava; ed i s pra
il car mi con giuramento le promi i di far quant ra il
suo rolere. Laonde, avendo io i perimentate molte puncelle,
né tr vandone alcuna a cui l'anello materno meglio con en<Ya
che a te, deliberai nella ment mia al tutto di averti per
moglie; perci che co i facendo io adempirò il voler mio,
n n ar manche le a tua madr della prome sa fede. - La
figliuola , che era non men one ta che bella, inte a la mala
intenzione del perv rso padre, tra é tessa forte i turbò;
c nsiderato il malvagio u proponim nto , per non contami-
n rl e ddurl o a degno, nulla allora li olle ri pondere,
ma dim ostrando i a llegra ne l 'as ett , da lui i parti.
avendo < lcuno, di cui me<Ylio si fidas e , che la sua balia, a
lei, come a fontana d'ogni ua alute per con iglio liberamente
ricor e. L a quale, inte. o il fellone animo del padre e pien
...j.2 JOTTE PRL\1..\

di mal talento. e ono ciuta la co. tante e forte inttnziune della


gio anetta, atta più to to a ~o tenere ogni gran pena che mai
c n entire al furor del padre la racconfortò promettendole
ai uto , ac iò che la ua virginita con di onore violata non fusse.
La balia, tutta pen. o a a ritrovare il rim dio che alla figliuola
di alute fus e, alta va ora in un pensiero ra nell 'altro, ne
tro a a modo col quale as icurar la potesse; perciò che il fug-
gire d allontanarsi dal padre m lto le ag rradiva, ma la t menza
dell'astuzia . ua e il timore be non l'aggiunge se e uccides e,
forte la perturba a. Ora andando la fedel balia fr neticando
nella mente. ua entro ·vi un nuovo pen iero nell 'animo : che è
questo che intenderete.
Era nell a camera della morta madre uno armaio bellis ·im )
e ottili imamente lavorato, nel quale la figliuola le ue ricche
ve timenta e care gioie teneva; né vi era alcuno eh apnre
ape e e non la avia balia. Co tei na co amente tra se
le robbe g101 che vi rano dentro , e po ele altrov · e mbe
nello armaio un certo liquore di tanta virtu, che chiunque ne
prende a un cucchiaro, ancor che pi ciolo, molto tempo enza
altro cibo viveva; e chiamata la figliuola, dentro la chiuse,
e ortandola che la entro dimora e fino a tanto che Iddio le
porges e migliore e più lieta fortuna, e che il padre dal fiero
proponimento i rim e e. La figliuola ubidiente alla ara
balia , fece quanto da lei imposto l fu. Il padre non raffre-
nando il concupi ibile appetit , né rimoYendo i dalla frenata
·agli , più lte della fi liuola addimandò; e non trovandola,
né sapendo do e ella fus e, 'acce e di tanto fur r , che la
minacciò di farla vitupero amente morire.
on erano ancora trapa sati molti giorni, eh Tebaldo una
matÙna ne l'apparir del ole entrò nella camera do e l'arrnaio
posto era; e edendos l innanzi gli occhi, né pot ndo oa -
rire di ederlo, comand on man che indi levato fu se e
ltrove port to e enduto, acciò h ei da li echi l var ~i
potes e q ue ta ccaggin . Li ser venti , molto presti a' coman-
damenti del lor ignore pre erlo opra le spalle e in p1azza
)o portarono. v nn che in qu l punto aggiun e in piazza
FAYOLA < UARTA

un leale e ricco mercatante genove e; il quale, avendo adoc-


chiato J'armaio bello e riccamente lavorato , di quello forte-
mente ' innamorò, deliberato tra sé te o di non !asciarl o
per danari, quantunque ingordo pregio addimandato li fus e.
eco tato i adunque il O"enovese al ervente che dello armaio
ura aveva , e con enutosi del pregio con es o lui , lo comperò ;
mes olo in spalla ad uno ba taio alla na ·e lo condu se.
lla balia , che gni co a eduta aveva , que to molto piacque.
quantunque della perduta figliuola tra sé mede ima si dolesse
molto. Ma pur si raccon olava alquanto; perciò che , quando
duo gran mali concorreno , il maggiore empre si dee fuggire.
Il mercatante genovese , levato da Salerno con la nave
car ica di precìo e merci, pervenne all'i ola di Britannia, oggidi
chiamata Inghilterra; e fatta scala ad uno luoco dove era
u n'ampia pianura, vide Genese , gia poco tempo fa creato re,
il quale, elocis im amente correndo per la pia(Ygia de l' isola,
. eguita a una belli sima cerva che per timore gia s ' aveva
g ittata nell e marittime onde . Il re O"ia tanco ed affannato per
J'av r lungamente coro i ri1 osava; e v duta che ebbe la
nave al patrone dimandò da bere. H patrone, fing ndo di non
onoscere il re amorevolment l'accettò, facendoli quelle ac-
coglienze che se gli convenevano; e con ingegno ed arte tanto
operò, che lo fec alire in nave. Al re, che gia veduto a e a
il bello e ben lavorato armaio, accrebbe tanto desiderio di
e so, che un'ora mille li pareva di averlo. Onde addimandò
il patrone della na e quanto l estima a; rispose gli fu, a ai
pregio valere . Il re, in aghito molto di i precio a co a, non
si parti di la c he col mercatante i convenne del pregio; e
fatto i recare il danaro , e odi fatto il mercatante pienamente
del tutto , e pre o da lui il commiato, al palazzo lo f ce por-
tare e Ila sua camera porre .
Genese, per e er troppo giovane, non ave a a ncora pr sa
m oglie, ed ogni di la mattina per tempo a caccia andare molto
i di lettava. D oralice , figliuola di Tebaldo, che na. co a . i
ta a n e l'armaio che nella amera di Genese posto era , udi\'a
ed intendeva ciò c he nella amera del re i fac va ; e pen ando
_- TTE PRI L

a' p ati peric li . cominci· di qualche buona so rte .'!Jerare.


E tanto to che il re era della ua camera partito d alla cacci a
andato econdo il co tume suo, la io,·anetta usciva dell ' ar-
maio, e con grandi im ma i ter apparecchiaYa la camera ,
copandola, di. ten end il lett , acconciando i capoletti e
1 nend li pra una coltr la orata a certi compa . i di perl e
gro i i me con duo o-uanzali ornati a mara , -iglia. p res 1,
que to, la bella gio\·ane po e . opra il vago lett ro e , viole
ed altri odoriferi fiori, mes olati insieme n uccelletti ciprian i
d altri odori che piacevolmente olivano ed al c rebro molto
eran confortativi. La gi van piu e piu volte, . enza che ma i
cta alcuno fuss eduta qne. t ordine tenn . Il che a Gene
re era di ommo contento ; perci he, qu ndo O'li veni a
a lla caccia ed entrava nella cam ra , li pare a . er tra tutte
le speziarie che mai nacquero in riente.
ols un di il re dall a madre e dalle damigelle intender ,
hi era colei i gentile ca di i alto animo, che · 1 rnata
ed odorificamente gli appare chiava la amera . cui ri po
fu c he non . ape an cosa alcuna; perciò eh , quando ad ac-
·onci re il lett andavan tutto di ro e di vi le perto e
di oa i odori pr fomi ato lo trovayano. Il che il re int ndendo,
deliber al tutt di a pere onde procedeva la cau a, e fin. e
di and re una mattina per tempo ad uno ca tell , dalla citta
dieci miglia lontano; e chetamente nella camera . i na co
mirando fiso per una fi ura e a t ettando qu 11 ·h avenir
pot e. _, n n ste te guarì che rali 1 iù b Ila eh 'l chiaro
ole de l'armai usci fu ri; me asi a la am ra,
a drizzare li tappeti e ad appare chiare il letto gni cosa, . i
me ella era solita di far , dilig ntemente a conciò . Avend o
adunque la enti! poncella gia pi namente omp iut il degn
e laudevole uffi io, v l e nell armaio entrare; ma il re eh
intentamen te aYea ·eduto il tutto, le fu presto alle palle , e
1 re ala per mano e v dutala bella e fre ca come un giglio ,
la dimandò chi ella era. La iovane tutt tremante di e che
era umca figliuola di un prencipe il cui nome non apeva
per e er gia m lt ne l'armai na co a; ma la cagion e
FA OLA Q ARTA

li i· dirle non vol e. Il re , inte o il tutto , con LOn enti-


mento della madre in mo lie la pre e, e un es ·a lei generò
uo fi li uoli.
Tebatdo ntino ando nel uo malvagio perfid volere,
non tr vando la figliuol che piu giorni cercata e ricercata
· e a, 'imagin he nell arrnaio venduto nascosa i fus e
u citane fuori, anda e per l mondo errando. Laonde, vinto
dall'ira e dal degno, deliber· pro •ar sua ventura, e in luoco
c l un tr vare la pot s e. E e tito i da mercatante e pr . e
molte o-ioie e lavorieri tutti d'oro a maraviglia la arati, da
alerno iscono ciuto si parti; e correndo per diver i pae. i,
abbatté in colui che prim l 'armaio comperato ve a, e i-
mandello se di quello era riu cito in bene, d alle mani di
·hi era per nuto . • cui il mercatante ri po e averlo venduto
l re d'Inghilterra, e averne guadagnato altrettanto di quello
·he gli era co to. Il che intend ndo, Tebaldo i rallegrò , e
\'er Inghilterra pres il cammino; aggiunto, d ntrato n lla
itta regale, pose p r ordine alle mura del palagi le gioie e
la orieri, tra' quai erano fu i e ro che, gridare inc minciò :
- Fusi e roe he, donne!- Il eh udendo una delle damigelle
alla finestra puos ; e duto eh ella ebb il mercatante con
le are robb , orse alla reina, di el che p r la trada era
un o mercatant con rocche e fu i d' ro, i piu belli ed i piu
ricchi he i ede ser giamm i. La reina comandò che su in
palagio venire lo f ces e; ed egli, asc o sopra le scal e v -
nuto in ala, dalla reina non fu conosciuto, perciò che ella
del pa re piu non pensava; ma ben il mercatante conobbe
la figliuola. La reina adunque, veduti i fu i e le rocche di
rnaravigliosa bellezza, addimandò al mercalante quanto eia-
cuna di esse apprecciava. -Ed egli- Molto - ri pose; ma
quando f se aggrada a o tra Altezza ch'io dormi s una
otte nella amera de' duo fio-liuoli vo tri, io in ricompensa -
mento le dar i tutt que te mer i in ono. - La ignora,
·emplicetta ura non av ndo del mercatante alcuno inistro
pensiero a per uasione delle ue donz lle li con enti. Ma
prima he me o fu e dalle erventi a ripo ar , le donzelle
6 -oTTE PRL\1 \

c n la reina determinarono di dar li una !Je\ anda di allop-


piato vino. Venuta la notte, e fing nd o il mercata nte di e er
. tanco, una delle damigelle lo men nella camera dei figli uoli
del re, d ove era a pare chiaro un belli simo letto; e innanzi
che lo pone . a riposare, di e la donzella: - Padre mi ,,
avete voi ete? - cui ri po e: - . i, fig liuola mia; -
pres un icchiere ch e d 'arge nt p re ·a, li por e l'allop -
pi at vino. 1a il mercatante, malizio ·o ed a tuto, pre e il
bicchiere, e finge ndo di bere, t utto il vit o opra le vesti-
menta par e, ed and sene a npo ar .
Era nella camera de' fanciulli un u ciolo , per lo quale
nella tanza della reina entrare , i poteva. Il mercatante ne lla
mezza notte, parendoli oo-ni cosa cheta, tacitamente nella ca-
m ra della reina entrò: e a co tato i al letto, le tolse un col-
te llino che per l'a dietro adocchiato ayeva che la reina al lato
port a; e gito en a lla ulla do,·'erano i fanciulli, ambed uo
ucci e , e ubit il coltellino , co i anguino o, n lla guagin a
ripo e ; e aperta una fi ne tra, si cal (2 ) giu con una fu ne tutta
n do a: e la mattina nell 'aurora andato ene ad una barbaria ,
i fece radere l lunga barba, acci he c nosciuto non fu
estito i de nu vi panni larghi e lunghi , andò per la citta .
Le al i e s nnoglio e, ali' ora olita d tatesi per allattare i
be mbin i e po te i u le culle , trovoron i fa nciulli ucci i.
Laonde c mincioron a gridar fort e dirottament a pia-
o-nere quarciando i i capegli e . tracciando i i panni d i-
nanzi e mo trand il petto. nne ubito la tri ta nova al
r ed a lla reina , i quali , alci (3) ed in camicia, corsero
allo curo pettaculo (4) ; e vedendo li figliuoli morti , amara-
mente pia n ero .
Gia per tutta la citta era parsa la fama dell 'ucci. ione d
li duo ambini , e come era giunto in la citta un famo o
a trologo, il quale secondo i vari cor i delle telle sapeva le
cose pa ate e prediceva le future. Ed e sendo alle orecchi
del r e per venuta la gran fama ua, il re lo fece chiamare; e
venuto al palagio , i appre entò a ua ae ta.. E dimandato
dal re se e li aprebbe dirli chi li fanciulli ucci i ave e, li
l'A\ L A <, UA RTA 47

ri erl . E a c tat i ali' orecchi d l re, , ecretamente


li aera 1aesta , fa eh tutti gli uomini e tutte le
ne che coltell al lato portano ono nella tua corte , . i
a re entino al t uo c n p tto: ed chi troverai il coltello
n Ila uagina an r di .angue macchiato , quello ara de' tuoi
fi liuoli stat il yer omicida. - nùe per comandam nt del
r tutti i rtigi ni ompar er inanzi a lui : il qu l con
r pi · mani ad un ad un ercare li voi e, cruatando con
iligenza e i lor coltelli eran cruentati; né rovandone al un
he bruttato fu e, ritorn allo a trologo , e raccon-
tolli tutto quello eh fa tto avea , né al uno re ar che ricercato
non fu se, sol la · cchia madre e la reina. A ui lo a. trol
<li se: - aera Maesta, c r te bene, n · di niuno abbiat ri-
. r ett , er i' eh . en za dubbio il malfat ore trovar te . - 11
r , c rcata la madr e nulla tro,·andole, hiam la reina; e
pr a la g uagina c he al lato ella t n va, trO\' il oltellin
tutto bruttato di an u . Il re d' ira e di furore ac eso, vedut
l aperti im r m nto , contro la reina i v l di sele:
- Ahi m lvagia e di pi tata f mina, nemica dell pr pie carni!
. hi traditri de' pro1 i figliu li ! m hai tu potuto mai
. fferir di bruttar le mani ne l innocenti simo angue di que ti
h mbini? Io giuro a 10 h ne patirai la penitenza di tanta
~c el raggine c mm sa.- E quantunqu il r fu se infiammato
di gno ùe ider o allora di vendicar i con itu] er a e
di, on ta mort ni ntedim n , a ciò he ella enti maggi r
e più lungo tonn nto. li ntr un nuov 1 en. i r ne l'anim ;
e omand h la r in fu pogliata e o i ignuda, ino
alla gola in terra . epolta e con uoni d licati i bi nodrita,
acciò h , co i lungament vivendo , i vermi l ami u di-
rassino , e ella mag iore e piu lungo upplici ne enti
La r ina h per l addi tr molte altre co e a ·e a mi ram nt
o tenute cono cen 1 l' innoc nza ua, con paziente animo la
grand zz del upplici ft r e.
L a trolo o, intendendo la r ma, me olp voi e . er
ndannata a crudeli imi tormenti, molto i rallegrò , e pre a
li c nza dal re, a i c ntento d'In hilt rra i parti ; giunto
latamente al uo pala io, racc ntò alla balia della figli uo la
tutto ciò he ali era av nuto. ome il re a gra,·c .-upplicio
aveala co ndannata. Il che int nde ndo, la balia dimo:trò fu ori
. egni di letizia , ma dentro fu r di modo . i ramaricava; e
mo a a piet:i della tormentata fiCYJìuola e vinta dal tenero
amore che l por ava, di alerno una mattina per tempo si
I arti, tanto di notte ola aie , ch' al reCYno d' Inghil-
terra aggiun e. Laonde alita . u per le scale del palagì , tro,·o
i l r e che in una p zio a ala audienza 1 re ·tava ; e ingino chia-
ta i a' pied i del re , lì addimandò una s creta audienza di cost.
che all' nore della corona aspettavano. Il re, abbraccia ala.
la fec in pi · levare, e pr ala per mano lic nziò ( ) la brigata
con lei sola i po e a edere. La bali , ben instrut a delle
co e occor e riverentement 1s ·e : - appi, aera orona,
he Dorali e, tua moglie nua figliuola: no n che io l 'abbia
portata in que to mi ero entre ma p r averla lattata n -
d rita con q u te p ppe: è inno ntis ima del peccato p r lo
q uale fu a te a ruda morte mi ram nt d nnata. E quan o
minutamente inte o a erai to co co mani, chi fu l'empio
micida , e la cagion p r cui e li mo se ad u id r 1 uoJ
figliuoli r ndomi erta che tu , m a pieta, subito da
lunghi ed acerbi tormenti la lib r rai . E . e in ciò ar bu-
giarda, mi ffero di offerire quella i t sa pena che ora la
mi er reina patì. ce. - E cominciando da capo fi no alla fine
lì raccon t a p unt a punto tutto quello che era a enuto. ri
re inte a intieramente la co a, di de fede alle parole sue, d
immantinenle fece la reina , che era piu morta che vi a, della
epultura trarre; e fattala con diligenza medicar e ottimam nt
rico erare, in breve temp i riebbe.
Il re d po fece uno apparecchiament grande p r tutto il
uo r gno, e raunò un potentis imo e erci to e lo mand a
alerno dove non tette molto tempo he fe' della itta con-
qui t ; e Teba ldo, con torte fu ni i piedi e le mani tr ttamen te
legate in Inghilterra fu prigione condotto. volendo il re
aver maggior ertezza del gia comme o fallo, . e eramente
c ntra lui proce me solo al martorio iedegli delle buone.
AY LA Q ARTA

piu coiJat , il tutto ordinatament con-


f. il g"i rn on quattr cavalli sopra un carro
r tutta la 1tta menato e on tena li afJo ate attanagliato,
o m Gan di 1 Iaganza f ce q uartare, dan o le sue carni
' ra bi i cani. . i il tri celerato Te baldo mi era-
mente fini la •ita u. d il re e la r ina Dorali e per molti
anni f lic ment i g m , la ian o figliuoli d po
la m re l ro.

G. F. 5TRAPAROLA, L f>tacet~olt notlt. 4


F L \'.

imitrio bazzariotto, intpo to i nome Gramotiv ggio, scoprt Polisse na u


moglie con un prete, ed a' fratelli di lei la manda : da' quai essend(
dla uccisa , imilri la fant prende per m glie .

(A !ANNA:)

- Vedesi il piu delle volte amoro d nne, che nell'amore


è grandissima di a aglianza ( x); perciò che, e l'uomo ama la
donna, la donna disama lui, e, pel contrario, e la donna
ama l'uom l ' uomo ommamente ha in odio lei . Quinci na ce
la rabbia della ubita gelo ia, fugatr ice d ogni no tro bene e
in idiatri e d' gni onesto vivere; quinci na cono i di onori ed
ignominia e morti, non senza grandi ima \ ergogna e vituperio
di noi altre donne. Taccio i trabocchevoli pericoli, tac io
gl'i nnumerevoli mali ne' quali gli uomini e le donne disa-
. Yedutamente incorreno pe r cagion di q uesta malvagia gelosia.
I quali io ad uno ad uno raccontare voles i, i 'l ar 1
p iu tosto di noi che di diletto. Ma acci che io dia fine in
q esta sera a' nostri piacevoli ragionamenti, io intendo di rac-
contarvi una fa ola di Gr moti eggio, per lo adietro non piu
udita; per la quale io enso che i ne prenderete non men
piac re che ammaestramento.
Vinegia , citta per l'ordine delli suoi magi trati n bili sima
ed abbondevole di varie maniere di genti e felici sima per le
ue sante leggi, siede nell'e tremo seno del mare driati co ,
ed è chiamata reina di tutte le altre citta, refugio de' miseri,
ricettaculo degli oppre si; ed ha il mare per mura ed il cielo
p er tetto. E quantunque co. a alcuna non vi nasca, nondim no
è copio issima d' ciò che ad una citta si con iene . In questa
a rl unque nobi le e genero a citta tro 'ava i ai pas ati tempi un
F. \ • LA l'I . TA - l

mercatant azzariotto, imitrio p r n m chiam to , uomo


ale buona e an a vi ma di picciola condizione.
ui , <.le i r o di a r fi<Tliuoli. pre e per mogli e una va
leg,...iadra giovane. n minata Poli ena, la C}uale era i cal -
amente amata da lui. che non fu mai u m eh tanto ama e
i n n a, quant eali ama .. l i. Ila \'e tiYa i pompo amente,
-he non vi era alcun , fuori le nobil i. che di \e. timenta di
gi ie e di gr p rle l' vanza e .• ppre o que. t aveYa
abondanza d cibi l li ati imi, i quali, ltre che alla ba a
ua c nclizi ne n n onY ni' ano , la fa vano piu m rbida e
più d licata di q u Ilo che tata arebb .
. venne he im itrio , che per lo adietr fatt a e a m lti
·tago-t per mar , deliber di andar ene on le u mer i in
C ipro : e apJ arecc hiata e pienam nt fornita la ca a di vetto-
vaglia e di ciò eh ad una a a app rtiene , la ci Poli sena
ua diletta mo lie c n la fa nt o-jo,·ane e rito ndetta: partito i
da \ inegi . ando ene al u iaggio . Poli s na, che lautament
ive a d alle delicatezze entend si d lla per o n,
aitante non p ten lo piu fferir gli a uti dardi d a m re,
ad hiò un pret d Ila ua 1 arr chia, e di quello aldamen te
e. Il quale e endo t yane n n men l gaiadro che
bello, un giorno s'avide eh Poli ena on la coda dell'o chi
lo baie trava. E v gg nd la vaga di a p t o , le<miadra dell a
per ona e l avere tutte quelle qualita di bellezza h ad una
bella lonna i onv ngono, la minciò con molta ollecitudine
·elatament vagh ggiare. Ed i loro animi i fidi i divoti
ti un reciproco amore divenner , che non pa ò m lt tempo
he Poli ena, enza e ser da alcun v duta, condus e il prete
in cac;a a fare i uo i piac ri . E c si molti me i furtivamente
ontinuarono il l ro amore , piu volte ::.li ~ tretti ab raccia-
menti e dolci ba i iterarono , l . iando il . ci eco marito a' pe-
r icoli d l g nfiaro mar .
Dimitr o, essendo tato per alcun tempo in ipro ed avend >
l Ile . ue mercatanzie a s ai ragione olment guadagnato, a
inegia ritorn ; e montato giu di nave ed andato ene a
c a, ritrovò la ua ara moglie cl dirottamente pian eva.
2 ~- TTE PR1~1

E addimandatale la cau a he i f rt mènte piange n-


•p i per le attive nove udite , 1 a nco per la v rchia
allegrezza ch'io ento ella enuta o tra. I m perciò che , a ,·end
io udito ra2i n re da molti le cipriane navi e er nel mare . om-
mer t m a ommament eh al un • ini. tr ca o non vi fu . e
nut .. la ora, p r la Iddi mercé, \edendovi alvo e . ano
a a ritornato, per la oprabondante letizia n n p .. o da lle
lagrime a tenermi. - ll catti ello, eh d i Cipr a in gi a e ra
ritornat per ri taurare il t mpo che per la s u lunga a sen za
la moglie a eva perduto, pen a a che le lagrime le parn l
ùi Poli na proc d m da caldo e en f ndato amore h
ella li porta e; ma non on iderava il mi r Ilo che ella tra
é m de ima dice a: - h ol lddio che e li nell nn -
nac io e onde affo t fo e! p rei che i piu ecuram nt
con ma()'" ior contento mi arei pi dilett ol mi
mante, he c nt m1 ama. -
on a ò il me e che Dimitrio al uo vi g io f e ritorn o;
del h Poli na ne bbe quell a alle rezza che a er ·i p o-
te e la maggior né t tt gran 1 ezza in farl intend re alln
amant uo, il quale non m n eh ella vigilante ta a;
enuta l' ra c nvene ol det rminata, l i cretamente s
n'an ò. a lo andar del pret non puot e er i occulto ,
he a Manu so, che abita a al derimpetto alla ca a di imitri o ,
s uo campar , non fu e eduto. Il p r hé anus o eh m lto
ama a imitrio, p r e er uomo con er evole e ervigiale .
a ndo n n p1 i l o petto della ornare, piu e piu \ 'Olt
le p adun u hiaramente che al pr te, a
certo a c rta ora, era a1 erto l' u cio, ed egli entrava
in ca a e, men cautamente che non si conveni a, con la co-
mar scherza a d lib r di tar eh t , acci che il fatt , eh
era na co t non i ap al a ne gui e candalo; ma
v ol e a p ttare Dimitrio che ritorna e dal uo 1a gio, ac i ·
he egli piu maturam nte pro ede e as1 uoi.
Venuto il temp di rimpatriare a ce m nav ,
e ento a inegia rit rn e montato di
na e a ca a e n g1, p1 chiato all'u la fante andò
F OL QCL'TA 53

11 fin tr ·ed re , e cono ciutolo, c r e 1u. e quasi pia n-


odo per l'alle rezza, li aper e. Poli ena, inte a la Yenuta de l
e giu er la ala , e con le braccia aperte ah-
r ciollo e a ci 11 , facendoli le maggior carezze del mondo.
rch · gli er t nchetto tutt rotto dal mar nza altra
ce na e n and a dormir , e i fi o ' addormentò , che, nza
1 ultime dilettazioni d ' am r c no cere , enne o-iorno. Pa ~· ata
d unqu la buia notte e ritornato il chiaro i rno, imitri(l
cl . tò , e le,·ato i i letto nza di un ol ba cio compia rle ,
a ad un a ca etti n a della qual tra e fu ori cert co. et t
d i non picci l ,·al re; e ritornat l l tto, le appre ent alla
m lie. la quale, p r iò che a ltr ve ·a in capo, de tai d ni
nulla p co tima . i fec
en ne l'acca i ne a imitri eli navig re in Pu lia p r
oglio ed altre co e; e ra c ntatolo alla mo lie, i mi.e in or -
dine per partir i. la l a tuta moglie, fino- ndo della ua par-
t nza aver d lor , il car 7.za a pregando! he o-Ji ole
al uno giorno tare con e s lei ; ma n l uore un giorno l
par a mill che 'allontana e da gli occhi, a ci he nell
braccia del u amatore 1 iu icuramente metter i pote e. A
. Ianu , che edut a e a i l prete piu ' ol t Yagheggiar la
mare e an h far co e eh dir non onvien e, parve far
in :riuri al c n1p r e n n li c pri a quello he ave a v -
duto far alla mo()'lie. La nd d liber , av nga che si oglia ,
di ra c m itat l un g1 rno on lui a de-
stnare, p ti i amen a. diss Ia nu o a imitri : - oml ar
011 . l c pete , e non m ' in anno, ch ' io empr vi amai e l
amer fin he l pirito re o-era que te o a: né è co a quan -
tunque ella iffi ile fus. e, che per ostro amor io non fa e s1;
e quando n n vi fu e in di piac re io •i racconterei o e,
che vi arebb n più to to di noia he i dil tto : ma non
ar iseo dirle acciò che non contamini la vo tra ben di po ta
m nte . 1a se oi aret come io pen o, aggi prud nte ,
ra ffrenaret il fur r , eh non la ci l uomo in maniera al una
c no er il ver . - Di e imitrio: - J n apet \ ' O l eh
iJ tete meco comunicar il tutto ? vete voi per orte uc ·i o
q _-oTrE PRUA

lcuno? di lo e non dubita e. - lo - disst: . lanu. !;U . - no 1


h uc i o alcuno; ma ben vidi io al tru i ucc idere l' onore e la
fama \ ' O tr . - Parlatemi chiaro, -di . e D imitri o, e non
mi tenete a bada con c te t rao-ionare oscuro . \'ok tt: ch l·
i vel dica pa le a mente? - di· e ::Vlanu. so ; ascu lt: te . e por-
tate in pace quello che ora \'Ì dirò . Poli. sena . che \ 'O J cotan t•J
amate e cara tenete, mentre che voi si te altrove. ogni nottr>
giace con un prete e con esso lui dassi piacere e buon
tempo. - eh, c me è po ibil que to? - di e imitrio ; -
conciosi aco aché ella teneramen te mi ama , né mai quin ci mi
parto, he e ll a non empi il . eno di lagrime e l ' aria di so:piri :
e se io lo vede si con gli oc hi, appena lo rederei. - . ·e ,·oi
·arete - disse :\Ianu so, - uomo, come io pen o, di raaione. e
non chiuderete gli occhi, come ogliono molti ciocchi fare ,
faro · i con o-li occhi il tutto eder e con le man i toccar . - Io
no contento - di se imitrio, - di fa r ta nt q uanto voi mi
comandarete , pur ch e mi facciate \·eder quello che prom es o
m1 a ete. - i se a llora Manusso: - e voi farete quello che
io i dirò , del tutto vi certificarete . Ma fate che voi iate
· creto, mostra ndo! allegra ciera beni no nso: altrim nti
i guasterebbe la coda al fasiano . Dopo , n l o-iorno che voi
vi vorrete partire, fingerete di a ender in nave, più ce la -
tamente che potret , verrete a casa mia, he enza dubhio 'i
fa rò il tutto vedere . -
enuto adunqu il giorno che Dimitri s1 doveva parti re .
egli fe e g randis im carezze alla mogli , e raccomand atok
la casa e pre ·a li enza, finse di andare in na ·e, ma nascosa
mente a casa di Manu o i ridu se. Volse la orte che non
passaron due ore che i levò un nemb o n tanla pioggia.
che parea vol e roinare il cielo: né mai quella notte refinò
di pio re. ll pr te, che gia inte a aveva la partita di Dimitri o.
non temendo n é pioo-gia né vento , aspett' l 'ora solita di andare
al suo aro bene· e dato il segno, ubito li fu ap rto l'u cio.
" Ù entr tovi dentro , le diede un dol e aporoso bascio. l l
che ,. d ndo Dimitrio , h ad un pertugio nasco o s1 . tava.
non p t ndo contradi re a quel! ch e 'l compare gli aYeva
FA\' L Qt l .T s.:;

de t . tette tutto a t nito, e oscia i er lo giusto dolore rlie<·e


gli occhi al pianto. Di se allora il compare a Dimitrio: -O r
he \.'Ì pare? a ete mo yedut quello che v i mai non pen·
a e? .. la state heto non ·i 0 omentate, perciò che, . e
oi mi a. col tarete. facendo iò ch'io v: dirò, ved rete c !
meglio. Andate e ponete giu cotesti estimenti, e prendete gli
tracci d'un povero uomo e mettete egli indosso. ed i m pia-
- tracciate\ i di fango le mani ed il viso, e contrafatta lavo e
andatevene a casa, e fingete di es ere un mendico che dimandi
per uella era a lbergo. La fante f rse, veggend il crud
tempo, i movtra a pieta e dara\·vi alloggiamento; cos1 a c-
volmente potrete vedere ciò che voi non orreste vedere.- D i-
m itri o, come intes la cosa, si pogli de' suoi panni e si e ti
de' stra ci d'un mendico che era allora entrato in ·asa p r
alloggiare; e tuttavia fortement piovendo se ne andò all'u ci o
ciella sua casa, e tre ·olte picchiò alla porta, fieramente ge-
men o so pirando. La fante, fatta i alla fin tra, disse: - hi
pi chia la giù? - Ed egli con voce interrotta le ri pose: -Io
no un po ero ve chio mendico dalla pioggia quasi annegato
dimando per questa notte albergo . - La fante, ch'era non
men compassione ole a' poveri he la patrona al prete, cor e
alla madonna, e dimandolle di grazia che ella contenta e, un
pover mendic tutto dalla pioggia molle e bagnato alber o-ar
in casa fin a tanto he egli si riscalda se e rasci ugasse. - 11
potrà portar su l'acqua, menar lo chidone far fuoc , acciò
he i polli più tosto si arrostis ano (2 l. Ed io in que to mezzo
porrò al fu o la pent la ed apparec hiarò le scodelle e farò
gli altri ervigi di eu ina. -La patrona ac ontentò e la fante,
aperto l 'uscio e chiamatolo dentro, lo fece edere pr s al
fuoco: e mentre il po ero menaYa lo chidone, il prete e la
1 atrona i cam ra i soJaccia ano. venne che amenduo, tenen-
dosi la mano, andorono in ucina, e il povero salutarono e
v dendolo 1 impia tracciato , lo bert ggiavano. Ed a co tatasi
la patrona a lui, l dimandò , che era il nome su . m n-
:po e:- rarnoti eggio, mad nna, mi chiamo.- Il che udend ,
la patrona comin i· a rjdersj, eh e l a v bbe potuto
OTTE PRl :1A

ca re i enti. E a bbracciato il prete, di se: - Deh, a nima


m ia dolce, la ciatimi ba ciare; - e vedendo tuttavia il mendic ,
strettamente lo abbraccia a ba ciava. La ciovi pensare di
c he anim i tro ava il marito, eggendo la mogli e es er al -
br cciata ba ciata dal p rete. enuta l'ora di cena, la fa nte
p u e g li ama nti men a, e ritorn ta in cucina, 'acco tò al
vecchiarell o, e dis eli: - Pa rizzuolo mio, la mia patrona l a
m arito co i uo m da bene qu nt un altr che in questa
t ra si s a tr are, né le la eia mancare co a rerun a; e
l di lo a do e il miserell c n que to mal agio tempo ora
i trova; ed e lla , ingrata, n n avendo pen iero di lui, e meno
lei s uo n re, si h l ciata cecare dal la civo amore, acca-
~ezzando l ' amante . uo hiud endo ad ogni a ltro l' u cio, fuo r i
che a lui . Ma , di grazia, andiancene hetamente a l ' usci
dell a amera, e v diamo qu Ilo che fa nno , e come mangino. -
ndatisene adunq ue a l' uscio, vider che l'uno e l'altro 'i m -
b oc ava, dimorand in a morosi ragi namenti. Venuta l'ora dì
posare, a mbeduo andorono al lett , e cherzando in ieme e
olazza nd , c mincior n m aci nare a ricolta; e cosi forte sof-
fia an e menavano le c !cole che il mendico , che nell'altra
a m ra vicina alla sua g ia eva ao-evo lmente i l tutto poteva
c ompre ndere.
Il misero po erell non ch iuse mai g li echi quella nott ;
ma fatto o-iorno , ubito i lev di letto, ringraziata la fante
ella buona mpa ma che ell a fatta gli ave a, ·i parti, e
enza es ere da alcun vedut , e ne andò a ca a di Manusso
uo compare. Il quale rridendo dis e: - Compare, come va
l'arte? avete i per caso trovato q u Ilo che non o levate
ro are? - i er certo , - di e Dimitrio;- e non l'arr i mai
recluto, e con i l ropi occhi non lo a es i vedut . Ma pa-
zienza ! cosi ruol la mia dur orte. - Ma nu o, che aveva
a lquanto del gi tto , dis e: - Compare , io voglio che oi fate
uello ch e io v i dir . La ate i molto bene , e prend te i ostri
panni , e ponete egli in do o; senza p rdere giozzo di tempo,
· ndate ne a c sa, fingendo di non a ervi potuto partire per
la ran fortun a, tate attento che il pret non fugga ; per i ·
F L. QU I. "TA

che, e endo ·o1 m c a, egli i m . co nder~t in qua lche luog o ,


e indi non i p rtira sin a tanto c h e ' l non a b b ia agio di
p rtir i: voi in questo m zz manderet per li parenti dell a
m lie he ·engan a de inare con o voi : e tro\·ato i l
re t 1n c a, f r t uello che voi rrete. -
Piacque m lt a imitri il con iglio di Ianu < ·uu orn-
ar ; ogliat i l ' dra pi e Y ti t i d e pr pi v e timenti ,
a nd alla ua a a picchiando l 'u c io . La fante ve -
er il me sere, ubito · r e alla am r della pa-
tro n a, e h n ra col prete in letto iac ·a , li ·. ele: - ad nna,
me er è ritornato. - Il he int ndend , la donna tutta :i
smarrì; e le a ta i di l tto, q ua nt I iù t o la 1 uote, na cos
il prete, che era in carni eia in una a a, d \'e le ue piu
pompo e estimenta teneva. cor a g iu c n la p lli eia in
·ollo, li ap r e, e di e li : - marito mio , iate l
en venut ; io per amor v tr n n ho mai hiu i •.r li occhi,
p nsando s mpre a que ta gran f rtuna; ma lodato ia Iddio
h sete ritornat a a l ament . - ntrat adunqu imitri
m amera, di e alla m gli : - P li na, i in qu ta notte
er la mal vagita del tempo non bo m i d ormi t ; io \ ' O l n ti eri
orrei alq u nt riposare; ma di qu nto ripo er', la fante
n 'ander a d ' tuoi fr< telli , p r nome no ~ tro g l'inviterà eh
oglin taman nir a de inare con es noi. - cui Po-
lis ena di on o i ma un altro o-i rno li po trete in i-
ta re ; perciò he ra il pio la fant ' oc upata in li ciar
le nostre ami ci , l linciu la e ~.;li altri panni di lino. - 1-

man for e ara migli r tempo -di se imitrio , - e mi on-


' rr partire . - p lis. ena: - i potre t andare·
n n rolend vi andar ·tan o, hiamat Manu o,
n ostro ompare, ui vicin , vi far questo er igi . - Tu
ici bene , -di e Dimitrio. - Manu chiamato, enn e
fece qu nto mm li fu.
Vennero adunque li frat Ili di Poli sena imitrio, e al -
leg r amente desinarono insi me. Le •at la m n a, di se Di -
n11tr1 : - ognati mi i io non vi ho mai m tr ta la ca a ,
né nch le yestimenta h' i fei a Poli na , vo tra sorella
l
TTE PRE\1.\

e n stra r1oglie; e per arete contenti di \·edert cume ù~ me


· ben trattata. Lè ·ati u, Pol i . ena, da edere. e d imo triamo
un p co la ca a a' tuoi fr teli . - E levatasi. Dim'tr.o li di-
m tra\·a i magazzmi pieni di legna, di fermento e d'oglio e
di m ercatanzie; e appr que to le botti piene di mah·ag-ia.
di greco e di altri prezio i e trabocch voli vini. Indi di . e
alla m o-lie: - .tos r, li il tuo pendente e le gro .i ime perle
e di molt bian hezza. Cava fuori di quella ca settina i sme-
ral i, i diamanti e le altr prezio e gioie. r che vi pare.
c gnati ? non è ben trattata la ~Ot·ella vostra? - cur ri. po-
sero tutti:- 1 'oi lo p vam o, e noi, e non a\-e 1mu inte.a
la buona vita e condizion v tra, non vi avere imo data no-
tra orella in moglie. - E non contento di que to, le comando
he le cas e aprir do' e e e li m stra le u helle ,-e ti-
menta di piu orte. la Polissena. qua i tutta tr mante, disse:
- Che fa biso no di aprir ca se e dimo trarli l e imenta
1111 ? i'lon a nno che voi mi av tE:: orr volment ve tita, e
vie più di ciò richied la condizione nostra?- Ma imi trio.
qua i adirat , eli e:- Apri qu ta Cc.S a, apri qu st'altr';
- e m tra vali le vestimenta. Ora resta ·a una ola cas a che
fusse aperta, e di e a non si trovava la chiave; per iò che
v1 ra il prete na o o dentro. I aonde Dimitrio, \ eclendo che
n n si pote a a r la chiave. tol e un mart Ilo, e tant mar-
tellò, che rup1 e la erratura e aper la ca a. ll prete tutto
di paura tremava , né i sepp si occultare. he non fu se da
tutti c no ciuto. l fratelli di Polis ena. questo veggendo, fi -
ramente i turbarono; e tanto d ira e furore si acce er , h
p co mancò che ivi con le olt lla, che a lat ave ano, am ndue
n n uccid ero. ~la Dimitrio non voi e che ucci i fu
perci che vili ima co a estimaYa J'uccid ·re uno ·he
in carni eia q uantunque u mo robu to fu 1 Ia voltato i

verso i cognati, dis e:- Ch ·r pare di que ta mal agia fe-


min a, in cui ogni mia peranza avea gia po ta ? Merito io d.t
lei cotal onore? Ahi misera ed infelice te, che mi tiene ch'io
non ti sieghi le ven ? - La meschina. non pot ndosi altrimenti
i eu che il marit in faccia l diceva ciò
FAVOLA QI.JI!\TA 59

e h egli a\·eva fattO e veduto la precedente notte, intanto che


ella den gar non lo pote a. E voltatosi al prete che ta,·a
ol capo chino, di e: -Prendi i panni tuoi, e levati tosto
di qua e vattene in tal malora, che mai più non ti \'egga;
perciò che per una rea femmina nel ·acro sangue le mani
imbruttare non intendo. Levati to to; che stai tu a fare? - Il
prete enz'aprir la b cca si parti, pensando tuttavia d'avere
imitrio ed i CO<Ynati con le coltella alle palle. Dopo, vol-
tatosi Dimitrio a' cognati di e: - Ienate la orella vo tra
o unque vi piace, perciò che io non voglio che piu mi stia
dinanzi agli occhi. - I fratelli, pieni ùi furore, non andarono
prima a ca a che la uccisero. Il che inteso da Dimitrio,
on iderata la ua fante che era belli sima , e ricordatosi della
compa sione da lei verso dimostrata, in moglie diletta la pres .
E fattole un dono de tutte le vestimenta e <Yioie che erano
della prima moglie, in lieta e gio nda pace con lei lungo
tempo vi se.- -
Era gia l ' ultima fatica del favoleggiare della pre ente notte
giunta al fine, quando la ignora impo e a eia cuno che e
n'andasse alle lor case a ripo are: ritornando però nella se-
g uente era a ridotto, sotto pena della di grazia ua. Laond ,
accesi i torchi che neve par vano, i signori fino alla riva
fur ono accompagnati.

IL FI E DELLA PRIMA NOTTE.


T E ~I

eva gia Febo le dorate r te nelle al onde dell ' indian


mare , ed i uoi raggi non davano piu plendore a lla terra ,
la ua cornuta orella le o ure tenebre con la ua chiara lu ce
ignoreggiava p r tutto, e le vao-he e cintillanti telle avevano
,. .,"a il ielo del uo lume dipinto , qua ndo l ' onesta ed orrevole
compagnia a l luo o olito a fa oleggiare si ri lus e. E me i i
tutti e ndo i grad i loro , a edere, la signora Lucrezia o-
mandò ch e l'ordi ne, nella pre edente era tenuto, in que ta
er ar i dove e. E perci che ci nque delle damigelle re-
ta ano a no ellare , la ignora impo a l Tri i iano che i loro
nomi rive e e nel asetto d 'oro li pones e: traendoli dal
as ad un ad uno, ., om fu fatto nella prima era. Il Tri-
VlgJ.an , ubidiente molto alla ua signora, e qui il amand a-
mento su . E per orte il primo che u i del va , fu ' I ab Ila
il nome: il econdo, di Fiordiana : il terzo, di Lionora: il quarto,
ùi Lodo ica : il quinto fu di icenza. o eia a l uono de' flauti
·ominciorono a arolare, menand il Molino e Lionora la ridda.
Di h le d nne e parimente gli uomini fecero i gran ri a,
·he ancora rido no. inito il ball o tond tutti i puo ero a
. . edere ; e le damigelle una ol e ed amoro a canzon in laude
Iella ·i nora in tal gui a al leg ramen e antor no:
I' di c dirò sempre
n fia chi mai di tal pen ier m1 mut ,
ch'e sempi siete voi d' gni virtut .
(n o-li atti river nti, on ti e aggi,
_T OTTE

ch'e cono de' ei ra 1,


ad rna quel che bello il mond chiam a.
chi e ir n n brama
l'opre gentil. quai fan he mi dist mprt.
d gn non è di fama
né di u tar il ben de l'altra vita,
al cui alor . ra nta c'invita.

init< l 'am or anzone T abella, a cui p r s r te m v ·;t


tnc ato il pnm o luogo della e onda n tte, lietame nt al fa
,·oleggiar · d ied principio co ì di end
fì V LA l.

o , r tl ' n lia, h un fi liuolo nato por o, il quale tre volte ;,i


mariu ; e po ta ·ula ptlle p r ina e diY ntal un belli im o ~iovan ,
fu chiama to re reo .

- Q u nt l' nw , o-raz1 e d nn . ia t nut l u


eh eg-li uomo e non animai bruto l'abbia al m nd ere t ,
non è lingu i ter né i faeond , che i mille anni a offi -
c ienza i l p te e i primere. Per mis viene una favola, a' tempi
nostri a venuta , i uno he nacque porco, e po eia, divenut
b Ili simo gioven , a tutti re p re fu chiamato.
D ete adunque . apere, donn mie are, che Gale tto fu
re ' nglia uom n n m n ncc di beni della fortuna che
de quelli ell' nim ; d ve a per moglie la figliuola li Mattias
re di ngheria Ersilia per nome chiamata, l quale e di bel-
l zza e i virtù e c nesia avanzava oo-n'altra matrona he
a' suoi t mpi i trov e. E si prudentement al ott regge a
il uo r g , eh n n i ra alcu n che di lui ra emente
lam entar si pote . K endo adunque tati lungamente ambeduo
in ieme, volse la sort che E rsili mai non 'ingra rid . 1l che
all'un e l'altro di piac va molto . enne he Er ilia, pas-
. eggiand per l suo giardin , andaYa raccogliend fiori: ed
e sendo gia alquant la . a, ad cchiò un lu o- 1 ien di ver i
erbette, acco tata i a quello, i puose a ed re· in itat
d l onno e da o-Ji uccelli, he u per li \'er i rami d lcement
cantavano, 'addorment . llora per ua buona entura pas-
rono per l'ari tre altiere fa te: le quali, yeogendo l'addor-
mentata giovan , i fermor no, e con id rata Ja lei bellezza e
leggia ria i consigli r no in ieme di farla inviolabile ed affa-
tata . Rima ero adunque le fate tutta tre d' ccordo. La prima
disse: - Io oglio co tei inviolabil ia: e la prima nott che
- TTE ECO ·n.\

iacera col uo m ito. ino-ravidi: e di lei nasca un figl iuol o


he di b llezz non abbia al m ndo pare . - L 'altra di . se:
d io ogl io che n i uno ffender la po ·i. e che 'l figliuolo,
c he na era di l i, ia o tato di tutte quelle \'irtù e g ntilezze
c he 1 p ino imaginare . - La terza di e: - Ed io voglio eh
lla ia la piu c:;avia e la piu ri ca donna che i truovi : ma
he ' l fìo-liuolo , che ella con iperà, na ·a tutto cop rt di pelle
di porco , e i gesti e le maniere, h egli fara, siano tutti cl=
porc : né mai po si di tal . tato u ire , e prima n n sarann ' •
da lui tre mogli pre e.
Partite che fur n le tre fate . r ilia . i d st' : m ont i-
nenti le ata i da edere pre e i fì ri che ra colti ave a, ed
al palagio ne torn · . on pa oron molti gi rni, eh Er il i a
inl:> avid ; a ... iunta al de iderato parto, partori un figliuolo,
le cui membra non erano umane , ma por ine. Il che andatn
a lle orecchie del re e della reina , ine timabile dol r ne en -
tiron . Ed acci · h tal parto non ridonda . e i n it 1J rio della
re ina ch e l uona e santa era, il r piu f1at bb a nimo di far lo
uccidere e g ttarl nel mare. Ma pur rivolgendo nell'animo
di retamen te pen an do c he ' l fì rrli u lo qual eh i fu . s era
generato da lui e era il angu uo , de t giu oo-ni fì ro pr -
ponimento che prima nell 'animo av va, abbrac iata la pietù
mi ta l dolor l a l tu to non om b tia, ma c me
a nimai r azional e alleYat e no it fu. . Il bambino a unqu e,
dilio-entemente nodrit , . ovente veniva alla madre , l at si
in piedi le poneva il grognett le zampette in o-rembo . E la
1 iet a madre ali' in ontr lo ace r ezza a ponendo li le mani
opra la pil a s hiena, d abbr c ia alo a ciava lo non
a ltrim nti che cr atura uma na fu se. Ed il ba mbin avm -
hia a i la coda, e co n evidenti imi ni le matern carezz
e erli molto grate le dimostra a. Il porcelletto , e endo al -
q uanto ere ciuto, cominciò umanament parl a re e a ndar ne
per la itta· do e erano l'immondi ie l lordure, i com e
fanno i porci dentro e li cac ia a. opo , cosi lord e pu z-
zolente, i ritorna a a ca a: e accostato i al padre d all a
madre e fregando i int rno alle timenta !or , tu e d e


l'A OLA PRI 1A

e gli le im rutta 'a; t: perciò che egl1 li era un co


liu ol , gni co a pazi ntemente afferivano.
Tra gli altri n iorn a ca a enn il porch tto: e m e~-
1, lordo e . reo o e era, sopra le e timenta della
madre o nendo le di e: - Io, ma r mia, vorrei mari-
armi.- Il che udendo , la madre ri po e: - pazzo che tu
ei, chi uoi tu che per marito ti prenda? Tu ei puzzolente e
orco; e tu vuoi che uno bar ne o cavalier sua figliuola ti
i ? - A cui risp e grognendo h e l t tto oglie vole\ a .
a reina, non apendo in ci · govem r i, he
obbiam noi fare? oi ·ed te a che condizione noi si o-
i mo. Il figliuolo nostr uol moglie, né fi.. lcuna he m
marito prend r lo 'oglia. -Ritorn ato il porchetto alla madre,
altamente grogn ndo dice a:- Io oglio moglie, n· ma1 e -
ar· infìno a tanto che io non abbia quella io an ·he oggi
ho eduta, per iò che molto mi piace. - Costei era figliu la
una overella he aveva tre fi liuole: e cias heduna i lor
era bellis ima. _ ue to intend ndo, la reina u ito mandò a
hiamare l po erella con la figliuola mao- iore , e dis le :
adre mia diletta, v i iete po 'er e ari a i figliuole ;
v 1 onsentir te tosto v n errete r ic a. Io ho quest fi liu l
por o, lo rrei maritare in que ta o tra fi liuola ma !!Ìore.
No ogliate ere risi tto a lui che è por o, ma al re t a
me; ché, al fine di tutto il r gn no tro eli ara osseditrice. -
a figliuola, qu te parole udend , molto i turbò : e en tta
ros ome ma tutina ro a, di se he p r modo alcuno a tal
cosa ons ntir non •ole a. pur si dolci furono le par le
lla o erella, he la figliuola c ontent . Rit rnato il porc
tu to lordo a ca_a, cor e alla madre; la qual li i ; - Figliu l
m i , noi ti abbiamo trovata moglie e di tuo odi faci ento . -
fatta nir la po a, e tita di nore olissime e. timenta re-
ali, al porc la pre entò. Il uale, eggendola bella e ra-
zio a, tutto o-i li : e co ·i puzz lent e porco la intorniava,
acendole col gru n e on le zam e l ma gior arezze che
mai porco faces e. Ed ella, perci che tutte le ve timenta le
hru ava. in ie ro lo spi n eva. a il por o dice a]e: - Perch ·

' · F. TJ<A PAROLA , u piace •uh ltOlll.


66 ~ TQTTE ECO. "DA

in etro mi spin i? non ti ho io fatto coteste vesti menta ? -


A cui ella, u erba a lteramente dis e:-. é tu , né 'l tuo reame
d e orci, mai me le facesti.- E enuta l ora di andare a ripa-
re, di e la giovane: - Che voglio io fare di que ta pu zzo-
le t be tia? Que ta notte com'egli ara in ~ U 'l primo onno,
l'uc iderò. - Il porco, he n n era molto lontano , udi le
parole , e altro non di e. Andatosene adunque a l'ora debita
il porc , tutto di letame e di carogne impia tracciato , al poro -
p so letto, con il grugno e con le zampe lev· le ottilis ime lin-
zuola, e imbruttato ogni cosa di fetente terco, appresso la sua
s o a si coricò. La quale non tette molto che s'addormentò.
la il porco, fingendo di dormire con le acute zanne i forte-
m ente nel petto la feri , che inc ntanente morta rimase . E le-
tosi la mattina per tempo, e n'and , econdo il suo costume,
a pa cer i e inlordarsi. Par e lla reina di andar a visitazione
d Ila nuora : e andata ene e tr vatala dal porco ucci a, ne senti
grandis imo dolore. E ritornato il porco a casa, e agram nte
ripreso dalla reina, le rispo e, lui a ere fatto a lei quello che
ella oleva far a lui: sdegnato si parti.
on passarono molti giorni, che 'l orco da capo timolò
la madre di volersi rimaritare nell 'altra arella; e quantunque
per l reina li fu se c ntraddetto molto, nondimeno egli osti-
nato al tutto la voleva, minacciando i porre ogni co a in roina,
quando egli non l'a esse. Udendo que to, la reina an ò l re
e racc ntògli il tutto; e egli le dis e che manco male ar bbe
farlo morire, che qualche gran mal egli nella citta facesse.
Ma la r ina, che madre gli era e che li portava g rande amore ,
non poteva patire di rimanere pri a di lui , ancor che porco
fusse. E chiamata la poverella co l'altra fig liuola, ragionò
lungamente con e e loro; e poi che ebbero molto ragionato
insieme di maritaggio, la seconda accontentò di accettare il
porco per suo spos . Ma la co a non and ad effetto i come
ella de idera a; perciò che il porco la ucci e come la prima,
e di ca a to tamente i parti. E ritornato ali' ora debita al
palagio con tanta lordura e letame he per lo puzzare non
li poteva a icinare, fu dal re e dalla reina per l'eccesso
F VOL A PRDlA 6-1

c mrnes o villaniggiato molto. Ma il porco arditamente li


ri pose, lui a ere fatto a lei quello che ella intende ,·a di
fare a lui .
. . é tette molto che me ere lo porco ancor tentò la reina
di oler i rimaritare e prendere er moglie la terza orella, che
era ie piu bella che la prima e la econda. Ed e sendo li la
dimanda al tutt negata, egli di averla mag iormente olleci-
ta v a, minacciando con paventevoli e illane parole di morte
la reina e per po a non l'a eva. La r eina udendo le ozze
vituperevoli parole, e nti va nel cuore i fatto tormen to , che
quasi ne era per impazzire. E mes o da anto ogni altro u
pensiero , fec e venir a é la poverella e la terza ua figliuola ,
Meldina per nome chiamata, e dis ele: - Meldina, figliuol a
mia, v oglio che tu p re ndi me er lo porco per tuo spo o: n ·
aver ri petto a lui , ma al padre uo e a me; ~hé e tu saprai
ben es er con e so lui, arai la piu felice e la piu contenta
donna che i trovi. - ui Meldina con sereno e chiaro viso
ri po e che era molto contenta, ringraziandola a ai che
dignasse accettarla per nuora . E qua ndo altro ella non aves e,
l arebbe bastevole di pover Ila in un in tante e er enuta
nuora d 'un potente re . entendo la r ei na la gr ata ed amore-
v o le ri posta, non puote per dolcezza gli occhi dalle lagrime
asten re . Ma pur teme a non avenisse a lei come alle altr
due era avenuto .
Ve ti tasi la n uo a p o a di ricch vesti menta e p rezio. e
gioie , aspettò lo uo caro spo o ch e enis e a ca a. Venuto
che fu mes er lo porco piu lordo sporco che mai fu e, la
po a beni gnamente lo ricevette, di tendendo la ua prezio a
veste per terra, p regandolo che i coricas e appre so lei . La
reina le dice a ch e lo ping da parte · ma ella ricu ava di
pi ngerlo , e tai par ole alla reina di e:
Tre cos ho gia entite ra con ar ,
aera Cor na eneranda e pia:
l'una, qu l h ' è impo sibile truo are,
andar cercand , troppo gran pazzia;
l altra, a quel tutto ~ de non pre tar ,
' TrE :ECO. ' DA

che 'n ·é non ba ragion né dritta vta;


la t rza, il d n prezio •J e rar
c hai nell mani, fa che 'l t nghi car1 1.

e er lo p reo, che n n dormi a ma il tutto chiarament


intend a, levatosi in piedi, le lingeva il i o, la gola, il petto
e le spalle ; ed ella all'incontro l'accarezza a e bascia a, si che
gl i tutto d'amore i accendeva. Venuta l'ora di po are, an -
d ossene la po a in letto, a pettando che ' l uo caro sposo se
ne eni se; e non tette molto che 'l po. o tutto lordo e puz-
zolente, e n'andò al letto. Ed lla , levata la coltre, e lo fece
venire appres o, e opra il guanciale li conciò la te ta, copren-
dolo bene e chiudendo le cortine, acciò che freddo non patis e.
es er lo porco, venut il giorno , e avendo la ciato il mate-
rasso pieno di terco se n 'andò alla pastura. La reina la mat-
tina andos ene alla camera della po a: e red ndo i ved re
1 che per lo addietro dell altre due v duto a e a, trovò
la nuora allegra e contenta, ancor che ' l letto tutto di lordura e
arogne imbruttato fu e. E ringraziò il sommo Iddio di i fatto
dono, che uo figliuolo a eva tr vata moO'lie di uo contem .
on stette gran pazio di tempo, che me. ser lo porco, e. -
do c n la sua donna in piacevoli ragionamenti le di ~e:
- Mel dina, moglie mia diletta, quando io mi credessi che tu non
appalesassi ad alcuno l 'alto mio secreto , io, non enza gran-
di sima tua allegrezza , ti scoprirei una co a che fin ora ho
t nuta nasco a· ma perciò che i ti cono co prudente e savia,
e eggio che mi ami di perfetto amore orr i di ciò farti par-
te ipe. - icuramente . copritemi gni vostro secreto, - di s e
1eldina, - ché io vi prometto di n n manifestarlo, enza il
vo tr olere, ad alcuno. - icurato adunque me er lo porco
dalla moglie, si tra se la puzzolente e p rea pelle, e un vago
bellis imo giovane rima tutta quella nott con la ua
Meldina strettamente O'Ìacqu . E im ostole che il tutto dove
tac re , perciò che era fra poco tempo per u eire di i fatta
mi eria, si lev di let o: e pr sa la ua poglia porcina, alle
im mondizie, i ome per l' addìetr fatto aveva. i diede. La cio
· YOLA PRI. l.\

ciascuno pensare quanta e qual fu - e l'allegrezza di Meldina,


eggendo i accompagnata con i leggiadro e i polito giovane.
on tette guari che la giovane se ingravidò; e venuta al
termine del suo parto, partori un belli imo figliuolo. Il che
al re e alla reina fu di grandissimo contento. e massimamente
he non di be tia, ma di creatura umana tene a la forma.
Parv a 1eldina e erle molto carico tener celata co. i alta e
mara iglio a éo a; e andata ene alla uocera, disse: - Pru-
dentis ima re10a, io mi credevo esser accompagnata con una
be tia; ma voi mi avete dato per marito il piu bello, il piu
ertuoso e il piu acco tumato giovane che mai la natura crea e.
Egli, quando viene in camera per accoricarsi appres o me, si
spoglia la puzzolente . corza, e in terra quella di1 o ta, un atti-
lato e leggiadro giovane rimane. Il che niuno potrebbe cre-
dere, se c n gli occhi propi non lo vede ·e. -La reina pen ava
he la nuora burlas e· ma pur diceva da dovero. E addiman-
datala come ciò potes e vedere , ri pose la nuora: - Verrete
que ta notte su 'l primo . onno alla camera mia, e trovarete
aperto l'u cio e vederete ciò che io vi dico, essere il ero. -
Venuta la notte e a pettata l'ora che tutti erano andati a po -
are, l reina fece accendere i torchi, e con il re se n andò alla
camera del figliuolo: ed entrata i dentro, trovò la porcina peli
che da l 'un lato della camera era posta giu in terra; e acco-
tatasi la madr al letto, vide il uo figliuolo essere un bel-
lissimo g i van : e 1el ina, sua moglie, in braccio strettamente
lo teneva. Il che vedendo, il re e la reina molto i rallegro-
reno: e ordinò il re che, avanti alcuno indi i partisse la pelle
fu se tutta minutamente stracciata; e tanta fu l allegrezza del
re e della reina per lo rinno ato figliuolo che poco mancò
che non se ne mori sen . Il re Galeotto, veggendo a re
fatto figliuolo e di lui figliuoli, depo e la diadema e il manto
regale, e in u luogo on grandis imo trionfo fu oron to il
figliuolo, il quale, chiamato re porco, con molto odisfacimento
di tutto il popolo re se il regno, e con Meldina, sua diletw
moO'lie, lungo tempo felici simamente visse. -
F OL II.

Fil e nio Sisterna, colare, in Bologna v ien da tre belle donne beffato , e<i
egli con una fi nta festa di ciasched una i vendica.

[ANTONIO MoLINo:]

-Io non a rei mai creduto , aloro e donne , né pur imagi-


nato che la signora mi ave se dato carico di over favoleg-
giare: e ma simamente toccando la olta alla signora iordiana,
a enutale per orte. Ma po eia che a ua Altezza cosi piace,
ed è di contentamento di tutti , io mi forzerò di raccontare
co a che 1 ia di . odi faciment . E e per a entura il m io
ragionare, che Iddio non voglia, ·i fos e noioso, o che pa~-
as e di one ta il termine mi averete per iscu o, e inco lpar te
la ignora Fiordiana la quale di tal co a n'è ata cagione.
In Bologna, nobili ima citta di Lombardia, madre d e'
tudi e accomodata di tutte le cose be si convengono, ritro-
avasi uno colare, gentiluomo creten e, il cui nome era Fìle-
nio istern a, giovan e l ggiadro amorevole. venne che in
Bologna i fece una b Jla e magnifica fe ta , alla quale furo no
invitate molte donne della citta e delle piu belle; e vi concor-
er molti gentiluomini bologne i colari, tra' quali vi era
Filenio. ostui , si c me è usanza de' giovani, agheggiando
ra l'una ed ora l'altra donna , e tutte molto piacendoli, d i-
po e al tutto volere car lare con una di esse loro. Ed acco-
tato i ad una che Emerenziana si chiama va, moglie di messer
Lamberto Benti ogli , la hiese in ballo. Ed ella, che era gen-
tile e n on m n ardita che bella, non lo rifiutò. Filenio adun -
q ue , con lento passo menando il ballo e alle alte tringendole
la mano, con ba a voce cosi le di e: - aloro a donn a,
tanta è la bellezza vo tra , che enza alcun fallo quella trapa sa
FAYOLA ECOx TD - i

o ni altra che io ve es i giamai. E non vi · ùonna vc:ru n


a cui cotanto amore io orti, quando alla Vostra Altezza: la
quale se mi corrispondera nell'amore , terrommi il piu contento
e il piu felice uomo che i truovi al mondo; ma altrimenti
facendo, tosto edrammi di vita privo , ed ella ne sara stata
della mia morte cagione. Amandovi adunque io, signora mia,
com'io fo ed è il debito mio, voi mi prenderete per vostro
rvo , disponendo e di me e delle co e mie, quantunque pic-
ciole siano, come delle vo tre proprie. E grazia maggiore dal
ci lo rice ere non potrei, che di venire suggetto a tanta donna ,
la quale come uccello mi ha preso nell'amorosa pania. - Eme-
r enziana, che attentamente ascoltate ave a le dolci e grazio e
parole, come persona prudente, finse di non aver orecchie , e
nulla rispose.
Finito il ballo e andata i Emerenziana a sedere, il giovane
Filenio prese un'altra matrona per mano, e con esso lei comin-
ciò ballare; né appe na egli ave a principiata la danza, che
con lei si mise in tal maniera a parlare: - Certo non fa me-
stieri, gentilissima madonna, che io on parole i dimostri
quanto e quale ia il fervido amore che io vi porto e porter
fin che questo pirito vitale reggera que te deboli membra e
infelici os a. E feli ce anzi beato mi terr i, allora quando io
vi a essi p er mia patrona, anzi singolar signora. Amandovi
adunque io i come io vi amo, ed e sendo io vostro, i come
oi agevolmente potete intendere, non arrete a sdegno di rice-
vermi per vostro umili simo servitore, perciò che ogni mio
bene e ogni mia vita da voi e non altronde dipende. - La
gi vane donna, che Pantemia i chiama a, quantunque inten-
desse iJ tutto, non però li ri po e, ma la danza onestamente
egui ; e finito ìl ballo, orridendo alquanto si puose con le
a ltre a dere.
1on tette molto che lo innamorato Filenio pr se la terza
per mano: la più genti le, la piu graziata e la piu bella don na
che in Bologna allora si tro as e; e con esso lei cominciò
menare una danza, facendosi far cal le a coloro che s'appres-
avano per rimirarla; e innanzi che i terminasse il ballo, egli
/2

le di e tai parole: - ne ti ima madonm., for e io p··HC:rò


non poco 1 ro ontuoso scoprendovi ora il celato amore che io
,.i portai e ora p rto; ma non incolpate me, ma la vo tra hd-
lezza, la quale a eia caduna altra donna vi fa superiore , t:: me
come vo tro manciplo tene. Taccio ora i \'Ostri laudevoli n-
turni; taccio le egregie e ammirabili \'O tre \'Ìrtu, le quali
no tante e tali, che hanno forza di far discendere giu d'alto
iel uperni Dei. Se adunque la vostra bellezza, accolta J•er
atura e n n per arte, aggradisce agli immortali Dei, non è
mara iglia se quella mi stringe ad amar ·i e tener ri chiusa
nelle viscere del mio cuore. Pregovi adunque, gentil signora
mia, unico refrigeri della mia Yita che abbiate caro colui
che per oi mille volte al giorno more. Il che facendo, io
riputerò a er la vita per Yoi, alla cui grazia mi raccomando. -
La bella d nna, che inforosia {l) si appellava, avendo ottima-
mente inte e le care e dol i parole che dal foco o cuore di
Fi lenio u civan , non p uote alcuno so piretto nascondere: ma
pur considerand I' o n or uo e h e era maritata, n i una risposta
li diede; ma, finito i l ballo, se ne and al suo luogo a !"edere.
E. endo tutta tr na a pres o l 'altra quasi in cer hio a se-
dere, ed i tertenendosi in piacevoli ragi namenti,· Emerenzian ,
moglie di mes er Lamberto, non gia fine di male ma bur-
lando, di se alle due compagne:- Donne mie care, non \'i ho io
da raccontare una piacevolezza che mi è a enuta oggi ?- E
che?- dì sero le c mpagne. - fo - disse Emerenzi na - mi
h trovato, arolando, uno inn morato il p iu bello, il piu leg-
giadro e il piu gentile che si possa trovare. Il quale dice esser
si acceso di me per la mia bellezza, che né giorn né notte
non tro a ripo o;- e puntalmente le raccontò tutt d c1e
gli le aveva detto. Il che intendendo, Pantemia e info ro ia
dissero quello medesimo c ·ser avenuto a loro; e dalla fe ta
non si partirono, che age olmente con bbero uno istes o esser
at colui che con tutt· tre aveva fatto l' am re. li perché
chiaramen te comp resero che quelle parole dello innamorato
nu n da fede amorosa ma da folle e fittizio amore procedevano ,
t a ue parol pre tarano quella credenza che pre tare si suole
FAV<ILA "ECO. ' DA 73

a' ogni degli inferm i o a fole de romanzi. Eù in di nun s1


partirono, ch e tutta tre concordi i dierono la fede ùi operare
si c he ciascheduna di lor da per é li farebhe una beffa, e
di t l or e, che l innamorato si ricorderebbe empre che anche
le donne anno beffar e.
Continova ndo adunque Filenio in far l'amore quando con
l'una, quando con l'altra, e vedendo che ciascheduna di loro
faceva sembiante di volerli bene, i mise in cuore, se possi-
bile era, di ottenere da eia cheduna di loro l'ultimo frutto
d ' amore; ma non li ·enne fatto si come egli bramava ed ra
il e iderio uo, perciò che fu perturb to o ni suo disegno.
Emerenziana, che non pote a offerire il fittizio amore del
ciocco scolare, chiamò una sua fanticella as ai piace oletta
e bella, e le impose che ella dovesse con bel modo parlare
con Filenio e isponerli lo amore che sua madonna li porta:
e quando li fusse a piacere, ella una notte vorrebbe esser con
e so lui in la propia ca a. Il che intendendo, Filenio si alle-
grò, e di e alla fante:- Va, e ritorna a casa, e raccoman -
dam i a tua madonna, e dille da parte mia che questa. era la
mt spetti, gia che ' l marito suo non a lberga in casa . - In
uesto mezzo Emerenziana fece raccoo-liere molti fascicoli di
pongenti spine, e poseli sotto la littiera dove la notte gia e a,
e s tette ad aspettare che lo amante •enisse . Venuta la notte,
Fi lenio pre e la spada, e soletto se n'andò alla casa della sua
nemica; e datole il segno, fu t tamente aperto. E dop che
ebhero insieme ragionato alq uant e lautamente cenato, ambe-
duo andarono in camera per riposare. Filenio appena si ave ·a
pogliato per girs.:!nc alletto, che sopragiunse mes er Lamberto,
uo mar ito. Il che intendendo, la don na fin e di marrir i: e
non sapendo dove l'amante nascondere, g li ordinò che sotto
il lçtto se n'andasse. F il enio, veggendo il peri olo s o e della
donna, sem:a m etter i alcun e timento in do o, ma olo con
la camiscia, corse sotto la littiera: e cosi fieramente si pu n e ,
che non era parte veruna del suo corpo, cominciando dal capo
insino a ' piedi, che non gitta se ang-ue. E quanto piu egli in
quel scuro vo te a dife ndersi dalle pine, tanto maggiormente
74

1 pungeva: e non diYa rid e, cciò che messer Lamberto


non lo udis e e u cides e. Io la cio con iderare a voi a che
termine quella notte i ritro a e il mi erell o; il quale poco
manc che enza la co a non re ta e i come era rimasto
enza la fa ella. enuto il gjorno e partito i il marito di ca a,
il po ero olare meglio eh egli puote i ri esti, e cosi san-
guin o o a casa s ne torn , e tette on non picciolo spa ento
di morte. 1a curato diligentemente dal medico, riebbe e
ricuper la pri tina alute.
on pa rono molti gi rni, che •ilenio segui lo uo inna-
moramento facend l'amore con le altre due: cioè con Pant mia
e inforosia · e tant fece he ebbe agjo di parlare una sera
con antemia, alla quale raccontò i uoi lunghi affanni e con-
tino i tormenti, e pregolla di lui pieta a ere do esse. L'astuta
Pantemia , fingendo a erli compas ione, i iscusa a di non
aver il modo di poteri accontentare; ma pur al fine, inta
da' suoi dolci preghi e cocenti o iri, lo introdus e in ca a.
Ed e sendo gia pogliato per andarsene a letto con s o lei,
Pantemia li comandò che anda . e nel am rino i vi icino, ove
ella tene a le ue acque nanfe e profumate, e che prima molto
bene si pr ofumas e, e poi se n'anda e l letto. Il colare ,
n n 'avedend dell'a t 1zia della mal a ia donna, entrò nel
camerino; e po to il piede . opra una ta ola diffitta dal travi-
celle che la tene a, nza pot r i riten re insieme con la
tavola cadé giu in uno ma azzin terreno nel quale alcuni
mercatanti ten vano bambaia e lane. E quantunque di alto
cade e, niuno però male i f ce nella caduta. Ritrovandosi
adunque il scolare in quello oscuro luogo, cominciò brancolare,
e scala o uscio trova se; ma nulla trovando, maladiceva l'ora
e ' l punto eh an temia cono ciuta a e a. Venuta l'aurora ,
e tardi accortosi il mi erello d ilo inganno della donna vide
in una parte el magazzino certe fis ure nelle mura che al-
quanto rende ano di luce; e per es ere antiche e grommose
di fa tidiosa muffa egli cominciò con mara igliosa forza ca-
are le pietre dove men forti pare ano: e anto cavò, he
egli fece un p rtugi i grande, he p r qu llo fuori e ne
F. V LA . ECOND_\

c1. E troyand in una calle non molto lontana dalla pu -


lic trad , co i calcio e in carni eia pre e lo cammmo
·er o il uo a lber o, e nza e ere 'alcuno cono ciuto, n-
tr m asa.
inforo ia, che <Yia a ev inte a l 'una e l'altra beffa fatta
Fileni , 'in egn di farli la terza, non min or delle due.
cominciollo con l coda ell'occhio, q uan o lla lo vedeva,
tare, dimo trandoli che ella i consuma a per lui. Il c -
lare, gia domenticat delle pa ate ingiurie , cominciò pa eg-
giare dinanzi la a a di o tei facendo il pas ionato. Sinforo ia,
a edendosi lui e er gia del suo amore oltre mi ura acceso,
li mandò per una ecchiarella una lettera, per la uale li
dimo trò che egli con la ua bellezza e gentil costumi l'a a
i fieramente pre a e legata, che ella non tr vava ripo o n
di né notte: e erci , quando a lui fu se a ado, ella de i-
d era a, piu che ocrni altra cosa, di poter con es o lui fav el-
lare. Filenio presa la lettera e inte o il tenore non con i-
derato l' inganno e memorato delle passate ingiurie, fu il piu
li to on olato uomo che mai i trovas e. E presa la arta
e l penna, le ri po e c he e ella lo mava enti ·a per lui
tormento , che era ben contracangiata perciò che g li piu ama a
l i che ella lui, e a o ni ora che a lei ci pare e, egli ra
a' uoi servigi e comandi. Letta la ri po ta e tro ata la o por-
tunita del tempo, inforo ia lo fe ce venire in casa, e dopo
m lti finti o piri li dis e: - Filenio mio, non so qual altro ,
he tu, mi a e mai ondotta a que to pa o al quale c n-
d lta mi hai; imperci che la tua bellezza, la tua leggiadria
il tuo parlare mi han posto tal fuoco nell'anima, be come
ecco l gno mi sento abbru ciare. - I l che sentendo, il colare
tene a per certo che Ila tutta trugges e per suo amore .
Dimor ndo adunque il cattivello con inforo ia in dolci e l -
lette li ragionam n ti, e parendo li ornai or di andar en a
letto e coricar i a lato lei, di e inforo ia: - Anim mia d lce,
innanzi che noi an iamo a letto, mi pare con enevole c sa
ch e noi i ricon for iamo alquanto; - e presolo per la mano,
l condus e in uno camerino ivi icino, dov era una ta ola
-oTTE ~EC • DA

pparecchiata con preziosi confetti e ottimi vtm. :\.\ e\·a la sa


ace donna allo piato il ino per far che egli s'addormentas e
fino a cert tempo. Filenio pre e il nappo e lo empi di quel
in , e non avedendosi dell' ino-anno intieramente lo bevé.
Re taurati gli piriti, e bagnato i con acqua nanfa e ben pro-
fu at 1, e n'andò a lett . on tette guarì che il liquore
operò la sua virtu, e il gim;ane si profondamente s'addormento,
eh 'l grave tuono delle artigliarie e di ogm altro gran stre-
pito mahge olmente destato l'arebbe. Laonde inforo ia, vc-
dend che egli dirottamente dormiva e il liquore la ua ope-
razione ottimamente dimo trava, si parti; e chiamò una sua
fante o-iovane e gagliarda che el fatto era con apevole, e
amendue per le mani e per li piedi pre ero il colare, e che-
t mente aperto l'uscio, lo misero opra la trada tanto lungi
da ca. a, quanto sare be un buon tratto di pietra. Era circa
un'ora innanzi che puntasse l'aurora, quando il liquore perdé
la ua irtu e il mi erello si dest ; e credendo egli er a
lato di inforo ia, si trovò calzo e in cami eia e emimorto
da fr ddo o-iacere .opra la nuda terra. Il po ·erello, quasi er-
duto delle braccia e delle gambe, a pena si puote levar in
piedi; ma pur con gran malagevolezza levato i, e non potendo
qua i affermar i in piedi, meglio che egli pu te e seppe, enza
esser d'alcuno eduto, al uo albergo ritornò, e alla sua salute
provedé. E e non fusse tata la giovenezza che lo aiut , ·er-
tamente egli sarebbe rima o attratto de nervi.
Filenio, ritornato ano e nell'e ser che era prima, chiuse
dentro del petto le pa ate ingiurie, e senza mo trar i crucci. to
e di portarle odio, finse che egli era di tutta tre vie piu inna-
morato che prima, e quando l'una e quando l'altra vagheg-
giava. Ed elle, non avedendosi del mal animo che egli avea
contra loro, ne prendevano trastullo, facendoli quel vi o alle-
gr e quell benigna e graziosa ciera che ad uno vero inna-
m rato far si suole. Il o-iovane, che era alquanto sdignosetto (4),
piu volte volse giocare di mano e signarle la faccia; ma come
savio considerò la grandezza delle d nne, e che vergognosa
o a li arebbe tata a percu tere tre feminelle, e raffrenos i.
y; YOLA 'ECO. "D 77

n a a adunque ripen a a il gio..-ane qual Yia in Yendicar.·i


tener do es e; e n n venendogli alcuna, molto fra é ·t <="
i ramarica a. A ·enne do o molto pazio di tempo, eh( il
io ane imagin di far co a er la quale al suo de iderio
· ge olmente odi far pote e· e i come gli enne nell animo.
la f r tuna fulli favore ole.
eY Filenio in Bologna a pigione uno belli , imo pala-
io, il qu le era ornato d'un ' ampia sala e eli lite camere .
gli e erminò i far una uperba e onorata fe ta e in itare
m ]te donne, tra ' quali i fu sero ancor merenziana, P antem1a
e inf r ia. att l'invito e accettato, e Yenuto il io n)
dell' onorevol festa tutta tre le donne, poco . avie, enza pen-
ar plU ltr , e n'andaron . endo l 'ora di rinfre a r l
do nne con r centi vi l Ì e preziosi confetti, l'a tuto gio ne
prese le tr innamorate per mano, e con molta piacevolezza
le m nò in una arnera pregandole eh i rin fresca eno l-
quanto. nute ad n ue le pazze e ciocche tr onne in ca-
mera, il iovane chiu e l 'u ci della camera, e andato ne a
loro dis e: - ra , mal ·age femine, è enuto il temp he
1 m1 endicher di i e farov ·i portare la pena dell'in iuria
fa tami er lo mi grande amore. - Le onne , ud nd qu ·te
par le rima er piu morte che i e, e comincioron ramari-
a r i molto d'aver altrui offe o; e appre o qu sto, maladice-
vano loro medesime che troppo i a evano fidate in olui he
diare v no. TI s ola r on turbato e mina ole i. o
c man he, per quanto car o ave an la ita loro , tutta tre
ignude s 1 poglia ino. Il he intend ndo , le o-hi ttonc II 1
u tarono l'una c n l'a ltra, e dirottamente c min iarono a
pian re: pregancl l , non gia p r loro amor , ma p r ua
rte ia e innata um ni ta l'onor suo n ervato le fu e. Il
g io ane he d ntro d i tutto gode a tn c1 1 u m lto
corte e : non olse però eh nel uo cospetto
sero. Le donne ittate i a' piedi del colar , la-
grime umilmente lo p re orono licenziar e le do e , e h di
si gra e scorno non fu 1a g li , ch e gia fatto a v
d i diamante il cuore,
7 • · oTTE ECO. DA

endetta egno. po liate i adunque le donne e rimase come


nacquero, erano co i belle io-nude come ve tite. Il g iovane
olare, riguardandole a capo a' piedi e v edendole si belle
e i delicate he la lor bianchezza avanzava la ne\·e, comin-
ciò tra é entire alquanta ompa ione; ma nella memoria
ritornandoli le rice ute ingiurie e il pericolo di morte, scacciò
d é ogni pieta, e nel uo fiero e duro proponimento rimase.
ppresso questo l'a tuto gio a ne tol e tutte le estimenta loro
altre robbe che in do so portate ave ano e in uno came-
rino i i icino le po e, e con paro le a sai spiace oli le ordinò
che tutta tre, l'una a lato dell 'altra, nel letto i corica sero.
Le donne, tutte gomentate e tremanti da terrore , dissero :
- Oh insen ate noi, che diranno i mariti, che diranno i pa-
renti no tri c me i sapra che noi iamo qui i tate ignude
tro · ate ucci e? Meglio arebbe che noi fu imo morte in fa cie,
che es er con tal ituperoso corno manifestate.- Il colare ,
vedendole coricat l una appre so l'altra, come fanno marito
moo-li pre e uno linzuolo bianchis imo ma non molto ot-
tile acciò che n n tra pare ero le carni e fu sero c no ciute,
tutta tre coperse da capo a piedi : e u cito i di camera e
chiuso l'uscio trovò li mariti loro che in sala danzavano; e
finito il ballo , menolli nella camera dove le tre donne in letto
giace ano , e di eli: - ignori miei 10 i ho quivi cond otti
per dar i un poco di olacio e per mo trarvi la piu bella osa
che a' tempi vostri vedeste giammai; - e appro imatosi al
l ·tto con un torchietto in mano, leggermente cominciò le var
il linzuolo da' piedi e invilupparlo, e di coperse le donne sino
alle gin cchia; ed ivi li mariti videro le tondette e bianche
gambe con i loro i nelli piedi mara igliosa co a a r iguardare.
Indi di copersele ino al pett , e mostrolli le candidissime
co cie che pare ano due colonne di puro marmo, col rotondo
c rpo al fini simo alabastro omio-liante. opo, coprendole
piu in u, li mo tr il teneretto e poco rilevato petto con le
due popoline ode, delicate tonde, che arebbeno costretto
il ommo Giove ad abbracciarle e ba ciarle. Di che i manti
n prendevano quel trastullo e contento che imaginar i puole.
FA • L. ' ECO · o.-\ 79

L cio en voi a che termin i troYavano le n11 er e


infelici donne, qu ndo udi ano i mariti uoi prendere di loro
trastullo. Elle ta ano hete e non avano citire, acciò che
c n ciute non fu er . I mariti tentavan il colare che le
di copri e il olto; ma gli, piu prudente nell'altrui male che
ne l uo, on entire non voi e l 1 ). n contento di questo , il
gi ane se lare pres le vestimenta di tutta tr l donne e
m trolle ai mariti lor . I quali, vedendo! , rima ero con una
ce stupefazione che li rodeva il cuore. opo con !rrandi -
sima meraviglia piu inten amente riguardandole , di e a no tra
sé:- on è que t il ve timento che i f i a lla mia onna?
n è que ta la cuffia che io l compr i? . on uesto il
p ndente che le discende dal coli innanzi il petto? o n on
que · i gli anelletti che l porta in dito?- sciti di amera ,
per non t urba r la fe ta non si partirono m a cena rimasero.
Il giovane colare, che gia avev inte o e er cotta la cena
e ogni cosa a l di screti im sini calco appare chiata, ordinò
che <rn' uno i pone e a men . E mentre che g l' invitati
mena ano le ma celle, lo col ritornò n Ila camera dove
le tre donne i n letto giacevan o; di ·copertele, disse : - Buon
giorno, madonne; avete oi uditi i mariti vo tri? Eglin qui vi
fu ri con grandi sim de 1deri vi a pettano 'edere. Che di-
m rate? Levatevi u, dormiglione; non b, da liate, ce ate
ornai d i tro icciarvi gli occhi, pr endete le ve timenta o tr
e enza indugi p netevele in do so, ché mai è tempo di ir
in sala do' e le !tre donne i a pettano. - E cosi le berteg-
giava e con diletto le teneva parole . Le consolate donne,
dubitando che 'l cas u a e e qualche rude! fine, piange-
a n e di eravano ella lor a lu te. E co i ang ciate e da
d o lor t ra fitte, in piedi i le aro no, piu la morte che altr
aspettando. E oltatesi verso il o la re , dis ero: - Filenio,
be. ti ei oltre modo di noi endic to; a ltro non i resta e
n che tu prendi la tua tagliente pada e n quella tu ne ·
dia la morte la qual noi piu eh ogni altra co a de ideriamo.
E se questa grazia tu non ne vu i fare, ti preghiamo almeno
isconosciute a casa ne 1 sci ritornare acci che l onor nostro
o UTTE ECO 'D

.·al •o r ima ga. -Parendo a Filenio aver fatto assa1, pre:e


li uoi panni: e datili, ordi nò he ubito i rivestis ero:
r i ·estite che fur n , per un uscio secreto fuon di ca a le mandò ;
e co i eraognate, enza er d'a lcuno cono iute, alle lor
a e rit rnorono . pogliate i le loro 'e timenta che indo~so
ave an , le poser nelli l r forcieri, e calidamen e .·enza andar
al letto i mi ero a la orare.
Finita la cena, i mariti ringraziarono lo scolare del uon ac-
cetto che fatto gli aveYa, e, molto piu, del piacere che a evan
a uto i n vedere i deli ati corpi che i bellezza a anzavan il
sole: e pre o da lui il combiato, i partiron ed ai loro alber -
a hi ritornoron . Rit rnati dunque i mariti a ca a, trovarono
le loro mogli che nelle lor camere pre il fuoco sedevano
eu i an . perché i panni, l'anella e le gioie da' mariti
vedute nella camera di Filenio li da ano alquanta suspizione.
a ciò che niuno so petto li riman es , eia cun di lor addì -
mandò la su donna dove era stata quella . era e dove erano
le sue e timenta. i quali ia cheduna di loro arditamente
ri spo e che di ca a quella notte uscita non era: presa la
hiave della as a dove erano le robbe, limo trò le estimenta.
l a nella ci· che i mariti fatto gl i ave no. Il che edemi
i mariti non apendo i he dire , rimaser cheti, raccontan do
mi utamente alle loro donne tutto quello he gli ra quella
notte a nuto. Il he intendendo, le mogli fece ro sembiante
di n n a er nulla; e dopo che ebbero alquanto ri o, i s o-
gliorono e 'andarono a ripo are. r on pa sorono molti giorni ,
che Filenio piu volte per strada ' incontrò nelle ue car ~
mad nne, e dis e: -Qual di noi ebb maggi r spa ento ? qual
i noi fu peggio trattato? - ~1a elle tenend gli oc hi chini
a terra nulla ri ponde ano. Ed in tal gui a lo scolar meglio
he gli eppe e puote, enza attitura a l una . virilment ~ ~
Yendic d Ila ricevuta in iuria. -
L IJJ.

arlo d' nmmo am. Te d ia, ed Ila non ma lui, p rciò che ave a a
io la · r "nita pr m cr d ndo i arlo con violenza abbrac-
ciarla, in vece di lei abbraccia pentole, caldaie, chidoni e covigli;
e tutt di ner tinto, da' propi ervi iene fieramente battuto.

[ LIONO :]

- La favola, onne mie car dal Molino artefi io am nte


ra contata, mi ha fatto rimover da quella che mi era n l-
l'animo di ir ; e un altra raccontar i oglio, la quale e
non m in nno, n n ara di min r piacere alle donn , che
fu la ua a gli uomini. quanto piu la sua fu lunga e
alqu nto nveneY le, tL nto piu la mia ani bre one ta.
ic 1 adunque pia oli donne, eh Carlo d' rimino , i
com pen o alcuna di voi apere fu uomo gu rregg ole,
di pr giatore d'I dio b t mmiatore d ' anti, omicida, b -
stiate d dito ad ogni ecie di effeminata Ius uria. E tanta
fu la mali nita di lui e tali e tanti i vizi dell'animo, he
non a e a pare. o tui, e endo io ane l ggiadro e riguarde-
ole, fortemente s'accese dell'aro r d'una o-iovanetta, figliuola
d'una pover edo a; la quale, ancor he ave e biso no
on la figliuola in gran ne e sita vi e e, era p rò di tal con-
izione, he piu to to i arrebbe la ciata morire da fame, he
consentire la figliuola pecca se. La gio ane, che Teodo ia
chiama ltre che era bella e piac v l , era anche one ta,
acco tumata e di c nuti pensieri dotata; i era intenta al di-
vm culto e alle orazioni, h n 11 anim le temporali o al
tutto prezza a. arlo a unque, infiammato di lascivo amore,
di giorno in giorno la olle ita a, e il di che egli non la Ye-
de ·a, da doglia i senti ·a morire. Piu olte egli tentò c n

G. F. TRAPAROLA , Le piacevoli ttoiti. 6


.1. OTTE ECO. -oA

l u inghe, con o n i e con mb a ci ate rid urla a' suoi p i aceri,


ma egli nel ver 'affaticava indarno, perciò che, come gio -
e 1 rudente e avia, ogni c s r ifiutava, e cotidianamente
pregava Iddio che lo rimo e e da tai di onesti pen. ieri. 'on
potend il giovane far piu re i tenza a ll 'ardente amore, anzi
be tial furore , e ramaricand i di es er refu tato da colei che
piu eh la vita ua amava, propo e nell'animo, intraveng-a
che si voglia, di rapida e c ntentare il uo c ncu pi cibile ap-
p tito. Ma pur t mea far tumulto, e che ' l popolo he l'odiava
mol t , non l uccidesse; ma vint dalla sfrenata voglia e di-
enuto come rab ios cane, c mpo e con duo uoi ervi, uom ini
audaci simi, di v lerla affatto rapire.
Laonde un giorno, nell'o curar della sera, egli pre le
ue armi, e con i duo erventi se n 'andò alla ca a dell a gio-
vane; e trovato l'usèio aperto prima che entra e dentro co-
mandò a gli servi facessero buona guardia, né, per quanto
cara hanno la vita sua, lascia seno alcuno entrare in casa o
fuori u eire, fino a tanto che egli non ritornas e a loro. I sen· i,
desider si di compiacere al suo padrone, ri p ero che fareb-
bero qu nto gli era da lui impo to. Avendo adunque Teodo ia,
con qu l mezzo non so, la venuta di Carlo persentita, dentro
d una povera cucina subito soletta si rinchiu e. alito allora
Carlo u per la cala della picciola ca a , trovò la ec hia
madre, la quale, fuori d' gni sospizione d'e sere in tal gui a
alita, a filare L ta va: e dimandolle dell a figliuola ua . da
lui tant esiata. L'onesta donna, e uto che ebbe il gio-
v ne la ci o armato, piu to to al mal fare che al bene tutto
inchinevole, molto i smarri, e nel vi o come per ona morta
pallid divenne , e iu v lte voi e gridare; ma pen ando he
nulla far bbe, prese partito di tacere e metter l' onor uo nelle
mani d'Iddio, in cui molto i fida a. E pre o pur alquanto
d'ardire, e oltat il viso contra a Carlo, co i o-li di e: - Carlo
non s con qual animo e con qual arroganza ei tu qui enuto
a contaminare la mente di colei che one tament viver de id ra.
e tu sei enuto p r bene, Iddio, munerato · del tut o , ti dia
ogni giu to e one to c ntento ; ma quando altrimenti fu e , il
F_ V LA TERZA 3

che Iddio no l o lia u faresti gran male a \'oler con Yitu-


erio on eguire quello che non ei per mai avere. pezz~
adunque e rompi cote ta frenata voglia, né vogli tuore alla
fi!Y}iuol mia quell che tu rendere non le puoi giamai, cioè
1' onor del corpo uo. E quanto piu tu ei di lei innamorato ,
tanto lla ma gior odio ti porta, endo tutta data alla ir-
inita. -
arlo, udite le compa ione ro li parole della ecchiarella,
a. ai i turbò; né per que to i mo se dal uo fiero proponi-
m nt ma come pazz mise per o ni parte della casa a
ricercarla; e non la ritrovando, al luoco della picciola cucina
ne gi, e troYatala rinchiu a, pen che ella, come era, dentro
yj i fu e: e guatando per una fi ura della porta ide la Teo-
do ia che in orazi ni i tava, e on dolcis ime parole la co-
minciò pregare che aprire lo ole se, in tal guisa dicendo :
- Teodosia, ita d lla mia ita appi he io non ono qui
·e uto p r macolare l on r tuo, lo qu le piu che me te o
am o, e l reputo mio ; m per ac ettarti per propia mogli ,
quando d a te ed alla madre tua fu a grado. d io v rrei
e er omicida di lui eh l ' onor tor ti voless . - Teodo i a,
he attentamente a olta a 1 par le di ari , enza altro in-
du io ri ndendo co i di se: - Carlo rimo iti da co e to
pertinace v ler ; perci he per mo lie mai non ei per
avermi erché l mia virgin ita ffer i a colui he 'l tutto
yede e regge. E quantunqu a mio mal grado con iolenza
il cor o m i ma chia ti non però la b n dispo ta mente, la
quale dal principi del mio na cimen al mio fattor donai ,
c ntaminar potre ti. Iddi ti diede il lib ro ar itri o ac iò tu
il bene e il male e op rasti quello he piu ti a ·-
ui adunque il bene che arai detto irtuo o, e
ntrari , che è detto 1z1o o. -
dopo eh vide nulla giovare le sue lu in he, e
entendo i rifiutare, né otendo ili far re i tenza Ila fiamma
c he g li abbruscia a il cuore , come gi ane piu furib ndo
che prima, la eia te le parole da nto, l' u cio, il quale non
m lto forte né m lto icuro era con poca difficulta ad ogni u
. ·oTTE ECO ·o.

l uon p1 cer p r Entr to adunque arlo nella picciole ta


c ucina e ·eg en dam iueJla pi na el i ora zia e ct' incom -
ell ' m r uo piu furiosamente infiammato,
o i u di rdinat a p ti t a ll ra d l tutto ade m p i re:
e le a ·entò ad o o , non altrim nti h volontero o •. ù
a ffamato ·eltro alla timidetta le re. 1a la misera Teodo. i ; 1,
end li iondi a ei par i dopo le palle, ed e ndo ten uta
tretta nel coli div nne pallida e d eb le di mod he qua i
IU mo er non i poteva. Laonde ella levò la mente al ci lo.
d a Id i dimand occor o. App na era fornita la m ntale
razione eh Teod ia mir olo amente par e, d a arlo
lddio i fort mente abbarbagliò il lume d 11' intell tto , che più
co a buona non con ea; credend e li di t car la da mi-
a lla abbrac iarla ba ciarla e in sua balia a rla altr no n
tringe a altro non abbrac iava né ba eia a e n n pento le,
caldai chidoni c vigli ed altre imili o e che erano p r la
ucina. A endo aia Cari saziata la ua frenata v glia il
ulnerato p tto da capo m ver i entendo , cor ancora act
abbracciar le c ldaie, non altrimenti che le m mbra di Teodo ·ia
fu sera . E i fattam nt il v lto e l mani dalla caldaia tint
rima ro , che n n arlo , ma il d monio pa reva .
In que ta ui a adunque avendo Cari aziat il u a)-
petito , e pare ndogli o-o-imai tempo di partir i, di ner
tinto e e iu della cala. Ma i du ervi che pr o l'u
facevano la guardia eh muno ntra u ci se , eggendolo
osi contrafatt e di i at m v1so , he più di b tia he di
umana creatura la embianza teneva , imaginando i he il de-
mom qualche fanta ma egli si fu , voi ro c me da c a
m truo a fu ggir . a fatti i con mi li or animo a ll' incontro ,
guatatolo ttilis imamente nel volt , e v dutolo si diform e
brutto di molt ba tonate il caricarono e con le pugna he
di ferr pare ano tutto il viso e le pa11 li rupp ro , né li
la ioron m apo capello che b ne gli ales e : né conten ti
di ci lo gittarono a terr , , trae iandagli i panni da do o e
dandogli calzi e pugna quante mai n puote portare ; e tanto
pe i era no i alzi he i ervi li da ano che mai Carlo non
fAv L T ERZA

la b c a ed intendere l u perché co i cru -


er te an . :\1 pur tanto fece, he u ci delle lor
mam: e ia e n fu 1, en and tuttavia a rli dietro le
arlo adunqu e end da , uoi er i enza p ttin oltra
arminato, ed a ndo per l dur pu na li occhi
o-onfi che ua i n n di erneva, or er la piazza
e f rtemente r m rican rvi uoi he l'a e-
·an 1 maltrattat . La guardia iazza, udendo la ·oce
d il lament che egli fac va, li andò all'i ncontro e ve -
i diform l vi tutto impia tracciato, p n · lui
ualche pazzo. E n n es endo da alcuno per arlo c -
n s iuto , oo-nuno il minciò deleggiar e gridare: - alli,
d l li , ché o-li è pazz ! - appre s qu to alcuni lo pinghie-
\'ano, altri o-li sput· v no n lla fa ia altri pr nd vano la
minuta 1 ol e li l av ntavan n o-li echi. E o i in
randi 1m pazio di tempo lo tenn r , infì n a tanto che l
rumor and all orec hi del 1 retor ; il quale levat i di
l tto fatto i alla fine. tra he guarda a opra la piazza, di-
mand eh era inLra enuto , eh osi gran tumulto i face a .
n della uardia ri p e che era un pazz eh mett a la
piazza tutta otto sopra. Il che intendend 1 il pretor d mand ·
h , l at 1 li fu e menat inanzi. co i fu e equito. arlo 1
h per l adi tr era da tutti m lto t mut 1 v d ndo i e r
a t , eh rnit e maltrattato n · apend che ra i ono ciut 1

a ai di ci eco i m a i liava · ed in tanto fur re div nn


che quasi ruppe illac i che legato lo teneva. ~ endo adunqu
' arlo con otto dinanzi al pretor , ubit il pr tor lo conobb
che e Ii era arlo da rimino : né puote altr ima inare 1 sa lv
uella lordur e diformit pr eva per cau a di T dosia,
uale egli ap va he ommamente ama a. Lao nd minci ·
lu in arl d ac rezzarlo, pr mettendo li di punire ol r che
d i tal ero- n a rano tati ion . arl h an ra n n a-
li par e un etiope, stava tutto o pe o; ma po ia
hiaramente onobbe lui e ser di bruttura tinto, che non
u mo ma bestia are a, ns quello i te che 'l pretore
im ginato 'a\e a. mo o a degno, giur di tal ingiuria
6 NOTTE ECONDA

Yendicarsi, quando il pretore non la punisse. Il rettore, venuto


il chiaro giorno, mandò per Teodosia, giudicando lei aver fatto
ciò per magica arte. 1a Teodosia, che tra sé considera\'a il
tutto ed ottimamente cono ceva il pericolo grande che le po-
teva avvenire, se ne fuggi ad uno monasterio di donne di santa
ita: do e na co amente dimor , servendo a Dio, tutto il tempo
della ita sua con buon cuore. Carlo dopo fu mandato allo
a sedio di uno castello, e volendo fare mag iori prove di ciò
che li con ene a, fu preso come vii topo a trappola; perciò
che volendo ascendere le mura del castello e primo mettere
lo stendardo del papa sopra li merli, fu colto da una gro, sa
pi tra, la quale in tal maniera il fraca sò e ruppe, che non
puote appena dir sua colpa. E cosi il malvagio Carlo, come
meritato aveva, senza sentire ero frutto del suo amore, la sua
vita miseramente fini.-
A\ L IV.

Il monio, entendo i mariti che si lamentano dell loro mooli, pr nde


il ia Ballastro ptr m glie e sparino Bon io per compare del-
l' nello: non potend con la m glie 1ver , si parte! ed entra nel
orpo del lJuca di .Ielfi, e asparino uo compar fuori lo accia.

[BENEDETTO TR!V IGI A :]

La leg erezza e oco enno che o i i trova nella nu g-


r p rte delle onne , parlando tutta ia di quelle che enza
con ide razione alcuna i la ian abbar a liar gli occhi del-
l' in t lletto e ercano di adempire o ni su frenato desid r io,
mi da cagi ne che io racconti a que ta orrevole compagnia
una faYola n o n piu per lo adietr intesa: la quale, quantunq ue
bre e mal compost ia, pur p ro d ra alcun ammae tra-
mento a voi donne di non e ere o i mol ste nell'a e ni re
a' mariti o tri, ome iete stat fin ora. E e io sar mor-
dace, non accu.ate me he a tutte voi minimo r itore no,
ma incolpate la ignor nostra he mi ha la ciata la briglia
che io po si, si come ancor voi udito avete, ra ntar qu Ilo
eh più m'agcrrada.
ia gran tempo fa graziose donne, che av nd il d monio
pre en tite le gra ·i querele che facevano i mariti contra le loro
mo li, determin di maritar i. presa la forma d'u n leggiadro
p lito giovan e e de' denari e de' pod ri a m da to molto,
Pangrazio tornell per nome i fece hiamar . par a la
fa na fuori per tutta la citta, vennero molti sen ali , i quali li
afferivano donne belli ime e con molta dote; e tra le altre
o-li fu propo ta una nobile e genti l donna di somma b llezza,
ilvia Balla tr p r nom chi mata: la quale al monio molto
piacendo, per moglie dil etta la pre e. Quivi furono le nozze
8 OTTE ECO. ·o.\

grandi ime e pompo e, e m lti parenti e amici d,t l'una e


l 'altra )arte furono invitati: e venuto il giorno ÙI spo arla,
t l e per com are dell'anello un me er a parino da ca' Boncio,
e finite le solenni e ontuo e n zze, ondu e la ua diletta ilYia
a casa. n pas orono molti giorni, che ' l d monio le disse:
- il i . oglie mi , piu eh me . te o da me amata, tu puoi
a ge lme nte c mprendere quanto cordialis imamente ti ami : e
questo l'hai potuto edere per molti effetti. E endo adunque
o i come eramente è, tu mi concederai una grazia , la qual
e te a ni f cìllima a me di ommo contento. La brazia che
io ti dimando , è eh tu ad ora m'addimandi tutto u ll o che
imagin a re uò, i di estiment come di perle, gioie ed altre
c e eh a donna p s i no app · rtenere ; perci che delibera i.
p r l 'amore ch'io t i p rt di c ntentarti di tutto ciò che mi
a dimanderai, se ben les e un stato: con questa però con -
dizione , che nell 'avenire tu non abbi a mole tarmi per tal .a-
gione, ma eh queste co e ti iano ba teyoli per tutt il tem po
della ita tu : né altro cerch rai d a me , perché altro non
a erai. - ilvia, tolto il termine d i ri pon ere al marito , se
n n dò alla madre eh na ta ia i di manda va e perch é era
a lquant vecchia, era parimen te a tuta: e le raccont iò che ' l
marito detto le aveva, e chie ele consiulio quello addimandare
dove se. La madre, auace e aputa molto , inte a la p ropo ta,
prese la pen na in man e cri e tante co e, che un a lingua
in un giorno intiero n n arebbe ba t \' l la minima parte a
raccontare: e dis e alla figliu la : - Ritorna a casa, e di al tuo
marit che ti faccia tutto quello che si tro 'a critto in que. ta
carta, ché rimarrai c ntenta . -
Sil ia, partitasi dall a madre e anda ene a casa ' appre -
entò al marito, e chie egli tanto quanto nella scritta s1 con -
teneva. Pangrazio, letta la ·critta e ben con iderata di se alla
moulie: - ilvia, g uata bene he non ci manchi co a al una,
acciò che poi n n ti lamen ti di me ; perciò che ti fo ap r
he, se tu p oi mi chi derai co a veruna, quell a da me al tutto
ti fia n g ta, n· ti val ran no i pieto i preghi né le calde ln-
g-r ime . e nsa a unque ai ca i tuo i, e guata bene e nulla ci
f. ' L. Qt:ART.\ 9

m ne . - il ·i., . non c. n o al tro che a dimandare, di e che


i c ontt::ntav di uanto nella critta i c ntene ·a, e che mai
iu altr o non o-Ji ddim erebbe . Il mom le fece moite
e timenta la ·orate a mpa si di gro issime erle e precioc;
1e, iver e altre ricche r bbe, le piu belle e le piu ar
eh mai f s eno tate ve ut d alcuno . Ap pre o que t , k
dieù r ti di p le, anella e cinture e altr ai, e moll
eh nella crit a si cont n va. Il che impossibi le
a r ntare . ilYia. h era 1 ben ve tita n adornata.
cl e non -vi r altra donna nella itta che e le tesse a r-
u o·liare , ta •a tutta allegra, né aveva bi. gn di ad imandarc
co. a alcun al marito , perché null a per giudizio uo le mancava .
v nne che nella itta si pr para ·a una s Jenne e ma ni-
fica f< ta , alla quale furono in itate tutt le famose e orr 'Oli
d nne h i tro •a ino: tra le ltr u anche invit ta la
signora ilyia per es er n ile , b Ila e delle maggiori. Laond le
donne mutoro portam nti, a nuo ' fogo- n n piu u ate,
an7i lascive molto, ·i di de o; e i loro e tim nti rano i diffe-
r nti da' primi, eh nulla i a imigliavan . E beata c lei, c m
al p re ente i usa , che poteva r •ar a ito portam nto r
l •, dietro non piu u to a ci che piu pom o amen te onora
la Jenne fe a. ia hedun donna piu poter 'ingeo-naYa
i avanzare le al tr in ritr are nuo e e di dic voli p mpe .
Il orecchie di il ·i ra gia pervenuto com le matrone d lla
ittù fa evan ·arie f o-g di ' timenta per norare la up rba
fe tH.. nd i11ag in · quel! vestimenta che ella av \'a,
non fuss ro piu buone né al prop ito u , perché ran fatte
, H' a ntica, ed ra u.avano vesti menta di altra mani ra. Tl
per h é ell a entrò in i f1era e i piacev l malin onia e
doo- lio, che né mangiare né dormire non poteva· e p r asa
i udiv no n n o piri e lamenti, i quali di cendevan
dali i nfime parti dell ' add lor to cuore. Il dem ni , he u ll
che la moo-li a e a ap rtamente apev , fin e di nulla sapere:
e c tatosi a lei , dis e: - il via che hai tu, che si m sta
e dolorosa mi pari? n uoi ancor tu and< rtene a que ta
lenne e pompo a fe ta ? - ilvia, ed ndo i aver ampo larg-o
go ~ "OTTE ECO~ ·o.\

i ri pondere, rese alquanto d'ardir , e di se:- E come \·o-


l te oi, marito mio, che io i vadi? Le yestimenta mie sono
utte all'antica, e non ono ome quelle che oggidi le altre
donne u ano. olete voi che io sia dileggiata beffata? \"e-
ramente, no 'l credo. -Di e allora il demonio: -Non ti ho
fatto io ci h per tutto il tempo della ita tua ti faceva
bi ogno? E come ora mi addimandi cosa alcuna?- E d ella
di tal gui a vestim nta non avere ri p ndeva , ramaricandosi
molto della! ua malasorte. Di e il demonio:- Or a, (e questo
ti ia per sempre!) addimandami tutto ciò che uoi, eh· per
questa fiata da me ti fia con e so. E e piu nell'a enire cosa
alcuna m' addimanderai, tieni per erto che ti a v erra cosa che
ti ara di sommo scontento. - E tutta allegra ilvia li richiese
infinite cose, che malage ol osa sarebbe raccontarle a punto
a punto. Ed il demonio senza dimoranza alcuna la frenata
voglia della moglie a atto ad mpi.
on passarono molti mesi, he le donne comin iorono far
nuo e gui e de abiti de' quali ilvia edeasi pri a. E perché
ell non poteva comparere tra le altre donne che avevano fogge
opra fogge, ancor h' ella fusse ricc mente v stita e di molte
gioie oltre modo addobbata, molto sospesa e di tri ta voglia
si sta a, né dire co a alcuna al marito ardiva, perciò che o-ia
due olte gli l'ave a accont ntata di tutto quello che addì-
mandare si poteva. Pur il emonio, vegg ndola stare si m a-
linconiosa e apendo la causa, ma fingendo di non saperla,
disse: - Che ti senti tu, il ia mia, che si tri ta e si di mala
voglia ti veggio?- cui arditamente ilvia rispose:- Non
debbo io contri tarmi e tar di mala oglia? enza abiti he
oggidi u ano le donne mi tro o, né pos o comparer tra l'altre
che d risa e beffata non ia. Il che a l'uno e l'altro di
noi è vituperevole molto. E la er itu che ho con esso voi,
e sendo i sempre stata fedele e leale non merita cotale i no-
rnl ma e rgogna. -Allora il demonio, tutto d'ira acceso ,
di e: -In che io mai mancato ti sono ? on ti ho gia due
fiate accontentata di tutto quello che addimandar si puol e?
Di h e ti lamenti di me? Io non o piu che farti. Io voglio
FA "OLA QL\RTA 9I

accontentare il tuo disordinato appetitO, e tanto lontano anda-


rommene, che piu di me non sentirai novella alcuna. - E fat-
tile molti drappi alla fog ia che allora si u avano, e odisfattala
del tutto, da lei senza tuor commiato alcuno i parti, ed a Ielfi
e n'andò: e nel corpo del duca entrato, oltre modo lo tor-
mentava. Il povero duca, dal maligno pirito grayemente afflitto,
tutto affannoso i stava; né vi era in . !elfi uomo veruno di si
buona e santa vita che da dos o torre lo pote se.
venne che mes er Ga parino Boncio, compare dall'anello
del dem nio, per alcuni delitti da lui comme i fu della citta
bandito. Laoncle, acciò che pre o non fu e e per giustizia
pienamente punito, indi i parti, ed a Melfi e n'andò. E perché
mistiero alcuno non apeva, né che far altro fuor che giuocare
eque to e quell'altro ingannare, die e fama per tutta la itta
di Melfi come egli era uomo esperto ed aveduto ed atto molto
ad ogni orre ole impresa; e nondimeno del tutto era ine per-
ti imo. Or giuocando un giorno me ser Gasparino on alcuni
gentiluomini di Melfi, e avendoli con sue baratterie aggi unti,
quelli molto i turborono e e non fu e stato il timore d lla
giu tizia, agevolmente ucciso l'arrebbero. E non potendo l'uno
di loro patire ta l ingiuria, dis e tra é: -lo ti punirò di
fatta maniera, che, mentre tu Yiverai, arai memore di me.
E enza mette_rvi punto d'indugio, dai compagni i parti, ed
al duca se n 'andò ; e fat li la con enevole ri erenza, dis e:
-Eccellenti simo duca e signor mio è in cotesta citta un
uomo, Gasparino per nome hiamato, il quale i va vantand
aper trarre gli spiriti da do o di chiunque persona: siano di
qual qualita spiriti esser si voglino, o aerei o terrestri o di qua-
lunque altra orte. nde sare bbe buono he vo tra Eccellenza
ne f sse alcuna esperienza, a ciò che da tal crucciamento ella
rimanes e libera. -Inteso che ebbe il duca que to inconta-
nent mandò a chiamare me er Gasparino: il quale, int a la
domanda , al duca e n andò. Il uca guatatolo bene nel viso,
ùi se: - Mae tro Ga parino v i vi a ete vantato di saper trarre
gli piriti da dosso· io, come Yoi vedete sono ispiritato, e e
vi basta l 'animo di liberarmi dal maligno spirito che tutta da
92 • - oTTE 'ECO. rDA

mi cruc ia e tormenta, vi prometto di fan·i un dono . che empre


fel ice arete. - Mes er Ga parino, che mai non ave\·a mo sa
parola di irnil co a, tutto stupefatto rima e, e negò é mai
aversi da vanto i imil cosa. Il o-entiluomo che poco di co to
1
era, eco tato i a lui dis e: - on vi arricordate. maestro.
quando voi dice te si e i? - E me er Ga parino con intre-
pida ed aperta fro nte il tutto nega a. tando adu nqu in questa
contenzio ne ambeduo, e l ' uno affermando e l'altro negand o.
dis e il duca: - Ponete ilenzio alle parol , ed a voi, mae tro
Ga parino. io do termine tre giorni di maturament pensare
ai ca ostri; e se voi da tal mi eria mi ciogli rete, io ' t
pr m tt darvi in dono il piu bel a tello he i tro\·i otto
il mio potere, ed oltre ciò voi potr te di p rre di me come
della per ona propia. Ma e altrimenti faret , tenetev i certo
che, oggi otto giorni, sarete tra du colonne del mio palazzo
per la gola sospeso.-
Me ser Gasparino, inteso il fier oler d l duca, mollo ra -
maricato rima e: e partito da lui , gi rno e notte pen ava come
lo irito trarre di do so li pote . E venuto iJ termine sta-
tuito, me ser Ga parino al duca ritorn , e fattolo stendere opra
uno tappeto in terra, cominciò il maligno ptnto scongiurare
che uscire di quel corpo doves e che piu non lo tor menta se .
Il demonio , che indi quetamente i po a' a, nulla in quel punto
li ri p se, m al duca i fattamente gonfi la gola, che qua ì
i . enti morir . Ripetend allora ma tro a p rino il su con-
giur , di e il demonio: - compare mi , 01 av te il buon
ternp ! Io me ne to bene d ao-iat , e olete he quindi mi
parti? oi i affa ticate in 'ano; - e del ompare a ai e ne
rideva. Tornato me er Gasparino la terza lta a se ngiurarlo
ed addimandatolo di piu cose, e continovo chiamandolo
compar , né tendosi. imaginare hi egli si fu e, al fin lo
trin e a dire hi gli era. cut n p e il demonio: - Dopo
he io ono c tretto a confe ar vi il vero e manife tarmi chi
io o n , appia te eh' i ono P an razio tornello marito di
il ia Ballastr . 1 on lo sapete voi? Pensate for e eh io non
vi conosca? • n iet voi mes r Ga pari no Bo n cio , mio
FA\' L. QLARTA 3

ri imo mpare dall ' a ello? ·on apet voi quanti tri onfi
a biamo fatti in ieme? - eh compare , - di e aJlora me ser
parino -che fate v i qua dentro a tormentare il corpo
di ue to mi r duca? - l non ·e 'l o !io ire - r i po,e
il em nio ; - andate via , e pi u non mi m le tate , percì che
mai io n on stetti me li di qu Il h' io mi trovo ad ora. -
Allora me r asparino tanto l ongiur , che di n
fu costrett il emonio a raccontarli minutamente la au a per
la qual era partito alla mo lie d entrat n l orpo del duca .
i e m r a parino:- caro mio compar , n n volete
armi un grand iacere ? - "' he? - di se il demonio . -
ire di que to corpo,- di e me er asparino,- e no n
d rli piu n ia. - Deh, compare - di il demonio , - voi mi
a rete un g ran pazzo a diman armi cotal co a; perciò he tant
r frigeri tro o qua dentro , che meglio imao-inar non mi po-
tr i. - Di e m ser a parino: - Per la fede di compare che
è tra n i, vi pr go eh mi v bliat compiacere per questa fiata;
perci eh e quinci non vi partite , io rimarrò di vita privo. e
vo i della mia morte sar te ca ione. - Rispose il d m nio: -
n è oggidi n el mond la 1 iu tri la c lerata f de quanto
quella d l mpare e voi ne morirete, il danno fia vo tr
n n m io. h e de i der io altro che ve d r i nel fondo de Il ' i n-
fe rnal abi s ? D evate oi es er piu prudente e sa,·i e ten re la
lingua tra' nti, perci che un buon ta ere non fu mai critto. -
Ditemi almeno, ompare, - di e messer asparino,- chi fu
c lui che in tanto trava lio vi pu se? - Abbiate pazienza, -
rispo e il monio, - perciò eh non po né ve lo voglio
ire . Or partit vi di qua , e non a ttate altra rispo ta da
m e. ua i mezz deo-nato , la ciò il duca più morto
che v1
endo do alquanto pazio il duca rivenuto , di m s er
asparino:- i nor duca state di b on animo , eh tosto en-
tirete la o tra liberazi ne. lo non oo-lio altro er ra da · i ,
·e non che fate che domattina s'appre entino al palazzo tutti
1 musici e onat ri e che sonino tutte le campane della terra
iano tratte tutte le artigliarie della citta, che un itam nte
9

facciano arandi ima allegrezza e trionfi : e qu'lnto piu tre-


pito faranno tanto piu contento ne sarò ; e poi lasci.1te l' im-
paccio (t) me. - co i fu fatto. enuta adunque la mattina
eauente, e andato ene mes er Ga parino al palazzo, co minci ò
scongiurare lo pirito del duca; e mentre che lo scongiurava,
si incominciorono entire per la citta trombe, nacchere, tam-
buri buccine, campane, artigliarie e tanti tromenti mu sici
che ad un tempo onavano, che pare che ' l mondo veni ·se
a fine. E eguendo mes er Ga parino il uo scongiuro , di e
il demonio: - Deh , compare, che vuoi dire tant diversita de
stromenti co n si confuso trepito , che mai piu non gl i ho en -
titi?- A cui rispo e me ser Gasparino: - on lo sapete voi ,
compare mio?- ·o -di e il demonio. - E ome no? -
ri pose mes er Ga parino . - Perci · che noi, velati di qu ti
corpi umani , non po siamo intendere né sapere il tutto, ché
troppo grossa è que ta materia corporale. - Diro elo breve-
n1ente, - rispo e messer Gasparino,- se paziente starete ad
a coltarmi, e non molestarete il po ero duca. - itelo \·i
preo-o,- di se il demonio , - ché volentieri i as olterò , e
prometto i per ora di non mole tarlo. - llora me ser Ga pa-
rino di se: - appiate, compare mio , che il duca , vedendo che
da lui non i ol te partire né ce are di tormentarlo , ed av ndo
inte o he voi dalla moglie, per la malavita che ella i da \·a.
i siete partito er lei ha mandato: e del giunger uo tutta
la citta ne fa randissima fe ta e trio nfo . - Il che intend ndo,
il demonio dis h malvagio compare ! voi iete tato piu
a tuto e celerato di me. 'on vi di ' io heri che non si trovò
mai compare che a l'altro fido fu e e leal e? Voi iete sta to
l'inventore e quello che l'ha fatta venire . Ma tanto il nome
della moglie aborri co ed ho in odio che piu tosto nell o curo
abisso dell ' inferno mi contento di tare che dove ella si tro vi
abitare. Laonde quinci ora mi parto , e i lontan m n vo,
che piu novella alcuna di me non aperete . - E fatto segno
d'un grosso gonfiamento di gola e d'un olger d ' occhi ed altri
spavento i egni del corpo del duca i parti. E la ciato un
fetente p uzzo, il duca da lo pirito libero al tutto rima e.
FAVOLA QUARTA 95

on passorono molti giorni, che 'l poverello duca nel suo pri-
stino stato rivenne e .ricuperò le smarrite forze. E non volendo
esser d'ingratitudine accusato, chiamò messer Gasparino , e
d un bellissimo castello signore lo fece, dandoli molta quan-
tità di danari e serventi che lo servisseno; ed al dispetto de
gli in idiosi il buon messer Gasparino con felice e prospere-
vale stato lungamente visse. E madonna ilvia, vedute le sue
vestimenta e gioie e anella in cenere e fumo converse, tra pochi
giorni disperata miseramente mori.-
F L V.

M er implicio de' Ro i 'innamora in Giliola, m .,.lie di Ghirotto · r a n-


ferla contadino: e trova dal marito in casa, ien sconciamente
battuto e pi to, ed a casa se ne torna.

[VICENZA:)

egar non si può, ezzo e donne, che amore per sua na-
tura gentil non ia: ma rade volte ci concede glorio o e felice
fine. i come avenne a messer implicio de' Ro i innamorato ;
il quale, redendo i god re la per ona da lui cotanto amata,
i parti da lei carico di tante bu e, quant mai uomo pote se
portare. Il che ara vi apertamente noto, e alla mia favo la,
che ora raccontarvi intendo, benigna a udienza , come è di
tume vo tro , pre tarete.
Ila' illa di santa Eufemia , p ta sotto ampo an Pietro ,
terr itorio della celebr e famo a citta di Padova , gia gran tem po
fa , abitava Ghiretto canferla, uomo per ontadino a ai ricco
e otente, ma edizio o e partigia no ; d aveva per moglie una
g iovane, Giliola per nom chiamata la quale , per femina di
villa, ra da tutti belli ima riputata. Di co tei caldamente
'innamorò implicio de' Ro si, cittadino padoano. E perché
egli a e a la ua ca a i in a a quella di Ghiretto , con sua
moglie, che era gentile, acco tumata e bella, per diporto in con-
tado s ente se n'andava. E quantunque la moglie ave se molte
condizioni che Ja face ano grande, nondimeno egli poco di lei
si curava. tanto era dell 'amore di Giliola acce o, che n · di
giorno né di notte non ape a che fu se riposo alcuno. Questi
tene a l'amor suo nascosto nel suo cuore , né o ava in maniera
alcuna scoprirlo , si per temenza del marito e per la buona vita
di Giliola , i ancora per n n dar andalo alla prudente mogli e.
F. YOLA QUL . T..\ 97

A ve a me er implicio appresso ca a una fonte, di cui risor-


o-evano acque si chiare e i saporite, che non pur i Yivi, ma
ncor i morti ne arebbeno potuto bere. Onde che Giliola e
mattina e sera e secondo che le facea bisogno, alla chiara fonte
e n' anda a, e con una ecchia di rame attingeva l'acqua ed
a ca a la porta a. Amor che eramente a niuno perdona, molto
messer implicio pronava; ma pur cono cendo la vita che ella
teneva e la buona fama che ne risplende a, non ardi a di farle
motto alcuno, ma so lo alle volte con il vederla i nodriva e
consolava il cuore. Di che ella non apeva, né mai di tal fatto
accorta si era; perciò che, come femina di buon nom e di
buona vita, al marito e alla ca a sua, e non ad a ltro att n-
deva. Or andando un o-iorno Giliola alla fonte, i come era
sua u anza, per attingere l'acqua, per aventura in messer
implicio s'incontrò, al quale ella emplicemente, i come
orrni altra femina fatto a rrebbe , di e:- Buon giorno, mes-
e re; -ed egli le rispo e:- Ticco! - pen ando con tal pa-
rola do erla intertenere ed alquanto dome ticare; ma ella,
piu oltre non pensando altro non diceva, ma se n'andava
per i fatti suoi.
veva messer implicio plU e plU olte data cotal risposta
a Giliola c he ogni volta che lo vede a lo aiutava; ma ella,
che della malizia di lui non s'avede a, col capo bas o a ca a
i ritorna a. Continovando adu nque in cotal risposta mes er
implicio, venne in animo a Giliola di dirlo a Ghiretto uo
marito. Ed es endo un giorno in olci r agionamenti con esso
lui, di se: - marito mio, io vi voglio dire una cosa, che
oi for e ve ne riderete.- Che co a?- di se Ghiretto.-
Ogni olta - di se Giliola, -che io me ne vado alla fonte
per attingere dell'acqua, io tro o me er implicio e g li do
il buon giorno, ed egli mi risponde: Ticco! Io ho piu e piu
\'Olte con iderata tal parola, né mai mi ho possuto imaginare
che si voo-lia dire, Ticco. - E tu- disse Ghiretto,- h gli
hai ri po to?- Io- di e Giliol a, -nulla gli ho mai rispo-
to. -Ma fa- disse hirotto - che se gli piu ti dice: Ticco !
che tu gli risponda: Tacco ! e vedi e attendi bene a quello che

G. F. STRAPAROLA , Le piacevoli notti. 7


8 'iOT'TE ECO. 'DA

egli ti dira, n gli r· ponder altr , ma vientene . econdo


l't anza tua a casa.
Giliola, alla solita ora andata ene alla fo te per acqua,
trov mes er implicio, e diégli il buon giorno; ed egli, . e-
condo l'uso uo,- Ticco! -le ri p e. E Gilio! , replica ldo
i come il uo mari o ammae trata l'a eva, di e:- Tacco ! -
llor me s r implicio, tutto invaghito e pensando che lla
d ll'amor uo se ne fus e aveduta, e imagin ndo i di averla
a' suoi coma n i, prese al uanto di ardire, e is e: -Quando
engo?- Ma Giliola, si come il marito imposto le avev ,
nulla rispo e: e ritornata a ca a e ddimandata dal marito ome
ndata era la co a, di e che ella fatto aveva tanto quanto
egli le a eva ordinato, e che me er implicio detto le aveva :
- Quando vengo?- e che ella altr non gli ave a ri posto.
Ghir tto, che era uomo astuto, quantunque contadino fusse. ed
gevolmente comprendeva le parole di me er Simplicio, tra sé
molto si turbò, ed im gino i quelle parole importar altro che
infilzar perle al curo; e di se alla moglie: - e tu vi torni piu ,
ed egli ti dica: Quando vengo? rispondeli : Questa era ! e ri -
torna a casa, e lascia fa r a me. -
Venuto adunque il giorno segu ente, Giliola econdo l'usanza
ua andò per cavare l'acqua della fonte, e trov mes er Im-
plicio che con sommo desiderio l' pet va, e dissegli: -Buon
gi rno, me sere. -A cui mes er Simplicio ri po e: - Ti co.-
ed ella a lui dis e: -Tace ! -Ed egli a lei :-Quando veng ?-
n questa sera! - Giliola rispose. Ed egli- In que ta sera
sia! - di se. Rit rnata Gilio! adunque a casa, is e al marito:
- Io ho operato t nto uanto impo to m'avete.- E che ti ha
egli rispo to?- dis e Ghirott . - In questa sera ia, -di e
G'liola. Ghirotto che gia veva carico lo tornac d' ltro che
di la agne e di maccheroni, di e:- Giliola, andiamo a misu -
rare dici acchi di iada, perché io ~ oglio fingere di andare
l m lin ; e venendo me er impli io, fagli accoglienze e
ricevilo onoratamente. E fa che tu abbi apparecchiato uno
sacco vuoto a pre so quelli che pieni arann i biada: e
come tu senti rai ch'io sia giunto a casa, f che entri nel acco
FAVOLA Q L'TA 9

parecchiato e 1 nas ondi; e o eia lascia l'impaccio a


me. - E ' non 'i ono in casa tanti acchi che siano al nu -
m r che voi volete -di e iliola. -Di e allora Ghirotto ·
- !Ianda la Cia icina no tr da m ser implicio: e fa h'egli
te ne impre ti duo: e fa che gli dica che io gli oglio per andar
questa sera al molino. - E tanto fu fatto.
l es er implicio che ottimamente con iderate a eva le
parole ella Giliola, e veduto ome li aveva mandato a
richieder duo acchi imprestito, redendo eramente che ' l
marito n'anda se al molino, si trovò il piu felice e il piu
c ntento uomo d l mondo: pen ando tutta ia he ancor ella
fu e del lui come egli del lei amore acce a; ma non s'ave-
d 'a il poverell di ci che era ordito e tramato contra lui ,
perci che f r e piu cautamente arebbe proceduto di quello
che egli fece. M er ~ impli io che nel ortile aveva molti
buoni capponi, ne pre e duo e de gli mi li ri; e mandolli per
lo uo v lletto a iliola, comm ttend li eh Ii face e cuci-
nar , eh ' verrebbe la era a lei econdo l 'ordine dato. Venuta
la uia notte, me er impli io na cosamente di casa i parti,
ed alla ca a di Ghirotto e n 'andò: da Giliola fu grazio a-
mente ri e 'uto . edend ali ra me er implicio i sacchi pieni
ciella biada, cr d ndo che 'l marito fo e andato al molino,
di. a iliola: - ov' ' G hi r tto? Io crede o che oramai egli
fu se al molino; ma edendo i a chi ncor qUl m ca a, non
o he dirmi.- Rispo Giliola:- Mes er im licio, non vi
ramaricate, n' abbiate punto di aura ché l tutto pa s ni.
bene. apiate che nel! ora di e pro venn qui a ca a uo c -
gnato, e gli di e com la sorella ua era molto gra ata da una
contino a febbre, e che la non v dere he dimane. nde egli,
mo ntato a cav· 11 , e ne è partit per vederla innanzi che la
m 1a.- es er implicio, che ben empii e hiamar i pote
credend c1 e ser il vero, ' acchetò. Mentre che Giliola 'af-
faticava di cuo ere i capponi ed apparecchiare la men a, e co
che Ghirotto uo mari o opragiun e nel cortile; ed a end lo
Giliola sentito, e fin endo di e ser addolorata, disse: -Ahi,
mi. eri noi, che siamo morti . - e senza metter indugio alcun ,
IOO • 'OTTE ECO. TD A

rdinò che me er implicio entra e nel acc o che i vi vuoto


era rima o: ed entratoYi dentro , quantunque non molto \'olon-
tieri v' intra e, acco tò il a co, con messer implicio, dietro
a gli altri acchi che erano pieni di biada, ed aspettò che 'l
marito enìs e in ca a.
Venuto Ghiretto in ca a e eduta la men a apparecchi ata
ed i capponi eh nella pentola i cucina ano, di e alla mogl t<:":
he uol dire que ta sontuo a cena che parata mi hai?-
A cui Giliola ri pose:- Io pen avo che voi dove te ritorn ar~
. tanco e la o a a a, ancor he mezza notte fusse; ed acciò
che voi pote te rifocilar i alquanto e mantenervi nelle fatiche
he di continovo fate , io vi ho voluto apparecchiare alcu na
co a di so ta nza a cena.- Per mia f ' , - di e Ghiretto, -
che tu hai fatto gran bene; perciò che mal dispo to mi troYo.
e non edo l'ora di cenare e a ndarmene a ripo are, acciò che
domattina per tempo io possi girmene al molino. Ma prima
che noi e n'andiamo a cena io ogli che noi ediamo e
gli sacchi appare chiati per andar a l molino sono al peso e
giu ti. -Ed acco tatosi a gli acchi, li cominciò prima ann o-
merare, e trovolli tredeci; e fin endo di non averli bene anno-
merati, da capo li tornò a raccontare: e ritrovandoli pur tre-
d ci dì e alla moglie: - Gìli la , e che vuol dire che g li
acchi sono tredecì? pur n'abbiamo apparecchiati olamente
d deci! dove iene questo? - cui ella rispose:- I ~o
ch e quando noi in acca imo la biada, gli sacchi erano dodeci :
ma come ia aggiunto il terzo decim io non ve lo o dire. -
1\IIe er implicio che nel acco 1 tava e ben sapeva che
erano tredeci , che co i per lui non f ussero tati ! ta vasi eh t o,
e tra é tesso dicendo Pater no tri ba si maladiceva lei ed
il uo amore e é che fidato e n' ra; e e uscir d lle s ue
man i av e otuto olontieri i arebbe fuggito: e qua i piu
temeva il corno a ai che ' l danno. Ma hirott , che ' l acco
ben cono ce a , lo pre e lo tra cinò fino fuori de l ' u cio
he a tutamente a eva fatto la ciar aperto: e q uesto, perché,
dandogli delle bu e, a es e amp largo di uscire del a co
e fuggire alla buona entura. Aveva pre o Ghiretto un ba ton e
FAVOL Qt.." L . TA IO!

nodo o, a tal effetto apparecchiato e lo incominciò fatta-


mente pi tare, che non gli rima e membro che tutto pi to e
rotto non fusse: e poco manc che morto non rimanes e. E
e non fu e tata la moglie che per pieta o per temenza del
marito che bandito non fu se, glielo tol e di mano, facilmente
ucci o l'arrebbe. Partito i ad unque Ghiretto ed abbandonata
l ' impresa, me er implicio e ne usci del sacco: e cosi mal-
trattato . a ca a e n 'andò, parendoli di a er Ghiretto col
ba tone empre alle spalle. E mes osi in letto , tette molti
giorni innanzi che riaver i pote e. Ghiretto fra questo mezzo,
con la sua Giliola a co to di messer implici o avendo ben
cenato se ne an dò a ripo are .
Pas ati alq uanti giorni la Giliola a ndando a ll a fonte vide
me ser implicio che passeggiava nell a loggetta della ua casa;
e con a llegro viso lo salutò , dicendo: -Ticco ! - Ma me er
im pli cio , che a n cor entiva le battìture per tali parole rice-
vute altro non le ri po e fuor di que to:

Né pi u buon di, né piu Ticco, né Tacco,


donna, che non m'avrai pi u nel tuo sacco.

Il c he udendo Giliola i tacque, ed arrossita ritorno i a


ca a. E messer Simplicio, cosi stranamente trattato , mutò pen-
iero ; ed alla moglie che q ua i in odio aveva, con maggior
cura ed amorevolezza a ttese, odiando le altrui , acciò che piu
non gli avenisse ciò che per lo adietro avenuto gli era. -

IL FINE DELLA ECO DA NOTTE.


OTTE TERZA

Gia la orella del sole, potente nel cielo nelle selve ne


gli oscuri abissi, con scema ritondita teneva mezzo il cielo; e
gia l'occidente orizonte aveva coperto il carro di Febo, e le
erratice stelle d ' ogni parte fiammeggiare si vedevano; e lì vaghi
augelli, lasciati i soavissimi lor canti ed il tra loro guerreggiare ,
ne ' uoi cari nidi 'Opra i verdi rami chetamente si riposavano,
quando le donne e parimente i gio eni la terza sera nel luogo
usato si raunorono al favoleggiare . Ed essendo tutti secondo
i !or ordini postisi a sedere, la signora Lucrezia comandò che
il aso, come prima, portato fusse; e messe i dentro il nome
di cinque damigelle, le quali in quella sera , secondo che le
fusse dato per sorte, a essero l'una dopo l'altra ordinatamente
a fa oleggiare. La prima adunque che usci dal vaso , fu Cate-
ruz2:'3.; la seconda, Arianna; la terza, Lauretta; la quarta, AJ-
teria; la quinta, Eritrea. Indi la signora comandò che '1 Tri·
vigiano il liuto prendes e e 'l olino la viola, e tutti gli altri
carolassino, menando il Bembo la carola. Finito il ballo e
posto sil enzio alla dolce lira e chetate le sante corde del con-
cavo liuto , la signora a Lauretta impose che una canzonetta
cantasse. La quale, desiderosa di ubidire e sodisfare alla sua
signora, prese per mano le altre compagne; ed unitesi assieme
e fatta la debita riverenza , con chiare e sonore voci cantorono
la seguente canzone:

Signor, m ntr h' io miro nel bel vi ·o,


nel qual mi regge amore,
IO-f -oTTE TERZA

n ce da be' vostri occhi un tal splendore.


ch'apertamente eggio il paradi o.
Co i consenton, dopo il de ir mio,
le lagrime, i ospir che 'n vano pargo
e l' immen o e celato mio martire,
ch'io corr a quell'e tremo ultimo vargo,
eh fa ovente che me tesso oblio,
e fammi l'alma tant'alto alire,
che 'n voi veggio per sorte
ervata la mia vita e la mia morte.

Dapoi che Lauretta con le compagne dimostrò col tacere


la sua canzone esser giunta al fine la signora, nel chiaro Yiso
di Cateruzza guardando , disse che alle favole della presente
notte desse cominciamento. La quale, arrossita alquanto e po-
scia sorridendo un poco, comin ciò in questa guisa:
FAV L I.

P ietro pazz p r irtu d i un pesce hiam to t on no, d a lui p reso e d a


morte a m pat , d ivien e · io; e p iglia Lu ciana, figliuola di L uciano
re , in mogli , che p rima per incante im o d i lui t:ra gravid a.

- I tr v , a morev li donne, si nell e i torie a ntiche c me


n Ile moderne , che l ' o1 erazioni di un pazzo , mentre che egli
imp zzi sce, o natur li o acc identali che ell e iano, li riu ci-
scono molte volte in bene. Per tanto mi è 'enuto nell'animo
di raccontarvi una favola d ' un pazz ; il quale, mentre che
imp zziva, per una ua operazione a io di nne, e per moglie
ebbe una figliuola d un re: si ome 1 er lo mio ragionare po-
tr te intendere .
. eli' isola di Capraia , po ta nel mar li u tico, la quale
Lu iano r e signoreggiava, fu gia una povera ved velia I otta
per nome chiamata. Costei ave a un figliuolo pe catore ; ma
per ua dis ventura ra matt , e tutti quelli che lo n c -
van , Pietr pazz lo chiamavano. o tui ogni di e n'andava
a pe care: ma tanto gli era la fortuna nemiche ole, che nulla
prendeva; ed ogni volta che e li ritornava a ca a, endo
ancora più. di mezz miglio lontano dalla tanza i mette ·a
si fortemente a rrri are, che tutti quelli che erano n Il ' isola
a e volmente udire lo potevano: e lo uo gridare era tal :
-Madre c nche c nchette, e chie secchiette, ma telle ma-
stellette, eh ' Pietro è carico di pe ce! -La po era madr ,
dando fede all parole del firrliuolo e r dendo che egli
diceva es er il ver , il tutt apparecchiava. 1a o-iunto che gli
era a lla madre, il pazzo la scherni a e beffa a, traendo i boe a
la lingua lunga più. di un ran somme o.
Aveva questa vedovella la ca a sua dirimpetto del palazzo
di Luciano re: il qu le aveva una fi rrJiuola di anni dieci, m lto
106 _·oTTE TERZA

leggiadretta e bella. Alla quale, per ~er un"ca figliuole;, ir l-


po e il nome suo, e Luciana s'addimandava. Questa, tantoslo
che sentiva Pietro pazzo dire:- Madre, conche conchette, sec-
chie secchiette, mastelle mastellette, ché Pietro ha preso molto
pesce! -corre a al a fine tra, e di ciò pigliava tanto trastullo
e solaccio, che alle volte dalle risa i sentiva morire. Il pazzo,
che ridere dismisuratamente la vede a, molto si sdegnava e
con parole non convenevoli la villaneggiava. Ma quanto più
il pazzo con villane parole l' oltreggiava, tanto piu ella, come
i morbidi fan ciulli fanno, ne rideva e giuoco n'apprendeva.
Continovando ad unque Pietro di gi orno in giorno la sua
pescagione, e scioccamente ripetendo alla madre le opradette
parole, avenne che 'l poverello un giorno pre e un grande e
grosso pesce, da noi tonno per nome chiamato. Di che egli
ne senti tanta allegrezza, he 'l se n'andava saltolando e gri-
dando per lo lito:- Cenerò pur con la mia madre, cenerò pur
con la mia madre! -ed andava tai parole più volte replicando .
Vedendosi il tonno preso, e non potendo in modo alcuno fug-
gire , disse a Pietro pazzo : - Deh, fratello mio, pregoti per
cortesia che \.ogli di tal prigionia liberarmi e donarmi la vita.
Deh , caro fratello, che vuoi tu far di me? Come mangiato
tu mi avrai, qual altro beneficio di me conseguir ne potrai?
Ma se tu da morte mi camperai, forse ad alcun tempo age-
volmente io ti potrei giovare. -Ma il buon Pietro, che aveva
più bisogno di mangiare che di parole, voleva pur al tutto
ponerselo in spalla e portarselo a casa per goderselo allegra-
mente con la madre sua che ancor ella molto bisogno ne aveva.
Il tonno n on cessava tuttavia di caldamente pregarlo, offeren-
dogli di dargli tanto pesce , quanto egli de iderava avere. Ed
appresso questo li promise di concedergli ciò che egli gli ad-
dimanderebbe. Pietro, che, quantunque pazzo fusse, non ave a
di diamante il cuore, mosso a pieta, contentò da morte libe-
rarlo; e tanto e con i piedi e con le braccia lo spi n e, che
lo gittò nel mare . Allora il tonno, vedendo aver ricevuto si
gran beneficio, non olendo dimostrarsi ingrato, di se a Pietro:
scendi nella tua navicella, e col remo e con la persona
F \. LA I'Rl I \

pieghela tanto da l'un de' lati, c 1e l'acqua i po sa en are. -


~ 1ontato Pietro in nave, e fattala tar curva e pendente d uno
lat sopra il mare, tanta copia de pe ci vi entr · , che ella stette
in grandis imo pericolo di ommer ersi. Il che •edendo, Pietro
he niente stimava il ericolo, a ai e ne allegrò: e pre one
tanto quanto in collo ne poteva portare, ver o casa tol e il
c< mmino; ed es endo non molto lontano dall'abitazione, c -
mmciò, econdo l lui usanza, ad alta voc gridare: -Conche
c nchette, ecchie ecchiette, mastelle ma tellette, che Pietro,
ha pigliato di molto pesce!- La madre, che pen ava come prima
e er derisa e beffata, movere non i voleva. Ma pur il pazzo
n el grido piu altamente continovava. Laonde la madre temendo
h'egli non facesse qualche maggior pazzia se gli va i prepa-
rati non trova se, ogni cosa apparecchiò. A crgiunto Pietr a
casa, e eduta dalla madre tanta copia di bellissimo pesce,
ella tutta i rallegrò, laudando Iddio che egli una o ta aveva
pur uta buona ventura.
La figliuola del re, avendo udito Pietro altament gridare,
era corsa Ila fine tra ; e lo dii ggia a e cherniva ridend
fo rtemente delle par le sue. Il poverello, non apendo altro
he fare, acce d ' ira e di furore, corse a l lito del mare, e
ad alta ·oce chiamò il tonno che aiutare lo do esse. Il tonno,
udita la v ce e conos iut l di ui ra , 'appresentò alla riva
del mare: e mes o il capo fu ri delle salse onde, l ' addimandò
c he c sa egli comandava. cui il pazzo dis e: - ltro per
ora non voglio, se non che Luciana, figliu ola di Luciano re,
g ra i a si tro i . - Il che in meno di un l ar d'occhi fu esse-
quito, tanto qu anto egli comandato avev~. 1 • on pass rono mo lti
gi rni e mesi, che ' l verginal ventre cominciò cresc re alla
fanc iulla che ancora il duodecimo anno tocco non a e a . e
vede ansi egni e identis imi di donna gra ida. La madre della
fanciulla, questo ved ndo, molt addolorata rimase, non po-
tendosi per suadere che una fanciulla di undeci anni, he an-
ora i segni di donna non dimostrava, ingravidar si pote s .
E pensando che piu to to ella fusse, i ome uol avenir , in
qualche infirmita incurabil caduta, vol che dalle donne esperte
IO ... -oTTE TERZ A

fu e veduta· le quali diligentemente con ec re to modo a v n-


dola con iderata, giudicarono indubitatamente la fanciulla es. er
o-ravida. La reina, non potendo un tanto ignominioso eccesso
s fferi re c n Luciano re suo marito lo voi e ommunicare. Il
che inteso dal re, da corda lio vol e morire. E fatt la 'debita
inqui izione con ogni onesto ecreto modo e 'l i poteYa
coprire chi era stato colui che la fanciulla violata aveva, né
potend co a alcuna intendere, per non re tar con i vitup e-
roso scorno voleva occultamente ucciderla. Ma la madre, che
teneramente ama va la figliuola pregò il re che la riserbas e
fin a tant che ella parturiva: e poi faces e quell che più
gli aggradi a. Il re , che pur le era padre mo so a campas-
i ne della fanciulla che uni ca fi liuola g li era , al voler ma-
terno 'achetò.
enuto il tempo del parto, la fanciulla parturi un belli -
simo bambino; e perciò che era di somma bellezza non puote
il re sofferire che ucciso fusse, ma comandò alla reina che
fino ali anno a llattare ben nodrire lo face se . E endo il
bambin pervenuto al termine dell ann , e re cendo in tanta
bellezza che non vi era un altro che gli po es e aggua-
gliare, par e al re di far una isper ienza, se colui, di cui era
fi liuolo si pote e trovare. Laonde il re fece fare un publ ico
b ndo er tutta la citta, che chiunque della sua eta il decimo
quarto anno passava, doves e, sotto pena di e serli il capo
spiccat dal usto appre entar i a ua e ta, portando nelle
mani un frutt o un fiore over altra cosa he pot sse ar ampo
al fanciullo di potersi comma ere. econdo il comandamento
del re tu ti vennero al palazzo portando hi un frutto chi un
fiore e chi l'una e chi l'altra co a in mano: e pa ·avano di-
nanzi al re, e dopo secondo i loro ordini sede ano . Avenne
che andando un gio ene al palazzo, si come CYli altri f ce ano,
'a batté in Pietr o pazzo e dis egli: - 'e vai Pietro? Per
che non vai al palazzo come gli altri, ed ubidir e al coman-
dament del re? - cui Pietro ri pose: - E che uoi tu che
io fa ccia fra t nta brigata? on vedi tu che io sono povero,
nudo né ho pur una veste da coprirmi· e tu uoi he io mi
F. L. PRJ\1 l 9

pon a fra tanti i ori e corte . iani? Que to non farò gia io. -
isse allora il giovene burlando: - ieni meco ed io ti da rò
na ve te; e chi a che il fanciullo non p i e er tuo? -
• ndato ene a unque Pietro a ca a del giovene, li fu data una
v ste; la quale pre a e di quella estitosi, se n 'andò in com-
agnia del giovene al palazzo: ed a ce o u per le scale , si
puo e ietro un u cio del palazzo, che appena da alcuno po-
te a e ser veduto .
s endosi adunque tutti appre entati al re , e dopo me si i
a sedere, il re mandò eh 'l bimbo in sala fu se portato,
pen and che, i ri ritrovandosi il padre, le viscere 1 aterne si
c mmo rebbono. La balia prese il fanciullo in brac io ed in
ala lo portò: dov .tutti lo accarezzavano , dandogli chi un
frutt chi un fiore e chi l'una e chi l 'altra osa ; ma il bam-
bino tutti con mano li ricu a a. La balia h' or quinci or quindi
pas eggiava per la ala, una volta erso l'u io del palazzo
tr scor e· e subito il fanciull ridendo con la testa e on tutta
la persona si fieramente i piegò, che qua i u ci fuori delle
braccia della balia. Ma ella non av dendo i di osa alcuna,
scorreva p r tutto. Ritornata la balia da capo all'u cio, il fan-
ciullo face a la mao-gior festa, in quel luogo, d l mondo
sempre ridendo e di m o trando l' u cio col dito. Il r e, che gia i
accorgeva de li atti che face a il fanciullo, chiamò la balia ed
addimandolla, chi era dietro l'u cio. La balia che altro non
pen a a, ri pose es ervi un mendico. nde fattolo chiamare e
venir alla sua pr senza, conobbe il r che gli era Pi tro
pazzo . Il fanciullo che gli era icino aperte le braccia e
o-li a entò al collo e strettamente lo a bracci . Il he vedendo
il re , doglia sopra doglia li cr bbe, e data buona licenza a
tutta la bri ata, deliberò he Pietro on la figliuola con il
bambino, a l tutto mori se. Ma la reina, che prudenti sima ra
molto iamente c nsiderò che, e o t ro n l cospetto del
re fo er decapitati ed ar i, li arebbe non picciolo vitu erio
e corno. E per p r ua e al re che ordina e una botte , la
m ggior che far i potesse, e tutta tre den ro rinchiusi , la botte
nel mare gitta se la ciandogli enza che loro tanto affanno
II ·oTTE 1 F.RZ

entis ino , andare ali buona entura. . l re tale arricordo


molto piacque: ed ordinata la botte, e mes ili tutta tre dentro
c n una ce ta di pane ed uno fia co di buona \'ernazza e con
uno barile di fichi per l fanciullo, nell 'alto mare la fece
gettare , pen ando che giungendo in qualche scoglio i doves e
romper e e annegare .
a la co a al rimenti ucce . e i ci che 'l re e la rei na
pen ato a evan . La ve chiarella madre di Pietro, intendendo
il ca o strano del figliuolo tutta addolorata e dalla Yecchiezza
2Ta ata, in pochi giorni se ne mori. E sendo adunque la mi-
era Luciana nella botte da procellose onde molto combattuta,
né vedendo sol né luna, irottamente piangeva la sua scia-
gura: e non aYen o latte da attasentare il fan ciullo che ovente
piangeva, alle volte g li dava de' fichi, ed in tal modo lo ad-
dormentava. Ma Pietro nulla curandosi, ad altro non atten-
deva e non al pane ed alla ernazza. Il che veggendo, Luciana
dis e:- Pietro ohimè! tu vedi ome io per te la pena inno-
centemente patì co, e tu insen ato ridi, mangi e bevi né punto
consideri l commune pericolo. - ui egli ri po e:- Que to
ci è a enuto non gia per colpa mia, ma per cagi ne tua,
che ontinuament mi deridevi e berteggia' i. Ma ta di buon
animo,- di se, - ché t to uscirem o d'affanni.- I - dis e
L ciana, -mi pen o che tu dica il vero che to to uscirem
d' ti nni ; perci che la botte i rumpera opra qualche as o.
e noi si anneO'heremo . - llora Pietr di e: -Taci , ché io
ho un secreto, il quale e tu sape si, molto ti maraviO']i resti. e
for e ti rall egr ere ti. - E c h e secreto hai tu, - dis e L uciana. -
che s !levar ci potess i tanto tra v glio n i trae e? -Io ho
un pesce, -di e Pietro,- il quale fa ciò ch 'io gli comando
e non preterirebbe o a alcuna e egli crede se perder la vita:
e fu uello che t' ingravidò. -Questa è una buona cosa, -
di se L uciana,- quand cosi fusse. Ma come si addimanda
il pesce?- dis e Luciana. A cui ri pose Pietro:- E li 'ad-
diman a tonn . - Ma fa ch'egli mi dia la tua autorita, -
di se Luciana,- imponendogli che tanto e sequisca, quanto
io gli dirò. - ia fatto- di se Pietro, -il tuo volere . -Ed
FA ' OLA PR1 L\ I l I

inco ntanente c iamò il onno, e comme egli che C]Uanto ella


cr · impone\'a. tanto e 11 faces e. La gioYane, a Tuta la ;>o test·
di co m nda e al tonno, subit li comandò che egli gittas.e la
< tte opra uno de' piu belli e più ecun cogli che .otto l'un·
perio d e l padre uo . i trova e; dopo, che op ra. se si che
Pietro, di ozz e pazzo, diveniss il piu bello ed il piu sagg-io
uo mo he allora nel mon do si trova. e . n n con enta di ciò,
ancora \' L e che . pra il coglio fabrica e un ricchi imo pa-
lazzo con logg e n sale e con c~ nere bellis ime; e che di
dietro a ·es e uno giar in liet e rigu trde ole, copioso de
al eri c he producano g mme e prezio e perl : in mezzo del
qu le sia una fontana di acqua freddissima ed una olta de
p r z.iosi vi ni. Il che enza indugio fu largamente e equito.
l re e la reina, arricordandosi es er si miseramente della
fi g liuola e del bambino pri i, e pensando come le loro carni
fusseno gia ivorate da' pe ci, forte si ramaricavano, né mai si
t ro vavano all gri né contenti. E stando amendue in que to
affi nno e cordoglio, determinorono, per refrigerare alquanto i
assio nati lor cuori , di andarsene in Gerusalemme ed ivi visi-
tare la Terra ant ; reparat una na e e guarnita di iò
eh le convene ·a, montoron in nav e i partirono, e on
prospero e favorevole vento navigorono. on 'erano appena
ce nto mi o-lia . c stati d 11' isola Caprai , he videro dalla lunga
un ricco e upe b palazzo alquanto ril evato dal piano, sopra
un' isoletta postv. E perché era mol to ago e al dominio loro
oggetto, lo l ero vedere. Ed accostatisi all' isoletta, fecero
ca la , giu di nav m nt rono. on era no ancora aggi unti
al palazzo, che Pietro pazzo e Lu iana, figliuola del re, li co-
n bbero ; e c:;ce i gi6 dell e cale, gli n orono incontra, e co
trette a coglienze benignamente i ricevettero . Ma il re e la
r eina, per i he erano tutti trasformati, non i onobbero.
En rati a unque nel va palazzo, minutam nte lo idero ,
m lto lo comen oron ; e ce i gtu per un a caletta secreta ,
andorono n el giardino: il uale al re ed alla reina tanto piacque.
che giu rorono a' gi orni suoi non averne veduto un altro che
piu li piaces e.
II 2 X TTE TERZA

In mezzo del bel giard'no eraci un albero che sopra un


ramo aYeva tre orni oro; ed il guardiano, per espresso co-
mandamen to di Luciana, i eu todiva che involati non fu sero .
. la non o come, il piu bello, non a edendo i il re, occulta-
mente nel seno gl i fu posto. E volendosi partire il re , disse
il guardiano a Luciana:- i nora, uno de' tre pomi, ed d
piu bello, ci manca: né posso apere chi involato l'abbia. -
llora Luciana a l guardiano comme e che ad uno ad unu
tutti diligentemente cercas e, perché non era cosa da far t '1é
poco conto . Il guardiano, poi che ebbe ben cercato e ricer-
cato ognuno, a lei ritornò, e dis ele che non si trovava. Il
che intend endo , Luciana finse di molto turbarsi ; e voltatasi
al r e, disse: - aera Maesta, mi perdonarete e ancor voi sa-
rete cercato ; perciò che il pomo d'oro che ci manca, è di
ommo alore , e molto piu l apprezzo he gni al tra cosa . -
TI r e, c he non ape a la trama, pen ando che in lui tal error
non fu e, arditamente la veste si inse; subito il pomo in
terra c ddé . Il che vedendo, il re tutto s u peso e stupefatto
rimase, non apendo come in eno enuto gli fu se. Luciana,
yed endo allora tal co a, dis e: - ignor mio, noi vi abbiamo
carezzato e onorato molto, facendo ·i quelle accoglienze ed onori
che degnamente meritate; e voi, in g uidardone delle accoglienze,
enza a1 uta no tra ne in olate del giardino i frutti. Molto mi
pare eh erso di noi grande ingratitudine mostrate.- Il re,
che di ci era innocente, molto i affaticaya in fari redere
che egli il pomo in olato non aves . Luciana, veggendo che
oma1 ra conv nevole tempo di scoprir i e dare a cono cere
al padre l ' inno enza sua con viso lagrimoso disse : - ignor
mio, apiate h ' io ono quella Luciana, la quale inf licemente
genera te e con Pietro pazzo e col fanciullo a m orte crudel -
mente danna te. Io sono quella Lucian a, o tra unica figliuol a,
Ja q uale enza ver ono ciuto uomo alcuno re na trovaste .
Quest'è il fa nciullo innocentis imo senza peccato da me con-
c puto- (e appresentogli il fanciullo ). - Que t'altro è Pietro
pazzo: il quale, per irtu d ' un pesce chiamato tonno, api ntis-
im o di enuto, fabric l'alto uperbo palazzo. Co tui fu quello
FA ·oLA PRJMA 113

he, enza che oi e n'aved te Yi puo e il pomo d'oro in


eno. Co tui fu quello di cui non con stretti ongiungimenti, ma
on incante imi gr ida divenni. E si come oi dell' involato
pomo d oro iete innocent , cosi parimente della gravidanza io
ne fui innocenti ima. - llora tutti d'allegrezza piangendo i
a bracciarono in ieme gran fe ta si fec ro. passati alcuni
i, montorono in nav , ed a C raia ritornarono: dove fu fatta
grandissima festa e trionfo. Ed il re fece a Pietr Luciana po-
are; e come uo genero il p e in tal stato, ch' gli onoratamente
ed in consolazione lungo tempo vi e. d il re, venendo al fine
della ua Yita, del regno uo erede il constitui. -

G. F. TRAPA OLA 1 Le jnacevoli nottz.


F V L II.

Dalfren re di Tuni i h due figliuoli: l'uno Li tico, e l'altro Livori:'tt"


chi mato, d p i per nome detto Porcarol\o: e finalmente Bellisandra ,
figliuola di Attarante re di Damasco, in moalie ottiene.

( RJA 'A:]

-Poco n n fa lo saggio nocchiero, che balestrato da im·i-


dio a e scapigliata fortuna, e fra duri e acuti cogli spinto,
drizza a sicur e ripos to porto l'affannata navicella . Il che
avenne a Livoretto, figliuolo del gran re di Tuni i: il quale
dopo molti non pen ati pericoli, gra 'Osi affanni e lunghe fati-
che, cale ta con l'altezza dell'animo suo la miseria della fo r-
tuna, a maggior tato pervenne, ed il regno del Cairo in pace
godé: si c me per la pre ente favola, che racco ntarvi intend ,
agevolmente intender 1 otrete .
In Tunisi, citta regia ne' liti dell'Affrica, fu, non gran tempo
fa , un famoso e possente re, Dalfreno per nome chiamato; il
quale, avend per moglie una graziosa ed accorta donna, di lei
ebbe duo figliuoli, savi, virtuo i ed ubidienti al padre: d 'quali
il maggiore Listico, il minore Livoretto si nominava. Questi
fratelli per decreto regale e approbata usanza al regno paterno
succedere non p tevano, perciò che la successione solamente
alle femine di ragione aspettava. Laonde il re, veggendosi per
sua mala orte di figliuole pri o, ed e er in tale eta di non
poterne piu aver , i ramaricava molto, e infinita passione
cord glio ne entiva. E tanto piu perché imaginaYa che dopo
la m rte u sarebben mal eduti e peg io trattati, e con
grandissimo loro scorno del regno miseramente scacciati. E di-
morand l'infelice re in questi dolorosi pensieri, né apendo
trovar rimedio eh !levar il pote se, voltassi alla reina, che
ommamente amava, e di e: -Madama che debbiam far noi
F. \'OLA E O. -DA l I

di que i no tri figliuoli, da poi che ogni pode ta di la ciarli


del r gno eredi n'è per la lego-e e per l'antica usa nza aperta-
mente tolta?- cui la prudente r ei na ali impron·i. o ri pose:
aera 1ae ta, a me parrebbe che voi, e endo di molti e
infiniti te ori potente, li manda te altro e dove cono ciuti non
fu er , dan agli quantita di gioie e i anari grandis im a;
ché f r e , la grazia d'alcun ignare trovando li fiano ari, ed
in mod al uno n n patiranno . E quanto pur pati eno che
I io nol ' gli ! almeno non 1 apra di cui ono figliuoli.
l son gio in i, vaghi d'a petto, apparenti in vi ta ed atti ad
ogni magnanima ed alta impre a. · é ·i è re , né priucipe, né
. ign are, che p r li pri ilegi dalla natura a lor conce i non
gli amino e tenghino cari. - Piacque molto a alfren la ri-
posta della apiente reina; e chiamati a sé Li ico e Livoretto ,
li di se:- Figliuoli da noi astro padre molto diletti, perché
d po la m rte nostra vi è tolta ogni peranza di questo regno,
n n gia per vizio vo tro né per di onesti co turni ma perch é
si determina la legg e l ' antica usanza, per e er voi n n
femi ne ma uomini dalla potente natura e da noi p rodotti; noi
e la madre vo tra , per utile e comodo de l'uno e l'altro di
voi, ab iam presa deliberazion e di mandan•i a ltrove con
ioie, gemme e danari a sai: acciò che, enendovi alcun arre-
voi partit , potiate con onor o tro la vi ta sostentare. E per
voi i contentarete di quanto · il desiderio no tro. - Il pro-
ponimento del re a sai piacque a Listico e a Livoretto, e non
vi fu di minor contento di quello che fu al re e alfa reina;
p erciò che l uno e l altro di loro di eder cose nuove e gu-
stare i piaceri del mondo s mmamente de idera a. La reina,
che, i come è generai c stume di donne, piu teneramente il
minor che l mago-ior fig liuolo ama a, chiamatolo da parte,
dégli un schiumante e bellicoso cavallo, sparso di macchie,
i picci l capo e di guardo animo o; ed oltre le belle fattezze
h' egli ave a e ra tutto affatato: e di tal cosa Livoretto m1nor
fi<Yliuolo era consapevole.
Presa adunque la b nedizione i figliuol i dai lor parenti.
e tolti i te ori, celatamente insieme si partirono. Ave ndo più
II6 _"OTTE TERZ.

gwrm cavalcato, né trovato luogo che di contentamento li


fu se, i contristarono molto. Onde Livoretto a Li...;tico dis:e:
oi inora abbiamo cavalcato in ieme, né cosa alcuna di
yalor degna operato abbiamo; però parmi, quando ancora a
te fu e a piacere, che l'uno dall'altro si separasse, e ciascuno
da per sé per ua entura andasse. - I l che piacque ad ambe-
duo: e strettamente abbracciatisi insieme e basciatisi, tolsero
l'uno a l 'altro commiato; e Listico, di cui poi nulla si seppe,
verso l'occidente indirizzò il cammino, e Livoretto col suo
affatato palafreno verso l'oriente prese il viaggio.
Av~'ldo Livoretto cavalcato per gran pazio di tempo, e
senza utile alcuno veduto assai del mondo, e gia consumate
le gioie e' tesori datigli dall'amorevole padre , fu or che 'l fat ato
cavallo, finalmente aggiunse al Cairo, regia citta dell'Egitto ,
la quale allora signoreggiava il soldano, Danebruno chiamato :
uomo astuto e potente di ricchezze e di stato, ma de anni
molto carico. Questi, quantunque vecchio fu se, nondimeno
era caldamente acceso dell'amore di Bellisandra, figliuola di
Attarante re di Damasco; e alla citta s'era accampato, e posto
le aveva a sedio per acquistarla , acciò he o per amore o per
forza egli l'avesse per moglie. Ma ella, avendo persentita la
vecchiezza e bruttura del sold ano, aveva al tutto determin ato
piu tosto sé medesima uccidere che prenderlo per mari to.
Livoretto adunque, giunto al Cairo ed entrato nella citta, quell a
tutta circuì: e rimirandola d'ogni parte, molto la comendò,
e vedendosi aver dissipata tutta la su tanzia sua, adempien do
tutti gli appetiti suoi, nell 'animo propo e di non partirsi di
la se prima con alcuno per ser idore non era acconcio. Ed
andatosene ver o il palazzo, vide nella corte del soldano molti
anzachi, ( lJ mamalucchi e chiavi. A' quali addimandò . e
nella corte del signore era bisogno di servitor alcuno , ch'egli
·olontier gli s rvirebb . E fulli risposto di no. Aa ricordan-
dosi uno di loro che nella corte faceva bi ogno d'uno che at-
tendesse a' porci, lo richiamò ed addimandollo se attenderebbe
a' porci. Ed egli gli rispose che si. E fattolo scendere giu del
cavallo, alla stalla de ' porci lo menò. E addimandatolo come
FAV L.\ ECO_ 'DA I l 7

era il uo nome, gli ri po e aver nome Li\'Oretto .. la da utti


fu chiamat Porc rollo, che co i nome rrli imposero.
Acconciato i a unque Li re to, ora nominato Porcarollo.
n ella corte el ld no, a n i un 'altra co a attende a che a far
i porci gra i; e tanta era la sollecitudine e diligenza sua,
he quell he un altro in pazio di ei m i faceva, errli in
termine di duo me i aveva pienamente i pedito. edendo gli
anzachi, mamalucchi e schiavi in co tui tanta officienza,
per ua ero al ignore che altr officio dargli do e se perciò
he la diligenza sua in i ba o e vil ser\"igio esser non meri-
ta ·a. Laonde per ord ine del soldano fulli impo ta la cura di
attendere a' ca alli, e accre ciuto li fu il salario. Di che gli
ne ebbe maggior contentezza; perciò che, attendendo agli altri,
meglio poteva governar lo uo. E p to i a tale impre a,
n la treg ia i fattamente gli streggiava, nettava ed abbel-
liva, he i lor mantelli non altrimenti che velluto parevan .
E fra gli altri eravi un roncino a ai vago, giovine ed animo o,
per le sue bellezze diligentemente gli attendeva ed ammae-
stra ·a: ed in tal maniera l'ammaestrò, che, oltre che ma-
n ggiava d' orrni p rte, il s'inchinava, danza a e quanto egli
era alto i leva a da terra , di tendendo nell'aria alci che
risembravano aette.
I mamalucchi e schiavi, vedendo le valentigie del cavallo,
taYano ammirativi: e co e fuor di natura li parevano. nde
determinorono di raccontare il tutto al soldano, acciò che delle
pro zze del Porcarollo alcuno diporto prendere ne pote e.
Il oldano, che nella ·ista era malincono o si per lo so ·erchio
am re come per l e trema vecchiezza, nulla o poco di diporto
i cur a; ma carico 'amoro i pen ieri, a niente altro che
alla diletta ama te pensava. Pur i mamalucchi e schia i tanto
fecero e di ero, che il oldano una mattina per tempo alla
fine tra si puos , e vide tutte quelle prodezze e leurriadrie che
'l Porcarollo col uo ca allo face a; e vedendolo di piacevole
a petto e di persona ben formato, e trovando vie piu di ciò
che udito a eva, li par e molto mal fatto, e di ciò i rama-
ricava a ai, che a i vii ufficio come al go erno di be tie
I l - - o TTE TERZ A

p utato fu e. nde pen an do e ripen ando all'alta e naECO'·a


Yirtu dell ' a ttilato g io ine e edendo nulla ma ncarli , tra st.:
te o d i po e i rimo erlo da i vii ssercizio e farlo a ma~­
gior o-r do alire ; e f ttolo c hiamar a sé, di: eli : - Purcarolln,
per lo innanzi non alla talla , come pr ima, md. alla mensa
mia attender i , f cendomi la redenza di tutto quello che in
me nsa appre entato mi fi a . - Il g iovan e adunq ue. con ti uito
p ìncerna d el oldano , con tanto ma istero ed arte l' uffic10 s•w
fa ce a che non che a l oldan o, ma anche a tutti am mirazione
r endeva . Di che tra' mamalucchi e sch ia\·i nacque tanta im·idia
ed odio, che vedere a pena il pote vano: e e il timor del si-
crnore tato non fu e gia d i ita l arreb ono privo. la acci ò
che il miserello veni in di grazi del 1g nor e che ' l fu~ se
ucci o cacciato in eterno e il io un tratagemma ast uta-
mente s' imaginorono. Imperci che, e sendo la mattina uno
de ' schia i nominato Chebur, al servigio del oldano, dis e:
on ti h io, io-nor, a dir una buona nuo a? - E che?
- disse il soldano. - Il Porcaroll il quale Li oretto per pro-
prio nome si chiama, non i anta niuno altr che lui esser
ba tevole di dare la figliuola di Attarante r di Damasco nella
tua balia? - E om' · pos ibil que to? - di e il soldano .
A cui hebur: - Po sibil è , signor. e a me noi credi, ad-
dimanda a' mamalucchi e agli altri chiavi, nella cui presenza
piu d una volta di ciò ' ha dato il vanto ; e ' io ti ino-anno,
agevolmente comprender lo potrai. -
Il olda no, avuta prima di questo da tutti piena certezza.
ch iamò a é Livoretto , e imandoll e vero era quello che
di lui apertarnent i dic a. Il gio ane, che di tal cosa null a
ape a, il tutto animo am nte negò. nde il oldano, acce o
d ira di degno, dis e: - \ a, e non piu tardare: e se in
termine di giorni trenta non pererai i eh io abbia Bellisandra,
figliuola ' ttarante re di Dama co, nel mio potere, il capo
dal bu t ni i •i o. - l io a netto, udito il fiero propo-
nimento del sign re, tutto dolente e con olato rima e; e par-
tito i dalla ua pre enza, alla talla ritornò. Il cavallo fatato ,
Yeduto che ebbe il uo patrone i me to e che calde lacrime
- - - - -- - - - - -- - - - - --

FAVOL\ E o~·oA

dagli occhi continovamente paro-e\ a oltatosi a lui, dis.•;e:


eh, patrone, che hai tu che i appassionato ed addolorato
ti eggio?- Il giovane, tuttavia piangendo e f rtem n t aspi-
rando, li raccont d l principio sino alla fin ci che dal sol-
ano gli era comme o. a il avallo, crollando il apo t
fa endo ecrn di ri a lo confort lquanto dicendogli che nulla
teme e, perciò che ogni co. a li •errebbe a bene. Indi li
dis e: -Torna al oldano, e digli che gli ti faccia una pa-
tente lettera diretti a al uo eneral capitano che ora all'a s dio
di Dama co si tro a: ammettendogli on espre o amanda-
mento che tantosto eh veduta e letta a ni la patente, igil-
lata del suo maggior sigillo, dall'assedio i rimava, dandoti
danari, \·estimenta ed arme, acciò che alla magnani 1a impresa
animosamente andar tu po si. E se per a ·entura di viaggio
per ona er animai alc uno , di qual unque condizione esser
i voglia, ti chiede se ser izio alcuno, fa che tu lo serv i: né
per quanto hai u ara la vita tua, co a che t'addimandi li
negherai. E e uomo alcuno c mperare mi ole , dilli che
me venderai, addimandandoli però prezzo i g rd , a ciò che
dal mercato i rimava . . Ia se fu sero donne che mi volessero,
fara lli tutti quelli piaceri che far si puolono, las iandole la
l iberta di toccarmi il cap , la fronte, li oc hi, l'orecchie, le
g roppe e ciò che le sara a grado; per iò eh , senza farle
ltraggio e n ia alcuna , las erommi maneggiar . -Il gio a-
nett tutto allegro ritornò al soldano, e chieseli la patente
lettera e ciò he il fatat a\'allo ricordato gli aveva. Ed otte-
nuto il tutto, mon tò sopra il d tto cavallo v r ·o Damasco
prese il cammino: non senza però grandissima all grezza de'
mamalucchi e schiavi, i quali per l'ardente invidia ed e tremo
dio che li portavano , t nevano per certo che piu vivo al Cair
tornar non do e se.
Or a ndo piu e piu giorni Livoretto ca alcato, giun e
aù un 'acqua, alla sponda della quale nell'e tremita era un
f tore che da n on o be a usa a che quasi appro imare
non si poteva: ed Ì\'Ì un pe ce emimorto giaceva. Il pe ce,
veduto che ebbe il gio · netto, li diss ; - Deh , gentil cavaliere,
I20 NOTTE TER Z o\

liberami per cortesia, ti prego, da que to lezzo; perci ò che. si


come tu vedi, io son quasi di vita privo. - Il g iovane. ricor-
de ole di ciò che 'l suo cavallo detto g li a \·eva , g iu d i q uell o
di ce e, dal luogo che si f rtemente putiva fuor i lo trasse. e
con le propie mani lavandolo lo nettò. Il pe ce, re e prima
le debite grazie a l giovanetto, di se:- Prendi del d or~o mio
le tre quamme maggiori, e tienle appres o te : e quando IJi-
sogno arrai d'aiuto alcuno, poneralle opra la riva del fi ume.
ché io incontanente verrò a te, e porgerotti ubito occor o.-
Livoretto , prese le squamme e gittato lo guizzante pe ce ne lle
chiare acque, rimontò a cavallo; e tanto cavalcò , che trovò un
falcone peli grino che dal mezzo in giu era nell'acqua g elato.
né in maniera alc una mover si poteva: il quale, veduto il
giovane , dis e:- Deh, leggiadro giovanetto, prendi pieta d i
me, e trammi di questo gh iaccio in cui avolto mi vedi, ch'io
ti prometto, se di tanta ciagura mi campj, di porgerti aiuto,
se a tempo a lcuno soccor o ti bisogna se. - Il giovane, da
compa sione e da pieta vinto, benignamente lo occor e ; e
vibrato un coltellino che nella vagina della spada teneva, co n
la punta l' indurato ghiaccio tanto batté, che da ogni parte lo
spezzò: e preso il falcone, e lo pose in seno , acciò che al-
quanto riscaldare si potesse. Il falcone, ritornato in sé e rivo-
cate le smarrite fo rze, molto il o-iovane ringraziò; ed in premio
di tanto b eneficio, quanto ricevuto aveva, li diede due pen ne
che otto l'ala inistra teneva: pregandolo che per suo amor
conservar le dovesse, perciò che, occorrendoli bi oo-no alcuno
di aiuto e tollendo le due penne e ficcandole nella sponda del
fiume, subito gli ·errebbe in soccorso: e questo detto , a volo
se ne gi.
Il giovane, continuando il suo viaggio, finalmente all ' es er-
cito del soldano aggiun e: dove trovato il capitano che fiera-
mente la citta batte a, a lui si avvicinò e la patente le tera
gli appresentò. Il capitan , eduta e letta la lettera, ubito
d a llo as edio si levò, ed al Cairo con tutto lo essercito ritorn ·.
Il g iovanetto, veduta la partenza del capitano, la mattina se-
g uente molt per tempo s letto entrò nella citta di Damasco.
F. 'O •. E\0. 'DA I2I

e ad un'o. teria si ali go-iò; e yestito.i di uno bello e ricco


v es 'meno ut o coperto di care e prezio e gioie che face\·nno
in idia a l sole , e salito opn il uo fatato cavallo, in piazza
al real palazzo se ne gi: d v c n nta de trezza ed a ttitudi ne
quello maneggiò, che eia uno stava i attoni o a pen are, non-
ché a riguardarlo.
Bellisandra fig liu la del re, la quale lo strepito del tumul -
tuante popolo desta a ·eva, si levò di letto; e po tasi a un
verone che tutta la piazza ignoreggia\·a, vide il leggiadro
vio ine e la bellezza e prontezza del uo gagliard e feroce
a\ a ll : e non altrimenti i quello i acce. e , che arrebbe fatto
un gio ·ine d'una b Ili si ma damigella. E andatan al padre,
sommamente il pr gò che per lei com erare lo vol e, per iò
he, ve endolo i leggiadro e bello era di e o fieramente
in ·aghita. Il padre per sodi facimento della fi liuola che tene-
ramente ama a, mandò un de' baroni a dimandare il giovane,
. e gli ag radi va a on anti ender il cavallo, imponend li
convene ole pregio: perciò he l'unica figliuola el re è di
quello fieramente innamorata. Il giovane li rispose non e ervi
cosa i pregiata e degna, che pagare il potesse: e dimandolli
1 aggi r quantita di danari che n on valeva il paterno regn .

Il re, inteso l 'imm oderato pregio, chiamò la figliuola, e di -


sele:- Figliuola mia, per uno ca ·allo e per contentament
tuo, del regno privare non mi vogli ; per abbi pazienza, e
vivi a llegrament , ché di uno altro 1 iu bello e migli r pro-
ved er mo noi. - a Bellisandra, piu accendendosi d ll'am or
del cavallo, maggiormente il padre preg va che di quello la
·ontentasse: co ta. e aglia ciò che vuole. opo molti preghi,
vedendo la figliuola non poter commovere il padre che in ciò
la compiacesse , partita i da lui ed andata i alla madre, come
disperata, ua~ i m rta nelle braccia della madre caddé. La
p ietosa madre, eduta la figliuola di color smarrita , d l emente
la confortò pregand la che ramaricare n n si do esse ché .
parti to che fusse il re, ambedue anderebbeno al gi vanetto
e mercarebbero il ca' llo: e forse, per e er donne, ne av e-
remo miglior mercato. La figliuola, udite le dolci parole d ella
122 ~ 'OTTE TERZ.\

dil tta madre, al uanto i raddol 1; e partito che iu il re, la


madre per un me ao-gero to tamente mando a dire al giovane
che veni e al lazzo ed in ieme menasse il suo ca 'allo. Il
quale, inte a l ' imb ciata, molto i rallegrò e alla corte se
n· a ndò; ed ddimandatoli dalla madr quanto pre i a va il uo
cavallo , perciò che la figliuola ua di a erlo desiderava molto ,
alla reina in tal g ui a rispose: - 1adama, oi mi donaste
ciò eh a ete al mondo, la figliuola non potrebbe per \'Ìa di
vendita a \·er il mio ca ·allo: ma in dono i, quando che accet-
tarl o le piace se. Ma prima che in dono ella lo prenda, voglio
che bene lo ruata e maneg ia, perci che · piace role e destro,
ed agevolmente sopra di é salir si la eia . - E ceso giu
del cavallo, pose la fio-liuola in sella: e tenendo il freno del
cavallo, la adde tra ·a e regge ·a. 1 0n era appena un tratto
di pietra allontanata la figliuola dalla madre , che ' l gi ane
i puo e in groppa del suo cavall o, e tenendo gli roni stretti
a' fianchi, tanto lo punse, che uno uccello che ola per l 'aria
ra sembr a a nel fuggir . La dami ella smarrita cominciò gri -
dare: - h , alvao-io disleale traditore! dove mi meni , a e,
fi liuolo di cane? - Ma nulla le gi va va il gridare; né veruno
ra che le de se soccor o, né con parole la conf rta se . Era
gia ao-giu nta la damig lla sopra la ri va d ' un fiume, quando
pre e un bel li imo anel lo che nel dito teneva, e quello cela-
tamente tra e nell'acqua.
Ave a ca alcato il giovine molte giornate, quando fin al-
mente giunse al airo c n la damigella; e giunto che egli fu,
subit la presentò al sol dano : il qual , veden ola bella, leg-
giadra e pura , molto i rallegrò, e con grat a coglienze la
rice ette. Gia era vicina l'ora del d rmire quando, essendo
mb duo in un camera n n meno rnata che bella, disse la
damigella al oldano: - ignor, non pen ate che mai mi pieghi
ao-li amorosi desideri vostri, se prima non fate che questo
1mquo e malvagio trovi l ' anello che nel fiume mi a lé ; e
tr ato e resomelo, arò sempr arr nd vole a' o tri pia eri . -
Il soldano , che era i nfiammato dell 'amore dell 'afflitta damigell a,
non volse contristarl a, ma ubito comandò a Livoretto che
123

l anello trova : e non trovandolo lo minacciò di darli la


morte. Li oretto, udendo he il comandamento del soldano
trin e ·a e che non bi ogn a contravenire al uo volere molto
dolente i parti; d andatosene alla talla, dirottamente pian-
va, endo uori d'ogni peranza di poterlo trovare. Il ca-
·allo, ' duto il patrone addolorato e dirottamente lagrimare,
l'ad imandò che co a egli veva che cosi fieramente la rimava;
d int il tutto, li di e: -Ahi, poverello, taci! non ti o-
" iene ciò h e ti di e il pe c ? pri adunque le orecchie al l
mie parole, e fa quanto io ti dirò. Ritorna al ldan , e hie-
dili ci che ti fa mestieri, e vattene sicuramente, e non dubi -
t re. - I l gio an fece né piu né meno che il uo ca allo
ordinato gli a eva; ed andatosene al fiume in quel luogo dove
varcò con la dami ella, pose le tre uamme del pesce nella
erde ri a. Il pes e, uizzante per le chiare lucide onde or
quinci or quindi alt lando, tutto lieto e giocondo e gli ap-
prese ntò ; e trattosi di bocca il caro e rezio o anello, in mano
glie lo diè: e pre e le ue tre squamme, nell'onde 'attuffò .
Il gio ane, avuto l'anello, ubito il dolor in allegrezza
conver e, e senza indugi alcuno al oldano ritornò ; e fatta
la d bita riverenza, nel suo co petto l'anello alla damigella
appresentò. Il oldano, vedendo che la damigella aveva avuto
il prezioso anello i m'ella desìd rava ed era il oler suo,
incominciò a farle ten re e amorose carezze e lo ingarla, vo-
lendo che quella notte ella giace e nel letto on esso lui. Ma
il soldano 'affaticò in ano. P rciò he la damigella dì se:
on pen ate, signor mio, on vostre finte lo ìnghe ra
ino-annarmi; ma giurovi che di me piacer alcuno non pr n-
deret , e prima questo rio e fai o ribaldone, che col uo
avallo m ha in annata l' equa ella ita non mi porta. -
11 . oldan , che disdire all'amata donna non voleva, anzi c n
gni uo f rzo cercava di compiacerle, hiam retto; e
rettam nte ott pena d l cap gl' impo e che l acqua della
vita recare le dO\'e se. Il iovane dell'impossibile dimanda
molto si olse; ed acce o d' ir , dentro e di fuori arde a: ra-
maricando i forte che il signor il uo ben ervire e le sue tante
I24 KOTTE TERZ ..\

u tenute fatiche non e nza gran pericolo della Yita sua, _t


miseramente guidardona e. )la il oldano, tutto infiammato
d'amore, per odisfare alla diletta donna, senza mutare altro
con il io, vol e che al tutto l'acqua della vita le trovasse. E par-
tito i d a l signor e ed anda o ene secondo il solito alla stalla,
maladiceva l'empia sua fortuna , tuttavia dirottamente pian-
gendo. n ca allo, vedendo il duro pianto del patrone ed udendo
i gravi lamenti, dis e:- Che hai tu, patrone, che i fortemente
ti cr uci? Ti è sopragiunta cosa alcuna? Acquetati a lquanto,
ché ad ogni cosa si trova rimedio fuor che alla morte. -Ed
inte a la cagione del dirotto pianto, dolcemente lo racconfortò
riducendoli a memoria quello che gia li aveva detto il falcone
che gli liberò dal freddo ghiaccio, e l'onorato dono delle due
penne. Il giovane m iserello, ricordatosi pienamente il tutto,
montò a cavallo: e presa un ampolla di etro ben e avenchiata,
attaccos ela a lla cinta, e cavalcò la dove il falcone fu liberato :
e piantate le due penne nella sponda del fi ume come li fu
gia ri corda to, subito apparve il falco ne, ed addimandoHi di
che egli bisogno aveva. A cui rispo e Livoretto:- Dell'acqua
della vita . - Allora disse il falcone : - Deh, cavaliere, egli è
cosa impossibile che tu mai ne prenda· perci che ella è
g ua r data e diligentemente eu todita da d u o fieri leoni ed altre-
tanti dragoni, i quali di continovo ruggian o e miseramente
divorano tutti quelli che per prenderne s'avicinano. Ma in ri-
compen amento del beneficio gia da te per me rice ·uto, prendi
l'ampolla che dal lato tieni, ed annodala sotto la mia ala
destra; e non ti partire di costa fin che io non ritorno a te. -
E fatto quanto per lo falcone gli fu imposto, levossi da
terra con la annodata ampolla, e volò cola dovera l'acqua
della vita: ed empiuta na cosamente l'ampolla, al giovane
ritornò ed app resentogliela: e prese le su e due penne, a volo
i levò.
Livoretto, tutto giulivo per lo ricevuto liquore, senza far
dimoranza a lcuna, frettol osamente al Cairo r itornò; ed appre-
sentatosi al soldano, che con Belli andra sua amata donna in
d olci r agionamenti si tava, l'acqua della Yita a lei con somm a
FA ·oL ECO. ·o.\ l 2 ~

letizia diede. La quale, poscia che ebbe ricevuto il Yital li-


quore, fu dal soldano neaJi amaro i piaceri sollecitata molto .
. la ella, costante come fortt torre da impetuosi venti conqua -
sata, non vi vol e in maniera alcuna consentire se prim<l a
Livoretto, cagionevole di i fatta ver ogna, con le propie ma ni
la testa dal bu to non gli piccava. Il oldano , inteso il fiero
proponimento della cruda damigella, in modo alcuno compia-
cere non le voleva; perciò che li pareva sconvenevol e molto
che in 1 remio delle ue tante fatiche il giovane crudelmente de-
capitato fu e. l\Ia la perfida e scelerata donna, perseverando nel
suo mal volere, prese un coltello ignudo , e con intrepido e
viri! animo, in presenza del soldano , il gio •ane feri nella gola;
e non essendovi alcuno che avesse ardire di pre targli aiuto, in
terra morto caddé. · on contenta di qu to, la malvagia dami-
gella gli spiccò il capo dal bu to: e minuzzate le sue carni
e fratti li nervi, e rotte le dure os a e fatte come minuta pol-
vere, prese una conca di rame non picciola, e a p co a poco
dentro vi O'ettò la trita e minuzzata carne, componendola in-
ie me con l'o sa e i nervi non altrimenti che sogliano fare
le donne un pastone di fermentata pasta. Impa tata che fu la
rninuzzata c rne e ben unita con le trite o sa e i nervi, la
donna fece una imagine molto uperba , e quella con l'ampolla
dell'acqua della vita spruzzò; e incontanente il giovane da
morte a ita risu citato, piu bello e piu leggiadro che pnma
divenne.
Il oldano, gia invecchiato, ved uta la maravigliosa prova
e lo miracolo grande, tutto attonito e stupefatto rimase; e
de ideroso molto di ringiovenir i, pre ò la dami ella che si
come ella fatto aveva al giovane co i ancora a lui far dove e.
La damigella, non molto lenta ad ubidire il comandamento
del soldano, prese l acuto coltello che del gio,·enil sangue era
bagnato ancora: e postali Ja mano inistra sopra il cavezzo,
e q uello forte tenendo, nel petto un mortai olpo Ii diede;
ind i gettollo giu d'una finestra dentro una fo sa delle profonde
mura del palazzo, e in vece di ringioYenirlo come il giova-
netto, lo fece cibo de cani: e cosi il misero vecchio fini la
126 • -oTTE TERZ.\

·1 a ua. La amigella. onorata e temuta da tutti per la me-


ravio-lio a opera, e inte o il gi vane e er fig liu olo di Dalfreno
re di Tuni i, e Livor tto ve am nte chiamarsi, scris e al ,·cc-
chio padre, andoli notizia dell'avenuto caso nella per. ona
ua, reo-andolo in tanti "imamente che alle nozze al tutto . i
dove e tra ferire. Dalfreno, inte a la felice nuo ·a d 1 fi liuolo,
d el quale mai piu non aveva a uta notizia alcuna, ebbe gran-
dL im allegrezza; e me o i in punto, al Cairo se n'andò:
ove a tutta la citta onorevolmente fu rice uto, e fra pochi
o-i rnì con odi facimento di tutto il popolo fu Bellisandra da
Livoretto spo ata. E sua legittima po a di enuta con molto
trionfo e fau to, sio-nor del Cairo fu on tituito: nel qual lung
tempo il r gno pacificamente govern , e tranquillamente godé.
alfreno fra pochi o-iorni, tolta buona licenza dal figliuolo e
all nuora, a Tunisi ano e alvo se ne ritornò . -
F OL III.

Bianca ella, fi liu la di Lamberic marchese dì 1onferrato, viene man-


data dalla matrigna i Ferrandio , re di 1 'apoli, d uccidere. Ila
gli ervi le troncano le mani e le cavano ali occhi; e per una biscia
viene reinte rata, e a F rrandino lieta ritorna.

[LA RETT :]

- È cosa laudevole e nece aria molto che la donna, di qua-


lunque tato e condizione esser i voglia, nelle sue operazioni
usi prudenza: enza la quale niun o a ben si <YOverna. E se
un matrigna, della quale ora raccontarYi inten o, con mode-
ti usata l'a ves e forse altrui credendo i uccidere non a-
rebbe tata per ivino giudi io uccisa d'altrui, si ome o-a
intenderete.
Regnava, gia gran tempo fa, in Monferrato un marchese
potente di tato e di ricchezze, ma de figliuoli pri o: e Lam -
beri o per nome hiamava. E sendo egli desidero o m lto
di avergliene, la grazia da Iddio gli era denegata. Avenne un
gi rno che, essendo la marche ana in uno u giardin per
diporto vinta dal sonno, a' piedi d'un albero s'addormentò;
e cosi soa emente dormendo, venne una biscia piccioletta, ed
ac o tata i a lei ed andatasene sotto i panni uoi, senza che
ella entis e co a alcuna, nella natura entr , e sotti lissimam nte
a cendendo , nel ventre della donna i puose, ivi che mente
dimorando. on stette molto tempo che la marche ana, c n
non picciolo piacere ed allegrezza di tutta la citta, 'ingravidò:
e giunta al termine del parto, parturi una fanciulla con una
bi. eia che tre ·olte l 'avinchiava il olio. Il he vedend , le
omari che l'allevavano si paventarono molto. Ma la biscia,
enza offesa alcuna dal collo della bambina disnodandosi, e
- "OTTE TERZ.-\

erpendo la terra e distendendo i, nel giardino e n'andò .


• etta ed abbellita che fu la bambina nel chiaro bagno, ed
involta nelli bianchi imi pannic lli, a poco a ;JOCo incomincio
coprirsi una collana d'oro sottilis imam ente lén-orata: la quale
era i bella e si ·aga, che tra carne e pelle non a ltri ment i
traspare a di ciò che soglino fare le preziosissime co e fuori
d' un finissimo cristallo. E tante volte le ci rcondava il collo,
quante la bi eia circondato le a ·e\ a . La fanciulla, a cui per
la bellezza Biancabella fu posto il nome, in tanta irtù e gen-
tilezza cresceva, che non umana ma di ina pare a .
E sendo gia Biancabella venuta alla eta di dieci anni, ed
es endosi posta ad uno verone ed a endo ved uto il giardino
di rose e vaghi fiori tutto pieno, si volse verso la balia che
la custodiva, e le dimandò che co a era quello che piu }Jer
lo adietro veduto non aveva. A cui ri po o fu essere uno luogo
della madre chiamato giardino, nel quale alle volte ne prende
diporto. Disse la fanciulla:- La più bella cosa io non Yidi
giamai, e volentieri dentro v'anderei.- La balia, presala a
mano, nel iardino la menò: e separatasi alquanto da lei, sotto
l'ombra d'un fronzuto faggio si pu e a dormire, lasciando la
fanciulla prendere piacere per lo giardino. Biancabella, tutta
in aghita del dilettoso lu go, andava or quinci or quindi rac-
o liendo fiori: ed essendo ornai tanca, all'ombra d'un albero
i puo e a sedere. o n s'era ancora la fa nciulla ras ettata i n
terra, che sopragiunse una biscia ed acco tossi a lei. La qual e
Biancabella edendo, molto i paventò: e voi ndo gridare, le
disse la bi eia: - Deh, taci, e non ti muovere, né aver pa-
vento: perciò che ti sono sorella, e teco in un medesimo giorn
d in un stes o part nacqui , e amaritana per nome mi
chiamo. E e tu sarai ubidiente a ' miei comandamenti, farotti
beata; ma altrimenti facendo, verrai la più infelice e più scon-
tenta donna che mai nel mond i tr va e. a adunque senza
timore alcuno, e dimani fatti recare nel giardino duo va ·i,
de' quai l ' uno ia di puro latte pieno, e l 'altro d'acqua rosa ta
finissima; e poi tu sola senza compagnia alcuna a me te ne
Yerrai. -Partita la bi eia, levossi la fanciulla da sedere, ed
F. \'OL\ TERZA

ando ene alla balia la qual ritroYò ch'ancora ripoa ·a; e


de tatala, con es o lei enza dir cosa alcuna !:ie n ' andò in casa.
enut il giorno eguente, ed e endo Biancabella con la
madre in camera ola, as ai nella \'i ta sua malanconosa le
par ·e. Laonde la madre le di e:- Che hai tu Biancabella,
che . tar si di mala voo-lia ti veggio? Tu eri allegra e festevole,
ed ora tutta me ta e doloro a mi pari. -A cui la figliuola
risr ose:- Altro non ho io. e non che io vorrei duo va i , i
quali fus ero nel giar ino portati: uno de' quai fu, e di latte
e l'altro di a c ua rosata pi no. - E per si pie ci la co a tu
ti ramarichi, figliuola mia?- di se la madre.- on ai tu
he ogni cosa è tua?- E fatti i portar duo b Ili imi vasi
grandi, uno di latte e l'altro d'acqua rosata , nel giardino li
mandò. Biancabella, \'enuta l'ora, econdo l'ordine on la
bi eia dato, enza e ere d· alcuna damigella accompagnata,
e n andò a l giardi no ; ed aperto l' uscio , ola d ntr si chiu e,
e dove eran li vasi, a edere si puo e. on i fu si tosto
posta Biancabella a sedere, che la bi eia se le a i inò e fec la
imma ntin nte pogliare, e cosi ignuda n l bianchi imo latte
entrare; e con quello da capo a' piedi bagnandola e con la
lingua lingendola, la nett' per tutto dove difetto alcuno par re
le pote e. Dopo, tr tt fuori di quel latte, n e ll 'acqua rosata la
p e, dandole un odore che a lei grandissimo r frigerio presta ·a.
Indi la rive ti, comandandole espressamente che tac e e che a
niuna persona tal co se pri e, quantunque il padre o la ma-
ire fu ; perci che voleva be niuna altra donna i trova se,
che a lei in bellezza ed in gentilezza aggu gliar i pote e.
E ~ ddotatala finalmente d'infinite virtu, da lei si parti.
U cita Biancabella del giardino , ritornò a casa; e edutala
la madre si bella e l giadra, ch'ogn'altra di b llezza e
leg riadri a anzava re tò opra di sé e non apea che dire .
1a pur la dimand · come a v va fatto a venire in tanta estre-
mita di bellezza. Ed ella: non sapere, le ri ponde a. Tolse
all r a la madre il pettine per pettinarla e p r conciarle le
bionde trezze: e perle e prezio e gioie le cadevano dal capo;
e lavategli le mani, u ci ·ano rose, viole e ridenti fiori di van

G. F. TRAPAROLA, Le piacevoli notti. 9


130 ~:rOTTE TERZ.\

colori con tanta s avita de odori, che pare,·a che i\'i fu se il


paradiso terreste. Il che vedendo, la madre corse a Lamherico
suo marito ; e con materna allegrezza li di e: - ignor mio,
noi abbiamo una figliuola la piu gentile, la piu bella e la più
leggiadra che mai natura faces e. Ed oltre la divina bellezza
e leggiadria che in lei chiaramente si rede, da gli capelli suoi
escono perle, gemme ed altre preziosissime gioie: e dalle can-
dide mani, oh cosa ammirabile! vena-ono rose, viole e d'og-ni
sorte fiori, che rendono a ciascuno che la mira , oavissi mo
odore. H che mai creduto non arrei, se con e propi occhi ve-
duto non l'avessi . - Il marito, che per natura era incredulo
e on dava i agevolmente piena fede a le parole della mogli e,
di ciò e ne rise, e la berteggiava; pur fieramente stimolato
da lei volse vedere che cosa ne riu civa. E fattasi Yenire la
figliuola alla sua presenza, trovò vie piu di quello che la mo-
glie detto gli aveva. Il perché in tanta allegrezza divenne, che
fermamente giudicò non esser al mondo uomo che congiungersi
co n essa lei in matrimonio degno fusse.
Era gia per tutto l'universo divolgata la glorio a fama della
vaga e immortal bellezza di Biancabella; e molti re, prencipi e
marchesi da ogni parte concorrevano, acciò che il lei amore ac-
quistassino ed in mogUe l'ave sino. 1a niuno di loro fu di tanta
virtU che aver la potesse, p'erciò che ciascuno di loro io alcuna
co a era manche ole. Finalmente sopragiunse Ferrandina, re di
Napoli, la c ui prodezza e chiaro nome rispl endeva come il sole
tra le minute stelle ; ed andatosene a l marchese, gli dimandò
Ia figliuola per moglie. Il marchese, vedendolo bello leggia-
dro e ben formato, e molto potente e di stato e di ricchezze,
conchiuse le nozze; e chiamata la figliuola, senza altra dimo-
ranza si toccorno la mano e basciorono. on fu si tosto con -
tratto il spon alizìo , che Biancabella si rammentò delle parole
che amaritana ua arella amorevolmente dette le aveva; c
discostata i dal spo o , e fingendo di voler fare certi suoi ser-
vigi, in camera se n'andò; e chiusasi dentro, ola per un
u cio lo secretamente entrò nel giardino, e con bas a voce
cominciò chiamare amaritana. Ma ella non più come prima
FAVOI.. TERZA I 'I

le appre en •a. Il he vedendo. Biancabella molto . 1 ma-


ra iu li · e non trovandola né veg endola in luogo alcuno del
gi r ino. ai oloro a rima e , ono c ndo ci e ere ;n-enuto
per n n er lei a a ubidiente a' uoi comandamenti. Onde
ramaricando i tra é te sa, ritorn in cam ra; d apert l ' u io,
i po a edere ap re o il uo po o, che lungamente pe -
t t a l'a ve v . r fini t le nozze errandino la ua .a a
_·a poli tra feri: dove c n an p mpa e g lorio o trionfo e
, onore trom e fu da tutta la citta rr v lment rice uto.
errandino matrigna con due figliuole ozz brutte;
di l ro con errand in o in matrim ni COJ u-
n ole tolta gni p ranza di con guir tal uo
id eri o, ·e a e e contra di Bianca ella di tanta ira e de-
no , h non pur vedere, ma entire non la v leva: fingend
per tutta\ ia d'amarla ed a •erla cara. ol e la fortuna che
il re di Tunisi fece un urandi imo apparecchiamento per terra
e per mare per mover uuerra a Ferrandino: non o e que t
fu e per au a della pre a moglie, ov r 1 er altra agione; e
gia ol u p t nti imo ito era entrato n Ile onfin del
u me. Laonde fu di bi h Ferrandino prende.
l'ar me per difen ione del , uo e raffr nta e il nimic
m o i in punto di ciò eh li fa eva mi tieri , e ra c -
ella, che o-ravida era, alla matriuna, ol u
arti .
• on pa orono molti ui rni , he la malvagia e proterya
matrigna deliber Biancabella far morir ; chiama i certi uoi
fid ti n·i, li mmt he con e so lei an ar dov sino m
al un lu p r dip rto , indi non si parti eno e prima da
l ro ucci a non fu e: per rtezza della morte ua le r -
a ino qualche no. li ervi, pronti al mal fare, furono
u idienti alla ignora; fing ndo di andare a uno certo luog
per di or t , la condu er ad uno bo o dove ia di uc id rla
. i preparavano: ma edendola i bella e i gr zio , o-li enne
pi eta, ed uccidere non la ol ero, ma l piccarono ambe l
mani dal bu to u\i c hi di capo le tra ero, p rtandog li
alla matri na per manife ta cert zza che u ci a l a ·evanc. li
132 • - TTE TERZ_\

·h Yedendo, l'empia cruda m trirrna paga e molto lieta ri-


ma . E p n and la 1 rata matrio-na di mandar ad etfetto
il uo m li o pr poniment , mi n· per tutto il regno che
le ue fi liu le erano mort : un di continov.t febbre, l'altra
per un po tema vicina al cuor h'a~ cata l'aveva; e che
Bian ab lla, per lo olore della artita d l re, di per o a\ t ,·a
un f n iullo e pra iunta le era una ter zana f bbre <..be
molt l di trug e\·a eh vt ra piu to to peranza di 'ita
he t menz di m rte. 1a la mal vaO"ia rea femina in 'ece
di Bi· n cab lla tene a nel letto l re una d lle u fi liuole,
fin ndo lei e er Biancab Ila da febb re rrra \· ta.
Ferrandino, h l' d l nimi a a gia onfìtto
di er o , a ca a i ri torn a co n lorio o trionfo; e red en-
i ritro ar e la ua diletta iancabella tutta fe t vole e gw-
onda, la tro ò h macra colorit di f rm n l le tto giace\·a.
d acco tato i bene a le i guatatal fi nel v lto e vedu -
tala i di trutta , tutto tupefatto rima non p tendo i i n
modo a l uno ima inare eh ella iancabella fu se; fatt ala
pettinare , inv di e mme e prezio i ie che dalle bio nde
hiome l adere, u iv . no g ro i imi pedo c hi be
rrm ra la di n : e dall mani, he ne u civan r e
d rif ri fiori, u i a una lordura e un u cidume che
t m a c hi le tava . Ma la celerata donna lo
nf rtava e li di c a a aveni re per la lun hezza
d lla inf rmita h tali
La mi ra dunqu on mani mon he e
ieea d'ambi gli hi nel luoc olingo fuor di mano o-
l tta in t nta affiizi ne hi mando ·empre e ric hi a-
m nd la or ila ch aiu t r e l dov ; ma niun o
v1 ra eh e non la ri nante co ch e per
t utta l 'ari che la i n fe lice donna dimora ·a
tn al u t ri a di um n alli o
ntr r u mo atte mp t molto , beni o di
e mpa a 1. Il u l udita eh e be la
m ta e lam nte voce a qu lla co n le orecchie accosta-
t 1, pian pian an i pi di a icinato i, lro \·ò la giovane
F.\ Y L. TERZ.-\

cie e mon elle mani che della ua dura orte fieramente


i r. maricava . Il buon •ecchio , ve utala, non puote offerire
he tr bronchi, um1 pini rima n e; ma ·int da paterna
mpa ione , a ca a la ondu e ed ali m glie la rac omandò :
imponend l . tretti imament che di lei c ur \'Oita-
to i a tre fi liu l che re lu idi un telle arevano, alda-
m e nt le m nd ' eh c m p nia t n re le ve ino, carez-
z n ola a tutt'ore e no la iandol c . a veruna mancare.
L. m gli , h piu cruda ra che pi to a, c esa di r bbio a
ira, c ntra il marito impetuo amente ol di e: - eh ,
rn rit , che v le e · i che noi fa . iamo di questa femina ci ca
monca , non o-ia p r le ue virtu, ma p r guidard n d '
. uoi hen m riti?- c ui il chiarell on degno ri p e:
a iò c he io ti dico; e e altri11enti farai , non mi aspet-
tar a ca a . -
Dimoranù adunqu , la dol ro a Biancabella on la mo li e
e l tre fi liu l , e rao-ionando con loro di ·an c e,
en ando tra é t s a alla u ciagur , preg una d li
figli u l eh le piace pettina r la un po . Il h e intend nd ,
la madre molt degn , perci ' he non voleva in g ui a
l una he la fi liuola di · ni come ua r ritrice. Ma la
ficrliuola, più h la m dre pia, av nel a mente ciò eh com-
me o le a ·eva il padre , e edendo non o eh u Jr dal -
l ' aspetto i Bi nca Ila h d imo tra a egn di o-r, ndezza
10 il crr mbial di b he dinanzi t neva ; e
in t rra, more olmente la p ttinava . • é app na
minciato av va pettin rla , c he delle bionde rezze aturivano
p rle. rubini, diamanti ed altre prezi e ioie . Il he v d ndo,
l, m dre , n n enz.: temenza, tutta tupefatta rima e: e l'odi
r nd h prima le p rtava in v r amor c nv r e. n-
t rnato il cchiar 11 a a , lutte cor ero ad abbra i rl
r Il grando i molt on e lui della l r a<Yiunta "\entura a
tanta ua over ian abella i fe e re ar una hia d a qua
fr ca, e fec 1 la\ are il 1 e i monchi, dalli q uali , tutti
vedendo , ro e, iole e fiori in abondanza caturivano. Il per-
che n n umana per na anzi di ina la r putor no tutti.
a "OTTE TERZA

AYenne che Biancabella eliber di ritornare al luogo do ·e


fu gia dal yecchiarello tro rata. ~la il vecchiarello, la moalie
e le fio-liu le, ed ndo l' utile r nd che di lei n'apprendevano,
l' accarezza\·ano, ed in tantemente la pregavano che in modo
al uno p rtire non i do e e, allegandole molte r.1gioni acciò
he rimo ere la pote ino. Ma Ila, alda nel suo volere volse
al tutto partirsi, promettendoli tuttavia di ritornare. Il che
entendo, il vecchio senza indugio alcuno al luoco dove tro-
Yata l' avea, la ritorn . Ed ella al vecchiarello impose che si
parti se, e la era ritorna se a lei che ritornerebbe con e
lui a ca a. Partitosi adunqu il vecchiarello, la venturata
Biancabella cominci andare per la el ·a, amaritana chia-
mc. ndo; e le strida ed i lamenti anda ano fino al cielo . .t--la
amar itana, quantunqu appre so le fu e, né mai abbandonata
l 'ave se, ri pondere non le voleva. La miserella, vedendo i
pargere le p role al vento, di e: -Che debbo io piu fare
al mondo, dopo che io ono pri a degli occhi e d lle mani,
e mi manca finalmente ogni soccorso umano?- Ed acce a da
uno furore che la tolle a fuor di speranza della sua a1ute,
come disperata, si vole a uccidere. Ma non avendo altro modo
di fi nir la ua ita, prese il cammino ver o l'acqua, che poco
ra lontana, per attuffar i; e giunta in u la riva gia per entro
gittar i, udi una tonante voc che dice a: - Ahimè, non fare,
n' voler di te ste a e ser omicida! riserba la tua vita a mi-
glior fine. - llora Biancabella per tal voce smarrita, qua 1
tutti i capelli addos o i senti arri ciare. Ma parendole ono-
~ ere la \'Oce, pre o alquanto di ardire dis e: -Chi ei tu
he vai rrando per questi luochi, e on voce dolce pia ver
me ti dimostri?- Io ono-ri 1 ose la oce, - amari tana tua
orella, la quale tanto instantemente chiami. - Il che udendo,
Biancabella con voce da fer idi ingolti interrotta le dis e:
- Ah! orella mia, aiutami ti prego; e se io dal tuo on i-
lio co tata mi ono, perdono ti chiedo. Perciò he rrai,
ti onfe so il fallo mio, ma l 'error fu per ignoranza, non 1 er
malizia; ché e per malizia tato il fu e, la divina provvidenza
non l'arrebbe lungo tempo u tenuto. - amaritana, udito il
L\YOLA TERZA I.)5

campa sionevole lamento, e edutala co i maltrattata, alquanto


la confortò; e raccolte certe erbucce di maravigliosa virtu, e
postele sopra gli occhi, e giungendo due mani alle braccia,
imrnantinente la risanò. Poscia amaritana, deposta giù la squal-
lida scorza di bi eia, una bellissima giovanetta rimase.
ia il ole nascon eva gli suoi folgenti rai, e le tenebre
della notte cominciavano apparire, quando il ve chiarello con
frettoloso pas o giunse alla selva, e trovò Biancabella che con
un'altra ninfa sedeva. E miratala nel chiaro viso, tupefatto
rimase, pensando quasi ch'ella non fusse. Ma poi che cono-
sciuta l'ebbe, le di e;- Figliuola mia , voi eravate stamane
cieca e monca; come siete voi cosi tosto guarita?- Ri po e
Biancabella:- Non gia per me, ma per virtù e cortesia di
c stei che meco siede, la quale mi è orella. - E l vatesi am-
be ue da sedere, con somma allegrezza insieme con il Yecchio
se n'and rono a ca. a: dove dalla moglie e dalle figliuole fu-
rono amorevolmente ri cevute.
Erano gia passati molti e molti giorni, quando S· maritana,
Biancabella ed il vecchiarell o con la moglie e con le tre
figliuole andar ono alla citta di Napoli per ivi ab1tare; e veduto
un luogo vacuo che ra al dirimp tto del palazzo del re, ivi
si po ero a sedere. E venuta la buia nott , Samaritana, pre a
una vergella di lauro in mano, tre volte pere sse la terra di-
cendo certe parole; le quali non furono appena fornite eli dire,
che scaturi un palazzo il piti bello ed il più superbo che si
·ed esse giamai. Fatto i Ferrandina re la mattina per tempo
ali finestra, vide il ricco e maraviglioso palau.o; e tutto atto-
nito e stupefatto rimase. E chiamat la moglie e la matrigna,
lo vennero a edere .. ia ad e e molto di piacque, perciò che
dubitavano che alcuna co a sinistra non le avenis e. tando
Ferrandina alla contemplazione d l detto palazzo, d avendolo
d 'ogni parte ben con iderato, alzò gli occhi e vide per la
finestra d una camera due matrone che di bellezza facevano
in idia al sole. E tanto to che l'ebbe vedute, gli venne una
r bbia al cuor e, per iò che li parve una di loro la sembianza
di Diancabella tenere. E addimandolle, chi fu sero e donde
• -oTTE TERz .;

\'eni seno. A cui fu n po to che erano due donne fuoruscite,


e che venÌ\·ano di Per ia con il loro avere, per abitare i n
que ta d riosa itta. E addimand< te se grato ~n·ercbhono
che da lui e dalle ue donne vi itate fu ero. gli risposero che
caro le sarebbe molt , ma che era piu convene,·ole ed one. to
ch'elle, come uddit , anda ero a loro, che elle, come signore
e reine veni ero a vi itarle. Ferrandino, fatta chiamare la
reina e le altre donne, con es o loro, ancor che ricusassino
di andare temendo forte la loro propinqua roina, se ne girono
al palazzo delle due matrone; le quali con benigne accoglienze
e onesti modi onoratìs imamente le ricevettero, mostrandogli
le ampie logge e spazio e ale e ben ornate camere, le cui
mura erano d'alaba tro e porfido fino , dove si vedevano figure
che vive parevano.
Veduto che ebbero il pomposo palazzo, la bella gio,·ane,
acco tata i al re, dolcemente lo pregò che si deo-nasse con la
sua donna di voler un giorno con esso loro desinare. Il r e,
che n n ave a il cuor di pietra ed era di natura magnanjmo
e liberale, graziosamente tenne lo invito. E res le grazie
dell'onorato accett che le donne fatto gli avevano, con la reina
i parti ed al suo palazzo ritornò. Venuto il giorno del depu-
tato invito, il re, la reina e la matrigna, regalmente vestite
ed ace mpagnate da diverse matrone, andarono ad onorare il
magnifico prandio gia lautamente apparecchiato. E data l'acqua
alle mani il siniscalc mise il re e la reina ad una ta\'ola
alquanto piu eminente ma propinqua alle altre; dopo fece tutti
gli altri econdo il loro ordine sedere: ed a gran agio e li e-
tamente tutti desinar n . Finito il pomposo prandio e leyate
le men e, levo si amaritana in piedi; e voltatasi \'erso il re
e la reina, di e:- io-nor, acciò che noi non tiamo nell'ozio
av olti, qualcuno propona a lcuna cosa che sia di piacere e
contento. - I l che tutti c nfìrmar no e ser ben fatto. Ma non
vi fu però veruno che proponere ardi se. Onde ,·edendo a-
maritana tutti tacere, dì e: -Dopo che niuno sì m ve a dire
cosa alcuna , con li enza di \Tostra Mae ta farò venire una delle
no tre donzelle che ci dani. non picciolo diletto. - E fatta
F. YOL.\ TERZA 137

hi amare una miO' Ila he ih·eri per n me . i chiama,·a,


le comandò che prende la cetra in mano ed alcuna co..,a
degna di laude d in n re el re canta e. La quale. uhi-
ienti ima alla . ua ign ra, pre. e l cetra; e fatta i al dirim-
pett d l r , c n . ave e dil tte,·ol ,·oce, to cando col plettro
le s nore rde rdinatamente li racc ntò l'i toria di Bianca-
bella, non per ment ,., nd la per n me. giunta al fine
dell i tori , lev . 1 am ritana, . cl imand al re qual con-
venevole p na, qual de no upplicio m ritarebbe olui che . i
grav ecce. so ave s comm o. La matrigna, che p n va con
la pronta e pre ta ri . po. a il difetto suo coprir , n n asp ttò
eh 'l re ri pende. se, ma auda emente di c:- na forna e
fo rte mente acce. a Se r l b a costui poca pena a que lla che gli
m ritarebbe. - Allora amaritana, come bragia di fuoco n l
v1 a\·am ata, di e: - E tu ei u Ila rea crud l f mina
per la cui agione fu tant rror comm o. E tu, malva ia
e m lad tta, o n la pro1 ia b cca t a ora danna ti. -
E yo lt ta i am ritana al re, con allegra fa ia g li di
ue ta · la vo tra Bian abella! ue ta è la vo. tra m gli
da ·oi cotant ama a! ue. ta è o lei enza la q ual voi non
pot vate vivere! - Ed in segn della v rita oman lò alle tre
onzell figliuole del \'e hiarell h in pre nza del re le
pettina tn i bi ndi e r spi apelli: dai quali, come detto
di pra, ne u ci vano le car dil tt voli gioi , e d 11 mani
caturivano matuttine r o e d odor si fiori. 'E per maggior
c rt zz dimostrò al re il cand idi im c llo iancabella
intorniato da una ·atenella di fini . imo oro , eh tra carne e
1 ell naturalm nte ome cristc Il tra pareva. Il r , on ciut
h ebbe p r veri indizi e hi ri . errni lei er la ua Bian a-
lla, t n ramente ominci a piang r ed abbrac i rla. d
indi non i 1 arti, he fece a c nd re una f rna , e la matrio-na
e 1 figliuol me sevi d ntro . Le quali tardi pen tute d l p cono
su , la loro ita mi ramente fi irono. ppre o qu t , le tre
figliuole del \'cechi r llo orreYolmente fur no maritate; Fer-
r, n i no re con la i ncabella e am. ritana lungamente
·iss , las iand do1 o é redi legittimi nel regno. -
FA OLA IV.

Fortunio per una ricevuta ingjuria dal padre e dalla madre putativi i
parte; e vagabondo capita in un bo co, dove trova tre animali da'
quali per ua entenza è guidardonato; indi, entrato in Polonia, gio-
_stra, ed in premlo Doralice figliuola del re in moglie ottiene.

(ALTERIA:j

_-Egli è un motto che tra ' volgari è non poco frequentato


ne' ragionamenti loro : K Non scherzar che 'l doglia, né mot-
teggiar del vero; perciò che chi ode vede e tace, altri non
nuoce e v i e sempre in pace».
Fu adunque nell 'estreme parti di Lombardia un uomo chia-
mato Bernio, il quale, quantunque de ' beni della fortuna abon-
devole non fusse, non però d'animo e di cuore agli altri
inferiore si reputa ·a. Costui prese per moglie una valorosa e
gentilesca donna , nominata Alchia; la quale, a enga che di
bassa condizione fusse era però dotata d'ingegno e di laudevoli
co turni , e tanto amava il marito, quanto un'altra che trovar
i potesse giamai. Essi molto de ideravano figliuoli, ma la
grazia da Iddio non gli era concessa; perciò che l ' uomo il piu
delle volte non sa quello che addìmandando piu ii convenga.
tando ambeduo in questo desiderio eggendo la fortuna
essergli al tutto contraria, costretti da lungo desio, delibera-
r no di prenderne uno per propio e legittimo figliuolo te-
nerlo e nudricarlo. Ed andatisene una mattina per tempo a quel
luogo dove sono i teneri fanciulli dalli loro padri abbandonati ,
e adocchiatone uno che piu bello e piu Yezzoso degli altri
li parve, quello pr,e sero; e con molta diligenza e disciplina
fu da loro ac ostumatamente nudrito.
Avenne che, come piacque a colui che l'universo regge
ed ogm cosa a uo bel grado tempra ed am mollisce, Alchia
FAVOLA QC..\RTA 139

i ingrav'dò; e pervenuto il tempo del parto, parturi un


figliuolo che tutto somigliava al padre. Di che l'uno e l'altro
ne ebbe incredibile allegrezza ; e Valentino nome gl'imposero.
Il fanciullo, ben nudrito ed lle rato , ere ce a ed in virtu ed
in co tumi; e tanto amava il fratello , Fortunio chiamato, che,
quand egli era enza di lui, da doglia i sentiva morire. _ia
la di cordia, d'ogni ben nimica, edendo il loro fervido e
caldo amore, e non potendo ornai sofferire tanta tra loro am -
revolezza, un giorno se interpose, ed operò i che gli suoi
frutti acerbi assaggiare incominciarono. Imperciò che cher-
zando tra loro un giorno, si com'è usanza de' fanciulli, ed
e sendo per lo giuoco riscaldati alq uanto, e non potendo a-
tentino patire che Fortunio nel giuoco li fusse superiore, in
tanta rabbia e furore venne, che piu volte bastardo e nato dì
vii femina li disse. Il che ud ndo Fortunio e di ciò mara ·i-
gliandosi molto, assai si turbò; e oltosi verso Val entino, li
di se: - Come sono io bastardo?- E Valentino con parole
tra' denti non morte, seco tutta ia contrastando, animosamente
lo confermò. Laonde Fortunio oltre modo dolente del giuoco
i parti; ed andatosene alla putati a madre, dolcemente la di-
mandò se di lei e di Bernio era figliuolo. cui Alchia ri po e
che si. Ed accortasi che Valentino con ingiuriose parole ol-
traggiato l'ave a, quello fortemente minacciò, giurando di
malagevolmente castigarlo. Fortunio per le parole d' lchia
su picò, anzi tenne per certo che egli suo figliuolo legittimo
non fu se · pur piu o lte as aggiare la volse s'egli ra suo
Yero figliuolo, e di saperlo al tutto deliberò. Onde Akhia, ve-
dendo l'ostinato volere di Fortunio, e non potendo da tal imp r-
tunita rimoverlo, gli confermò lui non esser suo vero figliuo-
l ma nudrito in ca a per amor d'Iddio e per alle iamento
de' pec ati suoi e del marito. Queste parole al gio ane furono
tante coltellate al cuore e li crebbero doglia sopra doglia. Ora
e endo senza misura dolente, né soffrendogli il cuore é me-
de imo con alcuna violenza uccidere, determinò di uscire al
tutto di casa di Bernio, ed errando per lo mondo tentare se
la fortuna ad a lcun tempo li fusse favorevole. Alchia, veduta
I.+O • -oTTE TERZ .-\

Ja •olonta di Fortunio o ni ora piu pronta. né ,·edenclo modo


né via di poteri rimovere dal u duro proponimento, tutta
acce a d'ira e di .de<Yno, dielli la maledizione, pregando Iddio
eh e gli aveni e per alcun t mpo di ca\·alcare il mare, ei
fu e dalla irena n n a ltrimenti inCYhiottito che ono le na ,·i
dalle procello e e g nfiate onde mari n . Fortunio, dall' impe-
tuo vent del degno e dal furor dell'ira tutto pinto. n L·
i nte a la maledizione materna , enza altr ongedo prendere
dai parenti, i parti, ed indirizz · v r ponente il uo cam-
mino.
Pa sando adunque Fortunio or tagni or valli or monti ed
altri alpestri e alvatici luoghi, finalmente una m ttina tra sesta
e nona <Yiun e ad uno folt ed im·iluppato bo co; e dentro entra-
t vi, trov il lupo, l'aquila e la f rmica, che 1 er la cacciagione
di gia un pr o er o fu r di mod si rimbec avano, l in par-
tirlo in maniera alcuna convenire n n i p tevano. tando adun-
que i tre animali in que to dur c ntra to, né v lend l 'uno
ceder a l'altr , al fine in tal <Yuisa patt ggi rono , che '1 giovan e
ortunio, che allora era ·i sopragiunto , d e e la l ro lite dilì-
nir , dando a eia cuno di l ro la parte he li pare se piu on-
ven Yole. cosi tutta tr rima ero c ntenti : promettendo l ' uno
ali altro d'a qu tar. i ed in maniera alcuna non contravenir
alla difinitiva sentenza, quantunque ila fus e ingiusta. For-
tunio, pre volentieri l a unt , e con mat trita c nsid rata
la loro condizion , in tal gui a la pr da divi : al lup , com
animai ·orac addentato molt , in guictardone del la durata
fatica assign tutte l'ossa con la macilente carne; all'aquila,
uccello r pa e di denti pri,·o, p r rimunerazione ua in cibo
offer e le interiora col gra che la arne e l'o a irconda ;
Ila g r nifera e ollecita formica, 1 r r manchevole di
quella potenza h 'al lupo ed all'aquila è dalla natura conce sa,
p r premio della o tenuta fatica le tener cerYella onces ·e .
l grav e b n fondato giudici eia cuno di loro rima e con-
tento; e di t< nt corte ia, quanta ci u ata gli a ·ev· , ome
me ho puotero e eppero il rin2"razi rono a ai. E per iò che
la ingratitudine tra gli altri ·izi è _ommam ente bia~meYole.
FAVOLA 2C.\ RT.-\ qr

utta tre oncordi voi ero che ' l giovane non i parti e , se
prima da eia cun di }or non era p r lo ri ce ·uto serv igio o tt i-
mamente guidardonat . Il lupo adunque in ricono cimento del
p at o-iudi io i e: - •ratello, io ti do que ta virtu , che
i volta il tuo de iderio ani di divenire lupo e dirai : fu 10

lup , inc ntanente di u m in lupo tu ti tra formerai ritor-


n nd per· a tuo bel grado nella tua forma prima. - d in tal
maniera fu altre i d ll ' aquila e dalla formica beneficiato,
Fortunio , tutto alle!rro per lo ric vuto dono, rendute prima
quelle grazie h i eppe puote , hi e da loro commiato ,
e i 1 arti· e tanto camminò , che a giun e a Polonia itta no-
ile e po1 olo a : il cui imperi tene a de alc re, molt
pot nte e valoroso, il quale m·eva una figliuola , D rali e per
n me chiamata. E v lendola on r lm nte maritare, ave a
fatt bandir un gran torniament nel u regno; né ad alcuno
intend a in matrimonio copularla, e non a colui he d Ila
gio tra fu in cit re . E molti uchi marche i ed altri po-
tenti wn n erano gia da o m parte venuti r er far l'acqui to
lei pr zi premio; e della io tra ornai era pa ato il primo
1 rn d uno aracmo ozzo ontrafatt di a p tto, tran
di forma n ro c me pece, di quella uperior ppareva. La
figliuola del r , on ider ta la diformita e lordura d l ara-
in , ne enti a grandi simo d l re che ei ne fu se della ono-
rata gio tra incente; mes a i la v rmiglia o-uancia opra la
t nera delicata mano i attristava e ramaricava, mal dicendo
la ua dura e mal va ia orte: bramando prima 'l morire che
di si sformat ra ino mo lie venire.
ortunio, entrato nella citta e eduta la on revol 1 mpa
ed il ran eone rso ei O"Ì tranti d int a la au a di 1
!orio o trionf , i cee e di ardenti imo d siderio di mo trare
q uant era il uo valore nel torniam nto. fa perci he era
pri o di tutte quelle o e che ai iostranti i con en ono, do-
leva i m lto . E tando in que to ramari ed alzando gli o chi
al ci lo, ide Doraliee, fio-Iiu la del r , eh ad una up rba
fine tra app iata i stava: la quale, da molt vaghe e ge-
ner se matrone cir ondata, non altrimenti pareva che l vi o
_-o E TERZA

e chiaro sole tra le minute telle. E sopragiunta la buia notte,


d andatisene utti ai loro alloo-giamenti, Doralice mesta si ri-
dus e sola in una cameretta non meno ornata che bella; e stando
cosi solinga con la finestra aperta, ecco Fortunio, il quale,
come vide la gio ane, fra é di se: - D eh, ché non sono io
aquil ? - é appena egli a eva fornite le parole, che aquila
di" enne; e olato dentro della finestra, e ritornato uomo come
prima, tutto giocondo e tutto fe tevole se le appresentò. La
poncella, vedutolo, tutta si smàrri · e si come da famelici cani
lacerata fusse, ad alta voce cominciò gridare. Il re, che non
molto lontano era dalla figliuola, udite le a lte grida, corse a
lei, ed inteso che nella camera era un giovane, tutta Ja zan'
bra ricercò, e nulla tro ando, a riposare se ne tornò; perci
che il giovane, fattosi a uila, per la finestra i era fuggito.
é fu si tosto il padre postosi a riposare, che da capo la
poncella si mise ad alta voce gridare; perciò che il giovane ,
come prima, a lei presentato si aveva. Ma Fortunio, udito il
grido della giova ne, e temendo della ita ua , in una formi ca
i cangi , e nelle bionde trezze della aga donna i nascose.
descalco, corso all'.al to grido della figliuola e nulla veden do,
ntra di lei as ai si turbò, e acramente minacciolla che e
ella piu gridava egli le farebbe uno scherzo che non le pia-
erebbe; tutt sdegnato se ne parti, pensandosi ch'ella a es e
v dut nella ua imaginati a uno di coloro che per uo amore
erano tati nel torniamento u ci i. Il gio anetto, entito del
padre il ragionam nto , e v duta la di lui partenza, la poglia
di formica depos e nel suo e er primo fece ritorno. Dora-
lice, vedendo il giovane, subitamente si volse gittar giu dal
letto e gridar , ma non puote; per iò che il giovane le chiu e
c n una delle mani la bocca e di e: - ignora mia, io n n
ono qui venuto a torvi l 'onore e l 'a er o tro, ma per rac-
co nfortarvi ed esservi umilissimo servitore. e voi piu grida-
rete, una di due cose a erra: o che ' l vo tro chiaro nom e e
buona fama fie guasta, o che voi sarete cagione della mia e
vo tra morte. E perciò, signora del cuor mio, non ogliate
ad un tempo macchiare l onor vostro e mettere a pericolo di
F.\Y LA Q ·.\RTA

amenduo la Yita. - Doralice , mentre Fortunio dice,-a ai pa-


role, piangeva e i ramaricava molto; né pote\·a in maniera
alcuna patire iJ paventoso a salto. ra Fortunio, vedendo il
perturbato animo della donna, con dolci sime parole che ar-
rebbeno spezzato un monte, tanto di se e tanto fece, che ad-
dolci l'os inata voglia della donna; la quale, Yinta dalla leg-
giadria del giovane, con e o lui si p citic . E Yedendo il
giovane di bellissimo a petto, robu to e delle membra ue hen
formato, e ripensando tra sé ste a alla bruttura del saracino,
molto i doleva che egli dovesse della gio tra esser vincitore
e parimente della ua persona po se ore. E mentre che ella
seco ragionava, le di se il giovane: - D amigella, s'io aves i
il modo, volentieri giostrerei; e dammi il cuore che dell a
giostra sarei vincitore. - cui ri po e la donzella: - Quando
co i fus e, n iun altro che voi arebbe della persona mia si-
gnore. - E vedendolo tutto caldo e ben disposto a tal impresa
di danari e di gioie infinite l'accomodò. Il gio ane, allegra-
mente presi i danari e le gioie addimandolla qua!. abito più
le arebbe a grado che euli si ve ti se. A cui rispose: - D i
raso bianco.- E si come ella divi ò, co i gli fece.
Fortunio adunque il giorno seguente, guarnito di riluc nti
armi coperte di una opraveste di ra o bianco, di finissimo
or e sottilissimi intagli ricamata, montò sopra un po sente
ed animo o cavallo coperto di colore del cavaliere; e senza
esser da alcu n cono ciut in piazza se ne gi. Il popolo, gia
raunato al famo o pettacolo, Yeduto il prode cavaliere isco-
nosciuto con la lancia in mano per gio trare, non senza gran
maraviglia e come smemorato incominciò fi o a riguardarlo;
e eia cuno diceva: - Deh, hi è co tui che i leggiadro si
pomposo si rappresenta in gio tra , e non si conosce?- For-
tunio, nell'ordinata sbarra entrato, al suo rivale fece motto
che entrasse; ed amendu , abba sate le nodose lance, com e
scatenati leoni si scontrorono: e cosi urave fu del giovanetto
il colp nella t ta, che il saracino toccò del avallo le groppe,
e non altrimenti che un vetro battuto ad un muro, nella nuda
terra morto rimase. E quanti quel giorno in giostra ne incontrò,
- TTE TERZ.\

tanti furono da lui valor am ente abbattuti. :tav,l i la dami-


gella tutta allegr e con mmir, zione g randi sima intensàmente
il rigu rd va, e tra é te a rin razia ·a Iddio che della ser-
vitu del r ino l'a eva deliber ta, e pregavalo li d sse la
vittorio , alma.
iunt nott , e chiamata Doralice a c na, non gli vt
v l e anda r ; m fatti i por re certi delicati ibi e preziosi
·i ni , fin non aver allora appetito di mangiare: ma facendole
bisogno, al tardo ola mangerebbe. chiu asi ola in camera,
ed aperta la finestra , l affezi nato amante con sommo desi-
derio a pettò; e ritornato ·i come la notte precedente, ambeduo
in ieme lietamente enorono. appoi Fortunio l 'addimandò
come dimane vestire i do e, ed ella a lui: - Di ras verde,
tutto di argento ed oro fini imo ric mat : ed altressi il ca-
vallo. - d il tutto fu t tam nte la mattina e quito . p-
pre ntatosi adunque in piazza, il giovan tto all' rdinato ter-
mine del torniamento entr ; e il o-iorno a anti il uo gran
•alore aveya dimo trato, nel equent vie piu quello dimostrò .
la deli ata d nzella giu tament es er ua oo-nuno ad alta
ce affirma a.
enuta la era la damio- Ila tra é tutta gio onda tutta
a d allegra fin qu llo i te o h nella pr dente
n tt simul t aveva. E hiu 1 1n camera, d aperta la fine-
tra il valor o giovane a pettò, e c n o lui agiatamente
cenò. E addirnandatala d cap di che ve timent nel quenle
cr1 rn add bar i do e e, li rÌSJ e:- Di ra o cr m sino,
tutto ricamat di ro e erl ; d ltr 1 la opra e te del
cavallo ani in tal gui a guarnita, p rc1 he in tal mani ra
ar ancor io Ye ita. - nna, - di se rtunio , - e dimane
per aventura 10 fu i alquanto piu tardo d eli' u ato nel ve n i re
in gi stra n n che non e nza c u ·a
tcrd r l v nu m a.-
e n ulo il terz i rno e l' ra del gio trar , tutt il popolo
il termine del glorio triunfo con randi sima alle zza a p t-
tava; ma niuno dei iostranti, p r la mi urata fortezza del
1 rod e ca 'aliere incognito, ardiva di comparere . E l dim ran za
F. V LA f UART 145

el cav liere troppo lun a non p r a op lo generava sospetto


grandi simo ma ancora alla donzella, quantunque della dimora
ne fu e cons pevole. E vinta da interno dolore, non se ne a\"e-
d endo alcuno, ua i tramortite caddé .• 1a poi ch'ella senti For-
tunio avicinar i alla piazza, rrli marriti piriti cominciorono a
ritornare ai loro lu chi. Er Fortunio d'un ricco e superbo
drappo e tito e la operta del uo avallo d'oro finissimo tutta
dipin a di lucenti ru ini , di smeraldi, di zaffiri e di gr
perle, le quali econdo il giudizio univer aie un tato alevano.
Giunto in piazza il valoro o F rtunio tutti a alta oce o-rida-
·ano: - Vi 'a, viva il cavalier inc gnit . - e con un pe o e
fe toso batter di mani fischiavano. Ed entrato nella sbarra, i co-
rag iosamente ·i port' , che mandati tutti sopra la nuda terra,
d Ila giostra ebbe il glorio o trionfo. E sce o giu del potent
c va lo, fu dai primi e dai maggiori della città opra i loro
omeri olle to; e con onore trombe ed Itri mu ici stromenti ,
e con grandi simi gridi che givan in fino al cielo, alla
pre enza del re incontanent lo portorono . E tra togli l' Imo
e le r luc nti arme, il re vid un vago iovanetto; chia-
m ta la figliuola, in pr senza di tutto il popolo con grandi -
ima pompa la fece sp sar , e per un mese continovo tenn
c rte bandita.
E endo Fortuni con la diletta m glie un cert tempo
dimorato, e parendogli s on enevole e cosa vile il tar ne l'ozio
avolto raccontando l'or e i come fanno quelli che sciocchi ono
e di prudenza pri i, letermin al tutto i partir i , e andar ne
in lu chi dove il suo 2Tan valore fu se a1 ertamente cono ciuto.
pr s una galea e m lti t ori he ' l uocero o-li a eva do-
nati e tolta d a lui alla moo-lie buona licenza, sopra la galea
ali . avio- ndo adunque Fortunio con pros eri e favore oli
venti, aggiunse nell'Atlantico mare; né fu uari piu di dieci
miglia entrato nel detto m re, che una ir na, la mago-iore he
ma1 eduta fu e alla galea i a ostò, e d le mente min ciò
a c ntare. Fortunio, che in un lat d Ila galea col capo opra
l'acqua per ascoltare dimorava, si addormentò; e co i dormendo
fu dalla irena diglottito, la uale, attuffatasi nelle marine onde

G. F. TRAPAROLA, L e piacevoli notti. IO


l 6 _. TTE TERZA

e ne fuggi. I m inai, no p tend l cc rrere, c pp iavano


a dol re; e tutti me ti e la galea di bruni panni
c erser , e a ll' infelice e
r. cco ntand li l ' rribile e l
or r venuto . il c he il re e
. imo dolore sente do, di neri panni i \'e tiro.
vicinata i gia l'ora del art , ralice un bellis imo bam-
ino parturi; il quale, vezzo amente in m lte delicatezze nudri to.
11 eta di uo anni pervenne . E con iderando la me ta ed ad-
do} rata D larice é e er priv el u ilett e car po o,
n é e ervi piu speranza lcuna i p terlo ria ere, nell'alt e
viri l anim uo pr pose i voler al tutto, anc r che il re con -
se tire non le v lesse, mettersi in mare alla fortuna e la ua
t ra provare. E fatta mettere in punto una galea ben '.armata
e i gr n v ntaggi , e re i tre pomi maraviglia lavorati,
dei quali l'uno er di aur icalco, l altr di argento ed il terzo
i finis im oro , tolse li cenza d l pad.re, ed in galea col bam -
bino mont ; e date le vele al pro perev le ento, nell'alto
m. re entrò. La mesta donn, , c si na igand con tranquillo
m r e, r in alli marinai he d e lo spo o uo dalla ir na
fu ing hiottito, in uel luoc co ndurre la do e sero. Il che fu
es equit . ggiunta adunque la na e a l luogo dove lo sposo
fu dalla sirena diglottito, il bambin orninciò dirottamente a
pi ngere; e non potendolo la m re per m d alcuno attasen-
tare, prese il orno di auricalc ed al fanciullo lo diede . Il
qual e, eco giu ca do, fu dalla irena eduto ; ed ella, acco-
st ta i alla g lea so llevando alquanto la testa dell e chi um o e
on e, di e ll a d nna: - onna, donami quel pomo; perci6
eh di uell i sono innamorata m lt . - A cui la d nna ri-
spose non v lerglielo onare, perci che del figliuolino era il
tr stull . - e ti ara in piacere i do arlomi - disse la si-
re , - ed · ti m trer l o tu in ino al petto. - Il
che ella intendend , e desi era d molto di edere lo spo o suo,
gliel donò. E la iren in ricompenso del caro dono i come
pr messo le a a, il marit sino al p tto le mostrò; ed at-
tuffata i nell'onde, non i la ciò pi u llora edere. Alla donna,
FA.\"OLA Qt.; _ RTA

he o ni c attentamente edut aveva, crebbe maggior de-


i erio di ved.erlo tutto; e non pendo che fare né che dire.
col uo bambino i confor ta a. Al quale, da capo piangendo,
a ciò che s 'attasentasse, la madre il pomo d'argent diede.
la essendo per a entura alla sir na eduto, alla donna lo
richiese in dono. a ella, stringendo i nelle palle e vedendo
che ' l era il tra tullo del fanciullo, di donarglielo ricu ava.
ui dis e la ir ena: - e tu mi donerai il orno che è vie
piu bello dell'al tr , io ti pr metto di mo trarti il tuo po o
ino a ll e ginoc hia. - La povera Doralice, de idero a 1
dere piu av nti il uo dilett spo o, pospo e l 'amore del fan -
iullo, e li tamente <Ylielo d nò; e la irena atte a la prome a,
nell ' onde 'attuff< . La donna tutta tacita e sospe a tava i a
ve ere, né alcun par tito p r liberare da morte il uo marito
rend r ape a; ma tolto i in braccio il b mbino che tuttavia
piange a con es o lu i i con ola a alquanto. Il fanciullo,
ricordato i del p m on cui o ente giuocava i mi e in i
dirotto pianto, che fu la madre da ne e sita co tretta dargli
il p mo d'oro . Il uale eduto dallo in rdo pesce, e con i-
derato h e sopra li altri d u era belli simo, parimente l fu
ri hie to in dono; e tant di e e tanto fec he l madr
ontra il oler del fanciull glielo once se. E p r eh la i-
r ena l ave\·a promes o di far edere lo po o uo inti ramente
t tto, per non manc r della prome a, 'a icin alla g lea:
so ll e ato alquanto il dor o, ap rtament gl ielo mostr . For-
t unio. v dendo i fu ri delle onde e opra il dorso della t-

r ena in liberta tutto gioii •o, enza interponere indugio alcuno ,


dis : - Deh fu s'io un'aquila. - que to detto, ubitamente
aquila divenn ; e levato i a olo, sopra l'antenna della alea
sali: ed i vi tutti i marinai edendo, abba so di -
e propn a ua forma ritornò , e prima la mo lie ed
il bambi no , indi la mariner ezza strettamente abbracciò e ba ciò.
llora tutti allegri del ricoperato po o, al re no p terno fec ro
ritorno; e iunti nel porto le trombe , le naccar e, i tamburi
e <Yli a ltri stromenti cominci oro no sonare. Il re questo udendo
si mara vi liò, e so p e o atte e quello che ci v o le e dire.
14 :\OTTE TERZA

~la non tette guan che venne il noncio, ed annonciò al re


come ortunio uo genero con la diletta sua figliuola era ag-
g iunto. E montati di galea, tutti se n'andarono al palazzo:
do e con grandissima festa e trionfo furono ricevuti. Dopo
alcuni giorni Fortunio, andato ene a casa e fattosi lupo, Alchia
sua matrigna e Valentino uo fratello per la ricevuta ingiuria
divorò ; e ritornato nella primiera forma, ed asceso sopra il
uo avallo, al regno del suocero fece ritorno: dove con Dora-
lice sua cara e diletta moglie per molti anni in pace con gran-
dissimo piacere di ciascuna delle parti insieme si goderono .--
L \:.

I otta, m lie di Lucaferro de' lbani da Ber omo, credendo con • tuzi~
abbare Tra aalino, vaccaro d'Emiliano uo fratello, per farlo parer
bugiardo p rde il poder del marito, e torna a casa con la testa di un
t r d 11 corna dorate tutta Yer o n ata.

[ERITREA:]

tanta la f rza della infal1ibile Yerita, che, econdo he


manife ta la divina crittura piu facil c a arebbe che ' l ciel
la terra fini e, che la erita manca e. E di tanto privilegi
è la erita, econdo che criveno i s vi d l mondo, che ella
del temp , e non il tempo di lei trionfa. E i come l' OO'lio
po t nel va e ta opra dell'acqua, co i la v rita ta opra
la bugia. ' d bbe al uno di que to mio cominciamento pren -
dere ammirazione perci he i il f i mo a dalla celeragine
di una mal agia femina: la quale, credendo i con sue fai e
lu inghe indu ere un overo giovane a dir la bugia lo indu e
a dir la v rita , ed ella come tri ta femina vergognata rima e:
i come Yi r cconterò con que ta mia favola , la quale spero
che a tempo e luog vi ara più tosto profittevole he danno a.
In Bergomo, aloro e donn citta della Lombardia fu non
' O'ia gran temp , un uomo ricco e potente, il cui nome era
i rornaria de' lbani. o tui ave a duo figliuoli: l'uno de'
ual i Emiliano, l'altro Lucaferro i chiamava. ppre qu st ,
egl i aveva duo poderi dalla citta non molto lon ani : de' qu, i
l uno chiamava i Ghorèm , e l'altro Pedr' nch. l duo fratell i,
ioè Emiliano e Lucaferro, mort Pietromaria uo padr tra
loro divi ero i poderi; ed a Emiliano per ort toccò Pedr' nch ,
ed a Lucaferro Gh rèm . veva Emiliano un belli simo gregge
di pec re ed uno a rmen o di vi\ aci iU\·enchi e una mandra
di fruttifere vacche : de ' quali era mandriale TravaO'lino . uomo
--OTTE TERZ

\.' ram nte fedele e leale né per quanto egli aveva cara la vi a
ua avrebbe detta una bugia; e con tanta diligenza eu todi\·a
l'armento e l man ra ua, che non aveYa pare. Tene ·a
Tra a lino nella mandra delle •acche molti tori : tra' quai \·e
n'era uno molto vago a vedere; ed era tanto gra o ad Emi-
liano, che d'oro fini imo gli a re a fatto dorare le corna, n·
mai Tra aglino andava a Bergamo che Emiliano non ~"di
addirnandass del suo toro d· Ile corna d'oro. Ora avenne che
tro ando i Emiliano a ragionamento con Lucaferro uo fratello
e on alcuni uoi domesti i, sopragiun e Travaglino, il qual
fece cenno ad Emiliano di voler con e o lui favellare. Ed
egli, levato i dal fratello e dagli amici, andos ene la dove era
Travaglino, e lungamente ragion con es o lui . E perciò che
Emiliano iu fiate aveva fatto questo atto di las iare gli amici
e par nti uoi e girsene a ragionare con un mandriale, Lu a-
f rro non pote a in maniera alcuna questa co a patire. Laonde
un giorno, acceso d'ira e di degno, disse ad Emiliano: -Emi-
liano, io mi maraviglio molto di t , che tu facci maggior conto
d'uno ace o e d'uno furfante che d'uno tuo fratello e di
tanti tuoi cordiali amici. Impercioché non pur una volta, ma
mille, se tante 1 pu dire, tu ne hai la cia ti nelle piazz e
ne ' o-iuochi come bestie che vanno al macello, e tu ti sei ac-
ca tat a quel ro s ed in en ato Travaglino tu famiglia
per ra ionar con e o lui, che ' l p che tu abbi a fare le
ma gi r fa end del mondo: e nondimeno non agliano una
brulla. - Rispo e Emiliano:- Lu a-f rro, fratello mio non biso-
gna eh i fi ramen e tu ti ac r ci mec , rimproverando Tra,
vaglino con di one te parole; perciò che gli è giovane da bene,
d emmi m lt car , si per la sofficienza ua, i anche er
la l alta eh' gli u a r o di me: i ancora perché in lui è
una eia! e in lar irtu, eh p r tutto l'aver del mondo
ei n n direbbe una parola che bugiarda fu e. Ed oltre iò
li ha m lte altr c ndizion i, per le quali io lo tengo caro;
e p rò non ti maravigliare e io lo accareccio ed hallo grato . -
dite que te parol , a Lucaferro crebbe mag ior sdegno; e
ominci l'uno e 1 altro moltiplicare in parole quasi •enir
F. OL. Q lNTA

alle arme. E perché, si come è detto di pra. Emiliano


ommamente commendava il uo Travaglino, i se Lucaferro
ad Emil·ano:- Tu lodi tanto cote to tuo vaccar di sofficienza,
di lealta e di erita d io ti dico che egli è il più insofficiente,
il più sleale ed il piu bugiardo uom che mai creas e la na-
tura; e mi offero di fartelo ve ere ed udire, he in tua pre-
enza egli ti dir l ugia. - E fatte molte parole tra loro ,
finalmente posero pegno i l ro poderi: concordi in questo
11 do , che e Tra glino dini la bugia, il podere di Emiliano
ia di Lucaferro; ma e non ani tro ato in bugia, il odere
di Lucaferro di Emiliano sia. E di questo, chiamato uno no-
taio, fecero uno tromento pubblico con tutte quell s Jennita
he in tal materia si richieg(Yono.
P artit si l uno dali altro, e gia pas ata la loro ira e sdegno,
Lucaferro ominciò pentirsi del pegno che eo-li a eva me so e
dello stromento per man di notaio pregat ; e di tal co a tra
é stesso si ramarica a molto dubitando forte di non restare
enza podere, col quale e é e la famiglia sua o tenta a. Or
es endo a casa Lucaferro, e vedendo 'l la moglie, che I otta
i chiama ·a, i malinconie o tare, e non apendo la cagione ,
di gli: - marito mio, he avete voi, che cosi mesto e
malinconios vi veggio? - ui ri pose Lucaferro : - Taci
per tua fe' e non mi dar maggior noia di quello che io ho. -
~a Isotta, de iderosa di aperlo, tanto eppe fare e dire, he
dal marito il tutto inte e. Laonde voltatasi ol-vi o allegro er o
lui, disse: - È ad unque cotesto il pensiero per cui tanto affanno
e tanto ramaricamento i ponete? tate di buon animo, ché
a m ba ta il uore di far i che non che una, ma mille bugie
fi· no da Tra aglin al uo patrone ette. -Il he intendendo,
Lucaferro as ai c nt nto rima e. E perché Isotta chiaramente
apeva che l toro dalle corna d oro ad Emiliano suo cognato
era molto caro ella sopra di quello fece il dise no. vesti-
ta i molto la ci •amente e li ata i il vi o, oletta usci di Ber-
g m o, ed andos ene a Pedr' nch, dove era il pod re i Emi-
liano: ntrata in asa, trovò Tra aglino che face •a del
a o e delle r icotte; e alutat lo, dis e:- Travaglino mio, son
~ TTE TERZ ~

ui venu per vi itarti e per bere del latte e m ngiare delle


ri tte teco. - iate la ben enuta, -di se Trayaglin , -la
mia patrona· - e fat la e ere, parecchiò la men _a, e recò
del ca pecorino d ltre co e per nor rl a. E perché egli la
vedeva ola e bella, e n n con ueta venir a lui , stette suspeso
molto; e ua i n n p te a p r uader i che ella fu e I otta.
moglie del fratell del uo patr ne. f pur perciò che piu
vo lte veduta l'aveva, la careccia a ed onora a molto si com e
a t nta donna, uanto ella era, con eni •a. Levata da mensa
Is tta e vedend Tra agli 1 affaticarsi nel far il ca o e le ri-
co te, disse: - O Travaglino mi , voo-lio ancor io aitarti a
far del caso.- Ed egli:- Quello che a voi aggrada, ign ra , -
r i pose. E enza dir piu altr , alciatesi le maniche fino al cu-
ito, coperse le bianche, morbi e e ri ondette braccia che
candida neve arev no, e con es lui fie ramente si affa icaYa
a far il cas ; e s vente li dimostra a il poco r ilevat petto ,
o e dimoravano due popoline che due pometti parevano. Ed
oltre ci a tut mente tanto appro simav il uo colorit vi _o
a quell di T ra a lin , che q ua i l 'uno con l'altro i toccava.
Era Trava lino, quantunque fusse di acche eu to e, uomo
piu to to a tuto che gr osso. E e endo i portamenti della
donna, c he dimo travan il lei las ivo amore, anela a con
par ole e con guardi interten ndola , fi.ng nel tuttavia di non
intender i di co e amorose. a la donna redend lui del
suo amore es er acce i fieramente di lui s' innamorò , ch e
in stroppa tenere non si poteva. E quantunque ravaglino e
n 'a edesse del lascivo amore della donna, non però o ava
dirle cosa alcuna, temendo empre di non perturbarla ed or-
fenderla. Ma la gia infiammata donna , ccorta i dell a pocagine
di T r vaglino, di egli:- Travaglino, qu l è la cau a che co i
ns so ti tai e non rdi ci meco parlare? Ti arebbe p er
a entura venu to alcuno de iderio di me? Guata bene e non
te er il tuo volere nascosto; per ciò che te tes offenderesti
e non me, che sono a ' tuoi piaceri e comandi. - Il che udendo,
Travaglino molto si rallegrava; e fac eva embiante di ' Tolerle
a ai bene. La sciocca donna ve endolo gia del suo amore
FAYOL. Q ·r.-TA I .)-

ac e , e p ren ole gia e er empo di ·enire a quello ch'ella


e id erava, in tal maniera gli di e:- Tra\·a<Tlino mio , io\. rrei
a te uno n iacere; e qu ndo me l negas i, direi ben
certo che poco c nto face ti dell'amor mi , e for e sare ti ca-
<TiO e ella roina, a nzi della mort m1a. - cui rispo e Tra-
a lino: -Io on isp to, i nora di p nere 1 er amor vo tro
la r pia vita, n n che la robb ; ed a ·eng che voi co~a
difficile c n anela te, non di men l'amore che io i porto e
\Oi ers me 1111 tr te, facillima la farebbe. - llora Iso ta,
pre o rnaggi r ar ire, dis,e a Tra •aglino:- e tu mi ami
ome io credo e parmi di eder , ra lo conoscerò . - Coman-
date pur, ignora mia , - ri po e Trava<Tlino, -ché apertament
l veder te.- ltro da te n n voglio,- di se I otta,- e n n il
cap del t ro dalle corna d'oro; e tu i poni poi di me come
ti pia e. - Questo udend Tra a lino tutt tupefatto rima e·
ma vi nto dal carnale amore e dall lusinghe della impudic
donna, rispo e: - ltr non vo lete me, ignora mia? non
he il cap , ma il bu t e me tes o pon<TO nel le mani \·ostre. -
que to detto, pr se alquanto d'ardire ed abbra la donna;
e c c n umò <T li ultimi doni d'amore . opo' Travaglino,
tr n ca t il capo del toro e mes olo in una acchetta, a I otta
il presentò. La a l, contenta si per lo de iderio adempito
i a he per l piacere ri cevuto con piu corna he poder a
ca a se ne ritorn .
Trav glin , par tita che fu la donna, tutto sospe o rimase ;
e comi nciò pensar molto come fare dove per iscu ar i d Ila
perdita del t ro dalle corna d'ora, h e tanto ad Emiliano su
patr ne piaceva. tando ad unqu il mi ero Travaglino in 1
fatto t rmento d'anim , né sapend eh si fare o dire, al fine
imagin ossi di prendere uno ramo d'albero rimond , e quello
ve ti re di alcuni suoi poveri panni e fingere che egli fu se il
patr ne i perimentare come far dove se quando arebbe
nel co petto i Emil iano. cconciat adunque il ramo d'alber
in una camera con la beretta in te ta e con <Tli ve timenti
so, u iv Tra ' glino f ori dell usci della camera, e
dop dent n r nava, e quel ram aiutava, dicendo: - Bon
... ·orTE TERZ.\

O'iorno, patrone. - Ed a é stes o r ispondendo diceva: - Ben


•enga, Tra vaglino; e come tai? che è de ' fatti tuoi, che gia
piu giorni non ti hai lasciato vedere?- Io sto bene, - ri-
ponde a egli; - sono stato occupato assai, che non puoti ve-
nire a voi. - E come sta il toro dalle dorate corna? - diceva
Emiliano. Ed egli ri pendeva: - Signore, il toro è stato nel
bosco da' lupi divorato. - E dove è la pelle ed il capo con
le corna dorate? - diceva il patrone. E qui restava, né piu
apeva che dire, ed addolorato ritornava fuori. Dopo' se ne
ritornava dentro la camera, e da capo diceva: - Iddio ti salvi,
patrone. - Ben ci enga, Travaglino; come vanno i fatti
nostri, e come sta il toro dalle dorate corna?- Io sto bene ,
signore; ma il toro un giorno mi usci della mandra , e com-
battendo con gli altri tori fu da quelli si sconciamente trat-
tato, che ne mori.- Ma dove è il capo e la pelle?- Ed
egli non sapeva più che rispondere. Que to avendo fatto piu
volte, Travaglino non sapeva trovar iscusazione che conve-
nevole fusse.
Isotta, che gia era ritornata a casa, di se al marito: - Come
fara Tra vaglino, e egli si 'orni iscusare con Emiliano, suo
patrone, della morte del toro dalle corna d'oro che tanto
gli aggradiva, che non li pianti qualche menzogna? Vedete
l testa che meco ho recata in testimonianza contra lui quando
dicesse la bugia. - Ma non li raccontò come gli aveva fatte
due corna maggiori di quelle d'uno gran cervo. Lucaferro ,
veduta la te ta del toro, molto si rallegrò pensando della que-
stione esser e vincitore; ma il contrario, come di sotto inten-
derete, gli avenne.
Travaglino, avendo fatte piu propo te e risposte con l'uomo
di legno, non altrimenti che se stato fusse il propio patrone
con cui parla se, e non vedendo n iuna di loro riuscire econdo
il desiderio suo determinò senza altro pensamento di andare
al patrone, intra enga ciò che i oglia. E partito i e anda-
tosene a Bergomo, trovò il patrone, quello allegramente sa-
lutò . A cui reso li saluto, disse: - E che è dell'anima tua,
Travagl ìno, che gia sono passati tanti giorni che non sei stato
I ~

u1, né i ha a u to novella alcuna di te? - Ri p o e Tra Ya-


<Ylino: - ignore, le molte occupazioni mi hanno intertenuto. -
E come ta il toro dalle corna dorate?- disse Emiliano. Al-
lora Travaglino, tutto confuso e enuto nel i o come bragia
di fuoco, oleva qua i i cusar i ed occultare la verita. Ma p r-
cbé emeva di mancar dell'onor suo, pre e ardimento, e co-
minciò la i toria di Isotta; e li raccontò a punto per punto
tutto quello che egli a eva fatt con es o lei ed il succe so
della m rte del toro. Emiliano, que to intendendo, tutto tu-
pefatto rima e. nde, per ayer Tra aglino detta la verita , fu te-
n uto uomo veritiero e di buona estimazione, ·ed Emilian re t
vittorioso del podere, e Lucaferro cornuto; e la ribalda I otta ,
che credeva altrui gabbare, o-abbata e ergognata rim a e. -

IL FINE DEL LA T ERZA NOTTE .


TTE QUART

Gia il biondo Apollo con l'infiammato carro aveva lasciato


q esto nostro emispero, e tuffatosi nelle marine onde e ne era
ito agli antipodi, e quelli che la terra zappavano, gia tanchi
per lo molto lavorare, mes i o-iu i concupiscibili appetiti, dol-
cemente nel letto riposa 'ano, quando la onesta ed onore ole
compagnia all'usato suo luogo lietamente i ridus e . E po eia
che le donne e gli uomini ebbero insieme ragionato e ris
alquanto, la signora Lucrezia, imposto il silenzio a tutti, or-
dinò che 'l va o aureo le fus e portato, e con la propia mano
il nom di cinque damigelle cri e; e posti i loro nomi nel
va o, chiamò il signor ang lista comandandoli che ad uno
ad uno del 'aso li traesse, acciò che a cui la volta del favo-
giare in quella notte tocca a, hiaramente i potesse a pere.
Jl signor ang li ta, levato i da edere e lasciati i dolci ra-
gionamenti che egli faceva con Lodovica, ubidientis imo andò
alla signora: ed inginocchiatosi a' piedi, ri erentemente pose
la mano nel va. o, e di Fiordiana tras e il primo nome; indi
di icenza, dopo di Lodovica ed appresso loro d ' I abella e
di Lionora vennero fuori i nomi. Ed innanzi che al novellare
1 des e princi1 io, la ign ra comandò eh ' l Iolino ed il
T rivigiano pr nd ssero i loro liuti ed una cantilena canta sero.
I quali non aspettando altro omandamento ace rdorono i
loro stromenti, e la eguente canzone lietamente cantarono:

Quando fra tante donn il ago ole,


eh mi da morte e vita
- T'l'E Q'OARTA

muove gli ardenti suoi splendidi rai,


di lei piu bella, Amor, non vidi mai.
Dico, felice è in vita
non chi la vede pur, ma chi parole
d'angelico intelletto
l'ode formar con la ua anta bocca:
grazia che forse a pochi oggidi tocca.
h me ben nato, e d'un tanto oggett
e ben cosi perfett
degno per sua mercé qua gm mi ia,
e veggia il fin della peranza mia!

La canzone fu diligentemente ascoltata e commendata da


tutti. Ma vedendo la signora che ella al suo fine era gia per-
venuta, comandò a Fiordiana, a cui la prima favola della
quarta notte toccava, che mettesse mano ad una e l ' ordine
dell'incominciato trastullo s guisse. La quale, non men de·
siderosa di dire che d 'a coltare, in cotal maniera a dire in-
comincio:
FA OL I.

Ricardo , re di Te be, ha quattro fi liuole: dell e q uali un a va errando per


lo m ond o, e di Co tanza, Co tanzo fa ' i chiamare, e capi ta ne lla
orte d i acco, re d ella Bettinia, il qu le per molte sue prodezze in
moglie la prend e .

- Vaghe e vezzo e donne, la favol a da E r itrea nella pre -


cedente sera raccontata, mi ha si di ergogna punto il cuore,
che quasi me ne sono restata in questa sera di fa aleggiare.
Ma l'os ervanza che io porto alla no tra si(Ynora , e la rive-
renza che io ho a questa orrevole e grata compagnia, mi stringe
e inanima a raccontarne una . La quale quantunque cosi bella
non sia come q u ella raccont ta da lei, pur la raccontarò; ed
intenderete come una poncella, generosa di animo e di alto
valore, a cui fu nelle sue opere molto piu favorevole la for-
tuna che la ragione, volse piu tosto diventar ser a che a ilire
la sua condizione; e dopo la gran ervitu, di re Cacco moglie
divenuta, rimase paga e contenta: si come nel discorso del
mio ragionamento comprenderete.
In Tebe, nobilissima citta dell'Egitto, ornata de publici e
privati edific i ubertosa di biancheggianti biade, copiosa d i
freschissime acque ed abondevole di tu tte quelle co e be ad
una gloriosa citta si convengono, regnava ne passati tempi un
re, Ricardo per nome chiamato , uomo saputo, di profonda
scien za e di alto valore. Costui desider so di aver eredi , prese
per moglie Valeriana, figliuola di Marliana re di cozia, donna
nel vero compiuta, bella di forma e graziata molto; e di lei
generò tre figliuole ornate di costumi, leggiadre e belle come
matutine rose. L'una delle quali Valenzia, l'altra Doratea, la
terza Spinella si nominava. Vedendo Ricardo Valeriana sua
moglie esser in termine di non poter a ere più figl iuoli , e le
tre figliuole es er in eta di do er a er marito , determinò tutta
r6o • 'OTTE QC. RT.

tre onorati imamente maritare e di idere il regno suo m tre


parti: a egnandone una a ci scheduna delle figliuole e rite-
nendo per · tanto quanto fu e ba tevole per la su tentazione
di é e ella famiCT]ia e rte sua. E i come egli eco deli-
ber to ave·a, co i alla deliberazione egm l'effetto . . laritate
adunque che furono le figliuole in tre p tenti imi re di corona :
l'una nel r di car ona, l'altra nel r dei oti, la terza nel
re di cizia, ed as ignata a ciascheduna di loro la terza partt:
el uo reame per d te, e ritenuta p r é una parte a a1
pie iol t , la qual al bi ogno uo maggiore li pre tasse soc-
ors , vi eva il buon re c n Valeriana ua diletta moglie one-
tamente ed in pacifico stato.
Avenne che dopo non molti anni, la r ma, di cui il re
non aspettava piu prole, e ingravidò; e iunta al parto, par-
turi una belli sima bambina, la quale d l re fu non meno ben
veduta ed a an·ecciata che furon l tre prime: ma dalla reina
non molt ben veduta ed accettata, non gia perché odio le
ortas e, ma 1 er sser tutto il regn in tre parti di i o, n·
vedersi modo alcuno di poterla efficientemente mari are; né
per' l ls trattare da men di figliuola, ma datala ad una
efficiente balia, strettamente le impose che di lei omma cura
ave · ammae trandola e dandole quelli gentili e !od voli
c stumi che a.d una bella e l ggiadretta giovane i c nvengono .
La giovanetta, che p r nome Costanza si chiama a, resceva
eli di in di in bellezze ed in co turni; né le era dimostrata
alcuna dalla a 1 maestra che ell ttim men e non
apprendes e. Co tanza, endo per ·enuta all'eta di d de i anni,
a ·eva gia imparato ricamare, cantare, sonare, danzare, e far
utto quello h ad una matron .. one tamente i con iene. a
non c ntenta di ci tutta i diede aCTJi tudi dell bu ne let-
ter · le quali con tanta dolcezza e diletto abbracciava che non
pur il gi rno, ma anche la notte in quelle c nsumava affor-
ciando i empre di tro ar ose che fu ero molto i quisite .
, ppres o que to, non come d nna, ma come valente e ben
disposto uomo all'arte militare si di de, domando cavalli,
rmeggiando e giostran o; ed il piu delle olte rimaneva
FA' L.\ PRI ~.\

·incitri e e orta ·a il triunf , non altrimenti di qm·llo eh(.


fanno i valoro i c valieri 'o211i loria degni . P r le quali
co e tutte e eia cheduna da per é, era Costanza dal re e
all reina e da tutti ta to ama a, che n m vi era t.: rmin e
al loro amore.
Es en o adunqu· Co nza 1n ta perfetta e non a endo
il re piu stato né te oro di poterla in al un potent r ~ orr -
\. lment maritare, molto tra é si ramaricava; e que ta c sa
n la reina oYent onferiva. a la pruden i ima r ina, che
con iderava l virtu della fio-Huola sser tali e tant che ella
non aYev donna che a l i si pote se agguauliare, riman ·~
ontenta molto, e n dolci d amore ·oli parole confortava Il
re che ste e chet e unto n n dubita e; perch · alcun po
t nte i nor , ac e o del lei amore er le sue e ne virtu,
non ·i di degnarebbe di prenderla per moglie s nza dote. on
passò gran tempo, che la figliuola fu richie ta per moo-lie ùa
m lti aloro i ignori: tra i quali ·i fu runell . figliuol del
gran marche e di Vivien. La nde il re insieme con la reina
chiam · la figliuola; e ostisi in un camera a dere, disse
il r : - Co tanza fio-Jiuola mi diletta, ra è •enu to il tempo
di m ritarti, e noi ti a biamo trovato per marit un gio ane
h ara i tuo contento. Egli è figliuolo del gran marchese
di \i ien, no tro molto dom tico: il cui nome è Brunell ,
gio ane ag , a edut e di alto ' lor , l cui pro lezze ono
aia di •olgat per tutto il mondo. d gli a noi altro non ri-
hied e non la buona grazia no tra e la dilicata ersona tua,
la qual egli tima iu he ogni stato tesoro. Tu ai figliu la
11ié, che per la o erta no tra non ti potiamo iù al am nte
maritare. E per' tu rimarrai c ntenta di tanto quanto è il
·oler n tr . -La figliuola, eh avia era e di alto leo·na g·o
vedevasi n ta attentamente a colt le parol del padre; e e1 za
p rre a cuna di ta za di tem t l gui a ali rispose:- aera
orona, non fa bisogno che io mi d istenda in parole in ar
ri posta alla degna stra pr o ta; ma olo diro vi ci che
la mat ria ricer a. E prima io ·i rendo quelle grazie che per
me i puolono le maggiori, del buon animo ed affezione che

,. F. STRAPAROLA, L e piace.,·o!i notti. JI


TTE Q' RTA

•oi a rete er o di me cercando di darmi marito da me non


richied to. po ' , con ogni ri ·erenza e summi sione parlando,
io non inten o di degenerare alle proo-enie de' miei antece -
s ri, che ad ogni temp no tati famo i e chiari; né \' ·Jio
a ·ilire la Corona vostra, prenden o per marito colui che è
inferiore a noi . oi, padre mio diletto avete gen rato quattro
figliuol e : delle uali tre a ·ete onoratis imamente maritate in
tre potenti re, dandole grandi simo te oro e tato; e me, che
fui sempre ubidiente a voi ed a gli pr cetti vostri, volete . i
ba ·samente i n matrim n io copulare? Laonde con hiudendo di c
che mai io n n sono per prender marito, e io, come l altre
tre orelle, non avrò un re convene role alla per ona mia. -
E preso commiato dal re e dalla reina, non enza loro pro-
fondi imo sparg r di lagrime, e montata opra uno potente
ca allo, ola di Tebe i parti; e pre e il cammino r o quella
art dove la fortuna la guid a .
Ca alcando adunque Costanza alla ventura, mutos i il nome,
e di Co tanza, Co tanzo si fece chiamare; e pa ati diver i
m onti, laghi e tagni , vide molti pae i, d udi vari lenguaggi,
e consid rò le loro mani re ed i co turni de ' popoli, li quali
la loro vita non come uomini ma come b stie guida ano . E
finalmente un giorn nell'ora del tramontar d l sole giunse ad
una celebre famosa citta chiamata Co tanza, la quale allora
sig noreggia a Cacco re della Bettinia, ed ra capo della pro -
inzia (I). Ed entratavi dentro, cominciò contemplare gli superbi
palazzi, le dritte e pazio e strade, i correnti e larghi fiumi,
i limpidi e hiari fonti; ed approssimatasi alla pi zza, vide
l'ampio ed alto palazzo del re, le cui colonne erano di fini -
imi marmi, p rfidi e erpentini: ed alzati o-Ji occhi alquanto
in u, vide il re che tava sopra un verone che tutta la piazza
ignoreg ia a; trattosi il appello di capo, ri erentemente
lo aiutò. Il re, vedendo il o-io anetto si lego-iadro e vao-o , il
fece chiamare e venire alla presenza ua. Giun o che gli fu
dinanzi al re, addimandoll donde egli eni a e che nome era
q su . Il gio an e con allegra faccia ri pose che egli veniva
da Tebe, per equitato dalla invidiosa ed instabile fortuna, e
l" ' L. PRI lA

he Co tanzo era il nome uo: e desiderava ·olontieri accor-


arsi con alcun g n ti l uomo da bene ser endolo c n quella
fede ed more che er ·ire si dee. Il re , a cui molto piaceva
l'a tto del gio an etto, dis e:- i a eh tu porti il nome della
mia itt ·, io ' O lio che tu tie nella mia corte, niun 'altra cò a
facend h attendere alla per ona mia. - Il gio ane, che altra
osa n n d si erava mao-gior , primieramente ringraziò il re, e
dopo accettollo p r ignore, fferendo i in tutto quello che per
lui si pote se, parato.
Essendo adunque Costanzo in forma d'uomo agli servigi
el re , con tanta Jerrgia ria l ervi a che ogn'uno che lo 'e-
de a, attonito e upefatto rimane •a. La r ina, eh di Costanzo
li eleganti tmt ge ti le laude oli maniere e prudenti imi
ostumi eni con iderando, piu attentamente cominciò riguar-
darlo; e del uo amore si caldaro nte 'ace e, che ad altro
che a lui di e n tte non en a a, e on dolci ed amor si
uardi si fìerament lo bali tra a, he non eh lui, ma ogn i
dura pietra e ald diamante int nerit a rebbe . In cotal u1 a
ad unqu mando ]a reina stanzo, nìuna altra a tanto d t-
erava, quanto di ritto ar on s o lui. E venuto un giorno
il convene ol temp di ragionar se o, l' addimandò s lei
en ire gli fu e a rrrado, perci che, er end la, oltre il gui M
lardone eh egli riceverebbe, non s larnente d tutta la orte
ben vedu o are be, ma anche appreciato e ommamente rive-
rit . ostanz , a duto i che le parole che u civano dalla bocca
della reina proced evano non da bu n zelo h 'ella aves e, ma
d a affezione amoro a, e considerando che p re er donna non
poteva sazi re la su frenata i gorda oglia, con chiaro
Yl umi lmente o i ri p se:- Madama, t nta è la ervitu che
io ho col signor mio e marito v tro, che mi parrebbe far a
lui rrr ndi ima illania , uando io mi cos a si dalla ubidienza
e · ler uo. Però per iscu to oi, i nora mi a erete, se a
vo tri s rvi i pronto e apparato non mi tr varete, perciò che
al mio ignor fin alla morte di s r ir intendo, pur he gli
ao-rrradi a il mio er ire; - e presa lic nza, i parti. La reina,
che ben apeva he la dura qu ree con un solo colpo non i
.·oTTE Q·. RTA

atterra, piu e più ·olt con molta a tuzia ed ·1ne . ·i ngegno


di tirar i l gio,·ane a gli ._ervigi uoi . Ma egli co~tante e fnne
come alta torr da impetuo i ,-enti battuta, null a i muon. \'~L
Il che Yed nd , la reina l' ar 1ent aldo amore in si ace l hn
e mortal odio conYer e, he piu non 1 p oteva guatare. E d L:-;i-
erosa della morte sua giorno e notte pen ava, come d J.~.di
hi se lo pote se rimovere; ma teme,·a fortement il re , eh
ommamente l'amava e aro lo tene\'a.
Regna a nella provincia d Ila Bettinia una pezie di uom · 1 ·•
i quali dal m zzo in su tenevano la forma di creatura umana,
ancor che l loro ree hie e corna di animale fu eno. Ma dal
mezzo in giu avevano le membra di p lo a capra, con un poc
di oda torta a guisa di coda di porco, e nominavansi satiri:
i q u ali sconciament danneggia ano i illaggi , i poderi e vl i
uom ini d l pae e, ed il re desiderava molto di averne u no
vi o in sua balia; ma non vi era alcuno a cui bastasse il
uore di pr nderne uno ed al r appresentarlo . Laonde la reina
col mezzo loro s' imaginò di dar a Co tanzo la morte; ma nun
le nn e fatto: perci h e l'ingannatore sovente rimane otto
a' 1 i di dell'ingannato, o i permetten o la di dna pr videnz.1
la omma giu tizia. La fal a reina, che chiarame nte sa-
-P va il d siderio del re, ragionand un gi orno con e so lui
di 'arie o e, tra l 'altre dis ignor mio , non apete
Yoi che Costanzo, o tro fidelissimo rvitore, i potente
e i forte , che gli ba ta l'animo enza l'altrui aiuto prendere
un satiro d a v i appresentarlo viYo? Il che, essendo os1
si come io intendo, oi poterete age\·olmente isperimentare,
e ad un'ora adempire il voler ''OStro: ed egli, come poten te
e forte cavaliere, con eguini un trionfo che gl' san1 di per-
petua fama. -
Piacquero m lto le parole ell a tuta reina al re: il qu le
subito fe e hiamar Costanzo, e tai parole li di se:- Co-
lanzo se tu mi ami, si come tu dimostri e ciascuno il credl .
intieram nte adempirai i mi i desiri, e tu Ja ra gloria ne
porterai. T u déi saper he non è co a in que to mondo eh ' io
piu brami e de ideri, che avere uno satiro in mia balia. nd e,
FAV LA PRJ '.-\ I 6 .)-

end tu pot nte e liardo n n e u mo m que to regno


h e m glio mi p s contentare che tu. Però mandomi come
mi ami, n n mi negherai que ta dimanda.- Il giovane, che
n sce a la c a altro e procedere che dal re, non \'Ol e con-
tristarlo; n1a con piace ole e lieto i o 1 : - i<Yn r mio,
ue to e altr mi 1 otet c mandar . E qu ntun ue le forze
m te no eboli, non per· re terò di di f re al de. ideri
vo tro ancora eh nella morte io do e inca pare. Ma prima
he mi pon a alla ericolo a impr oi, ign r mio, ordi-
nar te eh al bo co, ùo e abitano i atiri, ia condotto uno
Ya. grande n l b cca larga, e che non i minor di quell
m ui le ser enti con il li cio nettan le carni cie ed altri
panni di lino. ppre so qu sto \'i i 1 orter una b tte non
pie iola li u na yernacc1a, della migliore e ù Ila piu potente
he si p i tr are con d i acconi di bian hi imo pane. -
li re in ontamente e equi tutto quell he Costanzo av a
diYi at . E a dato ene Co tanzo al bo co, rese un secchi
i rame, e incominci attin ere fuori della botte la ernaccm
n ndola nel o lio ivi vi in ; e pr il pane e fatt lo in
pezzi, parimenti nel do lio di vern ci pieno lo p . Indi
ali opra una ben frondata arb re, a pettando quello che n
p va a n ire. p pena eh 'l io vane C tanzo era asce o
pra d ll albero, che CTli a iri, eh gia ave ano entito l'odore
l fumoso ino c minciorono appresentarsi al do lio , ne
tols ~ ro una orpacciata, non altrimenti che fann i famelici lu1 i
nelle mandre delle pecorell v nuti ; p ia che ebbero em-
piut l ro ventragli e furono a ba t nz at lli i mi er
a d rmir ; e i alta e profon amente dormi ano, che tutti li
repiti del mond non li arebbono allora de tati. Il che
dendo o tanz ce e CTÌu dell'albero; ed a costato i ad uno,
lo leg· r le mani e [ ec li piedi con una fune h ·eco
ree ta a ·e a: e enza e er d alcuno entito, lo p e opra il
ca ·all , ,·ia lo condus e.
Ca al and adunqu il gi ane Co tanz on il atiro
trettamente egato, all'ora del ve pro aggiun ad una villa
non molt lontano dalla citta; ed avendo il be tione gia padita
166 ~ -oTTE "Q ARTA

la ebbriezza, 1 n ·e li ; e me e dal letto i levasse, c 1-


mincl badagliare; e troatando i d'intorno , vide un padre di
f miglia he on mol turba accom a nava un fanciulle o
m rto alla ep !tura. Egli pia n eva, e me ere lo prete, che
le e equie faceva, canta a. i che lo satiro se ne sorrise
a lq uanto. Po ia entrato nella citta, ed aggiunto nella piazza,
vi e il opol he attentam nte mirava un povero i vane
eh' era pra la fo rca per e er dal carnefice irnp ic ato. Di
h tiro rnaggi rment e ne ri e. E iunto che fu al
palazzo o n ' un comin iò far segno di allegrezza e gridare:
- Co tanzo ! o tanzo!- Il h ·edendo, l ' nimale ' l più
forteme n te mandò fuori le ri a . E pervenuto ostanz al c -
spetto del re e della reina e delle sue damig lle appr entolli
lo atir ; il quale e er a dietro rise, ra furono i grandi
le ri a ue che tutti che 1 1 eran pr enti ne pre ero non
pi ci la maraviglia.
V edend il re che o tanzo a e a adempi 1to il de ide ·i
uo, tanta affezione li po , quanta mai ebbe patrone a ervi-
tore alcuno· ma ben doglia s pra doglia alla reina crebbe, la
quale c n ue par l credendo distru gere Costanzo, il p uo
m tato maggior . E non potendo la celerata offerire il tanto
bene che di lui ne ede a rius ir , 'in1aginò un nuo o i Il-
anno: il qual fu que to· per iò che ella sape a che 'l re era
con ueto a nda r en ogni rnattin alla pregione ove il atiro
dimora a per uo trastullo il tentava che egli pari e; ma
il re non ebbe mai tanta forza di farlo parlare . nde andata ne
al r , di e:- Mon ignor lo re , piu pm lte iete andato
all'alberg o del atiro e vi si te affaticato per farlo rao-ionare
con e so oi p r prenderne tras ullo ; né mai la be tia ha vol uto
fave llare . Che volete piu tar a romper i il cervello? apia <:>
e Co tanzo vorra, ten te per certo che egli è soffi iente a
farlo ragionare e ri pondere si come meglio li parera. -
Il h intendendo , il re immantinente fe Costanzo a é e-
nire; d appre entatosi o-Ji dis e: - Costanzo, io mi rendo
erto che tu sai uant piacere ne prenda del satiro da te
pre o ; ma mi doglio che egli mutolo sia e non voo-li alle
FA OL\. PRniA

dimande mie in modo alcuno rispondere. e tu vorrai, si come


io intendo, fare il debito tuo, non dubito eh egli parlera. -
- ignor mio,- rispose Costanzo,- se lo satiro è mutolo,
che ne po o io? Darli la loquela non è ufficio umano ma divino.
a se l' impediment della lingua procedesse non da vizio na-
turale overo accidentale, ma da dura ostinazione di non voler
ri pondere, io mi sforzerò a piu potere di far si che egli parli. -
Ed andatosi in ieme col re alla prigione del satiro, gli recò
ben da mangiare e meglio da bere; e diss gli:- angia, Chiap-
pino; -perciò che cosi gli aveva imposto nome; ed egli lo gua-
tava e non rispondeva.- Deh, parla, Chiappino, ti prego;
e dimmi se quel cappone ti piace e quel vino ti diletta. -
Ed egli pur tace\'a. Vedendo Costanzo l'ostinata voglia, disse:
-Tu non mi uoi rispondere, Chiappino; tu veramente fai
il tu o peggio, perciò che io ti farò morire in prigione da fame
e da sete. -Egli lo guatava con occhio torto. Disse allora
Costanzo:- Rispondemi, Chiappino; ché se tu, come spero,
meco parlerai, io ti prometto di cotesto luoco liberarti.- Chiap-
pino , che attentamente ascoltava il tutto, intesa la liberazione,
disse: - E che vuoi tu da me? - Hai tu ben mangiato e be-
vuto secondo il voler tuo?- di se Costanzo.- Si rispose
Chiappino.- Ma dimmi, ti prego, per cortesia,- disse Co-
stanzo;- che avevi tu che ridevi quando noi eravamo per
strada e vedevamo un fanciullo morto alla sepoltura portare?-
A cui rispose Chiappi no: - - Io me ne risi, non del morto fan -
ciullo, ma del padre, di cui il morto non era figliuolo, che
piangeva, e del prete, di cui egli era figliuolo, che cantava. -
Il che significò che la madre del morto fanciullo era adultera
del prete. - Piu oltre io vorr ei intendere da te Chiappino mio:
qual cagione ti mo se a maggior riso, quando noi ci giunges-
simo alla piazza?- Io mi mossi al riso, -rispose Chiappino, -
ché mille ladroni, che hanno rubbato migliaia di fiorini al
publico e meritano mille forche, si stavano a guatare in piazza
un miserello che era alla forca condotto, d aveva solamente
involato dieci fiorini per sostentamento forse e di sé e della
famiglia sua.- Appresso questo, dimmi, di grazia,- disse
!68 ~ -oTTE QL'ART.\

Co tanzo· - quando aggiungemmo al palazzo, per che più for-


temente ridesti?- Deh, non mi astringer piu a ragionare ora,
ti prego , - dis e Chìappino, -ma va, e ritorna dimane, che
io ti risponderò e dirotti cose che tu forse non pensi.- Il che
dendo, Costanzo disse al re:- Partiamsi, ché dimane faremo
ritorno , ed intenderemo ciò che egli voglia dire. -Pa rtiti ~ i
adunque , il re e Costanzo ordinarono che fusse dato a Chiap-
pino ben d a mangiare e da bere, acciò che meglio pote. se
ciarlare.
\ enuto il giorno equente, ambed uo ritornarono a Chiap-
pino, ed il trovorono che come un grasso porco soffia 'a e
r ncheggiava. Accostato i Costanzo appresso a lui, piu volte
ad alta voce lo chiamò. Ma Chiappino, che era ben pasciuto
dormh:a, e nulla ri pondeva. Costanzo, perlungato un dard
che in mano tenev , tanto lo punse, che egli si risenti; e
de tato che egli fu, l'addimandò: -Orsu di, Chiappino , quel lo
che heri ne promettesti. Perché, giunti che noi fummo al pa-
lazzo, si forte ridesti?- A cui rispose Chiappino: -Tu lo sai
mo lto meglio che io; perciò che tutti gridavano: Costanzo!
C stanzo! e nondimeno sei Costanza. - Il che il re in qu l
punto non inte e uello che Chiappino olesse inferire. 1a
Costanzo, che 'l tutto aveva compre o, acciò che Cbiappino
piu oltre non procedesse, gli troncò la trada dicendo : - 1a
quando innanzi al re e alla reina fosti che causa ti mos e a
do er oltre mi ura ridere?- A cui rispose Chiappino: - Io
fieramente me ne ridei, perché il re ed anc r tu credete c he
le damig Ile, che alla reina serveno , iano damigelle: e non -
dimeno la maggior parte loro damigelli sono; - e poi i tacque.
Il re, que to intendendo stette alquanto sopra di sé, nulla
però dicendo ; e partitosi dal silvestre satiro, con il suo Co-
stanzo del tutto chiarirsi si ol e. E fatta la isperienza, trovò
Co nzo e<> e- f mina e non uomo, e le damigelle bellissimi
o-io ani, i come Chiappino raccontato o-li aveva. Ed in quello
instante il re fece accendere un grandissimo fuoco in mezzo
d Ila piazza; e pre ente tutto il popolo, fece la reina con tutti
li damigelli arrostire. E con iderata la lodevole lealta e franca
FAVOLA PRDlA

fede di Costanza, e \·edendola belli sima, in pre!'enza de tutti


i baroni e cavalieri la po ò. Ed inteso di cu i era figliuola.
molto si rallegrò; e mandati gli ambasciatori a Ricardo re ecl
a .·aleriana sua mo lie ed alle tre sorelle, come ancor Co tanza
era maritata in un re , tutti ne sentirono quella letizia che
s ntire si debbe. E cosi Costanza nobile e genero a in guidar-
clone del ben ervire reina rimase, e con Cacc re lurtCYamente
vi e. -
FAV LA TI.

Erminione G!au cio ateniense prende Filenia enturione per moglie; e di-
venu o dì lei t:lo. o, J'accu • in giudicio: e per mezzo d' Ippolito suo
i nn morato 'ien libera ta, ed Erminione condannato.

[ I ENZA :]

- ro n arebbe, grazio e donne, al mondo tato il piu dolce,


il piu dilettevole, né 'l piu felice, che trovar i in ervitu d'amore,
se non f usse l'amaro frutto de ll a subita gelo ia , fu gatrice de-
gli a alti di Cupidine, in idiatrice dell amorose donne, dili-
gentissima in-.;estigatri e della loro morte. Laonde mi si para
davanti una fa ·ola che vi dovera molto piacere; perciò che
per quella pot rete agevolmente comprendere il duro ed infelice
fine che fece un gentiluomo ateniense; il quale con la ua fredda
gelo ia cred tte la moglie per man di giustizia finire, ed egli
al fine condennato e morto rimase . Il che giudico che vi sani
caro udire; perciò ch e e io non erro, penso che ancor voi
innamorate siete.
In tene, antiqui ima citta della Grecia, ne' passati tempi
do micilio e recettacolo di tutte le dottrine , ma ora per la sua
ventosa superbia totalmente ro inata e di trutta ritrovavasi un
gentiluomo , messer Erminion Glaucio per nome chiamato:
uom v eramente grande ed estimato a sai nella citta e ricco
molto, ma poYero d'intelletto . Perciò che, essendo oramai
attempato , e attro andosì senza figliuoli deliberò de maritarsi;
e pre e per moglie una giovanetta nominata Filenia, figl iuola
di n e ser ino Cl,. t 1rion , nobile di sancrue , di maravi-
glio a be11ezza e d ' infinite Yirtu dotata: né vi era nella citta
un'altra che a lei pareggiar i potesse. E perciò che egli te-
meva per la ua singolar bellezza non fusse sollecitata da molti
e cade se in q ualch e ignominio o difetto per lo q uale poi ne
F \V L. .:'ECO .. -DA

fu. e dimo trato a dito, penò di porla in un'alta torre nel


uo palazzo, non l scian ch e da alcuno fo e Yeduta. E non
ette molt che il p vero \·ecchio, sen~a apere la cagione,
ivenne di lei tanto gelo o. che appena di é te o si fida\"a.
ven e pur che nella citta i tro ·a ,.a un . o lare creten. e,
gi ane di eta, ma accente aveduto molto da utti per
la ua g ntilezza e 1eg iadria a ai amato e riverito: il quale
per nome Ippolito i chiamava, ed innanzi che ella prende se
marito , !un o temp vagh ego-iata l 'aveva: ed appre o que to
tene a tretta ome tichezza con me er Erminione il quale non
men l amava che e figliuolo li fus e. Il giovanetto, e sendo
al uant tanco di studiare e d idero. di r icoverar gli pl-
n 1 la si, di Atene si parti; ed andato ene in Candia, i ·i per
un pazio di tempo dimorò, e ritorn t ad Atene, trovò File-
ma che maritata era. Di che o-li fu oltre mi ura dolente; e
tant piu si dole a, quanto che i vede a privo di poterla a
su bel grado vedere: né poteva offi rire che i bella e aga
o-iovanetta fu se c ngiunta in m trimonio on i bavo o d
i dentat vecchio. on potendo adunque l' innamorat Ippolito
piu pazientemen e tollerare li ardenti ti m li ed acuti trali
d'am re, e ing gnò d1 tro ar qualche secreto mod e via,
per la quale egli otes e ad mpire i uoi desiri . Ed e endo-
gliene molti alle mani venuti ne sce} e prudenti imamente
un che piu giovevole li pareva. Imperciò che, andato ene alla
bottega di uno leg naiu lo u vicino gli ordinò due ca e
assai !uno-be, larghe ed erte e d'una mede ima mi ura e qua-
lit · i che l una dall 'altra age olmente non i poteva cono-
cere . Dopo e ne gi da mes er Erminione; e infingend
avere bi ogno di lui con m lta a tuzia li disse queste parole:
er Erminione mio, non meno di padre da me amato
e ri erit empre, se non mi fu e noto l'amore che voi mi
ortate i n mi ardirei on tanta baldanza richieder i ser-
vigio alcuno; m perciò he h vi trovato em1 re amor vole
·er o me , non dubitai unto di non poter ottener da voi i
che l' animo mi brama de id era. . i occorre di andare fino
nella òtta di Frenna er alcuni miei negozi ìmportantis imi,
172 -·OTTE Q 'ART.\

dm:e arò fino a tanto che aranno i pediti. E perché in ca a


on ho per ona di cui fidare mi po a, per es ere all e mani
d i ervitori e fante che de' quali non mi ~ssicu r o molto, i
v rrei, tutta ia e vi · a piacere, deporre appre o ·o1 una
mia arca piena delle piu car co e che io m i troYi avere. -
. le er Erminione , non ed endo i della malizia del col are,
li ri, pose che era contento : e acci che la fus e più sicura.
la metterebbe n Ila camera d ve egli dormi a. i che lo sco-
lar li re e quelle grazie le q uali egli eppe e p u te le mag-
giori promettendoli di tal serv igio tenere 1 erpetua memoria; ed
appr e que to sommamente lo pregò che i de na e di an-
dare fino alla ca a ua per mo trargli uelle co e che nell'arca
ave a ri ervate. Andato ene adunque mes er Erminione alla
asa d' Ippoli to , egli v i dimo tr un'arca piena di vestimen ti
di ioie di collane di n n poc Yalore. Indi chiamò un de'
su i serventi; e dimo tratolo a messer Erminione, li di se:
- Ogni volta, mes er E rminione . che questo mio ervente
verrà a tor l'arca , pre taretegli quella fede , c me e gli fus e
la persona no tra. - Partitosi me er E rminione, Ippolito si
p e n !l'altra rea che era imile a quella delle vestimenta
g ioie; e chiu o i dentro ordinò al servente che la portasse
la do e egli sapeva. Il servente, che d l fatto era consapevole,
ubidienti simo a l uo patrone chiamò uno ba tagi ; e me sa-
gliela in u le palle, la ree nella torre dove era la camera
m cui me er Erminione la notte con la mogli d rmiva .
Era me ser Erminione un de' primai della citta; per
er uom ricco mol to e a ai potente, gli ave nne che per
autorità ch'egli tene a, li fu bisogno contra la sua voglia di
an are per a lquanti giorni fino d uno luogo ddimandato
Porto Pireo, lontano per spazio de e nti stadi dalla citta d'Atene,
p er a ettare certe liti e differenze che tra' cittadini e quelli
el c a v rtivano . Partit i ad q e 1 e er Er i i ne mal
contento per la g lo ia che di e notte l premeva, eà aven do
il giovane nell 'arca chiu o piu volte udito la bella donna gemere,
ramaricar i e piano-ere maladicend la s ua dura orte, e l'ora,
'l punto che ella si maritò in c lui che era di lruttore della
F. \'O LA ~EC O . ' DA l - ...
' .)

ua persona , aspettò l'opportuno tempo che ella 'addormE:n-


ta e. E quando li parve che ella era nel uo primo ·anno,
e li u ci dcll 'arca ed al letto i avi inò; e di 1;!: - D Lst; ti.
anima mia, ché io ono il tuo lppolito. -Ed ella, de tnt.l,
•ed ndolo e cono cendolo, perciò che era il lume acce o. Yobe
Jridare. Ma il z:.iovane, me a la mano alla ua bocca, nnn
la lasciò gridare; ma quasi lagrimando dis e:- Taci, cuor
mio; non edi tu ch'io sono Ippolito, amante tuo fedele, che
enza di te il viver mi è noioso? - Achetata alquanto la bella
donna, e con iderata la qualita del vecchio E rminione e del
giovan e Ippolito, di tal atto non rimase contenta; ma tutta
q uella notte giacque con esso lui in amaro i ragionamenti,
bia mando gli atti ed i g ti del pecorone marito, e dando
rdine di potersi alcuna volta ritrovar in ieme. Venut il
giorno, il giovane si rinchi use nell'arca; la notte e ne usci ·a
fuori a uo piac re , e giaceva on so lei.
Erano gia pa sati m lti e molti giorni, quando messer
Erminione, i per lo incomodo che pati a, i anche p r la
rab io a gelo ia he i contino ·o lo ruciava, a. settò le dif-
fe renze di quel luogo, e ritorno si a asa. Il n · nte d' Ippolito ,
he inte o a· va la venuta di messer Erminione, non stt:!tte
molto h e e n'andò a lui , e per nome del uo patrone chi e eli
l 'arca: la quale, condo l 'ordine tra loro dato, grazio am n te
da lui li fu r tituita; ed egli, pre o un ba tagio, a asa se
la recò. cito Ippolito dell'arca, andò ver o piazza, d \'t!
. 'imbatt · in messer Erminione; ed abbra · iatisi insieme, el
ricevuto erv1g1o me m glio puote e seppe cortesementL lo
ringraziò, fferendoli e sé e le cose ue empre a' uoi comandi
1 arati ime.
ra avennc che, stando i me er Erminione nel letto una
mattina con la mogli piu d l solito a ·iacere , e li rappre-
entorono nel pariete innanzi agli occhi certi sputi che erano
nssai alti e l ntani molt da lui. Onde acce o dalla gran g-e-
losia che e li ave a, molto si maraYi liò, tra sé te so o-
mi nciò sottilmente con iderare e gli puti erano suoi O\'ero
di altrui; e poi che egli tbbe ben pensato ripen ato, non
17 _.Ql.'TE QL\RT.\

"'l puote mai cadere nell'ani mo ch'egli f ttì li aYesse. Laonde


t emendo forte di quello che gli era avenuto , si voltò contra
la moglie, e c n turbata faccia le di se : - Di chi sono quei
sputi i alti? Quelli non ono puti di me; io mai non li putai;
certo che tradito mi hai. - ilenia allora, sorridendo di ciò,
liri po e:-Avete voi altro che penare? - 1esser Erminion ,
edendola r idere , molto iu e infiammò; e dis e: - Tu ridi,
ah, rea femina che tu e'? e di che ti ridi? - Io mi rido,
- ri po e Filenia, - della \'Ostra ciocchezza. - Ed egli pur
tra é ste so i rodeya · e volendo i perimentare se tanto alto
pote •a putare, ora to endo ed ora raccagnando, si afforzava
col sp uto di a giungere al egno; ma in vano si affatica a,
perci che lo sputo tornava indietro , e opra il viso li cadeva,
e tutto lo impia tracciava. A endo questo il povero vecchi
piu olte i perimentato, empre a peggior condizione i ritro-
vava. Il che vedendo, conchiu e per certo dalla moglie es er
stato ga bato; e voltato i a lei le di se la maggior villania
he mai a rea femina i dice se. E e non fu se stato il timore
d i sé te. o , in quel punto on le propie mani uccisa l ' arrebbe;
ma pur i a tenne , volendo piu tosto procedere per ia d Ila
o-iustizia, che bruttare le mani nel uo angue. Onde non con-
tento di questo , ma di sdegno e d ' ira pieno, al palagio e
n'andò; ed id produ se innanzi al pode ta contra la mo lie
una a eu azione di adulterio commes o . Ma perché il pod ta
non pote va ondannarla e prima non ra osset ato lo statu to ,
m~ ndò per lei per dil igentement sarninarla.
Era in ten e un statuto in omma o ser anza, che eia che-
duna donna, di adulterio dal marit accu ata, fus e posta a'
piedi della colonna ro sa, opra la quale giaceva un ser pe;
indi le da va il giuramento, e f us e ro che l'ad ult r i
avesse commes o . E o-iurato che Ila aveva, erale di necessita
che la m no in bocca del serpe poness ; e se la donna il fal so
giurato a e a ubito il serpe la mano dal braccio le picca a :
altrimenti rimane ·a illesa. Ippolito che gia ave a per entita
la querela e er data in giudizio , e che il podesta a eva man-
ate per la don na che compares e a far ua difesa, acciò he
F. 'OLA ECO. DA 175

n n incorre e ne i lacci della ignominia a morte, incontanente


d per ona astuta e che de ideraya camparle la morte, depo e
le ue e timenta, e certi tracci da pazzo i mi e indo so ; e
enza he d'alcuno fu e eduto, usci di ca a, ed al palagio
come pazzo e n cor e, facendo di continovo l maggior paz-
zie del mondo. ntr che la birraglia del podesta menaYa
la giovane al pala io, concorse tutta la citta a Yedere come
la co a riu civa; ed il pazzo, pingendo or que to or quello ,
i fece tanto innanzi , che puo e le braccia a l collo alla di -
con olata d onna, ed un saporoso ba cio le died : ed ella, che
aveva le mani dietro a inte, dal ba cio non si puote difendere.
iunta adunque che fu la g io ane innanzi al giudizi , l d i e
il po e ta: - Filenia, come tu vedi, qui è messer Ermini ne
tu marito, e du l i di te he abbi commesso l 'adulterio, e
perciò a ddimanda h' io econdo lo statuto ti punisca; e per
tu giurerai e il peccato che ti oppone il tuo marito, è ero. -
La gio ane, che astuta prudenti sima em, animosamente
giurò che niuno di peccato l'a e a to ca, non il suo marit
e quel pazzo ch e v'era pr ente . Giurato che ebbe ilenia, i
ministri della giu tizia la ondu ero l erpe: al quale presen-
tata la mano di Filenia in bo c , non le fece nocumento alcuno;
perci ch e ave a confes ato il ero , ché niuno alu·o di peccato,
e non il marito e il pazzo tocca l'a eva. Veduto questo, il
popolo ed i parenti ch e erano 'eduti a vedere l'orrendo spet-
tacolo, innocenti sima la giudic ron , gridavano che me er
rmm10n tal m ort merita , q uale la d nna patire do 'e ·a.
Ma per h egli era n bile e di gran parentado e dei magrriori
della itta, non ol e il p de t come la giu tizia permet e ·a,
che fu e p ubblicamente ar o; m pur per non mancare d l
debito uo , lo condannò in una pregion e : dove in bre e spazio
di tempo e n e mori. E co i miseramente fini me er Ermi -
nione la a ra b ·o a gel ia , la ìovan da i norninio a
morte i dis ilup ò. op non molti <Yiorni Ippol it pre ala
per ua legittima m lie, e molti anni feli emen te \'i se . --
F \'O L:\ lii.

ncilotto, re di Provino, prend per moglie la figliuola d'un fom:.io, c


con lei genera tre fi liuoli; i qu< li es. endo pt.rseq uitati dali n madre
del re, per virtli d'un'acqua d'un pomo e ù'un uccello vengono in
cognizion del padri:!.

(LODOVIC. :]

- Io ho empre inte o, piace oli e graziose donne, l'uomo


e ser il piu nobile e il piu alente animale che mai la natura
creasse; perciò che Iddio lo creò alla imagine ed alla simili-
tudine sua e o l e eh' egli signoreggias e e non fusse igno-
reggiato. E per questo si dice, l'uomo esser animai perfetto e
di marrgior perfezione che ogni altro animale, perché tutti, non
eccettovando anche la femina, sono sottopo ti all'uomo. Di qua
pro ede che malage olmente fanno coloro che con a tuzia ed
art procurano la morte di i degno animale. E non è mara-
viglia e que ti tali, mentre che si sforzan di dare ad altrui
la morte , in quella di avedutamente incorreno; si come fec ro
quattro donne le quali , credendo i altrui u celiare, al fine
uccellate rimasero, e miseramente finirono la vita loro: si comt:
per la presente favola, che ora raccontare intendo, agevolmente
omprenderet .
In Pro ino , citta as ai famo a e regale, i trovarono ne' pas-
ti tempi tre arelle, a he cl'asp tt gentili di co tumi e
di maniere a cort , ma ba e di legnao-gio; perciò eh erano
fìo-liuole d ' uno mae tro Rigo forna io , che di continovo nel forno
l'altrui pane coceva. L'una delle quali Brunora l'altra Lionella
e la terza Chiaretta i chiamava. Essendo un giorno tutta tr~,;
que te gio anette nel giardino, di cui a maraviglia i diletta-
ano, pa sò per quindi Ancilotto re che per suo diporto con
molta compao-nia se n 'anda'v·a alla caccia. Brunora, che era la
'OJ.. TERZ. 177

ma gior sorella. Y dend i bella d orre ·ol compagn ia. di e


alle sorelle LioneJJa e Chiaretta: - e io ave i il mae tro di
casa d l re 1 er mio marit . mi do to \·anto h o con un
bicchiere di rin aziarei tutta la ua corte.- Ed io- dis e
L ionella , -mi d ta lode, che e i ave, i il ecreti imo
cameriere del re per marito, farei tanta tela con un fu o del
mio filo, che di belli im . ot ili im ami cie fornirei tutta
la sua orte. - Ed io - dis e hiaretta, - mi lodo di que to,
·he se io ve i il re per mio marito , gli far i tre fio-liuoli in
un mede imo parto, duo ma chi d una f mina; e eia cuno di
loro arrebbe i capelli giu per le palle annodati e me hi n
fini imo oro , ed una collana al collo ed una st lla in front . -
ueste parole furono udite da uno dei rt ggiani; il quale
ubito cor e al re , e precisament li raccontò ciò che le fan-
ciulle a •e an in iem d tto. Il re, inte o cotal tenore , le fece
a é nir e d una ad una le interr gò eh detto ave ano
in ieme quando erano nel giardino. , cui tutta tre on somma
ri ·erenza ordinatamente replicoron ciò vano detto. Il he
a ncilotto re molto piacque. d indi non i parti, che il
mae tro di ca a Brunora pre e 1 er mo lie, ed il camerier Lio-
nella, ed egli la Chiaretta. E l dato l'and re alla caccia tutti
rit rnorono a ca a, do e furon fatte l pompo e nozze .
Que te nozze a ai di ·piacquero alla madre del r ; per i
eh , quantunque la fanciulla fu se a a di a petto, formo a di
i o, leggiadra della per ona, ed , e se un ragionare di dol-
cezza pieno, non però era onvene ole alla randezza ed alla
potenza d l re, }J r e ser feminella ile, abbietta e di minuta
gente; né pote a in maniera al una la madr patire che uno
mae tr di ca a ed un cameri r fu ro detti cognati del re
uo figliuolo. nde tanto crebbe l'odio alla uocera contra la
nuora, che qua i non la poteva entire, non che vedere; ma
pur, per non contri tare il fio-liuol , teneva l'odi nel p tto
nasco to. A enne, si come pi que a c l1i eh 'l tutto regge
che la reina s' ingr id . Il h fu di omm piacere al re, il
quale con grandi ima allegrezza a pettav e ere la gentil
pro l de figlioli che gli erano ta' prome i da lei. Al re dopo

G. F. STRAPAROL 1 L e piacevoli llOttt: IZ


17

alquanti i accade e di caYalcare nello altrui paese. ed ivi per


alcu ni giorn i dimorare: e perci ò la reina e li figliuoli, che di
lei na erann , alla att 1pata madre in. tan i~. imamente ra<'-
mandò . L a qual e , quantunque la nuora non ama. se né \'eder
la voi e, nondim eno di averne buona cura al figliuolo lar-
?"amente promi e.
artito a dunque il re ed andato ene al uo viaggio, la reina
parturi tre figliuoli, d uo ma.chi ed una femina; e tutta tre. si
com la reina quando era poncella al re aYeva pr m s o . an~·
vano i capegli annod ti e par i giu per l pall , con una vaga
catenell a al collo e con la stella nella fronte . La proterva
maligna madre del r , priva d ogni caritativa pietà e ac esa
di pernizioso e mortai odio, tantosto che nacquero i ari ba m-
bi ni , deliberò , enza il perfido proponimento mutare , di fargli
al tutto morire , acciò che di loro mai i ape e no ella e la
reina in di grazia del re veni e. Appr s que to , perché Chia-
r tta era reina e ign reggiava il tutto era na ciuta tra le due
. orelle una tanta i vidia contra di lei, quanta na cere pot . e
g-i amai ; con sue a tuzie ed arti conti n vamente s'ingegna-
vano di metterla in mag ior odio della insensata madre.
A enne che nel tempo che la reina parturi, nacquero 111
orte ancora tr cani b toli , duo ma chi ed una femina: i quali
er no t llati in fronte ed uno ignaluzzo di gorgiera in torno
al coll ten vano. Mosse le due invidiose orelle da diaboli o
spirito , p r ero i tre cani botoli che la madre poppavano . e
portorongli all'empia suocera; e fatta la debita rivere nza le
di ero: - oi sappiamo madama, che la ostra Altezza p c
ama ed ha cara la orell a no tra, e meritamente; perciò he
ella di ba . a condizione, e non conviene al ostro figliuolo
e nostro re una donna di i ili imo angue , come ell a
E però , sapen o noi il voler vo tro , siamo qui venute, e Yi
ab iamo reca i tre cani bot li che n quer con la tella in
fronte, acciò h abbiamo il parer rostro. - Questo molto
piacque alla suoc ra , e 'imagin d appre entargli alla nuora,
che ancora non sape a quell aveva parturito , e dirle come
quelli erano i bam ini di lei na ciuti. Ed acciò he tal o a
f" _ VOL\ TERZ I/ 9

n n i co ri e. la m ala vecchia ord inò alla comare eh a l b.


reina dir dov e, i fanciulli che parturiti av a , e er tati tre
cani bo oli. La uocera adunque parimenti e le orelle della
r ina e la comare e n' andarono a lei , e di ero: - \ edi. o
reina, l'opera d el tuo bel parto; ri erbaio, cciò che, quan do
il re verra, po a il bel frutto edere. - E dette que te pa -
role la comare le po e i cagnolini al lato , confortandola t ut-
ta ia che non si di p ra e , perché alle volte que t cos tra
p r one d'alto affare uoleno avenir .
A eva gia eia cheduna delle scelerate femine adempiuto
og ni uo reo e malvagio pro1 niment , e olo una co a ci l r)
re ta a: che agli inn centi imi fan iulli de ero ac rba morte .
1\ a a Dio non piacqu che del proprio angue i br utta ino
l mani; ma fatta una a etta ben inc rata di tenace ece,
e me i i fanciulli dentro e hiu i, la gitta rono nel icino fìum ,
ed a se onda ell'acqua la la ciorono a ndare. Iddio o-iu to, he
n n pate che l 'innocente angue patì ca, mand opra la ponda
d e l fiume un monaio, Marmiato per n me chiamato ; il quale,
yeduta la ca etta, la pr se ed ap r le dentro vi trov i tr
be mbini che ride ano. E perciò eh erano molto belli , pen
che [u, ero figliuoli di qualch gran matrona, la quale p r
y rgogna del mondo a es e comme o i fatt ecce o. nd e
ren hiu a la cassetta e posta ela in spalla, se n'and · a asa;
e clis e alla moglie, che ordiana i chiama a:- Guata, moglie
mia , ciò che trovai nella ri a del fiume: io te ne fa cio un
dono . - ordiana, v duti i fanciulli, graziosamente o-Ji ri e-
tt ; e non altrimenti he e fu ero del uo corpo nati. li
n 1dri. , l uno de ' quali puo nome cquirino, all'altr Fluvio,
p r e er . ta ' ritr vati n lle acqu : d alla bambina, erena .
Ancilotto r . La a i alleo-ro, empre pen ando di tro are
al u ritorno tre belli figliuoli; ma la co a non gli a venne
si com ei en ava, perciò che 1 a tut madre del re, tan-
to. to che 'ac or il fìo-liuolo al palazz a\ icinar, i li and
incontro. e di egli la ua cara mo li , in vece di tre figliuoli l

tr b t li cani a ·er parturi t . E m natolo nella camera dO\·e


la addolorata mogli per lo parto mceYa gli dimostrò i
l• o ~ ·oTTE Q ARTA

cagnolini che al lato tene a. Ed avenga che la rema dirotta-


mente pianges e negando tutta ia averli parturiti, nientedi-
meno l' invidiose orelle c nfermavano esser il vero Lutto
flll llo che a detto la v cchia madre. li che udendo il
re molto i turbò, e quasi da dolore in terra cnddé; ma po:cia
·h'egli rin enne alquanto, tetl gran pezza tra il i e 'l no
suspeso, ed al fine diede piena fede alle parole materne E
perché la misera reina era pazi ntissima, e con forte animo
offeriva la corteggiana invidia, venne al re pieta di farla mo-
rire; ma omandò che fu ::. posta sotto il luoco dove i lavano
le pentole e le cutelle, e che per su cibo fu. sero le immon-
dizie e le carogne che giu della fetente e ozza scaffa cadevano.
Mentre eh l'infelice r in a dim rò in quel puzzolente
luogo nudrendo i d'immondizie , Gordiana, moglie di Mar-
miato monaio, parturi un figliuolo, al quale puose nome Bor-
o-hino; e quello con li tre amorevolmente allevò. A eva Gor-
diana per sua u anza gni mese di troncare alli tre fanciulli
vl i a nnod ati e lunghi capelli: dai quali molte prezios g101e
e QTO se e bianche perle cadevano. Il che fu cagione che
Iarmiato , lasciata la vi li sima impresa di macinare, presto
ricc di enn e; e Gordiana e i tre fanciulli e Borg hino , molto
largamente viv ndo , amorevolmente godevano. Gia erano ve-
nuti i tre fanciulli alla gi ven 'l eta, quando persentiro che di
Marmiat monaio e di Gordiana figliuoli non erano, ma tro-
vati in una ca s ttina he giù per lo fiume scorreva. Laonde
molt i ramaric rono; e desiderosi di pro are sua ventura,
chi ero la loro buona licenza, e si partirono. Il che non fu
di contentamento di Marmiato ordiana; perciò che si ve-
d vano p ri are d l tesoro che usci a delle bionde loro chiom
e della loro stellata fronte.
Partitisi adunque da Marmiato e da Gordiana l'uno e l'altro
fratell c n la or Ila, e fatte molte lunghe giornate, per aven-
tura tut tr aggi un ero i n Provino , citta d' Ancilotto re suo
padre; d i i , pre a una casa a pigione , insieme abitarono,
nudrendosi del tratto d Ile gemme, delle gioie e delle pietre
precio e che dal capo gli cadevano. Avenne che il re un giorno
F, V LA TERZ I~ I

an ando per la terra n alcuni uoi c rteo·giani spas eggiando,


a aso indi pa ò dove dimoravano i duo fratelli e la orella;
i quali, non avendo ancora vedu t né c nociuto il re , di cc--
s r giu dalle scale, ed andarono all'u cio: tratti i di test<t
il cappuccio, ed inchinate le ginocchia ed il capo ri ·erente-
mente il alutorono . Il re, che aveva l 'occhio d'un fa lcone
ellegrino gli guatò fi. o nel vi o, e vide che ambeduo tene-
ano una orata tell a nella fronte; e ubito gli venne una
ra bia al cuore, che quelli iovani fu sero uoi figliuoli. E fer-
matosi, di egli: - h i siete v i? e di onde veni te?- d el li
um ilmen e ri po ero : - . oi siam poveri f rastieri enuti ad abi-
tare in cote ta citta. - Di se il re: - Piacemi molto ; e come vi
hiamate?- cui l' uno disse:- Acquirino;- l 'altro di e:
i chiamo Fluvio. - E 1 io , - eli se la orella - mi addì-
mando Ser na. - i se allora il re: - r c rte ia tutta tr a
de inare con e so noi dima ne i in\iitiamo . - I gio ani, al-
quanto arro iti non otend denegare l'one ti ima dimanda,
accettorono lo invito. Il re , ritorn ato al palagio, di e alla
madre : - adama, ggi, an anelo a diporto , vidi per aventu ra
d 10 leggiadri iovanetti ed una vaga puncella: e tutta tre ave-
ano una dorata st lla nella fronte che, se io non erro, paiono
quelli che dalla re ina Chi retta mi furono gia prome si. - n
he ud ndo , la cele te vecchia se ne orrise alquanto; ma pur
le fu una coltellata he le trapas ò il cuor . E fattasi chiamar
la comare che i fanciulli allevati a e a, ecretamente le dis. :
n sapete voi, comare mia cara, che i figliuoli del r Yi -
vono, e s n piu belli che mai? - cu i ri pose la comare:
-Com'è pos ibil questo? non si aff< c rono nel fiume? E com
lo sapete voi?- cui rispose la vecchia: - Per quanto che
os o comprendere per le arole del re, i vivono e del
tro aiuto ci è di bisogno molto; altrimenti, tutte stiamo
m pericolo di morte. - Ri pose la comar : - 1- on dubitate
punto , madama , ché io sper operar i, che tut tre pe-
riranno. -
E partitasi, la c mare subito e n'andò alla casa di cqui-
rino Fluvio e erena; e trovata erena ola, la aiutò, e fece
l 2 ~ OTTE Q ARTA

co molti ra ionamenti; e d p che ebhe lungamLnte ragio-


nato con e so lei, di e:- Avre ti per a' entura, hgliuola mia.
dell'acqua che balla?- cui ri po e erena, che no. - Deb ~
figliuola mia,- di e la com ·e,- quante belle cost: n:dres i,
se tu ne a e ti; perciò che, bagnandoti il vi o, diventere ti a sai
più bella di iò che ei. - Di e la fanciulla: - E coml' po-
trei io fare per a\ erne?- Ri po e la comare: - .1anda i tuoi
fratelli a ricer aria, ché la ritro ranno, perciò che dalle parti
no tre non è molto lontana. - E detto que to, i parti. Ritor-
nati Acquirin e Fluvio a ca a, erena, fatta i all'incontro,
li pregò che per amor uo do,·e sino con ogni ollecitudinc:
cercare che la a e se di questa preci sa acqua che balla.
Fluvio ed Acquirino, face ndosene beffe, ricusavano di andare.
perci ch e non apevan do e eh tal cosa i trova e .. 1a
pur a tretti dalle umili preghiere della diletta orella, presero
u n 'ampolla ed in ieme si partirono.
Ave ano i duo fratelli piu mio-lia cavalcato, q uando giun-
ro ad uno hiaro e vivo fonte, do e una candida olom ba
i rinfre cava. La quale, me so giu ogni pavento, di ~e:
giovanetti , che andate voi ercando? - , cui F luYio
rispo e: - r 1 oi c rchiamo quella preci osa acqua, la quale,
come si dice, balla. - Oh mi erelli! - di e la colomba,- e
chi vi manda a torr tal acqua?- cui ri po Flu ·io:
na no tra sorella. - Di se a llora la colomba:- C rto ,. i
ve n'andate alla morte; perciò che vi si trovano molti vele-
no i animali che , vedendovi, ubito vi divoreranno . l la la ciate
quest cari o a me, ché io icuramente ve ne porterò. - E
p re a l'ampolla che i giovanetti a v eva n , ed annodatala otto
l'ala de tra si alzò a volo; ed andata ene la dove ra la deli-
cata acqua , ed empiuta l'ampolla, ritornò alli giovani che con
sommo de iderio l'aspettavano .
Ricevuta l'acqua, e re e le debite raz1e alla colomba, i
gio ani ritornarono a ca a, e a erena ua orella l 'acqua
appre entorono, imponendole espressamente h e più non gli
omandasse cotai servigi, perciò che erano tati in pericol o
di morte. fa non pa aro molti di, h 'l re da capo vide i
L\ VOL. TERZ.\

r1 v netti; a· uai di e: - E er~hé . avend voi accettato lo


invito non vene te ne iorni a de. inare con o noi? -
li ur renti imi negozi, aera
Corona, ne ono tati primi ra c ion . - , llora ùi e il ré :
- Vi pettiarn dimattina enza fallo al prandi 'On noi . -
I 10 m i e eu orono. Ritornato il re al palazzo , di e alla
madre che a va ancora veduti i giovanetti tellati in fronte.
Il eh udendo, la madr tr é te a molto i turbò; da
capo fe e chiamare la com re, e ecretamente il tutto le rac-
co tò pre andola che dovesse pro · dere al opra tante pericolo.
La comare la conf rtò, di ·el che non do ·es e t mer ; perciò
-he la far bb i che in m niera alcun non aranno più ve-
duti. partita i dal palazzo. ali a a d lla fanciull ne
tr atala ola, l 'addimand · uell acqua eh balla,
an cora a uta a a. A ui la fan iulla ri po h 1: ma

non nza grandi imo pericolo della vita d lli fratelli u 1.


a ben io v rr i - i e la comare,- eh tu figliu la
mi a, a v ti il omo che can a· p rei · eh tu non edesti mai
il più b Ilo né gustasti il 1u oav dolce cant . - Di e la
fanciulle : - I non o me poterlo aver ; p r 10 he i fr a-
t Ili non orr nno and r a tr vario, p rch · ono tati più in
p ri olo di m rt he in peranza di vita.- I ti hanno pur
recata l'acqua che balla - dis e la cchia;- n n per sono
morti. i come adunque ti hanno 1 ortata l'a qua, co ·i pari-
menti ti porteranno il pomo. - tolta lic nz , i parti. on
era ppena p rtita la omar , cht.: qUinno e luvio ao--
iunsero a ca a; er na li di : - lo , fr t lli miei, v rrei
lenti ri v d re gu tar quel pomo eh i dolcemente
canta. e non fate i che io l abbia pen at in br di
edermi i vita priva . - Il eh intendendo, Flu io ed cqui- J

rin molto la ripre ero , a~ rmandole he r lei non vole-


vano andare in p ricolo di morte, i c me per lo adietro fatto
·e ano. 1a ur tanti fur no i do! i prieghi di erena , n-
giunti on quell ald la ime che !al cuore em ano che
quirino lu di po ero al tutto di ont ntarla, che
he a\·enire n e v e.
I 4

Laonde montati a ca\·allo , i partirono; e tanto ca\·alcarono,


che giunsero ad una o taria: ed entrativi dentro, addimando-
rono l'oste 'egli per aventura aprebbe insignarli il luogo
dove ora si trova il pomo che dolcemente canta. Risposo g-11
fu di i: ma che andare non vi pote\·ano, perc iò che il pomo
er in un ·ago e dilettevole giardino in guardia ed in g-o\·erno
d'un mortifero animale, il quale con le aperte ali, quanti al
giardino s'avicinano, nti ne uccide . -Ma come dobbiam
far noi , - dissero i giovani. - imperciò che deliberato · ab-
biamo di averlo al tutto?-- Rispose l'oste: - e voi farete ciò
che io vi dir , arrete il pomo, né temerete la velenosa fiera,
e men la morte. Prendete adunque questa veste tutta dì specchi
coperta; e l'una di voi e la ponga indo so cosi vestito entri
nel giardino di cui trovarete l u cio aperto; e l altro resti fuori
del giardino, ed in modo alcuno non si lasci veder . Ed en-
trat ch'egli ani nel o-iardino , l'animale subito gli erra al-
l ' incontro; e vedendosi sé stesso negli specchi, incontanenti
in terra cadera; ed andatosene all albero del cantante pomo ,
que llo umanamente prendeni, e senza guardarsi a di etro fuori
del giardino uscira . - I giovani molti ringrazia rono l'oste; e
partitisi , quanto gli di e l' te, tanto 'Operarono; eri avuto il
pomo a lla orella lo portarono, es ortandola che più a si
pericolose impr ese strengere non li doves e.
Passati dopo' alquanti giorni , il re vide giovanetti; e
fattigli a sé chiamare, li disse : - Qual è stata la cagione, che
secondo l'ordine dat n n siete venuti a desinare con esso
n oi? - A cui rispose Fluvio: - on per altra agione, signore,
ci iamo restati di venire, se non per le diverse occupazioni
che ci hanno intertenuti. - Dis e il re:- Nel giorno eq uente
vi a pettlamo; e fate si che in maniera alcuna non ne man-
cate. - A cui ri pose Acquirino che potendo i da certi suoi
n egozi viluppare, molto volontieri vi verrebbono . Ritornato
al palazzo, il r e di se a lla madre che ancor veduti a eva i
giovanetti, e che li stavano fitti nel cuore pensando empre
a quelli che Chiaretta prome i gli a\·e a; e che non poteva
con l' animo ripo are, fino a tanto che non venis ero a de inare
·- y IL. 'IERZ.\

c n e lui. L madre del re, udend tai paro le, tro \'Ò i n
ma gior travaglio che pnma, dubitan o forte che scoperta non
u . e. cosi d gli ed affannata, mand · per la comare, e
li ele: -Io mi crede o, com re mia, che i fanciulli oggimai
fu ro penti e che di loro non si senti e novella alcuna;
m ei ·ivon , e noi ci tiam in pericolo di morte. Pron~ ­
l adunque ai i no tri, altrimenti noi tutte p rirem . -
i po e la c mar ': - , lta madama, tate di u n animo e n n
·i pertur ate, p rch' i far :i che di me voi vi lodarete e di
l ro n velia alcuna ~ iù non s ntirete. - E tutta indignata e
di furor piena, i parti, e anùo~. ene alla { n iulla; e datole
il buon giorn , l'addimandò e 'l p m he canta avuto aveva.
ui rispo e la fanciulla he si. , llora l'a tuta e sagace o-
m 'ire disse: - Pen. a, fì liu la mi,, di n n a •er c a veruna, e
n hai an he una o a vie piu b Ila e iu l g iadra che le due
prime . - h è cote tac sa, madre mia, co i le o-iadra e bella,
che oi mi ite?- di e l giovane. cui l v cchia ri p e:
- L'ugel bel v rd , fìgliu la mia; il quale di e nott ragi na, e
dice co e maraviglio e tu l ave li in ua balia, f !ice e
e. t ti potre ti chiamare. - E dette queste parol , si parti .
on fur n i t t i fratelli a casa venuti che er na li
affr nt , regolli che un a ol razi non le nega m . ~cl
addi mandatala che gr zia ra quella he ella vo leva, ri p
- L ugel bel erd . - Fluvio, il quale era tato al contra t
della veleno a fiera e c h e di tal peri l si ricor ava, a pieno
le ricu ava di vol r andare. Ma Acquirino, quan unque piu
oltc ancora egli ricusat li • ·e e, 1 ur finalm nte mo o
alla fraternev le pieta e dalle abondevoli e cal le lagrim eh
r na parge a, unitamente deliber r no di c nt ntarl ; e
ntati a cavallo, iu giorn ate avalcor no, fìnalm nte giun-
ero ad un fi rito e erdeo-o-iante prato: i1 mezzo del quale era
un'alti ima e ben fronzut arbore, eire nd ata da arie figure
marmoree che vi pareYano: ed ÌYÌ appr scorr ·a un
ru eelletto che tutto il prato ri a. sopra i que to albero
l 'ugel bel erde saltando di ram in r, m 1 trastullava, pro-

f rendo par l he non umane ma diYine parevan . monta i


6 . - TTE Qt:.\R'L\.

g-io ·ani de gli loro palafreni, e la ciatili .l suo IJel grado p,t-
. cer i nel prato, accostarono alle fi ure di marmu; le quali
ubito h i giovani toccarono, tatue di marmo ancora tlli
di\·ennero.
A erena, che molti me i a ·e ·a con desiderio aspett<'l.ti
Fluvio ed cquirino suoi diletti fratelli, parve di averh amai
perduti, non n s r p i u peranza di ri v d ergli. n de stando
ella in tale ramari amento, e l'infelice morte de· fratelli pian-
gendo, determin · tra sé ste sa di pro\ are sua ventura; ed ascesa
apra un gagliardo avallo, in viaggio i pose: e tanto cavalcò,
che a<Ygiun e al luo o dove l' ugel bel verde sopra un ramo
d'un fronzuto alb ro dolcemente parlando dimora\·a. Ed entrata
n el verde prato, subito conobb i palafreni delli fratelli che
di erbuzz i pascevano; girando gli occhi or quinci or quindi,
ide li fratelli con ·er i in du statue che la lor effigie tent:-
vano: di h tutta tupefatta rima e. E sce a giu d l cavaìlo
ed a ici n tasi a l' al ber o, ste la mano, ed a l' u el bel verde
puose le mani ado so. Il quale, poi che di liberta 1 ri o si
vide, di grazia le dimand eh lo la cias e andare e non te-
nerlo, eh· a tempo e luogo di lei si ricordarebbe. A cui ·e-
rena rispose non volerle in mod alcuno compiacere, se prima
gli suoi fratelli al su prim e er r stituiti non er no. Allora
di se lo ugello:- Guatami otto l'ala sinistra, e troverai una
penna ssai p i u d 11 'al tr v rde, con cer i e ni gialli per
dentro; prendila, e vattene alle statue, e c n la p nna t6cca\'l
gli occhi, che tanto to eh tocchi gli arrai, nel primo stato
ch' erano i fratelli ritorneranno ivi.- La gio ane, alzatagli
l ala ini tra, tro ·ò la penna come l'ucc 11 detto le aveva; e
andata en alle figure di marmo, qu lle ad una acl una con
la penna toccò, e subito di tatue uomini divenn ro. \ eduti
adunque nella 1 ristina forma i fratelli ritornati, con omma
alle0 rezza gli abbracciò e ba ci . endo allora erena avuto
lo d siderato in tento suo, da capo l' u el bel verde pregò la
donna di grazia che lo la ciasse in liberta, prom tt ndole he
e tal dono li eone d va, di io 'arle molto, se in al un tempo
i trov sse av r bi ogno del suo occorso. erena, non contenta
FAVl:LA TERZA

di ue to, ri e he mai lo liberarebbe , fino a tanto che non


tru · ino, chi è il padre e la madre loro: e be tal carico
ù e pazientemente opp rtare. Era gia na ciuta una gran
dt -cordia tra loro per lo avuto augello; ma dopo molti com-
ba timenti, di commune consenso fu la ciato appresso la donna;
la uale con non pi ciola olecitudine lo custodiva e caro lo
t neva .. vuto dunque l'u el bel verde, erena e i fratelli mon-
tor no a c allo ed a a a contenti si ritornarono.
I l re, eh avente passava da anti la casa de ' gio anetti,
n n vedendogli, a ai si mara igliava; td addimandati gli vi-
cini che era avenut di loro, gli fu ri po o che non ape a no
co a alcuna, e he era molto tempo che non erano ta' v duti.
ra s endo ritornati, non pa sorano duo giorni che furono
ve uti dal re; il quale gli addimand che era stato di loro,
che si lungo tempo non si a · vano la ciati vedere. A cui
ri pose cquirino che al uni trani a cidenti che o-l i erano
occor 1, erano tati la cagione : e se non erano a ndati da ua
. 1aesta, si come ella vole a ed era il d siderio suo, le hie-
devano perdono, e volevan emendare ogni suo fallo. Il re,
entit il loro infortunio ed avutane mpa ione g rande, non i
parti di la che tutta tre gli volse al palagio a desinare eco.
quirino, tolt· celatamente l'acq ua che balla, luvi il pomo
che canta, e erena l'ugel bel erde, on il re lietamente entra-
rono nel palagio, si puos ro sedere a m n a. La mali na
madre e le invidio e arelle, vedendo si b Ila figliuola e 1
leggiadri e poli ti giova netti, i ui beo-li occhi ri plendevano
me vaghe stelle, ebbero so petto grande, e passione non
pi ciola sentirono nel cuore .
cquirino, fornito il desinar , di se al re:- Toi ogliamo,
innanz i che i leva la men a, far veder a vostra Iae tà. o e
che le piaceranno molto;- e presa una tazza d'arg nto, e po-
tavi dentro l 'acqua che balla sopra la men a la po e. Fluvio
u fratello, me sa la mano in seno, estra se il pomo che canta,
eù appres o l'acqua lo mi e. erena che in rembo tene\·a
l'ugel bel er e, non fu tarda a ponerlo sopra la mensa. Quivi
il pomo cominciò un oa i simo canto ; e l'acqua al uono del
I .. - oTTE QUAR T.\

can o cominciò maraYigliosamente ballare. Di ch e :l n· ed 1 ci1 -


co tanti ne senti \'ano tanto piacere, che da lle risa non f'Ì pote-
vano astenere. _1a affanno e o pizione non picciola cre bbe
ali ra alla nequito a madre ed alle sorelle , perciò che dub i
tavano forte della vita sua. Finito il canto ed il hallo . l'ugel
bel erde cominci parlare, e di e: - O acr re, che meri ta-
rebbe c lui che di duo fratelli ed una sorella la morte pro<l
rata aves e? - cui l' a tuta madre del re primamente rispos t:~
on altro che il fuoco; - e parimente tutte le altre (nsJ
ri posero. Ed allora l 'acqua che balla ed il pomo che can t:t
alzorono la voce, dicendo : - Ahi fai a madre di nequ izi a
piena, te tessa la tua lingua condanna ! voi malvage ed
in idio e sorelle con la comare a tal suplicio ins ieme dannate
arete. - Il che udendo, 'l re rimase tutto suspeso . Ma l' ug-el
b l Yerde, eguendo il suo parlare, di e:- aera Coron ~ f
questi sono i tre tuoi figliuoli che ommamente hai d siderati !
Que ti ono i tuoi figliuoli che nell fronte la stella portano ~
E la l ro innocenti ima madre è quella che sino a quest'ora
è stata ed è ott la fetente scaffa. - E fatta trarre la infelice
reina del puzzolente luOO'O, orrevolmente la fece vestire ; e ve-
tita che fu, 'enne alla pre enza del re: la quale, quantunque
lungo tempo fu e tata prigione e mal trattata , n ndimeno fu
preservata nella primiera bellezza; ed in presenza di tutti lo
ugel bel verde raccontò il ca o dal principio sino alla fine,
come era proce o. Ed allora conos endo il re il succes o d Ila
cosa, con molte lagrime e singulti strettam nte abbracciò la
moglie ed i cari figliuoli. E l acqua che balla, il pomo che
canta e l' ugel bel verde, lasciati in abbandono in un punto
in ieme disparvero. E ·enuto il giorno eguente, il re comandò
che in mezz della piazza fu e un grandi imo fuoco acce o;
indi ordinò che la madre e le due orelle e la comare in pre-
enza di tutto il po olo fu sero enza ompas ione alcuna ab-
brugginte. Ed il re poi con la cara moglie e con gli amorevoli
figliuoli lungo tempo vi se; e maritata la figliuola onoreYol-
mente, la ci li figliuoli del regno uni hi redi. -
F:\V LA IV .

• • t:rino, fi lìu l dì Gallest' re di Portogallo, innamorato di Genobhi·1


moglie di maestro Raimondo Brunello fisico, ottiene l'amort: uo, ed
in Port allo la conduce; e ma ~tro Raimondo eli cordo lione muore.

(I ABELLA:]

ono molti, dilettevoli donne, i quali per a re re lungo


cempo dato opera al tudio deJJe buone lett re, i pen ano m lte
o sapere, e poi o nulla o po o anno. E mentre que ti tali
c redon i ignare in front , a sé ste i cavano gli occhi: i come
avenne ad uno medico molto cienziato nell'arte ua; il quale,
per uadendo i di altrui uccellare, fu non enza ua grave danno
i nominio am nt uccellat : si come per la pre ente favola,
·h raccontar i int ndo , poterete pienamente comprender .
Galle e, re di Portogallo, ebbe un figliuolo, • erino per
nome chiamato; ed in tal maniera il fece nudrìre che egli,
.m a tanto c he non per eni e al de im'otta o anno della
ua eta, non pote se ved re donna alcuna, e non la madre
e la balia che lo n dri a a. enuto adunque erino alla eta
perfetta, determinò il re di mandarlo in tudio a Pado a, a ciò
he egli imparass le lettere latine, la lingua ed i o turni ita-
liani. E cosi com'egli d terminò, co ife e. ra e sendo il gio -
vane erino in Padova, ed avendo pre a amicizia di molti co -
lari che quotidianamente il corteggiavano avenn che tra questi
'era un medico che mae tro Raimondo Brunello fi ico i no-
mina a; e ovente ragionando tra loro diver e co e i mi ero,
m è u anza de' gi ani, a ragionare della bellezz d lle
donne: e chi iceva l'una e chi l'altra o a. Ma erin , perci
che per lo adietro non a eva eduta d nna alcuna eccetto la
madre e la balia sua animo amente diceva che per uo giu -
licio non i tro ava al m ndo donna che fu e piu bella, piu
. · OT TE Ql" \RT \

l ggiadra e pi u atti\ata che la madre sua . Ed es. endom.: ta te


a lui dimo trate molte , tutte com e carogne a com paraz io ne
della madre sua reputa\'a . Iae tro Raimo nd o, che aveva un a
moglie delle belle donne che mai la natura facesse, postasi la
gorgiera delle ciance , di e: - ignor · erino , io ho ,·ed uta
una donna di tal bellezza che quando voi la \'ede te. fo rse
non la riputare te meno anzi piu bella della madre \'O tra . -
cui ri pose erino ch'egli credere non lo poteva ch e ella
fos piu formo a della madre ua, ma che ben arrebbe pia-
cere di vederla . A cui di e maestro Raimondo:- Quando \'i
ia a grado di vederla , mi offeri co di mostrar ela. - Di
que t - ri po e rino , - ne arò molto contento, e vi ri-
marrò obligato.- Di e allora maestro Rai mondo: - Poi ' he
vi riace di vederla, verrete domattina nella chie a del domo ;
ché vi prometto che la ederete.- Ed andat sene a ca a,
di se alla morrlie: - Dimane le ati di letto per tempo, ed ac·
c nciati il capo, e fatti bella, e ve titi onorati simam ente , per-
ché io VOO'lio che tu adi n eli' ora d Ila me sa o lenne nel domo
ad udir l'ufficio. - Genobbia, cosi era il nome della moglie di
maestro Raimondo, non essendo usa di andare or quinci or
quindi ma la maggior parte si stava in casa a eu ere e rica-
mare molto di questo i maraYigli ; ma perciò che cosi egli
v leva d era il desiderio suo, ella co i fece: e si mi in punto
e concio i i fattamente, che non donna, anzi dea pare\·a.
Andata ne adunque Geno bia nel acro tempio , i co me
il marito le aveva imposto , •enne erino , figliuolo del re , in
chiesa; e veduta Genobbia , tra sé stes o bell i sima la O'iudicò.
Partita la bella Genobbia, opragiunse maestro Raimondo ; ed
accostato i a erino, di e: - r che vi pare di quella donna
che ora è partita di chie a? Par i che ella pati ca opJ osizione
alcuna? È ella piu bella della madre vo tra?- eramente
- di e 1 eri o, -che ella è b lla:
T la natura piu bella far
non la potrebbe. Ma ditemi, per corte ia , di cui è ella mo-
glie , e do e abita. - A cui maestr Raimondo non ri ose a
erso , perciò che dirglielo non oleva. Allora di se erin o:
- Mae tro Raimondo mio se voi non volet dirmi chi ella
F . YOLA Q C.\,, TA

ia e do,·e abita almen contenta emi di que to. che i0


un' l tra fiata Ja vegga. -Bene Yolontieri , - ri pose mae. tro
Raimondo; -dimane verrete qua in ch i a; ed io farò si che
c me oggi Ja vedr te.- Ed andato ne a ca a, maestro Rai-
m nd di e alla moglie:- enobbia, appar c h iati per domat-
tina , hé io ·ocrlio che tu vadi a me . a n l d mo; e e mai tu ti
festi bella e pomposamente Yesti ti, fa eh dimane il facci. -
en bbia <ii ci· , come prima. tavasi mara\'igliosa. 1a per ciò
h imp r tava il comandament del marito ella fece tanto
quanto per lui impo to le fu. Venuto il giorno , enobbia, ric-
camente v estita e vie pilt del solito ornata, in hie a e n'andò.
non stette molto che Nerino Yenne· il quale, veggendola
b lli ima , tanto d l lei amore se infiammò , quanto mai uomo
i lonna facess . d e endo giunto mae tro Raimondo , 1
ri no l pregò che egli dir li dove e hi era costei che i
hella a gli occhi suoi pareva. Ma fingendo mae tro Raimondo
di aver pre sa per ri p tto dell pratiche . u , nulla allor a dir
gli ,·olse; ma la ciato il giovane cuocer i neJ suo unto, lieta-
m nt si parti. La nde Neri no , alquanto d'ira acceso per lo
poco conto eh mae tro Raimondo ave a mostrato far i di lui,
tra te~. o diss : - 1 u non vuoi he io appi chi ella ia
dove abiti; ed io lo apr a tuo mal crrado. -Ed u cito dalla
hie a, tant a pettò, eh la bella donna an or usci dalla chiesa
fu ori ; e fa ttale ri erenza, con modesto modo e volto allegro
si o a ca a l'accompagnò .
Avendo adunque eri no chiar mente compr ~ la a a do ve
Ile abit va. cominciò vagh ggiarJa; né sar bb pas ato m
gi rno , h'egli non fu e dieci v lte passato dinanzi la ca a
u ... E de iderand di parlar con lei, andava imaginand che
via egli 1 te e tene re per la quale l onor d lla d nna ri ma-
n es e salvo, ed egli ottene e l 'intento u . Ed avendo pen-
sato e rip n at , n' trovando alcun rem clio che s~l ifero li
fu se, pur tanto fan tasticò, che gli v nne fatt di aver 1 ami-
cizia d'una vecchiarella, la quale aveva la ua casa all' in-
contro di quella di eno bia. E fattile erti presentuzzi. e
onfermata la tretta micizia, secretamente se ne anda\'a in
ca a ua. , ve,·a la ca a di que ta ,-ecchia rella una fine tra la
quale guardava nella sala della ca a d i Genobbia: e pt:.r quella
a uo · e ll'agio p te'\.a v derla andare su e giù per ca!'>a; ma
non voleva scoprir i per non darle materia di non lasciar i
piu veder . tand adunque erino ogm f;Ìorno in questo
ecreto vaghegbriamento, né potendo re i tere all'ard ente fiamma
che gli abbrusciava il cuore, d el iberò tra se . tesso di crin·rle
una lettera e gittargliela in casa a tempo che gli pare e che
il marito in casa non fusse. E co i gliela gittò. E questo egli
più volte fece. la Genobbia, enza altrimenti legger la, né
altro pensando, la gittava nel fuoco, e l abbru ciava. E quan -
tunque ella avesse tal efl-etto fatto pìu fiate, pur una volta le
1 a r e d'aprìrglìene una e ved re quell c he dentro si conte-
neva. E apertala , e veduto come il crittore era erino, figliuolo
del re di Portogallo, di lei fi ramente innamorato, tette a l-
quanto opra di é; ma poi con iderando alla rnala v ita che
il marito suo le dava fece buon anim . e cor 1inciò far buona
ciera a erino; e dato un buon ordine, lo introdu e in casa.
E d il gio ane le raccontò il omrno amore che egli le por-
t· va, ed i torm n ti che r er lei obn' ora enti va e parimenti
il modo come si fusse di lei innamorato. Ed ella, che bella,
piacevole e pietosa er a, il uo amore non gli negò .
E sendo adunque ambeduo d'un reci1 roco amore congiunti,
e stando negli amorosi ragionamenti , ecco maestro Raimondo
picchiare all'usci . Il che G nobbia entendo, fece enno
coricar i pra il letto e, t e le cortine , ivi dimorare sino
a tanto che il marito i partisse. Entrato il marito in casa, e
prese alcune ue cosette, senza av dersene di cosa alcuna, si
parti. Ed altresì fece Nerino. enuto H g iorno equente , ed
e sendo Ierino in piazza a pa seggiare, per a entura pa ò
mae tro Raimondo: a cui erino fece d i c nno che gli voleva
parlar ; d accostato i a lui, li disse: - Mes er , non vi ho io da
dire una buona novella?- E che?- di e maestro Raimond o.
on so io, - dis e N rino, - la casa di quella bellissima
madonna? E non on io stato in piac voli ragionamenti con
e so lei? e perciò che il uo marito venne a a a , ella mi
F.\ \"OL. QU. RTA 193

a co e nel let o , e tir le cortine, acci che egli v dermi non


pote . e tbito i p rti . - is e mae tro Raimondo . - È pos-
i il que to? - Ri po e . 'erino:- Po ibil è, ed è il \'ero; né
mai vidi la più fe tevole, né la piu graziata donna di lei: se
per ca , me re mio voi andaste a lei fate eh mi rac o-
m n ate, pre andola che la mi conser i nella ua uona gra-
.da. - . ' ti mae tro Raimon lo promesse di farlo; e di mal a
·oglia da lui i parti. . 1a prima di a eri no: - Gli tor-
narete piu?- .\ cui ri po e erino: - Pen atel oi. - 1-<~ù
andatosene maestro Raimondo a casa, n n ol e dir o a al-
una della moglie, ma a pettare il tempo di ritrovarli in ieme.
renuto il giorno equente, N rino a enobbia ri ornò · e
mentr tavano in amoro i piaceri e dilette oli ragionamenti ,
Ye ne a casa il marito. Ma lla subit na ose erino in una
ca sa, a rimpetto della quale po e molte r bbe he ella sbor-
rava acciò che non si tarma ino. Il marito, fingendo di c r-
care certe ue cose g ittò ottosopra tutta la casa, e guatò in
nel lett ; nulla tr ando, on piu ripa ato animo i parti ,
all su pratiche e n 'andò. E erino parimenti i parti.
E ritrovato mae tro Raimondo, gli di se:- ignor do tore ,
no ono io ritornato da quella gentildonna? e la in idio a
fortuna mi ha disconzo o ni piacere; p rciò che il lei marit
. opragiun. e e di turbò il tutto.- E come facesti? - di
mae tro Raimondo . - lla, - ri pose erino , - aperse una
a sa e mi puo e dentro ; rimpetto della ca sa puose moJte
ve timenta che ella governava hé n n i tarma in . E egli
il letto otto opra olgendo e rivolg ndo, nulla trovand ,
i 1 arti. -Quanto quest co a tormento a fu se a maestr
Raimondo , pen ar il pu chiunque ha provato amore.
A ve a erino a enobbia dona t un bello prezioso dia-
mante il quale dentro la ligatura nell'or a a colpito il
capo e nome uo ; e venuto il iorno, ed es endo mae tr
aimondo andato alle sue pratiche. rin o fu alla donna 111
a a introdotto: tando con e so lei in piaceri e grati ragio -
namenti, ec o il marito cb ritorna a asa. Ma Gen bbia, cat-
tiyelJa. aveggend i della venuta ua , immantinent aper e un

(;, F . STRAP ROLA , Le piacevoli 110lfl.


. TT ·. RT.\

crigno ande he era n lla ua c mera. e dentro lo nascose.


E mae tro Raimondo, entr at in a a, fingendo di cercar certe
ue o e, rivol e la camera otto opra: e nulla trovando, né
in letto, né nelle cas e, come balordito, prese il fuoco: ed a
tutti i quattr c ntoni della c mera lo pose con t.letermin t
nimo di ab ru i· re la cam ra e tutto ciò che in quella 1
co nt ne ·, . Già i arieti e l tra amenta cominciavan ardcrt:,
quando Gen bbia, •oltatru:i contra il marito, i e:- hL 'uol
dir que to, marit mi ? iete for e v i di ·entat pazzo? ~e pur
v i v lete abbru ciare la ca , bru ciatela a ostro piacere :
ma in fede mia non a brusciarete quel cri n dove ono le
critture che appartengono alla dot mia; - e fatti chiamare
quattro a lenti bastagi , gli fe e traere di a lo crigno e po-
n rlo in casa della ricina v c hiarella; e elatamente lo apri ,
che niuno e n'avid , ritorno ene a casa . L ' insen ato ma -
tro Raimondo sta a pur a edere e u civa fuori lcuno che
non gli piaces e: ma nulla d a, non l' in opportabile
fumo ed ar ente fuo o che la ca a abbru eia a. Erano gia
concor i i icini p r e tinguere il fuoco; tanto i operorono ,
che finalmente io p en ro.
Il g iorno equente erino, andando verso il Prato dalla
ya Jle , in maestro Raimond si abbatté; e aiutatolo, di e:
- Mae tro mio, n n vi ho io da ra contare una co a che
m lto i piacer: ? - E he? - risp e ma stro Raimondo. - Io
di s erino, - ho fu gito il piu paventevole pericolo che mai
fuggisse uomo che porti ita . . ndai a , da quella gentil
m donn ; e dimorando con e so l i in piace oli ragionamenti,
· pragiunse il suo marito: il qu le , dopo eh ebbe rivoltata la
ca a sotto opra, acce e il fuoc , e poselo in tutti i quattr .an-
toni della amer , ed ab ru ciò ci he era in camera. - E
vo i - di se aestr Raimondo - dov era ate? - Io - ri-
pose eri n , - era a co nel crigno che ella fuori di ca a
mandò. - Il che mae tro Raimond intendendo, on cencio
ci che egli ra contava ssere il ero da dolore e pa sione
si enti morir ; ma pur non o ava coprir i, p rciò che de-
si lera a di vederlo nel fatto. E di egli : - ignor erino, vi
A\' L. Qt;ARTA

ritorn rete oi ma1 iu. -A cu1 n p e erino: - , vendo


ampato il fu co, di he più temenz debbo io avere? -
r me i da ca n t qu ti ra ionamenti, ma tro Raimondo
pr rin che di d'andare il gi rno guente a
de il olontieri l'in ito.
cri rno uente mae tr aim ndo invitò tutti
u parenti ed i nti d Ila mo li d apparecchiò un
p e u erbo randio : n n o-ià nella c a che era mezza
iata, m altro e; e comand alla moglie che ancor ella
e: ma che non doves e der a m n a, m che te e
na co ta e preparas e quello che fac va me ti ri. Raunati
tutti i parenti d il iovane erino furono p ti a
· e mae tro Raimondo co n la sua maccarone ca s ienz
c r di inebriare rino p r poter poi fare il parer uo .
L a nd avendoli piu volte pòrt maestro aimondo il bicchiere
pieno di mal atico vin ed a endolo erino m olta b -
ut di e mae tro R aimondo : - Deh si nor erino, raccon-
tate un po a que ti tri una q ualch n velluzza d
ri er . - Il po ero g1 nno, non apendo che enob-
bia fu mo lie di m e tro aimondo cominci
l i t ri a: ri er ando erò il nome di eia cun . enne che
un er ente andò in camera do e Genobbia dimorava, e di -
.el : - Mad nna, e i fo te in un cantone na co ta, oi sen-
tire te raccontare la iu bella novella che mai udiste alla ita
o tra; venete, vi pre o . - Ed andatasen m un antone, o-
nobb che la voce er di erino suo amante, che l' istoria
li raccontava, a l i pert ne a. E la donna prud nt e
ia tol e il diamante eh erino donato li ave a, e pose!
m un tazz d'argent piena 'una delicata be nda, e di
al rvente: - Prendi que ta tazza, e recala a rino , e di li
che e li la be a, ché poi me li ragion ra. - Il er ent , pr a
la tazza, ortolla alla men ; e olendo rino re. dis il
ervente: -Pigliate qu ta tazza, ignor , ché poi meglio ra-
gi narete. - Ed egli, r a la tazza b v· tutto il ino ; e ve-
duto cono ciuto il diamante che vi ra dentro, lo la ciò
andar in boe a; e fingendo di nettarsi la bocca, lo tra · e fuori
196 ..."OTTE QU. RTA

se lo m1 e in ito. Ed ac orto i ~ ·erino che la bella donna


i cui ragionaya era moglie di ma tro Raimondo. più oltre
a are non volse· e timolato da maestro Raimondo e dai
parenti che l' istoria cominciata egui e, egli rispose:- Eh SI,
eh i ! antò il gallo, e ubito fu di; dal sonno ri vegliato,
altro piu non udi. - ue to u endo i parenti di mae tro Rai-
mondo, e prima credendo che tutt quello che erino gli aY<·\ a
detto della mogli e er vero, trattoron l'uno e l'altro da
grandi imi embriachi.
opo alquanti P"ÌOrni 1erino tro rò mae tro Raimondo : e
fingendo di non apere che egli fu se marito di Genobbia,
dis egli eh fra due giorni era per partir i , perciò che il padre
critto gli aveva che al tutto tornas e nel uo reame. Mae tr
Raimondo li ri pos che fu se il ben andato. erino, me o
ecreto ordine con G nobbia, con lei se ne fuggi; ed in Por-
toO'allo la tra feri, dove con somma a llegr zza longamente vi -
ero. E mae tro Raimondo, andatosene a casa e non trovata
la moglie, fra pochi giorni di perato e ne mori.-
FAV LA
Flamminio Veraldo i parte da stia, e Ya cercando la morte; non la
tro ando, nella vita 'incontra: la qual gli fa vedere la paura e pro-
vare la mort .

[LI ORA:)

- on m !ti che con ogni loro tudio e dili enza atten-


t~ mente vann ercando alcune co e, le quai, dopo che tro-
ate le h a nno , non vorrebbero a erle tro ate: anzi, i come
il emonio l'acqua anta, le fuggono a piu potere. Il che
a enne a Flamminio; il quale, cercando la morte, trovò la
·ila che gli fe edere la paura e la morte pro are: s1 come
er la presente fav la I oterete intendere.
Jn O tia, citta antica, non molto lontana da Roma, i come
tr volgari i ragiona, fu gia un giovane, piu tosto empl ice
e v gabond che tabile ed accorto; e Flamminio Veraldo era
r n me chiamato. Co tui piu e piu volte ave a inteso che
nel mondo non era c sa alcuna piu terribile e piu paventosa
dell'oscura ed inevitabile morte· pet-ci che ella, n n a endo
ri petto ad alcun p ver o ricco che egli si sia, a niun
perdona. Laonde, pieno di mara iglia, tra é tesso determin
l tutto di trovare e v dere che co a è quello che da' mortali
morte s'addimanda. E addobbato i di gros i panni, e pre o
un ba tone d ' un f rte ornio bene afferrato in mano, da tia
i p rti. vendo gia Flamminio molte miglia camminato, giunse
ad una trada, nel cui mezzo vide un calzolaio in una bottega
che alz ri e uosa faceva. Il qual e, u ntun ue 6randi ima
quantita di fatti ne a es e, pur in farne degli altri tutta ia
s'affaticava . Flamminio , acco tatosi a lui, di se:- Iddio vi
~ al ri, mae tro. - cui il calzolaio:- iate il ben \'Cnuto,
figli uol mio. - cui Flamminio replic odo di se: - E che
19 - " OTTE Q RTA

fate v i? - Io laY ro - ri po, e il cal zolai o,- e stento 11er


n o n t ntare ; e pur io st n to e m ' affati co per fa r de' t alzari . -
Dis e Flamminio: - E per far che? voi tanti n 'avete: ed a
e h farne pi u ? - cui ri po e il c. lz la io : - Per portar li,
p e r enderne p r tentam ento e di me e della mia famig-lia
ed ac iò he, quando arò ecchio , mi possi sovenire del
danaro gu dag nato. - E poi - d isse Flammi n io, - he . an\ ?
- , i ori re, - ri po il ca lzo laio . - . l ori re? - replican do di, se
Flamminio. - i, - ri p o e il ca lzol aio . - mae ·tro mio.
- di a llora Flamminio, - mi a preste voi dire che co a è
q ue ta morte? - In vero no , - ri po e il calzola io . - L ' ave e
voi g iatnai duta? - di se Flamminio . - lo né la idi né
ederla n é pr varla mai vorrei; ché dice i da tutti ug ualmente
he lla è una trana pa ento a be tia. -Allora d is e Flam-
minio : - Me la apere te voi alm eno in egnare o dirmi do ve
ella si trovi? perciò che o-i orno e notte 1 er m n ti , per vali i .
per tagni la vo cercando, e n velia alcuna di lei non· po
p r entire. - ui rispo e il calzolai : - Io non so dove la
stia né dove ella i tr i , né come fatta ia; ma andatev ne
più innanzi, eh · forse la trovarete. -
Tolta dunque licenza lamminio e partitosi dal alzolaio ,
ando s ne piu oltr d ve trovò un folt ed ombroso bos
ed entra tovi dentro vide un contadino che a eva tagliate molte
l gna da bru ciare, ed a piu potere ne andava tagliando . E
aiutato i l uno e l altro , di Flamminio : - Fratello, eh
vu i far tu di tanta legna? - A cui il conta in ri p e : - [o
J'appar cchio per fare del fuoco que t verno, quando aranno
l ne i, i ghiac i e il bruma malvagio , a ci che io po a
caldar e m e li miei figliuoli , e lo , oprabbondant end r
p r comprare pane ino, vestirnenti d altre co e oece a i
p r lo iv r q uotidian o , e co i pa are la ita no tra ino alla
m rt . - eh, r lamminio, - mi apereste
m e nare dove i trovi que ta morte? - ertamente no - ri -
spo e il contadino ; - per iò che io non la idi mai, né s
do e ella dimori . lo stanzio in qu sto b co tutto il giorn o,
ed attendo allo ercizio mio, poch is ime persone pa ano
F.\ VOL. t,JUL "TA 1 119

per que ti luoghi e man o ne conosco.- Ma come potrò far


io a tro 'aria?- di se Flamminio. A cui il contadino rispose:
- Io non ve lo saprei dire, né meno in egnare; ma camm inate
più innanzi, ché for e in lei vi incappar te.-
E tolta licenza dal contadino, si parti; e tanto camminò,
che iunse ad uno luogo dove era un sarto, he aveva molte
robbe u per le tanghe d uno fonda o di varie e bellissime
e ti menta pieno. A cui disse Flamminio:- Iddio sia con voi,
mae tro mio. - A cui lo sarto: - E con oi sia ancora.- E
che fate oi - dis e Flamminio , - di si b Jle e ri che robbe
e si onorate Yestimenta? ono tutte ostre? - cui ri po e il
mae tro : - Al une sono mie, alcune di mercatanti, alcune di
signori ed alcune di diver e persone. - ~ he ne fanno di
tante?- di e il gio ane. A cui lo arto risp se:- Le usano ne'
diver si tempi; - e mo trando liene diceva:- Queste lo state,
quelle lo verno, quest'altre da mezzo tempo, e quando l ' una
e quando l'altra i e teno. - E p i che fanno?- disse Flam-
minio. - E poi - ri pose lo arto,- anno co i scorrendo
sino alla morte. -Sentendo nominare Flamminio la morte,
disse: - dolce mio maestro, mi sap reste voi dire do e si
tr vi questa mort ? - Ri p se lo arto, quasi d' ira acce o e
tutto turbato : - O firrJiuolo mio , oi andate addimandando le
trane ose . T non e l so dire né in egnare, dove si trovi ;
né di lei giamai pur pen , e chiunque me ne ragiona di
lei, grandemente mi offende; per ragioniamo d'altro, o par-
tite i di qua, ché io ono nemi de tai ragionamenti.- E
preso ommiato da lui, si parti.
veva gia cor o Flamminio molti paesi, quando aggiunse
ad uno luogo deserto e solitario, dove trovò un eremita con
la barba quallida, e dagli anni e dal digiuno tutto attenuato ,
a eva la mente ol alla contemplazione; e p ensò che egli
nel vero osse la morte. cu1 lamminio disse: -Voi iate
il ben tro ato, padre anto. - voi il ben venu o, mio
figliuolo,- ri pose lo eremita. - padre mio -di se Flam-
minio, - e che fa e voi in que to alpestre ed inabitabile luogo,
privo d'ogni diletto e d'o ni consorzjo umano?- Io mi sto
2 o TTE L'ARTA

- ri p e l eremita,- in razioni , in digiu ni . in cont~m pl a -


zi ni. - E per fc r che?- lammin io. - h , perché,
fi liu lo mi ? er ervir i e macerar que ta misen
c rne - disse l'eremita,- far penitenza di tante offese fatte
all' tern e immortal Iddio e l vero figli uolo di .1aria: c
nalt ente 1 er al ar que t'anima peccatrice, acciò che, quando
· rni il temp della morte mia, io glie la renda monda d'ogni
d if tto, e nel tremendo giorn del iudizio, per gr zia del mio
redent r , non per meriti miei, mi faccia de n dell felice
e tri nfante patria, ed ivi rr da i beni ita et rn a: alla
quale Iddio tutti i conduchi. - dolce padre mio, ditemi un
p co, - di e Flamminio - e non 'è a noia: eh cosa è
que ta m rte, e c m è fatta ella? - cui lo anto padre: -O
figliuol m i , n n ti cur r di a perl perciò eh ella è una
t rri ile pa ento a c a, e 'addimanda da' sapienti ultimo
t rmine d ' d !ori, tri tezza d i felici d iderio dei mi eri ,
fine str modelle se mondane. Ell i ide l arnie d Il amico,
scpar il padre dal figliuolo ed il fi gi i wl o dal padre ; spartì ce
le ma re dall a figliuola e la figliu la d alla madre, s ioglie il
incolo matrimoniale ed al fine disgiunO'e l'anim dal corpo; e
il corp ci lto dall' a nima non può piu operare ma vi ne si pu-
trido e i puzzolente, che tutti l'abband nano com cosa abbo -
min vole il fuggon vetela mai \'ed uta voi, padr ? - dis e
Flamminio.- Ma di no , - ri po e l remita . - Ma com
potrò io fare derla? - d i e Flamminio. - a e oi de-
i erate, figliuolo m io - di e lo r mita, - di trovarla , an-
dat ene piu ltr , ché oi la tro ar te; pe-ci che l'uomo,
uan t piu in qu to m ndo cammina, tanto piu 'avicina a
lei. - Il gio ane, ringraziat ch' be il anto padre tolta
la sua benedizione, si parti.
Continovando adunque Flamminio il uo ia ·i , trapassò
molte prof nde valli as o montagne ed ino p'ti bo chi, e-
dendo ari e p ent i animali, dimandando a eia cuno 'egli
ra la morte. cui tutti risponde rano, non e ser lei. Or
avendo cor o molti pae ·i e edut molte trane co e, fi nal-
mente gi n e ad una montagna di non picciola altezza;
F ' L. \!LI · lA 201

uella trapa · ta di ce e ili in una o cura profondi ima


all , hiu a di lte otte dove vide una trana e mostruo a
fi r' , la q ale con i suoi i i f cev rimbombare tutta quella
v lle. cu1 Flammini di se: - Chi ei tu? la, are ti mai
tu la morte? - cui la fiera ri p e: - l o non sono la morte.
ma egui il tuo cammino, hé t t tr verai. - dita Flan -
minio la le iderata ri po ·ta. mol t 'alle gr .
Era gia il mLerello, per la lung fatica duro trazio per
lm o tenuto ·t n o e emi m rto, quando come desperato
giun e ad un ampia pazio a campag-na; ed a ce un dilet-
t le e fi rito pogge to, n n molt minent , e remira nù
or c1uinci or quindi, ide le mura ltis ime di una elli ima
citta che non era molto lontan : e p sto. i a ·amminare on
frettalo o pa so, nel brunire d Ila era ad una delle porte
pervenne, la qu. le era adornata di fini simi bianchi marmi.
Ed entratovi d ntr , on licenza per del portinaio, nella
prit 1a p r ona ch'egli 'abbatté, 'incapp in una ve chiarella
molto antica e piena di ~rand'anni, di v lto quallida; ed ra
i macilenta e macra che per la ua. macr zza tutt l o Sél
d una ad una i arebbono p tute a nn verare. Costei a ' L \·a
la fronte rugosa, gli occhi bi hi, lagrimosi e ros ·i he la
poq ora s migliavan , le guanze cr pe, le labbra riv rsat ,
l m ni a pere e callo e, il capo e la per ona tutta tremant
a n ar suo cur di panni gro i e bruni addobbat . Oltr
ciò ella tene a dal lato manco una affihta spada nella de tra
mano un grosso ba tone, n ll'estremita del quale eravi una
punta di ferr fatta in vece ( r) d un trim nin , opra del qual
alle volte i ri1 osava . .. ppre s que t , ella aveva dietr le
·palle una o-randis ima bolgia nella quale ri er ·ava ampoll
va. etti ed , l barelli tutti pieni di ari liquori un u n ti, em-
iastri, a di ersi accidenti appropriati . Veduta ch'ebbe lam-
mmiO qu ·ecchia di en e ù tta imagino i che Ila
fo e la morte che egli cercando andava; ed acco tato i a lei,
disse: - madre mia, Iddio vi con er i. - . cui con chioccia
voce la ecchiarella rispose: -Ancora te, fio-liuolo mio, Iddio
. alvi e mantenga.- Sare te voi per a entura la morte, madre
2 2 _'OTTE QU. RT.\

mia?-- di e Flamminio. - . 'o,- rispose la vecchia ella. -


nzt 10 on la vita. E sappi che io mi trovo a\·er qua dentro
in que ta bol ia c he io porto dietro le . palle. certi liquori ed
unzìoni, che, er gran piaga che l ' uomo abbi nella persona.
con amoreYolezza la risano e sald , e per gran doglia
h 'egli 1 arim nti i senta, in picciol spazio d'ora levoli ogn i
dolore . - Dìs allora Flamminio:- dolce madr mia, mi
apre te voi in egnare dove ella si trovi? - E chi ei tu che
cosi instant mente mi dima ndi? - di e la cchiarella. A cui
Flamminio rispose: - l o sono un gi ovanetto che gia sono
passati molti giorni, m e i, a nni che la vo cer ando: né mai
ho potut trovare per ona in luog alcuno, che me l 'ab ia
saputa in egnare. Laonde , e vo1 iete quella , ditem lo per
corte ia · perciò che a sai desidero e di ederla e di provarla.
acciò che io appia e ella è co i difforme e paventosa, siccome
da ciascuno è tenuta. - La vecchiarella, udendo la ciocchezza
ciel gio ·ine, di segli : - Quando ti aggrada, figliuolo mio fa-
rottila der quant ella è brutta: e quanto pavento a, an-
ora pro are. - cui Flamminio: - madre mia, non mi
te nete più a bada; omai fate che io la ggia. - La vec hi a-
r Ila per comJ iac rgli lo fece ignudo spogliare. Mentre che
il g iovanetto i spoglia a, e lla certi uoi empiastri, a diverse
infer mita oppurtuni, incorporò· e preparato il tutto, disse-
gli: - Chinati giù, figliuolo mio. -Ed egli ubidiente s'in -
chi nò. - Piega la te·ta hiudì gli echi , - di e la vecchia;
1
o i fece. é a1 pena aveva fornito di dir , che prese la
coltella che dal lato teneva, d in un colpo il cap gli piccò
dal busto. opo , pre a immantinente la testa, e pos .ala sopra
il busto l' impia tracciò di quegli empia tri che preparati aveva ,
e con agevolezza il ri anò. 1a come il fatto anda se , dir non
: o che fu s p r la pre tezza della maestra in ritornar il
ap al b "t , p r ·l é eli tutam t il fac e , l· parte
d ella t sta po teriore mi e nell'ant riore. Onde Flamminio ,
guatandosi l palle le reni e le gro se natiche e colpite
in fuori che per addietro vedute n n aveva, in tanto tremore
e pavento puose, che non tro axa luo o dove na cond re
FAVOLA QtiJNTA 203

sì pote e; e con doloro a e tremante voce diceva alla \'ec-


chia: - Ohimè. madre mia , ritornatemi come era prima; rit or-
n atemi per lo amor e d ' Iddio, perciò che io non ,·idi mai co a
più difforme n é piu pavento a di qu ta! De h! removetemi,
vi prego, da questa mi eria nella quale inviluppato mi veggio.
D eh! piu non tardate , dolce madre mia , porgetemi soccorso.
h ' agevolmente porgere me lo potete ! - La vecchiarella astuta
taceva, fina-endo tuttavia di non es er i aveduta del commes. o
fallo , e lasciavalo ramaricarsi e cuocersi nel suo unto . Fina! -
mente, avendo! co i tenuto per spazio di ore , volendoli
remediare, da capo il fece inchinare; e messa mano alla ta-
gliente spada , la te ta gli troncò dal bu to. Dopo , presa la
te ta in mano, ed accostatala al busto ed unta con suoi em-
piastri, nel primo uo esser ritornare il fece. Il giovane , \'e-
d ndosi ridotto nel pristino suo stato, de' uoi panni si ri Y sti;
ed avendo veduta la paura, e per e perienza provato quanto
hrutta e pa entosa era la morte, senza altro commiato pr n-
dere dalla vecchiareHa, per la piu breve ed ispedita via eh ' errli
ppe e puote, a d O tia se ·ne ritornò : cercando per lo innanzi
la ita e fugg ndo la morte, dandosi a mig liori tudi di quello
he per lo adietro fatto a eva. -

I L F I E DE LA QUARTA OTTE.
O T Q I TA

Il sole bell zza el ridente ci lo, misura del olubil tempo


e vero occhio del mondo, da cui la cornuta luna ed gni stella
rice e il suo splendore, ggimai a e a na osi i rubicondi ed
ard nti r aggi nelle marine onde, e la fredda figliuola di Latona,
la ri plendenti chiare stelle intorniata, Qia illuminava le folte
ten bre della buia notte , ed i pa tori, la ciate le spazio e ed
ampie ampagne e le brinose erbette e le fred de e limpid'acq u
si eran con il lor gregge tornati agli uoi usati casamenti ,
la i e stanchi dalle fatiche del giorno opra i molli e teneri
g iunchi profondamente dormi a no , quando la bella ed onore ~
ol compagnia, p st iu ogni altro pensier , c n frezzolo o
pa o al c nei tori i ridu e. E fatto motto alla i nora h
tutti gia eran raun ati, e tempo era ornai di ridur i a favoleg~
giare, la ign ra, dalle altre donne onorati simamente accom~
1 agnata, tutta festevole e ridente , con lento e tardo pa nella
amera del ridotto si venne. E con lieto i o l' amiche o l
, mpagnia grazios mente aiutata, si mise a sedere; indi co-
mandò he l 'aure va o le fusse recato: e po tovi dentro di
inq ue damigelle il nome, il primo ad Eritrea toc p er sort ;
l'al r ad Alteria fu de utato ; il terzo a Lauretta; il quarto ad
rianna c ne s il fato, ed a ateruzza l ultimo lu c diede
i l cielo per elezione. opo, al uono de ' oa i flauti con lento
passo i diedero tutti al caro! are; e po ci n. eh' ebb ro o n fe-
ste oli ed amorosi ragionamen ti carolato alquanto tre d lle
206

d mi elle, tJre a prima buona licenza dalla 1gnora. la pre ente


'a nzone a ement cant rono:

Quand Am r, donna, • d ra ad ora muo\ e


v l 'adr nobil
e
ne' quai mia vita e la mia m n prendo ,
a qu Ile vi t man u te nuo e
iun mi al uor un i a o p n. iero,
ch'or man. u t or fiero
con la ·peranza e van d ir c nt ndo;
e c i dol emente all r m' incendo
d'una peme i ferma e si icura.
he piu null'altra cura
mi può dall'uso mio far cangiar ·tat
nd rin razi il di natura il cielo.
eh p r mio divin fato
fui impiut d'un i dole zelo.

ap h le tr d nzell p e r fine all'amoro a canzon


h per o l 'a re rompea ignora fec cenn
d Eri trea , a ui p r orte a va toccato il primo luogo della
pre ente n tte, che a favole giare e in minci mento. La
uale, dendo di non pot r i i eu ar , per non tu r bare il gia
principiato rdine , me ·a da canto o ni perturbazione d 'animo ,
c i a dire in ominciò .
F \ L l.

uerrino, unico figliuolo di Filippo l ria re di Cicilia, libera un uomo


al ·atico dalla prigi ne dtl p dre; la tn'l re per temenn del re
manda il fi liuol in e . ilio. E lo al ati c uomo, fat o dom ..,tico,
libera uerrino da molti ed infiniti infortuni ~r).

- Fe tevoli e aziose donne, h ìnte o per fama ed n he


•edu o per i p rienza, un ben servire altrui, quantunque n n
si ricono ca la ersona a cui i serve, il piu delle volte ri n-
dare in randi imo benefi cio di colui che fidelmente ha servito.
II ch e a nne l figliuolo d un r · il quale avend liberato
un alvatico uomo dalla dura tretta pri ione del p dre , e li
piu olt da iolent m rte fu campato da lui: ome per
la presente fa ola, che raccontarvi intendo , age olmente in-
tenderete: essortando i amorevolmente tutte che nel servire
no n ogliat es er ritro e, perci che, e da olui he ha ri-
cevuto il er i i guidardonate non ar t , alm no Iddio, rimu-
nerat re del tutto, non las iani. le fatiche vo tre irremunerate,
anzi partecipera con esso voi la sua divina grazia.
icili , donne mie care, i c me a iascheduna di voi puoi
e er hiaro , è un la perfetta ed ubertosa, e per antichita
tutte le a ltre a nza; ed in a m lte citta ca tella
he molt più di qu llo he ella arebb , l' abbelliscono.
questa i ol ne' pa sati tempi era ign re re Filippo Mari a,
uom saggi amorev le e sin olar ; ed ave\ a per m gli una
d nna molto gentile, grazio bella, e di l i ebb un solo
fi liu l , uerrino per n me chiamato. Il r d ' an are alla
ccia ie piu che ogni ltr ignore i diletta a , perciò che
er r busto e f rte , e tal e er izi molt li con eni a. ra
a enne che ritro andosi in caccia con di er i suoi baroni e
acciatori, id uscire fu ri del folt b co un uomo al ratico
a ai grande grosso i difforme e brutto, che a tutti
20 . ·orr _ Q ·1. "'l" A

?"ran i ima ammirazione r ndeva , e di corporali ìorze <• d


alcuno non era inferiore. E mes osi in ordine il re con at.n suoi
baroni e dei migliori che ci avesse, animosamente l'affronto.
dopo lungo combattimento, 'alorosamente lo vinse: e preso
de sue mani e legato, al palazz lo condus5e; e trovata tanza
a lui convenevole e sicura, dentro lo mi e, e ben chiu o
con fortis ime chia i, rd inò che b n eu todito e atte o fu se.
E perché il re lo aveva ommamente caro, ·olse che le chiay i
rimane ino in e u. todia della reina; né era giorno che il r
per suo trastullo non l'anda.E e a vedere alla prigione. N <111
passorono molti giorni, che il re da capo i mise in punto per
andare alla caccia; ed apparecchiate quelle cose che in tal fa-
cenda fanno bi ogn on la nobile c mpagnia i parti: rac-
omandate però prima le chia i della prigione alla r ei nn .
.. entre che il re era alla caccia, enne gr n voglia a Gu er-
rin o, che gioYanetto era di edere l u m alvatico; d anda-
tosene solo con l 'arco di cui m lt i dil ettava, e con una
aetta in mano alla ferriata della prio-ione d ve abita a il mostr ,
lo id , e c n s o lui incominciò domesticamente ragionar .
E cosi ragi nando l'u mo sal ati c , che l'a carezzava e lo-
inga a , de trament la saetta, hc riccam nte era lavorata,
di mano li tol e. nd il fanciullo co min ·i· dirottamente a
pianger , né si poteva dalle lagrime astenere, chiedendogli
h e li do · se dare la ua saetta. 1a l'uomo .alvatico disse:
tu mi vuoi aprire e liberarmi di questa pr igione, io ti
r stituirò il tuo trai e; a ltrimenti, n n te lo renderò mai. (2 ) -
cui dis il fanciullo:- eh , come vuoi tu ch'io t'apri e
liberi, e io non ho il modo di liberarti?- Allora disse il saJ-
vatìco uomo: - Quand ti fusse in piacere di ciogliermi e
liber armi di questo angu to luogo, io bene t' insegnarei il modo
che to to liberare mi potre ti. - a ome?- ri pose Guerrino ;
- dammi il modo. - A cui di e il alvatico uomo· - Va dalla
r ina tua madre; e quando addormentata la derai nel me -
riggio destramente o-uata otto il guanciale opra il quale ella
riposa, e chetamente h ella non ti senta, furale le chiavi
della prigione, recale qui, ed aprimi: hé, aperto che tu mi
FA OL PRLL

• ·erm. subito ti re tituirò il tuo trale. E di questo .erYizio a


qualche empo forse ti potrò remeritare. - Guerrino , l>ramoso
i aYere lo uo dorato strale, pi · oltre, come fanc iullo , non
i pen ò: ma senza indugio alcuno c rse alla madre; e trova-
tala eh dolcemente ripo a a, pianamente le tols le chiavi.
e con quelle ne ritornò al sal atico uomo; e dissegli: -Ecco
le chi a i. e io qui nei ti scioglie, va tanto lontano che di te
piu odor alcuno non si senta; perciò che se il padre mio, ch'è
gran maestro di cacce, ti ritro as e e prendesse, agevolmente
uccider ti fareb e. - r on dubitar , figliuolo mio , - disse il sal-
\ ,\tico uomo - ché tanto to ch'ap rto avrai la prio-ione, he
disciolto mi eggia, io ti darò la tua aetta, e io me ne andrò
si l ntano , che mai piu né da tuo padre, né d'altrui sarò c-
col o. -Guerrino, che aveva le forze virili , tanto s'affaticò,
che finalmente aperse la prigione; e l'uomo alvatico, r e oli
la aet e rin graziatolo molto, si parti.
Era l uomo alvati o uno belli imo giovane, il quale, per
disp razione di non p ter acquistare l' amore di colei che co-
t nto ama a, lasciati gli amorosi pensieri e gli urbani solazzi,
si era po to tra le boscarecce belve, abitando l'ombrose s !ve
ed i folti boschi, mangiando l'erbe e bevendo l'acqua a gui ·a
di bestia. Laond il miserello ave a fatto il pelo gros issirno
e la cotica durissima e la barba folta e molto lunga; e per li
c ibi d erba la bar ba, il pelo ed i capelli erano i verdi dive-
nuti, che era co a m struosa a veder! o.
De tata la reina me a la mano sotto il guanciale per
prender le chiavi che sempre a lato tene a, e non trovandole,
mol to i maravi liò; e ravogliendo il letto otto sopra, e nulla
tro ando, come pazza alla prigione se n'andò , e trovandola
aperta e non v dendo l'uomo sal atico, da dolore si sentiva
morire; e scor ea iando per lo palazzo or quinci or quindi,
~drlimanda a or a que to r a quello chi era tat quel si
temerari ed arrogante, eh o-li aveva ba tato 1 animo di to-
gliere 1 chiavi della pri ~o n senza sua aputa. A cui nulla
sapere tutti risp ndevan . E incontrato i Guerrino n lla madre,
e \·edendola tutta di furore accesa, di se: - Madre mia, n n

C. F .. TRAPAROLA 1 Le j>ÙlUV O/i notti. l ~


2!0

incolpate ·eruno ddl'. perta pr i•rione, perciò che. s'alcuno me-


rita punizion al una, i on quello che dehho pa tire. 1~erch ·
io no stato l'apertore. - La reina. ciò udendn, molto m·1g -
g1 r 11 ntc e ne dol e, t me ndo che 'l re , venendo dalla c;tCl'i,1,
il figliu l p er d egn non uc ·id e: perciò <"he le chiavi a
lei uant la per on · propria ra com,mdatl :weva . Laonde la
reina, red ndo schifare uno picci lo errore, in un altro a s.t i
11a giore in ·or e; perciò che . enza metter indugio alcuno.
ch iamò duo uoi fideli imi erventi d il figliuolo; e dategli
infinite gioie , danari as ·ai. e a ·alli IJellis imi. il man lò alla
buona ·entura, pr ando cordiali . imam nt li . erventi che il
uo figliu lo racc mandat gli fu
ppena he ' l figliuolo era dalla madr partito. che il r
d lla caccia al palazzo ag iun e; e c iu del ca,·allo, sul it
n'and alla prigione p r edere l'u
aperta, e ·e uto che egli ra fuggito, · a tanto fu rore ,
che nell ' nimo suo al tutto propo di uccider lui eh di
cotal error era tat agione. E andatos n alla reina che in
·a m ra mes si tava, l addimandò chi era stato colu i i fac-
ciat , si arrogante e i temerari , che li abbia bastato il uore
d'aprir la prigione dar cau ·a che l uomo al ati co fu gi se.
La r ina con tr mante e debol voce ri pose: - .' n i tur-
bat , o re, ché Guerrino, com'egli c nf sato mi ha , di ciò
n ' è tato cag1one; - gli racc ntò tanto quant per uerrino
narr to l fu. Il eh il r intend nd , molt si ri enti. Poscia
la reina aggiunse eh per limor h' gli n n uccide e il
figliuolo, in lontane parti mandato l' eva. c eh era, c ompa-
nato da du fedelis imi ser enti arichi di gi ie e li danari
a ai per le loro bi ogna. l re, int ndendo qu to, doglia
s prad glia rebb , e nulla qua i mancò che non cade se in
t rra e n n eni e pazz ; e s n n fu sero stati i corteggiani
c he lo rit n r , ag ol nte alla dol rata moo-lie in quel pun to
la mort ata arrebb . Ritornato il pov ro re alquanto in é,
e p sto giu og·ni sfrenato furor , dis e alla reina : - donna,
che pen iero è tato il vostr in mandare in luoghi non cono-
• iuti il commune fìgliu lo? Crede ate oi for e che io face si
FAV I.. PRLIA 2 1[

1u nt un u m al atico, che delle pr pne carni ? -


E enz altra ri posta a pettare, comandò he molti soldati su-
m nta er a aYall , ed in quattro parti i divide sero.
i tr ·are lo pote\·ano. Ma
in ano he Gu rrino con gli er nti
• nda asi na co , n · d' l un i la ciava cono cere.
C vale nd adunque il buon uerrino con gli erventi u 1,
pa an valli, monti e fiumi, e dimorando ora in un luogo
d ra in uno a ltro , pervenne all'eta d i ed i anni; e tanto
ra beli , eh pare\·a una matutina ro a. r n tette guarì,
he enne un diabolico p n iero agli r nti di uccidere
errino prender le gioie ed i danari tra l ro dividerli.
1a il pen i r gli andò bu o, perciò h p r divino o-iudizi
n n i pot ro mai convemr m ieme. "\i nn che per sua buona
o rte pa sò allora un vag leggiadro gi anetto , c he era
. opra d'un su p rbo cavallo e pomposament rnato; ed inchi-
nato il capo, died un bel aiuto a uerrino, dicendo : -
a ntil ca alier , quando n n vi fos noia , io mi accompa-
crnerei v lontieri on v i. - cui uerrino rispo e: - La g n-
tilezza ' tra non permette che i ncu 1 i fatta compa nia:
nzi io vi ringrazio. e vi chi gg di grazia ezial che voi
vi dignate di mr con o n 1. iamo f ra ti ri, n·
sappiamo le strade, 01 p r ortesia stra ne le in egnar t :
co 1 a ·al ando, ragion remo insieme alcuno no tr acci-
ente o orso, d il viaggio ci ara men noios . - Que t
gi an tt era il alvatico uomo he fu da uernn della pri-
di r ilipp Maria cìolto. o tui, per ari paesi e
lu hi trani rr nd , fu per a entura eduto da una belli -
.ima f ta, ma inferma alquanto· la quale, av nd lo i diffi rme
brutto con iderat , ri e d Ila ua bruttura si fieramente, che
u a p tema vicina al cuore e le ruppe, che agevolm nte f-
focata l r e. in quel punt d tal infirmita, non altri -
menti che se per l'adietro male a uto n n a e, libera e
. alva rima e. La nd la bella fata in ric mpen amento di tant
beneficio ric •uto , n n olendo par r ingrata, i se: - h
uomo ra difform e sozz , e della mia de iderata sanita
212

a2'1one, va, per m ii fatto il più l ello. il più gentile.


il piu a io e grazios giovane ·he tro,·ar si possa: e di
tutta quella autorita e pot re che mi è dalh natura cnn-
e o, io ti fo partecipe, potend tu far e disfare ogni cosa
ad ogni tu piacere. - Ed appre.t:ntatogli un uperbo t.:
fatat caYallo, lo lic nziò che dove-se andare ovunque a
grado li pares e.
Cavalcando ad un u ,.uerrino co 'l ~·io va ett e non ·ono-
scendolo, ancor che egli conoscesse lui. finalmente per ·enne
ad una fortis ima citta, Irlanda hiamat ; la quale a quei tempi
Z ifroi re ignoreg<Yiava. Questo re Zifroi aveva due figliuole
vaghe di a petto g ntili di o turni, e di bellezza nere
avanzavano: l'una de ' quai Potenziana, l'altra Eleuteria i chia-
mava· ed erano i amae dal re , eh per l'altrui occhi on
vede a se non p ' loro. Pervenuto adunque Guerrino alla citta
d' Irlan a col giovan isconosciuto e on gli serventi, prese
l'allo giam nto di un o t , il piu fac to uomo che in Irland a
i tro a e; e da lui tutti fur t o onor lm nte trattati. enuto
il gi rno equente, il <YÌO a netto i c no iuta fin e di voler
partire e andar ene in altr parti; e 1 re e commiato da uer-
rino ringraziandolo molto della buona ompagn ia avuta d
lui. Ma Gu rrino, cb ramai gli a v 'a res amor , in ma-
niera alcuna non ole a he i parti s ; tanto l' accarezz .
h e i rimanere eco a con enti.
Tr a ansi nel territori irlande duo feroci pavento. i
animali: de quai l'uno era un cavallo salvatico e l'altro u 1a
avalla imilment . alvatica· ed erano di tanta ferocita c co-
ra<Y<Yio , eh non pur l olti,·ate ampagne affatto guastavano
di i avano, ma parim nti tutti gli animali e le umane ere -
tu re mi eramente uc id vano. Ed era q u l paese per la loro
f roci ' a tal condizion divenuto che non si trovava uomo
he · i a i ar v le e: anzi i propi pa an· a bandana ano i
loro poderi e le loro are abitazioni, e e ne andavano in alien·
pae i. .. non vi era uomo alcuno si pot nte e robusto , he
raffrontarli non che ucciderli ardi e. Laonde il re, vedendo
il pae e tutto nudo . i di vitto aria come di be tie e di creature
FAVOLA PRDL\ 213

umane, né sapendo a tal co a trovar rimedio alcuno, si


ramarica a molto, biastemando tuttavia la sua dura e malvagia
f rtuna. l duo er enti di Guerrino, che per strada non ave-
vano potuto adempire il loro fiero proponimento per non po -
tersi convenire insieme e per la enuta dell'incognito gìo a-
netto, s' imaginorono di far morire Guerrino, e rimaner signori
delle <Yioie e danari; e dissero tra loro: - ogliamo noi vedere
i potiamo in guisa alcuna dare la morte al nostro patrone? -
E non trovando modo né ia che gli odisfacesse perciò che
stavano in pericolo delia vita loro se l'uccide ano, s ' imagi-
norono di ragionar secretamente con l'oste, e raccontargli come
Guerrino suo patrone è uomo prode e valente, e 1 iu volte con
esso loro ·i aveva ·antato di poter uccidere quel ca allo sal-
atico senza danno di alcuno . - E questa cosa agevolmente
potni venire alle orecchie del r e; quale, bramoso della morte
de o-li duo animali e della alute di tutt il suo territorio fara
venire a sé Guerrino, e vorra intendere il modo che si ha a
t nere; ed egli non sapendo che fare né che dire, faci lm ente
lo fara morire , e noi delle gioie danari saremo possessori. -
~i come deliberato avevano, cosi fecero. L ' oste, inteso questo ,
fu il piu allegro ed il piu contento uomo che mai la natura
creasse; e senza metter e intervallo dì tempo, corse al palazzo;
e fatta la debita ri erenza con le ginocchia in terra, secreta-
mente li disse: - aera Corona, sappiate che nel mio o tello
ora i tro ' t un vago ed errante cavaliere, il quale per nome
Guerrino si chiama; e confavolando io con gli serventi suoi
di molte cose, mi dissero, tra le altre, come il loro patrone
ra uomo famoso in prodezza e valente con le arme in mano,
e che a' giorni nostri non si trovava un altro che fusse pare
a lui, e piu e piu volte si aveva vantato di esser e si potente
e forte, che atterrarebbe il cavallo salvatico che nel territorio
o tro è di tanto danno cagione. -Il che intendendo, Zifroi re
immantinente comandò che a sé lo facesse venire . L'oste, ubi-
dientissimo al uo signore, ritornò al suo ostello e disse a
Guerrino che solo al re dov sse andare, perciò che egli eco
.desiderava parlare.
21-f • ·orrE Qel • . TA

uerrim . que. tn intendendo, alla presenz;t del re · 1 appr ~: ­


ent ; e fattagli la convene ole r iverenza. gli .tddimandò qu l
e r a la au a che egli dimandato l a ·e\·a. cui Zifroi n .: dis.~ e:
- .rue rrino, la cagione che mi ha co. tretto farti q ui venire.
he i ho inte o che . ei val r ca ·ali t re. né h.li un altro
pare al m n o, piu v lte hai dt::t o la tua fortezz,t es. er tal e .
·h enza ~ n ione tua di altrui d mare ·ti il ca ·allo r he
c 1 m1 rahilmente di trugge dis ipa i l recrn mio. St::
da il eu r i pren er e tal g lorio a impre a qual' è que ta. e
"inc rl . io ti prometto opra questa te ta di fa rti un do ne ,
che p r tutto il t mpo d e ll a vita tua rimarrai ontent . - uer-
rino intesa l'alta propo ta del r molt i maravigliò: negando
tutta ia aver m i dette otali parole che g li erano impo tt.
Il re della ri posta di uerrin o molt i turbò; adi rato al -
qu a nto, dis oglio, Gu e rrino eh al tutto prend i qu ta
impre a ; e tu arai contrario al voler mio, p n. a di riman er
privo di vita.-
uernn dal re rit rnato ali ' o t Il , m lto ad d n-
né ar di va la pas ione d l cuor uo se prire.
1scon iuto, dend l c ntra i l c n uet u
i malincon o tare dolcement gli addimandò, qual ra la
agione eh i mesto ed addolorato il vedeva . d gli, per
lo fr at llevol amor e h g li porta a non potend gli n gare
l'onesta e g iusta di manda li raccont o rdinatament ciò
o-li r a a enuto. fl he intendend , l 'in o nit giov,uw
dis : - ta di buon animo né dubitar punto , per iò he io
t 'i n egnarò tal strada , he tu n n perirai: anzi tu arai vin-
it re ed il re n egu ira il de ideri u . Ritorna a dunqu e
a l re, e dilli che tu vu i he l ti dia un alente mae tro h
ferra a alli· ed ordina li qu a ttro ferd da avallo i quali iano
gro i , e d'ogni intorn maggiori degli f rri comuni du ·an
dita, ben ·re tati, che abbino duo ra mpon i lun o-hi un gran
dit da dietro a uti e pungenti. d avuti , li far i mett re ai pi di
del mio cavallo , c he ' fatato; e n n dubitare di o a alcuna .
Rit rnat u rrino l r • gli di e iò he il giovane
gli a v va imp to. Il r , fatt v nir un ottimo mae tro d t
)
FAVOLA PRI:.\H 21 -

cavalli. ITji ordinò che tanto face . e quanto a Guerrinn gli tìa
comandato . Andato i il mae tro alla ua tanza Guerrino seco
,e n'aml , t:! gli ordinò nel modo anted tto i quattro ferri da
cavallo. Il he intendendo, il maestro non gli voi e fare, ma,
prezzatolo. tratlollo da pazzo, p rciò che gli pareva una cosa
ntio,·a e non più udita. Guerrino, vedendo he il mae tro lo
deleggiava e non rli \'Oleva ubidire, e ne andò al re, e la-
mento i del mae tro che ervir non l 'aveva \Oiuto. Laonde
il re, fattolo chia:nare, strettamente gli ordinò, con pena della
disgTazia sua, o che face e ciò che gli era sta imposto , o che
egli andasse a far la impresa che uerrino far doveva. Il mae-
-;tro, edcndo che ' l comandamento del re tringe a, fece i
f rri e messegli al cavallo. secondo che gli era 'ta' divisato.
F rrato adunque il ca\ allo e ben gu rnit di ciò che fa me-
ti eri. di ~ il giovane a uerrino: - Monta sopra que. to mio
ca ·allo. e \'attene in pace; e quando udirai il nitrire del ai-
Yatico ca ·allo . cendi giu d l tuo, e traeli la ella e la briglia.
!ascialo in liherta: e tu pra d ' un emin nte Ibero a cen-
derai. a pettando di quella impre a il fine. - Guerrino, ben
ammae trato dal suo di lett compagno eli ci che far doveva
tolta licenza, lieta m n te si parti.
Era gia par a per rutta la citta d'Irlanda la gloriosa fama
he un l ggi<'dro e vago giovanetto aveva tolta l' impre a di
prendere il alvatico cavallo e appresentarlo al re. Il perch é
u mini e donne corr eYano alle finestr per vederlo pa sare:
e vedend< lo i bello, si gio anetto si riguardevol , si mo-
\evano a pieta, e dic ano: - h po ·er Ilo come volontaria-
mente alla morte corre! certo gli è un grav peccato che
· stui si miseramente muoia; - e p r compas ione dalle lagrim
n n si pote ano co ntenere. Ma Guerrino, intrepido virile .
allegram nte e n'andava; giunto al luo<YO do e il alvatico
ca allo li mora\ a, e . enti t l nitrir , ces giu del uo; e spo-
gliatoio di ella di briglia e !asciatolo in liberta , ali sopra
d'una forte querc , ed aspettò l 'a pra e sanguinolent battaglia .
. ppena ·he Guerrino era asce o opra l'albero, he g iunse il
~alvatico cavallo, ed affrontò lo fatato destrier : d ambedu
l

2!6 • OTTE QUT.:\T.\

comi nciar n il piu crudo duello che mai fus e \'eduto al mondo.
Impercioché parevano duo scatenati leoni, e per la bocca get-
tavano la ·chiuma a gui a di seto i cinghiali da rahiosi cani
cacciati; e dopo che ebbero valore amente combattuto. final-
mente il fatat de triere tirò un paio di calci al s,d ·aticu ca-
vallo. e iunselo in una mascella, e quella dal luogo gli mosst.
Il perché perdé la crima di poter piu guerreggiare né più
difendersi. Il che vedendo, Guerrino tutto allegro rimase; e
sce o giu della querce, prese un cape tro che seco recato a eva.
e legoll , ed alla citta cosi sma cellato il condu, se, e con
g-randi sima allegrezza di tutto il popolo, st come promesso
;n e ·a, al re l presentò.
11 re con tutta la citta fece gran f ta e tri nfo. \la a' duo
t:rventi crebl>e doglia maggiore, perciò che non era adempito
il malvagio prop nimento uo. La nde d'ira e di sdegno a<'-
cesi, da capo fecero intendere a Zifroi re com Guerrino con
agevolezza ucciderebbe anche la ca\ a!Ja, quando gli fusse <l
grado. Il che inteso dal re, egli fece quello istesso che del ca-
' allo fatto aveva. E perciò che Guerrino ricu ava di far tale im-
pr sa, che \ eramente pesaYa, il re minacciò di farlo su pendere
con un piede in su, come rubello della ua corona. E ritor-
nato Guerrino ali' ostello, raccontò il rutto al suo compagno;
il quale sorridendo disse:- Fratello . non ti paventare, ma Ya,
e trova il maestro da cavalli, ed ordinali quattr altri ferri
altrettanto maggiori de' primi, che siano ben ramponati e pun-
genti e farai quel mede imo che del cavallo fatto hai. e con
maggior onore del primo adìetro tornerai. - Ordinati adunque
i pungenti ferri, e ferrato il forte fatato destriere, all'onorata
impresa se ne gi. Giunt > he fu Guerrino nl luogo doYe era
la cavalla, e sentitala nitrire, fece tanto quanto per l'adietr
fatto a eva; c lasciato il fatato ca,·all in lìberta, la cavalla
se gli fe' all'incontro, e lo sali d'un terribile e paYentoso morso:
e fu di tal maniera, che il fatato ca allo appena si poté difen-
dere. f\1a pur si igorosamente si portò, che la ca 'alla final-
ment da un calcio percossa, della gamba destra zoppa rima e.
E Guerrino, di ces dell'alta arbore,(3) presela e trettam nte
FA ' L\ PRl lA 217

legolla; ed asces s pr il suo c vallo, al palazzo con trionfo e


on allegrezza di tutt il popolo se ne torn ·, ed al re l' appre-
ent . E tutti per maraviglia corre ·ano ·edere la cavalla
attr tta, la quale per la doo-lia gr ve la vita ua finì. E co. i
tu to il pae e da tal secc gine liber ed i pedito rima e.
ra gia Gue-rino ritornat all'o ello, e per t nchezza era ·i
po. to a rip ar ; e n n p tendo d rmire per lo strepito inor-
dinato che enti va , le ·ò u da po are, e enti un non so che
di trano , che in un va o di mellt: batteva ed u.cir di quello
n n poteYa. Laonde, aperto d, Guerrino il va o, vide un g· 1-
la\rone che l'ali balte ·a e levar i n n pote\:a: onde egli, m .o
a pieta, prese que ll'animaletto, ed in liberta lo la ciò.
Zifroi r , n n a vendo .mcora guidar nato uerrino del
d ppio avuto trionfo, e parendogli gran ·illania se no 'l gui-
dardona ·~, il mandò a chiamare; ed appre ·ent to i, gli di se:
- Guerrino , tu vedi com per opera tu il mio regno è libe-
rato; e IJerò p r tan < beneficio ricevuto rimunerarti intendo.
J non trovando dono né beneficio che a tanto merito conve-
n ole ia, h determinat di darti una delle fi~liuole mie 111
moo-lie. ~1a sappi he io ne ho due: d lle quali l'una P t n-
ziana si chi ma, ed ha i capelli ·on artificio leggiadro in lti
c me l'oro ri plendono; l'altra Eleuteria si addimanda, ed
ha l chiome che a uis de fini imo argent rilucono. Laond ,
e tu indo inerai qual di loro sia quella dalle trezze (4) d'oro,
in moglie l'aver i con grandissima d te: altrimenti il cap dal
bu to ti farò piccare. - uerrino, intesa la evera proposta
di Zifroi re. molto i maravigli ; c roltatosi a lui, dis e:
- Sacra or na, è questo 'l o-uidardone delle mie o tenute
fatiche? questo il premio de' miei . udori? E que to il bene-
fici he mi rendete, a endo i liberato il vostro regno, che
oramai era del ut o di olato guasto? Ahimè, ch'io non
m ri ava que t ; né ad un tanto e come iete voi, tal co a
i con eniva. Ma po eia he cosi i piace ed io ono nelle
mam o tre, fate di me quel! che iu Yi aggrada. -Or va,
-disse il r , - e non piu tardare; e dotti termine per tutto
dimane a risol erti di tal cosa. - art'tosi Guerrino tutt
21 "OTTE QU:"T.\

rimaricato . al uo aro compagno e ne g1, l ' raccont<•gli r w


che detto o-li aveva Zifroi re. Il compagno , di ciò facendo
poca tima, di e: - Guerrino, sta di buon animo ne dub itare;
p r iò che io tì libererò del tutto. Ricordati che nei gio ·n i
passati il gallavrone nel melle inviluppato libera ti. ed in lihert:l
lo lascia ti. Ed egli sarà cagione della tua salute. Jmpen iò
che dimane dopo il desinare al palazzo se n'andra, e tre volte
attorno il volto di quella dai capelli d'oro susurrando volen\.
ed ella con la bianca mano lo caccerà. E tu avendo veduto tre
fiate simil atto, conoscerai certo quella es er colei che tua mo-
glie fia. - - Deh!- disse Guerrino al uo compagno-quando
verra quel tempo, che io passi appagarti di tanti benefici per
me da te ricenlti? Certo, se io vivessi mille anni, non potrei
d'una minima part guidardonarti. la colui che è rimunern-
tore del tutto, suppl ì ca per me in quello che io sono man-
chevole. - Allora rispo e il compagno a Guerrino: -Guerrino,
frate! mi )1 non fa bi ogno che tu mi rendi guidardone delle
so tenute fatiche; ma ben è ormai tempo che io me ti scopra,
e che tu conosca ch i io sono. E cosi come me dalla morte
mi campasti, cosi ancor io ho voluto di tanta obligazio ne il
merito renderti. appi che io ono l'uomo salvati co che i
amore olmente dalla prigione del tuo padre li erasti: e per
nome chiamami Rubinetto. - E raccontògli come la fata nel-
l'esser si le giadro e bello ridotto l'aveYn. Guerrino, ciò in-
tendendo , tutto stupefatto rimase; e per tenerezza di cuore
quasi piangendo, l 'abbracciò e ba ciò, e p r fratello il ricevette.
~ perciò che ornai s'avicinava il tempo di risolversi con
Zifroi re, amenduo al palazzo se n'andarono. Ed il re ordinò
che P tenziana ed Eleuteria, ue dilette figliuole, tutte velate
di bianchissimi veli. venes ero alla presenza di Guerrino; e
o i fu fatto .
enute adunque figliuole, e non potendo i cono cere
l'una dall'altra, disse l re: - Qual di queste due vuoi tu,
Guerrino, che io ti dia per moglie?- 1 Ia egli, stando sopra
di é tutto so pe o, nulla ri spondeva. Il re, curioso di vedere
il fine. molto lo infe tava, dicendogli che 'l tempo fuggiva e
F_\ VOLA PR I:\lA 219

che ·i ri oh·e ·se omai. :\Ta Guerrino ri po e: - aerati ·simo


n: , e il tempo fu ge. il termine di tutt'oggi che mi avete dato,
non è anc r pa ato. -Il che esser il Yero tutti parimeme
firmarono .. tando in questa lunga a pettazione il re, Gul' r-
ino e tutti gli altri, ecco pragiun e il gallavrone: il qual
. u. urrando interni il chiaro viso di Potenziana dalle chiome
d· oro. Ed ella, come pa ·entata , con le mani il ribatteYa indietro;
ed a endolo più di tre fiate rihattuto. finalmeme si parti .
. lando circa ciò Guerrino alquanto dubbioso, fidandosi pur
tuttavia delle parole di Rubinetto uo dil etto compagno, dis e il
re:- r u, Guerrino. che fai? omai gli è tempo che s' impona
fine, e che tu ti risol\'a. - Guerrino, ben guardata e ben con-
siderata l'una e l'altra poncella, puos e la mano sopra il cap
di Potenziana h il ga llanone gli aveva mostrata; e di e:
aera Corona, questa è la figliuola Yostra dalle chiome
d'oro.-E scopertasi la figliuola, fu chiaramente veduto ch'ella
era quella; ed in quel punto, pre enti tutti e ircostanti, e
con molta odi fazione di tutto il popolo, Zifroi re glie la diede
in moglie; ed i ndi non i parti. che anche Rubinetto, . uo
fidato compagno, -posò l'altra sorella. D 1 o' Guerrino i mani-
f tò che egli era ficrliuolo di Filippo 1aria re di icilia. Laonde
Zifroì senti maggior allegrezza, e furono fatte le nozze vie piu
pompo e e grandi. E fatto intendere tal matrimonio al padre
ed alla madre di Guerrino, n'eb bero grandissima allegrezza e
contento, percìò che il loro figliuolo es r perduto cr devano;
ritornatosen in Sicilia con la cara moglie con il diletto
fratello e cognata, fu dal padre e dalla madre raziosamente
eduto ed accarecciato; lungo tempo vi se in buona pace.
la ciando dopo sé figliuoli b llis imi e cl l regno ered i . -
FA\.OLA Il .

.-\damantina, figliuola di Bagolana .n onese , per i rtù d i un a po:no l.l,


di Drushno re di Roemia moglie dh·enn e.

( LTERIA:)

i potente, alto e si acuto è 1· intelletto dell'uomo, cht:


senza dubbio supera e aYanza tutte l'umane forze del mondo .
E però meritatamente dicesi l'uomo sa vi o ignoreggiare le
stelle. Laonde mi soviene una favola, per la quale agevolmente
intenderete come una povera fanciulletta, dalla fortuna s ve-
nuta, d'uno ricco e potente re moglie di enne. E quantunque
la favola bre e ia, ara però, e non m'inganno, tanto piu
piacevo l e ridico l osa. Presta temi adunque l'orecchie vostre
attente ad ascoltarmi, si come per lo adietro fatto avete a
queste nostre onestissime compagne, le quali i hanno piu tosto
da sommamente lodare, che in niuna parte bia mar di Yoi.
In Boemia, piacevoli donne, non è gran tempo che 1
trovò una vecchiarella, Bagolana Savonese per nome chiamata.
Costei, essendo poverella ed avendo due figliuole, l'una de quai
Cassandra, l'altra Adamantina si addimandava, olse di quella
poca poverta, che ella si trovava avere, ordinare i fatti suoi
e contenta morire. E non avendo in casa né fuori cosa alcuna
di cui testare potesse, eccetto che una cas ettina piena di stoppa,
fece testamento; la cassettina con la toppa lasciò alle figliuol ,
pregandole che dopo la morte sua pacificamente insieme vi-
vessero. Le due sorelle, quantunque fu sino po\'ere de' beni
della fortuna, nondimeno rano ricche de' beni dell'animo, ed
in vertu ed in costumi non erano inferiori all'altre donne.
Morta adunque la vecchiarella, e parimente sepolta, Cassan-
dra, la qual era la sorella maggiore, prese una libbra di quella
stoppa, e con molta sollecitudine si puose a filare; e filata.
FAYOLA . ECO. "DA 221

che fu, diede il filo ad • darnantina sua sorella minore, impo-


nendole che lo portas e in piazza e lo Yende e, e del tratto
di quello compra e tanto pane. acciò che ambedue potessero
delle sue fatiche la loro vita sostentare.
darnantina, olto il filo e postolo sotto le bra eia, se n'andò
in piazza per venderlo secondo il comandamento di Cas andra;
rma enuta la cagione e la opportunita, fece il contrario di
quello era il voler suo e della sorella: perciò che s'abbatté in
piazza in una vecchiarella che a 'eva in g rembo una poavola,
la più bella e la più ben formata che mai per l'adietro veduta
si aves e. Laonde Adamantina , avendola veduta e considerata,
di lei tanto e n ' invaghi, che più di averla che di vendere il
filo pensava. Considerando adunque Adamantina sopra di iò,
non apendo che fare né che dire per averla pur deliber
di tentare sua fortuna , si a baratto la potesse a ere. Ed acco-
statasi alla vecchia, disse: - 1adre mia, quando vi fusse in
piacere, io baratterei volentieri con la poa ola vostra il fil o
mio. - La ecchiarella, vedendo la fanciulla bella, piacevole
tant desiderosa della poa ola non olse contradirle; ma
preso il filo, la poavola le appresentò. Adamantina, a uta la
poavola, non si vide mai la più cont nla; e tutta lieta e gioconda
a casa se ne tornò. A cui la sorella Cas andra disse: -Hai
tu venduto il filo?- i , - ri pose damantina. - E dov'è
il pane che hai comperato?- disse Cassandra. A cui da-
mantina, aperto il grembiale di bucato che dinanzi teneva
empre, dimostrò la poavola che barattata aveva. Cassandra,
he di fame si senti a morire, eduta la poavola, di si fatta
ira e sdegno s'acce e, che, presa Adamantina per le trecce, le
diede tante bu e, che appena la meschina si poteva movere.
Adamantina, pazientemente ric vute le busse, senza far difesa
alcuna, meglio che seppe e puote con la sua poavola in una
camera e n'andò.
Venuta la sera, Adamantina, come le fanciull tte fanno,
tolse la poavola in braccio, ed andossene al fuoco; preso
dell'aglio della lucerna , le unse lo stomaco e le rene: indi,
riv oltata in certi stracci che ella aveva, in letto la mise, ed
m a p co. andata enea letto, appre o la poaYola . i coricò . . e
appena damnntina a\·e,·a fatto il primo sonno , c he la poa-
vola cominciò chiamare: - !lamma, mamma. caca ~ - E :\da -
mantina d tata, di e: - Che hai, figliuola mia? - :\. cui
ri~po e la poav la: - lo vorrei far ca a, mamma mia. - Ed
.-\damantina:- Aspdta, figliuola mia -di e. E levata i di
letto, pre e il grembiale che 'l giorno dinanzi porta\'a, e glido
pose sotto dicend : - Fa caca, figliuola; - e la puavola, tut -
tavia forte pr mendo, empi il grembia le di g ran quantita di
danari. Il he v dendo, Adamantina destò la sorella Ca andra
e le mostrò i danari che aveva cacati la poavola. Cas andra,
vedendo il gran numer de danari, stupefatta rimase. Iddio
ringraziando che per sua bonta nell e lor miserie abbandonate
n n le ave ·a; e ·oltatasi alla orella, le chie e perdono dell e
bu ·e che da lei a gran torto ricevute aveva ; e fece mol te
carezze alla poavola, dolcemente basciandola e nelle braccia
tr ttamente tenendola. enuto il chiaro giorno, le orelle for-
nirono la ca a di pane, di vino, di oglio, di legna e di tutte
quelle cose che appartengono ad una ben accomodata famicrJia.
Ed ocrni ra ungevano lo stomaco e l rene alla poavola . ed
in ·ottili imi pannic lli la ri oglie\ ano, e ovente se la \'O-
leva far caca le dimandavano. d lla ri pondeva, eh Sl; e
molti danari cacava.
Avenne che una ua vicma, e endo andata in ca a delle
due sorelle, ed avendo veduta la loro casa in ordine di ciò
che le faceva mestieri molto si mara igliò; né i poteva per-
uadere che si tosto fuss ro venute si ricche, e endo gia
tate i poverissime, e tanto pìu conoscendole di buona vita
e si one te del corpo loro, che oppo izione alcuna non pati ano .
Laonde la icina, dimorando in tal pen iero, determinò di
perare si che la potesse intendere dove procedes e la cau a
di cotanta grandezza. E andatasene alla casa delle due sor Il e,
disse:- Figliuole m ie, come avete fatto voi a fornire i pie-
namente la asa ostra, conciosiacosaché per lo adietro \'OÌ
eravate si poverelle?- A cui Cas andra, che era la maggior
orella , rispose:- na libra di fi lo di st ppa con una poavola
l ' YUI.A . E ( • 'DA 223

baratta abbiamo. la quale senza mi. ur.\ alcuni danari ci


rende.- Il che la vicina intendendo, nell'animo fieramente si
turb · ; e tanta i m idia le creùhe, eh di furargliela al tutto deter-
mi n . E rit rnata a ca a. rac ont · al marito c me le due sorelle
aYe ano una poavola che d1 e n tte le dava molto oro ed
argent . e che al tut o di invo arglìela determinat ave\a.
E quantunque il marito <>i face e befle delle parole della mo-
glie, pur ella ep1 e tanto dire. ch'eo-li le credette. \la diss le:
- E come farai tu a im·olargli la?- cui la moo-Jie ri pose:
Tu fingerai una era d'e ser ebbriaco, e prenderai la tua
·pada, e correrammi dietro per uccidermi I er otendo la spada
nelle mura; ed io, fingendo d'aYer di ciò paura, fuggirò su la
_trada; ed elle, che s no compassionevoli molto, mi apriranno;
ed i chiuderommi dentro la l ro ca a, r sterò pr ss l ro
quella notte, ed i perer· quanto che io p trò. - enuta adun-
que la sequent era, il marito della buona femina pre e l
ua arrugginita pada, e percotend quand in que to mu ro
quando in quell'altro , corse dietro alla mogli : la quale, pian-
gend e gridando ad alta oce, fuggi fu r dì asa. Il he
uden o, l due sorelle cor ro alle finestr p r intender qu Ilo
he era avenuto, e cogn bbero l voce della loro vicina, l
qu le molt forte gridava; e le due orelle, abbandonate le fine-
_· tre, scesero giù a l'uscio ed apertolo, l tiraron in ca a.
E la buona femina, di mandata da loro per che cagione il
marit cosi irato la eguiva, le ri po e: - Egli è venuto a casa
. i imbalordit dal vino, eh non a ciò ·he i faccia; e p r-
ché i riprendeva di queste ue ebbrezze, egli l rese la pada
e c01·semi dietro per u cidermi. Ma io, pìu o-agliarda di lui,
h olut fuggire per min r scandalo, e sonomi qui venuta. -
Disse l'una e l'altra orella:- oi, madre mia, avete fatto
bene; e tarete que ta notte on es e noi , acciò non incorriate
in alcun pe icol d Ila Yita: e in questo mezzo il marito vostro
pa ira l' bbrezza ua. - Ed apparecchiata la cena, cenarono
in iem ; e po eia un ero la po vola, e e n'andar no a riposare.
Venuta l ora che la poavola di cacare bisogno av va,
dis :-Mamma, caca!- E damantina, econdo l'usanza . le
224 - · aTTE Qt;I ''L\

pone·a tto il pannice!lo mondo, e la poayoJa cacava ùanari


con grandi sima maraviglia <'li tutte. La huona femina che
era fuggita, il tutto vedeva, e molto suspesa resta\·a; e pare-
vale un· ora mille anni eli furarla e di poter operare tal effetto.
\"enuta l'aurora, la buona femina. dormendo ancora le sorelle ,
chetamente si levò di letto: e senza che Adamantina se ne
avedesse, le furò la poaYola che vi era appresso: e destatele .
t lse licenza di andar a casa, dicendole che la pensava eh ~
oramai il marito poteva aver digesto il vino sconciame nte
bevuto. _ ndatasene a casa, la buona donna disse lietamente
al marito: -Marito mio, ora noi abbiamo trovato la ventura
nostra: vedi la poavola;- ed un'ora mille anni le pare ·a che
venisse notte per farsi ricca.
Sopragiunta la buia notte, la donna prese la poavola:
e fatto un buon fuogo, le un e lo tornaco e le rene: ed infa-
iata in bianchi pannicelli, nel letto la po e, e spogliatasi
ancora ella, appresso la poavola si coricò. Fatto il primo sonno,
la poa ola si dest , e disse:- Madonna, caca!- e non disse:
- Mamma, caca; - perciò che non la conosceva; e la buona
donna, eh vigilante stava aspettando il frutto che seguirne
doveva, levatasi di letto e pre o un panno di lino bianchissi-
mo, glie lo puose sotto, dicendo: - Caca , figliuola mia caca!-
La poaYola fortemente premendo, invece di danari, empi
il panno di tanta puzzolente feccia, che appena e le poteYa
avìcinare. Allora i e il marito:- Vedi, o pazza che tu sei.
come ella ti ha ben trattata; e ciocco sono stato io a cre-
derti tale pazzia.- Ifa la moglie, contrastando col marito, con
giuramento affermava sé aver veduto con gli occhi propi gran
somma di danari per lei cacata. E volendo la moglie riservar i
alla notte . eguente a far nuova isperienza, il marito, che non
poteva col naso sofferire il tanto puzzore che eo·li sentiva,
disse la maggior villania alla moglie che mai si dicesse a
rea femina del mondo ; e presa la poavola, la gittò fuori
d lla fine tra sopra alcune copazze che erano a rimpetto della
casa loro. A venne che le scopazze furono caricate da alcuni
contadini lavoratori di terre opra di un carro ; e s nza che
alcuno n'aved e, fu altre 1 me a la poavola sul carro: c
di quc.lle copazze fatto fu alla campagna un lettam aro rla m-
gra are a suo luogo e tempo il terren .
ccor e che Drusiano re, andando un giorno per suo di-
p orto alla caccia . gli venne una grandis ima olonta di s .a
ricare il soperchio peso del ventre; e smonta o giù del cavallo .
fece ciò che naturalmente gli bisogna a. E non a endo con
che nettarsi, chiamò un servente che gli de e alcuna cosa
con la quale si potesse mondare. Il servente, andato ene al
lettamaro, e r icercando per dentro e poteva trovar cosa he
al p r opo ito fus e, trovò per aventura la poavola; pr sala in
mano, la portò al re. Il quale senz'alcun sospetto tolse la poa-
vola; e p stasela dietro alle natiche per nettar mes er lo p erdo -
neme, trasse 'l maggior grido che mai si sentisse. Impercio eh·
la poa ola con i denti gli aveva presa una natica; e si str tta-
mente la teneva, eh gridare ad alta oc lo face a. entit
da' suoi il mi urato grido, subito tutti cor ero al re; e vedu-
to l che in terra come morto giaceva, tutti stupefatti restaron :
e vedendolo torm ntare dalla poa ola , i posero unitamente per
levargliela dalle natiche· ma i affaticavano in vano, e quanto
piu si forzavano di rimovergllela, tanto ella gli da a maggi r
pa ione e tormento: né fu mai eruno che pur crollare la
p ote e, non che indi ritrarla. Ed alle vol t con 1 mani gli
apprendeva i so na li, e si fatta stretta g li dava, che gli face 'a
v der quante tell eran in cielo a mezzo il giorno. Ritornato
l'affannato re al suo palazzo con la poavola alle natich tac-
ata, e non trovando modo n é via di poterla rimovere, fece
fare un bando: che s'alcuno, di qual condizione e grado essere
i vo lia, si tro ·asse, a ui bastas l'animo la poa ola dalle
natiche spiccargli, che gli darebbe il terzo del suo regno; e
se poncella fu e qual si vo]ess , per sua cara e diletta moglie
l'apprenderebbe: pr mettend pra la a e ta di e ar
tanto quanto nel b ndo si conteneva. Inte osi adunque il bando ,
molti concor ero al palazzo con 1va p ranza di ottenere l
con tituto premio. a la grazia non fu concessa ad alcuno
che traere gli la potesse: anzi, come alcuno se gli av1cmava ,

G. F . 5TRAPAROLA 1 Le piacevoli notti. I 'i


• OTTE QUI . "T.\

ella gli dava più noia e pas ione. Ed e endo il tra,·a<rJiato re


i fieramente tormentato, né trovando rimedio alcuno al suo
incompren ibile dolore, quasi com morto giaceva.
Cassandra e Adamantina. che grandi sime lagrime -;parse
vevan per la lor perduta poa la , avendo int so il puhli-
cato ban o, vennero al palazzo ed al r 'apJ re entorono. Ca -
sandra, he era la arella maggiore , c menciò far fe ta alla
poavola e li maggior vezzi che mai far i pote e. la la poa-
vola, tringendo i de nti e chiudendo le mani, maggiormente
tormentava il sconsolato re. damantina, che alquanto stava
discosta, si fece avanti; e di s : - aera Ma ta, la. ciate che
ancora io tenti la ventura mia; -ed ap1 re enlatasi alla poavola,
di se: - Deh , figliuola mia, la eia ornai heto il mio signore,
n é gli dar piu tormento; - e pre ala per i pannicelli, accarez-
zolla molto. La poa 'ola, che con osciuta avev la . ua mamma,
la quale era olita a governarla e man ggiarla, ubito dalle
natiche i taccò; ed abbandonato il r , saltolle nelle braccia.
11 che vedendo, il re tutto attonito e sbig ttito rima e, e si
puose a riposare, perciò che molte e molt notti e giorni dalla
pa sione grande eh egli entita e pro ata aveva , mai non
a eva potuto tro ar ripos . Ri taurato Drusiano re dallo int n o
dolore, e d Ile gran morse ri anato, per n n mancare della pro-
messa fede, f ce venire a sé damantina; vedendola aga
e bella gio anetta, in presenza di tutto il popolo la posò : e
parimenti Cassandra, sua sorella maggiore, onorevolmente ma-
rit ; e fatte solenni e pompo e fe te e trionfi, tutti in allegrezza
e tranquilla pace lungo tempo vi ero. La poavola, edu te le
uperbe nozze dell'una e l'altra sorella, ed il tutt aver sor-
ito salutifero fine, subito disparve. E che di l i n'avenis e,
tnai non si eppe novella alcuna . ~1a giudico io che i di fan-
tasse, come nelle fantasme empre avenir uole. -
AV L III.

B rto ld de a l bbia ha tre fi liuol i, tutta tr gobbi d ' una t a se m-


bianza; uno d e' qu ai è chia ma to Zambon e per lo mondo cercand
su ven t ura; e capita a Rom a, ed in di vie n morto e gittato n l Tebro
o n i u o su oi fra tell i.

[ ' TO . 10 MoLI o:]

- Durum e t , pia evo i madonni (l ) e graziosa signora; a '


t rni a i , durum est contra stimulum calcitrare: che vé a di
he l'è tr p dura cosa un calz d un a enel , ma asé piil (2 ) dilr
un calz d'un cavai; e per quest , se la fortuna ha volilt ch'a'
br n hi tal impri a (3) da ra ona pac nza (4) : a' l'è Iii mèig (s)
u bidi h e a ntifica ché l' o tinazi é da mala part, e se no,
1 tinadi a a ca do! diavol. 'a n -f disi cosa che fu
de o o nt nt (6) no-m dé la colpa a mi , ma a la signor
la c'ha volilt ixi : pe si fìadi l' m cercand q uel ch'el
n h intra é e o! tro a quel h'a ' l no cré 1x1

r m o li ma pi ni (7) demo chi : c n fé, za fu temp , Zambo ,


fi l de rtold d \al abbia, che rcand d ' o ella (8) do o
fradèi , i o do fradèi l 'o Ila l il. n che (9) a la fi tug' tri
malament mor i , com a ' intend ri, s ' a' me impresteri ol bu
i oreci , o la ment e col er el tari a scolta quel c ' h
'l i n pre ent mio (r o) ra omi.
' ' di g hi dunca (u ) h Bert Id de al abbia , t ri tori (r:a)
b rg m n , avé tri ( r 3) fioi tug' tri obi , e i a i e som -
hia a (r > i l ' il l ' alter (IS), ch ' a ' no l iera pos ibol (16) cono cer ( r7)
l'li f d l'alt r , com are ef (r ) a di tre penduleti sgo nfi de
ù.ré . L'li e que ti a ea (t 9) nom Z mbo , l alter Bertaz, el terz
. anti; e Za mbo, eh era ol mazzòr, n a ea ancor <20) v zil
sed agn . A nd per enti t <2 1 ) Zambò che Bertold, so pader,
p r la gran care ti a eh era in quel pai e zeneralment da per
tug' , volia vend r un cert po d podér eh 'a' l e trovava a i
22

d e patrimoni , che po hi o neo-ù se troYa 111 quel pais che


n 'abi qual o èta de propri) (22 ), per su. tenta b\ so famegia 12 ·''-
a l . vo lta, come mazzòr fradèl , Yers Bertaz e Santi, fradei
m nòr , e i g h di : - . 'l ar' f lù bòna spisa. fradèi me c r,
a -zò che nos pad r no Yendi (2 4) quel poc de terezuli ch'a'
r vém a i, e che dapò (2 5) la s' mort no n'~n·es em de che
o gnis , he vu anda ef c rcand del m nd (2 6) e guadagna
qu l co èta per po i ostenta la n tra ca mi res erèf a a
col ve ' a' i 'l g \'erner' f, e i can e om ( 7) la pi a, e 111
2

que t mèz for pas rèf la car tia. - Bertaz e anti, fradèi
m nòr, ch ' ' no i era manco <2 ) altrid i e tri ti de Zambò a'
i lis a Zam bò o fradèl: - Zambò, fradèl nos ·ar . te n' hé
al t ixi a l' impro ista (2 9>, talmentre (3o) h no sa ém che
r ponder-t ; ma da-ne temp per tUta sta nog' ch'a' gh pen-
ar ' m ù, e omatina a' te r p nder'm . - I fradèi, Bertaz
e anti a' i era nasùt in ù ortat, e i a ' i e confeva pii.\
dol çer el in ema lòr do, che n i f a n Zambò. E .
Zambò iera cel rat de vintidò arat, Bertaz e anti a' i era
de inti e ; eh · m p rma , dm e m nca la natura , upli
l' inz gn la malizia in ema. egni:tda che fo (3r) la matina
dol di s gu n t B rtaz, d ord n co mis iò d an ti , fradèJ ,
anda a tr a Zamb , i g he c menza a di: - Zambò , fradèl
m car, nu avém bé p nsat mèg (3 2 ) o n id rat i asi (33) noster,
co n end che te si om l' · ira , l mazzòr frad ·l, che
t d bi anda prima rcand d l mond e eh nu , h sém
pizègn, at nd ·m a a a o rna n pader; e s in t mèz
t trovaré qualche hòna ventura per ti per nu, te ne river
qua, e p nu t vegnerém dré a trO\ a. - Zambò , che ere-
d a o lla ertaz .e anti , inti a la ri po ta , a' la no-g a ·i
lù trop bona; e zamb tand fra i m dém, ol di :-Ma o t6r
a' i è lòr più tristi e malizi eh a no o mi; - que t clisi' a
p r che l' avia pensat de manda 1 fradèi a paz , a-zò eh per
la car stia a' i mori da fam , e lù re tas parò dol tug', per
che I pader l'era più de l che de qua (34), nè podi a anda
trop de long. a la g h and ' a Zambò altram't(35) de quel che
1 a via pen a t.
F.\VOLA TERZA

Inti a adonca Zarnbò la opiniò de Bertaz e de . anti. ol


fé u farsèt de certi pochi strazi che l'avia; e tolt un carner
con dol pa e dol formai e ii botazol de vi, e in pe' un p ér
de scarpi de cuor de pare ros, ol se parti de ca, e se n 'anda
vers Bre a. E no trovand partit per Iii, l anda a \ erona ,
doYe ol trova un mister (36) de bareti, ol qual ghe domanda
e 'l a ia la ora da bareti <37), e lii ghe respòs che no ; e ve-
dend che no-g iera co a per lu , lassa erona e Vicenza e ~t
ol e lassa vegni a Padova: e vedut ch'a'l fo da certi medegh,
ghe fo domandat se 'l saviva governa rnulèti, e lu ghe resp6s
de no, ma ch'el saviva ara la tera e poda le vigni; e no e
po ènd corda con lor, se parti de la per an da a Vene ia .
Avend Zambò caminat assé, e no av nd trovat partit negli
er lu, e no avend nè denér gna da mangia, ol stava de mala
voia. ifa dapò long (38) carni, quando fo in piasi de Domned ·,
o l ari va a Lezzafo in a (39) : e per che l ' i era senza denér, negli
ol voli a leva, talment ch'al pover orn no savia che fa; e
vedend che i bezzaruoi , che voltava i stroment da tira su i
barchi, i guadagnava di quatri, ol se mi a n lU a fa un tal
me tér . Ma la fortuna, che emper perseguita i poveret, i poltrò
e i desgraziat, ols che volzend il tal stroment, a ' l e rompis
la oga: e int ' ol desvolta ch' ol fé, una stanga ghe dé in d'al
pèt e ol fé casca in tera tramortit e per un pèz a ' l sté d stis
per mort; e e no fos stag' certi omegn da bé che ' l porta in
barca per ma e per pè, e si 'l mena a Venesia, ol arèf rnort la.
Guarit che fo Zambò, ol e parti da quej ornegn da bé;
e andagand (4o) per la tera cercand s'a'l podiva trova partit
ch'a' fos per Iii , ol passa per le speçierii, e fo vedu da ii
·peçial, che pe tava (4r) mandai in il mortér per fa di rnarzapa,
e si ghe domanda s'a ' l voli va anda a sta con lU; e l il ghe
resp6s che i. Intrat in botiga, ol mister ghe dé certi cosi de
conf zio d a netiza <42 }, e i ghe in egna parti i nigher da i
bianch, e i ol meri in compagnia d'un alter garzo de botiga
a lavora in sembra. etezand Zambo col garzò de botiga sti
tai confezio, i compagno- ma de cancher 1- a' i neteza de
tal manera, che per e er dolçeghi, a i toliva ol corz de sora
230 .~ OTTE QUI. ' TA

ia e he la .~· aya la me6la d déter . 01 parò, che s'avedi d r1!


tug', tol il ba tò in ma, e i ghe-n dé de fi si, digand: - 'a '
·oli fa, brigantari forfanti mario li, fé del \ ' O ter e no do i
me; - e tuta fia (43) o! men,tva o! basto , e in quel .·tant a · i
manda tuti do ia in malora.
Parti t che fo Zambò dal . peçial ixi mal tratat, o! "e n · an da
a . an 1arc; e per bona ventura pa and p r la do\e e \end
i erbèti e salatuci , o! fo ciamat da un erbarol d qu i d a
hioza, ch'avia nom ivia Vianel, e i ghe domanda s'a 'l
vol i a anda a sta con lu, ch' a ' l ghe farèf bona compagnia
boni pi i. Zambò, ch'avi\a l'arma enisa adò , e i era
pi · de vogia de mangia , ol dis d i ; e vendildi certi pochi
erbèti ch' a' ghe mancava, a' i monta in barca e se n'anda a
Chioza; e Vi via ol mi a lavora noi ort e a governa le vigni .
A ·i va tu~ Zam bò la patrica de l'an da in , il in z6 per
Chioza, e c nosciva a é di ami d l parò; per che l' iera
orma ol temp di primi fis, ivia toJ lil tri bèi fi C«> e si i
meti int un piatèJ per manda-i a dona a un o compar in
hioza, ch'aviva nom r Peder. E avend i mat Zambò, ghe
<lé i tri fi e i g he di : - Zambò, tuo ti lri fts, e porta~i
a me compar er Peder , e dig che i gualdi (45) per amor me.
Zambò, ubidient a l parò, di : - \'ol e ntera , parò; - e tolt i
fi., alegram nt ol e parti. ndand Zambò per trada, c stret
da la gola, ol poltrò uarda a e reguarda a i fìs; e di. <\
la gola: - Che deb' io (46) fa? ghe-n debi mangia o no
mangia?- La g la he re 1 6 : - n afamat no guar da lez.
- E per eh l' iera lil golò per sò natura oltra che afamat,
tols ol con èi de la gola, e branca in ma l 'u d quei (47) fis
comenza truca-1 dal cill, e tant chiza e r schiza, l'è h ,
no l'è bò, h'a l ghe fé insi l 'anima fò del tug', talment (4 >
eh' a 'l ghe roma se no la pèl. A vend man iat Zambò o l fi .
a 'l ghe par d'a i fag' mal· ma per eh la gola ancor la
str nziva no-g fé lù cont negu, ch'o! t l ol segond fis in
ma, e quel ch'a'! fé dol prim, i i fé dol egond. Vedend
Zambò 'ad fa~ tal d orden, no ' l avia quel che doviva fa :
. 'a' l d vi a anda inanz, o torna in dré. E tand in tal contra. t
F OL. TERZA

l fé un bon amm e e lelibra (49) d'anda inanz. Zont che fo


Z mbò dal com ar er Peder, ol bati a l'us: e per che l era
co2'nos iùt da quei de ca, a 'l fo t . tam nt a ert; e andat de
·ù, ol trova er Peder eh spas ezava in sù in z6 per a;
e i ghe di : - Che e-t fazend <so), Zambò fi l me? che bòni
no i?- Boni, bòni,- r p6 Zambò; - l me parò i \le
manda tri fi ; ma de tri, n'ho mangia' mi do.- Mo com' hé-t
fag', fio l me?- dis ser Peder. -Ma ho mi fa ' ixi, - resp6
Zambò;- e tols l'alter fi , e si s a 'l mis in bo a, e e 'l
mangia de long via: e i.·i Zambò a' i ·ampi da man i::\ tug
tri. Ved nd er Peder un si fag' lavòr, dis a Zambò:- fio!
m , di al to paro che granmarcè, e che 'l no 'afadighi a fà-m
de ti pre ent.- R spòs Zambò: -No, no, messer, no-f dubité,
a i farò mi bé olent ra;- e ·olta i spali e ol torna a ca .
:\ vend s ntit i via i zentilezi e i èi portament poltroneschi
del Zamhò , e che l'era golò , e che per sser afamat ol man-
giava oltra misura, e pò per che a 'l no gh p1a.1 a ol <>O
la\' ra , ol caza fò de ca.
01 pover dol Zambo, v dendo-. fò de ca e no . a end
do anda se delibra d'anda a Roma e prova se 'l od·va
trova m iorCstl entura che'! n'avivatrovatdeza. E ixi com
1' avi a pen at, i 'i ol fé. ~ send zont Zambò a Roma e c r-
and e r c rcand arò, a '1 s imbaté a trova u mar adant (5 2 >
eh' a i va no m messer m br o dal M ul, eh' a i a una grossa
hotiga de 1 agn , e si 'acorda con lu e com nza atender a la
b tiga. E p r che l'a i a proyat do! malan assé, ol e delibra
d impara ol m est· r atender ~ far bé. E per ess r astUt e
s ltrit (a bé h al fu gob e brut) nientedemanc in poc temp
al e fé si patrie de la botiga va l nt dal mestér, h el parò
più no 'impazava gnè in end r gnè in crompa (S3l, e fort ment
ol se fidava de lU, e ai o besogn se ne serviva. '1 e imbati
ch'a m sser Ambr(is he convegni anda a la fera de Recanat
c de i pagn, e vedend Zambò che '1 s ra fag' soficient l'54 l
no l mestér che l 'era fida t, o l manda con dei robi a la fera,
e mes er • m ros ol romas al govèren de la botiga. Partit che
fo Zambo, vols la fortun eh me er mbr6 'amala d'una
232 • OTTE QCIXT.\

infirmica , i toribola e granda d'una insida de corp, che in


pochi di ol caga la •ita. \ edend la moiér, ch'aviva nom
madona Felicèta, che l'era mort ol mari t, da gran dolòr e
passiò che l'avé, quasi che anche eia no tira le calzi <ssl, pen-
sando-s dol marit e dol desviament de la botiga. lntis Zam bò
la trista no eia dol parò che l'era mort , ol torna a la volta
de ca, e si porta de la grazia de Dé, e i atendiva a fa de
li facendi (56)_ Vedend madona Felicèta che Zambò se portaYa
bé, e a' si atendi va a grandi (57) la botiga, e che l'era com pie!
o l an de la mort de messer Ambros so marit, e temend de
n o perder Zambò un di co i aventòr de la botiga, se consegia
c on certi so comari, e la 's dovi a marida o no, e i la 's
maridava, la dovès tu6r per marit Zambò, fatòr de la botiga,
per esser sta longament col prim marit e avi fatta la patrica lS l
dol govèren de la botiga. I boni <59) de le comari parendo-g-
ch' ol fos ben fag' , se fé le n ozi: e madona Felicèta f<:? mo-
giér (6o) de ser Zambò, e Zambò fo marh de madona Felicèta.
Vedendo-s ser Zambò levat in tanta alteza, e de avi moiér
e si bela botiga de pagn col grand inviament, scrisse al so
pader com l'iera a Roma e della gran ventura che l'aviva
catada. Ol pader, che dal di che 'l s'era parti <6 r> fin a quel
ora no a via mai senti (6:z ) no eia né imbassa de lU, o l mori
d' alegreza; ma Bertaz e Santi n' af (63) gr a n consolaziò.
Venne ol temp ch'a madona Felicèta che besognava un
par de calzi (64), chè le sò i era sq uarzadi e roti ; e dis (65) a
ser Zambò, so marit, ch'a 'l ghe-n dovès fa lu un pér. Ser
Zambò ghe resp6s che I'aviva alter che fa, e che se l'era roti,
ch'a' la se l'andas a conza, a repezà e a tacona. Madona
Felicèta, ch'era usada morbeda sot l'alter marit, dis che la
no n'era usada de porta calzi arpezadi <66> e taconadi, e che
la-g ne voliva de boni. E ser Zambò ghe respondi che a ca
oa s'usava ixi che no '1 gb le voleva fa. E ixi contrastand
e andand d'una in l'altra parola, ser Zarnbò alza la ma t.
s' ghe dé una mostazada si fata in sol mostaz, che la fé anda
d' inturen. Madona Felicèta, sentendo-s da de i bòti a (67) ser
Zambò, no voli ra gnè pati gnè pacenza, e con burti paròi ol
FA \'<JL\. TERZA 2""""
,)J

cornenza vilaniza. er Zarnbo, che se senti toca in si.i l'onòr,


la comenza travasa co i pugn de bé in mèi, talmentre che in
fi l po rèta (6S) convegni a ·i pacenza. E send za trapa at ol
cald e sovrazont ol fred, madona Felicèta domanda a ser
Zambò una f6dra de eda da covri la so peliza, per che l'era
mal condizionarla; e per che ol fos cert che la fos strazada,
la ghe la (69) porta a mostra. Ma ser Zambo no 's cura de
vedì- la, ma 'l ghe resp6s che la la conza. e che la la portas
ixi, chè da ca soa no s'usava tanti pompi. Madona Felicèta,
sentendo tai paròi, se dosdegna (7o) fortement e dis che la la
voliva in ogni mu6d . .\'la ·er Zambo ghe respondiva che la
dovis tasi e che no ' l C7l) fès anda in cole ra, chè sarèf mal per
lé, e che no-g la voliva fa. E madona Felicèta instigandòl
che la voliva che 'l ghe la fès, l'ii e l'alter intra in tanta furia
de colera, che i no-g vediva de i oc'c'. Ma ser Zambò, segond
la so usanza, con u bastò la comenza tamussa e fag' una pe-
liza de tanti bastonadi, quanti la ne pos mai porta; e la la ·a
quasi (7 2 ) per morta. Vedend madona Felicèta l 'anim de ser
Zambò inver iat contra de lé, con alta vò la comenza maledi
e bia tema o l di e l'òra che mai se n'è parla e chi la con egia
che la 'l tolès mai per marit, digand: - sto mu6d (73), poltro,
ingrat, ribald manegold, g iot e scelerat? Que t è ol premi e
ol guidardò che te-m rendi dol benefici che t'ho fag', ché, de
me vii famèi che t'eri, t ' h o mi fag parò non solament de la
roba, ma a ncor a de la pro pia mia per ona? e ti a sto mu6d
me trati? Tas, traditòr, chè a ogni muod a te n'empagherò.-
er Zambò, sentend che madona Felicèta ere civa e molti-
plicava in paròi, te la giocava (74) si.is al bèl polit. L 'era ve-
gnuda a tant madona Felicèta, che, com la sentiva che ser
Zambò parlava o se moviva, la trema a com la fòia al vent,
e e' pi sava e cagava sot d'angos a.
Pasada che fo l' invernada e vegnud l'in tad, l'acadé a
ser Zamb de anda per certi so fazendi e per scadi certa
q uantita de denér da debitori de la botiga a Bologna, e ghe
convegniva sta a sé zornadi; e dis a madona Felicèta: - Fe-
1icèt8., te fo a sa i c'ho mi do fradèi, tug' do gobi com a'
• 'OTTE Q l. ·v,

· gn a mi <;sl; e i a' i me somegia ·i fatament, eh' a· no selli


·ogno udi l'li da l'alter, e chi ne edès tug' tri in~emb ra , a·
i no sarè f di qual fo mi e qual fos lòr . Guarda <76l, se per
ventura a' i e imbati a vegni in ta tera e che a' i \. olès
aloza in ca no tra fa che per nient ti no i recevi <n> in ca'.
p r che a' i è trLti, celeradi e caltridi, ch'a' i no te fè · un
a te lf'vavi e se n'anda con Dé, e che ti romagnis co le ma
pien de mo chi; e si so che ti i alberghi in ca, a 't farò la
plG grama fomna che s'atrovi al mond.- E deti sti paròi (78>,
se parti.
Parti t che fo . er Zambò , no pasa dé di , che Bertaz e
:anti, fradèi d er Zambò, arzons a Roma, e tane' i anda
cercand e domandand de ·er Zambò, ch'a 'g fo mostra la
bo tiga. \ edend Bertaz e anti la bela botiga de ser Zam bò,
e che l'era fornida si bé de pagn, a ' i stét fort so ra de : i ,
maravegiando-s (79l grandement com'era pos ibol che l 'avès in
i poc temp fag' tanta bela roba. tand ixi tug' do in si fata
maravegia a ' i e fé dinanz a la botiga, e domanda ch'a' i
votiva parla con r Zambò : ma ghe fo re p6s che no l'era
in ca, gna n e la ter a, ma s'a' i g he besognava · o) qualcosa ,
c h'a' i comanda . Resp6 Bertaz che volentera l'arèf parla
con lu, ma no-s ghe tro and, ch'el parlerèf con la soa moiér ;
e fata ciama madona Felicèta . la vegni in botiga, e tantost
ch'eia vi t Bertaz e anti , ubit ghe dé una fita al cuor ch'a' i
no fo o cognadi. Bertaz, veduda la fomna, dis: - Madona,
sé -f vu la mogiér de Zambò? - E e la ghe respondi (St): - Ma-
de -si ~ - Di in quella fiada Bertaz: - Madona , toché-m la
ma, ch 'a' om fradè i de Zambò, vos marit, e vos cognadi .
- Madona Felicèta, che se recordava de i paròi de ser Zambo
so marit, e in sema ancora de i bastonadi ch'a ' l ghe dava ,
no-g voliva toca la ma ; pur a' i-g dé tanti zançeti {8 2 ) e pa-
roleti, che la ghe toca la ma . - ubit che l' avi tocat la ma
a l'li e a l'alter dis Bertaz: - O cara la me cognada , dé-n
un pò da fa C?laziò, ch'a' se morom da la mala fam.- Ma
la per nient no ghe-n voliva da; pu r in fi a' i savi tant
b n di e tant ben zar la e tant ben prega, che co i so polidi
FAVOLA TERZA -? .
),)
~

pa.ròi e mole ini pregheri < 3l madona Felicèta '>e movi a


ompa iò e s i a' i mena in ca·, e i ghe dé ben da mangia
e mèi da bif, e per zonta (84-J a la-g dé ancora alozament da
d lrmi.
_ o 1 era pa adi apena tre di, che tand Bertaz e 'anti in
razonament co la ognada, er Zambò azon a ca; e avend
. ntut madona Felicèta che l'era Yegnut ol marit, a· la romas
tut ·ontaminada , t:: per la paura che l'aviva, a' la no saviva
·be la dovè fa per che i fradèi no fo vedudi_da ser Zambò .
E. no savend alter che fa, a ' 1. fé <Bsl anda belament in la Ml
cosina, dov'era un a \'è l 'Si ) h e d enter se pela a i porc; e tal
qual l'era, el leva ii e i i fé cazar- la . ot. Vegnud be fo
er Zambò de li e v ùuda la moiér tuta calmanada nel volt,
a 'l tét s vra de i (oB); dapò dis: -Che co a hé-t, eh ' a't v di
1 1 calmanada? Qual co a ghe def esser . rest mai quale
bertò in ca'? -Ma ela ba ament ghe re pondiva che la n
a viva nient. er Zambò pur la o-uardava, e a' si-g di iva: - C rt
ti-m dé avi fag qua l co a. :\vre t mai per ventura i me fradèi
in ca'? - Eia a' la ghe re pò a la (Taiarda che nò. E lu o!
c menza zuga do l bastò a la so u anza. Bertaz e an ti , he
tava sot o! avèl da i porc, sentiva el tug'; e 1 aviva tanta
paura, ch'a'i-s cagava sot, gnè i aviva ardiment de mover-s
gnè crola. er Zam bò, avend mis zò 'l ba tò, se mis anda da
per tug' cercand la ca', s'a'l tr vava vergott; e veclencl h'a ' l
no trovava negu, ol se queta alquant, e e 1111 a fa certi so
facendi p r ca': e ghe stet longament in tal laòr, talment che
da la paura, dal gran cald e da la spuza smesurada dol avèl
da i porc, i pover Bertaz c anti caga l'anima d'angossa.
L 'era zonta l 'ora orma eh ser Zambò soliva anda a la
piaza a fa, com fa i bò marcadant, di facendi; e e < 91 pani
de ca. Partit che fo ser Zambò de a, madona Felicèta anda
al avèl per vedi de manda vir~ i ognadi, a-zò che Zambò no
i trovas in ca; e dese vert ol avèl, a'i tro a tug' do sbasidi,
ch'a'i pariva propriament do 1 orzèi. La povereta, vedencl u
tal la òr , l'entra d'afan in afan. E per che ser Zambò no
. ais (9°1 tal novela, to tament cerca de manda-i fò cl e ca' eh· a'
J. ' OTTE QUL ' TA

no e a is, gnè gne ii 9 1) e n ' vedi . E per quant ho inti ,


in Roma a' l gh ·è un consuét che, trovando-s algii forester
pelegri mort per strada o ne li ca i de qualcu, a' i è levaùi
da certi pizegamort (9 2 ) deputadi a tal ufici, e SI a' i porta .t
le muri de latera, e i a' i tra nol Teyer e i manda a econda.
talment che mai a' no- poi avi gnè no ela gnè imba sacl.t
de lòr. E send anda per sort madona Felicèta a la finestra per
vedi de qualcii so amig da fa manda via i corp mort, per bòna
ventura pa ava ii de sti pizegamort; e i la ghe fé d'at che 'l
ignès a lié, e i a' la ghe fé intender che l'aviva u mort in
ca e che 'l vignès a leva-l e porta-l nol Tever egond ol consuet.
iva per inanz Felicèta tolt u ùe i corp mort de sot dol
a\·èl, · l'avi\·a lassat apres ol avèl in tera; e \·egn ud che fo
de i.i ol pizegamort, la gh'aida a meter ol corp in spala. c
si '93) ghe di gh' a ' l torna ch'a' la 'l pagherèfC9-l). 01 pizega-
mort andat a le muri, o! gittò <95) nol Tever; e, fag' ol servisi,
ol torna da la dona che ghe dé ii fiori: chè tag' ghe egni\'a.
de l'ordenari dol so pagament. Fi ch'o! pizegamort porta via
ol corp mort, madona Felicèta, ch'era caltrida, a iva trat fora
Jol avèl l'alter corp mort, e i l'avia conzat a pè dol avèl
com stava l'alter; e tornat ol pizegamort da mado na Felicèta
per avi ol o pagament, di madona Felicèta, - Hé-t portat
o l corp mort noi Tever? - Respò o l pizegamort: - Madon a,
si.- L' hé-t gita déter?-dis la dona. E Iii ghe re pò :-Com.
se l'ho mi trat déter? E de che sort! - 1 in quella fiada
madona Felicèta:- E c m l' hé-t gità déter nol Tever? Guarda
mò un p6 se l'è ancora qua (9'\). - E guardand o l pizegamort
ol corp mort, e credend verament ch'a 'l fos quel, ol romas
tue' sbigotit e svergognat; e rognand e bia timando-1 tutavia,
el se'l tol in sù li spali e s'el porta su l'arzer, e si ' l gita
anche lU no l Tever, e si o l sté a vedi per un pèz anda a e-
go n da.
Tornand indré ol piçegamort da madona Felicèta per avi
ol pagament, l se incontra in er Zambò, terz fradèl, eh an-
dava a ca; e vedend ol pizegamort ol dét ser Zambò che tant
omegiava a quèi alter che l'aviva porta noi T ever, a 'l ghe
FAVOLA TERZA 237

ven tanta colera. eh· a 'l gita ,.a fu6g e fiama da tu ti C9; ) li bandi:
no podenù. oporta tal coren e credend 'erament ch'a 'l
fos quel che l'aviva za porta noi Tever. e ch'a 'l fos qual he
mal . pirit ch'a 'l tornas indré. ol t ghe mi clré con la m.t-
noela ch'ol aviva in ma. a' i ghe tini inturen la testa a c;Lr
Zambò, digand : - Ah poltrò, manig6ld, che credi-t che tu;..:.·
ancuo te voia sta a porta noi Tever?- e tuta fia (9b1 t'ol ma-
ne. tra va de i fara manera, che 'I pover de ser Zambò a col p i
d bòni ba ton adi anche l ti e n' anda a parla a Pilat. E t lt
in su li spali ol corp, che no l'era qua i bé mort, ol gitta noi
Tever; e ixi Zambò. Bertaz e anti malament fini la vita ova.
E madona Felicèta, intenduda la no la , a' la fo grandem nt
alegra e contenta, ch'a' l'era uscida de tanti travai e retornada
ne la ò liberta com a' l'era per inanz.-
FA L I\·.

M a r ilio erzole ama la Tia, m oglie di Cecalo Rabbo o, ~::d in cas;'l. to


conduce; e mentre t:he ella fa un con iuro al marito. egli chetamente
i fu ge.

lBE EDETTO TRlVI G IA ' O:)

- . la-de canea no , madonna 1 ar na , e v u , bela briga , eh


'" ' n pare? no ' ha-lo portò ben messier ntuogno? no v' ha-l
contò una bela tuoria? Ma , a angue de can, ch'a' me v uò
forzar a n mi de farme ' nore . , ' u altri da le vile aom empre
ntu dir he i gi uomeni ( I ) del mond hi se governa a un
muò e chi a Jlaltro. Ma mi mo ch'a' s n mi e ch ' a ' no
ninte de tetra, a diré con ha za dito (2 ) i nuostri ieci (3) : chi
mal baia, ben solaza. Pazienzia ! a ' far · an mi co i. Ma no
cr i mig-a ch'a' ve dighe t 1 arole per h 'a ' vuoge muzar (4) la
faiga de ontar-v una noela , eh a' n ' he miga paura de no la
aér dire ; anzo la noela che v ' ha ontò mes ier Antuogno con
tanta bela grazia che no e p arzuonzere , m'ha i inanimò ,
eh' a' no ghe vego lume, e i me par mi l' agni a doer corn en-
zare. forsi eh la n sara nan ma nco pia e le e da riso de
la soa: e masimam ntr <sl ch'a' e diré de la struzia <6 l d 'u na
fe mena da la vita che fé una b fa al p ltron de ·o mari ; e
se me stari a scotta re (7) e me dari bona udinzi a, a' entiri de
belo a' ve dir an mi .
A ' J gh ' è oto el tegnire de Piove< l de aco , t rituorio de
Pava - come ch erzo eh a tutì vu supia chiaro - una ila,
ch'a' la domandon almazza; e in elò (9l, za gran tempo fa,
g he soleva abitare un ar ente h 'avea nome Ce ato Rabbo o:
e ben eh' a 'l foès e omazo gruos o del çervelo e de la per-
sona, l' iera perzondena povereto e fidò. to Cecato Rabboso
avea per mogiere una fig1uola d ' una ma saria che e ciama
i Gagiardi , d'una v ita che e domanda Campolongo ; e si gi ra
. Y< L UART.\ 239

z 'ane truta c ltria e maledet e a e nome Ti a: e ùe zonta,


o ltra che l' iera a orta, l' iera anche gaiarda ( Io) de la per on
e ela de 'Ol to, no ghe giera un'altra c ntaina <u J a parechi
megia d'intorno che poè e tare al paregon co ela. E per he
l' iera gagiarda e alente del balare, ognun che la vedea, 'ina-
m rava del fato
rse pure che un zovene bel e ga<Tiard an lu de la
per na, ma çitain gramégo de Pa a, eh se chiama a Mar-
, ilio erzole e, s' inamorò l1 2 J ùe sta Tia ; e i fi ramen 'ina-
m rò, he doe l 'andava (tJ) in su la fe ta al baio, to zovene
empre gh'andava anch'elo (!4): e la maor parte di uo' bali
- e si iè se uti, a' n falerave gnianche- i fa ea co ela.
E ben che sto zo ene foès e inamor de eia el te nia el
mor c so pi ch' ' l poea per no dar d'intendere a la briga
de fu ra via né che dire a negun. Mar ilio apiando h e Cecato
o mari giera povereto e vi ea de le so braze e che da la matina
p er em china la scura se a la orava ora c que to ora
c uel altro a overa, el come nza ar istar la ca' e la Tia;
e c s i helamen el e me tegò co eia, ch'a' l ghe comenza
fa el are . E a ben ch e Mar i lio a ·e e del i br (rs> into ' l o
anemo de pale ar-ghe l'am re ch ' a' l ghe porta a, tamen
niente d e manc l dubitava eh la no e corezasse e eh la
n 'l voè se pi edere per zò che a' no ghe par a che ela ghe
faèsse que la h na ciera che <The p rea ch'el merita se a l' amore
eh' l ghe porta a. E po anche el temea de no esser d co rto
da qualche mala persona, e ch' el faès e intendere a Ce at
mari, e che ecat po ghe faès e qualche d spia re ; per
che se l'i era ben ro o, l'i ra anche zelo o. n agando dri
Mar ilio con gran olecito r ·i itare la a' d ·e ta ea la Tia , e
<TUardandola fi o nel volto a l fé i fatamen che ela e gh' acorz'
1 1

h e el giera inam rò i n ela. ~ perzondena che anche ela per


pur é r pieti ()'h poea far on cier , né mo trare he
anche la <The i era inam ra de e l e 'l ben che la g he vol a,
la e d lea e e to rzea da po ta.
tando un zorn Tia ola a enta ora un z co che gi r
pè de l' u o e fuora de la ca', e avendo la roca oto al braz
c de la ·topa in Yo ia int rno, che la fila\'a IJer la parona
Yenne :\ln.rsilio che pur l· avea fato un ìJUO' de buon cuor e
1 di se a la Tia: -Dio ye sal ve, Tia ben mio. - E la Ti:>

ghe r e po e: - Ben vegné, quel zovene. - "\o :ai-o ( I ò ) - d1 e


l\ far ilio - eh' a' me con. umo tuto c muoro per \'O tro amore,
e vu no v' in fé c nto nè v'in curé del fato me?- a Tia
ghe re pose: -:\Io no ninte m i eh· a' me \·ogié ben.- Di .se
1ar ilio:- \ I se u no 'l sai, con gran dolore p ·ion dt.
·uore ade o mo e-l digo.- E la T ia ghe respondé: -Mo'l
. é be m adesso. - i e in quela volta Ylar ilio: - E u (deh.
di i-me el vero per la vuo:tra cara fe'!) me vuoli-u ben? -
Re p e la T ia: - Pooh ! - i se ~arsilio : - E quanto, e Dio
v 'aia?- s é,- re pondé la Tia. - Di s . [arsilio:- Oimè,
Tia , e u m e \'Oe é <1 7) ben al muò he u me di <1 >, u me ' l
mo trere i con qualche egnale; ma no me ne voli <19) gozo. -
Respose la T ia:- Mo a che muò? - h T ia!- dis e Mar-
ilio,- u 'l ai molto ben enza ch ' a ' e ' l diga. - e- e-m' i' (lo)
ch'a' no 'l sé, 'a' no l me disi. - Di e Mar ili : - Mo a' ve 'l
diré e m e stari a scol ta1·e, e che no l' abiéamale. - LaTia
ghe re pondé: - Di i pure, messi ere. eh' a' ve prometo sul cargo
de l'anema mia che s' el sara co· a <21 > he supia da ben e
a ' n re, ch'a' no n 'arò per male. - Di e Marsilio:- Quando
voli-u eh a' ga lde la tanto vuo tra disia <22 > per ona? - Io
a' vezo ben m o adess - respondé la Ti a, - eh' a me tr gné
e c e 'in trazi d el fat m e. , ' no e convegno n ben a uno:
u a' si çitain de Pav , e mi son containa da la vila· u a' si
rico, e mL on povereta; u a' i gramégo , e mi s n ar entela ;
u a' v ri se de le graméghe, mi a' n de le refu é; u a' i
gal oso co' zuponi lavoré e l calçe in e<Ynolé e tute zopelé co
del drapo de sea oto e mi n vi-u c'ho tuto el g uarnelo
straz , sbrendolò e arpezò? 1 è g' ho altro al mondo co questa
cotoleta e quela bandinela ch'a' me i indosso quando a' vago
d fe ta al baio. U magné pan de fromento e mi del pan de
megìo, de melega e de la polenta, e pur n ' aèss e quan to
a' vuogio. E i on s nza peliza que to inverno, po ereta mi~,
i a ' no é mai com a' faré nianch e, p rchè no gh ' è nè dinari
F.\V L Q'. RTA

nè roba da end ere per poer comprare de le cosse eh' aom


besogno. i'Jè gh' aom tanta biava da magnare, che ne façe (:23)
inchina a Pasqua. è a' sé com a' faronte me co tante caresti
i grande e angari (24J ch'a' convegnon pagare ogni di a Pava.
povereti nu da le vile che n' aom me ben! 'u a' se sten -
ton a goernar le tere e semenar el fromento, e u 'l magné; e
nu povereti a' magnon la melega. u a' bruscon le i e fazon
el vin, e u el bevi; e nu a' beon de le graspi e de l'aqua. -
Disse Mar ilio: - o dubité de questo, ch' a' se u me vuori (:zs}
contentare, a' no e manchera de tuto quelo che ari doman-
dare.- A' disi ben cossi u altri uomini,- respose la Tia, -
inchina ch'a ' fasi el fato vuostro; ma pove n' andé in la ch'a'
no si me pi vezu: e le pov rete femene resta ingané, ber-
tezé e svergogné del mondo; e po v'andé laldando (z6) e la-
vando la boca de' fati nuostri co s' a' fossan ben qualche ca-
rogna trovà into i loamari. A' so ben mi co sai fare u altri
çitaini da Pava. - Di se Mar ilio:- Hos u! basta mo! meton
da un lò le parole e vegnon ai fati. Voli-u far zò ch' a' v'ho
dito?- Respo e la Tia:- .. ndé via, per la bell'amor de D io,
inanzo che vegna el me orno; ché l'è sera (2 7>, e si vegnira a
ca de boto. Torn · doman de di, ch'a' parleron o quanto vori;
a' ve uò ben, i . - E perché l' iera inzargò :fieramen de m-
onar co ela, a 'l no se vole a partire; e ela ghe tornò a di re :
- Andé mo via, se e piase: no sté pi. -Vedendo Marsilio
che quasio (z8) la Tia se scorezava, disse: - té con Dio, Tia,
dolçe anima mia; a ' ve racomando el me cuore, ch'avi in le
vuostre man. - Andé (2 9) con Dio,- respose la Tia, - cara
peranza mia, ch' a' l ' ho ben per recomandò, si. - Ar e-
derse (3o) doman , piasando a Dio , disse Marsilio. - Mo b en,
mo bene - respose la Tia.
Quando fo vegnù doman Marsilio ghe parea mil' agni de
tornare da la Tia; e quando o-he parse he fo egnu l ora 'an-
dare, l'andéacasoaesi trové la Tja ne l'orto chelazapava
e arfossav a certe viatele che l'aéa; e cossi tosto che i s' ave
vezu tuti du, i se salu::i (3rJ e dapò i se messe a ra onare; e
dapò (3 2 l che i ave fa elò un gran pezo de compagnia, dis e

G. F. TRAPAROLA, Le piac~vo/i notti. r6


2 •.p • 'OTTE QU l. "T.\

la Tia a 1arsilio: - Ooman da maitina, speranza mia, Cec,lto


de andare al molin e no tornerà a ca china a l'altra mai ina 1 <» ,
e u, piasando a ·u, ve neri da sera da bass'ora qua ch'a' ·e
• pieterò. 1o vegni senza falo e no me trogné. - uando 1ar-
silio ave intendu i b na noéla, no fu me orno c'aèsse tanta
legrizia co l'ave lu quela fia; e trasse un salto, e tutto aliegro (~4>
e de bona vuogia se parti da la Tia. ubito che Cecato fo
v gnu a ca, la struta (35) femena e he me se incontra; e . i
ghe di se:- Cecato, frelo me bon, besogna andar al molin,
chè no gh' è che magnare. - Resp e Cecato:- fo ben, mo
bene.- A dighe ch'el be ogna andarghe da maitina,- disse
la Tia. Respo e Cecato: - Mo ben, da maitina inanzo di an-
daré a farme imprestar un caro co i buò dai gi uomini dov'a'
laoro, e si vegniré a cargare, e si me n'andaré. In sto mezo,
T ia, andòn a pareciare la biava e in acòn-la, chè da maitina
n' r n altra briga che meterla sul caro e andar ne cantando.
- Mo ben, - respose la Tia; - e i fè a to muò. egnu che
fo doman, Cecato mes e la biava, che l'aéva in acò la sera
inanzo, in su 'l caro e si andé al molin. E er che l' iera da
i df curti e le noti gierono lunghe, e le stré da pioze, fanghi
e giazi (36J tute roviné, el ferdo grande, el puo ero Cecato on-
vegnia star tuta quela note al moli n · e altro no disirava Iar-
silio, né gnanche la Tia.
iando ve nu la scura note, Marsilio, econdo l'ordene che
l'aéa metti co la Tia tol e un bon paro de galine ben governé
e bele cot d l pan bianco e del bon vin senza gozo d'aqua,
che l'avea apareciò inanzo, e e parli de ca'; e co amente per
traverso de' campi andò a la ca' de la Tia. E siando and in
ca', la trovò ul fogolaro a pè del fuogo he la na pava filo
e si se conzò tuti du a magnare; e dap che i ave ben magnò,
s ' and a co lgar (37) in leto tuti du; e '1 puo ero babion de
cato masena\·a la biava al molin, e Mar ilio in leto bura-
tava la farina.
L' icra za damò apareciò de levarse el sole, e si a 'l se
comenzava a s-ciarir (3 l el di, quando i du inamoré se levò
da leto, dubitand che Cecato no i trovasse colghé a un ; e
F. YOLA <.l • RT. 2 3

ta and de briga a fa ·elare un incontra l'altro, no té nè eh


nè he, ch' azonze (39) ecat a ca, tra se un gran ubio (4o)
enanz de la ca, comenzò ciarnare: - Tia , o Ti , impiza
el fuo , eh' a muor de ferd . - La Tia, h e giera scaltria e
ativela co 'l maJano, com l'ave entu veo-nir el o orno, per
paura che n intravegni e qualche male a far ilio, e a la
dano e vergo<Tna, prestamen aver e l'uso, e fè che arsilio
e cond' de drio de l' u o; e con volto alie ro la h' andé
incontra, e i 'l comenz carezare. E apò che Cecato fo entra
in corti , di e a la Tia: - Tia, mo fa un pu de fu go, ' te
vuò, chè son bel azelò da ferdo. Al sangue de an Chinton
che ta note m' he cerzu <4 1 > zelare la u da quel molin, tanto
o- an ferdo ho-gie <42 > a li; e i no n ' he mai pos ù dormire gozo
né pa sar ocio.- La Tia prestamen n ' anda al leo-naro e
pigia oto al br zo una bona fa inaza, he impiza el fuogo ·
e tava malizio amentre al fuo da quel l che ghe p rea he
M r ilio no poè se es er ezu da Ce ato. E ra onando la Tia
d a bon a bon con e ato o mari dis e la Tia:- oh, e-
cato , frelo me bon , mo no v' he-gi (43) da contar una bona
noel ? - Re pose C cato:- 1 che car orore? (44)- Disse
la T i :-Mo no n 'è t chial un puover \:eciarelo, dap eh an-
die i al molin, a domandar-me limu ina per la ell'amor de
i ? e per hé a ghe diè del pan e an he da bevere una cuèla
de vin, no m' ha-lo in egn una razion (45) bela ch'a' no sé
mai quando a' enti se la pi bela in ita mia, da conzurare el
b z ? l' ho-gie anche ben impara.- o che me diré-to? -
dis e Cecato, - di-to da vera?- Di se la Tia: - M i , a la
fe' de compare; e i l' he anche ben a cara. - il , di-la
m - di e Cecato. Ri po e la Tia: - o b sogna, fr lo
ch' a' he upie an u.- Mo a che rnuò?- i e ecato.-
o a' ve ' l diré ben, - dis e la Tia - me tari a coltare.
- 1o a he rnuò? i-m -lo! -re o e ecat , - n m stentar
pi.- Dis e la Tia: - o besogna eh a' ve tendi l uno- de teso
quanto h' a' poi mai e quanto h' a' i longo co 'a' foessé en
morto (che no vorae za per zontena !) , e che lté la te ta e
l spale incontra l' usso e i zenuoci e i piè incontra al eciaro;
244

e si besogna ch'a' ve meta un drapo bianco de lisia in su ' l


alto, e po ch'a' e meta el nuostro quartiero in cavo (46>. -
o 'l no gbe pora andare,- di se Cecato.- i ben, si bene ,
- r e po e la Tia; - e guardé mo!- e tol e el quartiero ch' iera
i elò puoco lunzi, e i gh ' el me e in cavo; e disse: - A 'l
no porae nian tar miegio al mondo de Dio. E po'- disse la
Tia,- besogna che staghe fremo, e ch'a' no ve mo i nè torzé (.HJ
gozo perch' a' no fassan ninte. E mi po toré el nuostro tamiso
in man, e si ve comenzaré sadazare; e cos i sadazandove, a' diré
la razion; e a sto muò a' faron el sconzuro. Mo guardé eh' a'
no ve mo i inchina che no l'abia di a tre fiè, perchè besogna
dirla tre volte sora de vu, e veeré ben s'el buzò dara pi im-
pazo a i nuostri ponzini.- Respose Cecato:- Magari a Dio,
oh fosse 'l (48) vero quel eh' a' te di, eh' a' sospiressam (49) pur
un p u ò. o vi-to ch'a' no posson arlevar ponzini, chè sto
diambera d l buzò o-h' i magna tuti? e a' no ghe posson ar -
levar tanti, che possan tenir paghe (so) i paron nè èndergene (S 1 l
per pagar l angari e comprar de l'uolio (sz) de la sale nè n in-
t'altro (53) per ca?- Mo vi-vo (54),- di se la Tia,- ch'a sto muò
a' se poron aiare i co del nuostro. - Dapò disse a Cecato:
- Mo s u , stendi-ve!- e Cecato se stendé. - Mo stendi-ve
ben !' - dis la Tia·- e Cecato s'aia\ a a longar-se quanto
che 'l poea. -Oh, cossi! -disse la Tia. - E po la pigia un
so drapeselo de lin bianco e neto de lisia, e si ghe covri el
volto . E po la pigia el quartiero Css), e si gh 'l messe in cavo;
po pigia el tamiso, e si 'l comenzà sadazare e a dire la razi.on
he l'aea imparò; che comenza a sto muò:

- Besuco te i, e besuco te fazo;


con questo me tamiso a' te sadazo.
Nè i mjè ponzin, che son ben vinti quatro,
fa ch' el paese né fraza né latro
o gh' entre dentro, nè volpe nè rato
nè 'l mal osel dal beco rampinato.
Ti che se drio quel usso, intiendi il fato:
te no l' intenderé, te parré (56) mato.-
FAV LA o·ARTA 2-+5

Quand eh la Tia fa e el conzur e che la sadaza va el


miso, la tegnia empre gi oci incontra l' u o e fa ea d' ato a
ar ilio, che iera da drio l'u so, che ' l muz, e. Ma el zovene,
h no giera né patrico né sperto, n l' intendea, né 'acorzea a
he fin la Tia fae e cosi fata facenda; e i no e mo ninte.
pe ·ché cato se olea levar in pe', hè l'i ra za mo tufo,
di e alla r 1a:- en he-t compio ? - a la Tia che edea
he ::\1arsilio n movea g zo de dri da quel us o, r spo e
a ecato: - té zo, in malora! no v' he-gio dito eh' el me
besogna sconzurare tre fiè? Pur eh no abian de conz ogni
os a, h' a' ve avi ogiu mu ere. - is e Ce ato:- o miga,
no miga no.- E un'altra fia l' a 'l fé colgare, e eia un'altra
olta comenza l c nzuro n quel propio muò che l' vea fato
inanzo. Mar ilio, he pur avea comprendo come sta ea e l fato,
enza che ecato el ee e nè h' el s ' acorze e, in i fuora de
drio de l'usso. e muzò via de belo. La Tia, dap · h l 'ave
yezù Iarsilio ch e i ra rnuz fuora del corti , l compi de
onzurare el buzò, e fè h' el bee d o mari e le a su de
tera e in ompagnia de la Tia de carg la farina che l' iera e-
o-nua dal molin .
tagando la Tia de fuora nel cortivo e vezando ar ilio
da la longa ch 'anda ea e bon andar , la e me e a cridare
quanto mai de gola he la poea:- eh. aeh. o èl pepé! eh!
aeh. s' te o-h ven s ' te gh v n, a la fe' a la fe ch'a' t faré
andar co la oa a a! eh! te di he. T par eh' el ghe upia
inznrgò? eh' el ghe torn (Si) ancora ta mc la be tia! h te dé
el malan . - sto muò gni olta eh l vegni a el buzò e
ch' el e calava in c rtivo per J ortar ia i ponzini, in prima
l se pelatava on la cioza, po l cioza fa ea el sco nzur ,
el buzò se desfantava e e n 'anda ·a via co la a ba a e no
da ea i impazo ai ponzini de e ato e de la Tia. -
F TO L v.
. ladonna • lodesta, mo lie di me er Tri tan Zanchetto, acquista nella
ua gioventù con di,•ersi aman i gran copia di carpe; dopo', alla vec-
chiezza per enuta, quelle con fami li, basta i t:d altre vi li ime per-
one di pensa.

(LA IG. ORA L ' REZJA :]

- Le malnate ric hezze e i beni per torte vie male acqui-


tati il piu delle v lte in picciol spazio di tempo perisc no,
perciò che per voler di ino ritornano (I) per quello istesso en-
tiero che ono venuti. Il che intra enne ad una pistoie l 2 );
la quale se cosi on ta e a ia, come dis oluta e ciocca,
fu se tata for e non i ragionarebbe di l i come ora i ra-
giona. E quantunque la favola ch ' ora raccontar i intendo, a
noi non molto con enga, perciò h e di lei ne riu cisce diso-
nor e v erg gna che os ura e denigra la fama e la gloria di
quelle che onestament viveno, pur e la dirò ; perciò che a
tempo e luogo ara (dico a cui tocca) picciolo ammaestra-
mento di seguire le bu ne e fuggire le re , la ciandole ne'
lor tri ti e mal agi portamenti.
In Pistoia adunq ue, one tissime donne, antica citta de la
To cana, fu n ' tempi nostri una giovane hiamata madonna
Modesta, il ui nome, per gli suo i bia imevoli co lumi e diso-
n ti portamenti non con eneva alla ua per ona. Co tei era
molto vaga e legO'iadra. ma di picciola con izione; e ave ·a
marit addimandat me er Tri tano Zanchetto , (nome era-
mente corri pendente a lui), il quale era uomo onver e ole
e da bene, ma tutto dato al mercatantare: e le co e ue a sai
on enevolmente gli riu civano. Madonna Mode la, che per
natura era tutto amore, né in altro conti novamente vigilaYa ,
veggendo il marito mercatante, ed e er molto ollecito all e
2.fì

sue mer atanzie, voi e ancora ella principiar un'altra nuo\'a


mercatanzia, ella uale mes er Tristano non fusse consapc-
le. E po tasi ogni giorno er uo diporto ora sopra l'un
balcone, ora sopra l'altro, guatava tutti quelli che indi passa-
ano per trada; e quanti gio anetti ella p ssar vedeva, tutti
con enni e atti incitava ad amarla. E i fatta fu la dilig nza
ua in levare la mercatanzia e a qu lla igilantissimamente
attendere, che non vi era alcuno nella citta, o ricco o povero,
o nobile o plebeo, che non volesse delle sue merci prendere
e gu tare. Venuta adunque madonna Modesta in randi ima
rip utazione c grandezza, dispose al tutto di olere per picciolo
precio a chiunque a lei venisse compiacere; e per sua mercé
altro premio da loro non vole\'a eccetto un paio di scarpe, le
ali fus ino convenevoli alla ualita e condizione di coloro
che i davano seco amoroso piacere . Imperciò che se l'amante
che si solazza a eco, era nobile, ella o leva le scarpe di
velluto; se plebeo, di panno fino; e meccanico, di cuoio puro.
Laonde la buona femina a eva un concorso tale e tan lo, che
1. sua botteg mai vuota n n rimanea. E perciò che ella era
a iovane, bella e appariscente, e picciola era la dimanda che
eli per guidardone richiedeva, tutti i pistoiesi volentieri la
VISitavano, e seco parimente olazza ano prendendo gli ul-
ti n i de ider ti frutti d'amore. A e' madonna Modesta per
premio delle ue tante dolci fatiche e sudori omai empiuto un
amplis imo m gazzino di scarpe; ed era i tanto grande il nu-
mero delle s arpe, e di ogni qualita, che chi fusse stato a
Vinegia e cercato avesse ogni bottega, non arrebbe trovata
la terza parte a comparazione di quelle che vi erano nel ma-
gazzino suo.
A enne che a me ser Tristano suo marito face a bisogno
del magazzino per metter dentro certe sue robbe mercatantesche
che er aventura allora gl' er no opr iunt da diverse partì;
c c hiamata madonna Modesta, sua diletta moglie, 1 hie e le
c 1ìavi del magazzino. Ed ella astutamente, enza far iscusa-
zion alcuna, gliele appres nt . II marito aperse il magazzino;
, credendosi tro arlo vuoto, lo trovò pieno di scarpe, si come
24

abbiamo gia detto, di di rer e qualita. Di che egli rimase tutto


sopra di sé, né imaginare si poteva dove procedesse una
copia di tante scarpe; e chiamata la moglie a sé, interrogolla
dove procedevano quelle tante scarpe che nel magazzino si
tro avan . La savia madonna Modesta gli rispose: - Che vi
pare, messer Tristano, marito mi ? Pen avate forse voi di esser
solo mercatante in que ta citta? Certo e ingannate di gross :
imperciò che ancor le donne se intendono dell'arte del mer-
catantare. E se voi siete mercatante gros o, e fate a sai fa-
cende e grandi, io mi content di queste picciole; e ho po te le
mie mercatanzie nel m gazzino e rinchiuse, acciò che fu sero si-
cure. Voi adunque con ogni studio e diligenza attenderete alle
vostre merci; e io con ogni debita solecitudine e dilettazione
valorosamente attenderò alle mie. - A messer Tristano, che
piu oltre non sapeva né considera a, molto il solle,·ato in-
gegno e l'alto sapere della sua savia e aveduta donna piacque;
e confortolla a seguire animosamente la incominciata impresa.
Continovando adunque madonna Modesta secretamente l'amo -
ro a danza, e rendendole bene 1' essercizio de11a sua dol ce
mercatanzia, divenne tanto ricca di scarpe, che non pur Pi-
stoia, ma ogni grandissima citta arrebbe a bastanza fornita.
Mentre che madonna Modesta fu giovane, vaga e bella ,
mai la mercatanzia le venne meno; ma perci che il vorace
tempo sopra tutte le cose signoreggia, e a quelle dà il prin-
cipio, il mezzo e il fine, madonna Modesta, che prima era
fresca, ritondetta e bella, cangiò la vista, ma non la voglia,
e ' l pelo, e mutò le usate penne e fece la fronte rugosa, il
viso contrafatto, gli occhi lacrimosi, e le mammelle non altri-
menti erano vuote, che sia una sgonfiata ve cica; e quando
ella rideva, faceva si fatte crespe, che ogni uno che fi o la
guatava, se ne rideva e ne prendeva o-randi simo olazzo. Ve-
nuta ad nque m don a Modesta contro 'l uo volere vecchia
canuta, né a rendo piu veruno che l'ama se e corteo-giasse
come prima, e vedendo la mercatanzia delle ue scarpe ces-
sare, molto tra sé stessa si ramarìcava e doleva. E perciò che
ella, dall' incominciamento della sua giovanezza fin' all'ora
FAY LA Qt:L• fA 249

pr __ ·ente, s'a e ·a data alla spuzzolente lussuri.t. del corpo


e della borsa nemica, ed er< i in quella tanto as uefatta e no-
drita quanto mai donna nel mondo si trova e, non era via
né modo che ella a tal vizio a tenere si pote se. E quan-
tunque di di in di mancas e l'umido radicale per lo quale
tutte le piante 'appigliano, er e cono e augumentano, non
però cessava il desiderio di ad ~ mpire il suo malvagio e disor-
inato appetito. \ edendosi adunque madonna Mode ta del gio-
venil favore totd.lmente priva , né piu es er accar zzata né lo-
singata da leggiadri e vaghi giovanetti come prima, fece nuovo
proponimento . E messasi al balcone cominciò vagheggiare
quanti famigli, ba ta i villani, copacamini e poltroni ch'indi
pa . avano; e quanti ne pote ·a avere, tanti ne trae a in ca.a
alla ua divozione , e di loro prendeva il suo consueto piacere.
E si come ella per l'a dietro voleva dagli amanti suoi un paio
di carpe, secondo l' qualita e condizione loro, per premio
della sua insaziabile lussuria, co i pel contrario ella ne do-
nav un paio per guidardone di sua fatica a colui ch'era
maggior gaglioffo e che molto meglio le cuoteva il pellizzone.
Era venuta madonna lode ta a tal condizione, che tutta la
vii canaglia di Pi toia concorreva a lei, hi per prendersene
piacere, chi per beffarla e traggersene di lei, e chi per con
guire il vitup re ole premio che e lla gli donava. é passarono
molti o-iorni, che 'l magazzino , che era pieno di carpe, qua i
vuoto rimase.
A venne che un gior no me ser Tristano vols secretamente
vedere come pas a a la mercatanzi della moglie ua; e prese
le 'hiavi del magazzino, lei nulla apendo, l'apri: ed entra-
tovi dentro, trovò che quasi tutte le scarpe eran smarrite.
Laonde me er Tri tano tutto ammirativo tette alquanto sopra
li sé, pensando come la moo-lie a e se dispensate tante paia
di s arp quante erano nel magazzino. E credend per certo
che la moglie per lo tratto di quelle fus e tutta oro, fra é
~tess ne prendeva consolazione, imaginandosi a qualche suo
bisogno potersene d'alcuna parte prevalere. E chiamatala a
sé, dis ele: - Modesta moglie mia pruden e e savia, oggi
·oTTE ~UL "l.-\

aper i il tuo marr zzino e eder rol i come pr ocedeva la tua


leal mercata nzia; e pen ando c da quell'ora che prima la
vidi , in a que ta fu ero multiptic te le carpe, trovai che
eran diminuite: di che io ne pre i ammirazione non pi ciola.
Dopo nsai che tu le a e i ·endute, e del tratto di quelle
av ti il c nai nelle mani; e mi c nfort i . Il che e co i
fu e, non riputere i poco capitale. - ui m, donna odesta,
non senza alcun rave so piro he dalla intima parte el cuor
procede a, rispo e: - Me ser Tri ano, m rito mio n n v1
mara igliate punt di iò , per i che quelle carpe, che in
tanta abondanza nel ma azzio gia ede te se ne ono andate
per quella i te a via che erano venute; tenete per certo che
le co e mal acqui 'tate in bre e 1 az io di tem po s' annullan .
i che di ci ' n n vi mara igliate punto. - Messer Tri tano,
che la co a non intendeva nma e apra di sé· e temen lo
molto he ali ua mercatanzi a un simil ca o non avenisse,
non vo l in ra ionare piu oltre procedere ; ma quanto ch ' egli
-eppe e puote olecitò che la sua merca tanzia n n veni se al
meno com uella della mogli .
eg endo i madonna :\1od sta mai da o ni sor te d ' uomini
abbandonata, e d elle carpe con tan ta dolcezza guada n te al
tutto pri a p r lo d !ore e pa ione che e lla ne enti , gra-
yemente s' inferm ; e in bre" e spazio di tempo , etica divenuta ,
mi era m nte ne mori. Ed in tal maniera madonna o-
de ta poc a · duta ergogno amente la ua mercatanzia c n
la ita fin i, la ci nd dopo é per altrui e mpio v ituperosa
m moria. -

Conoscendo l'ora e er tarda, la ignora comandò che otto


1 ena d lla di grazia ua niun arti e; e fa tto i chiamare
il i cr eto ini calco li divi ò che n ella camera grande met -
t e le tavole· h é in que to mezzo che i ap parecchias ino
le mense e i cocina e la cena, far ebbono alquanti bali tti.
Finiti adunq u i alli e canta t due c nzonetle , la signora i
le ' Ò in pied i ; e pre i' per mano il ig nor amba ciatore e me ser
Pietro embo, e tutti gli altri e uendo lor ordine, li menò
FAYOLA QUL-TA 2.)!

n ella preparata camera: do e, data l'acqua alle mani, eta cuno


. econdo il gr do e ordine uo , si po e a edere a mensa; e
con buoni e delicati cibi e preciosi e recenti vini , furono tutti
o n ratissimamente serviti. Fornita con lieta festa e con amo-
r osi r agionamenti la pompo a e lauta cena, tutti divenuti piu
llegri che non erano prima, i Jevorono dalle mense e al caro-
lare da capo i dierono. E perciò che ormai la rosseggiante
aurora cominciava apparere, la signora fece accendere i torchi
e sino alla scala accompagnò il ignore ambasciatore, pregan-
dolo che econdo l usato modo venisse al ridotto: e altresi
fece con gli a ltri. -

IL FINE DELLA QUI rTA KOTTE.


VA I TI

I, I - (r) doppo, ed. 155 : - (2) riuscise, ed. 1550; riu cisse, '5 ; - (3) il
mio padre, '58;- (4) portandolo, edd. rsso, 'sr;- (s) luogo, 's ; -
(6) vendicherebbe, '5 ; - (7) fia, 'sr;- ( ) la, '58;- (9) presentita, '5 •
I, 2 - (r) minacie, 'so e 51; - (2) rovina, 's ; - (3) inganno, '5 ; - (4) Pa-
drezzollo, 'so e '51.
I, 3 - (r) avrebbeno, 's ; - (2) derisi, '5 ; - (3) grege, ' so e 'sr.
l, 4 - (1) orecchie, '5 ; - (2) callò, 'so e 'sr;- (3) calzi, '5 ; - (4) spetta-
colo, '5 j - (5) e licenziata, 's8.
I, 5 - (r) di aguaglianza, '5 ; - (2) arrostisono, 'so e 'sr; arrostissono, '5 .
II, 2 - il Molino so tituisce Fiordiana, a cui qui petterebbe di novellare.
- (r) imforosia, 'so e 'sr; Sinforo a, '5 ; - (2) [pag. 76, l. 3: nappo]
bicchiere, 5 ; - (3) [pag. 76, l. 24: giovenezza] giovanezza, ' 5 ; -
(4) de nosetto, '5 .
II, 4 - il Trivigiano sostituisce Lodovica, «da dolor di capo aggravata ».
III, I - (I) [pag. II2, l. 29: sapiale] sappiate, '5 .
III, 2 - (r) a nzacchi, '5
I V, I - (r) pro incia, '5
IV, 3 - (r) si, 'so e '51.
IV, 5 - (r) guisa, '5 .
', 1 - (1) for tuni, '5 ; - (2) io non . on mai p r rendertelo, 's ' ; - (3) de
l alto albore, '5 ; - (4) drezze, 'so e '51.
, 3 - la novella, in luogo di Lauretta, è raccontata dal Molino in dia-
letto bergamasco, per invito della si nora Lucrezia. Un breve glos-
ario per que ta novella trovasi a pp. xxvm-xxx dell'edizione
di Bologna, 1908, vol. II. Diamo qui le varianti principali delle
antiche stampe: (I) madonni:- (2) plu; - (3) impre a; - (4) pacen-
zia; - (5) mei; - (6) contet;; - (7) co i ma pleni; - ( ) osela; (9)- Be
che;- (ro) me;- (r r) donca;- (r2) territorio,- (13) tr ; - (14) so
meiava; - (IS) l'oter; - (r6) possibel, possibil·- (17) cognoscer; -
(r ) co saref;- (19) avia, a iva;- (2o) amò;- (21) pre entit;-
(22) ab be ... de propria;- (23) fameia; - (24) vend ; - (2S) da pò; -
(26) do l mondo; - (27) scansemen; - (2 ) manc; - (29) saltat, ... im-
provis;- (30) talmenter; - (31) fu·- (32) mei;- (33) ca ; - (34) de
VARIA~-TT

za; - 35) altrament; - (36) mal ter; - (37) beretti , - (J ') lung,
(39) allezafosina;- (40 andand; - (41) pista va - (42) nettezza : --
(43) fiada; - (44) tol tre bei fig ; - (4 · ) galdi; - (46) Che d e bi :
(47) un d e quei; - (4 ) talmet; - (49) delibera; - (so) fazanù:
(5 1) mior; - (52) mercadant; - (53) compra, - (54) officiet. -
(55) calze· -(56) far d e le; -(57) s rancli ; - ( -h) pratica; -(59) IJoni
co n . ei; - (6o) moier ; (61) parti t ; (62) sentu ; - (63) n 'a' i; -
(64) calze; - (6 -) la dis; - (66) repezade; - (67) da : - (6 ) povereta .
- \69) la ghe la; -(70) desd egna; (71) la noi, - 72 quru; -(73) m'ld;
- (74) toccava; - (75) so gna mi ; - (76) \'arda; - (77) recivi ;
(7 ) Dite te paròi, - (79) maraveiando- ; (8o) se bisognava; -
( r ) re po. , - ( 2) zanzetti;- ( 3) preghieri ; - ( 4) zon na ; - (85) la
i fé; - ( 6) nella; - ( 7) al bio ; - ( ) té ora de l; - ( 9) ol se. -
(go) a i ; -- (9r) negli ; - (g:2 ) picegamort, pizigamort;- (93) s 'a: -
(94 pagaref , - (95) buta; - (96) e l'è chilò; - (97) tute; - (9.) ti ada .
V, 4 - la no ella, in luogo di Arianna, è raccontata da Benedetto Tri-
vrgrano nella con dinesca lingua,. della marca di Trevi o. n che
per que ta no \'ella si danno l varianti principali delle antiche
tampe, e i rimanda a l glo sario appo ito contenuto nell'edizione di
Bologna, rgo , vol. II, pp. x XIII-xx VI. - (1) giuhu meni, gi-
huomeni ; - (2) co disé, co dise , - (3) viegi; - (4} vogia muzzar; -
(5) mas imamen;- (6) tutia, astutia; - (7) se m ascoltari ; - ( ) Pieve;
-(g) i velò; - (ro) gagiarda; -(n} containa ; (t :2) 'i nam oré, -
(13) on l'anasea; - (r4) anelo ; - (15) delibera; - (r6) no sai ; - (17) se
vu me vossé; - (r.) vu me di i ; - (19) vogi; - (20) m'al ; - (21 ) consa ;
- (:22) de ia; - (23) facci; - (24) tanta carestia si granda e angarie; -
(:25) vu me voré; - (26) Jaudando; (27) che ' l ven era, - (2 ) qu <1si;
- (29) né, - (30) An-eder e;- (Jr) sqlu ' ; - (32) da pò;- (33) ma-
tino; - (34) nlegro. - (35) astuta : - (36) ghiaci; - (3 7) colegare; -
(3 ) chiarar; - (39) zonse; - (40) sobio;- (4 1) cr zu; - (42) heg-
2i.e; - (43) v ' hoggio; - (44) erore; - (45) orazion ; - (46) cao ; -
(47) torzi:- (4 ) fusse 'l;- (49) so pire an; - (so) paghé;- (s r) ven-
derghene; - (5:2) ulio , - (53) nient 'altro; - (54) viu ; - (55) quartaruol;
-(56) pari ; - (57) torna .
V , 5 - la i nora Lucrezia ostituisce Cateruzza, cedendo agli insistenti
inviti di tutta la brigata. - (r) ritorneno, 'so e 'sr;- (2) pi tole e, 'so.
IN ICE

p. ..,
P REFAZI . 'E .

PROEMI
F·wola pri na IT
alardo, figliuol di Rainaldo caalia, . i parte da enova, Ya
a 1onferrato, dove fa ontra tre c 1andamenti del padre lasciatili
per te tamento, e condannato a morte vien liberato ed alla propia
patria ritorna.
Favola ec nda . p. 24
C :;andrin , famosis imo ladro ed arnie del pretore di Perugia,
li fura il Jett ed un suo cavallo leardo; indi, appresenlatoli pre'
eve-
rino in uno saccone legato, diventa uomo da bene e di gran maneggio.
Fa ola t rza . p. 32
Prt' carpa ific , d tre malandrini una ol \'Olta aabb~to, tre fiale
ab!Ja loro: e fin !mente vittori o on la ua Nina lietamente rimane.
F avola uarta p. 40
Tebaldo, prencipe di aterno, vuole Doralice, unica sua figliuola,
per mo lie; la quale, perseguitata dal padr , capita in Inrrhilterra, e
Gene la piglia per moglie, e con lei ha doi figliuoli, che da Tebald
furon uccisi: c 11e Genese re si vendicò.
Favola quinta p. so
Dimitrio bazzari tto, imp to i nome Gramoti ·e o, copre Poli -
sena sua moglie con un prete, ed a' fratelli i lei la manda; da' quai
essend ella uc i. a, Dimitrio h fante prend per moglie.
- OTrE ECO -nA p. 61

Favola prima 63
Galeotto, re d' Anglia, ha un figliuolo nato porco, il quale tre volte
manta; e posta giu la pelle porcina e diventato un belli simo gio-
vane, fu chiamato re porco.
Fav la seconda . p. 70
Filenio S1 terna, scolare, in Bologna vien da tre belle donn e bef-
fato, ed egli con una finta festa di ciascheduna si vendica.
Favola terza . p. Sr
Carlo d' Arimino ama Teodosia, ed ella non ama lui, perciò che
aveva a Dio la verginita promes a; e credendosi Carlo con violenza
abbracciarla, in vece di lei abbraccia pentole, caldaie, schidoni e sco-
vigli: e tutto di nero tinto, da' propi servi viene fieramente battuto.
Favola quarta p. 87
n demonio, sentendo i mantl che si lamentano delle loro mogli,
prende Silvia Ballastro per moglie e Gasparino Boncio per compare
dell'anello: e non potendo con la moglie vivere, si parte ed ntra nel
corpo del Duca di Melfi, e Gasparino suo compare fuori lo scaccia .
Favola quinta
Messer Simplicio de' Ro si s'innamora in Giliola, moglie di Ghi-
rotto Scanferla contadino: e trovato dal marito in casa, vien scon-
ciamente battuto e pisto, ed a casa se ne torna .

... OTTE TERZA p. 103


Favola prima , IOS
Pietro pazzo per virtu di un pesce chiamato tonno, da lui preso
e da morte campato, diviene savio; e piglia Luciana, figliuola di Lu-
ciano re, in moglie, che prima per incantesimo di lui era gravida.
Favola seconda . p . II4
Dal freno re di Tunisi ha due figliuoli: l'uno Listico, e l'altro Li-
voretto chiamato, da poi per nome detto Porcarollo: e finalmente
BeUisandra, figliuola dì Attarante re dì Damasco, 'in moglie ottiene.
Favola terza . p. 127
Biancabella, figliuola di Lamberico marchese di Monferrato, viene
mandata dalla matrigna di Ferrandina, re di Napoli, ad uccidere.
Ma gli servi le troncano le mani e le cavano gli occhi; e per una
biscia viene reintegrata, e a Ferrandina lieta ritorna.
IrDICE 257

Fa ola quart p. I3
Fortunio per una r ice\'llta ingiuria dal padre e dalla madre puta-
tivi i parte; e agabondo capi ta in un bosco, dove trova tre animali
cla' quali per u~ sentenza t: guid donnto; indi, entrato in Polonia,
·o tra, d in premio Doralice figliuola del re in moglie ottiene.
avola quinta p. I49
T o ta, moglie di Lucaferro de' Albani da Ber orno, credendo con
astuzia gabbare Tra vaglino, vaccaro d'Emiliano suo fratel o, per farlo
parer bu.,..iardo perde il poder del marito, e torna a casa con la testa
di un toro dalle corna dora t tutta \'er ogn. ta.

TTE QUARTA. p. 157


Favola prima ,. 159
Ricardo, re di Tebe, ha quattro figliuole: delle quali una va er-
rando per lo mondo, e di Costanza, Costanzo fassi chiamare, e capita
nella corte di Cacco, re della Bettinia, il quale per molte sue prodezze
in moglie la prende.
Favola seconda . p. 170
Erminione l ncio ateniem;e prende ' 1lt:!nia ' nt u ri ne per mo-
gli di e nuto di Id gelo o, l'a eu a in giudicio: e per mezzo d'I p-
polito suo innamorato vien liberata, ed Erminione condannato.
Favola t erza . p. 176
ncilotto, re di Provino, prende per moglie l figliuola d'un for-
naio, e con lei gen ra tre figliuoli; i quali essendo persequitati dalla
madre del re, p r vi rtu d'un'acqua d'un pomo e d'un uccello \·en-
gono in cognizion del padre.
Fa ola quarta p. 189
N e rin o, figliuolo òi Gallese re di Portogallo, innamorato di Ge-
nobbia mo<>"lie di maestro Raim oudo Brunello fisico, ottiene l'amore
suo, ed in Portogallo la conduce· e mae tro Raimondo di cordoglio ne
muore.
avola quinta p. 197
Flam rninio eraldo si parte da stia, e a cercando la morte; e
no n la tro ando, nella vita s' incontra: la qual gli fa vedere la paura
e pr are la morte.

JOTTE Q I fTA p. 205

Favola prima ,. 207


Guerrino, uni co figliuolo di ìlippo Maria re di icilia, libera un
uomo alvatico dalla prigione del padre; e la madre per lemenza del

G. F. TRAPAROLA, Le piacevoli no/h 17


re manda il figliuolo in s ilio. E lo alvatico uomo, fatto domestico,
lib ra Gu errino da molti ed infiniti infortuni.
Fa ola econda . p. 220

Adamantina, figliuola di Ba olana avone e, per virtu di una


poa ola, di Dru i no r di Boemia moglie divenne.
Fa ola terza . p. 227
Bertoldo de alsab ia ha tre figliuoli, tutta tr gobbi d ' una stessa
embianza; uno de' quai è chiamato Zambon e va per lo mondo cer-
cando sua ventura; capita a Roma, ed indi vien morto e 2ittalo nel
Tebro con i duo uoi fratelli.
Favola quarta p. 238
Marsilio Verzolese ama la Tia, moglie di Cecato Rabboso, ed in
casa lo conduce; e mentre che ella fa un scon!tiuro al marito, egli che-
tamente i fugge.
Favola quinta
Madonna Modesta, moglie di m s er Tristano Zanchetto, acqui ta
n ella sua gio entu con di ersi amanti gran copia di carpe; dopo',
alla cchiezza pervenuta, quelle con famigli, bastasi ed altre vilis-
sime persone di pensa.

VARI A TI . p . 253

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