Provvidenza
EMANUEL SWEDENBORG
Adattamento della traduzione di Loreto Scocia (Torino, 1874)
a cura di fondazioneswedenborg.wordpress.com
2018 No copyright – Public domain (apporre il diritto d’autore sul significato interiore della Parola, è offendere il Signore e il cielo)
La presente versione è tratta dalla traduzione di Loreto Scocia, sulla versione originale in
latino edita in Tubinga nel 1855. Trattandosi di un’edizione del XIX sec. sono state
apportate minime variazioni per rendere l’esposizione al passo con la lingua. La presente
opera può essere riprodotta, distribuita, esposta al pubblico e rappresentata con qualsiasi
mezzo e formato con l’espresso divieto di utilizzarla a scopo commerciale e con l’obbligo
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INDICE
Divina Provvidenza
I (§§ 1–26) La Divina Provvidenza è il governo del Divino amore e della Divina sapienza
del Signore……………………………………………………………………………………..pag. 5
II (§§ 27–45) La Divina Provvidenza del Signore ha per fine un cielo formato del genere
umano……………………………………………………………………………………..….pag. 19
III (§§ 46–69) La Divina Provvidenza del Signore guarda all’infinito e all’eterno in tutto
ciò che compie…………………………………………… …………………………………pag. 29
IV (§ 70) Vi sono leggi della Divina Provvidenza che sono ignote agli uomini……..pag. 40
VI (§§ 100–128) È una legge delle Divina Provvidenza che l’uomo allontani dall’uomo
esterno i mali in quanto peccati, come se ne fosse capace con le sue sole forze. Solo così il
Signore può allontanare i mali dall’uomo interno, e allo stesso tempo dall’uomo
esterno…………..…………………………………………………………………………….pag. 60
VII (§§ 129–153) È una legge della Divina Provvidenza che l’uomo non sia costretto con
mezzi esterni a pensare e volere, e di conseguenza a credere e amare le cose che
appartengono alla religione, ma che si guidi da sé, e talvolta vi si costringa…………pag. 78
VIII (§§ 154–174) È una legge della Divina Provvidenza che l’uomo sia guidato e istruito
dal Signore, dal cielo mediante la Parola, la dottrina e le prediche desunte dalla Parola; e
che avvenga in apparenza, come da se stesso…………………………………….………pag. 95
IX (§§ 175–190) È una legge della Divina Provvidenza che l’uomo non percepisca né senta
nulla dell’operazione della Divina Provvidenza, e nondimeno, la conosca e la
riconosca………..…………………………………………………………..……….………pag. 110
X (§§ 191–213) La propria prudenza è nulla ed esiste solo in apparenza, così come deve
essere. La Divina Provvidenza invece include tutto, perché si estende fin nei minimi
dettagli………………………………………………………………………………………pag. 121
XI (§§ 214–220) La Divina Provvidenza considera le cose eterne, e non considera le cose
temporali se in quanto concordano con le cose eterne ……………………………..….pag. 134
XII (§§ 221–233) L'uomo non è introdotto interiormente nelle verità della fede e nei
beni della carità se non in quanto può esservi mantenuto fino alla fine della
vita………………………………………………………………………………….… pag. 147
XIII (§§ 234–274) Anche le leggi di concessione sono leggi della Divina
Provvidenza………………………………………………………………………………...pag. 165
XIV (§§ 275–284) I mali sono permessi per uno scopo, che è la salvezza…………...pag. 196
XV (§§ 285–307) La Divina Provvidenza è presso i malvagi come presso i buoni…pag. 209
XVI (§§ 308–321) La Divina Provvidenza non attribuisce a nessuno alcun male, né alcun
bene. È la nostra prudenza che ci attribuisce l’uno e l’altro……………………...…….pag. 227
XVII (§§ 322–330) Ogni uomo si può riformare e non esiste predestinazione……...pag. 244
XVIII (§§ 331–340) Il Signore non può agire contro le leggi della Divina Provvidenza
perché agire contro queste leggi significherebbe agire contro il suo Divino amore e contro
la sua Divina sapienza, dunque contro se stesso……………………..…………….…...pag. 261
I
La Divina Provvidenza è il governo del Divino amore e della Divina
sapienza del Signore
1. Affinché sia noto cosa sia la Divina Provvidenza, e quale sia il governo del Divino
amore e della Divina sapienza del Signore, è necessario conoscere ciò che è stato detto e
mostrato sul Divino amore e sulla Divina sapienza nell’opera omonima dedicata a questo
soggetto, con riguardo alle seguenti proposizioni:
– nel Signore il Divino amore amore appartiene alla Divina sapienza (nn. 34 – 39);
– il Divino amore e la Divina sapienza non possono che essere in altri oggetti creati da essi
(nn. 47 – 51);
– tutte le cose dell’universo sono state create dal Divino amore e dalla Divina sapienza (nn.
52, 53, 151 – 156);
– tutte le cose dell’universo sono recipienti del Divino amore e della Divina sapienza (nn.
54 – 60);
– il Signore dinanzi agli angeli appare come sole. Il calore che ne procede è l’amore; e la
luce che ne procede è la sapienza (nn. 83 – 98; 296 – 301);
– il Divino amore e la Divina sapienza che procedono dal Signore sono uno (nn. 99 – 102);
– il Signore ab eterno, che è Jehovah, ha creato l’universo e tutte le cose dell’universo da se
stesso e non dal nulla (nn. 282 – 284; 290 – 295).
Queste proposizioni sono dimostrate nella predetta opera Divino Amore e Divina Sapienza.
2. Da queste proposizioni e da quanto è stato detto nella stessa riguardo alla creazione, si
può vedere che il governo del Divino amore e della Divina sapienza del Signore è ciò che
si chiama Divina Provvidenza. Ma poiché la si è trattato della creazione e non della
conservazione dello stato delle cose dopo la creazione – e questa conservazione è il
governo del Signore – perciò questo argomento sarà qui trattato, partendo dalla
conservazione dell’unione del Divino amore e della Divina sapienza, ovvero del Divino
bene e della Divina verità, nelle cose create. La trattazione avverrà in questo ordine:
– I. L’universo, nel suo insieme e nelle singole cose che lo compongono, è stato creato dal
Divino amore attraverso la Divina sapienza.
– II. Il Divino amore e la Divina sapienza procedono come uno dal Signore.
– III. Questo uno è, in una certa immagine, in ogni cosa.
IV. Si deve alla Divina Provvidenza se ogni cosa creata in generale, ed in particolare, è un
tale uno; e se non lo è, che lo divenga.
– V. Il bene dell’amore non è il bene, se non in quanto è unito alla verità della sapienza; e
la verità della sapienza non è la verità, se non in quanto è unita al bene dell’amore.
– VI. Il bene dell’amore che non sia unito alla verità della sapienza, non è il bene in sé, ma
un bene apparente; e la verità della sapienza che non sia unita al bene dell’amore non è la
verità in sé, ma una verità apparente.
– VII. E’ conforme all’ordine Divino che ogni cosa sia distinta in modo tale che sia nel bene
e allo stesso tempo nella verità; oppure nel male e allo stesso tempo nel falso.
– VIII. Ciò che è nel bene e allo stesso tempo nella verità, è qualche cosa; e ciò che è nel
male e allo stesso tempo nel falso, non è qualche cosa.
– IX. La Divina provvidenza del Signore fa in modo che il male ed il falso servano ai fini
dell’equilibrio, della relazione, della purificazione e della congiunzione del bene e della
verità, presso altri.
3. I. L’universo, nel suo insieme e nelle singole cose che lo compongono, è stato creato dal Divino
amore attraverso la Divina sapienza. Che il Signore ab eterno, che è Jehovah, sia, quanto
all’essenza il Divino amore e la Divina sapienza, e che Egli abbia creato l’universo e tutte
le cose dell’universo da Se stesso, è stato dimostrato nell’opera Divino Amore e Divina
Sapienza, da cui risulta questa conclusione, che l’universo con tutte le cose che lo
compongono, è stato creato dal Divino amore, attraverso la Divina sapienza. Nella stessa
opera è stato dimostrato che l’amore senza la sapienza non può nulla; e allo stesso modo,
senza l’amore, la sapienza non può nulla, perché l’amore senza la sapienza, ovvero la
volontà senza l’intelletto, non può pensare nulla, anzi non può vedere, né sentire, né
pronunciare alcunché, ragion per cui l’amore senza la sapienza, ovvero la volontà senza
l’intelletto non può nulla. Ugualmente la sapienza senza l’amore, ovvero l’intelletto senza
la volontà non può pensare nulla, né vedere, né sentire, né pronunciare; perciò la sapienza
senza l’amore, ovvero l’intelletto senza la volontà non può nulla; infatti se si toglie l’amore
non resta più alcuna volere e di conseguenza non rimane alcun fare. Poiché ciò esiste
presso l’uomo quando egli fa qualche cosa, a maggior ragione esiste presso Dio che è
l’amore stesso e la sapienza stessa, allorquando creò e fece l’universo e tutte le sue cose.
Che l’universo nel suo insieme e nelle singole cose che lo compongono sia stato creato dal
Divino amore attraverso la Divina sapienza, se ne può avere conferma da tutti gli oggetti
che si presentano alla vista nel mondo; si prenda in esame anche soltanto qualche oggetto
in particolare, con sapienza e se ne avrà conferma; ad esempio un albero, o il suo seme, o il
suo frutto, o la sua foglia, e raccogliendo la sapienza di cui si dispone, si osservi questo
oggetto con un microscopio, e si vedranno delle meraviglie, gli interiori che non sono
visibili sono ancora più mirabili. Si consideri l’ordine nella sua successione, come dal seme
l’albero cresce fino a un nuovo seme, e si rifletta in ordine alla possibilità che in ogni
successione vi sia uno sforzo continuo di propagazione, poiché l’ultimo è il seme nel quale
vi è la perpetuazione della specie ed il nuovo inizio. Se poi si voglia pensare anche
spiritualmente – cosa possibile, purché lo si voglia – non si vedrà in ciò la sapienza? E
seguitando a pensare spiritualmente, si vedrà che questa fecondità non viene dal seme, né
dal sole del mondo, che è mero fuoco, ma che essa è nel seme, da Dio creatore, cui
appartiene la sapienza infinita, e che non solo era lì quando il seme fu creato, ma che vi è
stata continuamente dopo, essendo la diffusione una perpetua creazione, come la
sussistenza è una perpetua esistenza. E’ come se all’atto si togliesse la volontà, cessando
con ciò l’opera; o se alla parola si togliesse il pensiero, cessando con ciò la parola; o se dal
movimento si togliesse lo sforzo, cessando con ciò il movimento. In altre parole, se
dall’effetto si toglie la causa, l’effetto perisce. In tutto ciò che è stato creato, è stata
impressa una forza, ma tale forza non fa nulla da sé, essa agisce in virtù di colui che l’ha
impressa. Si osservino ancora altri soggetti nel mondo, per esempio un baco da seta,
un’ape o un altro insetto, ed esaminandolo prima naturalmente, poi razionalmente, ed
infine spiritualmente, se si è in grado di pensare profondamente si proverà stupore per
tutto ciò che lo compone. E se si lascia parlare in sé la sapienza, si dirà nella propria
ammirazione, Chi è che non vede in ciò del Divino? Tutto qui appartiene alla Divina
sapienza. Si proverà maggio stupore nel considerare gli usi di tutte le cose che sono state
create; come, nel loro ordine, esse giungono successivamente fino all’uomo, e dall’uomo,
al Creatore, da cui provengono, e che dalla congiunzione del Creatore con l’uomo dipende
il concatenamento di tutte le cose e, se si vorrà riconoscerlo, la conservazione di tutte le
cose. Che il Divino amore abbia creato tutte le cose, ma nulla senza la Divina sapienza, si
vedrà in ciò che segue.
4. II. Il Divino amore e la Divina sapienza procedono come uno dal Signore. Ciò si evince da
quanto è stato dimostrato in Divino amore e Divina sapienza, in particolare nei paragrafi:
– L’essere e l’esistere sono distintamente uno (nn. 1417)
– Nel Signore gli infiniti sono distintamente uno (nn. 1722)
– L’amore senza un connubio con la sapienza non può fare alcuna cosa (nn. 401403)
– L’amore non fa nulla se non in congiunzione con la sapienza (nn. 409410)
– Il calore e la luce spirituali procedenti dal Signore come sole, fanno uno, come il Divino
amore e la Divina sapienza nel Signore sono uno (nn. 99102)
1° Un soggetto non esiste senza una forma, ma la forma stessa fa questo soggetto. Chiunque pensi
razionalmente può vedere che un soggetto non esiste senza una forma, e se esiste, deve
avere una forma; infatti tutto ciò che esiste deriva dalla forma la qualità, l’attributo, la
mutazione di stato e la relazione ed altre simili cose. Pertanto, ciò che non è in una forma
non ammette alcuna affezione, e ciò che non ammette affezione, non ammette alcuna cosa.
È la forma a conferire tutto questo. E poiché tutte le cose che soni in una forma, se la forma
è perfetta, sono in una relazione di reciprocità, come in una catena un anello e legato
all’anello contiguo, ne segue che la forma stessa fa uno, e quindi un soggetto, cui si può
attribuire qualità, stato, affezione, e di conseguenza, qualche cosa, secondo la perfezione
della forma. Un tale soggetto è tutto ciò che si vede con gli occhi nel mondo; e un tale
soggetto è ancora tutto ciò che non si vede, sia nella natura interiore, sia nel mondo
spirituale. Un tale soggetto è l’uomo, ed un tale soggetto è la società umana. Un tale
soggetto è la chiesa, e allo stesso modo un tale soggetto è tutto il cielo angelico, al cospetto
del Signore. In una parola, un tale soggetto è l’universo creato, non solo in generale, ma
ancora in ogni particolare. Affinché tutte le cose, in genere ed in specie siano forme è
indispensabile che Colui che ha creato tutte le cose sia la Forma Stessa, e che da questa
Forma provengano tutte le cose che sono state create in forme; questo è ciò che è stato
dimostrato in Divino amore e Divina sapienza, in particolare nei paragrafi:
– Il Divino amore e la Divina sapienza sono una sostanza ed una forma (nn.4043)
– Il Divino amore e la Divina sapienza sono la Sostanza in sé e la Forma in sé (nn. 4446)
– Il Divino amore e la Divina sapienza nel Signore sono uno (nn. 1422)
– Ed essi procedono dal Signore come uno (nn. 99102)
2° La forma costituisce un soggetto tanto più perfetto quanto più le cose che costituiscono la forma
sono distintamente differenti, e tuttavia unite. Ciò entra difficilmente nell’intelletto, se
l’intelletto non è elevato, giacché l’apparenza è che la forma non può fare uno altrimenti
che per somiglianze e uguaglianza di quelle cose che costituiscono la forma. Ho parlato
più volte con gli angeli intorno a questo soggetto, ed essi mi hanno riferito che questo è un
arcano che i savi tra loro percepiscono chiaramente, ed i meno savi in modo meno nitido.
Ma, la verità è che la forma è tanto più perfetta, quanto più le cose che la compongono
sono distintamente differenti, e nondimeno unite in un modo singolare. Essi confermano
ciò adducendo ad esempio le società nei cieli, le quali nel loro insieme costituiscono la
forma del cielo; e gli angeli appartenenti ad una stessa società, poiché quanto più ciascun
angelo è distintamente sé, e così libero, e per conseguenza ama i compagni di società come
se stesso e in virtù della sua affezione, tanto più la società è perfetta. Essi ancora illustrano
questo arcano con il connubio del bene e della verità; perché quanto più distintamente il
bene ed il vero sono due, tanto più perfettamente possono fare uno. Allo stesso modo,
l’amore e la sapienza. E poiché ciò che è indistinto è confuso, di qui discende ogni
imperfezione nella forma. Ma in che modo più cose perfettamente distinte si uniscano per
fare una cosa sola, essi lo dimostrano adducendo ulteriori esempi, principalmente con ciò
che è nell’uomo, in cui innumerevoli cose sono distinte, e nondimeno unite. Distinte per
involucri ed unite per legamenti. E la stessa cosa è dell’amore e di tutte le cose dell’amore,
nonché della sapienza e di tutte le cose della sapienza, i quali non si percepiscono
altrimenti che come uno. Più ampie spiegazioni su questo soggetto possono rinvenirsi in
Divino amore e Divina sapienza (nn. 1422) e in Cielo e inferno (56, 489). Ciò è stato riferito in
quanto appartiene alla sapienza angelica.
5. III. Che questo uno sia in una certa immagine in ogni cosa creata. Che il Divino amore e la
Divina sapienza, che nel Signore sono uno e procedono da lui come uno, siano in una certa
immagine, in ogni cosa creata, lo si può vedere da quel che in più luoghi è stato
dimostrato in Divino amore e Divina sapienza, e principalmente in quanto si legge ai
paragrafi nn. 4751, 5460; 282284; 290295; 316318; 319326; 349357. In questi paragrafi è
stato dimostrato che il Divino è in ogni cosa creata, perché Dio Creatore, che è il Signore ab
eterno, ha prodotto da Sé medesimo il sole del mondo spirituale, e per questo sole, tutte le
cose dell’universo. Che di conseguenza, questo sole che è stato prodotto dal Signore, e nel
quale è il Signore, è non soltanto la prima, ma anche l’unica sostanza, da cui provengono
tutte le cose; ed essendo l’unica sostanza, ne consegue che essa è in ogni cosa creata, ma
con un’infinità varietà, secondo gli usi. Ora poiché nel Signore sono il Divino amore e la
Divina sapienza, e nel sole procedente da lui, il Divino fuoco e il Divino splendore, e dal
sole il calore spirituale e la luce spirituale, e questi due fanno uno, ne risulta che questo
uno è in una certa immagine, in ogni cosa creata. Quindi, tutte le cose che sono
nell’universo si riferiscono al bene ed alla verità, nonché alla loro congiunzione, ovvero
all’amore e alla sapienza, ed alla loro congiunzione; perché il bene appartiene all’amore e
la verità alla sapienza. Infatti l’amore chiama bene tutto ciò che è suo; e la sapienza chiama
verità tutto ciò che è suo. Che la loro congiunzione sia in ogni cosa creata, si vedrà in
seguito.
6. Molti riconoscono che vi è una sostanza unica, che è anche la prima, da cui derivano
tutte le cose, ma qual è questa sostanza non si sa; si crede che sia tanto semplice che non vi
è nulla di più semplice, e che essa possa essere paragonata la punto che non ha alcuna
dimensione, e che da un numero infinito di tali punti siano derivate le forme dotate di
dimensione. Ma questa è un’illusione originata dall’idea dello spazio, poiché è da questa
idea che appare un tale punto piccolissimo; eppure, non risponde al vero che quanto più
una cosa sia semplice e pura, tanto più essa è completa e piena. Questa è la ragione per cui
quanto più si osserva interiormente un oggetto, tanto più vi si scoprono cose mirabili,
perfette e belle. Che sia così è perché la prima sostanza viene dal sole spirituale che, come
si è detto, procede dal Signore e nel quale è il Signore. Così l’unica sostanza è questo sole
che, non essendo nello spazio, è tutto in tutte le cose, nelle più grandi, e nelle più piccole
dell’universo creato. Poiché questo sole è la sostanza prima e unica, da cui proviene ogni
cosa, ne consegue che in essa vi sono cose infinitamente più numerose di quanto appaia
nelle sostanze che ne derivano, le quali si definiscono, sostanziate ed infine, materie. Il fatto
che le prime non appaiono in queste ultime è perché esse discendono da questo sole per
gradi di un duplice genere, secondo i quali decrescono tutte le perfezioni. Quindi come si è
detto prima, quanto più interiormente si considera un oggetto, tanto più vi si scoprono
cose mirabili, perfette e belle. Questo, per dimostrare che il Divino è in una certa immagine
in ogni casa creata, ma che questa immagine affievolisce nella stessa misura in cui si
discende per i gradi, e si estingue quando il grado inferiore è separato dal grado superiore
dall’occlusione causata dalle materie terrestri che ostruiscono. Ma questo non può che
apparire oscuro a meno che non si abbia cognizione e comprensione di ciò che è stato
dimostrato in Divino amore e Divina sapienza in merito al sole spirituale, ai gradi spirituali e
alla creazione dell’universo (nn. 83172; 173281; 282357).
7. IV. È dalla Divina provvidenza che ogni cosa creata sia in generale e in particolare, un tale
uno, e se non lo è, che lo divenga. In ogni cosa creata vi è qualcosa del Divino amore e della
Divina sapienza, ovvero che in ogni cosa creata vi è il bene e la verità, o la congiunzione
del bene e della verità. Perché il bene si riferisce all’amore e la verità alla sapienza, come si
è detto sopra (n. 5) perciò in seguito invece dell’amore e della sapienza spesso si dirà il
bene e la verità, e invece dell’unione dell’amore e della sapienza, il connubio del bene e
della verità.
8. Dal precedente paragrafo è evidente che il Divino amore e la Divina sapienza, che nel
Signore sono uno, e procedono dal Signore come uno, sono in una certa immagine, in ogni
cosa creata da lui. Si farà ora qualche cenno intorno a questo uno, ovvero al connubio del
bene e della verità.
I. Questo connubio è nel Signore stesso, perché come si è detto, il Divino amore e la Divina
sapienza in lui sono uno.
II. Esso viene dal Signore perché in tutto quel che procede dal Signore vi è l’amore e la
sapienza saldamente uniti; questi due procedono dal Signore come sole, il Divino amore
come calore e la Divina sapienza come luce.
III. Essi sono ricevuti dagli angeli distintamente, ma vengono congiunti presso di loro dal
Signore. Lo stesso avviene presso gli uomini della chiesa.
IV. È dall’influsso dell’amore e della sapienza procedenti come uno dal Signore presso gli
angeli del cielo e presso gli uomini della chiesa, e dalla ricezione di questo amore e di
questa sapienza da parte degli angeli e degli uomini della chiesa, che il Signore nella
Parola è chiamato sposo e marito, ed il cielo la chiesa sono chiamati sposa e moglie.
V. Quanto più il cielo e la chiesa in generale, e l’angelo del cielo e l’uomo della chiesa nel
particolare, sono in questa unione, ovvero nel connubio del bene e della verità, tanto più
sono immagine e somiglianza del Signore, perché questi due nel Signore sono uno, anzi
sono il Signore.
VII. In che modo questi due facciano uno nell’uomo è stato dimostrato in Divino amore e
Divina sapienza, parte quinta, dove si è trattato della creazione dell’uomo, e segnatamente
della volontà e dell’intelletto, rispettivamente con il cuore ed i polmoni (nn. 385432).
9. In che modo poi essi facciano uno nelle cose che sono al di sotto e al di fuori
dell’uomo, tanto in quelle che sono nel regno animale, quanto in quelle che sono nel regno
vegetale, si dirà in seguito. Ora è opportuno che questi tre punti siano esposti per primi:
Primo, in tutte e le singole cose dell’universo che sono state create dal Signore vi è il
connubio del bene e della verità. Secondo, questo connubio, dopo la creazione è stato
disgiunto. Terzo, è dalla Divina provvidenza che quel che è stato disgiunto divenga uno, e
che così il connubio del bene e della verità venga ristabilito. Questi tre punti sono stati
dimostrati ampiamente in Divino amore e Divina sapienza perciò non sono necessari ulteriori
approfondimenti. Ciascuno può vedere in virtù della ragione che il connubio del bene e
della verità, essendo dalla creazione in tutte le cose create, e questo connubio essendo poi
stato disgiunto, il Signore opera continuamente affinché sia ristabilito; di conseguenza, la
restaurazione e quindi la congiunzione dell’universo creato con il Signore per mezzo
dell’uomo, sono opera della Divina provvidenza.
10. V. Che il bene dell’amore non è il bene se non in quanto è unito alla verità della sapienza; e la
verità della sapienza non è la verità se non in quanto è unita al bene dell’amore. Il bene e la verità
derivano ciò dalla loro origine. Il bene nella sua origine è nel Signore, allo stesso modo
della verità, perché il Signore è lo stesso Bene e la stessa Verità; e questi due in lui sono
uno. Ne consegue che il bene presso gli angeli nel cielo e presso gli uomini nel mondo, non
è il bene in sé, se non in quanto è congiunto alla verità; e la verità non è la verità in sé se
non in quanto è congiunta al bene. Che ogni bene ed ogni verità derivino dal Signore, è
noto; quindi poiché il bene fa uno con la verità, e la verità con il bene, affinché il bene sia il
bene in sé e la verità sia la verità in sé, è necessario che facciano uno nel recipiente, vale a
dire, l’angelo del cielo e l’uomo nel mondo.
11. È noto che tutte le cose nell’universo sono in relazione con il bene e con la verità,
giacché per il bene s’intende ciò che universalmente abbraccia e concerne tutte le cose
dell’amore; e per la verità s’intende ciò che universalmente abbraccia e concerne la
sapienza. Ma non è noto ancora che il bene è nulla se non è unito alla verità, e che la verità,
allo stesso modo, è nulla se non è è unita al bene. In apparenza sembra che il bene sia
qualche cosa senza la verità, e che la verità sia qualche cosa senza il bene, e nondimeno,
non è così. Infatti l’amore, il cui prodotto si definisce bene, è l’essere della cosa; e la
sapienza, il cui prodotto è la verità, è l’esistere della cosa che procede da questo essere,
come è stato dimostrato in Divino Amore e Divina Sapienza (nn.1416). Pertanto siccome
l’Essere senza l’Esistere non è qualche cosa, né l’Esistere senza l’Essere è qualche cosa, così il
bene senza la verità e la verità senza il bene non sono qualche cosa. Infatti che cosa è il
bene senza una relazione con qualche cosa? Si può forse chiamare bene? Certamente esso
non appartiene ad alcuna affezione, né ad alcuna percezione; ciò che congiuntamente al
bene influisce e si fa percepire e sentire, si riferisce alla verità, perché fa riferimento a ciò
che è nell’intelletto. Dichiarare astrattamente a qualcuno il bene, e non già questa o quella
cosa è un bene, significa privare il bene di qualunque significato o valore. Ma da questo o
quello oggetto che si percepisce essere uno con il bene, esso è qualche cosa. Tuttavia esso
non si unisce al bene in altro luogo se non nell’intelletto; e tutto l’intelletto si riferisce alla
verità. la stessa cosa è della volontà; la volontà senza il sapere, il percepire ed il pensare ciò
che l’uomo vuole, non è qualche cosa, ma congiunta con questi tre, diventa qualche cosa.
Tutta la volontà appartiene all’amore e si riferisce al bene. E tutto il sapere, il percepire ed
il pensare appartiene all’intelletto e si riferisce alla verità. Dunque è evidente che volere
non è qualche cosa, ma volere questo o quello è qualche cosa. Similmente è per l’uso,
perché l’uso è il bene. L’uso se non è determinato in una cosa con la quale faccia uno, non è
un uso, così non è qualche cosa. L’uso trae dall’intelletto il suo qualche cosa, e quel che poi
si congiunge o si aggiunge all’uso si riferisce alla verità, da cui l’uso deriva la sua qualità.
Da queste poche spiegazioni si può vedere che il bene senza verità non è qualche cosa, né
la verità senza il bene è qualche cosa. Si è detto che il bene con la verità e la verità con il
bene, sono qualche cosa, da cui segue che il male con la falsità e la falsità con il male non
sono qualche cosa, infatti questi sono apposti ai primi, e l’opposto distrugge, e qui
distrugge il qualche cosa. Ma di questo soggetto si dirà in seguito.
12. Esiste un connubio del bene e della verità nella causa, ed esiste un connubio del bene
e della verità dalla causa nell’effetto. Il connubio del bene e della verità nella causa è il
connubio della volontà e dell’intelletto, ovvero dell’amore e della sapienza; in tutto ciò che
l’uomo vuole e pensa e quindi conclude e si propone di realizzare, vi è questo connubio.
Questo connubio entra nell’effetto e lo produce, ma nel realizzare l’effetto sembrano due
cose distinte, perché il simultaneo produce il successivo. Come quando l’uomo ha la volontà
ed il pensiero di alimentarsi, di vestirsi, di procurarsi un alloggio, di fare un negozio o
un’opera, di conversare; allora simultaneamente vuole e pensa, o conclude e concepisce un
determinato proposito. Quando ha determinato queste cose negli effetti, allora l’una segue
l’altra; ciò nondimeno nella volontà e nel pensiero esse fanno continuamente uno. Gli usi
in questi effetti appartengono all’amore ovvero al bene; i mezzi necessari a compiere gli
usi appartengono all’intelletto, ovvero alla verità. Ciascuno può confermare questi principi
generali con esempi specifici, purché percepisca distintamente ciò che si riferisce al bene
dell’amore e ciò che si riferisce alla verità della sapienza, e distintamente ciò che si riferisce
ad essi nella causa e nell’effetto.
13. Si è detto alcune volte che l’amore costituisce la vita dell’uomo, ma con ciò non
s’intende l’amore separato dalla sapienza, ovvero il bene separato dalla verità nella causa;
perché l’amore separato o il bene separato non è qualche cosa. Quindi l’amore che
costituisce la vita intima dell’uomo, la quale viene dal Signore, è l’amore e la sapienza
insieme. Anche l’amore che costituisce la vita dell’uomo in quanto recipiente non è l’amore
separato nella causa, ma esso stesso nell’effetto, poiché l’amore non si può intendere senza
la sua qualità, e la sua qualità è la sapienza. La qualità, ovvero la sapienza, non può
esistere che dal suo essere, che è l’amore, quindi ne consegue che sono uno. Parimenti per
il bene e la verità. Ora poiché la verità viene dal bene, come la sapienza deriva dall’amore,
perciò entrambi considerati insieme, si chiamano amore o bene, in virtù del fatto che
l’amore nella sua forma è la sapienza, ed il bene nella sua forma è la verità. Dalla forma e
non altrimenti, deriva ogni qualità. Da queste spiegazioni ora si può vedere che il bene
non è affatto il bene se non in quanto è unito alla sua verità, e che la verità non è affatto la
verità se non in quanto è unita al suo bene.
14. VI. Che il bene dell’amore separato dalla verità della sapienza non sia il bene in sé, ma sia un
bene apparente; e che la verità della sapienza separata dal bene dell’amore non sia la verità in sé, ma
sia una verità apparente. Invero, non esiste alcun bene, che sia il bene in sé, se non è unito
alla sua verità; né alcuna verità, che sia la verità in sé, se non è unita al suo bene.
Ciò nondimeno, esiste un bene separato dalla verità, ed una verità separata dal bene;
questo ha luogo presso gli ipocriti e gli adulatori, i malvagi di ogni specie e presso coloro
che sono nel bene naturale, senza essere in alcun bene spirituale; gli uni e gli altri possono
fare del bene alla chiesa, alla patria, alla società, ad un concittadino, ai poveri, ai bisognosi,
alle vedove e agli orfani, e possono ancora intendere le verità, pensarle in virtù
dell’intelletto, parlare di esse ed insegnarle in virtù del pensiero, e nondimeno, questi beni
e queste verità non sono tali interiormente, di conseguenza non sono beni e verità in sé,
presso costoro, ma sono beni e verità esteriormente e solo in apparenza, in quanto sono
tali solo per sé e per il mondo e non per lo stesso bene e per la stessa verità; dunque non in
virtù del bene e della verità, in quanto essi appartengono unicamente alla bocca e al corpo
e non al cuore; e possono essere paragonati ai rifiuti, o al legno marcio, o al letame
ricoperti di oro e d’argento. E le verità affermate possono essere paragonate al soffio della
respirazione che si dissipa, o ad un fuoco fatuo che svanisce, sebbene esteriormente
appaiono genuine; esse sono tali presso loro, ma possono apparire altrimenti presso coloro
che ascoltano e le ricevono senza sapere, senza conoscere la loro autentica natura, perché
l’esterno influenza ciascuno secondo il proprio intimo. Infatti la verità, da qualunque
bocca sia profferita, è udita da ciascuno ed è recepita dalla sua mente, secondo la stato e la
qualità di essa. Così pure presso coloro che sono nel bene naturale in virtù dell’indole
ereditata dagli ascendenti, e non sono in alcun bene spirituale, essendo l’interno di ogni
bene, spirituale; e questo spirituale dissipa le falsità e i mali; viceversa il naturale li
favorisce; ora, favorire i mali e le falsità, e fare il bene non concorda.
15. Se il bene può essere separato dalla verità, e la verità dal bene, e se una volta separati,
possono nondimeno apparire come bene e verità, è perché l’uomo ha la facoltà di agire,
che chiamasi libertà, e la facoltà di comprendere che chiamasi razionalità; è in ragione
dell’abuso di queste due facoltà che l’uomo può può apparire esteriormente in modo
differente da come egli è interiormente. Di conseguenza il malvagio può fare il bene e dire
il vero; e il diavolo può mostrarsi come angelo di luce. Ma in merito a questo soggetto si
vedano in Divino Amore e Divina Sapienza, i seguenti articoli:
• L’origine del male viene dall’abuso delle facoltà che sono proprie dell’uomo e che si chiamano
razionalità e libertà (nn. 264270)
• Queste due facoltà sono sia presso i malvagi, sia presso i retti (n. 425)
• L’amore senza il connubio con la sapienza, ovvero il bene senza il connubio con la verità,
non può far niente (n. 401)
• L’amore non fa nulla se non in congiunzione con la sapienza, ovvero con l’intelletto (n. 409)
• L’amore si congiunge alla sapienza, ovvero all’intelletto, e fa in modo che la sapienza, ovvero
l’intelletto, sia reciprocamente congiunto (nn. 410412)
• La sapienza, ovvero l’intelletto, dalla potenza che gli conferisce l’amore, può elevarsi fino a
percepire le cose che appartengono alla luce procedente dal cielo, e riceverle (n. 413)
• L’amore parimenti si può elevare fino a ricevere le cose che appartengono al calore
procedente dal cielo, se ama la sapienza, sua sposa, in questo grado (n. 414415)
• Altrimenti l’amore ritrae la sapienza, ovvero l’intelletto dalla sua elevazione, affinché agisca
come uno con essa (nn. 416418)
• L’amore non si purifica nell’intelletto se non si elevano insieme; anzi si contamina
nell’intelletto e dall’intelletto se non si elevano insieme (nn. 419421)
• Cosa è la carità nei cieli (n. 431)
16. VII. Il Signore non tollera che alcuna cosa sia divisa; perciò ogni cosa deve essere nel bene e
allo stesso tempo nella verità, o nel male e allo stesso tempo nella falsità. La Divina Provvidenza
del Signore si prefigge principalmente che l’uomo sia nel bene ed in pari tempo nella
verità, e si adopera per questo fine, poiché l’uomo è il suo bene e il suo amore, ed altresì la
sua verità e la sua sapienza. Infatti grazie a ciò l’uomo è uomo, poiché è ad immagine del
Signore; tuttavia, mentre vive nel mondo, l’uomo può essere nel bene ed allo stesso tempo
nella falsità, e può anche essere nel male ed allo stesso tempo nella verità, ed essere nel
male e in pari tempo nel bene, come diviso in se stesso. Poiché questa divisione distrugge
l’immagine di Dio nell’uomo e di conseguenza l‘uomo stesso, la Divina Provvidenza del
Signore si adopera in tutte ed in ciascuna delle sue operazioni affinché questa divisione
non avvenga; e siccome è meglio per l’uomo essere nel male e nello stesso tempo nella
falsità, piuttosto che essere nel bene e contemporaneamente nel male, il Signore permette
che l’uomo si trovi in quello stato, non per sua volontà, non potendosi a ciò opporre in
vista del fine, che è la salvezza. L’uomo può essere nel male ed allo stesso tempo nella
verità, e il Signore non vi si oppone a motivo del fine, che è la salvezza, perché l’intelletto
dell’uomo si può elevare nella luce della sapienza e scorgere le verità, o riconoscerle
allorché le ode, mentre il suo amore resta in basso. In tal modo l’uomo può trovarsi con
l’intelletto nel cielo, ma con l’amore nell’inferno. Non si può impedire all’uomo di essere
tale, perché non gli si possono togliere le due facoltà per le quali egli è uomo e si distingue
dalle bestie, e solo grazie alle quali può essere rigenerato e in questo modo salvato: la
ragione e la libertà, in virtù delle quali l’uomo può agire secondo la sapienza, ed agire
altresì secondo un amore che non appartiene alla sapienza. In virtù della sapienza,
dall’alto è in grado di riconoscere l’amore che è in basso, e così i pensieri, le intenzioni, i
desideri, di conseguenza i mali e le falsità, ed anche i beni e le verità della sua vita e della
sua dottrina, senza la cui conoscenza e consapevolezza in se stesso egli non è in grado di
riformarsi. Di queste due facoltà abbiamo già trattato, ed in seguito se ne dovrà ancora
trattare. Questa è la ragione per cui l’uomo può essere nel bene e nello stesso tempo nella
verità, così come nel male ed insieme nella falsità; e può essere nel bene ed in pari tempo
nella falsità, ed ancora nel male e nel bene, alternativamente.
17. In questo mondo, l’uomo può difficilmente pervenire all’una o all’altra unione, vale a
dire a quella del bene e della verità, o a quella del male e della falsità, perché, finché vive,
si trova in uno stato di riforma o di rigenerazione. Ma dopo la morte ogni uomo perviene
all’una o all’altra unione, perché allora egli non può più riformarsi o rigenerarsi. Egli resta
affine alla sua precedente vita nel mondo, vale a dire del tutto simile a ciò che è stato in lui
l’amore dominante. Se dunque la vita dell’amore del male lo ha dominato, allora gli viene
tolta ogni verità acquisita nel mondo, da un maestro o dalla Parola. Rimossa la verità, egli
s’imbeve – come una spugna, di acqua – della falsità che concorda col suo male; al
contrario, se in lui ha prevalso la vita dell’amore del bene, allora viene rimossa ogni falsità
acquisita nel mondo, ascoltando o leggendo, e che non aveva confermato in se stesso;
invece della falsità gli viene data una verità che concorda col suo bene. Questo è il
significato delle parole del Signore: Toglietegli il talento, e datelo a colui che ha dieci talenti;
perché a chiunque ha, sarà dato, affinché abbia in abbondanza, ma a chi non ha, sarà tolto anche
quel che ha (Matteo 25:28, 29. 13:12. Marco 4:25. Luca 8:18; 19:24 – 26).
18. Se ognuno, dopo la morte, deve trovarsi nel bene ed in pari tempo nella verità, o nel
male ed al tempo stesso nella falsità, è perché il bene ed il male non possono unirsi, né il
bene con la falsità del male, né il male con la verità del bene, poiché si tratta di opposti, e
gli opposti si combattono tra loro, finché l’uno finisce col distruggere l’altro.
Nell’Apocalisse, queste parole del Signore alla chiesa dei Laodicesi si rivolgono a coloro
che sono nel male ed al tempo stesso nel bene: « Io conosco le tue opere: tu non sei né fredda,
né fervente. Oh fossi tu fredda o fervente! Ma poiché sei tepida, e né fredda né calda, io ti vomiterò
dalla mia bocca. » (Ap. 3:15, 16). E anche queste parole del Signore: « Nessuno può servire due
padroni; o odierà l’uno ed amerà l’altro, oppure si legherà all’uno e trascurerà l’altro » (Matteo
6:24).
19. VIII. Ciò che è nel bene ed al tempo stesso nella verità è qualche cosa, e ciò che è nel male ed in
pari tempo nella falsità è nulla. Che quel che è nel bene ed al tempo stesso nella verità sia
qualche cosa, è già stato detto (n. 11); ne consegue che il male, ed in pari tempo la falsità,
non sono nulla. “Essere nulla” significa non avere alcuna potenza né alcuna vita spirituale.
Coloro che sono nel male ed in pari tempo nella falsità, e si trovano dunque all’inferno,
hanno in verità una certa potenza in se stessi, poiché il malvagio è capace di fare del male,
in mille modi. Tuttavia egli non può fare del male ai malvagi che in virtù del male, ma in
nessun modo ai buoni; e se riesce – come talvolta accade – a far del male ai buoni, ciò
avviene a causa dell’unione con qualche male presente in questi ultimi. Da ciò provengono
le tentazioni, che sono lotte dei malvagi presso i buoni, da cui derivano conflitti grazie a
cui i buoni possono essere liberati dai loro mali. Dato che i malvagi non hanno alcuna
potenza, tutto l’inferno al cospetto del Signore , non solo è come nulla, ma è assolutamente
nulla in quanto al suo potere; che ciò sia così, molte esperienze me lo hanno confermato.
Ma quel che è sorprendente è che tutti i malvagi si credono potenti, e che tutti i buoni si
credono impotenti: ciò deriva dal fatto che i malvagi confidano nella propria circospezione
ed astuzia, e nella propria malvagità, e non nel Signore; mentre i buoni non attribuiscono
nulla alla propria prudenza, ma tutto al Signore, che è Onnipotente. Che il male e la falsità
non sono nulla, è anche perché in essi non vi è alcunché della vita spirituale: questa è la
ragione per cui la vita degli abitanti dell’inferno non si chiama vita, ma morte. Quindi,
poiché tutto ciò che è qualcosa fa parte della vita, essere qualcosa non può far parte della
morte.
20. Coloro che sono nel male e al tempo stesso nella verità si possono paragonare alle
aquile che volano in alto, e che cadono allorché vengono loro tolte le ali. Questo è il loro
destino dopo la morte: una volta divenuti spiriti, gli uomini che hanno compreso le verità,
ne hanno parlato e le hanno insegnate, e nonostante ciò nella loro vita non hanno in
nessun modo rivolto i loro sguardi a Dio, con le loro facoltà intellettuali si elevano in alto,
e talvolta entrano nei cieli e fingono di essere angeli di luce; ma quando vengono spogliati
delle loro verità e gettati fuori, cadono nell’inferno. Le aquile indicano questi uomini
rapaci, che hanno la vista intellettuale, mentre le ali significano le verità spirituali. Si è
detto che tali sono coloro che nella loro vita non hanno in nessun modo rivolto i loro
sguardi a Dio: rivolgere gli sguardi a Dio nella vita significa semplicemente pensare che
questo o quel male è un peccato contro Dio, e perciò non commetterlo.
21. IX. La Divina Provvidenza del Signore fa sì che il male e la falsità servano per l’equilibrio, la
relazione e la purificazione, e per l’unione del bene e della verità negli altri. Da quel che si è detto
precedentemente, si può comprendere che la Divina Provvidenza del Signore opera
continuamente, affinché nell’uomo la verità sia unita al bene, ed il bene alla verità, perché
questa unione è la chiesa ed è il cielo. Infatti questa unione è nel Signore ed è in tutte le
cose che procedono dal Signore. In virtù di questa unione il cielo si chiama connubio, ed
anche la chiesa: ragion per cui il regno di Dio, nella Parola, viene paragonato al
matrimonio. È in virtù di questa unione che il sabato, nella chiesa israelita, era la cosa più
santa del culto, poiché esso stava a indicare tale unione: perciò nella Parola, e in tutte ed in
ciascuna delle sue parti, vi è il connubio del bene e della verità (riguardo a questo
connubio, si veda la Dottrina della Nuova Gerusalemme sulla Sacra Scrittura, dal n.80 al
n.90). Il connubio del bene e della verità deriva dal connubio del Signore con la chiesa, ed
il connubio del Signore con la chiesa deriva dal connubio dell’amore e della sapienza nel
Signore, poiché il bene appartiene all’amore, e la verità alla sapienza. Da ciò si comprende
che il proposito eterno della Divina Provvidenza è di unire nell’uomo il bene alla verità, e
la verità al bene, poiché così l’uomo si unisce al Signore.
22. Ma dato che molti hanno infranto e infrangono questo connubio, principalmente per
la separazione della fede dalla carità — poiché la fede appartiene alla verità e la verità
appartiene alla fede, e la carità appartiene al bene ed il bene alla carità — in questo modo
uniscono in se stessi il male e la falsità, e sono divenuti e divengono lacerati interiormente.
Nondimeno, il Signore fa in modo che essi servano all’unione del bene e della verità in
altri, tramite l’equilibrio, la relazione e la purificazione.
23. Il Signore provvede all’unione del bene e della verità negli altri grazie all’equilibrio tra
il cielo e l’inferno. Infatti dall’inferno promana continuamente il male e in pari tempo la
falsità, e dal cielo promana continuamente il bene e contemporaneamente la verità. Ogni
uomo, finché vive nel mondo, è tenuto in questo equilibrio, e grazie ad esso nella libertà di
pensare, di volere, di parlare e di agire, libertà in cui è capace di riformarsi. (Circa questo
equilibrio spirituale, in virtù del quale l’ uomo trova la sua libertà, si veda il trattato Cielo
e Inferno, dal n. 589 al n.596, e dal n. 597 al n. 603).
25. Il Signore provvede all’unione del bene e della verità negli altri mediante la
purificazione, che avviene in due modi: per tentazione e per fermentazione. Le tentazioni
spirituali non sono altro che combattimenti contro i mali e le falsità che promanano
dall’inferno che esercitano la loro influenza: grazie ad esse l’uomo si purifica dai mali e
dalle falsità, ed in lui il bene si congiunge al vero, e la verità al bene. Le fermentazioni
spirituali si compiono in molti modi, nei cieli così come sulle terre; ma nel mondo si ignora
ciò che esse siano e come accadano. Infatti sono mali e nello stesso tempo falsità, che,
immessi nelle società, agiscono come i fermenti immessi nelle farine e nei mosti, in virtù
dei quali gli eterogenei si separano e gli omogenei si congiungono, creando purezza e
chiarezza. È a tali fermentazioni che alludono queste parole del Signore: « Il Regno dei cieli
è simile al lievito che una donna, dopo averlo preso, lo chiuse entro tre staia di farina, finché il tutto
fosse lievitato » (Matteo 13:33; Luca 13:21).
26. A questi usi provvede il Signore per mezzo dell’unione del male e della falsità, la quale
si trova in coloro che sono all’inferno, poiché il regno del Signore, non è soltanto sul cielo,
ma governa anche l’inferno, è il regno degli usi; e la Provvidenza del Signore fa sì che là
non vi sia alcuna persona, né alcuna cosa, da cui e per cui non si possa trarre un uso.
II
La Divina Provvidenza del Signore ha per fine un cielo formato del genere
umano
27. Che il cielo non sia formato da angeli creati fin dal principio, e che l’inferno non
provenga da qualche diavolo che, creato come angelo di luce, sia stato precipitato dal
cielo, ma che il cielo e l’inferno provengano dal genere umano — il cielo da coloro che
sono nell’amore del bene e quindi nell’intelligenza della verità, e l’inferno da coloro che
sono nell’amore del male e quindi nell’intelligenza della falsità — è un fatto a me noto e
provato grazie ad una frequentazione di lunga durata con gli angeli e gli spiriti. (Intorno a
questo soggetto, si veda anche ciò che è stato esposto nel trattato Cielo e inferno, dal n. 311
al n. 316, nonché ciò che è stato detto nell’opuscolo Ultimo Giudizio, dal n. 14 al n. 27; e in
Continuazione sull’Ultimo Giudizio e sul mondo spirituale). Ora, poiché il cielo proviene dal
genere umano, ed esso è la coabitazione col Signore per l’eternità, ne consegue che il cielo
è stato per il Signore il fine della creazione; e poiché è stato il fine della creazione, esso è
anche il fine della sua Divina Provvidenza. Il Signore non ha creato l’universo per sé, ma
per coloro con i quali vuole essere nel cielo, poiché l’amore spirituale è tale che vuol dare
ad altri il suo, e per quanto possibile, è altrettanto presente nel suo essere, nella sua pace e
della sua beatitudine. L’amore spirituale deriva ciò dall’Amore Divino del Signore, che è a
lui simile, ma ad un grado infinito. Ne consegue che l’Amore Divino, e quindi la Divina
Provvidenza, ha per fine un cielo composto da uomini divenuti angeli, e che divengono
angeli, a cui il Signore possa dare tutte le beatitudini e le felicità che appartengono
all’amore ed alla sapienza, in virtù della presenza di se stesso in loro. Egli non può
altrimenti, perché la sua immagine e somiglianza sono presenti in essi fino dalla creazione;
la sua immagine è la sapienza, e la sua somiglianza è l’amore; ed il Signore in essi è
l’amore unito alla sapienza, e la sapienza unita all’amore; ovvero, in altri termini, il bene
unito alla verità e la verità unita al bene. Di questa unione abbiamo già trattato nel
paragrafo precedente. Tuttavia, siccome si ignora cosa sia il cielo in generale ovvero presso
molti, e cosa nel particolare, ovvero in un individuo, e si ignora cosa sia il cielo nel mondo
spirituale e cosa nel mondo naturale, e nondimeno, è necessario saperlo, perché il cielo è il
fine della Divina Provvidenza, desidero chiarire l’argomento in questo ordine:
I. Il cielo è l’unione col Signore.
II. L’uomo, fin dalla sua creazione, è capace di congiungersi sempre più al Signore.
III. Quanto più l’uomo si congiunge al Signore, tanto più diviene savio.
IV. Quanto più l’ uomo si congiunge al Signore, tanto più diviene felice.
V. Quanto più l’ uomo si congiunge al Signore, tanto più distintamente realizza la propria
identità, e tanto più chiaramente si accorge di appartenere al Signore.
28. I. Il cielo è l’unione col Signore. Il cielo non è tale in virtù degli angeli, ma in virtù del
Signore, poiché l’amore e la sapienza in cui si trovano gli angeli, e che costituiscono il
cielo, non provengono da loro, ma dal Signore, anzi sono il Signore che è in loro. Poiché
l’amore e la sapienza appartengono al Signore, e sono il Signore nel cielo, e l’amore e la
sapienza costituiscono la vita stessa degli angeli, è altresì evidente che la loro vita
appartiene al Signore, anzi è il Signore. Che gli angeli ricevano la loro vita dal Signore, lo
sostengono essi stessi; perciò è evidente che il cielo è l’unione col Signore. Ma siccome
l’unione col Signore è di vario genere, e quindi il cielo in un angelo non è simile al cielo in
un altro, ne consegue che la natura del cielo varia secondo la natura dell’unione col
Signore. Nel paragrafo seguente vedremo che può esservi un’unione sempre più stretta col
Signore, ed anche un’unione sempre più remota. A questo punto dobbiamo dire qualcosa
intorno a questa unione, come essa si compie e quale è la sua natura. Vi è una reciproca
unione del Signore con gli angeli, e degli angeli col Signore: il Signore influisce nell’amore
della vita degli angeli, e gli angeli ricevono il Signore nella sapienza, e grazie a ciò si
uniscono reciprocamente al Signore. Tuttavia deve essere ben chiaro che agli angeli
sembra di unirsi al Signore come se ciò avvenisse tramite la loro stessa sapienza, mentre è
il Signore che li attrae a sé grazie alla sua sapienza, poiché la loro sapienza proviene dal
Signore. Ciò equivale a dire che il Signore si congiunge agli angeli tramite il bene, e che gli
angeli si congiungono reciprocamente al Signore tramite la verità, poiché ogni bene si
riferisce all’amore, ed ogni verità alla sapienza. Ma siccome questa unione reciproca è un
mistero che pochi possono intendere se non viene spiegato, desidero perciò, per quanto è
possibile, trattarlo in modo tale da facilitarne la comprensione. Nel trattato Divino amore e
Divina sapienza, nn. 404 e 405, abbiamo mostrato come l’amore si congiunge alla sapienza,
specificamente grazie al desiderio di conoscere, da cui nasce il desiderio della verità, dal
desiderio di comprendere, da cui risulta la percezione della verità, e dal desiderio di
vedere ciò che si sa e si comprende, da cui ha origine il pensiero. Il Signore influisce in
tutti questi desideri, che sono come ramificazioni dell’amore della vita di ciascuno, e gli
angeli ricevono questo influsso nella percezione della verità e nel pensiero. Infatti è in
questa percezione e in questo pensiero che l’influsso si manifesta loro, e non nei desideri.
Le percezioni ed i pensieri appaiono agli angeli come appartenenti a loro, benché essi
derivino dalle affezioni che provengono dal Signore, perciò sembra che gli angeli si
congiungano reciprocamente al Signore, benché sia il Signore che li attrae a sé, poiché è lo
stessa affezione a produrre queste percezioni e questi pensieri. Vale a dire che l’affezione
che appartiene all’amore ne è l’anima: infatti non sì può percepire né pensare alcunché
senza affezione, ed ognuno percepisce e pensa secondo la propria affezione. Di
conseguenza è evidente che l’unione reciproca degli angeli col Signore non proviene da
loro, anche se appare così. Tale è, allo stesso modo, l’unione del Signore con la chiesa, e
della chiesa col Signore, chiamata matrimonio celeste e spirituale.
30. Il cielo del Signore nel mondo naturale si chiama chiesa, e l’angelo di questo cielo è
l’uomo della chiesa unito al Signore; quest’uomo, una volta uscito dal mondo, diviene
angelo del cielo spirituale. Quindi ciò che si è detto del cielo angelico si deve intendere
anche del cielo umano, che si chiama chiesa. L’unione reciproca col Signore, che costituisce
il cielo nell’uomo, è stata rivelata dal Signore in questo passo di Giovanni: «Dimorate in me,
ed io in voi; chi dimora in me, ed io in lui, porta molto frutto; perché senza di me non potete far
nulla» (Giovanni 15:4, 5, 7).
31. Da queste spiegazioni è evidente che il Signore è il cielo, non solo in via generale
(presso tutti nel cielo), ma anche in modo particolare (presso ciascuno). Ogni angelo è
realmente un cielo in miniatura; e il cielo, in generale, si compone di tanti cieli quanti sono
gli angeli. Su questo argomento, vedasi il trattato Cielo e inferno, dal n.51 al n.58. Stando
così le cose, nessuno deve incorrere questo errore, in cui molti cadono non appena
considerano tale argomento: vale a dire che il Signore risiede nel cielo fra gli angeli,
ovvero che egli dimora presso di loro come un re nel suo regno. Egli appare sopra di essi
come il sole spirituale; ma secondo la vita del loro amore e della loro sapienza, egli è in
loro.
33. Diremo brevemente come l’uomo può congiungersi sempre più al Signore, e in che
modo questa unione può apparire sempre più intima.
1° Come l’uomo può congiungersi sempre più al Signore. Ciò non avviene tramite la sola
scienza, né grazie alla sola intelligenza, e neppure per la sola sapienza, ma in virtù della
vita congiunta alla scienza, all’intelligenza ed alla sapienza. La vita dell’uomo è il suo
amore, e l’amore è di più specie: in genere vi è l’amore del male e l’amore del bene;
l’amore del male è l’amore di commettere adulterio, di vendicarsi, di ingannare, di
bestemmiare, di privare gli altri dei loro beni. L’amore del male prova voluttà e piacere nel
pensare a queste azioni e nel farle. Questo tipo di amore ha tante ramificazioni, che ne
costituiscono le affezioni, quante sono le azioni malvagie in cui tale amore viene a
determinarsi; e le percezioni e i pensieri di questo amore sono altrettanto numerosi quanto
le falsità che favoriscono questi mali e li giustificano. Queste falsità sono una sola cosa col
male, come l’intelletto è una sola cosa con la volontà: essi non sono separati l’uno
dall’altro, perché l’uno appartiene all’altro. Ora, poiché il Signore fluisce nell’amore della
vita di ciascuno e – tramite le nostre affezioni – nelle percezioni e nei pensieri, e non
viceversa, come si è detto più sopra, ne consegue che Egli non si può congiungere a noi se
non nella misura in cui l’amore del male con le sue affezioni, che sono le cupidità, è stato
rimosso. Poiché tali cupidità dimorano nell’uomo naturale, e l’uomo sente, in virtù del suo
stato di uomo naturale, di agire da se stesso in tutto ciò che fa, egli deve allontanare, come
se fosse lui stesso ad agire, i mali di questo amore. Più riesce ad allontanarli, più il Signore
gli si avvicina e si congiunge a lui. Ognuno, in virtù della ragione, può rendersi conto che
le cupidità coi loro piaceri chiudono le porte al Signore, e che esse non possono essere
aperte dal Signore finché l’uomo stesso le tiene chiuse, e dal di fuori preme e spinge per
non permettere loro di aprirsi. Che sia l’uomo stesso a dover aprire, è indicato dalle parole
del Signore nell’Apocalisse: « Ecco, io sto alla porta e busso; se qualcuno ode la mia voce ed apre
la porta, io entrerò, e cenerò con lui, ed egli con me » (Ap. 3:20). È dunque evidente che, nella
misura in cui l’uomo rifugge dai mali come diabolici e avversi all’ingresso del Signore, in
pari misura egli si congiunge al Signore. Si congiunge ancor più strettamente al Signore
chi li aborrisce come altrettanti diavoli neri ed infuocati, poiché il male e il diavolo sono la
stessa cosa, e la falsità del male e satana sono una cosa sola. L’influsso del Signore ha
luogo nell’amore del bene e nelle sue affezioni, e per loro tramite nelle percezioni e nei
pensieri, la cui verità procede dal bene in cui l’ uomo si trova ed agisce; così l’influsso del
diavolo e dell’inferno si trova nell’amore per il male e per le sue affezioni, che sono le
cupidità, e tramite loro nelle percezioni e nei pensieri, la cui falsità deriva dal male in cui si
trova l’uomo.
2° In che modo questa unione può apparire sempre più intima. Quanto più i mali sono stati
allontanati dall’uomo naturale, che li ha rifiutati e presi in odio, tanto più l’uomo si
congiunge al Signore; e poiché 1’amore e la sapienza, che sono il Signore stesso, non si
trovano nello spazio — poiché l’affezione che appartiene all’amore, ed il pensiero che
appartiene alla sapienza, non hanno nulla in comune con lo spazio — il Signore appare
più vicino in proporzione all’unione tramite l’amore e la sapienza. Viceversa, egli appare
più lontano in proporzione al rifiuto dell’amore e della sapienza. Nel mondo spirituale lo
spazio non esiste, ma le distanze e le prossimità sono apparenze derivanti dalla
somiglianza o dalla diversità delle affezioni, poiché, come si è detto, le affezioni che
appartengono all’amore, ed i pensieri che appartengono alla sapienza, e che in se stessi
sono spirituali, non sono nello spazio (si veda in proposito ciò che è stato mostrato in
Divino Amore e Divina Sapienza, dal n. 7 al n. 10; dal n. 69 al n. 72, e altrove). L’unione del
Signore con l’uomo che si è allontanato dai mali è indicata da queste parole del Signore: «
I puri di cuore vedranno Dio » (Matteo 5:8), e da queste: « Chi ha i miei precetti e li osserva,
presso di lui farò dimora » (Giovanni 14:21, 23.). Avere i precetti significa conoscere, ed
osservarli significa amare; poiché si dice ancora in questo passo: « Chi osserva i miei precetti,
questi è che mi ama. »
35. Non si deve credere, tuttavia, si possa ricevere la sapienza in ragione dell’erudizione,
perché si percepiscono in una certa luce e se ne può parlarne con intelligenza, a meno che
questa sapienza non sia unita all’amore, poiché l’amore la produce con le sue affezioni. Se
non è unita all’amore, essa è come una meteora nell’aria che svanisce, come una stella
cadente; ma la sapienza unita all’amore è come la luce permanente del sole e come una
stella fissa. L’uomo possiede l’amore della sapienza nella misura in cui aborrisce la turba
diabolica, cioè i desideri del male e della falsità.
36. La sapienza di cui diveniamo consapevoli è la percezione della verità in virtù
dell’affezione per essa; principalmente l’affezione per la verità spirituale, poiché c’è la
verità civile, la verità morale e la verità spirituale. Coloro che hanno la percezione della
verità spirituale in virtù dell’affezione per essa, posseggono anche la percezione della
verità morale e la percezione della verità civile, perché l’affezione per la verità spirituale è
l’anima di queste percezioni. Ho parlato talvolta della sapienza con gli angeli, i quali mi
hanno detto che la sapienza è l’unione col Signore, perché il Signore è la sapienza stessa; e
che in questa unione viene a trovarsi colui che tiene l’inferno lontano da sé, nella misura in
cui lo rifiuta. Mi hanno detto anche che essi rappresentano la sapienza come un magnifico
ed ornatissimo palazzo, in cui si entra salendo per dodici gradini. Nessuno accede al
primo gradino se non con l’aiuto del Signore, in virtù dell’unione con lui. Ognuno sale
secondo il suo grado di unione e, man mano che ascende, percepisce che nessuno è savio
per sua propria virtù, ma in virtù del Signore; inoltre ciascuno si rende conto che le cose
che conosce, paragonate con quelle che non sa, sono come gocce d’acqua in confronto ad
un grande lago. I dodici gradini nel palazzo della sapienza indicano ciò che è bene unito a
ciò che è vero, e ciò che è vero unito a ciò che è bene.
37. IV. Quanto più l’uomo si congiunge al Signore, tanto più diviene felice. Quel che si è detto
(dal n. 32 al n. 34) circa i gradi della vita e della sapienza, secondo l’unione col Signore, si
può parimenti dire dei gradi della felicità. Infatti le felicità, ossia le beatitudini e i piaceri,
si elevano nella misura in cui i gradi superiori della mente, che si chiamano grado
spirituale e grado celeste, si aprono nell’uomo; e questi gradi, dopo la sua vita nel mondo,
crescono eternamente.
38. Nessun uomo immerso nei piaceri che derivano dalle cupidità del male può sapere
alcunché dei piaceri delle affezioni del bene in cui si trova il cielo angelico, poiché questi
due generi di piaceri sono assolutamente opposti fra loro interiormente, e quindi nel loro
aspetto esteriore. Tuttavia, in superficie essi differiscono poco, infatti ogni amore ha i suoi
piaceri, anche l’amore del male in coloro che sono nelle corrispondenti cupidità, come
l’amore di commettere adulterio, di vendicarsi, di defraudare, di rubare, di abbandonarsi
alla crudeltà; ed ancora, nei più malvagi, di bestemmiare le cose sante della chiesa, e di
spandere veleno contro Dio. La sorgente di questi piaceri è l’amore di dominare in virtù
dell’amore di sé. Questi piaceri derivano dalle cupidità che ossessionano gli accessi più
profondi della mente, da cui scorrono nel corpo stimolando cose impure che eccitano le
nostre fibre. Quindi, dal piacere della mente, secondo le cupidità, nasce il piacere del
corpo. In cosa consistano e quali siano le cose impure che eccitano le nostre fibre, è
concesso ad ognuno di saperlo dopo la morte, nel mondo spirituale: si tratta, in generale,
di cose simili a cadaveri, escrementi, sterco, cose puzzolenti e fetide, poiché i loro inferni
traboccano di tali immondizie, che sono corrispondenze (si veda in Divino Amore e Divina
Sapienza, dal n. 422 al n. 424). Tuttavia, dopo che l’uomo entra nell’inferno, questi turpi
piaceri si trasformano in crudeli tormenti. Abbiamo detto queste cose affinché si possa
comprendere in cosa consiste e qual’è la felicità del cielo, di cui ora tratteremo, poiché ogni
cosa si conosce dal suo opposto.
39. Le beatitudini, i rapimenti, i piaceri e le delizie, in una parola le felicità del cielo, non
si possono descrivere con parole, ma nel cielo si possono avvertire tramite sensazioni
percettibili. Infatti ciò che viene percepito solo con sensazioni non si può descrivere,
perché non può adattarsi chiaramente alle idee del pensiero, e quindi neppure alle parole.
L’intelletto può solamente vedere le cose pertinenti alla sapienza o alla verità, e non quelle
pertinenti all’amore o al bene. Perciò le gioie celesti sono inesprimibili, anche se si trovano
sullo stesso grado ascendente della sapienza. Le loro varietà sono infinite, e ciascuna è al
di là di ogni descrizione: questo mi è stato detto, e l’ho percepito. Ma queste felicità
entrano in noi nella misura in cui ci allontaniamo dalle cupidità dell’amore del male e
della falsità, come se ciò avvenisse con le nostre forze, mentre è la forza del Signore ad
agire. Infatti queste felicità sono le gioie delle affezioni del bene e della verità, e queste
affezioni sono opposte alle cupidità dell’amore del male e della falsità. Le gioie proprie
delle affezioni di ciò che è bene e vero trovano il loro principio dal Signore; così
dall’intimo si diffondono nelle nostre parti inferiori fino alle più remote. In questo modo
esse riempiono l’angelo, e fanno sì che egli sia – per così dire – nient’altro che gioia. Tali
gioie, in infinite varietà, si trovano in ogni affezione per ciò che è bene e vero,
principalmente nell’affezione per la sapienza.
40. Non si possono paragonare fra loro i piaceri derivanti dalle cupidità del male con i
piaceri delle affezioni per il bene, perché nelle prime si cela il diavolo, mentre all’origine
delle seconde vi è il Signore. Dovendo fare un paragone, i piaceri delle cupidità del male si
possono paragonare ai piaceri delle rane negli stagni e a quelli dei serpenti nei luoghi
insani; mentre i piaceri derivanti dalle affezioni per il bene si possono paragonare alle
delizie che l’animo prova nei giardini in fiore. Infatti, cose simili a quelle che attraggono le
rane e i serpenti piacciono anche, nell’inferno, a coloro che si trovano invischiati nelle
cupidità del male; e cose simili a quelle che dilettano gli animi nei giardini e nelle aiuole di
fiori, piacciono anche nei cieli a coloro che desiderano il bene. Come abbiamo detto in
precedenza (nn. 3839), tramite le corrispondenze le cose impure attraggono i malvagi, e le
cose pure attraggono i buoni.
41. È quindi evidente che quanto più l’uomo si congiunge al Signore, tanto più diviene
felice; questa felicità, tuttavia, si manifesta raramente nel mondo, perché l’uomo si trova in
uno stato naturale, ed il naturale non comunica con lo spirituale per continuità ma tramite
corrispondenze. Questa comunicazione si avverte solo per una certa tranquillità e pace
dell’animo, che si prova soprattutto dopo i combattimenti contro i propri mali. Ma quando
l’uomo, alla sua morte, abbandona lo stato naturale ed entra nello stato spirituale, allora le
gioie sopra descritte si manifestano gradualmente.
42. V. Quanto più l’ uomo si congiunge al Signore, tanto più distintamente realizza la propria
identità, e tanto più chiaramente si accorge di appartenere al Signore. Si potrebbe pensare che,
quanto più ci si congiunge al Signore, tanto meno si è consapevoli della propria identità
personale. Tale credenza è comune a tutti i malvagi, ed anche a coloro che, su basi
religiose, sono convinti di non trovarsi sotto il giogo della legge, e che nessuno sia capace
di fare volontariamente il bene. Questi possono solo credere che il fatto di non poter
pensare e volere il male, ma unicamente il bene, significa non appartenere più a se stessi.
Poiché coloro che sono uniti al Signore non vogliono né possono pensare e volere il male,
essi, fuorviati da tale apparenza, ne deducono che ciò equivale a non appartenere più a se
stessi, benché ciò sia assolutamente il contrario della verità.
43. Vi è una libertà infernale ed una libertà celeste. La libertà infernale significa poter
pensare e volere il male e, nella misura in cui le leggi civili e morali non lo impediscono,
poterlo pronunciare e compiere; la libertà celeste, al contrario, è poter pensare e volere il
bene e, per quanto è possibile, pronunciarlo e compierlo. Tutto ciò che l’uomo pensa,
vuole, pronuncia e compie in virtù della libertà, egli lo percepisce come suo, poiché ogni
libertà deriva per ognuno dal suo amore. Quindi, coloro che si trovano nell’amore del
male sentono solo che la libertà infernale è la libertà stessa, mentre coloro che dimorano
nell’amore del bene percepiscono che la libertà celeste è la libertà stessa: di conseguenza,
gli uni e gli altri sono convinti che la libertà opposta è schiavitù. Tuttavia nessuno può
negare che o l’una, o l’altra sia la vera libertà, poiché due libertà tra loro opposte non
possono essere entrambe autenticamente libertà. Inoltre non si può negare che essere
guidati dal bene significhi essere liberi, e che essere guidati dal male significhi essere in
uno stato di schiavitù. Essere guidati dal bene, infatti, vuol dire essere guidati dal Signore,
ed essere guidati dal male vuol dire essere guidati dal diavolo. Poiché tutto ciò che l’uomo
fa in virtù della propria libertà gli sembra essere suo, perché proviene dal suo amore
(come si è detto, agire conformemente al proprio amore significa agire liberamente), ne
deriva che l’unione col Signore fa si che l’uomo senta di avere libertà, e quindi identità.
Quanto più aumenta l’unione col Signore, tanto più egli è libero, e quindi tanto più è
consapevole della propria identità. Il senso di identità si accresce perché l’Amore Divino
vuole che ciò che è suo sia donato agli altri, cioè agli uomini e agli angeli: tale è ogni amore
spirituale, soprattutto l’Amore Divino. Inoltre il Signore non costringe mai nessuno,
perché tutto ciò a cui si è costretti non appare come proprio; e ciò che non appare come
proprio non può far parte del nostro amore, né di conseguenza essere considerato come
nostro. Perciò l’uomo è continuamente guidato dal Signore nella libertà, ed il suo processo
di riforma e di rigenerazione si realizza nella libertà. Ma di ciò si tratterà meglio in seguito;
si veda anche quel che si è già detto più sopra (n. 4).
44. Quanto all’uomo, poi, se tanto più distintamente è consapevole della propria identità,
quanto più chiaramente si accorge di appartenere al Signore, è perché quanto più è
congiunto al Signore, tanto più diviene savio, come si è già mostrato (dal n. 34 al n. 36). La
sapienza insegna ciò, e ne fa acquisire la consapevolezza. Gli angeli del terzo cielo, che
sono i più savi fra gli angeli, giungono perfino a percepirlo, e lo definiscono come la
libertà medesima. Essi chiamano schiavitù il sentirsi padroni di se stessi; e lo spiegano col
fatto che il Signore non influisce immediatamente in ciò che la loro sapienza li rende
capaci di percepire e di pensare, ma nelle affezioni del loro amore per ciò che è bene, e
attraverso queste affezioni nelle loro percezioni e pensieri. Essi percepiscono tale influsso
nell’affezione che dà impulso alla loro sapienza. Quindi tutto ciò che essi pensano in virtù
della sapienza sembra provenire dagli stessi angeli, come se appartenesse loro. In tal modo
si effettua la reciproca congiunzione.
45. Poiché la Divina Provvidenza del Signore ha come scopo un cielo formato dal genere
umano, ne consegue che essa ha per fine l’unione del genere umano col Signore (nn. 28
31). Essa inoltre, ha come obiettivo che l’uomo si congiunga sempre più in prossimità a lui
(nn. 3233), in modo tale che l’uomo possa avere un cielo più interiore. Essa si prefigge
altresì che 1’uomo, grazie a questa congiunzione, divenga più savio (nn. 3436) e più felice
(nn. 3741), perché l’uomo può entrare nel cielo in virtù, ed in misura corrispondente alla
sapienza; e acquisisce ancora per mezzo di questa, la felicità. Essa inoltre, ha per fine che
l’uomo sia sempre più consapevole della propria identità, e che al tempo stesso si accorga
sempre più chiaramente di appartenere al Signore (nn. 42.44). Tutte queste cose
appartengono alla Divina Provvidenza del Signore, perché costituiscono il cielo, che ne è
lo scopo.
III
La Divina Provvidenza del Signore guarda all’infinito e all’eterno in tutto
ciò che compie
46. Nel mondo cristiano è noto che Dio è infinito ed eterno, poiché nella dottrina della
Trinità – che prende il suo nome da Atanasio – si dice che Dio Padre è infinito, eterno ed
onnipotente, così come Dio Figlio e Dio Spirito Santo. Ciononostante non vi sono tre esseri
infiniti, eterni e onnipotenti, ma Uno solo. Quindi, poiché Dio è infinito ed eterno, si può
attribuire a Dio soltanto ciò che è infinito ed eterno. Tuttavia, l’infinito e l’eterno non
possono essere compresi dal nostro intelletto di esseri limitati; eppure nello stesso tempo
possiamo comprenderli. Non possono essere compresi, perché ciò che è finito non è capace
di concepire l’infinito; ma al contempo possono essere compresi tramite idee astratte,
grazie alle quali si può vedere che certe cose esistono, pur non potendo definire con
precisione la loro natura. Esistono certe idee intorno all’infinito, ad esempio che Dio,
poiché è infinito, o che il Divino, in quanto è infinito, è l’Essere stesso; che egli è l’essenza e
la sostanza in sé; che in se stesso è l’amore e la sapienza, il bene e la verità, o meglio, che
egli è l’Uomo nella sua essenza. E ancora, se si afferma che l’infinito è il tutto, allora
l’infinita sapienza è l’onniscienza, e l’ infinita potenza è l’onnipotenza.
[2] Tuttavia questi concetti si perdono negli oscuri recessi del pensiero, e per la loro
stessa incomprensibilità possono precipitare nella negazione e nello scetticismo, se tali
idee non vengono liberate da quegli elementi che il pensiero trae dal mondo materiale;
soprattutto da quelle caratteristiche, proprie al mondo materiale, chiamate spazio e tempo.
Tali cose non possono che porre limiti ai nostri concetti, e far sì che i concetti astratti
appaiano non avere alcun valore. Nondimeno, se ci si può liberare da queste categorie,
come fanno gli angeli, l’infinito può essere compreso per mezzo di ciò che si è detto più
sopra. Quindi è anche possibile comprendere che l’uomo esiste realmente, poiché è stato
creato da Dio infinito, che è il tutto; che 1,’uomo è una sostanza finita, perché è stata creata
da Dio infinito, che è la sostanza stessa; che l’uomo è sapienza, in quanto è stato creato da
Dio infinito, che è la sapienza stessa, e così via. Se Dio infinito non fosse il tutto, e non
fosse la sostanza stessa e la sapienza stessa, l’uomo non sarebbe reale, o non sarebbe
niente, o sarebbe soltanto un’idea di esistenza, come affermano quei sognatori chiamati
“idealisti.”
47. Ora, poiché stiamo trattando della Divina Provvidenza e, in particolare, del fatto che
in tutto ciò che essa fa guarda all’infinito e all’eterno, e poiché questo soggetto non può
essere distintamente trattato se non in un certo ordine, tale ordine è il seguente:
I. Ciò che è intrinsecamente infinito ed eterno è il Divino.
II. Ciò che è intrinsecamente infinito ed eterno non può fare altro che considerare l’infinito
e l’eterno, che è in sé, in ciò che è finito.
III. La Divina Provvidenza, in tutto ciò che fa, considera l’infinito e l’eterno, derivanti da se
stessa, principalmente allo scopo di salvare il genere umano.
IV. L’immagine dell’infinito e dell’eterno esiste nel cielo angelico, formato dal genere
umano salvato.
V. L’intima natura della Divina Provvidenza è considerare l’infinito e 1’eterno, nel formare
il cielo angelico, affinché esso sia al cospetto del Signore come un solo uomo, a sua
immagine.
48. I. L’infinito in sé e l’eterno in sé è il Divino. Ciò è stato mostrato in vari passi in Divino
Amore e Divina Sapienza. Il principio che ciò che è intrinsecamente infinito ed
intrinsecamente eterno sia il Divino, risulta da un’idea angelica. Gli angeli intendono per
“infinito” la realtà Divina, e per “eterno” la manifestazione Divina. Tuttavia, gli uomini
sulla terra possono allo stesso tempo vedere e non vedere che l’infinito in sé e l’eterno in sé
è il Divino. Lo possono vedere coloro che non pensano all’infinito dal punto di vista
spaziale, e all’eterno dal punto di vista temporale. Vale a dire che lo possono vedere coloro
che pensano in modo più elevato, cioè in un modo più interiormente razionale; ma non
coloro che pensano in modo più basso, ovvero più esteriore e superficiale.
[2] Coloro che possono comprenderlo pensano che non può esservi uno spazio infinito,
né di conseguenza un tempo infinito da cui tutte le cose hanno origine. L’infinito infatti
non ha un primo né un ultimo limite, è privo di termini. Essi pensano a altresì che non
possa esservi un essere infinito da sé, perché presupporrebbe un limite ed un inizio, ovvero
alcunché di precedente come suo principio. Ciò rende privo di senso parlare di un essere
eterno ed infinito da sé, poiché ciò sarebbe come parlare di una realtà “derivata”, il che è
una contraddizione in termini. Un essere infinito da sé sarebbe un essere infinito derivante
dall’essere infinito, e una realtà infinita sarebbe una realtà derivante dalla realtà, cosicché
un essere o una realtà infinita o si identificherebbe allo stesso essere infinito, o sarebbe in
realtà finito. Da considerazioni del genere, evidenti alla nostra ragione più intima, si
deduce che vi è qualcosa di intrinsecamente infinito ed intrinsecamente eterno, vale a dire
il Divino, fonte di tutto.
50. Poiché gli angeli e gli spiriti sono affezioni che derivano dall’amore, e pensieri
provenienti da tali affezioni, essi non si trovano nello spazio e nel tempo; esistono
semplicemente in ciò che appare come spazio e tempo. L’apparenza di spazio e di tempo
in cui essi si trovano dipende dallo stato delle loro affezioni e dei pensieri che ne derivano.
Perciò, quando qualcuno di loro pensa, in virtù dell’affezione che prova nei confronti di
un altro, con l’intenzione di vederlo o di parlare con lui, l’altro diviene subito presente.
[2] Perciò presso ogni uomo sono presenti spiriti che si trovano con lui in un’affezione
simile; spiriti malvagi presso colui che è nell’affezione di un male ad essi simile, e spiriti
buoni presso colui che è nell’affezione di un bene ad essi simile. Essi sono tanto presenti
che l’uomo è in mezzo a loro come qualcuno in mezzo ad una società. Lo spazio e il tempo
non creano alcun ostacolo alla loro presenza, perché l’affezione ed il pensiero che ne
deriva non sono nello spazio e nel tempo; e gli spiriti e gli angeli sono affezioni, e pensieri
derivanti da queste.
[3] Da molti anni, un’esperienza di prima mano mi ha mostrato che le cose stanno così.
Ne ho anche discusso con molti dopo la loro morte; uomini vissuti in Europa e nei suoi
vari regni, e uomini vissuti in Asia e in Africa, nei diversi regni di quelle regioni; e tutti
erano vicini a me. Se essi si fossero trovati nello spazio e nel tempo, sarebbe stato
necessario un viaggio e il tempo per compierlo.
[4] In realtà ogni uomo lo sa d’istinto, o nella propria mente. Ne ho avuto la prova dal
fatto che nessuno ha pensato ad alcuna distanza spaziale, quando ho raccontato di aver
conversato con uomini morti in Asia, in Africa o in Europa; per esempio con Calvino,
Lutero, Melantone, o con qualche re, qualche governatore, qualche sacerdote di una
regione lontana. Inoltre, a nessuno è venuto in mente di dire: «Come mai costui ha potuto
conversare con coloro che vissero in quelle regioni, e come hanno potuto essi venire da lui
ed essere presenti, se terre e mari li dividono?» Anche questo mi ha fatto comprendere che
nessuno prende in considerazione lo spazio e il tempo, quando pensa a coloro che sono nel
mondo spirituale. In Cielo e inferno, dal n. 162 al n. 169, e dal n. 191 al n. 199, ho mostrato
che per essi vi è un’apparenza di spazio e di tempo.
51. E’ dunque chiaro che bisogna pensare all’infinito e all’eterno, e di conseguenza al
Signore, senza lo spazio e il tempo, e che siamo capaci di farlo. Ciò dimostra altresì che
pensiamo in tal modo nel livello più profondo della nostra ragione; e che l’infinito e
l’eterno sono il Divino stesso. Così pensano gli angeli e gli spiriti. Astraendo il pensiero dal
tempo e dallo spazio si può comprendere la Divina onnipresenza e la Divina onnipotenza,
così come il Divino ab aeterno; mentre ciò è assolutamente impossibile per il pensiero in cui
siano rimasti concetti di tempo e di spazio. E’ quindi evidente che si può pensare a Dio ab
aeterno, ma in nessun modo alla natura ab aeterno; di conseguenza si può pensare alla
creazione dell’universo da parte di Dio, ma non da parte della natura materiale, poiché lo
spazio e il tempo sono proprietà della natura, mentre il Divino ne è privo. Che il Divino sia
libero da spazio e tempo, è mostrato in Divino Amore e la Divina Sapienza, dal n. 7 al n. 10;
dal n. 69 al n. 72; dal n. 73 al n. 76; ed altrove.
52. II. Ciò che è intrinsecamente infinito ed eterno non può che considerare l’infinito, che procede
da se stesso, nelle cose finite. Per “intrinsecamente infinito ed eterno” si intende il Divino
stesso, come è stato mostrato nel paragrafo precedente; per “le cose finite” si intendono
tutte le cose create dal Divino, in primo luogo gli uomini, gli spiriti e gli angeli.
“Considerare l’infinito, che procede da se stesso, nelle cose finite”, sta a indicare il Divino
che osserva se stesso in quelle, come l’uomo osserva la sua immagine in uno specchio. Ciò
è stato mostrato in vari passi in Divino Amore e Divina Sapienza, principalmente laddove si
è provato che nell’universo creato vi è l’immagine dell’uomo, e che questa è un’immagine
di ciò che è infinito ed eterno (nn. 317318). Di conseguenza è l’immagine di Dio Creatore,
vale a dire del Signore ab aeterno. È tuttavia necessario comprendere che il Divino in sé si
trova solo nel Signore, mentre il Divino da sé, è il Divino che procede dal Signore nelle cose
create.
53. Affinché ciò sia più pienamente compreso, conviene illustrarlo. Il Divino non può
contemplare altro che il Divino, e non lo può osservare altrove che in ciò che ha creato da
sé; che sia così, è evidente dal fatto che nessuno di noi può osservare un altro che sulla
base di ciò che egli è interiormente. Colui che ama un altro lo osserva dall’amore che ha in
sé; colui che è savio osserva un altro dalla sapienza che ha in sé. Possiamo vedere che
l’altro ci ama o non ci ama, che è savio o che non è savio; ma lo vediamo in base all’amore
ed alla sapienza in noi stessi. Ciò significa che possiamo congiungerci a lui nella misura in
cui egli ci ama nel modo stesso in cui lo amiamo, o nella misura in cui la sua sapienza è
come la nostra. E’ in tal modo che ci uniamo.
[3] Ne consegue che l’infinito e l’eterno – che è il Divino stesso – considera tutte le cose
finite in un modo infinito, e si congiunge ad esse secondo il loro grado di ricezione della
sapienza e dell’amore. Per dirla in breve, il Signore non può trovare la sua dimora ed il
suo luogo nell’uomo e nell’angelo fuorché in ciò che in essi è suo. Non può dimorare in
quel che appartiene in proprio all’uomo o all’angelo, perché ciò è il male. E, anche se fosse
il bene, sarebbe pur sempre qualcosa di finito, che in sé e in ciò che produce non può
contenere l’infinito. È dunque evidente che è impossibile che il finito osservi l’infinito,
benché l’infinito osserva l’infinito, che da sé procede, nelle cose finite.
54. Sembra che l’infinito non si possa congiungere al finito, perché non vi è relazione tra
l’infinito e il finito, e perché il finito non è suscettibile di contenere l’infinito; ciononostante
può esservi una congiunzione, sia perché l’infinito ha creato ogni cosa da se stesso (si veda
in Divino Amore e Divina Sapienza, dal n. 282 al n. 284) sia perché nelle cose finite, l’infinito
può contemplare solo l’infinito che da se stesso procede. Questo infinito può apparire ai
finiti come presente in loro stessi: in questo modo esiste una relazione tra il finito e
l’infinito, non da parte di ciò che è finito, ma da parte dell’infinito che è in esso. In questo
modo il finito è capace di contenere l’infinito: non il finito in sé, ma il finito per la sua
apparente autonomia, in virtù dell’intrinsecamente infinito presente in esso. In seguito si
dirà di più su questo argomento (nn. 55, 64, 202, 219 e 294).
55. III. La Divina Provvidenza, in tutto quel che fa, considera l’infinito e l’eterno procedenti da
sé, specialmente nell’intento di salvare il genere umano. Ciò che è intrinsecamente infinito ed
eterno in sé è il Divino stesso, ovvero il Signore nella sua essenza. Ciò che è infinito ed
eterno in modo subordinato al precedente è il Divino che procede in altri creati da lui, vale
a dire negli uomini e negli angeli. Quest’ultimo tipo di Divino è la Divina Provvidenza
stessa, poiché il Signore, tramite il Divino procedente da sé, fa sì che tutte le cose siano
mantenute nell’ordine in cui e per cui sono state create. Poiché è il Divino che procede da
se stesso a compiere quest’opera, ne consegue che tutto ciò è la Divina Provvidenza.
56. Che la Divina Provvidenza in tutto quel che fa consideri l’infinito e l’eterno
procedenti da sé, è evidente dal fatto che tutto ciò che è stato creato dall’Essere Primo,
infinito ed eterno, procede fino ai limiti estremi, e da questi all’Essere Primo da cui
procede (si veda in Divino Amore e Divina Sapienza, la parte in cui si è trattato della
creazione dell’universo). Siccome il Primo, la fonte da cui tutto procede, è presente nel
cuore stesso di ogni progressione, ne consegue che il Divino che procede da se stesso,
ovvero la Divina Provvidenza, mira a un’immagine dell’infinito e dell’eterno in tutto ciò
che fa. Essa considera tale immagine in tutte le cose, ma in alcune in modo palesemente
percettibile ed in altre no. Il Divino mostra questa immagine in modo palesemente
percettibile nella varietà di tutte le cose, e nel modo in cui ogni cosa fruttifica e si
moltiplica.
[2] L’immagine dell’infinito e dell’eterno nella varietà di tutte le cose diviene manifesta
grazie al fatto che non vi è una cosa identica ad un’altra, e questa distinzione ricorre
invariabilmente per tutta l’eternità. Ciò è chiaramente visibile dai volti degli uomini, fin
dalla prima creazione, e di conseguenza anche dai loro caratteri, che i loro volti
rappresentano; ed altresì dalle affezioni, dalle percezioni e dai pensieri, poiché i caratteri
sono composti da essi. Ne consegue che nel cielo intero non vi sono due angeli o due
spiriti identici, e neppure possono esservi per tutta l’eternità; ciò vale per ogni oggetto
visibile, sia nel mondo naturale che nel mondo spirituale. E’ dunque evidente che la
varietà è infinita ed eterna.
[3] L’immagine dell’infinito e dell’eterno nella fruttificazione e moltiplicazione di tutte le
cose è evidente grazie alla facoltà insita nei semi del regno vegetale, ed alla prolificazione
del regno animale, principalmente dalla generazione dei pesci, che – se fruttificassero e si
moltiplicassero secondo le loro capacità – in un secolo essi riempirebbero tutto il globo, ed
anche l’universo. Ciò dimostra chiaramente che in questa facoltà è latente una tendenza a
propagarsi all’infinito; e poiché le fruttificazioni e le moltiplicazioni non sono mancate dal
principio della creazione, e non mancheranno per tutta l’eternità, ne consegue che in
questa facoltà vi è anche una tendenza a propagarsi eternamente.
57. La stessa cosa si trova negli uomini quanto alle affezioni dell’amore ed alle percezioni
della sapienza. La varietà di entrambe è infinita ed eterna; e così pure le loro fruttificazioni
e moltiplicazioni, che sono spirituali. Nessun uomo può provare, per tutta l’eternità,
un’affezione o una percezione identica ad un’affezione o ad una percezione provata da un
altro. Inoltre, le affezioni possono fruttificare, e le percezioni moltiplicarsi senza fine; ed è
risaputo che la conoscenza non ha limiti. Questa facoltà di fruttificazione e di
moltiplicazione, infinita ed eterna, si applica alle cose naturali presso gli uomini, alle cose
spirituali presso gli angeli spirituali, ed alle cose celesti presso gli angeli celesti. Ciò non si
riferisce solo alle affezioni, alle percezioni ed alle scienze in generale, ma anche,
specificamente, ad ogni elemento particolare di esse, anche minimo. Questi elementi sono
di tale natura perché ricevono il loro essere dall’infinito e dall’eterno presenti in loro
grazie all’infinito e l’eterno che da sé procede. Ma poiché il finito non ha nulla del Divino
in sé, perciò non vi è nulla di questo Divino, neppure il minimo elemento, che appartiene
in proprio all’uomo o all’angelo: ne consegue che l’uomo e l’angelo sono finiti, semplici
ricettacoli, morti in se stessi. Quel che è vivo in essi procede dal Divino, che si congiunge
ad essi per contiguità, e che appare loro come proprio. Lo vedremo meglio nei paragrafi
che seguono (n. 174, e dal n.191 al n. 213).
58. Se la Divina Provvidenza considera l’infinito e l’eterno, principalmente allo scopo di
salvare il genere umano, è perché il fine della Divina Provvidenza è il cielo formato dal
genere umano (vedi sopra, dal n. 37 al n. 45). Poiché questo è il fine, ne consegue che la
Divina Provvidenza si impegna alla riforma ed alla rigenerazione dell’uomo, quindi alla
sua salvezza, poiché il cielo si compone di coloro che sono salvati, ovvero che sono
rigenerati. Rigenerare l’uomo significa unire in lui il bene e il vero, o l’amore e la sapienza,
così come sono uniti nel Divino che procede dal Signore; perciò la Divina Provvidenza ha
principalmente questo scopo, per salvare il genere umano. L’immagine dell’infinito e
dell’eterno non è altrove nell’uomo che nel connubio del bene e del vero. Che il Divino
procedente operi questo nel genere umano ci è noto da coloro che, ripieni del Divino
procedente, denominato Spirito Santo, profetizzarono, e dei quali si parla nella Parola; e
da coloro che, illuminati, scorgono le verità Divine nella luce del cielo. Lo vediamo
soprattutto negli angeli, che possiedono una percezione sensoria della presenza,
dell’influsso e della congiunzione. Gli angeli sono tuttavia consapevoli che la vera natura
di questa congiunzione è solo ciò che si potrebbe chiamare qualcosa che il Divino
aggiunge all’uomo.
59. Non è stato finora reso noto che la Divina Provvidenza, ad ogni passo del nostro
viaggio, mira alla nostra condizione eterna. Essa non può considerare altro, perché il
Divino è infinito ed eterno, e l’infinito e l’eterno, ossia il Divino, non è nel tempo; e quindi
tutte le cose future gli sono presenti. Poiché il Divino è tale, ne consegue che in tutte ed in
ciascuna delle cose che egli compie vi è l’eterno. Ma coloro che pensano secondo le
categorie del tempo e dello spazio hanno difficoltà a percepirlo, non solo perché amano le
cose temporali, ma anche perché pensano secondo ciò che è presente agli uomini nel
mondo, e non secondo ciò che è presente agli abitanti del cielo. Ciò che è presente nel cielo
è, per loro, lontano come gli estremi confini della terra. Coloro invece che sono nel Divino,
poiché pensano in virtù del Signore, pensano in termini di eternità anche quando pensano
a ciò che si presenta loro, dicendo fra sé: “Che cosa è ciò che non è eterno? In paragone, ciò
che è temporaneo non è forse come se non fosse niente?” Ed ancora: “Esso non diviene
forse niente, quando finisce ?” Ma l’eterno non è così: esso semplicemente è, perché il suo
essere non finisce. Pensare così significa pensare in termini di eternità anche quando si
pensa a ciò che è presente; e quando l’uomo pensa e vive così, allora il Divino procedente
in lui, ovvero la Divina Provvidenza, ad ogni passo del suo viaggio mira allo stato della
sua vita eterna nel cielo, e lo guida a questo stato. Tratteremo in seguito in che modo il
Divino in ogni uomo, sia malvagio, sia buono, miri all’eterno.
60. IV. Nel cielo angelico esiste un’immagine dell’infinito e dell’eterno. Fra le cose che è
necessario conoscere vi è anche il cielo angelico, poiché ogni persona religiosa pensa ad
esso e vuole accedervi. Ma il cielo non è concesso ad altri fuorché a coloro che conoscono
la via che vi conduce e la seguono. Di tale via si può avere una qualche nozione allorché
sia noto come sono gli abitanti del cielo; e che nessuno diviene angelo, o viene ammesso
nel cielo, all’infuori di coloro che dal mondo portano con sé qualche qualità angelica.
Inerente a tale qualità angelica è la conoscenza della via derivante dall’azione profusa per
averla percorsa, così come l’azione di percorrerla derivante dalla conoscenza della via. Nel
mondo spirituale vi sono anche dei veri e propri sentieri, che conducono a ciascuna delle
società del cielo e dell’inferno. Ognuno riconosce da sé il suo sentiero, perché ci sono
strade adatte a ciascun tipo di amore; e l’amore apre la via e conduce ognuno a coloro che
gli sono affini. Nessuno vede altra strada che quella propria al suo amore: da ciò è
evidente che gli angeli non sono che amori celesti, poiché diversamente non avrebbero
visto le vie che conducono al cielo. Ma ciò apparirà più evidente grazie ad una descrizione
del cielo.
61. Lo spirito di ogni uomo è affezione, e quindi pensiero; e poiché ogni affezione
appartiene all’amore, ed ogni pensiero all’intelletto, ogni spirito è il suo amore e quindi il
suo intelletto . Ne risulta che il pensiero dell’uomo fluisce dall’affezione che appartiene al
suo amore quando egli pensa solamente in virtù del suo spirito allorché, in casa, medita in
se stesso. Da ciò si deduce che quando 1’uomo diviene spirito, come accade dopo la morte,
egli è 1’affezione del suo amore, e non pensiero, se non nella misura in cui quest’ultimo
deriva dalla sua affezione. Egli è un’affezione cattiva, cioè una cupidità, se ha nutrito
amore per il male, ed è un’affezione buona se ha coltivato in sé l’amore del bene. Siamo
condotti al bene nella misura in cui abbiamo evitato i mali come peccati, o al male nella
misura in cui non abbiamo evitato i mali. Ora, poiché tutti gli spiriti e tutti gli angeli sono
affezioni, è evidente che l’intero cielo angelico non è che l’amore di tutte le affezioni del
bene, e quindi la sapienza di tutte le percezioni del vero. Inoltre, poiché ogni bene ed ogni
vero derivano dal Signore, ed il Signore è l’amore e la sapienza in se stesse, ne consegue
che il cielo angelico è l’immagine del Signore; e siccome il Divino Amore e la Divina
Sapienza nella sua forma è l’Uomo, ne consegue del pari che il cielo angelico non può
essere altrimenti che in forma umana. Ma di questo soggetto si tratterà meglio nel
paragrafo seguente.
62. Se il cielo angelico è l’immagine dell’infinito e dell’eterno, è perché esso è l’ immagine
del Signore, ed il Signore è infinito ed eterno. L’immagine dell’infinito e dell’eterno del
Signore si manifesta in miriadi di angeli, di cui si compone il cielo. Essi costituiscono tante
società quante sono le affezioni comuni dell’amore celeste: in ciascuna società ogni angelo
è la sua particolare affezione. Da tante affezioni comuni e particolari risulta la forma del
cielo, che è come un solo essere al cospetto del Signore, così come una persona, che è un
solo essere. Questa forma si perfeziona eternamente a misura degli esseri che la
compongono, poiché quanti più sono coloro che partecipano alla forma del Divino Amore,
che è la forma delle forme, tanto più l’unione diviene perfetta. Da quanto detto è evidente
che 1’immagine dell’infinito e dell’eterno esiste nel cielo angelico.
63. Grazie alla conoscenza del cielo fornita da questa breve descrizione, è evidente che
l’affezione che appartiene all’amore del bene costituisce il cielo nell’uomo. Ma chi sa tutto
ciò al giorno d’oggi? Anzi, chi conosce ciò che è l’affezione dell’amore del bene, e che le
affezioni dell’amore del bene sono innumerevoli, e perfino infinite? Poiché, come si è
detto, ogni angelo è la sua affezione, e la forma del cielo è la forma di tutte le affezioni del
Divino amore. Unire tutte le affezioni in questa forma è possibile solo a colui che è l’amore
stesso e la sapienza stessa, ed è al contempo infinito ed eterno, poiché vi è qualcosa di
infinito e di eterno in ogni forma; qualcosa di infinito nella sua congiunzione, e di eterno
nella sua perpetuità. Se l’infinito e l’eterno le fosse tolto, nel medesimo istante essa si
dissiperebbe. Chi può unire le affezioni in una forma? Chi può unire una sola parte di tale
forma? Nessuna parte di essa può essere unita tranne che in base ad un concetto
onnicomprensivo di tutte le parti, e tale insieme dipende da un concetto di ogni singolo
componente che ne fa parte. Vi sono miriadi di angeli che compongono quella forma, e ve
ne sono miriadi che entrano in essa ogni anno, e che vi entreranno nel corso dell’eternità.
Tutti i fanciulli vi entrano, ed altrettanti adulti che costituiscono affezioni per l’amore del
bene. Anche queste spiegazioni dimostrano che vi è un’immagine di ciò che è infinito ed
eterno nel cielo angelico.
64. V. Considerare l’infinito e l’eterno, nel formare il cielo angelico, affinché sia al cospetto del
Signore come un solo uomo, ad immagine del Signore, è il cuore stesso della Divina Provvidenza.
Ho spiegato, in Cielo e Inferno (nn. 5986), che il cielo intero è al cospetto del Signore come
un solo uomo, e che ciò vale anche per ogni società del cielo. Ne risulta che ogni angelo è
una persona in una forma perfetta, in quanto Dio Creatore, che è il Signore ab aeterno, è
l’Uomo. Vi è dunque corrispondenza di tutte le cose del cielo con tutte quelle dell’uomo
(nn. 87102). Che il cielo sia come un solo uomo, io stesso non l’ho potuto vedere, perché il
cielo intero non può essere visto che dal Signore; ma che un’intera società del cielo, grande
o piccola, appaia come un solo uomo, questo talvolta ho potuto scorgerlo; mi fu detto
allora che la società più grande, che è il cielo nella sua totalità, appare in modo simile, ma
dinanzi al Signore; e che questo è il motivo per cui ogni angelo è uomo in una forma
completa.
65. Poiché il cielo intero al cospetto del Signore è come un solo uomo, il cielo è distinto in
altrettante società composte di quanto organi, visceri e membra vi sono nell’uomo; e
ciascuna società più grande è divisa in altrettante società meno complesse, ovvero più
particolari, di quante parti maggiori vi sono in ciascun viscere e organo. Da questo
paragone si può dedurre chiaramente com’è il cielo. Ora, poiché il Signore è l’Uomo
stesso, ed il cielo è la sua immagine, si dice che essere nel cielo significa essere nel Signore
(sull’identità fra il Signore e l’uomo stesso, si veda in Divino Amore e Divina Sapienza, nn.
1113 e 285289).
66. Ciò può essere d’aiuto a comprendere, almeno in parte, questo mistero, che può
definirsi angelico, cioè che ciascuna affezione del bene e del vero ha forma umana. Perché
tutto ciò che procede dal Signore deriva dal suo Divino Amore, in quanto è affezione del
bene, e dalla sua Divina Sapienza, in quanto è affezione del vero. L’affezione che procede
dal Signore appare nell’angelo e nell’uomo come percezione, e quindi come pensiero, del
vero. Ciò accade perché prestiamo attenzione alla percezione ed al pensiero, e poco
all’affezione da cui entrambi derivano. Tuttavia essi derivano dal Signore, e sono una cosa
sola con l’affezione del vero.
67. Poiché l’uomo è, per come è stato creato, un cielo in miniatura, e quindi un’immagine
del Signore, e poiché il cielo è composto da altrettante affezioni quanti sono gli angeli, e
ciascuna affezione è nella sua forma un uomo, ne consegue che l’opera costante della
Divina Provvidenza è che l’uomo assuma la forma del cielo, e quindi divenga
un’immagine del Signore. Inoltre, siccome ciò avviene tramite l’affezione del bene e del
vero, la volontà di Dio è che noi diveniamo tale affezione. Questa è dunque la perpetua
operazione della Divina Provvidenza; ma il suo scopo più intimo è che l’uomo sia in
questo o quel luogo nel cielo, ovvero in questo o quel luogo celeste dell’Uomo Divino,
cosicché egli sia nel Signore. Ma ciò avviene per coloro che il Signore può condurre al
cielo. In quanto il Signore lo prevede, egli continuamente si adopera affinché l’uomo
divenga tale; cosicché chiunque si lascia condurre al cielo viene preparato per dimorarvi
nel luogo che gli è proprio.
68. Il cielo, come si è detto, è distinto in altrettante società quanti organi, visceri e
membra sono nell’uomo, e una parte non può trovarsi in un altro luogo fuorché nel suo.
Poiché gli angeli sono appunto tali parti nell’Uomo Divino celeste, ed angeli divengono
soltanto coloro che sono stati uomini nel mondo, ne consegue che l’uomo che si lascia
condurre al cielo viene continuamente preparato dal Signore per dimorare nel luogo che
gli è proprio. Tale processo si realizza tramite l’affezione del bene e del vero che vi
corrisponde. A tale luogo viene altresì assegnato ogni uomoangelo, dopo la sua dipartita
dal mondo. Questo è l’intimo scopo della Divina Provvidenza riguardo al cielo.
69. Ma l’uomo che non si lascia condurre, né assegnare al cielo, viene preparato per il suo
luogo nell’inferno. L’uomo in se stesso tende continuamente al più profondo inferno, ma
egli ne è continuamente distolto dal Signore; e chi non può esserne distolto viene
preparato per qualche luogo dell’inferno, a cui viene assegnato dopo la sua dipartita dal
mondo. Questo luogo è opposto ad un luogo inversamente analogo nel cielo, perché
l’inferno è opposto al cielo; pertanto, come all’uomoangelo secondo l’affezione del bene e
del vero è assegnato il suo luogo nel cielo, così all’uomodiavolo, secondo l’affezione del
male e del falso, è assegnato il suo luogo nell’inferno. Due entità opposte, disposte in
parallelo l’una contro l’altra, si mantengono in connessione. Questo è l’intimo disegno
della Divina Provvidenza riguardo all’inferno.
IV
Vi sono leggi della Divina Provvidenza che sono ignote agli uomini
70. Che vi sia una Divina Provvidenza, è noto, ma quale essa sia, non si sa. Se non si sa
quale sia la Divina Provvidenza è perché le sue leggi sono segrete, e fino ad ora sono state
riposte nella sapienza degli angeli; ma ora debbono essere disvelate, affinché si attribuisca
al Signore ciò che gli appartiene. Infatti, nel mondo i più attribuiscono tutto e se stessi e
alla propria prudenza; e quelle cose che non possono attribuirsi, le chiamano fortuite e
contingenti, non sapendo che la prudenza umana è nulla, e che il fortuito e il contingente
sono parole vane. Si è detto che le leggi della Divina Provvidenza sono segrete e sono state
riposte nella sapienza degli angeli in virtù del fatto che nel mondo cristiano la capacità
d’intendere le cose Divine è stata annichilita dalla religione, e quindi in queste cose
l’intelletto è diventato così ottuso e renitente che l’uomo non ha potuto, perché non ha
voluto, o non ha voluto, perché non ha potuto comprendere altro riguardo alla Divina
Provvidenza, se non che essa esiste, o esaminare con il ragionamento se essa esiste o non
esiste, se essa è soltanto universale o anche particolare. L’intelletto impedito dalla
religione, non ha potuto spingersi più oltre nelle cose Divine. Ma, essendo stato
riconosciuto dalla chiesa che l’uomo non può da se stesso fare il bene, che in sé sia il bene,
né da se stesso pensare la verità che in sé sia la verità, essendo questa materia intimamente
connessa con la Divina Provvidenza, il credere in uno di questi punti dipende dal credere
negli altri. Affinché tali punti non siano negati, è necessario rivelare cosa sia la Divina
Provvidenza; ma ciò non può essere rivelato se non si scoprono le leggi per le quali il
Signore provvede a ispirare la volontà e l’intelletto dell’uomo e a governarli. Queste leggi
svelano cosa sia la Divina Provvidenza, e colui che conosce quale essa è, quegli e non altri
la può riconoscere, perché allora egli la vede. Questa è la ragione per cui le leggi della
Divina Provvidenza, finora riposte nella sapienza degli angeli, vengono ora rivelate.
V
È una legge della Divina Provvidenza che l’uomo agisca liberamente e
secondo ragione
71. È cosa nota che l'uomo sia libero di pensare e di volere come desidera, ma non sia
libero di dire tutto ciò che pensa, né libero di fare tutto ciò che vuole. Perciò la libertà di
cui trattiamo in questa sede è la libertà spirituale, e non quella naturale, tranne che nella
misura in cui le due coincidono. Infatti pensare e volere sono cose spirituali, ma dire e fare
sono cose naturali. Ciò è evidente in noi, poiché possiamo pensare quel che non diciamo, e
volere quel che non mettiamo in atto; è dunque evidente che in noi lo spirituale e il
naturale sono separati. Perciò l'uomo non può passare dall'uno all'altro se non in seguito
ad una decisione, paragonabile ad una porta, che prima deve essere disserrata e poi
aperta. Questa porta resta aperta in coloro che, in virtù della ragione, pensano e vogliono
secondo le leggi civili dello stato e secondo le leggi morali della società: essi dicono ciò che
pensano, e agiscono come vogliono. Al contrario, questa porta resta chiusa in coloro che
pensano e vogliono ciò che è contrario a queste leggi. Se consideriamo attentamente le
nostre intenzioni, e le azioni a cui esse ci spingono, ci accorgeremo che una tale reciproca
determinazione ha luogo, non di rado più volte, in una sola conversazione o in una sola
azione. Ho fatto questa premessa per rendere chiaro che, per “agire liberamente secondo
ragione” si intende pensare e volere liberamente, e quindi dire e fare liberamente ciò che è
secondo ragione.
72. Ma siccome pochi sanno che questa legge appartiene alla Divina Provvidenza,
principalmente perché in tal modo l'uomo ha anche la libertà di pensare il male e il falso,
nonostante che la Divina Provvidenza guidi costantemente l'uomo a pensare ed a volere il
bene e il vero, affinché questo punto sia ben chiaro è necessario spiegarlo distintamente
nel seguente ordine:
I. L'uomo possiede la ragione e la libero arbitrio, ovvero la razionalità e la libertà; e queste
due facoltà derivano dal Signore nell'uomo.
II. Tutto ciò che l'uomo fa in virtù della sua libertà, conforme o non conforme alla ragione,
purché sia in accordo alla propria ragione, gli appare come suo.
III. Tutto ciò che l'uomo fa in virtù della sua libertà, secondo il suo pensiero, diventa parte
di se stesso.
IV. Tramite queste due facoltà il Signore riforma e rigenera l'uomo, e senza di esse non è
possibile alcuna riforma né rigenerazione.
V. Mediante queste due facoltà l’uomo si può riformare e rigenerare, nella misura in cui
può essere guidato da esse a riconoscere che ogni bene ed ogni verità che egli pensa e
compie derivano dal Signore, e non da se stesso.
VI. La congiunzione del Signore con l’uomo, e la congiunzione reciproca dell'uomo con il
Signore, si effettuano tramite queste due facoltà.
VII. Il Signore, in ogni progressione della sua Divina Provvidenza, custodisce queste due
facoltà nell'uomo intatte e come sante.
VIII. Perciò la Divina Provvidenza fa sì che l'uomo agisca in virtù della libertà, secondo la
ragione.
73. I. L'uomo possiede la ragione e la libero arbitrio, ovvero la razionalità e la libertà; e queste
due facoltà derivano dal Signore nell'uomo. È stato illustrato in Divino Amore e Divina Sapienza,
dal n. 264 al n. 270, ed al n. 425, ed anche qui sopra, ai nn. 43 e 44, che l'uomo ha la facoltà
d'intendere, vale a dire la razionalità, e la facoltà di pensare, di volere, di dire e di fare ciò
che intende, vale a dire la libertà, e che queste due facoltà sono un dono del Signore. Ma
poiché, quando si pensa a tali facoltà, possono sorgere molti dubbi intorno ad esse, voglio
fino da questo esordio – dire alcune parole sulla libertà dell’uomo di agire secondo la
ragione.
[2] Anzitutto è necessario sapere che ogni libertà è dall’amore, al punto che l'amore e la
libertà sono la stessa cosa; e poiché l'amore è la vita dell'uomo, la libertà ugualmente
appartiene alla sua vita. Ogni piacere che l'uomo prova deriva dal suo amore: non vi è
altra fonte di piacere. Agire in virtù del piacere proprio all’amore significa agire in virtù
della libertà, poiché il piacere conduce l'uomo come un fiume conduce ciò che è
trasportato dal corso delle sue acque. Siccome vi sono molti amori, alcuni concordanti,
altri discordanti, ne consegue che vi sono molte libertà; ma in generale vi sono tre libertà:
quella naturale, quella razionale e quella spirituale.
[3] Ogni uomo possiede la libertà naturale per eredità. Grazie ad essa egli non ama che
se stesso e il mondo: la sua vita, all’inizio, è solo questo. Poiché tutti i mali nascono da
questi due generi d'amore, e quindi i mali divengono oggetti del nostro amore, ne
consegue che pensare e volere i mali è la nostra libertà naturale. Ne consegue altresì che,
quando abbiamo confermato tali volontà malvagie in noi tramite il pensiero, lo mettiamo
in atto in virtù della nostra libertà, secondo la nostra ragione. Compiere così i mali,
significa agire in virtù della facoltà definita libertà; e confermarli in sé significa agire in
virtù della facoltà chiamata razionalità.
[4] Ad esempio, è in virtù dell'amore in cui nasce che l'uomo vuole commettere
adulterio, ingannare, bestemmiare, vendicarsi. Quando egli razionalizza questi mali in sé,
e di conseguenza li considera leciti, allora, in conseguenza del piacere dell'amore che
prova per essi, li pensa e li vuole liberamente, come se fossero conformi alla ragione; e per
quanto le leggi civili non lo impediscono, li afferma e li compie. La Divina Provvidenza
permette all'uomo di agire così, perché egli è libero. L'uomo possiede questa libertà per
natura, perché vi si trova per eredità; e sono in questa libertà coloro i quali con i
ragionamenti la hanno confermata in se stessi a causa del piacere inerente all'amore di sé e
del mondo.
[5] La libertà razionale deriva dall'amore per la nostra reputazione, a motivo dell'onore o
del profitto. Il piacere di questo amore consiste nell’apparire esteriormente come un uomo
morale; e poiché l'uomo ama avere tale reputazione, egli non inganna, non commette
adulterio, non si vendica, non bestemmia. Poiché questa è la sostanza del nostro
ragionamento, il nostro agire è sincero, giusto, casto ed amichevole, liberamente ed in
accordo con la ragione; in effetti, possiamo perfino parlare razionalmente in favore di tali
virtù. Ma se la nostra attività razionale è solamente naturale, e non in pari tempo
spirituale, quella libertà è soltanto una libertà esteriore, e non una libertà interiore:
interiormente infatti, non proviamo amore per questi beni, ma solo come si è già detto
esteriormente, per la nostra reputazione. Perciò il bene che possiamo compiere non è un
bene autentico. Possiamo anche dire che tale bene deve essere compiuto per il pubblico
bene, ma non lo diciamo perché mossi dall'amore del pubblico bene, bensì dall'amore del
nostro onore e del nostro profitto. La nostra libertà pertanto non deriva dall'amore del
pubblico bene, e neppure la nostra ragione, perché essa semplicemente si accorda con
l'amore. Dunque, questa “libertà razionale” è interiormente solo una libertà terrena. Anche
questa libertà è donata a tutti dalla Divina Provvidenza del Signore.
[6] La libertà spirituale deriva dall'amore della vita eterna. A questo amore ed al piacere
che ne deriva giunge solo colui che pensa che i mali sono peccati, e perciò li rifiuta, e al
tempo stesso si rivolge al Signore. Allorché l'uomo agisce così, egli è libero: poiché l'uomo
non è capace di non volere i mali in quanto peccati, e quindi non compierli, se non in virtù
della libertà interiore o superiore, che procede dal suo amore superiore o interiore. Questa
libertà all’inizio non sembra tale, benché in realtà lo sia; in seguito però appare come vera
libertà, ed allora l'uomo agisce in virtù della libertà secondo la ragione, pensando,
volendo, affermando e mettendo in atto il bene e la verità. Questa libertà cresce nella
misura in cui la libertà naturale decresce e viene assoggettata; essa si congiunge con la
libertà razionale e la purifica.
[7] Ognuno può accedere a questa libertà, purché sia disposto a pensare che esiste una
vita eterna, e che il piacere e la beatitudine della vita in questo mondo è solo un'ombra che
passa, in confronto al piacere e alla beatitudine della vita eterna. L'uomo può pensare così,
se lo vuole, perché egli è dotato di razionalità e di libertà, e perché il Signore, da cui
procedono ambedue queste facoltà, gli concede costantemente la capacità di farlo.
74. II. Tutto ciò che l'uomo fa in virtù della sua libertà, conforme o non conforme alla ragione,
purché sia in accordo alla propria ragione, gli appare come suo. Che cosa sia la razionalità e che
cosa sia la libertà, facoltà proprie all'uomo, si può comprendere più chiaramente per
comparazione dell'uomo con gli animali, perché questi non hanno alcuna razionalità o
facoltà di comprendere, né alcuna libertà o facoltà di volere liberamente. Essi non hanno
quindi né intelletto, né volontà: invece della facoltà di discernimento hanno una qualche
forma di conoscenza, ed invece della volontà un'affezione, entrambe al livello naturale. E
dato che essi non hanno queste due facoltà, non hanno nemmeno il pensiero: al suo posto
hanno una “vista” interna, che per corrispondenza è una cosa sola con la loro vista
esterna.
[2] Ogni affezione ha la sua compagna: l'affezione dell'amore naturale ha la conoscenza,
l'affezione dell'amore spirituale, l'intelligenza, e l'affezione dell'amore celeste la sapienza;
perché l'affezione senza la sua compagna, senza il suo “coniuge”, non è niente. È come una
realtà senza manifestazione, e come una sostanza senza forma, entrambe prive di attributi.
Perciò in tutto ciò che è stato creato vi è qualcosa che si può ricondurre al connubio del
bene e della verità, come abbiamo più volte mostrato (nn. da 5–9, e n. 11). Negli animali vi
è il connubio dell'affezione e della conoscenza: l'affezione, in tale connubio, appartiene al
bene naturale, e la conoscenza alla verità naturale.
[3] L'affezione e la conoscenza negli animali si identificano, e la loro affezione non si può
elevare al di sopra della loro conoscenza, né la loro conoscenza di sopra della loro
affezione; e, se si elevano, si elevano entrambe simultaneamente, e sono prive di una
mente spirituale, nella cui luce e calore si possano elevare. Quindi negli animali non vi è
né la facoltà di comprendere né la razionalità, e neppure la facoltà di volere liberamente o
la libertà, ma vi è una mera affezione naturale accompagnata dalla conoscenza che le è
propria. Le affezioni naturali che essi hanno sono quelle di alimentarsi, cercare rifugio,
moltiplicarsi, fuggire ed avere in avversione tutto ciò che è loro nocivo, accompagnate da
ogni conoscenza che tali affezioni richiedono. Poiché gli animali vivono in questa
condizione, essi non possono pensare: « io voglio o non voglio questo », né « io so o non so
questo », e ancor meno « io comprendo questo ed amo questo ». Essi sono guidati dalla
loro affezione mediante la conoscenza, senza razionalità né libertà. Se essi sono guidati
così, ciò non deriva dal mondo naturale, ma dal mondo spirituale, poiché non esiste
alcunché nel mondo naturale che sia privo di connessione col mondo spirituale: ogni causa
capace di produrre un effetto proviene dal mondo spirituale (si veda più oltre, n. 96).
75. Per ciò che riguarda l'uomo, invece, egli non possiede solamente l'affezione
dell'amore naturale, ma anche l'affezione dell'amore spirituale e l'affezione dell'amore
celeste, poiché la mente umana ha tre gradi, come è stato mostrato in Divino Amore e
Divina Sapienza, parte terza. L’uomo può quindi elevarsi dalla conoscenza terrena fino
all'intelligenza spirituale, e da questa alla sapienza celeste; da queste due — l'intelligenza e
la sapienza — può infine volgersi al Signore, congiungersi a lui, e di conseguenza vivere
per sempre. Questa elevazione della nostra affezione non avrebbe luogo, comunque, se
non avessimo la facoltà di elevare l'intelletto in virtù della razionalità, e di fare ciò
intenzionalmente perché siamo liberi.
[2] Grazie a queste due facoltà l’uomo può pensare interiormente a ciò che percepisce
fuori di sé coi sensi corporei, e può altresì pensare in un modo superiore alle cose che
pensa in un modo inferiore. Ognuno di noi può dire: « ho pensato a questo » e « penso a
questo», così come « ho voluto questo » e « voglio questo »; « comprendo che ciò è vero »;
« amo ciò perché ha tali qualità », e così via. Ne risulta che l'uomo riflette sul proprio
pensiero da una prospettiva più elevata, e che lo vede come se fosse al di sotto di sé.
L'uomo ha questa facoltà grazie alla sua razionalità ed alla sua libertà. La razionalità gli
permette di pensare da un livello superiore; la libertà gli consente di pensare in un certo
modo in seguito alla sua affezione, intenzionalmente. Vale a dire che, se egli non avesse la
libertà di pensare in un certo modo, non ne avrebbe la volontà, e quindi neppure il
pensiero.
[3] Perciò, coloro che vogliono comprendere solo quel che appartiene al mondo e alla sua
natura, e non ciò che è il bene e la verità morale e spirituale, non possono elevarsi dalla
conoscenza all’intelligenza, e tanto meno alla sapienza, poiché essi hanno come “bloccato”
in sé queste facoltà. Essi non sono uomini se non nella misura in cui, in virtù della
razionalità e della libertà insite in loro, possono intendere, se vogliono, e possono volere. È
in virtù di queste due facoltà che l'uomo può pensare, e parlare conseguentemente al
pensiero; per il resto gli uomini non sono uomini, ma animali, ed alcuni, per l'abuso di
queste facoltà, sono peggiori degli animali.
76. Ognuno di noi, se la razionalità non è offuscata, può comprendere che l'uomo non
può nutrire alcun desiderio di sapere né di comprendere, senza l’apparenza che ciò gli
appartenga; perché ogni piacere, ogni gioia ed ogni volontà deriva dall'affezione che
appartiene all'amore. Chi mai può voler sapere e comprendere alcunché, se non ne traesse
qualche soddisfazione? E chi potrebbe nutrire qualche soddisfazione, se non fosse mosso
da ciò che sembra realmente appartenergli? Se ciò non gli appartenesse affatto, ma
provenisse da altri come se qualcuno cercasse di instillare i suoi sentimenti nella mente di
qualcun altro privo di alcun desiderio di conoscere o di comprendere quest’altra persona
accetterebbe forse tali sentimenti? Anzi: sarebbe capace di accettarli? Non sarebbe dunque
come uno stupido animale, o una passiva zolla di terra? Da ciò si può dedurre
chiaramente che, sebbene tutte le cose che l'uomo percepisce, e quindi pensa e conosce, e
secondo la sua percezione vuole e compie, fluiscono nell’uomo stesso, nondimeno, è
grazie all’opera della Divina Provvidenza del Signore che ciò sembra come appartenere
all'uomo. Poiché, come si è detto, diversamente l'uomo non riceverebbe niente, di
conseguenza non gli potrebbe essere data alcuna intelligenza né alcuna sapienza. Come è
noto, ogni bene ed ogni verità non appartengono all'uomo, ma al Signore. Nonostante ciò
essi appaiono all'uomo come propri; e poiché ogni bene ed ogni verità appaiono così, tutte
le cose pertinenti alla chiesa ed al cielo, e di conseguenza tutte quelle riguardanti l'amore e
la sapienza, nonché la carità e la fede, appaiono nello stesso modo. Nondimeno, nulla
appartiene all'uomo. Nessuno può riceverle dal Signore, senza che gli sembri di percepirle
come da se stesso. Da ciò si può constatare la verità di questa proposizione: tutto quel che
l'uomo fa in virtù della libertà, che sia conforme o meno alla ragione, purché assecondi la
sua propria ragione, gli appare come suo.
77. Chi non è capace, in virtù della razionalità, di comprendere che un certo bene è utile
alla comunità, e che un certo male è nocivo; ad esempio, che la giustizia, la sincerità e la
castità del matrimonio sono utili alla comunità, e che l’ingiustizia, l'insincerità e l’adulterio
sono nocivi? Ciò, di conseguenza, significa che quei mali in sé sono dannosi, e che quei
beni in sé recano vantaggio. Ognuno è dunque capace di assimilare tutto ciò nella sua
ragione, purché ne abbia la volontà. Siamo dotati di razionalità e di libertà, che vengono
scoperte, portate alla luce ed usate giudiziosamente, e ci permettono di percepire e di
agire, nella misura in cui ci asteniamo dai nostri mali interiori con tali propositi in mente.
Nella misura in cui ci comportiamo così, ci rivolgiamo a queste buone azioni nello stesso
modo in cui un amico si rivolge ad un altro amico.
[2] Ciò ci rende capaci – sempre in virtù della razionalità – di prendere decisioni
riguardo alle buone qualità utili nel mondo spirituale, ed alle cattive qualità che là si
rivelano dannose. Dobbiamo solo considerare i peccati come le cattive qualità, e le azioni
buone e caritatevoli come le buone qualità. Anche tutto questo l'uomo può assimilarlo alla
sua ragione, purché lo voglia, poiché è dotato di razionalità e di libertà. Nella misura in cui
la sua razionalità e libertà si sviluppano, si manifestano, lo guidano e gli consentono di
percepire e di potere, ed egli rifugge i mali come peccati, nella stessa misura egli si rivolge
ai beni della carità come il prossimo guarda il prossimo in virtù di un amore reciproco.
[3] Ora, poiché il Signore, per poterci accettare e congiungersi a noi, vuole che tutto quel
che l'uomo fa liberamente secondo la ragione gli sembri come suo, ne consegue che l'uomo
è capace in virtù della ragione, perché è in vista della sua felicità eterna, di fuggire i mali
come peccati e può farlo dopo che abbia implorato la Divina potenza del Signore.
78. III. Tutto ciò che l'uomo fa in virtù della sua libertà, secondo il suo pensiero, diventa parte di
se stesso. Il motivo di ciò è che il proprium (il senso della propria identità) dell'uomo e la sua
libertà sono una cosa sola; il proprium dell'uomo appartiene alla sua vita, e quel che
l'uomo fa in virtù della propria vita, lo fa liberamente. Inoltre il proprium dell'uomo è quel
che appartiene al suo amore, poiché l'amore è la vita di ciascuno, e quel che l'uomo fa in
virtù dell'amore della sua vita, egli lo compie in virtù della sua libertà. Se l'uomo agisce in
virtù della libertà, secondo il suo pensiero, è perché quel che appartiene alla sua vita o al
suo amore egli lo pensa e lo afferma col pensiero; e allorché egli conferma ciò in se stesso,
allora lo compie in virtù della libertà secondo il pensiero.
[2] Tutto ciò che l'uomo fa, egli lo fa in virtù della volontà mediante l'intelletto; e la
libertà appartiene alla volontà, ed il pensiero all'intelletto. L'uomo può anche agire
liberamente contro la ragione, e ugualmente senza libertà ma secondo la ragione. Queste
azioni non diventano tuttavia parte dell’uomo: esse provengono soltanto dalla sua bocca e
dal suo corpo, e non dal suo spirito o dal suo cuore; ma quelle che provengono dal suo
spirito e dal suo cuore, quando divengono azioni anche della bocca e del corpo, diventano
parte dell’uomo. Ciò si può illustrare con molti esempi, ma non è questa la sede adatta.
[3] Per “diventare parte dell’uomo” si intende entrare nella sua vita, appartenere alla sua
vita, e di conseguenza diventare il suo proprium. Che pertanto l'uomo non abbia alcunché
di proprio, ma che gli sembri come se così fosse, ciò si vedrà in seguito. In questa sede si
tratterà solamente del fatto che ogni bene che l'uomo compie in virtù della sua libertà,
secondo la ragione, diventa come suo, perché appare come suo allorché egli pensa, vuole,
parla e agisce. Nondimeno il bene non appartiene all'uomo, ma al Signore nell'uomo (si
veda sopra, n. 76). Dedicherò un capitolo al modo in cui avviene questa assimilazione.
79. Si è detto che quel che l'uomo fa in virtù della sua libertà, secondo il suo pensiero,
permane, perché nulla di ciò che l'uomo si è appropriato si può eliminare: ciò è divenuto
infatti parte del suo amore, e in pari tempo della sua ragione, o della sua volontà ed al
tempo stesso del suo intelletto, quindi qualcosa che appartiene alla sua vita. Ciò, è vero, si
può rimuovere, tuttavia non si può eliminare; e quando si rimuove, si trasferisce come dal
centro alla periferia, e qui resta: questo s' intende col termine « permane. »
[2] Per esempio, se un uomo nella sua infanzia o nella sua adolescenza ha fatto proprio
qualche modo d’essere sbagliato, per il piacere che esso procura al suo amore, come
ingannare, bestemmiare, abbandonarsi alla vendetta o alla fornicazione, poiché ha
compiuto questi mali liberamente, in accordo col proprio pensiero, egli li ha assimilati a sé.
Se poi fa penitenza, li rifugge e li considera come peccati nei cui confronti si deve provare
avversione, e se ne astiene in virtù della sua libertà, secondo la ragione, allora egli assimila
i beni a cui sono opposti questi mali. Tali beni prendono allora il loro posto al centro, ed
allontanano i mali sempre più ai limiti esterni dell’uomo, nella misura in cui egli prova nei
loro confronti avversione e disgusto. Nonostante ciò, essi non si possono rigettare in modo
da poterli definire estirpati, benché sembri così: ciò si verifica perché l’uomo è distolto dai
mali dal Signore, ed è mantenuto nei beni. Questo vale per ogni male ereditario, così come
per ogni male attuale dell'uomo.
[3] Ne ho avuto esperienza io stesso presso alcuni abitanti del cielo, i quali, essendo
mantenuti dal Signore nel bene, si credevano liberi da qualsiasi male. Ma, affinché non
credessero che il bene in cui si trovavano appartenesse a loro stessi, furono fatti scendere
dal cielo e posti ancora una volta nei loro mali, fino a quando avessero riconosciuto che in
se stessi erano nei mali, ma si trovavano nei beni grazie al Signore; riconosciuto ciò, essi
furono ricondotti nel cielo.
[4] Sia dunque chiaro che i beni non si assimilano all’uomo se non nella misura in cui essi
appartengono pur sempre al Signore nell'uomo stesso. Nella misura in cui l'uomo
riconosce questa verità, nella stessa misura il Signore permette che il bene sembri all'uomo
come di sua proprietà: vale a dire, gli permette di sentire che egli ama il prossimo, ovvero
che è caritatevole, che crede o che ha fede, che fa il bene e comprende il vero, e che dunque
è savio, come se tutto ciò appartenesse a se stesso. Grazie a tali esempi è possibile
riconoscere quale e quanto forte sia l'apparenza in cui il Signore vuole che l'uomo venga a
trovarsi. Il Signore vuole che sia così per la salvezza dell'uomo, poiché senza questa
apparenza nessuno si può salvare. Intorno a questo soggetto si veda anche più sopra, dal
n. 42 al n. 45.
80. Nulla diviene parte dell'uomo di tutto ciò che si limita al solo pensiero, neppure se
egli lo voglia, a meno che non lo voglia in modo tale che, avendone l'opportunità, lo ponga
in atto. Ciò avviene perché, quando l'uomo pone qualcosa in atto in virtù della volontà per
mezzo dell'intelletto, o in virtù dell'affezione della volontà mediante il pensiero
dell'intelletto, la compie davvero. Ma, finché la cosa appartiene al solo pensiero, essa non
può diventare parte di noi, perché l'intelletto non si congiunge con la volontà, ovvero il
pensiero dell'intelletto non si congiunge con l'affezione della volontà. La volontà e la sua
affezione si congiungono tuttavia con l'intelletto e col suo pensiero, come è stato mostrato
in più luoghi in Divino Amore e Divina Sapienza, parte quinta. Questo è il significato delle
parole del Signore: Non ciò che entra nella bocca contamina uomo; ma lo contamina ciò che esce
dalla sua bocca, e proviene dal cuore (Matteo 15:11, 17, 18, 19). Per bocca, in senso spirituale, si
intende il pensiero, perché il pensiero parla attraverso la bocca; e per cuore si intende
l'affezione che appartiene all'amore. Se l'uomo pensa e parla in virtù di questa affezione,
egli si rende impuro. Cuore, in Luca 6:45, significa ugualmente l'affezione che deriva
dall'amore o dalla volontà, e bocca il pensiero che proviene dall'intelletto.
81. Diventano parte dell'uomo anche i mali che egli crede leciti, benché non li ponga in
atto. Ciò che nel pensiero appare lecito, proviene dalla volontà, poiché vi è un accordo.
Quando l'uomo ritiene lecito un male, egli lascia andare i freni interni che trattengono
questo male, ed è distolto dal farlo solo grazie ai freni esterni, vale a dire il timore delle
conseguenze. Poiché lo spirito dell'uomo è favorevole a questo male, una volta rimossi i
freni esterni egli lo compie, perché lo crede lecito; e nel frattempo lo compie
continuamente nel suo spirito. Intorno a questo argomento si veda Dottrina di vita per la
Nuova Gerusalemme, dal n. 108 al n. 113.
82. IV. Tramite queste due facoltà il Signore riforma e rigenera l'uomo, e senza di esse non è
possibile alcuna riforma né rigenerazione. Il Signore insegna che se un uomo non viene
generato di nuovo non può vedere il Regno di Dio (Giovanni 3:3, 5, 7). Ma pochi sanno
cosa significhi essere “generato di nuovo” o essere “rigenerato”, perché non è noto che
cosa sia l'amore e la carità, né di conseguenza cosa sia la fede. Colui che non conosce
l'amore e la carità non può neppure sapere cosa sia la fede, in quanto la carità e la fede
sono una cosa sola, come il bene e la verità, e come l'affezione che appartiene alla volontà
ed il pensiero che appartiene all'intelletto. Riguardo a questa unione si veda in Divino
Amore e Divina Sapienza, dal n. 427 al n. 431; ed anche in Dottrina della Nuova Gerusalemme,
dal n. 13 al n. 24; e in questo stesso trattato, dal n. 3 al n. 20.
83. La ragione per cui non si può entrare nel Regno di Dio se non si è generati di nuovo,
è che l'uomo nasce nei mali di ogni genere, ereditati dai suoi genitori; ma eredita anche la
facoltà di allontanare questi mali e di divenire spirituale. Se non si diventa spirituali non si
può entrare nel cielo: quindi rinascere o rigenerarsi significa mutare di stato, da naturale a
spirituale. Tuttavia, affinché si sappia come l'uomo può rigenerarsi, si devono tenere a
mente queste tre cose: qual'è il suo primo stato, ovvero uno stato di dannazione; qual'è il
suo secondo stato, vale a dire uno stato di riforma; e qual'è il suo terzo stato, ossia uno
stato di rigenerazione.
[2] Il primo stato dell'uomo, che è lo stato di dannazione, è lo stato in cui ogni uomo si
trova in virtù dell'eredità ricevuta dai suoi genitori. Infatti da qui l'uomo nasce nell'amore
di sé e nell'amore del mondo; e da questi amori derivano mali di ogni genere. L’uomo è
guidato dai piaceri di questi amori, e tali piaceri fanno sì che egli non sappia di trovarsi nei
mali, poiché ogni piacere dell'amore viene percepito come un bene. Perciò, se l'uomo non
si rigenera, è capace soltanto di comprendere che amare se stesso ed amare il mondo sopra
tutte le cose è il vero bene, e dominare gli altri e possedere le ricchezze di tutti è il sommo
bene. Da ciò deriva ogni male, poiché l’uomo non prova amore che per sé solo; e, se
guarda un altro con amore, è come un diavolo che guarda un altro diavolo, e un ladro che
guarda un altro ladro, vale a dire come un complice.
[3] Coloro che giustificano in se stessi questi amori ed i mali che conseguono da essi, in
virtù dei piaceri che ne derivano, restano uomini naturali, relegati nel confine di ciò che è
sensualecorporale; e nel proprio pensiero, che appartiene al loro spirito, impazziscono;
nonostante ciò, mentre sono nel mondo, possono parlare e agire razionalmente e
saggiamente, perché sono uomini e quindi sono dotati di razionalità e di libertà; tuttavia
essi agiscono ancora in virtù dell'amore di sé e del mondo. Costoro, dopo la morte,
quando divengono spiriti, possono provare solo il piacere che avevano provato nel loro
spirito quando erano nel mondo. Questo è il piacere dell'amore infernale, che si trasforma
nel dolore profondo e crudele a cui la Parola si riferisce quando descrive il tormento e il
fuoco infernale. Da queste spiegazioni è evidente che il primo stato dell'uomo è lo stato di
dannazione, e che in questo stato si trovano coloro che non si lasciano rigenerare.
[4] Il secondo stato dell'uomo, che è lo stato di riforma, è quando 1'uomo comincia a
pensare al cielo per le gioie che in esso si godono, e a Dio, da cui proviene la gioia del
cielo. All’inizio questo pensiero deriva dal piacere che l’uomo trova nell’amore di sé,
perché di tale natura è per lui la gioia del cielo. Finché è il piacere di questo amore a
dominare, coi piaceri dei mali che ne derivano, per l’uomo la via che conduce al cielo
consiste solo nel pregare, ascoltare prediche, partecipare all’eucarestia, fare elemosine e
soccorrere i bisognosi, contribuire alla costruzione dei templi, fare donazioni agli ospedali,
e cose del genere. In questo stato l’uomo pensa che la salvezza derivi solo dal pensare ciò
che la religione insegna: cioè la fede, o la fede e la carità. Il motivo per cui l’uomo è
convinto che pensare a queste cose lo possa salvare è che non considera i mali che gli
procurano piacere; e che, fino a quando questi piaceri si trovano dentro di lui, vi si trovano
anche i mali. I loro piaceri provengono dalla nostra cupidità nei loro confronti, che
continuamente li rende desiderabili e ci spinge a metterli in atto, se non vi è alcun ostacolo
esterno ad impedirlo.
[5] Finché i mali rimangono nelle cupidità del nostro amore, e quindi nei loro piaceri,
non vi è alcuna fede, né carità, né pietà, né culto, se non esteriormente. Di fronte al mondo,
tuttavia, sembra che esistano veramente, benché non siano reali; si possono paragonare ad
acque che scaturiscono da una sorgente impura, e che non si possono bere. Finché l'uomo
pensa al cielo e a Dio in virtù della religione, e in nessun modo ai mali come peccati, egli è
ancora nel primo stato; ma perviene al secondo stato, ovvero allo stato di riforma, quando
comincia a pensare che esiste il peccato, e ancor più quando pensa che una certa cosa è un
peccato, la considera in quanto tale e non desidera più compierla.
[6] Il terzo stato dell'uomo, ovvero lo stato di rigenerazione, inizia dallo stato precedente,
e grazie ad esso il processo continua. Ciò ha inizio quando l'uomo si astiene dai mali
perché sono peccati, progredisce allorché li rifugge, e si perfeziona nella misura in cui
l’uomo combatte contro di essi. Infine, allorché l’uomo vince in virtù del Signore, egli è
rigenerato. In chi si rigenera, l’ordine della vita cambia; da naturale diviene spirituale,
poiché il naturale separato dallo spirituale è contrario all’ordine, e lo spirituale è secondo
l’ordine. Perciò l'uomo rigenerato agisce in virtù della carità, e fa sì che gli elementi che
appartengono alla sua carità entrino a far parte parte della sua fede. Ma egli diviene
spirituale solo nella misura in cui si trova nelle verità, poiché ogni uomo si rigenera per
mezzo delle verità, e conducendo una vita conforme alle verità. Infatti, sono le verità che
permettono all’uomo di conoscere la vita, ed è la vita che gli consente di praticare le verità.
E’ così che congiunge il bene al vero: tale è il connubio spirituale, in cui l’uomo trova il
cielo.
851. Grazie alle due facoltà, che si chiamano razionalità e libertà, l’uomo si riforma e si
rigenera, e senza di esse non si può riformare né rigenerare. Ciò avviene perché tramite la
razionalità egli può intendere e sapere che cosa è il male e che cosa è il bene, e quindi che
cosa è il falso e che cosa è la verità; e grazie alla libertà può volere ciò che intende e
conosce. Ma finché regna il piacere dell'amore per il male, egli non può volere liberamente
il bene e la verità, e renderli oggetti della sua ragione: perciò egli non può farli propri,
1 I paragrafi 84, 188, da 266 a 273 e 315 risultano mancanti sia nella versione originale, sia nella traduzione di
Scocia, per mero errore tipografico, senza che ne risulti alcuna interruzione nell’opera.
poiché, come si è mostrato più sopra (nn. 7881), le cose che l'uomo compie in virtù della
libertà, secondo la ragione, diventano come sue. Se egli non le fa sue non si riforma, né si
rigenera: quindi non è possibile agire in virtù del piacere dell'amore del bene e della
verità, se non quando il piacere dell'amore del male e del falso sono stati rimossi, poiché
due piaceri dell'amore, opposti tra loro, non possono esistere simultaneamente. Agire in
virtù del piacere dell'amore, significa agire in virtù della libertà. Poiché la ragione è
favorevole all'amore, ciò vuol dire anche agire secondo la ragione.
86. Poiché sia gli uomini buoni, sia quelli cattivi sono dotati di razionalità e di libertà,
tutti possono comprendere la verità e fare il bene; ma un uomo cattivo non può farlo
liberamente e secondo ragione, mentre chi è buono può farlo, perché il cattivo si trova nel
piacere dell'amore del male, e il buono nel piacere dell'amore del bene. Perciò la verità che
il cattivo comprende, ed il bene che compie, non li fa suoi, mentre l'uomo buono li fa suoi;
e se tali qualità non divengono parte dell’uomo non vi è riforma, né rigenerazione. Infatti
nei cattivi i mali e le falsità si trovano come al centro, e i beni e le verità come alla periferia.
Viceversa, nei buoni i beni e le verità sono al centro, e i mali con le falsità alla periferia; e in
entrambi i casi ciò che è al centro si diffonde fino alla periferia, come il calore si diffonde
da un fuoco che si trova al centro, e dal ghiaccio che si trova al centro si diffonde il freddo.
Così i beni, che nei cattivi si trovano alla periferia, vengono contaminati dai mali nel
centro, e nei buoni i mali delle periferie vengono mitigati dai beni nel loro centro. È per
questo motivo che i mali non conducono a dannazione colui che è rigenerato, e che i beni
non possono salvare colui che non è rigenerato.
87. V. Mediante queste due facoltà l’uomo si può riformare e rigenerare, nella misura in cui può
essere guidato da esse a riconoscere che ogni bene ed ogni verità che egli pensa e compie derivano
dal Signore, e non da se stesso. È stato già mostrato che cosa sono la riforma e la
rigenerazione, ed altresì che l'uomo si riforma e si rigenera grazie alle due facoltà della
razionalità e della libertà. Poiché ciò avviene per mezzo di esse, è opportuno parlarne più
diffusamente. La razionalità permette all’uomo di comprendere, e la libertà di volere, in
ciascun caso come se avvenisse tramite le proprie forze. Tuttavia, solo chi è rigenerato può
comprendere ciò che è bene e compierlo secondo ragione. Il malvagio può solo intendere
liberamente il male e compierlo seguendo il suo pensiero, che – continuando a
confermarlo in sé – egli rende apparentemente conforme alla ragione. Il male può dunque
essere confermato in sé al pari del bene, ma tramite apparenze illusorie; allorché queste
apparenze vengono considerate come certezze, divengono falsità; e tutto ciò che viene
considerato come certezza sembra conforme alla ragione.
88. Chiunque sia capace di pensare in modo più profondo, può rendersi conto che la
nostra capacità di volere e la nostra capacità di comprendere non provengono da noi
stessi, ma da colui che ha il potere in se stesso, cioè da colui a cui appartengono tali
capacità nella loro vera essenza. È sufficiente chiedersi da dove viene tale potere. Non
viene forse da colui che lo possiede al massimo della sua potenza, cioè da colui che lo ha in
sé, e da cui di conseguenza procede? Ciò significa che potere in sé è Divino. Ogni potere
necessita di risorse a cui si deve provvedere, e quindi una determinazione proveniente da
dentro o da sopra di sé. L'occhio non può vedere da se stesso, né l'orecchio udire da se
stesso, né la bocca parlare da se stessa, né la mano agire da se stessa. Deve esserci dunque
qualche risorsa, e pertanto qualche determinazione che proviene dalla mente. E anche la
mente non può pensare e volere alcunché per virtù propria, se non vi è qualcosa di
interiore o superiore a determinarla. Il nostro poter comprendere e poter volere, quindi,
non possono provenire da altri che da colui che in se stesso può volere e può
comprendere.
[2] Da ciò si evince che le due facoltà chiamate razionalità e libertà provengono dal
Signore, e non dall'uomo. Ne consegue che l'uomo non vuole e non comprende niente con
le sue forze: questa è solamente un’apparenza. Ciò può essere compreso da chiunque
sappia e creda che la volontà di compiere qualsiasi bene e l'intelligenza per comprendere
ogni verità provengono dal Signore, e non dall'uomo. La Parola ci insegna (Giovanni 3:27
15:5) che l'uomo non può ricevere nulla da sé, né fare nulla da sé.
89. Ora, siccome ogni volontà deriva dall'amore, ed ogni comprensione dalla sapienza,
ne consegue che poter volere proviene dal Divino Amore, e poter comprendere dalla
Divina Sapienza, e l'uno e l'altro dal Signore, che è in sé il Divino Amore e la Divina
Sapienza. Ne deriva che agire in virtù della propria libertà secondo la ragione non
proviene da altra fonte. Ognuno agisce secondo la ragione, perché la libertà, al pari
dell'amore, non si può separare dalla volontà. Tuttavia nell'uomo vi è un volere interiore e
un volere esteriore, ed egli è capace di agire secondo il volere esteriore e non al tempo
stesso secondo quello interiore: così agiscono gli ipocriti e gli adulatori. I loro intenti
esteriori sono liberi, poiché provengono da un desiderio di apparire diversi da ciò che essi
realmente sono, o dal desiderio che provano per qualche male; un amore che è
un’estensione dell'amore che provano nella loro volontà interiore. Tuttavia, come si è detto
(vedi n. 86), il malvagio non può, con la sua libertà e secondo la sua ragione, fare che il
male; egli non può compiere alcun bene liberamente e razionalmente. Egli lo può
certamente fare, ma non in virtù della sua libertà interiore, la sua propria libertà. Ne
consegue che nella sua libertà esteriore non vi è nulla del bene.
90. Si è detto che l'uomo si può riformare e rigenerare solo nella misura in cui, tramite
quelle due facoltà, riconosce che ogni bene ed ogni verità che può pensare e mettere in atto
proviene dal Signore e non da se stesso. Il motivo per cui ciò non si può riconoscere se non
grazie a quelle due facoltà, è perché tali facoltà derivano dal Signore. Esse appartengono al
Signore nell'uomo, come risulta evidente da quel che è stato detto. Ne consegue che
l'uomo non può fare ciò da sé, ma in virtù del Signore; tuttavia egli lo può fare come se lo
facesse con le proprie forze. Questo è un dono del Signore ad ognuno di noi: anche se
crediamo di poter agire da soli, quando pensiamo lucidamente riconosciamo che non è
così. Dobbiamo credere di essere indipendenti, ma nello stesso tempo comprendere e
riconoscere che non è così. Altrimenti la verità che pensiamo, e il bene che compiamo, non
sono realmente né verità né bene, perché noi vi siamo presenti, non il Signore. Il bene in
cui l'uomo viene a trovarsi, se è per la sua salvezza, è un bene meritorio, ma il bene in cui
si trova il Signore non è meritorio.
91. Riconoscere il Signore, e riconoscere che ogni bene ed ogni verità vengono da lui, e
realizzare che l'uomo per mezzo di tale consapevolezza si riforma e si rigenera, è cosa
alquanto ardua da scorgere e solo in pochi la vedono con il proprio intelletto; perché si
può pensare: «A cosa giova questa consapevolezza, dal momento che il Signore è
onnipotente e vuole la salvezza di tutti; quindi egli può e vuole, purché sia mosso a
misericordia?» Ma pensare così non significa pensare in virtù del Signore, né per
conseguenza in virtù della vista interiore dell'intelletto, cioè in virtù di una reale
illuminazione; spiegherò dunque in poche parole ciò che può operare il riconoscimento di
ciò che appartiene al Signore.
[2] Nel mondo spirituale, dove lo spazio è soltanto apparenza, la sapienza produce la
presenza, e l'amore la congiunzione; e viceversa. Vi è un modo di riconoscere il Signore in
virtù della sapienza, e un modo di riconoscere il Signore in virtù dell'amore. Riconoscere il
Signore in virtù della sapienza, che in sé è semplicemente una forma di conoscenza, deriva
da un sistema dottrinale; e la riconoscenza del Signore in virtù dell'amore esiste grazie alla
vita conforme a tale dottrina. Questo modo di riconoscere crea una congiunzione, e l'altro
crea una presenza. Perciò coloro che rifiutano la dottrina concernente il Signore si
allontanano da lui; e se rifiutano anche la vita, si separano da lui; coloro però che non
rigettano la dottrina, ma la vita, sono presenti, e tuttavia separati: sono come amici che
conversano tra loro, ma non si amano; e come due individui di cui l'uno parla all'altro
come un amico, ma lo odia come un nemico.
[3] È noto, infatti, che chi insegna bene e vive bene, si salva, ma non chi insegna bene e
vive male; e chi non crede in Dio non si può salvare. Perciò è chiaro quale tipo di religione
sia quella che spinge a pensare al Signore solo in virtù di ciò che si chiama “fede”, ed a
non fare nulla in virtù della carità. Dice il Signore:
Perché mi chiamate: Signore, Signore, e poi non fate ciò che dico? Chi viene a me e ascolta le
mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha posto le
fondamenta sopra la roccia. Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha
costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. » (Luca 6:46–49)
92. VI. La congiunzione del Signore con l’uomo, e la congiunzione reciproca dell'uomo con il
Signore, si effettuano tramite queste due facoltà. La congiunzione col Signore e la
rigenerazione sono la stessa cosa; nella misura in cui siamo congiunti al Signore, nella
stessa misura siamo rigenerati Perciò tutto quel che si è detto sulla rigenerazione, si può
dire della congiunzione, e ciò che diremo della congiunzione, si può dire della
rigenerazione. Che vi sia una congiunzione del Signore con l’uomo, e una congiunzione
reciproca dell'uomo col Signore, lo insegna il Signore medesimo in Giovanni:
Rimanete in me e io in voi. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto (15:4,5)
In quel giorno saprete che voi siete in me, e io in voi (14:20)
[2] In virtù della sola ragione ognuno può vedere che non vi è alcuna congiunzione degli
animi se essa non è reciproca, e che ciò che è reciproco congiunge. Se qualcuno ama un
altro e non ne è corrisposto, allorché il primo si avvicina, 1'altro si ritrae; ma se essi si
amano reciprocamente, quando uno si avvicina, anche 1'altro si avvicina, e la
congiunzione si effettua. L' amore vuole essere ricambiato, ciò è insito in esso; e, nella
misura in cui è ricambiato, altrettanto ne prova piacere. È dunque evidente che, se fosse
solo il Signore ad amare 1'uomo, e non ne fosse ricambiato, il Signore si avvicinerebbe, e
l'uomo si allontanerebbe. Il Signore vorrebbe continuamente accostarsi all'uomo ed entrare
in lui, e l'uomo si volgerebbe indietro e se ne andrebbe. Per coloro che sono nell'inferno è
così, ma per coloro che sono nel cielo vi è mutua congiunzione.
[3] Poiché il Signore vuole congiungersi all'uomo per la sua salvezza, egli ha provveduto
affinché vi sia nell’uomo un tramite per cui possa esservi reciprocità: nell'uomo la
reciprocità è che il bene che egli vuole e compie in virtù della libertà, e la verità che egli
pensa e afferma razionalmente in virtù di questo volere, sembrano provenire da lui. In
effetti è proprio come se questo bene nella sua volontà, e questa verità nel suo intelletto
siano suoi, anzi, che gli appartengano del tutto. Non c’è modo di trovare alcuna
differenza. (Riguardo a questa apparenza, si vedano i nn. 74 e 75; e, riguardo al fatto che
l’uomo faccia suoi tale bene e tale verità, si vedano i nn. da 78 a 81). La sola differenza è
che l'uomo deve riconoscere che non è con le sue sole forze che fa il bene e pensa il vero,
ma in virtù del Signore, e che quindi il bene che fa e la verità che pensa non gli
appartengono. Pensare così per un qualche amore della volontà, semplicemente perché è
la verità, consente la congiunzione, poiché in questo modo l'uomo si volge al Signore, e il
Signore all'uomo.
93. Nel mondo spirituale è possibile e udire e vedere qual'è la differenza tra coloro che
credono che ogni bene proceda dal Signore, e coloro che credono che ogni bene derivi da
se stessi. Coloro che credono che il bene proceda dal Signore si volgono a lui e ricevono il
piacere e la beatitudine del bene; ma coloro che credono che il bene derivi da se stessi si
volgono a se stessi, e pensano fra sé di averne il merito. Dato che si volgono a se stessi,
possono solo percepire il piacere del loro bene, che non è il piacere del bene, ma il piacere
del male; poiché ciò che è proprio dell'uomo è il male; e il piacere del male, considerato
come bene, è l'inferno. Coloro che hanno fatto il bene credendo di averlo compiuto per
virtù propria, se dopo la morte non accettano la verità che ogni bene procede dal Signore,
si uniscono ai demoni infernali, ed infine diventano una sola cosa con essi. Invece, coloro
che accolgono questa verità si riformano; ma non possono accettarla se non coloro che
durante la loro vita si erano rivolti a Dio. Rivolgersi a Dio nella propria vita non significa
altro che evitare i mali in quanto essi sono peccati.
94. La congiunzione del Signore con l'uomo, e la congiunzione reciproca dell'uomo col
Signore, possono realizzarsi solo amando il prossimo come se stessi, ed il Signore sopra
ogni cosa. Amare il prossimo come se stessi non significa altro che comportarsi con gli altri
senza disonestà e senza ingiustizia, non nutrire odio né cercare vendetta, non oltraggiare e
non diffamare, non commettere adulterio con la moglie altrui e non commettere altre cose
del genere. È evidente che coloro che fanno tali cose non amano il prossimo come se stessi.
Coloro che, al contrario, non si comportano così, perché si tratta di mali contro il prossimo,
ed in pari tempo di peccati contro il Signore, agiscono con sincerità, giustizia, amicizia e
fedeltà nei confronti degli altri; e, poiché il Signore agisce in modo simile, si effettua la
congiunzione reciproca. Quando si verifica tale congiunzione reciproca, allora tutto ciò che
l'uomo fa al prossimo, lo fa in virtù del Signore; e tutto ciò che l'uomo compie in virtù del
Signore, è bene. Il prossimo, dunque, non è per lui l’individuo, ma il bene presente in
quell’individuo. Amare il Signore sopra ogni cosa significa non usare violenza alla Parola,
perché nella Parola è presente il Signore, né alle sante pratiche della chiesa, perché in esse
è presente il Signore, né all'anima di nessun uomo, perché l'anima di ognuno è nelle mani
del Signore. Coloro che evitano questi mali come terribili peccati, amano il Signore sopra
ogni cosa; ma questo è possibile solo a coloro che amano il prossimo come se stessi, poiché
questi due tipi di amore sono essenzialmente uno.
95. Poiché vi è una congiunzione del Signore con l'uomo, e dell'uomo col Signore, vi
sono due tavole della legge: una per il Signore, e l'altra per l'uomo. Nella misura in cui
l'uomo osserva, come se ne fosse capace con le proprie forze, le leggi della sua tavola,
altrettanto il Signore gli concede di osservare le leggi della sua; ma l’uomo che non osserva
le leggi della propria tavola, che si riferiscono tutte all'amore del prossimo, non può
osservare le leggi della tavola del Signore, che riguardano tutte l'amore per il Signore.
Come può un omicida, un ladro, un adultero, uno spergiuro amare il Signore? La ragione
non insegna che esser tale ed amare Dio è una contraddizione? Il diavolo non è forse così,
e può non odiare Dio? Ma quando l'uomo aborre come infernali gli omicidi, gli adulteri, i
furti e gli spergiuri, allora può amare Dio, poiché distoglie lo sguardo dal diavolo e lo
rivolge al Signore; e quando si volge al Signore gli vengono concessi l'amore e la sapienza,
che entrano in lui dal volto, non dalla parte posteriore della testa. Così e non altrimenti si
effettua la congiunzione col Signore: perciò queste due tavole sono state chiamate
“alleanza”, e l'alleanza ha luogo fra due parti.
96. VII. Per tutto il corso dell’opera della sua Divina Provvidenza, il Signore custodisce intatte e
come sante queste due facoltà nell'uomo. Le ragioni di ciò sono che l'uomo, senza queste due
facoltà, non avrebbe intelletto né volontà, quindi non sarebbe uomo; ed inoltre, privo di
esse, non si potrebbe congiungere al Signore, né di conseguenza riformarsi e rigenerarsi.
Senza queste facoltà non avrebbe neppure l’immortalità, né la vita eterna. È stato già
spiegato, dal n. 71 al n. 95, cosa sono queste due facoltà: la libertà e la razionalità. Tale
concetto non può apparire chiaro, tuttavia, se queste ragioni non vengano esposte come
conclusioni; si rende perciò necessaria una spiegazione.
[2] L'uomo, senza queste due facoltà, non avrebbe né intelletto né volontà, quindi non
sarebbe uomo. L’uomo non ha la volontà se non perché egli può determinarsi liberamente
come da sé e volere liberamente come da sé, deriva da questa facoltà, continuamente
concessa all’uomo dal Signore, chiamata libertà. D’altro canto, l’uomo possiede l'intelletto
per poter comprendere, come se ciò avvenisse con le proprie forze, se qualcosa è o non è
conforme alla ragione; e comprendere se qualcosa è o non è conforme alla ragione deriva
da un’altra facoltà, la razionalità, che il Signore continuamente concede all'uomo. Queste
facoltà si congiungono nell'uomo come la volontà e l'intelletto. Ciò significa che, come
l'uomo può volere, egli può anche comprendere, poiché non si può volere senza
comprendere: comprendere è il suo consorte o compagno, senza il quale non può esistere.
Perciò la libertà ci viene data insieme alla razionalità.
[3] Difatti, se dal comprendere si sottrae il volere, non si può comprendere nulla. Si può
comprendere nella misura in cui lo si desidera, purché si posseggano, o si abbia accesso ai
mezzi definiti percezioni, che sono come strumenti nelle mani di un artigiano. Si è detto
che è possibile comprendere nella misura in cui lo si desidera; vale a dire nella misura in
cui si ama comprendere, poiché la volontà e l’amore sono la stessa cosa. Ciò, è vero,
sembra un paradosso, ma solo a coloro che non amano comprendere, e quindi non lo
vogliono; e coloro che non vogliono dicono che non possono. Nel paragrafo seguente si
chiarirà chi sono coloro che non possono comprendere, e coloro che possono farlo, ma con
difficoltà.
[5] Senza queste due facoltà l'uomo non si potrebbe congiungere al Signore, né di
conseguenza riformarsi e rigenerarsi. Questo è già stato mostrato (nn. 8286). Il Signore
risiede in queste due facoltà presenti negli uomini, sia malvagi che buoni, e grazie ad esse
si congiunge ad ogni uomo: ne deriva che un uomo malvagio può comprendere come un
uomo buono, e che in entrambi vi è in potenza la volontà del bene e l'intelligenza della
verità. Se essi non posseggono queste caratteristiche in atto, ciò è per l'abuso di tali facoltà.
Il Signore risiede in queste due facoltà all’interno di ogni uomo in virtù dell'influsso della
volontà del Signore, perché egli vuol essere ricevuto dall'uomo, dimorare in lui e donargli
le gioie della vita eterna: queste cose appartengono alla volontà del Signore, perché sono
proprietà del suo Divino Amore. È questa la volontà del Signore, la quale fa sì che quel che
l’uomo pensa, dice, vuole e fa appare in lui come suo.
[6] Che l'influsso della volontà del Signore operi in tal modo si può confermare con
molte particolarità del mondo spirituale. Talvolta il Signore ricolma un angelo della sua
natura Divina, fino al punto che l’intera coscienza dell'angelo è il Signore stesso. Fino a
tale misura erano colmi gli angeli visti da Abramo, da Agar e da Gedeone, i quali perciò
chiamarono se stessi Jehovah, come si legge nella Parola; così uno spirito può essere
ripieno di un altro fino al punto di non riuscire più a comprendere di non essere l’altro:
questo l'ho visto io stesso più volte. In cielo è noto altresì che il Signore opera ogni cosa
tramite la sua volontà, e che tutto accade secondo la sua volontà. È dunque evidente che è
grazie a queste due facoltà che il Signore si congiunge all'uomo, e fa sì che l'uomo si
congiunga reciprocamente a Lui. Come poi l'uomo per queste due facoltà si congiunga
reciprocamente, e conseguentemente come grazie ad esse si riformi e si rigeneri, ciò si è già
stato detto, e se ne tratterà più diffusamente in seguito.
[7] Senza queste due facoltà l'uomo non avrebbe né l'immortalità, né la vita eterna. È una
conseguenza di quel che si è già detto: tramite tali facoltà si realizza la congiunzione col
Signore, ed anche la riforma e la rigenerazione. Grazie alla congiunzione l'uomo ottiene
l'immortalità, e grazie alla riforma ed alla rigenerazione egli ha la vita eterna; e poiché
grazie a queste due facoltà si verifica la congiunzione del Signore con ogni uomo, tanto
malvagio che buono, come si è detto, ogni uomo ha l'immortalità; ma la vita eterna, cioè la
vita nel cielo, è destinata all'uomo in cui si verifica la congiunzione reciproca, dall’intimo
del suo essere fino ai suoi limiti più esterni. Da queste spiegazioni si può comprendere
perché il Signore, lungo tutto il corso dell’azione della sua Divina Provvidenza, custodisce
intatte e come sante queste due facoltà nell'uomo.
97. VIII. Perciò la Divina Provvidenza fa sì che l'uomo agisca in virtù della libertà, secondo la
ragione. Agire in virtù della libertà, secondo la ragione, equivale ad agire in virtù della
libertà e della razionalità, come pure agire in virtù della volontà e dell'intelletto. Vi è una
differenza, tuttavia, fra agire liberamente e razionalmente, ovvero sulla base della nostra
libertà e razionalità, ed agire in base ad una vera libertà e ad una vera razionalità. Infatti
l'uomo che fa il male per amore del male, e lo giustifica, agisce certamente secondo la
libertà e la ragione. Tuttavia la sua libertà non è libertà in essenza, o vera libertà, ma è un
libertà infernale, che in sé è schiavitù; e la sua ragione non è vera ragione, bensì una
distorta imitazione di essa, un’apparenza sostenuta da false argomentazioni. L'una e l'altra
sono comunque sottoposte alla Divina Provvidenza: se la libertà di volere il male e di
affermarla con falsi ragionamenti fosse tolta all'uomo naturale, la libertà e la razionalità
perirebbero, ed in pari tempo la volontà e l'intelletto. In tal modo l'uomo non potrebbe
essere distolto dai mali, né riformarsi, né di conseguenza congiungersi al Signore e vivere
eternamente. Perciò il Signore custodisce la libertà nell'uomo come l'uomo custodisce la
pupilla del suo occhio. Il Signore, grazie alla nostra stessa libertà, tenta continuamente di
distoglierci dai mali, e nella misura in cui ci riesce, introduce in noi i beni; così, passo dopo
passo, in luogo della libertà infernale introduce in noi la libertà celeste.
98. Si è detto che ogni uomo ha la facoltà di volere, che si chiama libertà, e la facoltà di
comprendere, ovvero la razionalità; ma deve essere chiaro che queste due facoltà sono
come insite nell'uomo, poiché sono esse a renderci uomini. Tuttavia, come si è detto, una
cosa è agire in virtù della libertà secondo la ragione, ed altro è agire in virtù della vera
libertà secondo la vera ragione: soltanto coloro i quali agiscono in virtù della vera libertà, e
secondo la vera ragione, sono gli uomini che si sono lasciati rigenerare dal Signore. Tutti
gli altri agiscono in virtù della libertà, secondo un modo di pensare che essi foggiano in sé
come conforme alla ragione. Tuttavia ogni uomo, che non sia nato idiota o del tutto
stupido, è capace di pensare secondo la vera ragione, e grazie ad essa pervenire ad uno
stato di vera libertà. Se non ne è capace, dipende da una serie di motivi che di cui si
tratterà in seguito. Qui sarà cenno solamente a quelli nei quali non possono esistere la vera
libertà, e nello stesso tempo la vera ragione o la vera razionalità, e quelli che hanno
difficoltà ad conseguirle.
[2] La vera libertà e la vera razionalità non possono esistere negli idioti di nascita, né in
coloro che lo sono divenuti in seguito, finché restano tali. Queste facoltà non possono
esistere negli stupidi e negli imbecilli di nascita, né in alcuni divenuti tali per colpa
dell'ozio, o di una malattia che abbia distorto od occluso i livelli più profondi della mente,
o per l'amore di una vita bestiale.
[3] La vera libertà e la vera razionalità non possono esistere neppure in coloro, nel
mondo cristiano, che negano fermamente la natura Divina del Signore e la santità della
Parola, e che mantengono questa falsa credenza fino al termine della loro vita. È questo
infatti che si intende per peccato contro lo Spirito Santo, che non può essere perdonato né in
questo secolo, né nel secolo avvenire (Matteo 12:31, 32).
[5] La vera libertà e la vera razionalità difficilmente possono esistere in coloro che sono
tenacemente convinti di falsi principi religiosi, perché colui che afferma il falso è negatore
della verità; ma in coloro che non sono del tutto convinti, a qualsiasi religione
appartengano, esse possono essere presenti (si veda ciò che è stato riferito in proposito in
Dottrina della Nuova Gerusalemme sulla Sacra Scrittura, dal n. 91 al n. 97).
[6] I bambini e i fanciulli non possono pervenire alla vera libertà ed alla vera razionalità
prima di aver raggiunto l'età dell'adolescenza, perché i livelli più profondi della mente
umana si aprono gradatamente. Essi sono nel frattempo come semi in un frutto immaturo,
i quali, se piantati, non possono germogliare.
99. Si è detto che la vera libertà e la vera razionalità non possono esistere in coloro che
hanno negato la Divinità del Signore e la santità della Parola, né in coloro che hanno
preferito credere alla natura piuttosto che a Dio, e che esse possono difficilmente esistere
in coloro che sono fortemente convinti di false dottrine religiose; nonostante ciò, tuttavia,
nessuno di essi ha perduto queste facoltà. Ho udito dire da atei, che erano divenuti dei
diavoli e dei satana, che essi avevano compreso gli arcani della sapienza come gli angeli,
ma solamente quando li avevano uditi esporre da altri; poi, una volta tornati nei propri
pensieri, essi non li comprendevano più. Il motivo era perché non li volevano; ma venne
loro dimostrato che essi avrebbero anche potuto volerli, se l'amore e quindi il piacere del
male non li avessero distolti. Quando essi udirono ciò, lo compresero, ed anzi affermarono
di poterlo fare, ma di non volerne essere capaci, perché così non avrebbero potuto volere
ciò che desideravano: vale a dire il male, per il piacere della sua cupidità. Nel mondo
spirituale ho udito molte volte cose del genere, così sorprendenti, che mi hanno
pienamente convinto che ogni uomo ha la libertà e la razionalità, e che ciascuno può
pervenire alla vera libertà ed alla vera razionalità se evita i mali in quanto peccati. Ma
l'adulto che nella vita terrena non perviene alla vera libertà ed alla vera razionalità, non vi
può pervenire dopo la morte, perché allora la sua vita rimane eternamente come è stata nel
mondo.
VI
È una legge delle Divina Provvidenza che l’uomo allontani dall’uomo
esterno i mali in quanto peccati, come se ne fosse capace con le sue sole
forze. Solo così il Signore può allontanare i mali dall’uomo interno, e allo
stesso tempo dall’uomo esterno
100. Ognuno, in virtù della sola ragione, può comprendere che il Signore, che è in sé il
bene e la verità, non può entrare nell'uomo se i mali e le falsità non sono rimossi da lui,
affinché il male sia opposto al bene, ed il falso alla verità. Due opposti non possono mai
fondersi, ma quando l'uno si avvicina all'altro avviene un combattimento che dura finché
l'uno cede all'altro; e quello che cede se ne va, per essere sostituito dall’altro. In una simile
opposizione si trovano il cielo e l'inferno, o il Signore e il diavolo. Può forse qualcuno, in
virtù della ragione, pensare che il Signore possa entrare là dove regna il diavolo, o che il
cielo possa essere dov’è l’inferno? Chi mai, in virtù della razionalità concessa ad ogni
uomo sensato, non vede che, affinché il Signore entri, è necessario che il diavolo sia
cacciato; ovvero che, affinché il cielo entri, sia necessario che l'inferno venga allontanato?
[2] È a questa opposizione che fanno riferimento le parole che Abramo nel cielo rivolge
al ricco nell’inferno: Fra noi e voi è posto un grande baratro, in modo tale che coloro che
vorrebbero da qui passare a voi non possono; così pure nessuno può passare di là a noi (Luca
16:26). Il male stesso è 1'inferno, ed il bene stesso è il cielo; ovvero il male stesso è il
diavolo, ed il bene stesso è il Signore. L'uomo in cui regna il male è un inferno in
miniatura, e l'uomo in cui regna il bene è un cielo in miniatura. Stando così le cose, come
può il cielo entrare nell'inferno, poiché fra essi è stabilito un così grande abisso, tale che
non si può passare dall'uno all'altro? Ne consegue che l'inferno deve essere interamente
rimosso affinché il Signore ed il cielo possano entrare.
101. Ma molti uomini, e principalmente coloro che sono persuasi nella fede separata
dalla carità, non sanno di trovarsi all'inferno, quando sono impegnati in azioni malvagie.
Essi non sanno nemmeno che cosa siano i mali, perché non pensano affatto ai mali,
affermando di non trovarsi sotto il giogo della legge: dunque la legge non li condanna.
Non potendo affatto contribuire alla loro salvezza, essi non possono rimuovere da sé alcun
male, e non possono fare volontariamente alcun bene. Sono questi che evitano di pensare
al male, e poiché omettono di pensarvi, essi lo compiono continuamente. In Dottrina della
Nuova Gerusalemme sulla Fede, dal n. 61 al n. 68, è stato mostrato che è ad essi che allude il
Signore in Matteo – 25:32, 33, 4146, chiamandoli “capri”. Di questi, al versetto 41 si dice:
Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno preparato al diavolo e ai suoi angeli.
[2] Coloro che non pensano affatto ai mali che esistono in loro, vale a dire coloro che non
esaminano se stessi, e di conseguenza non si astengono da questi mali, possono solo
ignorare che cosa sia il male, e dunque amarlo in virtù del piacere che procura loro. Infatti
chi ignora cosa sia il male, ama il male; e chi evita di pensare al male è continuamente nel
male; è come un cieco incapace di vedere, poiché il pensiero vede il bene e il male, come
l'occhio vede il bello e il brutto. Egli è nel male se pensa e vuole il male, e se crede che il
male resti celato agli occhi del Signore; e che, se appare, venga perdonato. Ciò significa
credere di essere liberi dal male. Se qualcuno si astiene dal commettere azioni malvagie,
ciò non avviene perché sono peccati contro Dio, ma per timore della legge e della perdita
della reputazione; lo compie tuttavia nel suo spirito, perché è lo spirito che pensa e
comprende. Di conseguenza, qualsiasi cosa pensi nel suo spirito in questo mondo egli
continua a farlo dopo la morte, quando diviene spirito.
102. È dunque chiaro che è una legge della Divina Provvidenza che l'uomo dovrebbe
liberarsi dai suoi mali, altrimenti il Signore non può congiungersi a lui e condurlo a sé nel
cielo. Ma si ignora che l'uomo deve liberarsi dai mali nella sua natura esteriore, come se lo
potesse fare con le sue stesse forze; o che il Signore non può rimuovere i mali dalla natura
interiore dell’uomo, se egli stesso non compie quest’opera, agendo apparentemente con le
sue forze. Perciò questo concetto deve essere esposto all’esame della ragione, nella sua
luce, in questo ordine:
I. Ogni uomo ha un piano esteriore ed uno interiore del pensiero.
II. La qualità essenziale del nostro pensiero esteriore è determinata dalla qualità del nostro
pensiero interiore.
III. La nostra natura interiore non può essere purificata dalle cupidità del male, finché i
mali non sono rimossi dalla nostra natura esteriore, perché questi mali esteriori sono di
ostacolo.
IV. Il Signore non può rimuovere i mali dalla nostra natura esteriore senza il nostro aiuto.
V. L’uomo deve da se stesso allontanare i mali dall’uomo esterno.
VI. Allora il Signore ci purifica dalle cupidità del male presenti nella nostra natura
interiore, e dalle azioni malvagie nell'uomo esteriore.
VII. L'azione continua della Divina Provvidenza del Signore consiste nel congiungere
l'uomo a sé, e sé all'uomo, per potergli concedere le felicità della vita eterna. Ciò non è
possibile se non nella misura in cui i mali e le loro cupidità sono rimossi.
104. Per constatare che ogni uomo in età matura possiede un pensiero esteriore ed un
pensiero interiore, una volontà e un discernimento esteriori ed interiori, ovvero piani
esteriori ed interiori dello spirito corrispondenti a livelli esteriori ed interiori del sé,
dobbiamo solo esaminare da vicino i pensieri e le intenzioni degli altri in base a ciò che
essi dicono e fanno. Possiamo prendere in considerazione anche i nostri stessi pensieri ed
intenzioni, quando siamo in compagnia e quando siamo soli. Un uomo può parlare
amichevolmente con un altro in virtù del proprio pensiero esteriore, e nonostante ciò
essere suo nemico nel pensiero interiore; così come può parlare dell'amore per il prossimo
e verso Dio in virtù del pensiero esteriore, e anche dell'affezione per tale pensiero, mentre
nel suo pensiero interiore egli non tiene il prossimo in alcun conto, e non teme Dio. In
virtù del pensiero esteriore, e in pari tempo in virtù dell'affezione esteriore, egli può
parlare della giustizia, delle leggi civili, delle virtù della vita morale, e degli argomenti
riguardanti la dottrina e la vita spirituale; e nonostante ciò, quando è solo con se stesso,
mosso dal pensiero e dall’affezione interiori, può scagliarsi contro le leggi civili, contro le
virtù morali e contro le cose che riguardano la dottrina e la vita spirituale. Così si
comportano coloro che sono nelle cupidità del male, e che tuttavia vogliono apparire al
mondo in modo opposto.
[2] Quando ascoltano gli altri, molti pensano fra sé: “I loro veri pensieri sono conformi a
ciò che essi dicono? Dovrei credere in loro o no? Quali sono le loro intenzioni?” È noto,
infatti, che gli adulatori e gli ipocriti hanno un retropensiero; essi possono contenersi e far
sì che il loro intimo pensiero non venga alla luce. Alcuni lo possono nascondere sempre
più interiormente e, per così dire, serrare le porte affinché non si palesi. Che l'uomo abbia
un pensiero esteriore e un pensiero interiore è dimostrato dal fatto che, in virtù del suo
pensiero interiore, egli può scorgere il suo pensiero esteriore, riflettere su di esso, e
giudicare se è malvagio o no. La mente dell'uomo è così strutturata, in quanto egli
possiede due facoltà che provengono dal Signore, chiamate libertà e razionalità; e, se egli
non avesse un piano esteriore e uno interiore del pensiero, non potrebbe, grazie a queste
due facoltà, percepire né vedere alcun male in sé, né potrebbe riformarsi: anzi non
potrebbe parlare, ma solamente emettere suoni come le bestie.
105. Il piano interiore del pensiero proviene dall'amore della nostra vita e dalle affezioni,
e quindi dalle percezioni, che tale amore provoca; il piano esteriore deriva dai contenuti
della memoria, utili all'amore della nostra vita come supporti e come mezzi per
raggiungere il fine. Dall'infanzia fino alla gioventù l'uomo è assorbito nel piano esteriore
del pensiero a causa dell'affezione per il sapere, che a questo punto costituisce il suo piano
interiore. Egli eredita dall’indole dei genitori anche qualcosa che appartiene alla cupidità,
e al conseguente impulso ad agire. In seguito, tuttavia, secondo il modo in cui l’uomo vive,
viene a formarsi l'amore della sua vita, le cui affezioni e quindi le percezioni costituiscono
il piano interiore del pensiero. Dall'amore della vita si genera l'amore dei mezzi; ed i
piaceri e le informazioni che le affezioni richiamano dalla memoria costituiscono il livello
esteriore del pensiero.
106. La qualità essenziale del nostro pensiero esteriore è determinata dalla qualità del nostro
pensiero interiore. È stato mostrato più sopra che l'uomo nella sua interezza è tale quale è
l’amore della sua vita. È opportuno dire anzitutto qualcosa intorno a tale amore, giacché
senza una precisazione al riguardo non si può dire nulla circa le affezioni, che insieme alle
percezioni costituiscono il livello interiore dell'uomo, né circa i piaceri delle affezioni, che
assieme ai pensieri costituiscono il livello esteriore dell'uomo. Gli amori sono molteplici,
ma due di essi sono come i loro signori e re: uno è l'amore celeste, e l’altro è l'amore
infernale. L’amore celeste è l'amore per il Signore e per il prossimo, e l'amore infernale è
l'amore di sé e del mondo. Questi amori sono opposti l'uno all'altro come il cielo e
l'inferno, poiché chi è nell'amore di sé e del mondo vuole bene solo a se stesso, ma chi è
nell'amore verso il Signore e per il prossimo vuole bene a tutti. Questi due amori ma si
manifestano in molteplici forme distinte; l'amore celeste è l'amore della vita di coloro che
vengono guidati dal Signore, e l'amore infernale è 1'amore della vita di coloro che vengono
guidati dal diavolo.
[2] Ma l'amore della vita di ciascuno non può esistere senza derivazioni che si chiamano
affezioni. Le derivazioni dell'amore infernale sono le affezioni del male e del falso,
propriamente dette cupidità; mentre le derivazioni dell'amore celeste sono le affezioni del
bene e della verità, propriamente dette predilezioni. Le affezioni dell'amore infernale,
ovvero le cupidità, sono altrettante quante sono le varietà del male; e le affezioni
dell'amore celeste, ovvero le predilezioni, sono altrettante quante sono le varietà del bene.
L’amore dimora nelle sue affezioni come un padrone nel suo dominio, o come un re nel
suo regno: il dominio o il regno di questo amore si estende su ciò che appartiene alla
mente, cioè alla volontà e all'intelletto, e attraverso questi al corpo. L'amore della vita
dell'uomo per mezzo delle sue affezioni e quindi delle percezioni, e per mezzo dei suoi
piaceri e quindi dei pensieri, governa tutto l'uomo: il piano interiore della sua mente
mediante le sue affezioni e le loro percezioni, e il piano esteriore della mente mediante i
piaceri dell'affezione e quindi mediante i pensieri che ne derivano.
107. La forma di questo governo si può comprendere tramite paragoni; l'amore celeste,
con le affezioni del bene e della verità e le percezioni che ne derivano, ed in pari tempo coi
piaceri di queste affezioni e i pensieri che ne risultano, si può paragonare ad un albero per
i suoi rami, le sue foglie ed i suoi frutti. L'amore della vita è questo albero, i rami con le
foglie sono le affezioni del bene e della verità con le loro percezioni, e i frutti sono i piaceri
delle affezioni coi loro pensieri. Ma l'amore infernale con le sue affezioni del male e del
falso, che sono le cupidità, ed in pari tempo con i piaceri di queste concupiscenze e i
pensieri che ne risultano, si può paragonare ad un ragno ed al tessuto della sua tela.
L'amore stesso è il ragno, le cupidità del male e del falso, con le astuzie interiori di esse,
sono i fili in forma di rete più vicini a dove risiede il ragno, ed i piaceri di queste
concupiscenze con le loro macchinazioni sono i fili più lontani, dove le mosche che volano
sono catturate, invischiate e divorate.
108. Questi paragoni ci permettono di vedere come tutto, nella nostra volontà e nel
nostro intelletto, tutto ciò che esiste nella nostra mente, è unito all’amore della nostra vita
tuttavia non razionalmente. Questa congiunzione si può vedere razionalmente nel
seguente modo. Ovunque, vi sono tre cose, che costituiscono una cosa sola: fine, causa ed
effetto. L'amore della vita è il fine, le affezioni con le loro percezioni sono la causa, ed i
piaceri delle affezioni, con i loro pensieri, sono l’effetto. Come il fine perviene tramite la
causa, all’effetto, così anche l’amore grazie alle sue affezioni ottiene i suoi piaceri, e tramite
le sue percezioni penetra nei suoi pensieri. Gli stessi effetti si trovano nei piaceri della
mente e nei pensieri di questi piaceri, quando i piaceri, provengono dalla volontà ed i
pensieri dall'intelletto, allorché vi è pieno consenso fra loro. I risultati divengono allora
parte del nostro spirito; e, anche se non vengono messi in atto, è tuttavia come se lo
fossero, quando vi è tale consenso. Essi si trovano anche nel corpo, e vi dimorano con
l'amore della propria vita; e vogliono essere realizzati, cosa che accade allorché nulla vi si
oppone. Tali sono le cupidità del male, e le stesse azioni malvagie, negli uomini che, nel
loro spirito, considerano i mali come leciti.
[2] Ora, come il fine si congiunge alla causa, e tramite la causa con l’effetto, così l'amore
della vita si congiunge con il piano interiore del pensiero, e per suo tramite con il piano
esteriore. È dunque evidente che la qualità dei processi esteriori del pensiero dell'uomo è
in sé identica alla qualità dei processi interiori, poiché il fine infonde tutto ciò che è suo
nella causa, e per suo tramite nell’effetto. Nulla di essenziale vi è nell’effetto, se non ciò
che si trova nella causa, e per essa, nel fine; e poiché il fine è la stessa essenza che riempie
di sé causa ed effetto, per tale ragione causa ed effetto si chiamano fine intermedio ed fine
ultimo.
109. Sembra talvolta che il pensiero esteriore dell'uomo non sia identico al suo pensiero
interiore. Questo avviene perché l'amore della vita, pone sotto di sé un reggente, che si
chiama amore dei mezzi, e gli ingiunge di stare in guardia e vigilare affinché nessuna delle
sue cupidità venga alla luce. Di conseguenza, questo reggente, dietro l’astuzia del suo
principe, che è l’amore della vita, parla e agisce in accordo con le istituzioni civili del
paese, secondo i principi morali della ragione ed i principi spirituali della chiesa; tutto ciò
in accordo con l’ambiguità del suo padrone, l’amore della vita. Vi riesce con tanta astuzia e
accortezza, che nessuno si accorge che tali uomini non sono sinceri quando parlano e
agiscono; infine, dopo tanta simulazione, neanche essi sanno più cosa sono in realtà. Tali
sono tutti gli ipocriti; i sacerdoti che nel loro cuore non tengono in alcun conto il prossimo
e non temono Dio, e nonostante ciò predicano l'amore del prossimo e l'amore di Dio; i
giudici che giudicano in virtù delle bustarelle ricevute e a seconda delle loro amicizie,
mentre fingono zelo per la giustizia e parlano secondo ragione di affari legali; i
commercianti insinceri e fraudolenti nel loro cuore, mentre agiscono con apparente onestà
per il loro profitto; gli adulteri, quando, in virtù della razionalità propria ad ogni uomo,
parlano della castità del matrimonio; e via dicendo.
[2] Se questi stessi uomini spogliano l'amore dei mezzi — questo reggente dell'amore
della loro vita — delle vesti di porpora e di lino in cui l'hanno avvolto, e lo vestono con
abiti di tutti i giorni, allora essi pensano in modo del tutto opposto, e talvolta si esprimono
di conseguenza, quando si trovano in compagnia degli amici intimi, che hanno un’indole
simile alla loro. Alcuni potrebbero credere che quando essi parlano rettamente, e con tanta
sincerità e devozione, la qualità del loro pensiero interiore non sia presente nei loro
pensieri esteriori; eppure è proprio così. In essi vi è un'ipocrisia, un amore di sé e del
mondo, che li spinge a guadagnarsi una buona reputazione con l’inganno, in vista degli
onori o del lucro; e ciò appare fin nei minimi dettagli dalla loro apparenza. Questa qualità
del loro pensiero interiore è presente nei processi del loro pensiero esteriore, quando essi
parlano ed agiscono come si è detto.
110. Ma in coloro che sono guidati dall'amore celeste, i processi interiori ed esteriori del
loro pensiero, e i loro sé interiore ed esteriore, sono all’unisono quando parlano, ed essi
non ne conoscono neppure la differenza. L'amore della loro vita, con le sue affezioni del
bene e le loro percezioni della verità, è come l'anima nelle cose che essi pensano, e quindi
dicono e fanno. Se sono sacerdoti, predicano in virtù dell'amore per il prossimo e
dell'amore verso il Signore; se sono giudici, giudicano in base alla vera giustizia; se sono
commercianti, agiscono con sincera onestà; se sono sposati, amano le loro mogli con vera
castità; e così via. L'amore della loro vita ha come reggente un amore dei mezzi, da lui
istruito e guidato affinché agisca con prudenza, e vestito con abiti di passione per le verità
dottrinali e per il bene della vita.
111. III. La nostra natura interiore non può essere purificata dalle cupidità del male, finché i mali
non sono rimossi dalla nostra natura esteriore, perché questi mali esteriori sono di ostacolo. Ciò
risulta da ciò che si è detto sopra (dal n. 106 al n. 110); la natura essenziale dei nostri
processi esteriori di pensiero è determinata dalla natura dei processi interiori, in modo tale
che esse coincidono. Non solo l'una è dentro l'altra, ma deriva dall'altra: per cui non si può
rimuovere l'una senza rimuovere nel medesimo tempo l'altra. Ciò vale per ogni cosa
esteriore che deriva da una cosa interiore, per ogni cosa posteriore che procede da una
cosa anteriore, e per ogni effetto che deriva da una causa.
[2] Poiché le cupidità si combinano con le loro astuzie per mascherare i processi interiori
del pensiero dei malvagi, e i piaceri di tali cupidità si combinano con le loro macchinazioni
per mascherare i processi esteriori di pensiero, e poiché questi due processi sono così uniti
da funzionare all’unisono, ne consegue che la nostra natura interiore non può essere
purificata dalle cupidità finché le cattive azioni nell'uomo esterno non vengono rimosse. È
necessario sapere che la volontà interiore dell'uomo si trova nelle cupidità, e che il suo
intelletto interiore è nelle sue astuzie; e che la sua volontà esteriore si trova nei piaceri
delle cupidità, ed il suo intelletto esteriore è nelle macchinazioni che derivano dalle sue
astuzie. Ognuno può vedere che le cupidità e i loro piaceri sono una cosa sola, e che le
nostre astuzie e macchinazioni sono una cosa sola; e che queste quattro cose si presentano
in una sola serie, e stanno insieme come un unico fascio. Perciò possiamo anche renderci
conto che l’unico modo per eliminare una natura interiore fatta di cupidità è eliminare una
natura esteriore fatta di cattive azioni. Sono le nostre cupidità che, tramite i loro piaceri,
producono le cattive azioni; ma quando crediamo, con il consenso della volontà e
dell'intelletto, che esse siano lecite, allora i piaceri e i mali diventano una cosa sola. Tale
consenso equivale a compiere un’azione. Come dice il Signore: Ma io vi dico: chiunque
guarda una donna desiderandola, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore (Matteo
5:28). Lo stesso vale per tutti gli altri mali.
112. Da tali premesse si può comprendere che, affinché l'uomo si purifichi dalle cupidità
del male, è necessario che i mali siano del tutto rimossi dall'uomo esteriore, poiché
altrimenti non vi è uscita possibile per le cupidità; e, se non trovano una via di uscita, le
cupidità rimangono dentro, esalando il loro piacere e così incitando l'uomo a consentirvi
ed a metterle in atto. Le cupidità entrano nel corpo tramite i processi esteriori del pensiero;
allorché vi è il consenso del pensiero esteriore, le cupidità entrano subito nel corpo, dove si
trova il piacere che viene percepito. (Sulla qualità della mente che determina quella del
corpo, e così dell’intera persona, si veda in Divino Amore e Divina Sapienza, dal n. 362 al n.
370.) Ciò si può illustrare con paragoni e con esempi.
[2] Le cupidità coi loro piaceri si possono paragonare al fuoco, il quale quanto più si
alimenta, tanto più arde, e quanto più libero è il suo slancio, tanto più ampiamente si
espande, fino al punto di consumare le case di una città e gli alberi di un bosco. Le
cupidità del male sono altresì paragonate nella Parola al fuoco, e i mali delle cupidità ad
un incendio; nel mondo spirituale le cupidità del male coi loro piaceri appaiono anche
come fuochi: altro non è il fuoco infernale. Esse si possono ancora paragonare a diluvi e
inondazioni, quando gli argini e le dighe vengono rotti dalle acque. Si possono anche
paragonare alle cancrene ed agli ascessi, che recano la morte al corpo se si estendono o si
trascura di curarli.
[3] È evidente che se i mali non vengono rimossi dall'uomo esterno, le cupidità coi loro
piaceri crescono oltre misura. Più un ladro ruba, più desidera rubare, fino a non poterne
più fare a meno. Lo stesso vale per un imbroglione con le sue truffe, per l'odio e la
vendetta, la lussuria e l' intemperanza, la fornicazione, la bestemmia. È noto che l’amore di
dominare, in forza dell’amore di sé, aumenta nella misura in cui viene lasciato a briglia
sciolta; la stessa cosa vale per l'amore di possedere beni per amore del mondo. Sembra che
per questi amori non vi sia termine o fine. È dunque evidente che, finché i mali non sono
rimossi dall'uomo esterno, le cupidità fioriscono; e che le cupidità crescono nella misura in
cui si allentano i freni ai mali.
113. L'uomo non può percepire le cupidità che sottendono i suoi mali; egli percepisce, è
vero, i loro piaceri, ma riflette poco su di essi, poiché i piaceri seducono i pensieri e
distraggono la sua riflessione. Se l’uomo non sapesse da qualche altra fonte che essi sono
mali, li chiamerebbe beni, e li commetterebbe liberamente, seguendo la ragione del suo
pensiero. Facendo ciò, egli li assimila in se stesso. Nella misura in cui li afferma come
leciti, in ugual misura egli ingrandisce la corte dell'amore che regna in se stesso, l'amore
della sua vita; le cupidità compongono la corte di questo amore, perché esse sono come
suoi servi e cortigiani, per mezzo dei quali egli governa le attività più esteriori che
costituiscono il suo regno. La natura del re determina quella dei suoi servi e cortigiani, così
come quella del suo regno. Se il re è un diavolo, i suoi servi e cortigiani sono follie di vario
tipo, e i sudditi sono traviamenti di ogni genere. I servitori, che vengono definiti savi
benché siano pazzi, usano costruzioni mentali immaginarie e ragionamenti dedotti da
illusioni per far sì che i traviamenti mentali sembrino veri, e come tali siano riconosciuti.
Una tale condizione può forse essere cambiata se non si rimuovono i mali nell'uomo
esterno? Così si eliminano le cupidità inerenti i mali: altrimenti non esiste via di uscita per
le cupidità, poiché esse sono chiuse come una città assediata, e come un'ulcera otturata.
114. IV. Il Signore non può rimuovere i mali dalla nostra natura esteriore senza il nostro aiuto.
In tutte le chiese cristiane è dottrina comune che l'uomo, prima di accostarsi alla santa
comunione, debba esaminare se stesso, vedere e riconoscere i suoi peccati, e fare
penitenza, desistendo dal commetterli e rifiutandoli, perché vengono dal diavolo.
Altrimenti i peccati non gli sono rimessi, ed egli è dannato. Gli inglesi, benché sostenitori
della dottrina della sola fede, nella preghiera prima della santa comunione predicano
apertamente l'esame di coscienza, il riconoscimento e la confessione dei peccati, la
penitenza e il rinnovamento della propria vita. Essi minacciano coloro che non lo fanno,
dicendo che altrimenti il diavolo entrerà in loro come in Giuda, e li riempirà di ogni
iniquità, distruggendo il loro corpo e la loro anima. Tedeschi, svedesi e danesi, anch’essi
sostenitori della dottrina della sola fede, insegnano cose simili nella preghiera che precede
la santa comunione, minacciando le pene infernali e la dannazione eterna per aver
mescolato il sacro col profano. Queste cose vengono pronunciate ad alta voce dal ministro
davanti a quelli che devono accostarsi alla santa cena, ed essi le approvano.
[2] Tuttavia le medesime persone, quando odono lo stesso giorno predicare sulla sola
fede, e si sentono dire che la legge non le condanna, perché il Signore l'ha adempiuta per
loro; e che con le proprie forze essi non possono compiere alcun bene, e che le opere non
contribuiscono alla salvezza, ma che la sola fede salva, tornano a casa dopo aver
completamente dimenticato e rifiutato la confessione precedente, distratti dalla predica
sopra la sola fede. Di queste due dottrine, qual’è la vera? Due cose opposte l'una all'altra
non possono entrambe essere vere. Una di queste dottrine insegna che non vi è perdono
dei peccati, né salvezza eterna, ma eterna dannazione, senza esame di coscienza,
riconoscimento, confessione e rifiuto dei peccati, dunque senza pentimento. L’altra
dottrina insegna che tali cose sono del tutto inutili per la salvezza, perché il Signore, in
virtù della sua passione sulla croce, ha pienamente redento tutti i peccati degli uomini che
hanno fede; e che quelli che hanno fede, ovvero sono certi che questa è la verità, e
confidano nell'imputazione a nostro beneficio del merito del Signore, sono senza peccato,
ed appaiono a Dio risplendenti come coloro che si sono lavati il volto. È dunque evidente
che, secondo la dottrina comune a tutte le chiese nel mondo cristiano, l'uomo deve
esaminare se stesso, vedere e riconoscere i suoi peccati, e quindi astenersene, perché
altrimenti non vi è salvezza, ma dannazione. Ciò risulta, nella Parola, dai passi dove si
ingiunge all'uomo di fare penitenza: Gesù disse: Fate frutti degni di penitenza; già la scure è
posta alla radice degli alberi; ogni albero che non fa buon frutto sarà tagliato e gettato nel fuoco
(Luca 3:8, 9). Se non fate penitenza perirete tutti (Luca 13:3, 5). Gesù predicò il Vangelo del
Regno di Dio ; fate penitenza e credete al Vangelo (Marco 1:14, 15). Gesù mandò i suoi discepoli, i
quali andavano e predicavano che si facesse penitenza (Marco 6:12). Gesù disse agli apostoli che
bisognava che predicassero la penitenza e la remissione dei peccati fra tutte le nazioni (Luca 24:47)
Giovanni predicò un battesimo di penitenza in remissione dei peccati (Marco 1:4. Luca
3:3). Rifletti secondo ragione: se sei un uomo religioso, ti accorgerai che la penitenza dei
peccati è la via che conduce al cielo. La fede separata dalla penitenza non è fede, e coloro
che non hanno una retta fede, perché non fanno penitenza, percorrono la via che conduce
all'inferno.
115. Coloro che credono in una fede separata dalla carità, e che trovano conferma di ciò
in questa frase di Paolo ai Romani: L'uomo è giustificato per la fede, senza le opere della legge
(Romani 3:28) adorano questo versetto come gli adoratori del sole, diventando simili a
coloro che fissano gli occhi nel sole, per cui la loro vista, abbagliata, non vede nulla in
mezzo alla luce. Infatti essi non comprendono ciò che si intende in quel passo per “opere
della legge”: non i dieci comandamenti, bensì i riti descritti da Mosè nei suoi libri, riti che
ovunque vengono definiti “opere della legge”. Affinché non si intendano erroneamente i
precetti del Decalogo, Paolo spiega quel passo: Abroghiamo noi dunque la legge per la fede?
Cosi non sia; anzi stabiliamo la legge» (Romani, 3:31). Coloro che per quella frase si sono
convinti della dottrina della “sola fede”, guardando fissamente in quel passo come nel
sole, non si accorgono degli altri passi in cui Paolo enumera le leggi della fede, che sono le
opere della carità. Cosa è dunque la fede senza le sue leggi? Essi non vedono neppure i
passi dove Paolo enumera le opere malvagie, dicendo che coloro che le compiono non
possono entrare nel cielo. Da ciò si vede quale cecità è stata introdotta da questo solo
passo, inteso erroneamente.
116. I mali dell'uomo esterno non si possono rimuovere se non per mezzo dell’uomo
stesso, perché è dalla Divina Provvidenza del Signore che tutto ciò che l'uomo ode, vede,
pensa, vuole, dice e fa, sembra appartenergli completamente. Senza questa apparenza
l'uomo non potrebbe accettare la verità Divina, né determinarsi nel fare il bene, né
interiorizzare l'amore e la sapienza, e neppure la carità e la fede; quindi non potrebbe
congiungersi con il Signore, riformarsi, rigenerarsi, ed essere salvato (come è stato
mostrato sopra, dal n. 71 al n. 95 e ss.). È evidente che, senza questa apparenza, non vi può
essere penitenza dei peccati, anzi neppure fede; e che l'uomo senza questa apparenza non
è un uomo, ma, privo della vita razionale, è simile ad una bestia. Ciascuno consulti la
propria ragione. Non è forse vero che l’uomo pensa, come da se stesso, al bene ed alla
verità, tanto spirituale, quanto morale e civile? Se si accetta dunque questo principio
teologico secondo cui ogni bene ed ogni verità proviene dal Signore, e niente dall’uomo,
non si dovrà necessariamente riconoscere per conseguenza, che l'uomo deve fare il bene e
pensare secondo la verità come da se stesso, essendo tuttavia consapevole che ciò avviene
in virtù del Signore? E che, per tale motivo, l'uomo deve eliminare i mali come se ciò
avvenisse con le sue forze, ma riconoscendo di poterlo fare solo in virtù del Signore?
117. Molti non sanno di essere nei mali perché non li commettono esteriormente, per
timore delle leggi civili e della perdita della reputazione. Così prendono l'abitudine di
fuggire i mali come pregiudizievoli al loro onore ed ai loro interessi; ma se non fuggono i
mali in virtù di un principio religioso, perché sono peccati e sono contro Dio, allora le
cupidità del male coi loro piaceri rimangono in loro come acque impure, ingorgate e
stagnanti. Prendano dunque in esame i loro pensieri e le loro intenzioni, e scopriranno che
essi sono tali, purché sappiano che cos’è il peccato.
[2] Molti di essi si trovano fra coloro che credono alla dottrina della fede separata dalla
carità, i quali, poiché credono che la legge non li condanna, non badano neppure ai
peccati; ed alcuni dubitano di averne, e pensano che, anche se ne hanno, questi non siano
peccati davanti a Dio, perché sono stati perdonati. Tali sono anche i “moralisti naturali”, i
quali credono che tutto consista solo nella vita civile e morale, con le cautele che questa
implica, e che la Divina Provvidenza non vi abbia parte alcuna. Tali sono anche coloro che
cercano in tutti i modi una reputazione ed una facciata di onestà e di sincerità per l'onore o
il profitto. Ma coloro che sono tali, e che hanno nello stesso tempo disprezzato la religione,
divengono dopo la morte spiriti di cupidità, che appaiono a se stessi come uomini, ma agli
altri appaiono, da lontano, come priapi; ed essi, come i gufi, vedono nelle tenebre e non
nella luce.
118. Da ciò che ho premesso viene confermata la quinta proposizione: L’uomo deve, con le
sue forze, allontanare i mali dall’uomo esterno. Tale proposizione è stata spiegata anche in tre
passaggi, in Dottrina di Vita per la Nuova Gerusalemme; nel primo: nessuno può rifuggire i
mali come peccati, fino a rigettarli del tutto interiormente, se non combattendo contro di
essi (dal n. 92 al n. 100); nel secondo: l'uomo deve rifuggire i mali come peccati e
combattere contro di essi come se lo facesse con le sue forze (dal n. 101 al n. 107); nel terzo:
se qualcuno non fugge i mali in quanto peccati, egli non li fugge realmente, ma fa
solamente sì che essi non si rendano visibili al mondo (dal n. 108 al n. 113).
119. VI. Allora il Signore ci purifica dalle cupidità del male presenti nella nostra natura interiore,
e dalle azioni malvagie nell'uomo esteriore. Se il Signore purifica l'uomo dalle cupidità del
male, quando l'uomo allontana i mali come con le sue sole forze, è perché il Signore non lo
può purificare prima, in quanto i mali sono nell'uomo esterno, e le cupidità del male sono
nell'uomo interno, e sono coerenti con il male come le radici col tronco. Se dunque i mali
non vengono rimossi, non può esservi apertura, poiché i mali ostruiscono e chiudono la
porta, che non può essere aperta dal Signore che per mezzo dell'uomo, come si è già
mostrato. Così, quando l'uomo apre la porta come se fosse lui stesso a farlo, il Signore
nello stesso tempo estirpa le cupidità. E ancora, è il Signore ad agire nell'intimo dell'uomo,
e dall'intimo in quel che ne segue fino agli estremi confini del suo essere: mentre ciò
avviene, l'uomo risiede in questi confini. Perciò, finché l’uomo stesso tiene chiusi tali
confini, nessuna purificazione può aver luogo; ma il Signore compie un’opera, nei livelli
interiori del nostro essere, identica a quella che egli compie nell’inferno, di cui l'uomo, che
è nelle cupidità ed in pari tempo nei mali, è la forma. Questa operazione dispone
solamente i fattori opposti affinché l'uno non distrugga l'altro, e il bene e la verità non
siano violati. Che il Signore spinga ed insista, affinché l'uomo gli apra la porta, è manifesto
dalle parole del Signore stesso nell'Apocalisse:
Ecco io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolterà la mia voce ed aprirà la porta, io entrerò e
cenerò con lui, ed egli con me (Ap. 3:20)
120. L'uomo non sa nulla dello stato interiore della sua mente, ovvero della suo uomo
interno; eppure là vi è un’infinità di cose, di cui nessuna si manifesta alla sua
consapevolezza. L’interiorità del pensiero dell'uomo, ovvero il suo uomo interno, è il suo
stesso spirito; e in questo spirito vi sono cose infinite ed innumerevoli quante ve ne sono
nel corpo dell'uomo, anzi in numero ancora maggiore, poiché lo spirito dell'uomo ha
forma di uomo, ed ogni contenuto di esso corrisponde ad ogni cosa contenuta nel suo
corpo. Poiché i nostri sensi non ci dicono nulla riguardo al modo in cui le nostre menti o le
nostre anime operano, sia insieme, sia separatamente, in tutti gli elementi del nostro corpo,
non sappiamo neppure in che modo il Signore opera in tutti gli elementi della nostra
mente o della nostra anima, vale a dire in tutti gli elementi del nostro spirito. La sua
operazione è continua, e l'uomo non vi ha parte alcuna; e nondimeno, il Signore non può
purificare l'uomo da nessuna cupidità del male, nel suo spirito o nell'uomo interno, finché
l'uomo tiene chiuso l’esterno. Ciò che chiude il suo uomo esterno sono i mali, ognuno dei
quali appare come singolo, benché in ciascuno di essi vi sia una molteplicità infinità.
Quando egli rimuove uno di questi mali, che appare come singolo, il Signore rimuove i
mali infiniti che si trovano in esso. Questo è ciò che s'intende dicendo che il Signore
rimuove allora le cupidità dall’uomo interno, e dagli stessi mali nell’uomo esterno.
121. Molti si persuadono che limitarsi a credere ciò che insegna la chiesa purifichi l'uomo
dai mali; alcuni immaginano che purificarsi sia fare il bene; altri che sia sapere, dire ed
insegnare le cose che riguardano la religione; altri leggere la Parola e i libri devoti; altri
frequentare le chiese, ascoltare prediche, e soprattutto partecipare alla santa cena; altri
rinunziare al mondo e dedicarsi alla pietà; altri confessarsi colpevoli di tutti i peccati; e via
dicendo. Ma tutte queste cose non purificano affatto l'uomo se egli non esamina se stesso,
non vede i suoi peccati, non li riconosce, non si dichiara colpevole e non fa penitenza,
rinunciando a compierli. Tutte queste cose egli deve farle come per virtù propria, ma
riconoscendo di cuore che provengono dal Signore.
[2] In mancanza di ciò, le cose summenzionate a nulla giovano, perché sono compiute
per guadagnarsi meriti, oppure sono frutto di ipocrisia; e coloro che le compiono appaiono
agli angeli nel cielo come belle prostitute le cui malattie emanano un cattivo odore, o come
donne deformi, che sembrano belle solo grazie al trucco; oppure come attori mascherati e
mimi sul palco, o come scimmie vestite da uomini. Ma quando i mali sono rimossi, allora
quei modi di comportarsi divengono pieni di amore, e tali individui appaiono in cielo
davanti agli angeli come uomini di bell’aspetto, e come loro amici e compagni.
122. È tuttavia necessario sapere che l'uomo, per fare penitenza, deve rivolgersi solo al
Signore. Se si rivolge solo a Dio Padre non può purificarsi, e neppure se si rivolge al Padre
in virtù del Figlio, né al Figlio come semplice uomo. Non vi è infatti che un solo Dio, e il
Signore è Dio poiché la sua natura Divina e la sua natura umana sono una sola persona,
come è stato mostrato in Dottrina della Nuova Gerusalemme sul Signore. Affinché ogni uomo
che deve fare penitenza si rivolga solo al Signore, egli ha istituito la santa cena, che
assicura la remissione dei peccati per coloro che si pentono; tale sacramento offre questa
sicurezza, perché in questa cena o comunione ciascuno si rivolge solo al Signore.
[2] Se siamo veramente razionali, e quando pensiamo usiamo la nostra razionalità, e la
nostra libertà quando proviamo a pensare, come possiamo credere che vi siano tre dèi,
uguali in essenza, e che il Divino Essere o la Divina Essenza possa essere divisa? Si può
invece pensare e comprendere che vi sia la Trinità in un solo Dio, come si può
comprendere che nell'angelo e nell'uomo vi è l'anima e il corpo, e la vita che da questi
procede. Inoltre, poiché questa Trinità in un solo Essere esiste solo nel Signore, ne
consegue che la congiunzione deve aver luogo con lui. Ciascuno usi la propria razionalità
ed in pari tempo la propria libertà di pensiero, e si vedrà questa verità in tutta la sua luce;
ma si dovrà ammettere anzitutto che Dio esiste, che esiste il cielo, e che c'è una vita eterna.
[3] Ora, poiché vi è un solo Dio, e l'uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di
Dio, e poiché per l'amore infernale, per le cupidità di questo amore, e per il piacere di tali
cupidità, l'uomo ha iniziato ad amare tutti i mali, ed ha quindi distrutto in sé l'immagine e
la somiglianza di Dio, ne consegue che l'azione continua della Divina Provvidenza del
Signore consiste nel congiungere l'uomo a sé, e sé all'uomo, facendolo a sua immagine. Ne
consegue altresì che è a questo fine che il Signore può dare all'uomo le gioie della vita
eterna, poiché tale è la natura del Divino amore.
[4] Ma che egli non possa dare all’uomo tali gioie, né farlo a sua immagine, se egli non
rimuove come da se stesso i peccati dall'uomo esterno, è perché il Signore non è solamente
il Divino amore, ma è anche la Divina sapienza, ed il Divino amore non fa nulla se non in
virtù della Divina sapienza, e in accordo con essa. L'uomo non si può congiungere al
Signore, dunque non si può riformare, rigenerare e salvare, se non gli è permesso di agire
liberamente e secondo ragione. Perciò l'uomo è uomo. Questo è in accordo anche con la
Divina Sapienza del Signore; e tutto ciò che è in accordo con la Divina Sapienza del
Signore appartiene altresì alla sua Divina Provvidenza.
124. A tutto ciò saranno aggiunti due arcani della sapienza angelica, grazie ai quali si
può comprendere quale è la Divina Provvidenza. Il primo è che il Signore non agisce mai
nell'uomo in alcuna cosa particolare, separatamente, senza agire in tutte le cose nello
stesso tempo; il secondo è che il Signore agisce nello stesso tempo dal centro e dalle zone
periferiche dell’uomo. Il motivo per cui il Signore non agisce mai nell'uomo in alcuna cosa
particolare, separatamente, senza agire in tutte le cose nello stesso tempo è perché tutte le
cose dell'uomo sono in una tale connessione, e per questa connessione in una tale forma,
che esse agiscono non come una pluralità, ma come una cosa sola. È noto che il corpo
dell'uomo si trova in una tale connessione, e per la connessione in una tale forma; la mente
umana possiede una forma simile, ed è dotata di un’identica connessione di tutti gli
elementi che la compongono, poiché essa è un uomo spirituale ed agisce come una singola
persona. Perciò il nostro spirito, la mente che si trova nel nostro corpo, possiede una forma
umana completa; dunque l’uomo, dopo la morte, è un uomo in tutto simile a quello che
era durante la sua vita: la sola differenza è che egli ha rigettato l’involucro materiale che
costituiva il suo corpo nel mondo.
[2] Ora, poiché la forma umana è tale che tutte le sue parti formano un’entità comune,
che agisce come una cosa sola, ne consegue che una parte non può essere rimossa dal suo
luogo, né può essere mutata nel suo stato, se non col consenso di tutte le altre. Se una parte
fosse rimossa dal suo luogo e cambiata di stato, vi sarebbe un’interruzione nella forma,
destinata ad agire come una singola unità. Da ciò è evidente che il Signore non agisce mai
in alcuna cosa particolare, senza agire nello stesso tempo in tutte; così agisce il Signore
nell’intero cielo angelico, giacché il cielo angelico appare al Signore come una sola
persona. Il Signore agisce così anche in ogni angelo, perché ogni angelo è un cielo in
miniatura; ed agisce nello stesso modo in ogni uomo, in modo più diretto nella sua mente,
e tramite questa in tutte le parti del suo corpo. La mente dell'uomo è infatti il suo spirito –
un angelo, nella misura in cui è congiunta al Signore – e il corpo è una obbedienza.
[3] Tuttavia, è necessario essere ben consapevoli del fatto che il Signore agisce anche in
modo preciso, anzi estremamente preciso, in ogni elemento particolare dell'uomo, mentre
agisce sulla sua intera forma; ma non cambia lo stato di nessuna parte, o di nessun
elemento in particolare, se tutta la forma non vi si presta. In seguito si dirà di più intorno a
questo soggetto, quando si mostrerà che la Divina Provvidenza del Signore è universale
perché si trova nei dettagli, e che si trova nei dettagli perché è universale.
[4] Il secondo arcano è che il Signore agisce nello stesso tempo dal centro e dalle zone
periferiche dell’uomo. Il motivo di ciò è perché così, e non altrimenti, l’intero insieme ed
ogni singola cosa sono mantenuti in connessione. Gli elementi intermedi dipendono da
quelli interiori, e successivamente fino agli elementi che si trovano all’estremità; e in questi
ultimi essi sono riuniti insieme. Infatti, in Divino Amore e la Divina Sapienza (parte terza) ho
mostrato che in ciò che vi è di più remoto nell’uomo si radunano tutti gli elementi, a
partire dal primo. È per questo che il Signore ab aeterno, ovvero Jehovah, è venuto nel
mondo, e ha rivestito e preso l’Essenza umana in ciò che vi è di più remoto, affinché dal
principio potesse essere allo stesso tempo in ciò che è più remoto, e così dal principio
attraverso ciò che è remoto, ha potuto governare il mondo intero, e salvare di conseguenza
gli uomini che può salvare secondo le leggi della sua Divina Provvidenza, che sono anche
le leggi della sua Divina sapienza. Questo è ben noto nel mondo cristiano, cioè che nessun
mortale si sarebbe potuto salvare se il Signore non fosse venuto nel mondo. Si veda in
proposito, in Dottrina della Nuova Gerusalemme sulla fede, il n. 35. Di qui discende che il
Signore si chiama il Primo e l’Ultimo.
125. Questi arcani angelici sono stati premessi affinché si possa comprendere come la
Divina Provvidenza del Signore opera per congiungere l’uomo a sé, e sé all’uomo; questa
operazione non si fa separatamente in nessuna cosa particolare dell’uomo, senza che sia
fatta contemporaneamente in tutte; ed essa si fa simultaneamente dall’intimo dell’uomo e
da ciò che è più remoto in lui. L’intimo dell’uomo è l’amore della sua vita; ciò che è più
remoto in lui sono le cose inerenti il suo pensiero esteriore; ciò che è intermedio sono le
cose inerenti il suo pensiero interiore;quali siano queste cose nell’uomo malvagio, è stato
mostrato nei paragrafi precedenti. Da ciò è nuovamente evidente che il Signore non può
agire dall’intimo e da ciò che è remoto se non all’unisono con l’uomo, quando l’uomo è
con il Signore in ciò che è remoto; perché come l’uomo agisce in ciò che è remoto e
esteriore – cioè nel mondo – che dipende dal suo arbitrio e dalla sua libertà, così il Signore
agisce dal suo intimo e nei successivi fino a ciò che è più remoto. Le cose che sono
nell’intimo dell’uomo e nei suoi piani successivi, dall’intimo a ciò che è remoto, sono
assolutamente ignote all’uomo, e perciò l’uomo ignora del tutto in che modo il Signore vi
operi, e quel che vi operi; ma poiché queste cose sono unite come una cosa sola con ciò che
è remoto, perciò non è necessario che l’uomo sappia di più se non che egli deve fuggire i
mali come peccati, e rivolgersi al Signore. Così e non altrimenti, l’amore della sua vita, che
dalla nascita è infernale, può essere rimosso dal Signore, e in luogo di esso può essere
introdotto l’amore della vita celeste.
126. Quando il Signore trapianta l’amore della vita celeste al posto dell’amore della vita
infernale, in luogo delle cupidità del male e del falso trapianta le affezioni del bene e della
verità; in luogo dei piaceri dell’affezione del male e del falso, i piaceri dell’affezione del
bene; e al posto dei mali dell’amore infernale, i beni dell’amore celeste. Allora l’astuzia
viene sostituita dalla prudenza, e i pensieri malvagi dai pensieri della sapienza; così
l’uomo è rigenerato e diviene un uomo nuovo. Quali siano le buone qualità che
sostituiscono quelle cattive, si legge in Dottrina di vita per la nuova Gerusalemme (nn. 6791).
In questi passi si mostra che nella misura in cui l’uomo fugge ed aborrisce i mali in quanto
peccati, altrettanto ama le verità della sapienza (nn. 3241); e che nella stessa misura ha
fede, ed è spirituale (nn. 4252).
127. È stato mostrato più sopra, dalle esortazioni che si leggono prima della santa
comunione in tutte le chiese cristiane, che la dottrina comune in tutto il mondo cristiano è
che l’uomo si esamini, veda i suoi peccati, li riconosca, li confessi davanti a Dio e vi
rinunzi; e che in ciò consiste la penitenza, la remissione dei peccati, e quindi la salvezza.
Ciò è altresì evidente nella professione di fede che prende il suo nome da Atanasio,
accettata da tutta la cristianità, al termine della quale vi sono queste parole: Il Signore verrà
a giudicare i vivi e i morti; alla sua venuta coloro che hanno fatto opere buone entreranno nella vita
eterna, e coloro che hanno compiuto opere malvagie entreranno nel fuoco eterno.
128. Secondo la Parola, dopo la morte ognuno di noi ha in sorte una vita conforme alle
sue azioni. Si apra la Parola, la si legga, e si vedrà chiaramente; ma si tenga debitamente
lontano il pensiero della fede, e della giustificazione per la sola fede. Il Signore lo insegna
ovunque nella sua Parola, come è testimoniato da questi pochi passi:
Ogni albero che non fa buon frutto sarà tagliato e gettato nel fuoco; voi dunque li conoscerete
dai loro frutti (Matteo 7:19, 20)
Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetizzato in tuo nome, e
fatto in nome tuo molte opere potenti? Ma allora io risponderò: Non vi ho mai conosciuti:
allontanatevi da me, voi operatori d’iniquità (Matteo 7:22, 23)
Chiunque ascolta queste mie parole, e le mette in pratica, lo paragonerò ad un uomo prudente,
che ha edificato una casa sopra la roccia; ma chiunque ode queste mie parole, e non le mette in
pratica, sarà paragonato ad un uomo stolto, che ha edificato la sua casa sopra la sabbia senza
fondamento (Matteo 7:24, 26 Luca 6:4649)
[2] Il Figlio dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo, ed allora egli renderà a ciascuno
secondo le sue opere (Matteo 16:27)
Vi sarà tolto il Regno di Dio, e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare (Matteo 21:43).
Gesù, disse: Mia madre e i miei fratelli sono quelli che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in
pratica (Luca 8:21).
Allora voi comincerete a stare di fuori ed a bussare alla porta, dicendo: Signore, aprici; ma
rispondendo Egli vi dirà: Allontanatevi da me, voi tutti operatori di iniquità (Luca 13:2527)
Quelli che hanno operato bene, (usciranno dalle tombe) in risurrezione di vita; quelli che hanno
operato male, in risurrezione di giudizio (Giovanni 5:29)
[3] Noi sappiamo che Dio non esaudisce i peccatori; ma se qualcuno onora Dio, e fa la sua
volontà, egli lo esaudisce (Giovanni 9:31)
Se voi sapete queste cose, siete benedetti, purché le facciate (Giovanni 13:17)
Chi ha i miei precetti, e li osserva, quegli mi ama; ed io lo amerò, e verrò a lui, e dimorerò
presso di lui (Giovanni 14:15, 2124)
Voi siete miei amici, se fate tutto ciò che io vi comando. Io vi ho eletti, affinché portiate frutto,
ed il vostro frutto sia durevole (Giovanni 15:14, 16)
[4] Il Signore disse a Giovanni: all'angelo della Chiesa Efesina scrivi: conosco le tue opere. Ho
questo contro di te: che tu hai abbandonato la tua carità di una volta; fa’ penitenza, e fa’ le opere
di un tempo; altrimenti toglierò il tuo candeliere dal suo posto (Ap. 2:1, 2, 4, 5)
All'angelo della chiesa di Smirne scrivi: conosco le tue opere (Ap. 2:8, 9)
All'angelo della chiesa di Pergamo scrivi: conosco le tue opere; fa’ penitenza (Ap. 2:13, 16)
All'angelo della chiesa di Tiatira scrivi: conosco le tue opere e la tua carità, e le tue ultime opere
in maggior numero delle prime (Ap. 2:18, 19)
All'angelo della chiesa in Sardi scrivi: conosco le tue opere, tu che hai fama di essere vivente, e
sei morto; non ho trovato le tue opere perfette dinanzi a Dio: fa’ penitenza (Ap. 3:1, 2, 3)
All'angelo della chiesa che è in Filadelfia scrivi: conosco le tue opere (Ap. 3:7, 8)
All'angelo della chiesa dei Laodicesi scrivi: conosco le tue opere; fa’ penitenza (Ap. 3:14, 15, 19)
Udii dal cielo una voce che diceva: scrivi: Beati i morti che d'ora in poi muoiono nel Signore; le
loro opere li seguono (Ap. 14:13)
Un libro fu aperto, che è il libro della vita; e furono giudicati i morti, tutti secondo le opere loro
(Ap. 20:12, 13)
Ecco, io vengo presto, e la mia ricompensa con me, per dare a ciascuno secondo le sue opere
(Ap. 22:12)
Questi passi si trovano nel Nuovo Testamento.
[5] Ve ne sono ancora di più nel Vecchio Testamento. Citerò solo questo:
Sta’ alla porta della Casa di Jehovah, e proclama questa parola: Così ha detto Jehovah Sebaoth, il
Dio d'Israele: Correggete le vostre vie e le vostre opere; non confidate in parole di menzogna,
dicendo: Questo è il Tempio di Jehovah, il Tempio di Jehovah, il Tempio di Jehovah! Rubando,
uccidendo, commettendo adulterio e giurando falsamente verreste ancora, e stareste davanti a
me in questa casa, che porta il mio nome, e direste : Noi siamo stati liberati, mentre fate tali
abominazioni? È forse questa casa divenuta una spelonca di ladroni? Io stesso ho visto tutto ciò:
parola di Jehovah (Geremia 7:2, 3, 4, 9, 10, 11)
VII
È una legge della Divina Provvidenza che l’uomo non sia costretto con mezzi esterni
a pensare e volere, e di conseguenza a credere e amare le cose che appartengono alla
religione, ma che si guidi da sé, e talvolta vi si costringa.
129. Questa legge della Divina Provvidenza è una conseguenza delle due leggi
precedenti, secondo cui l'uomo deve agire in virtù della libertà secondo la ragione (dal n.
71 al n. 99); e deve agire come da se stesso, sebbene ciò sia dal Signore (dal n. 100 al n. 128).
Poiché essere costretti significa agire non in virtù della libertà e secondo la ragione, né da
se stessi, ma in seguito alla mancanza di libertà ed alla volontà di un altro, questa legge
della Divina Provvidenza segue in ordine dopo le due precedenti. Ognuno sa che nessuno
può essere costretto a pensare ciò che non vuole pensare, ed a volere ciò che pensa di non
volere. Nello stesso modo, nessuno può essere costretto a credere ciò che non crede, e
tanto meno a credere quel che non vuol credere; né ad amare quel che non ama, ed ancor
meno ad amare quel che non vuole amare. Lo spirito dell'uomo, ovvero la sua mente, ha
piena libertà di pensare, volere, credere ed amare. Egli è in questa libertà in virtù
dell'influsso del mondo spirituale, che non ci costringe; lo spirito, ovvero la mente
dell'uomo, è in quel mondo, ma non è in questa libertà in virtù dell'influsso del mondo
naturale, che non riceve l’influsso del mondo spirituale se i due influssi non agiscono
all’unisono.
[2] L'uomo può essere indotto a dire che egli pensa e vuole certe cose, e che le crede e le
ama; tuttavia, se esse non sono o non divengono conformi alla sua affezione, e quindi alla
sua ragione, egli non le pensa, non le vuole, non le crede, né le ama. L'uomo può anche
essere costretto a parlare in favore della religione, e ad agire conformemente ad essa; ma
non può essere costretto ad aver fede, e ad amare le cose della religione. In quelle nazioni
dove la giustizia ed il giudizio sono tutelati, gli uomini sono costretti a non parlare contro
la religione, ed a non agire contro di essa; ma nonostante ciò nessuno può essere costretto
a pensare ed a volere in suo favore, poiché ognuno è libero di pensare in sintonia con
l’inferno e di volere in favore di esso, come pure di pensare e di volere in favore del cielo.
Tuttavia la ragione insegna qual'è la qualità dell'uno e dell'altro, e quale sorte spetta
all'uno e all'altro; ed alla volontà, guidata dalla ragione, spetta scegliere e decidere.
[3] Ciò dimostra che l’esteriore non può costringere l’interiore. Tuttavia questa
eventualità può talvolta verificarsi; ed è necessario dimostrare, in quest’ordine, quanto ciò
sia dannoso:
I. Nessuno può riformarsi per mezzo di miracoli e segni, perché essi costringono.
II. Nessuno può riformarsi per mezzo di visioni e di conversazioni coi defunti, perché esse
costringono.
III. Nessuno può riformarsi per mezzo di minacce e pene, perché esse costringono.
IV. Nessuno può riformarsi in condizioni in cui la razionalità e la libertà sono assenti.
V. Costringere se stessi non è contro la razionalità, né contro la libertà.
VI. L' uomo esterno si deve riformare per mezzo dell'uomo interno, e non viceversa.
130. I. Nessuno può riformarsi per mezzo di miracoli e segni, perché essi costringono. È stato
mostrato (nn. 103 e 119) che vi sono nell'uomo processi interiori ed esteriori di pensiero, e
che il Signore fluisce tramite l'interno del suo pensiero nel suo esterno; così egli ci insegna
e ci guida. Inoltre la Divina Provvidenza del Signore fa sì che l'uomo agisca in virtù della
libertà secondo la ragione. Entrambe verrebbero a mancare se accadessero miracoli, e
l'uomo fosse costretto da essi a credere. Che ciò sia così, si può vedere razionalmente in
questa maniera: non si può negare che i miracoli inducano a credere e persuadano
fortemente che ciò che dice ed insegna colui che fa i miracoli sia vero, e che questa
convinzione all’inizio occupi talmente l'esterno del pensiero dell'uomo, il quale resta come
legato e affascinato. Da ciò l’uomo è privato di quelle due sue facoltà, che si chiamano
razionalità e libertà, a tal segno che egli non può agire in virtù della libertà secondo la
ragione. Allora il Signore non può influire tramite l’interno nell’esterno del suo pensiero;
tutto ciò che può fare è permettere che l’uomo si persuada, in virtù della sua razionalità, di
ciò che grazie al miracolo è divenuto oggetto della sua fede.
[2] Lo stato del pensiero dell'uomo è tale che, dall'interno del pensiero, egli vede ciò che
è presente nell'esterno del suo pensiero come in uno specchio; poiché, come si è già detto
(n. 104), l' uomo può vedere il suo stesso pensiero, ciò che non può aver luogo se non in
virtù del pensiero interiore. Quando egli vede qualcosa come in uno specchio, può anche
volgerla in ogni senso e darle forma, finché gli sembri bella. Questa cosa, se è vera, si può
paragonare ad una fanciulla o ad un giovane, entrambi belli e vivi; ma se l'uomo non può
volgere questa cosa in ogni senso e formarla, e la crede solamente per la convinzione
indotta dal miracolo, allora, se è una verità, si può paragonare ad una fanciulla o ad un
giovane scolpito nella pietra o nel legno, in cui non c'è vita. Essa si può anche paragonare
ad un oggetto che sta continuamente davanti agli occhi, impedendoci di vedere altro, e che
nasconde tutto quello che si trova da entrambi i lati e dietro di esso. Si può inoltre
paragonare ad un suono continuo nell'orecchio, che esclude la percezione dell'armonia
prodotta da più suoni. I miracoli inducono una simile cecità ed una simile sordità nella
mente umana. Lo stesso vale per ogni convinzione non esaminata razionalmente prima
che diventi tale.
132. Tale caratteristica dei miracoli appare chiaramente da quelli avvenuti davanti al
popolo ebreo e israelita. Sebbene questi avessero visto tanti miracoli nella terra di Egitto,
poi al mar Rosso, ed altri nel deserto, ma principalmente sul monte Sinai allorché fu
promulgata la Legge, nonostante ciò un mese dopo, quando Mosè era rimasto sopra quel
monte, essi costruirono un vitello d'oro e lo riconobbero come Jehovah, che li aveva
condotti fuori dalla terra di Egitto (Esodo 32:4, 5, 6). È evidente altresì dai miracoli fatti più
tardi nella terra di Canaan. Eppure, dopo tutto ciò, il popolo israelita si allontanò spesso
dal culto che gli era stato comandato. Nonostante i miracoli che il Signore compì dinanzi a
loro, quando era nel mondo, egli fu crocifisso.
[2] Il motivo di tutti questi miracoli compiuti dinanzi agli ebrei e israeliti è perché essi
erano uomini interamente esterni. Furono introdotti nella terra di Canaan unicamente
perché rappresentassero la chiesa ed i suoi valori interiori tramite il loro culto esteriore.
Uomini cattivi ed uomini buoni possono ugualmente rappresentare la chiesa, poiché gli
aspetti esteriori del culto sono cerimonie, che ai loro occhi significavano cose spirituali e
celesti. Aronne, pur avendo fatto il vitello d'oro e ne avesse ordinato il culto (Esodo 32:2, 3,
4, 5, 35), ha potuto rappresentare il Signore e la sua opera salvifica. Inoltre, poiché essi non
potevano comprendere le cose spirituali e celesti tramite gli aspetti interiori del culto,
dovettero essere condotti, anzi spinti e costretti, a forza di miracoli.
[3] Non vi potevano essere condotti per gli aspetti interiori del culto perché essi non
riconoscevano il Signore, benché tutta la Parola, che essi custodivano, non tratti che di lui
solo; e chi non riconosce il Signore non può ricevere alcun aspetto interiore del culto. Ma
dopo la manifestazione del Signore, che è stato ricevuto e riconosciuto dalla Chiesa come
Dio eterno, i miracoli sono cessati.
133. L'effetto dei miracoli presso i buoni è diverso da quello che essi esercitano presso i
cattivi. I buoni non cercano miracoli, ma credono ai miracoli che si trovano nella Parola; e,
se sentono parlare di un miracolo, non vi prestano attenzione altrimenti che come a un
debole argomento che conferma la loro fede, poiché essi basano i loro pensieri sulla Parola,
quindi sul Signore, e non sul miracolo. Diversamente è per i cattivi: essi possono essere
spinti e costretti a forza di miracoli alla fede, ed anche al culto e alla pietà, ma solo per
breve tempo, perché i loro mali e le cupidità di questi mali, e quindi i piaceri, sono chiusi
dentro, e agiscono continuamente nell'esterno del loro culto e della loro pietà. Se essi
riflettono sul miracolo – volendo uscire dalla loro prigione finiscono col chiamarlo
illusione o artificio o opera della natura, e così ritornano ai loro mali; e colui che ritorna ai
suoi mali dopo il culto, profana i beni e le verità del culto. Dopo la morte, la sorte dei
profanatori è la peggiore di tutte. Di questi parla il Signore in Matteo, 12:43, 44, 45: Il loro
ultimo stato diviene peggiore del primo. Inoltre, se avvenissero miracoli presso coloro che non
credono ai miracoli riferiti nella Parola, bisognerebbe che ne accadessero continuamente,
davanti agli occhi di tali uomini increduli. È dunque evidente perché oggi non avvengono
più miracoli.
134. II. Nessuno può riformarsi per mezzo di visioni e di conversazioni coi defunti, perché esse
costringono a credere. Le visioni sono di due generi: Divine e diaboliche. Le visioni Divine
avvengono mediante la creazione di immagini nel cielo, mentre le visioni diaboliche si
verificano tramite operazioni magiche nell'inferno. Vi sono poi delle visioni fantastiche, le
quali sono illusioni di una mente sregolata. Le visioni Divine, prodotte, come si è detto,
dalla creazione di immagini nel cielo, sono simili a quelle che ebbero i profeti, i quali,
quando esse avevano luogo, non erano nel corpo ma in uno stato spirituale, poiché le
visioni non possono apparire a nessun uomo in stato di veglia. Perciò, quando esse
apparvero ai profeti, si dice anche che allora essi si trovavano in uno stato spirituale, come
è evidente dai seguenti passi. Ezechiele dice:
Lo Spirito mi elevò e mi ricondusse alla prigionia in Caldea, in una visione di Dio, nello Spirito
di Dio; così scomparve la visione che avevo avuto. (Ez. 11:24)
Egli dice inoltre che lo Spirito lo elevò fra la terra e il cielo, e lo condusse a Gerusalemme,
in visioni Divine (Ez. 8:3 e ss.). Egli era parimenti in visione di Dio o in spirito, quando
vide i quattro animali che erano cherubini (capitoli 1 e 10); come pure quando vide il
nuovo tempio e la nuova terra, e l'angelo che li misurava (capitoli 4048). Che egli fosse
allora nelle visioni di Dio, egli stesso lo dice (Ez. 40:2, 26;) e in spirito (Ez. 43:5).
[2] In uno stato simile si trovava Zaccaria, quando vide un uomo a cavallo fra i mirti
(Zacc. 1:8 e ss.); quando vide quattro corna, ed un uomo che aveva in mano una cordicella
da misura (Zacc. 1:18, 20, 21; 2:1 e ss.); quando vide un candeliere e due ulivi (Zacc. 4:1 e
ss.); quando vide un rotolo volante, e l'efa (Zacc. 5:1, 6); quando vide i quattro carri che
uscivano dalle due montagne, e i cavalli (Zacc. 6:1 e ss.). In uno stato simile si trovava
Daniele, quando vide le quattro bestie uscire dal mare (Dan. 7:1 e ss.), e quando vide i
combattimenti del montone e del becco (Dan. 8:1 e ss.). Che egli abbia visto queste cose
nella visione del suo spirito, egli stesso lo dice espressamente (Dan. 7:1, 2, 7, 13; in 8:2; e in
10:1, 7, ed 8.) Egli dice parimenti di aver avuto una visione dell'angelo Gabriele (9:21).
[3] Nella visione dello spirito si trovava anche Giovanni, quando vide le cose che ha
descritto nell'Apocalisse: sette candelieri, e nel mezzo di essi il Figlio dell'uomo (Ap. 1:12
16); un trono nel cielo, e colui che sedeva sul trono, e quattro animali, che erano cherubini,
intorno al trono (cap. 4); il libro della vita preso dall'Agnello (cap. 5); i cavalli che uscivano
dal libro (cap. 6); i sette angeli con le trombe (cap. 8); il pozzo dell'abisso aperto, e le
locuste che ne uscivano (cap. 9); il dragone ed il suo combattimento contro Michele (cap.
12); le due bestie che salivano una dal mare, e l'altra dalla terra (cap. 13); la donna seduta
sopra la bestia scarlatta (cap. 17); Babilonia distrutta (cap. 18); un cavallo bianco, e colui
che lo cavalcava (cap. 19); un nuovo cielo ed una nuova terra, e la nuova Gerusalemme che
scendeva dal cielo (cap. 21); il fiume dell'acqua della vita (cap. 22). Che egli abbia visto
queste cose nella visione dello spirito, è espressamente indicato in 1:11; 4:2; 5:1; 6:1; e 21:12.
Tali furono le visioni che apparvero dal cielo dinanzi alla vista del loro spirito, e non
davanti alla loro vista corporea. Oggi non vi sono più visioni del genere. Se vi fossero non
sarebbero comprese, perché avvengono tramite immagini i cui dettagli indicano caratteri
interiori della chiesa ed arcani del cielo. Che anche queste visioni dovessero cessare, alla
venuta nel mondo del Signore, è predetto in Daniele, 9:24. Quanto alle visioni diaboliche,
ve ne sono state alcune volte, prodotte da spiriti che ispirano passioni e visioni illusorie, i
quali, a causa dello stato di delirio in cui si trovano, pretendono di essere lo Spirito Santo.
Ma questi spiriti ora sono stati riuniti dal Signore, e gettati in un inferno separato dagli
inferni degli altri. Da ciò è evidente che nessuno si può riformare per mezzo di altre
visioni all'infuori di quelle che si trovano nella Parola. Vi sono anche delle visioni
fantastiche, ma esse sono mere illusioni di menti squilibrate.
134 bis2. Che nessuno possa riformarsi per mezzo di conversazioni coi defunti, è
manifesto dalle parole del Signore intorno all’uomo ricco nell'inferno, e a Lazzaro nel seno
di Abramo; infatti il ricco dice:
Ti prego, dunque, o padre, che tu mandi Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli,
affinché attesti loro queste cose, e non vengano anche loro in questo luogo di tormento. Abramo
disse: Hanno Mosè e i profeti; ascoltino quelli. Ed egli: No, padre Abramo; ma se qualcuno dai
2 I paragrafi 134, 277 e 278 risultano risultano duplicati sia nella versione originale, sia nella traduzione di Scocia,
per mero errore tipografico. Gli stessi paragrafi ripetuti sono contrassegnati dal suffisso bis dopo il numero.
morti va a loro, si ravvedranno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si
lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscita (Luca 16:2731)
Conversare con i morti produrrebbe lo stesso effetto dei miracoli, di cui si è già parlato,
vale a dire che l'uomo sarebbe convinto e costretto al culto per poco tempo; ma siccome ciò
priva l'uomo della razionalità, ed al tempo stesso racchiude dentro di lui i suoi mali, come
si è detto, questo legame interno, essendo una specie di incantesimo, finisce
inevitabilmente per dissolversi, e i mali rinchiusi prorompono con bestemmie e
profanazioni. Tuttavia ciò si verifica solamente quando gli spiriti inducono a credere in
qualche dogma religioso; cose del genere non provengono mai da uno spirito buono, e
tanto meno da un angelo del cielo.
135. Nondimeno è possibile parlare con gli spiriti (raramente però con gli angeli del
cielo), ed è stato concesso a molti, nei secoli passati. Quando ciò accade, gli spiriti parlano
con l'uomo nella sua lingua natale, facendo uso di poche parole. Tuttavia coloro che
parlano con il permesso del Signore non dicono né insegnano mai nulla che possa sottrarci
la nostra libertà di pensare razionalmente. Solo il Signore ci insegna, ma indirettamente,
tramite la Parola, nell’illuminazione (di ciò si parlerà in seguito, dal n. 171 al n. 174). Che
ciò sia così, mi è stato concesso di saperlo per esperienza diretta. Da parecchi anni fino ad
ora ho parlato con gli spiriti e gli angeli, e nessuno spirito ha osato, né alcun angelo ha
voluto dirmi nulla, o tanto meno istruirmi intorno ad alcun argomento riguardante la
Parola, o intorno ad alcun punto dottrinale desunto dalla Parola. Solo il Signore mi ha
insegnato: il Signore che si è rivelato a me, e che da allora è stato ed è costantemente
davanti ai miei occhi come il sole in cui egli dimora, proprio come appare agli angeli, e mi
ha illuminato.
136. III. Nessuno può riformarsi per mezzo di minacce e pene, perché esse costringono. È noto
che ciò che è esteriore in noi non può costringere ciò che è interiore, ma che l'interiore può
costringere l’esteriore. Inoltre è noto che l’interiore rifiuta di essere costretto dall'esteriore
a tal punto da ribellarsi e volgersi dall’altra parte; ed è anche noto che i piaceri esteriori
spingono l'interiore al consenso ed all'amore. Possiamo altresì comprendere che vi è una
costrizione interiore, ed una libertà interiore. Ma tutti questi fatti, benché noti, debbono
tuttavia essere illustrati da esempi, poiché vi sono parecchie cose che, appena udite,
vengono subito prese per vere, perché sono tali, e quindi le affermiamo; ma se in pari
tempo non vengono confermate con motivazioni razionali, possono essere messe in
dubbio, e infine negate, per mezzo di argomentazioni dedotte da apparenze illusorie.
Perciò debbono essere riassunte e confermate razionalmente.
[3] Secondo. L'interiorità rifiuta di essere costretta dall'esteriorità, a tal punto che si
ribella, volgendosi dalla parte opposta. L'interiorità vuole essere libera, ed ama la libertà,
poiché la libertà, come si è mostrato, appartiene all'amore o alla vita dell'uomo. Non
appena ciò che è libero si sente costretto, si ritira per così dire in se stesso, si ribella e si
volge dalla parte opposta, e considera la costrizione come sua nemica. L'amore che
costituisce la vita dell'uomo si irrita e fa sì che l'uomo pensi che in questa maniera egli non
appartenga a se stesso, e quindi non viva la sua vita. L'interiorità dell'uomo è tale in virtù
della legge della Divina Provvidenza del Signore, che stabilisce che l'uomo agisca in virtù
della libertà e secondo la ragione
[4] È dunque dannoso costringere gli uomini al culto Divino tramite minacce e pene. Ma
ve ne sono di quelli che si lasciano costringere alla religione, e di quelli che non si lasciano
costringere. Coloro che si lasciano costringere alla religione sono in gran numero fra i
cattolici romani; ma questo ha luogo presso coloro nel cui culto non vi è nulla di interiore,
bensì tutto è esteriorità. Coloro che non si lasciano costringere si trovano in gran numero
fra gli anglicani, nel culto dei quali vi è una dimensione interiorità, e ciò che è
nell'esteriorità procede dall'interiorità: l'interiorità di questi, quanto alla religione, appare
nella luce spirituale come nuvole bianche; ma l'interiorità dei primi, quanto alla religione,
appare nella luce del cielo come nuvole oscure. Nel mondo spirituale si può vedere l'uno e
l'altro fenomeno, e chi vuole lo può vedere allorché entra in quel mondo, dopo la morte.
Inoltre il culto a cui si è costretti chiude in noi stessi i mali, che si nascondono come il
fuoco sotto la cenere; un fuoco che arde continuamente e si estende, finché si sviluppa in
un incendio. Di contro, il culto non obbligato ma spontaneo non chiude dentro i mali;
perciò i mali sono come fuochi che subito si infiammano e si dissipano. Da ciò è evidente
che l'interiorità rifiuta a tal punto di essere costretta che si rivolta. D’altro canto l'interiorità
può costringere l'esteriorità, perché l'interiorità è come un padrone, e l'esteriorità come un
servo.
[5] Terzo. I piaceri esterni attirano l'interiorità al consenso e all'amore. Vi sono due generi
di piaceri: i piaceri dell'intelletto e i piaceri della volontà. I piaceri dell'intelletto sono anche
i piaceri della sapienza, e i piaceri della volontà sono altresì i piaceri dell'amore, poiché la
sapienza riguarda l'intelletto, e l'amore riguarda la volontà. Poiché i piaceri del corpo e dei
suoi sensi, cioè i piaceri esteriori, operano all’unisono coi piaceri interiori – i piaceri
dell’intelletto e della volontà ne consegue che, come l'interiorità rifiuta di essere costretta
dall'esteriorità fino al punto di rivoltarsi, così si volge spontaneamente verso il piacere
nell'esteriorità, fino ad accettarlo. In questo modo vi è consenso da parte dell'intelletto, e
amore da parte della volontà.
[6] Tutti i fanciulli nel mondo spirituale vengono introdotti dal Signore nella sapienza
angelica, e per tramite di questa nell'amore celeste, per mezzo di cose piacevoli e
gradevoli: prima con oggetti piacevoli nelle case e con oggetti gradevoli nei giardini, poi
con rappresentazioni di cose spirituali che toccano deliziosamente i livelli interiori della
loro mente, infine con le verità della sapienza e con le virtù dell'amore. Così i fanciulli
sono guidati tramite i piaceri nel loro ordine: in primo luogo dai piaceri dell'amore per
l'intelletto e per la sapienza, ed infine dai piaceri di un amore della volontà, che diviene
l'amore della loro vita. Tutto ciò che essi hanno interiorizzato tramite i precedenti piaceri è
mantenuto in ordine sotto il dominio di questo amore.
[7] Tali cose avvengono perché tutto ciò che appartiene all'intelletto e alla volontà
dev'essere formato attraverso mezzi esteriori, prima di essere formato tramite mezzi
interiori. Tutto ciò che appartiene all'intelletto ed alla volontà si forma in primo luogo
mediante le cose che entrano attraverso i sensi del corpo, soprattutto la vista e l'udito.
Allorché i nostri primi atti dell’intelletto della volontà prendono forma, l'interiorità del
pensiero considera queste cose come elementi esterni del suo pensiero, ed allora si
congiunge con esse o se ne separa. Si congiunge con esse se sono piaceri, e se ne separa se
non sono piaceri.
[8] Tuttavia dev’essere ben chiaro che l'interiorità dell'intelletto non si congiunge con
l'interiorità della volontà, ma che l'interiorità della volontà si congiunge con l' interiorità
dell'intelletto, e fa sì che vi sia una congiunzione reciproca, la quale però si effettua
dall'interiorità della volontà, e in nessun modo dall'interiorità dell'intelletto. Da ciò risulta
che l'uomo non si può riformare per sola fede; è necessario l'amore della volontà, che dà
forma ad una fede.
[9] Quarto. Vi è un’interiorità costretta ed un’interiorità libera. Vi è un interiorità costretta
in coloro che sono nel solo culto dell’esteriorità, ed in nessun culto interiore, poiché la loro
interiorità consiste nel pensare e volere ciò a cui l'esteriorità è costretta. Questi sono coloro
che rivolgono il loro culto agli uomini vivi e morti, e quindi agli idoli ed ai miracoli. La
loro interiorità è solo quella che in pari tempo è esteriorità. Ma in coloro che sono
nell'interiorità del culto, può trattarsi di un’interiorità costretta sia dal timore che
dall'amore. L'interiorità costretta dal timore è caratteristica di coloro che sono nel culto per
timore del tormento dell'inferno e del suo fuoco; tuttavia questa interiorità non è
l'interiorità del pensiero, di cui si è già parlato (nn. 103–105, 110, 111, 120, 130), ma è
l'esteriorità del pensiero, che qui si chiama interiorità, perché appartiene al pensiero.
L'interiorità del pensiero, di cui si è parlato più sopra, non può essere costretta da alcun
timore, ma può essere costretta dall'amore e dal timore di perdere l'amore; il timore di
Dio, nel senso genuino, non è altro: essere costretti dall'amore, e dal timore di perdere
l'amore, vuol dire costringere se stessi. Costringere se stessi non è contro la libertà né
contro la razionalità, come vedremo in seguito (dal n. 145 al n. 149).
137. Da queste spiegazioni si può comprendere qual’è il culto basato sulla costrizione, e
qual’è il culto non basato sulla costrizione. Il culto basato sulla costrizione è un culto
corporeo, inanimato, oscuro e triste: corporeo, perché appartiene al corpo e non alla mente;
inanimato, perché in esso non c'è vita; oscuro, perché il nostro discernimento è assente;
triste, perché è privo della gioia celeste. Il culto non costretto, quando è genuino, è un culto
spirituale, vivente, limpido e lieto; spirituale, perché in esso vi è lo spirito del Signore;
vivente, perché vi è in esso la vita che proviene dal Signore; lucido, perché vi è in esso la
sapienza che deriva dal Signore; e lieto, perché vi è in esso il cielo che discende dal
Signore.
138. IV. Nessuno può riformarsi in condizioni in cui la razionalità e la libertà sono assenti. È
stato mostrato più sopra (dal n. 78 al n. 81) che niente si assimila all'uomo, tranne quel che
egli stesso compie in virtù della libertà secondo la ragione; ciò perché la libertà appartiene
alla volontà, e la ragione all'intelletto, e quando l'uomo agisce in virtù della libertà secondo
la ragione, egli agisce in virtù della volontà mediante il suo intelletto. Quello che egli fa
tramite la congiunzione di entrambi, diventa parte di se stesso. Ora, poiché il Signore
vuole che l'uomo si riformi e si rigeneri, affinché abbia la vita eterna, ovvero la vita del
cielo, e nessuno si può riformare e rigenerare se il bene non si appropria della sua volontà
per diventare come parte di essa, e se la verità non si appropria del suo intelletto per
diventare anch’essa come sua; e siccome nulla può diventare parte di nessuno, all'infuori
di quel che si compie in virtù della libertà della volontà, secondo la ragione dell'intelletto,
ne consegue che nessuno può riformarsi negli stati in cui manca la libertà e la razionalità.
Vi sono parecchi stati dove manca la libertà e la razionalità, ma in generale essi rientrano
in queste categorie: timore, infortunio, malattia dell'animo, infermità del corpo, ignoranza
e accecamento dell'intelletto. È necessario dire qualcosa in particolare intorno a ciascuno di
questi stati.
[2] È stato mostrato che l'uomo possiede un piano interiore e uno esteriore del pensiero.
Il timore non può mai invadere l'interiorità del pensiero. Quest’ultima si trova sempre
nella libertà, perché essa è nell'amore della sua vita; ma può invadere l'esterno del
pensiero, e quando lo invade, l'interno del pensiero si chiude. Allora l'uomo non può più
agire in virtù della libertà secondo la sua ragione, e di conseguenza non si può riformare.
[4] Il timore delle pene infernali invade, è vero, l'esterno del pensiero, ma solo per alcuni
momenti, per alcune ore o per alcuni giorni. Il pensiero viene presto restituito alla sua
libertà dall'interiorità del pensiero, che è propria del suo spirito e dell'amore della sua vita,
e che si chiama pensiero del cuore.
[5] Ma il timore della perdita dell'onore e del lucro invade l'esterno del pensiero
dell'uomo, e quando lo invade, esso chiude dalla parte superiore l'interno del pensiero
all'influsso del cielo, e fa sì che l'uomo non si possa riformare. La ragione di ciò è che
l'amore della vita di ogni uomo è fino dalla nascita l'amore di sé e del mondo. L’amore di
sé è la stessa cosa dell'amore per l'onore, e l'amore del mondo è la stessa cosa dell'amore
per il lucro; perciò, quando l'uomo è nell'onore o nel lucro, temendo di perderli, egli trova
in sé una giustificazione per i mezzi che gli servono ad ottenere l'onore ed il lucro, mezzi
che riguardano sia il mondo civile che ecclesiastico. In modo simile agisce colui che è non
ancora nell'onore o nel lucro, se vi aspira; ma agisce in tal modo per timore della perdita
della reputazione che procura l’onore o il lucro.
[6] Si è detto che questo timore invade l'esterno del pensiero, e chiude l'interno, dalla
parte superiore, all'influsso del cielo; questo interno è chiuso quando diviene addirittura
una stessa cosa con l'esterno, poiché allora esso non funziona più da sé, ma viene guidato
dall'esterno. Ma siccome l'amore di sé e l'amore del mondo sono amori infernali, e sorgenti
di tutti i mali, è chiaro qual’è in sé l'interno del pensiero in coloro nei quali questi amori
sono gli amori della vita, gli amori dominanti: vale a dire che essa è piena di cupidità di
ogni genere di mali. Coloro che, per timore della perdita della dignità e dell'opulenza,
sono fortemente persuasi della loro religione, soprattutto se essa implica la convinzione
che essi debbano essere adorati come numi, ed in pari tempo come regnanti nell'inferno,
questi possono apparire infiammati di zelo per la salvezza delle anime; tale ardore è
tuttavia un fuoco infernale. Siccome questo timore ci priva soprattutto della razionalità e
della libertà, che hanno un’origine celeste, è evidente che esso si oppone alla capacità
dell'uomo di riformarsi.
140. Nessuno può riformarsi in una condizione di pericolo. Se solamente in questa condizione
l'uomo pensa a Dio ed implora il suo soccorso, è perché si trova in uno stato di costrizione:
perciò, quando ritrova la sua libertà, egli ritorna nello stato precedente, in cui pensava
poco a Dio, seppure vi pensava. Diverso è per coloro che prima, in uno stato di libertà,
avevano avuto timore di Dio. Per timore di Dio si intende temere di offenderlo; e temere di
offenderlo significa temere di peccare. Questo non è timore, ma è amore: chi è colui che,
amando qualcuno, non teme di fargli del male? E quanto più l'ama, tanto più prova questo
timore, senza il quale si tratta di un amore inconsistente e superficiale, appartenente al
solo pensiero e in nessun modo alla volontà. Per condizioni di pericolo si intendono gli
stati di disperazione prodotti appunto da pericoli: per esempio nel corso di combattimenti,
duelli, naufragi, cadute, incendi; nella perdita imminente o inopinata delle ricchezze, della
carica, e per conseguenza dell'onore, ed in altri casi simili. Pensare a Dio solamente in
queste circostanze non proviene da Dio, ma da se stessi; infatti la mente allora è come
imprigionata nel corpo, e non ha libertà, e quindi neppure razionalità, senza le quali non ci
si può riformare.
141. Nessuno può riformarsi in uno stato di infermità mentale. L’infermità mentale toglie la
razionalità, e quindi la libertà di agire secondo la ragione, poiché la mente è malata e non
sana, e la mente sana è razionale, a differenza di quella malata. Queste infermità sono
depressioni, sensi di colpa illusori, allucinazioni di vario genere, stati di angoscia prodotti
da disgrazie, ansietà e sofferenze della mente risultanti da malattie, che talvolta vengono
prese per tentazioni, ma non lo sono, perché le vere tentazioni hanno per oggetto cose
spirituali, ed in esse la mente è in possesso delle sue facoltà. Ma gli stati di cui sto parlando
hanno per oggetto cose mondane, ed in esse la mente è folle.
142. Nessuno può riformarsi in condizioni di grave infermità fisica. In tali condizioni la
ragione non è libera, poiché lo stato della mente dipende dallo stato del corpo. Quando il
corpo è malato, anche la mente è malata, se non altro per l'allontanamento dal mondo; in
questa lontananza la mente pensa a Dio, ma ciò non proviene da Dio, perché essa non si
trova nella libertà della ragione. La libertà della ragione deriva dal fatto che l'uomo si
trova a metà strada fra il cielo e il mondo, e può pensare in virtù del cielo e in virtù del
mondo, ed anche al mondo in virtù del cielo, ed al cielo in virtù del mondo. Quando
l'uomo è malato e pensa alla morte ed allo stato della sua anima dopo la morte, egli non è
in contatto col mondo. Si è ritirato nel suo spirito; e quando si trova completamente in
questo stato non si può riformare, benché tale condizione lo possa fortificare se è già
riformato prima di ammalarsi.
[2] Ciò vale anche per coloro che rinunciano al mondo e a tutti gli affari del mondo, e si
dedicano solamente a pensare a Dio, al cielo e alla salvezza; ma di ciò si tratterà più
diffusamente in seguito. Pertanto, se questi uomini non si sono riformati prima della
malattia, quando muoiono essi restano identici a ciò che erano stati precedentemente. È
dunque vano pensare che alcuni possano fare penitenza, o trovare una fede genuina nelle
malattie, poiché questa penitenza è priva di azione, e questa fede è priva di carità: l'una e
l'altra provengono solo dalla bocca, e non dal cuore.
143. Nessuno si riforma in uno stato di ignoranza. Ogni riforma si effettua grazie alle verità
ed alla vita conforme ad esse. Pertanto, coloro che non conoscono le verità non si possono
riformare; ma se desiderano le verità perché si sentono attratti da esse, si riformano nel
mondo spirituale, dopo la morte.
144. Non si possano riformare neppure coloro che sono in uno stato di accecamento intellettuale.
Anche questi uomini non conoscono le verità, né la vita conforme ad esse, poiché
l'intelletto deve insegnare le verità, e la volontà deve metterle in atto; e quando la volontà
fa ciò che l'intelletto insegna, allora si ha una vita conforme alle verità. Ma quando
l'intelletto è accecato, anche la volontà è bloccata, Tutto ciò che essa può compiere
liberamente, in accordo con la sua ragione, è il male che trova giustificazione nel suo
intelletto, che è falsità. Oltre l'ignoranza, acceca l'intelletto anche la religione che insegna
una fede cieca; essa insegna una dottrina erronea, poiché come le verità aprono l'intelletto,
così le falsità lo chiudono. Esse lo chiudono dall'alto, ma lo aprono dal basso, e l'intelletto
aperto solamente dal basso non può vedere le verità, ma può soltanto affermare tutto ciò
che vuole, principalmente il falso. L'intelletto si acceca anche per le pulsioni malvagie.
Finché la volontà è in esse, essa spinge l'intelletto ad affermarle, e nella misura in cui si
affermano le cupidità del male, in ugual misura la volontà non può essere nelle affezioni
del bene, né vedere grazie ad esse le verità, e di conseguenza riformarsi.
[2] Così, ad esempio, la volontà di chi è nella cupidità dell'adulterio, che è nel piacere del
suo amore, spinge il suo intelletto ad affermare l'adulterio, dicendo: Che cos’è l'adulterio?
Che male c’è in esso? Non è forse un rapporto come fra marito e moglie? Dall'adulterio
non può ugualmente nascere una prole? Non può la donna concedersi a molti uomini
senza alcun danno? Che cosa ha a che fare la spiritualità col sesso? Così pensa un intelletto
prostituitosi alla volontà. Esso diviene così stupido, a causa di questo rapporto dissoluto
con la volontà, da non riuscire a vedere che l'amore coniugale è lo stesso amore spirituale
celeste, il quale è l'immagine dell'amore del Signore e della chiesa, da cui esso deriva;
dunque in sé esso è santo, è la castità stessa, la purezza e l’innocenza. Esso fa sì che gli
uomini siano forme che esprimono l’amore stesso, perché i coniugi possono amarsi
reciprocamente dal centro del loro essere, e così divenire forme dell'amore. L'adulterio
distrugge questa forma, e con essa l'immagine del Signore; ed è orribile che l'adultero
mescoli la sua vita con la vita del marito nella moglie di quest’ultimo, poiché la vita
dell'uomo è nel seme.
[3] Questa è una profanazione: perciò l'inferno si chiama adulterio, ed il cielo, all'opposto,
si chiama matrimonio. L'amore dell'adulterio comunica con l'inferno più profondo, e
l'amore coniugale col cielo più elevato. Gli organi della generazione in entrambi i sessi
corrispondono alle comunità del cielo più elevato. Queste spiegazioni sono state date
affinché si sappia quanto l'intelletto è cieco, allorché la volontà è nella cupidità del male; e
che nessuno si può riformare in uno stato di accecamento dell'intelletto.
145. V. Costringere se stessi non è contro la razionalità né contro la libertà. È stato già mostrato
(nn. 103104) che nell'uomo vi è un pensiero interiore ed esteriore, distinti fra loro come
l’anteriore e il posteriore, o come il superiore e l’inferiore. Essendo distinti, questi possono
agire separatamente e congiuntamente. Agiscono separatamente, quando l'uomo
dall'esterno del suo pensiero parla e agisce diversamente da ciò che pensa e vuole
interiormente; ed agiscono congiuntamente quando egli parla e fa ciò che pensa e vuole
interiormente. Quest’ultimo modo di essere è comune fra le persone oneste, e il primo fra i
disonesti.
[2] Poiché il pensiero esteriore ed interiore sono così distinti, l’interno può anche lottare
contro l’esterno e costringerlo con la forza al consenso. La lotta ha luogo quando l'uomo
pensa che i mali sono peccati, e perciò vuole desistere dal commetterli. Infatti, quando egli
desiste, si apre una porta da cui le cupidità del male, che ostacolavano l'interno del
pensiero, vengono cacciate dal Signore, ed in luogo di esse vengono impiantate, ai livelli
più profondi della mente, le affezioni del bene. Ma siccome i piaceri delle cupidità del
male, che ostacolano l'esterno del pensiero, non possono essere cacciati nel medesimo
tempo, avviene una lotta fra l'interno e l'esterno del pensiero: l' interno vuole cacciare
questi piaceri, perché sono piaceri del male, incompatibili con le affezioni del bene delle
cui gioie il pensiero interiore adesso gode. Al posto dei piaceri del male vuole impiantare i
piaceri del bene, che sono in armonia con esso. Tali piaceri del bene sono quelli che si
chiamano beni della carità. Da questa contrarietà comincia la lotta, la quale, se diviene più
grave, si chiama tentazione.
[3] Poiché siamo umani grazie al nostro pensiero interiore, che è lo spirito stesso
dell'uomo, ne consegue che l'uomo costringe se stesso quando costringe i processi esteriori
del suo pensiero al consenso, o a ricevere i piaceri delle sue affezioni interiori, cioè i beni
della carità. È evidente che questo non è contrario alla razionalità, né alla libertà, ma è in
accordo con esse, perché la razionalità stessa dà inizio al combattimento, e la libertà lo
prosegue. La nostra libertà essenziale e la razionalità risiedono nel nostro sé interiore, e da
lì si manifestano nel sé esteriore.
[4] Quando dunque l'interno è vincitore, ciò che avviene allorché l'interno ha ridotto
l'esterno al consenso e all'obbedienza, il Signore dà all’uomo la libertà e la razionalità.
L'uomo viene fatto uscire dal Signore dalla libertà infernale, che in realtà è schiavitù, ed è
collocato nella libertà celeste, che che è la vera libertà, insieme agli angeli. Che coloro che
sono nei peccati siano schiavi, e che il Signore renda liberi quelli che tramite la Parola
ricevono da lui la verità, lo insegna egli stesso in Giovanni 8:3136.
146. Un esempio può essere d’aiuto. Un uomo che ha provato piacere frodando e
rubando, ma vede e riconosce interiormente che questi sono peccati, e perciò vuole
desistere dal commetterli, quando desiste inizia la lotta dell'uomo interno con l'uomo
esterno. L'uomo interno è nell'affezione della sincerità, ma l'uomo esterno è ancora nel
piacere della frode; questo piacere, opposto al piacere della sincerità, non recede se non
viene costretto, né può essere costretto se non dopo una lotta. Quando l'uomo interno
vince, l'uomo esterno viene nel piacere dell'amore per l’onestà, che è la carità; poi, poco a
poco, il piacere della frode diviene per lui disgustoso. Lo stesso vale per tutti gli altri
peccati, gli adulteri, le fornicazioni, le vendette e gli odi, le bestemmie e le menzogne. Ma
la lotta più difficile di tutte è la lotta contro l'amore di dominare in virtù dell'amore di sé.
Colui che soggioga questo amore soggioga facilmente gli altri amori cattivi, perché esso è a
capo di tutti loro.
147. Si dirà ancora, in poche parole, come il Signore caccia le cupidità del male, che
ostacolano l'uomo interno fin dalla nascita, e le sostituisce con le affezioni del bene,
allorché l'uomo allontana, come da se stesso, i mali in quanto peccati. È stato già mostrato
(n. 75 e n. 139) che l'uomo ha una mente naturale, una mente spirituale e una mente
celeste. Finché è nelle concupiscenze del male e nei loro piaceri, l'uomo è nella sola mente
naturale. Allora la mente spirituale è chiusa; ma quando l'uomo, dopo un esame di
coscienza, riconosce i mali come peccati contro Dio, perché sono contro le leggi Divine, e
vuole perciò desistere da essi, il Signore apre la mente spirituale ed entra nella mente
naturale tramite le affezioni della verità e del bene. Egli penetra anche nel razionale, e da
questo mette in ordine quelle cose che più in basso, nel naturale, sono contrarie all'ordine.
Ciò appare all’uomo come una lotta; e in coloro che si sono abbandonati per molto tempo
ai piaceri del male appare come una tentazione, poiché l’anima prova dolore quando si
inverte l'ordine dei suoi pensieri. Questa è una lotta contro le cose che si trovano dentro di
noi, e che sentiamo come nostre; e nessuno può lottare contro se stesso se non in virtù di
ciò che è dentro di lui, e in virtù della libertà che vi si trova. Ne consegue che l'uomo
interno combatte allora contro l'uomo esterno, in virtù della libertà, e costringe l'esterno
all'obbedienza. In ciò consiste il costringere se stessi. È evidente che ciò non è contro la
libertà, né contro la razionalità, ma che è conforme a queste due facoltà.
148. Inoltre ogni uomo vuole essere libero, ed allontanare da sé ciò che non è libero,
ovvero ciò che è schiavitù. Come fanciulli sottoposti ad un maestro, vogliamo essere
indipendenti, e di conseguenza liberi; così come ogni servo soggetto ad un padrone, ed
ogni serva soggetta ad una padrona. Ogni giovane vuole uscire dalla casa di suo padre e
sposarsi, allo scopo di agire liberamente nella propria casa. Ogni giovane che vuole
lavorare, commerciare o esercitare qualche impiego, mentre svolge il suo apprendistato
vuole emanciparsi per essere arbitro di se stesso. Tutti coloro che servono volontariamente
per ottenere la libertà costringono se stessi; e quando costringono se stessi, essi agiscono in
virtù della libertà secondo la ragione. Ciò avviene in virtù della libertà interiore, che
considera la libertà esteriore come servitù. Costringere se stessi non è dunque contro la
razionalità, né contro la libertà.
149. Se l'uomo non desidera passare dalla servitù spirituale alla libertà spirituale, è
anzitutto perché egli non sa che cos’è la servitù spirituale, né che cos’è la libertà spirituale.
Egli non possiede le verità che insegnano ciò; e senza le verità crede che la servitù
spirituale sia la libertà, e che la la libertà sia la servitù. Il secondo motivo è che la religione
del mondo cristiano ha chiuso l'intelletto, e la dottrina della sola fede l'ha suggellato. L'una
e l'altra si sono circondate da un muro di ferro: il dogma che le questioni teologiche sono
trascendenti, e di conseguenza non sono accessibili alla ragione; e che esse sono per i
ciechi, non per coloro che vedono. Con ciò sono state nascoste le verità che potrebbero
insegnare che cos’è la libertà spirituale. Il terzo motivo è che pochi uomini si esaminano e
vedono i loro peccati; e chi non li vede e non desiste dal commetterli è nella libertà dei suoi
peccati, che è la libertà infernale, ed è in sé servitù. Vedere da questa libertà la libertà
celeste, che è la vera libertà, è come vedere la luce del giorno in una tenebra, come
guardare da sotto una nuvola oscura ciò che viene dal sole che è al di sopra. Si ignora
quindi che cosa sia la libertà celeste, e che la differenza fra questa libertà e la libertà
infernale sia come la differenza fra quel che è vivo e quel che è morto.
150. VI. L' uomo esterno deve riformarsi attraverso l'uomo interno, e non viceversa. Per “uomo
interno” e per “uomo esterno” si intende la medesima cosa che l'interno e l'esterno del
pensiero, di cui si è già parlato più volte (nn. 103–111, 120, 130, 139, 145). Se l'esterno si
riforma grazie all'interno, è perché l'interno fluisce nell'esterno, e non viceversa. Gli eruditi
sanno che vi è un influsso spirituale nel naturale, e non viceversa; ed è noto nella chiesa
che l'uomo interno deve essere per primo purificato e rinnovato, e per mezzo di esso
l'uomo esterno, perché il Signore e la ragione lo dettano. Il Signore lo insegna con queste
parole:
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti! Perché pulite l'esterno della coppa e del piatto, mentre
l'interno è pieno di rapina e d'intemperanza. Fariseo cieco! Pulisci prima l'interno della coppa e
del piatto, affinché anche l'esterno sia pulito (Matteo 23: 25, 26)
[2] Che la ragione lo detti, è stato mostrato ampiamente in Divino Amore e Divina
Sapienza. Infatti quello che insegna il Signore, egli concede anche all'uomo di percepirlo
con la ragione. Ciò avviene in due modi: anzitutto, appena l’uomo ode questa verità egli la
vede in sé; oppure la comprende con la ragione. Vederla in sé significa vederla nel proprio
uomo interno, e comprenderla con la ragione significa percepirla nell'uomo esterno. Chi
non è capace di vedere in sé, dopo averlo udito, che prima di tutto è l'uomo interno a
dover essere purificato, e per mezzo di esso l'uomo esterno? Ma colui che non riceve
dall'influsso del cielo un’idea generica intorno a questo soggetto può ingannarsi, se si
affida al pensiero esteriore. Il pensiero esteriore ci mostra solo che le opere esterne, che
riguardano la carità e la pietà, possono condurre alla salvezza anche senza i processi di
pensiero interiori. Lo stesso vale per le altre cose; ad esempio pensare che la vista e l'udito
influiscono nel pensiero, l'odore e il gusto nella percezione, e così l'esterno nell'interno,
mentre è l’esatto contrario. Le cose viste e udite sembrano fluire nel pensiero, ma è
un’illusione, poiché è l’intelletto che vede tramite l'occhio e ode tramite l'orecchio, e non
viceversa; lo stesso vale per gli altri sensi.
151. Si dirà ora in poche parole come si riforma l'uomo interno, e per mezzo di esso
l'uomo esterno. L'uomo interno non si riforma solamente per conoscere, comprendere e
sapere, cioè non esclusivamente per pensare, ma per volere ciò che la scienza, l'intelligenza
e la sapienza insegnano. Quando l'uomo conosce, comprende e sa che esiste il cielo e
l’inferno, e che ogni male viene dall'inferno, ed ogni bene dal cielo, e quindi non vuole il
male, perché viene dall'inferno, ma vuole il bene, perché viene dal cielo, egli si trova nel
primo grado di riforma: è sulla soglia dell'inferno, con lo sguardo rivolto al cielo. Allorché
l'uomo progredisce ulteriormente, e vuole desistere dai mali, egli è nel secondo grado di
riforma, quindi fuori dall'inferno, ma non ancora nel cielo, che vede sopra di sé; infatti, per
essere riformato, il cielo deve penetrare nella sua interiorità. Se l'esterno e l'interno non si
riformano entrambi, l'uomo non è riformato. L'esterno si riforma grazie all'interno,
quando l'esterno desiste dai mali che l'interno rifiuta perché sono infernali. Siamo più
completamente riformati quando per questa ragione li fuggiamo e lottiamo contro di essi.
In questo modo l’interno è il volere, e l'esterno è l’agire. Se non si fa quel che si vuole,
significa che interiormente manca una reale intenzione; il che diviene infine una totale
assenza di volontà. Da queste poche spiegazioni si può vedere come l'uomo esterno si
riformi tramite l'interno. Ed è questo il significato delle parole del Signore a Pietro:
Pietro gli disse: Tu non mi laverai mai i piedi! Gesù gli rispose: Se non ti lavo, non avrai con me
parte alcuna. E Simon Pietro: Signore, non soltanto i piedi, ma anche le mani e il capo! Gesù gli
disse: Chi è stato lavato non ha bisogno che di lavarsi se non quanto ai piedi, ed egli è tutto
netto; e voi siete netti, ma non tutti (Giovanni 13:8, 9, 10)
La lavanda dei piedi qui rappresenta il lavacro spirituale, che è la purificazione dai mali; per
lavare la testa e le mani si intende purificare l'uomo interno, e per lavare i piedi si intende
purificare l'uomo esterno. Che l'uomo esterno debba essere purificato dopo che l'uomo
interno è purificato, s'intende con le parole, Chi è stato lavato non ha bisogno che di lavarsi se
non quanto ai piedi; che ogni purificazione dai mali venga dal Signore è indicato dalle
parole, Se non ti lavo, non avrai con me parte alcuna. In molti passi in Arcana Coelestia è stato
mostrato che l'abluzione presso gli ebrei rappresentava la purificazione dai mali, e che
nella Parola questa purificazione è indicata dalla lavacro, e che la lavanda dei piedi significa
la purificazione dell'uomo naturale o esterno.
152. Poiché l'uomo ha un interno ed un esterno, e l’uno e l'altro si devono riformare
affinché l'uomo sia riformato, e dato che nessuno si può riformare se non si esamina, non
vede e non riconosce i suoi mali, e non desiste dal commetterli, ne consegue che si deve
esaminare non solo l’esterno, ma anche l’interno. Se si esamina solamente l'esterno, l'uomo
non vede altro che quel che ha o non ha commesso tangibilmente; per esempio che non ha
ucciso, né commesso adulterio, né rubato, né reso falsa testimonianza, e così via. In questo
modo egli esamina i mali del suo corpo, e non i mali del suo spirito. Ma si devono
esaminare anche questi ultimi, affinché ci si possa riformare; perché l'uomo vive in quanto
spirito dopo la morte, e tutti i mali che sono in lui, rimangono. Lo spirito non si può
esaminare se non quando l’uomo presta attenzione ai suoi pensieri, e principalmente alle
sue intenzioni, poiché le intenzioni sono i pensieri che provengono dalla volontà; qui
risiedono i mali nella loro origine e nella loro radice, vale a dire nelle loro cupidità e nei
loro piaceri. Se essi non vengono visti e riconosciuti, l'uomo è sempre nei mali, anche se
nella sua esteriorità non li ha commessi. Queste parole del Signore dimostrano che pensare
sulla base della nostra intenzione sia già volontà e azione:
Chiunque guarda la donna di un altro desiderandola, ha già commesso adulterio con lei nel suo
cuore (Matteo 5:28).
153. Spesso mi sono stupito del fatto che, quantunque tutto il mondo cristiano riconosca
che si devono fuggire i mali in quanto peccati, altrimenti questi non sono rimessi, e che se i
peccati non sono rimessi non c’è salvezza, solo uno fra mille ne è consapevole. Ho
accuratamente indagato nel mondo spirituale, e mi sono reso conto che è così. Tutti i
cristiani, infatti, vengono istruiti dalle preghiere che si leggono dinanzi a coloro che si
accostano alla santa cena, poiché se ne parla apertamente; e nonostante ciò, quando si
chiede loro se lo sanno, rispondono che non lo sanno, e che non lo hanno mai saputo. Il
motivo è che essi non vi hanno posto attenzione, e che la maggior parte di loro non ha
pensato che alla fede ed alla salvezza per sola fede. Mi sono inoltre stupito del fatto che la
dottrina della sola fede li abbia così accecati, che coloro che ne sono convinti fino in fondo,
quando leggono la Parola, non vedono nulla di ciò che vi si dice riguardo all'amore, alla
carità ed alle opere. È come se avessero coperto la Parola con uno strato di fede, come chi
ricopre un manoscritto di inchiostro, in modo tale che non si legge nulla di ciò che vi è
scritto; e, se si vede qualcosa, viene assorbito dalla fede e identificato ad essa.
VIII
È una legge della Divina Provvidenza che l’uomo sia guidato e istruito dal
Signore, dal cielo mediante la Parola, la dottrina e le prediche desunte
dalla Parola; e che avvenga in apparenza, come da se stesso
154. In apparenza l'uomo guida e istruisce se stesso, ma la verità è che è guidato ed
istruito solo dal Signore. Coloro che si convincono dell'apparenza, e non in pari tempo
della verità, non possono allontanare da se stessi i mali in quanto peccati; ma coloro che
scorgono in sé l'apparenza ed in pari tempo la verità possono farlo, poiché i mali in quanto
peccati vengono rimossi in apparenza dall'uomo, ma in realtà dal Signore. Questi ultimi
possono essere riformati, ma per i primi ciò non è possibile.
[2] Coloro che affermano in se stessi l'apparenza e non in pari tempo la verità, nella loro
interiorità sono tutti idolatri, poiché sono adoratori di se stessi e del mondo. Se non hanno
una religione divengono adoratori della natura, e quindi atei; ma se hanno una religione
divengono adoratori di uomini e nello stesso tempo di simulacri. È a costoro che si rivolge
il primo comandamento del Decalogo, gli adoratori di altri dei. Ma coloro che si
persuadono dell'apparenza ed in pari tempo della verità divengono adoratori del Signore,
poiché il Signore li innalza fuori dal loro proprio, che è immerso nell'apparenza, e li
conduce nella luce, in cui è la verità, e che è la verità; e concede loro di percepire
interiormente che non sono guidati ed istruiti da se stessi, ma dal Signore.
[3] La facoltà razionale degli uni e degli altri può sembrare a molti, simile, ma in realtà è
differente. Quella di coloro che sono nell'apparenza ed in pari tempo nella verità è una
facoltà razionale spirituale; ma quella di coloro che sono nell'apparenza, e non in pari
tempo nella verità, è una facoltà razionale naturale. Questa può essere paragonata ad un
giardino così come appare nella luce invernale, mentre la facoltà razionale spirituale può
essere paragonata ad un giardino nella luce primaverile. Riguardo a ciò si daranno
maggiori chiarimenti, nell'ordine seguente:
I. L'uomo è guidato ed istruito dal Signore solo.
II. L'uomo è guidato ed istruito dal Signore solo, per mezzo del cielo angelico, e da questo
cielo.
III. L'uomo è guidato dal Signore mediante un influsso, ed istruito per mezzo di
un’illuminazione.
IV. L'uomo è istruito dal Signore mediante la Parola, la dottrina e le prediche desunte dalla
Parola, dunque direttamente dal Signore solo.
V. Esteriormente, l'uomo è guidato ed istruito dal Signore apparentemente come da se
stesso.
155. L'uomo è guidato ed istruito dal Signore solo. Ciò risulta come conseguenza naturale e
inevitabile da tutto quel che è stato mostrato in Divino Amore e Divina Sapienza, nella prima
e seconda parte dell’opera; poi da ciò che è stato detto sui gradi, nella terza parte, sulla
creazione dell'universo, nella quarta parte, e sulla creazione dell'uomo, nella quinta parte.
156. Il fatto che l'uomo sia guidato ed istruito soltanto dal Signore, è perché egli riceve la
sua vita solo dal Signore, poiché è la volontà della sua vita ad essere guidata, e l'intelletto
della sua vita ad essere istruito; ma questo va contro l'apparenza, poiché all'uomo sembra
di vivere da se stesso. E nondimeno la verità è che egli riceve la sua vita dal Signore, e non
da se stesso. Finché vive nel mondo, l'uomo non può percepire la sensazione che la sua
vita proviene unicamente dal Signore, perché gli viene lasciata l'apparenza di una vita
autonoma; senza di essa, infatti, l'uomo non sarebbe tale. Questo concetto deve essere
provato con argomenti razionali, che poi saranno confermati con l'esperienza, ed infine
con la Parola.
157. Che l'uomo riceva la sua vita unicamente dal Signore, e non da se stesso, verrà
provato con queste ragioni: vi è un'unica essenza, un'unica sostanza e un'unica forma, da
cui provengono tutte le essenze, le sostanze e le forme che sono state create. Questa unica
essenza, sostanza e forma è il Divino Amore e la Divina Sapienza, da cui derivano tutte le
cose che nell'uomo si riferiscono all’amore e alla sapienza. Così pure vi è un Bene in sé ed
una Verità in sé, su cui si fondano tutte le cose; questi sono la vita, da cui deriva la vita di
ogni cosa e di ogni aspetto della vita. Questa singola, essenziale realtà è onnipresente,
onnisciente e onnipotente; e questa realtà unica ed essenziale è il Signore ab aeterno ovvero
Jehovah.
[2] Vi è un'unica essenza, un'unica sostanza e un'unica forma, da cui provengono tutte le
essenze, le sostanze e le forme che sono state create. In Divino Amore e Divina Sapienza,
seconda parte (dal n. 44 al n. 46), è stato mostrato che il sole del cielo angelico, che procede
dal Signore, e in cui è il Signore, è questa unica sostanza e forma, da cui derivano tutte le
cose che sono state create; e che non esiste nulla, né può esistere nulla, che non provenga
da quel sole. Nella terza parte del medesimo trattato ho mostrato che ogni cosa deriva da
questa origine, per gradi.
[3] Chi mai, usando la ragione, non può percepire e riconoscere che vi è un'unica
essenza, da cui deriva ogni essenza, o un unico Essere, da cui proviene ogni essere? Cosa
mai può esistere senza essere? E che cos’è l'essere da cui deriva ogni essere, se non l’Essere
stesso? Quello è l'unico Essere, l'Essere in Sé. Poiché è così — ed ognuno in virtù della
ragione lo percepisce e lo riconosce, o almeno lo può percepire e riconoscere — che
cos’altro ne consegue, se non se che questo Essere, che è lo stesso Divino, cioè Jehovah, è
tutto di tutte le cose che sono ed esistono?
[4] Ciò è come dire che vi è una sostanza unica, da cui provengono tutte le sostanze; e
siccome una sostanza senza una forma non è niente, ne consegue che vi è una forma unica,
da cui provengono tutte le forme. Che il sole del cielo angelico sia questa unica sostanza e
forma, e come questa essenza, sostanza e forma si manifestino variamente nelle cose
create, è stato mostrato nel trattato sopra citato.
[5] Questa unica essenza, sostanza e forma è il Divino Amore e la Divina Sapienza, da
cui derivano tutte le cose che nell'uomo si riferiscono all’amore e alla sapienza. Anche
questo è stato pienamente mostrato in Divino Amore e Divina Sapienza. Tutte le cose che
sembrano vivere nell'uomo, si riferiscono alla volontà e all'intelletto in lui; ed ognuno, in
virtù della ragione, percepisce e riconosce che queste due facoltà costituiscono la vita
dell'uomo. In che altro consiste la vita se non in questo: io voglio questo o comprendo
questo, ovvero amo questo o penso questo? E poiché l'uomo vuole ciò che ama, e pensa
quel che comprende, perciò tutte le cose della volontà si riferiscono all'amore, a tutte
quelle dell'intelletto alla sapienza; e dato che l'amore e la sapienza non possono esistere in
nessun uomo per virtù propria, ma possono provenire solo da colui che è l’Amore stesso e
la Sapienza stessa, ne consegue che ciò deriva dal Signore ab aeterno, ovvero da Jehovah. Se
così non fosse, l'uomo sarebbe l’amore in sé e la sapienza in sé, di conseguenza Dio ab
aeterno, cosa che la stessa ragione umana rifiuta con orrore. Può forse esistere qualcosa se
non da ciò che è anteriore? E può forse esistere quest’ultimo se non da ciò che è ancora
anteriore, e così di seguito fino ad una causa prima, che esiste in Sé?
[6] Così pure vi è un Bene in sé ed una Verità in sé, su cui si fondano tutte le cose. Ogni
uomo dotato di ragione accetta e ammette il fatto che Dio è il Bene in sé e la Verità in sé, e
che ogni bene ed ogni verità derivano da Lui. Di conseguenza, nessun bene e nessuna
verità possono derivare che dal Bene in sé e dalla Verità in sé. Non appena udite, queste
proposizioni vengono riconosciute come vere da ogni uomo razionale. Quando poi si dice
che tutto ciò che riguarda la volontà e l'intelletto, o l'amore e la sapienza, o l'affezione e il
pensiero nell'uomo che è guidato dal Signore, si riferisce al bene e alla verità, ne consegue
che tutto ciò che l’uomo vuole e intende, o che ama e conosce, o da cui è affetto e che
pensa, deriva dal Signore. Quindi nella chiesa ognuno sa che ogni bene ed ogni verità
provenienti dall'uomo non sono il bene e il vero in sé, ma solamente quello che viene dal
Signore. Poiché queste cose sono la verità, ne consegue che tutto ciò che un tale uomo
vuole e pensa deriva dal Signore. Che perfino i pensieri e le volizioni di un uomo
malvagio non possano avere un'altra origine, si vedrà in seguito (nn. 285–294).
[7] Che questo bene e questa verità siano la vita, da cui deriva la vita di ogni cosa e di
ogni aspetto della vita, è stato ampiamente mostrato in Divino Amore e Divina Sapienza.
Non appena la ragione umana ode questa verità, riconosce che tutta la vita dell'uomo
appartiene alla sua volontà ed al suo intelletto. Se si eliminano la volontà e l'intelletto,
l'uomo non vive; tutta la vita dell'uomo appartiene all'amore ed al pensiero di esso, perché
se gli si tolgono l'amore e il pensiero, egli non ha vita. Il Signore è l’unica fonte di tutto ciò
che in noi ha a che vedere con la volontà e con l’intelletto, o con l'amore e il pensiero; ne
consegue che tutta la nostra vita deriva da lui.
[8] Che questa singola, essenziale realtà è onnipresente, onnisciente e onnipotente, è
riconosciuto da ogni cristiano in base alla sua dottrina, e da ogni noncristiano in base alla
sua religione. Perciò ognuno, ovunque sia, pensa che Dio sia dove egli si trova, e prega
Dio come se fosse presente; e poiché ognuno pensa e prega in tal modo, ne consegue che
non si può pensare altrimenti se non che Dio è ovunque, e di conseguenza onnipresente; e
che del pari egli è onnisciente e onnipotente. Perciò ogni uomo che prega Dio, lo supplica
con tutto il suo cuore di guidarlo, perché egli ne è capace. Così ognuno riconosce allora la
Divina onnipresenza, onniscienza e onnipotenza; la riconosce perché allora egli si rivolge
al Signore, da cui fluisce questa verità.
[9] Questa realtà unica ed essenziale è il Signore ab aeterno o Jehovah. In Dottrina della
Nuova Gerusalemme sul Signore ho mostrato che Dio è uno in essenza ed in persona; e che
questo Dio è il Signore. Ho mostrato altresì che lo stesso Divino, che si chiama Jehovah
Padre, è il Signore ab aeterno; che il Figlio concepito dal Divino fin dall’eternità, e nato in
questo mondo, è il Divino Umano; e che il Divino che da se stesso procede è lo Spirito
Santo. Questa realtà è chiamata “unica” ed “essenziale” perché si è detto precedentemente
che il Signore ab aeterno o Jehovah è la vita in sé, l’amore in sé e la sapienza in sé, o il bene
in sé e la verità in sé, origine di tutte le cose. Che il Signore abbia creato ogni cosa da se
stesso e non dal nulla, è dimostrato in Divino Amore e Divina Sapienza, nn. 282284 e nn.
349357. Le considerazioni fin qui esposte possono servire da prova razionale della verità
che l'uomo è guidato e istruito unicamente dal Signore.
158. Questa stessa verità è dimostrata presso gli angeli non solo con argomenti razionali,
ma anche tramite percezioni dirette, soprattutto presso gli angeli del terzo cielo. Questi
percepiscono l'influsso del Divino Amore e della Divina Sapienza procedenti dal Signore;
e poiché lo percepiscono, e grazie alla loro sapienza, sanno che l'amore e la sapienza sono
la vita. Perciò essi dicono che la loro vita proviene dal Signore, e non da se stessi; e non
solamente lo dicono ma desiderano e vogliono che sia così. Nonostante ciò sembra che
vivano da se stessi, anzi più degli altri angeli, poiché come è stato già mostrato (dal n. 42 al
n. 45), quanto più ci si congiunge al Signore, tanto più sembra di appartenere a se stessi, e
tanto più chiaramente ci si accorge di appartenere al Signore. Da molti anni, ormai, mi è
stato concesso di trovarmi in una simile percezione e in una simile apparenza: perciò mi
sono pienamente convinto che io non voglio né penso nulla da me stesso, pur sembrando
che ciò avvenga come da me stesso. Mi è stato inoltre concesso di volere e di amare questa
mia condizione. Ciò si potrebbe confermare con molti altri esempi del mondo spirituale;
ma ciò che è stato esposto per ora è sufficiente.
159. I seguenti passi della Parola dimostrano che la vita appartiene esclusivamente al
Signore:
Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, benché sia morto, vivrà (Giovanni 10:25)
Io sono la via, la verità e la vita (Giovanni. 15:6)
Dio era il Verbo, in esso era la vita, e la vita era la luce degli uomini (Giovanni 1:14)
Il Verbo in questo passo è il Signore.
Come il Padre ha la vita in se stesso, cosi ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso »
(Giovanni 5:26)
Che l'uomo sia guidato ed istruito solo dal Signore è evidente da questi passi:
Senza di me non potete far nulla (Giovanni 15:5)
L'uomo non può avere cosa alcuna se non gli è data dal cielo (Giovanni 3:27)
L'uomo non può fare bianco o nero neppure un capello (Matteo 5:36)
Per capello, nella Parola, si indica il minimo di qualsiasi cosa.
160. Che la vita dei malvagi abbia la stessa origine sarà mostrato in seguito (nn. 285–294).
Ora l’esame di questo soggetto sarà circoscritto all’esposizione per comparazioni. Dal sole
del mondo fluiscono il calore e la luce, sia negli alberi che portano frutti cattivi, sia negli
alberi che portano frutti buoni; eppure tutti questi alberi vegetano e crescono nella stessa
maniera. La diversità è prodotta dalle forme nelle quali fluisce il calore, non dal calore in
sé. Lo stesso vale per la luce, che si diversifica in vari colori a seconda delle forme in cui
fluisce. Vi sono colori belli e allegri, e vi sono colori brutti e tristi; nondimeno la luce è la
stessa. Lo stesso vale per il calore spirituale, che in sé è l'amore, e della luce spirituale, che
in sé è la sapienza, entrambi procedenti dal sole del mondo spirituale. Le forme nelle quali
essi fluiscono fanno la diversità, non il calore, che in sé è amore, né la luce, che in sé è
sapienza. Le forme in cui essi fluiscono sono le menti umane. Ciò dimostra che l'uomo è
guidato ed istruito soltanto dal Signore.
161. È stato mostrato più sopra (n. 16, n. 96) che cos’è la vita degli animali: una vita di
impulsi puramente fisici, accompagnati da una conoscenza adatta a loro. Questa vita
giunge agli animali in modo indiretto, corrispondente alla vita di quelli che sono nel
mondo spirituale.
162. II. L'uomo è guidato ed istruito dal Signore solo, per mezzo del cielo angelico, e da questo
cielo. Si dice che l'uomo è guidato ed istruito solo dal Signore per mezzo del cielo angelico,
e da quel cielo. Tuttavia, l’espressione “per mezzo del cielo angelico” è secondo
l'apparenza; ma “da quel cielo” è secondo la verità. “Per mezzo del cielo angelico” è
un'apparenza, perché il Signore appare come il sole al di sopra di questo cielo; “da quel
cielo” è la verità, perché il Signore si trova in quel cielo come l'anima nell'uomo. Come ho
già mostrato il Signore è onnipresente, e non è nello spazio. Perciò la distanza è
un'apparenza, che varia secondo la congiunzione con lui, e la congiunzione varia secondo
la ricezione dell'amore e della sapienza, che procedono da lui. Dato che nessuno si può
congiungere al Signore come è egli stesso in sé, il Signore appare agli angeli in lontananza,
come il sole. Ciò nondimeno, egli è in tutto il cielo angelico come l’anima è nell'uomo, e
nello stesso modo in ciascuna comunità del cielo, così come in ciascun angelo di ciascuna
comunità: l'anima dell'uomo, infatti, non lo pervade solo nella sua interezza, ma anche in
ciascuna parte.
[2] Tuttavia, poiché in apparenza il Signore governa tutto il cielo, e per mezzo di esso il
mondo, dal sole che procede da lui, e dove è egli stesso (intorno a questo sole si veda in
Divino Amore e Divina Sapienza, seconda parte), e poiché è concesso ad ogni uomo di
parlare secondo le apparenze, né potrebbe essere altrimenti, chiunque non possiede la
vera sapienza può legittimamente pensare che il Signore governi tutte le cose, e ciascuna
di esse, dal suo sole; ed anche che egli governi il mondo per mezzo del cielo angelico.
Anche gli angeli dei cieli inferiori pensano in base a questa apparenza; ma gli angeli dei
cieli superiori parlano, è vero, secondo l'apparenza, ma pensano secondo la verità, cioè che
il Signore governa l'universo dal cielo angelico, che promana da se stesso. Che i semplici e
i saggi parlino, ma non pensino, nello stesso modo, si può spiegare prendendo come
esempio il sole del mondo naturale. Tutti parlano di questo sole secondo l'apparenza,
dicendo che sorge e tramonta; ma i saggi, sebbene parlino nello stesso modo, pensano che
il sole sia immobile. Questa infatti è la verità, e quella l'apparenza. Posso anche portare ad
esempio il modo in cui le cose appaiono nel mondo spirituale. Là infatti vi sono spazi e
distanze, come nel mondo naturale; nonostante ciò essi sono apparenze che riflettono la
diversità delle affezioni, e quindi dei pensieri. La stessa cosa vale per l’apparenza del
Signore nel suo sole.
163. Si dirà ora, in poche parole, come dal cielo angelico il Signore guidi ed istruisca ogni
uomo. In Divino Amore e Divina Sapienza, più sopra in questo stesso trattato sulla Divina
Provvidenza, nonché in Cielo e inferno, pubblicato a Londra nel 1758, ho reso noto, secondo
ciò che ho veduto e udito, che tutto il cielo angelico appare davanti al Signore come un sol
uomo, e che lo stesso vale per ciascuna comunità del cielo. Da ciò risulta che ogni angelo e
spirito è uomo in una forma perfetta. Ho mostrato inoltre, nei suddetti trattati, che il cielo
non è il cielo in virtù del proprium degli angeli, ma in virtù della ricezione da parte degli
angeli del Divino amore e della Divina sapienza del Signore. Si può quindi comprendere
che il Signore governa tutto quanto il cielo angelico come un sol uomo; che questo cielo,
essendo in sé uomo, è la stessa immagine e somiglianza del Signore; che il Signore governa
questo cielo come l'anima governa il proprio corpo; e che, siccome tutto il genere umano è
governato dal Signore, esso non è governato per mezzo del cielo, ma dal cielo in virtù del
Signore, e di conseguenza da lui medesimo, poiché come si è già detto egli stesso è il
cielo.
164. Ma poiché questo è un arcano della sapienza angelica, non può essere compreso
fuorché dall'uomo la cui mente spirituale è aperta, poiché questi, in virtù della
congiunzione col Signore, è un angelo, da quel che si è detto può comprendere anche ciò
che segue:
1° Tutti, tanto gli uomini quanto gli angeli, sono nel Signore, ed il Signore è in loro,
secondo la congiunzione con lui, o il che è lo stesso, secondo la ricezione dell'amore e della
sapienza che da lui procedono.
2° Ad ognuno di essi è assegnato un posto nel Signore – vale a dire nel cielo secondo la
qualità della suddetta congiunzione, o della suddetta ricezione del Signore.
3° Ognuno nel suo luogo ha uno stato distinto dallo stato degli altri, e riceve dalla
comunità i suoi mezzi di sussistenza secondo la sua condizione, la sua funzione e il suo
bisogno, come accade per ciascuna parte del corpo umano.
4° Ogni uomo viene condotto nel suo luogo dal Signore, a seconda di come è stata la sua
vita.
5° Ogni uomo, fin dall'infanzia, è introdotto in quell’essere Divino Umano la cui anima e la
cui vita è il Signore; ed è guidato ed istruito dal suo Divino Amore secondo la sua Divina
Sapienza, in esso e non fuori di esso. Comunque, poiché l’uomo non viene privato della
sua libertà, egli può essere guidato ed istruito soltanto nei limiti della sua attitudine a
ricevere amore e sapienza, come da se stesso.
6° Coloro che accettano il Divino Amore e la Divina Sapienza sono condotti ai loro luoghi
attraverso infinite strade labirintiche, piene di giravolte, come il cibo che, attraverso
l’apparato digerente giunge nel sangue, e infine in ogni sua sede.
7° Coloro che non ricevono il Divino amore e la Divina sapienza si separano da coloro che
sono nel Divino Umano, come le feci e l'urina si separano dall'uomo. Questi sono gli arcani
della sapienza angelica che l’uomo, fino ad un certo punto, può comprendere; ma ve ne
sono molti di più che non si possono comprendere.
165. III. L'uomo è guidato dal Signore mediante un influsso, ed istruito per mezzo di
un’illuminazione. L'uomo è guidato dal Signore per mezzo di un influsso, perché sia essere
guidati, sia ricevere l’influsso, sono connessi al nostro amore ad alla nostra volontà. E
l’uomo è istruito dal Signore mediante l’illuminazione, perché essere istruiti ed essere
illuminati è connesso alla sapienza e all'intelletto. È noto che ogni uomo guida se stesso
secondo il suo amore, secondo il suo discernimento, e permette agli altri di guidarlo solo
nella misura in cui questo amore lo permette. Egli può essere condotto dall'intelletto, e
secondo l'intelletto, solamente quando l’amore della sua volontà lo permette; e, quando ciò
accade, si potrebbe dire che è l'intelletto a guidarlo, mentre in realtà non è condotto
dall’intelletto, bensì dalla volontà, da cui deriva l'intelletto. Si dice “influsso” perché
l'anima fluisce nel corpo; e l'influsso è spirituale e non fisico. Come si è mostrato più sopra,
l’anima o la vita dell'uomo è il suo amore o la sua volontà. Si usa il termine “influsso”
ancora perché esso si può paragonare all’influsso del sangue nel cuore, e dal cuore nei
polmoni. Che vi sia corrispondenza del cuore con la volontà, e dei polmoni con l'intelletto,
e che la congiunzione della volontà con l'intelletto sia come l'influsso del sangue dal cuore
nei polmoni, è stato mostrato in Divino Amore e Divina Sapienza, dal n. 371 al n. 432.
166. L'uomo è istruito per mezzo dell'illuminazione perché l’istruzione e l’illuminazione
fanno riferimento all’intelletto. Perché l'intelletto, che è la vista interna dell’uomo, è
illuminato dalla luce spirituale nello stesso modo in cui l'occhio, ovvero la vista esterna
dell'uomo, è illuminata dalla luce naturale. C’è un’analogia nell’apprendimento di queste
due facoltà; ma la vista interna, che appartiene all’intelletto, viene istruita dagli oggetti
spirituali, e la vista esterna, che è dell'occhio, dagli oggetti naturali. Vi è una luce spirituale
ed una luce naturale, entrambe simili quanto all'apparenza esterna, ma differenti quanto
all'apparenza interna, poiché la luce naturale emana dal sole del mondo naturale, e quindi
in sé è morta; ma la luce spirituale procede dal sole del mondo spirituale, e quindi è viva
in se stessa. È questa luce, e non la luce naturale, ad illuminare l’intelletto umano; il lume
naturale e razionale non deriva da quest’ultima luce, ma da quell’altra. Si chiama lume
naturale e razionale, perché è spiritualenaturale.
[2] Vi sono tre gradi di luce nel mondo spirituale: la luce celeste, la luce spirituale, e la
luce spiritualenaturale. Coloro che sono nel terzo cielo hanno la luce celeste, che è una
luce simile a quella di una fiamma sfavillante; coloro che sono nel cielo medio hanno la
luce spirituale, che è una luce chiara e risplendente; la luce spiritualenaturale è come la
luce del giorno nel nostro mondo. È la luce di quelli che sono nel cielo più basso, così come
di quelli che dimorano nel mondo degli spiriti, che è fra il cielo e l'inferno. In quest’ultimo
mondo tale luce è nei buoni come la luce d'estate, e nei cattivi come la luce d'inverno sulla
terra.
[3] Qualsiasi luce del mondo spirituale, in ogni caso, non ha nulla in comune con la luce
del mondo naturale: esse differiscono fra loro come la vita e la morte. È dunque evidente
che la luce naturale, come appare ai nostri occhi, non illumina l'intelletto, che è illuminato
dalla luce spirituale. L'uomo ignora queste cose, perché fino qui non aveva saputo nulla
della luce spirituale. Che la luce spirituale sia nella sua origine la Divina Sapienza o la
Divina Verità , è stato mostrato in Cielo e inferno, dal n. 126 al n. 140.
167. Giacché si è parlato della luce del cielo (n. 166), bisognerà dire anche qualche cosa
della luce dell'inferno. Anche la luce dell'inferno ha tre gradi: la luce dell'inferno più basso
è come la luce dei carboni ardenti; la luce dell'inferno medio è come la luce di una fiamma
di focolare; e la luce dell'inferno più alto è come la luce delle candele, e per alcuni come la
luce notturna della luna. Queste luci non sono naturali, ma sono spirituali, poiché ogni
luce naturale è morta ed estingue l'intelletto, e coloro che sono nell'inferno hanno la facoltà
di comprendere, che si chiama razionalità, come si è mostrato più sopra. La razionalità
deriva dalla luce spirituale, non dalla luce naturale; ma la luce spirituale che gli abitanti
dell’inferno possiedono in virtù della razionalità si trasforma in luce infernale, come la
luce del giorno nelle tenebre della notte. Comunque, tutti coloro che sono nel mondo
spirituale, tanto quelli che sono nei cieli, quanto quelli che sono negli inferni, vedono nella
loro luce così chiaramente come l'uomo durante il giorno vede nella sua luce. Ciò perché la
vista si adatta alla ricezione della luce dell’ambiente in cui si trova. Così avviene per la
vista degli angeli del cielo, riguardo alla ricezione della luce nella quale essi si trovano, e
per la vista degli spiriti dell'inferno riguardo alla ricezione della luce in cui si trovano.
Quest’ultima si potrebbe paragonare alla vista dei gufi e dei pipistrelli, i quali di notte e di
sera vedono gli oggetti chiaramente come tutti gli altri uccelli li vedono di giorno: i loro
occhi sono fatti per ricevere la luce loro propria. Ma la differenza fra queste luci appare
chiaramente a coloro che, fatti per guardare in un tipo di luce, guardano in un’altra; così,
quando un angelo del cielo guarda nell'inferno, egli non vede che una profonda oscurità; e
quando uno spirito dell'inferno guarda nel cielo, egli non vede altro che tenebre. Ciò
deriva dal fatto che la sapienza celeste è come oscurità per quelli che sono nell'inferno, e
viceversa la follia infernale è oscurità per coloro che sono nel cielo. Da ciò risulta evidente
che la luce di ogni uomo è analoga al suo intelletto, e che dopo la morte ognuno viene
nella sua luce, poiché non riuscirebbe a vedere in un'altra luce. Nel mondo spirituale, dove
tutti sono spirituali anche in relazione al corpo, gli occhi di ognuno sono formati per
vedere in virtù della luce che è loro propria. L'amore della vita di ciascuno forma un
intelletto ad esso conforme, e di conseguenza anche una luce; infatti l'amore è come il
fuoco della vita, da cui emana la luce della vita.
168. Siccome pochi hanno una qualche idea dell’illuminazione, in cui si trova l'intelletto
dell'uomo che è istruito dal Signore, se ne fare un breve cenno. Da parte del Signore vi è
un’illuminazione interiore ed un’illuminazione esteriore, e vi è anche un’illuminazione
interiore ed un’illuminazione esteriore da parte dell'uomo stesso. L’illuminazione interiore
da parte del Signore consiste nella capacità dell’uomo di comprendere se una cosa è vera o
falsa non appena la sente pronunciare; l’illuminazione esteriore si manifesta di
conseguenza nel suo pensiero. L’illuminazione interiore da parte dell'uomo deriva solo
dalle sue convinzioni, e l’illuminazione esteriore dall'uomo deriva dalle cognizioni di cui è
in possesso. Ma è opportuno aggiungere qualcosa a proposito di ciascuno di questi tipi di
illuminazione.
[2] L' uomo razionale, in virtù dell'illuminazione interiore da parte del Signore
percepisce subito se una cosa è vera o falsa non appena la ode; egli sa, ad esempio, che
l'amore è la vita della fede, o che la fede riceve la sua vita dall'amore. Chi è interiormente
illuminato percepisce anche che l'uomo vuole tutto ciò che ama, e mette in atto tutto ciò
che vuole; quindi amare significa agire. Egli comprende anche che tutto ciò che l'uomo
crede a causa del suo amore, lo vuole e lo fa; quindi anche credere è agire. L’uomo
illuminato comprende anche che l'empio non può amare Dio, né di conseguenza aver fede
in Dio. In conseguenza dell'illuminazione interiore l'uomo razionale percepisce anche, non
appena le ode, queste verità: Dio è uno; è onnipresente; ogni bene deriva da lui, e tutte le
cose derivano dal bene e dal vero; ogni bene deriva dal Bene in sé, ed ogni verità dalla
Verità in sé. Queste ed altre simili verità l'uomo le percepisce interiormente in sé quando
le ode. Le percepisce perché è dotato di razionalità, e vi è una luce nel cielo che la illumina.
[4] Ma l'illuminazione interiore da parte dell'uomo stesso è del tutto diversa. Sotto
questa luce, l'uomo vede le cose da un lato ma non le vede dall'altro; e, quando decide,
egli vede le cose in una luce in apparenza simile a quella di cui ho parlato, ma è come una
luce invernale. Si prendano ad esempio quei giudici che in seguito a regalie e per amore
del profitto giudicano ingiustamente. Dopo aver confermato dentro di sé il loro giudizio
con le leggi e con vari ragionamenti, essi si ritengono nel giusto. Alcuni si accorgono di
agire ingiustamente, ma poiché non lo vogliono vedere, essi chiudono gli occhi e si
accecano, e finiscono per non vedere più l’ingiustizia. Lo stesso si può dire dei giudici che
per amicizia, per ottenere favori, e per agire a vantaggio della propria famiglia,
pronunziano dei giudizi. Simili a loro sono quelli che accettano tutto ciò che esce dalla
bocca di un uomo autorevole o famoso, o tutto ciò che essi stessi hanno costruito con la
loro intelligenza: questi sono intelletti ciechi, poiché la loro vista deriva dalle falsità che
essi confermano; ma la falsità chiude la vista, e la verità la apre.
[5] Uomini siffatti non vedono alcuna verità in virtù della luce del vero, né alcuna cosa
giusta in virtù dell'amore del giusto. Essi vedono in virtù della luce delle loro convinzioni,
che è una luce chimerica. Nel mondo spirituale essi appaiono come facce senza testa, o
come facce simili a facce umane, dietro le quali vi sono teste di legno; e si chiamano bestie
razionali, perché possiedono una razionalità in potenza. L'illuminazione esteriore da parte
dell'uomo, poi, è propria di coloro che pensano e parlano solo in virtù delle cognizioni
impresse nella loro memoria. Questi hanno scarse capacità di giungere da soli a qualsiasi
genere di conclusione.
169. Queste sono le varietà dell'illuminazione, e della percezione e del pensiero che essa
produce. Vi è una reale illuminazione in virtù della luce spirituale, ma l’illuminazione in
virtù di questa luce non si manifesta a nessuno nel mondo naturale, perché la luce naturale
non ha nulla in comune con la luce spirituale; nondimeno, questa illuminazione mi è
qualche volta apparsa nel mondo spirituale. L'ho vista, in coloro che erano illuminati dal
Signore, come qualcosa di luminoso intorno alla testa, col colore brillante del volto umano.
Ma in coloro che erano illuminati da se stessi, quella luminosità mi apparve non intorno
alla testa, ma intorno alla bocca e sopra il mento.
170. Oltre queste illuminazioni vi è ancora un'altra illuminazione per la quale si rivela ad
un uomo in quale fede, in quale intelligenza ed in quale sapienza egli si trova. Questa
illuminazione è tale che egli stesso giunge a percepire in sé tutto ciò. Viene dunque inviato
in una comunità dove c'è una fede genuina, una vera intelligenza ed una vera sapienza.
Qui si apre la sua razionalità interiore, dalla quale vede la sua fede, la sua intelligenza e
sapienza, quali esse sono, e quale tipo di persona egli è in realtà. Ne ho visti alcuni che
tornavano da tali visite, e li ho uditi confessare che in loro non vi era stata alcuna fede,
benché nel mondo avessero creduto di possedere una grande fede, più esemplare di quella
degli altri; e lo stesso valeva per loro intelligenza e sapienza. Questi erano coloro che
avevano professato la dottrina della sola fede, senza la carità, ed avevano vissuto
ammirando la propria intelligenza.
171. IV. L'uomo è istruito dal Signore mediante la Parola, la dottrina e le prediche desunte dalla
Parola, dunque direttamente dal Signore solo. Più sopra (dal n. 155 al n. 164) è stato mostrato
che l'uomo è guidato ed istruito solo dal Signore, e che ciò avviene dal cielo, non tramite il
cielo o qualche angelo del cielo. Poiché l’uomo è guidato solo dal Signore, ne consegue che
egli viene guidato direttamente e non indirettamente. Si dirà ora in che modo ciò avvenga.
172. In Dottrina della Nuova Gerusalemme sulla Sacra Scrittura è stato spiegato che il
Signore è la Parola, e che ogni dottrina della chiesa deve essere desunta dalla Parola.
Poiché il Signore è la Parola, ne consegue che l'uomo che è istruito dalla Parola è istruito
solo dal Signore. Ma poiché ciò è difficile da comprendere, deve essere spiegato nel
seguente ordine:
1° Il Signore è la Parola, perché la Parola procede da lui e tratta di lui.
2° Il Signore è la Parola anche perché essa è la Divina verità del Divino bene.
3° Così essere istruito dalla Parola significa essere istruito dal Signore.
4° Ciò avviene mediatamente tramite le prediche; il che non toglie che ciò avvenga, in
realtà, in modo diretto.
[2] Il Signore è la Parola, perché essa procede da lui e tratta di lui. Nessuno nella chiesa nega
che la Parola proceda dal Signore; ma che la Parola tratti solo del Signore non viene
negato, è vero, eppure nessuno lo sa. Ciò è stato mostrato in Dottrina della Nuova
Gerusalemme sul Signore, dal n. 1 al n. 7, e dal n. 37 al n. 44; e in Dottrina della Nuova
Gerusalemme sulla Sacra Scrittura, dal n. 62 al n. 69 ; dal n. 80 al n. 90 ; e dal n. 98 al n. 100.
Poiché la Parola procede solo dal Signore e tratta solo del Signore, ne consegue che
quando l'uomo è istruito dalla Parola, egli è istruito dal Signore, perché la Parola è Divina;
e chi può comunicare il Divino ed introdurlo nei cuori, se non lo stesso Divino, da cui la
Parola deriva e di cui tratta? Perciò dice il Signore, là dove parla della sua congiunzione
coi discepoli: che essi dimorino in lui, e le sue parole in essi (Giovanni 15:7); che le sue parole
sono spirito e vita (Giovanni 6:63); che egli dimora presso coloro che osservano le sue parole
(Giovanni 15:2024). Perciò pensare in virtù del Signore significa pensare in virtù della
Parola, per il solo tramite della Parola. Che tutto ciò che appartiene alla Parola sia in
comunicazione col cielo, è stato mostrato in Dottrina della Nuova Gerusalemme sulla Sacra
Scrittura, dal principio alla fine del trattato; e siccome il Signore è il cielo, si intende che
tutto ciò che concerne la Parola è in comunicazione col Signore medesimo. Gli angeli del
cielo comunicano senza dubbio col cielo, ma anche questo è dal Signore.
[3] Il Signore è la Parola anche perché essa è la Divina verità del Divino bene. Che il Signore sia
la Parola, egli stesso lo insegna nel Vangelo di Giovanni in questi termini:
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e Dio era il Verbo; e il Verbo si è fatto carne,
ed è venuto ad abitare tra noi (Giovanni 1:114)
Siccome questo passo finora è stato compreso solo nel senso che Dio istruisce l'uomo per
mezzo della Parola, è stato spiegato supponendo che si tratti di un’iperbole, col sottinteso
che il Signore non sia realmente la Parola. Ciò deriva dal fatto che non viene compreso che
per “Verbo” si intende la Divina verità del Divino bene, ovvero ciò che è lo stesso la
Divina Sapienza del Divino Amore. Che questa verità e questa sapienza siano il Signore
stesso, è stato mostrato in Divino Amore e Divina Sapienza, prima parte del trattato. Che esse
siano la Parola, è stato mostrato in Dottrina della Nuova Gerusalemme sulla Sacra Scrittura,
dal n. 1 al n. 86.
[5] Essere istruito dalla Parola significa essere istruito dal Signore, perché significa essere
istruiti dal bene stesso e dalla verità stessa, o dall’Amore stesso e dalla Sapienza stessa, che
sono la Parola, come si è detto; ma ciascuno viene istruito secondo l'intelletto del suo
amore. Tutto quanto è al di là di ciò è transitorio. Tutti quelli che sono istruiti dal Signore
nella Parola, sono istruiti in poche verità nel mondo, ma in molte verità quando divengono
angeli. I livelli interiori della Parola, che sono i contenuti Divini spirituali e celesti, si
innestano in pari tempo nell’uomo; ma si aprono in lui nel cielo solo dopo la sua morte,
dove l’uomo viene a trovarsi nella sapienza angelica, che paragonata alla sua precedente
sapienza umana è ineffabile. Come si legge in Dottrina della Nuova Gerusalemme sulla Sacra
Scrittura, dal n. 5 al n. 26, i contenuti Divini spirituali e celesti, che costituiscono la
sapienza angelica, si trovano in tutta la Parola, in ogni suo dettaglio.
[6] L’istruzione avviene mediatamente tramite le prediche; il che non toglie che ciò avvenga, in
realtà, in modo diretto. La Parola può essere insegnata solo indirettamente da parenti,
maestri, predicatori, dai libri, e principalmente grazie alla sua lettura; nondimeno, essa
non è insegnata da questi, bensì dal Signore per loro tramite. Tale insegnamento è
conforme anche alla conoscenza dei predicatori, che affermano di non parlare da se stessi,
ma in virtù dello Spirito di Dio, e che ogni verità, così come ogni bene, proviene da Dio.
Essi possono in verità parlare, e far penetrare le loro parole nell'intelletto di molti, ma non
nel loro cuore; e quel che non è nel cuore perisce nell'intelletto. Per “cuore” si intende
l'amore dell'uomo. Da queste considerazioni si può comprendere che l'uomo è guidato ed
istruito soltanto dal Signore; e che ciò avviene immediatamente da lui, quando l’uomo
viene istruito dalla Parola. Questo è l'arcano degli arcani della sapienza angelica.
173. In Dottrina della Nuova Gerusalemme sulla Sacra Scrittura, dal n. 104 al n. 113, è stato
mostrato che tramite la Parola ricevono una luce anche coloro che sono fuori della chiesa e
non hanno la Parola. E dato che l'uomo riceve la luce grazie alla Parola, e da questa luce
egli ottiene l’intelletto, e questo intelletto è concesso tanto ai cattivi quanto ai buoni, ne
consegue che dalla sua fonte la luce giunge in quelle forme derivate che sono le nostre
percezioni ed i nostri pensieri intorno a qualsiasi soggetto. Il Signore dice che senza di Lui
non possiamo fare nulla (Giovanni 15:5), che l'uomo non può ricevere niente se non gli è dato dal
cielo (Giovanni 3:27) e che il Padre, che è nei cieli, fa levare il sole sopra i cattivi e i buoni, e fa
piovere sui giusti e sugli ingiusti (Matteo 5:45). Per “sole” si intende qui, come altrove nella
Parola, nel suo senso spirituale, il Divino bene del Divino amore, e per la pioggia la Divina
verità della Divina sapienza. L'uno e l'altra vengono concessi ai cattivi ed ai buoni, ai
giusti ed agli ingiusti, poiché se così non fosse, nessuno avrebbe percezione e pensiero. È
stato mostrato più sopra (n. 157) che vi è una sola vita, da cui deriva la vita di tutti. La
percezione e il pensiero sono funzioni della vita; dunque la percezione e il pensiero
provengono dalla medesima sorgente da cui procede la vita. È stato già ampiamente
mostrato che ogni luce che costituisce l’'intelletto emana dal sole del mondo spirituale, che
è il Signore.
174. V. Esteriormente, l'uomo è guidato ed istruito dal Signore apparentemente come da se
stesso. Ciò avviene esteriormente, e non interiormente. Nessuno sa come il Signore guidi
ed istruisca l'uomo nella sua interiorità, né in qual modo l’anima agisca in modo che
l'occhio veda, l'orecchio oda, la lingua e la bocca parlino, il cuore muova il sangue, i
polmoni respirino, lo stomaco digerisca, il fegato ed il pancreas regolino, i reni creino
separazione, e si compiano le altre innumerevoli funzioni. L’uomo non percepisce né ha
sensazione alcuna di queste cose; lo stesso avviene di quelle che il Signore opera nelle
sostanze e nelle forme interiori della mente, che sono infinitamente più numerose. Le
operazioni del Signore in queste sostanze e forme non si manifestano all'uomo, ma si
manifestano gli effetti, che sono molti, ed anche alcune cause di tali effetti. Questi effetti
sono gli eventi esteriori in cui l'uomo è uno col Signore; e poiché ciò che è esteriore è una
stessa cosa con ciò che è interiore, in quanto entrambi sono connessi in un’unica serie, il
Signore può mettere ordine nell’uomo interiormente solo nella misura in cui l’uomo, con
le sue forze, mette ordine in sé, esteriormente.
[2] Ognuno sa che l'uomo pensa, vuole, parla ed agisce apparentemente come da se
stesso; ed ognuno può rendersi conto che senza questa apparenza l'uomo non avrebbe
alcuna volontà ed alcun intelletto, alcuna affezione ed alcun pensiero, ed anche alcuna
capacità di ricevere il bene ed il vero che procedono dal Signore. Ne consegue che senza
questa apparenza non vi sarebbe alcuna conoscenza di Dio, alcuna carità, alcuna fede, e
quindi alcuna riforma e rigenerazione, e di conseguenza alcuna salvezza. Per cui è
evidente che questa apparenza è data all'uomo dal Signore per tutte queste funzioni, e
principalmente affinché vi sia per lui qualcosa di ricettivo e di reciproco, grazie a cui il
Signore si possa congiungere all'uomo, e l'uomo al Signore, e per mezzo di questa
congiunzione l'uomo possa vivere eternamente. Questa è l'apparenza che qui s’intende.
IX
È una legge della Divina Provvidenza che l’uomo non percepisca né senta
nulla dell’operazione della Divina Provvidenza, e nondimeno, la conosca e
la riconosca
175. L'uomo naturale, che non crede alla Divina Provvidenza, pensa fra sé : «Che cos’è la
Divina Provvidenza, se i malvagi ottengono onori e ricchezze più dei buoni, e se coloro
che non credono alla Divina Provvidenza hanno più fortuna di quelli che vi credono; ed
anzi gli infedeli e gli empi, con astuzie e malizie, possono recare oltraggi, danni e sventure,
e talvolta la morte ai fedeli ed ai pii?» E di conseguenza egli pensa: «L’esperienza stessa
non mostra forse chiaramente che le macchinazioni dolose, purché l'uomo con ingegnosa
accortezza possa fare in modo che sembrino azioni leali e giuste, prevalgono sulla fedeltà e
la giustizia? Che cosa è tutto il resto se non necessità, conseguenze e casi fortuiti, in cui
nulla si manifesta della Divina Provvidenza? Le necessità non appartengono forse alla
natura? Le conseguenze non sono forse cause che derivano dall'ordine naturale o civile? E
i casi fortuiti non provengono forse da cause che si ignorano, o da nessuna causa?» Così
pensa in se stesso l'uomo naturale, che nulla attribuisce a Dio ma attribuisce ogni cosa alla
natura; poiché colui che non attribuisce nulla a Dio, non attribuisce niente neppure alla
Divina Provvidenza, in quanto Dio e la Divina Provvidenza sono la stessa cosa.
[2] Ma l'uomo spirituale dice o pensa fra sé altrimenti. Benché egli non percepisca col
pensiero e non veda con i suoi occhi la Divina Provvidenza nel suo continuo operare,
purtuttavia la conosce e la riconosce. Poiché le apparenze, e quindi le illusioni di cui ho
fatto menzione, hanno accecato l'intelletto, il quale non può vedere alcunché se le illusioni
che hanno causato l'accecamento, e le falsità che hanno prodotto l'oscurità non vengono
dissipate. Ciò è possibile solo grazie alle verità, che hanno il potere di dissipare le falsità;
perciò devo rivelare adesso queste verità, nel seguente ordine per necessità di chiarezza:
I. Se l'uomo percepisse e sentisse l'operazione della Divina Provvidenza, egli non agirebbe
in virtù della libertà secondo la ragione, e nessuna cosa gli sembrerebbe come propria; ciò
avverrebbe anche se l'uomo potesse prevedere il futuro.
176. I. Se l'uomo percepisse e sentisse l'operazione della Divina Provvidenza, egli non agirebbe in
virtù della libertà secondo la ragione,e nessuna cosa gli sembrerebbe come propria; ciò avverrebbe
anche se l'uomo potesse prevedere il futuro. È stato mostrato nelle sezioni dedicate a questi
argomenti che, per una legge della Divina Provvidenza, l'uomo agisce in virtù della libertà
secondo la ragione, come pure che tutto ciò che l'uomo vuole, pensa, dice e fa, gli sembra
provenire da se stesso. Senza questa apparenza nessuno avrebbe alcunché di suo, né il
senso di sé . Di conseguenza nessuno avrebbe il suo proprium, non vi sarebbe per lui
nessuna attribuzione della propria condotta, e gli sarebbe indifferente fare il bene o il
male, ed avere la fede in Dio o nell’inferno. In una parola: non sarebbe uomo, come è stato
mostrato nelle sezioni precedenti.
[2] Ora sarà mostrato che l'uomo non avrebbe alcuna libertà di agire secondo la ragione,
e che non vi sarebbe per lui alcuna apparenza di agire come da se stesso, se percepisse e
sentisse l'operazione della Divina Provvidenza; giacché se la percepisse e la sentisse, egli
sarebbe nondimeno condotto da essa, poiché il Signore tramite la sua Divina Provvidenza
conduce tutti gli uomini, e l'uomo, come abbiamo già dimostrato, non si conduce da sé che
in apparenza. Se dunque egli fosse condotto in modo da averne una viva percezione e
sensazione, non avrebbe coscienza della sua vita, e sarebbe spinto ad agire quasi come un
automa. Se dunque egli avesse coscienza della sua vita, allora sarebbe guidato come un
uomo legato con manette e ceppi, o come una giumenta davanti ad un carro. È dunque
chiaro che l'uomo non avrebbe alcuna libertà, quindi sarebbe sprovvisto di ragione, poiché
ognuno pensa in virtù della propria libertà, e pensa liberamente; e tutto quel che non
pensa in virtù della propria libertà gli sembra provenire da qualcun altro. Se si esamina
tutto ciò più a fondo, si scopre che l’uomo non avrebbe pensiero, e tanto meno razionalità;
e che non sarebbe affatto uomo.
177. L'incessante operazione della Divina Provvidenza del Signore consiste nel
distogliere l'uomo dai mali. Se qualcuno percepisse e sentisse questa operazione incessante
pur se non fosse condotto a forza, come incatenato non resisterebbe forse
continuamente? Ed allora non lotterebbe con Dio, oppure vorrebbe aver parte nei disegni
della Divina Provvidenza? In quest’ultimo caso egli si crederebbe pari a Dio, nel primo si
scioglierebbe dal legame e negherebbe Dio. Vi sarebbero infatti due forze l'una contro
l'altra, continuamente in azione: la forza del male da parte dell'uomo, e la forza del bene
da parte del Signore. Quando due opposti agiscono l'uno contro l'altro, o uno di essi vince,
o entrambi periscono. Nel presente caso, però, se uno di essi vincesse, perirebbero
entrambi. Il male che appartiene all'uomo non può ricevere il bene dal Signore
immediatamente, né il bene che procede dal Signore può espellere il male dall'uomo
immediatamente. Se l'una o l'altra cosa si verificasse, l’uomo non potrebbe continuare a
vivere. Queste e altre più dannose conseguenze ne risulterebbero, se l'uomo percepisse o
sentisse manifestamente l'operazione della Divina Provvidenza. Ma ciò verrà mostrato più
chiaramente in seguito con esempi.
178. La necessità di poter agire in libertà e in modo razionale fa sì che non sia concesso
all'uomo di prevedere il futuro, poiché è noto che tutto ciò che l'uomo ama, egli vuole che
accada, ed usa la ragione per muoversi in quella direzione. Inoltre non vi è nulla di ciò che
l'uomo considera con la ragione, che non proceda dall'amore di ottenere l’effetto per
mezzo del pensiero. Se dunque egli sapesse per una predizione Divina l'effetto o l'evento,
la ragione cederebbe, e con la ragione, l'amore; poiché l'amore e la ragione terminano
nell'effetto, e da questo effetto comincia un nuovo amore. Il piacere della ragione consiste
nel vedere, in virtù dell'amore, l'effetto nel pensiero, non nell'effetto ma prima di esso: non
nel presente, ma nel futuro. Quindi l'uomo possiede quel che si chiama “speranza”, che
cresce o decresce nella ragione, nella misura in cui essa vede o aspetta l'evento. Questo
piacere trova la sua completezza nell'avvenimento.
[2] La stessa cosa avverrebbe per un avvenimento preconosciuto. La mente dell'uomo è
continuamente in queste tre cose: fine, causa ed effetto. Se una di queste tre cose manca, la
mente umana non è nella sua vita. L’impulso della nostra volontà è il fine originario, il
pensiero dell'intelletto costituisce i mezzi per renderlo effettivo, e l'azione del corpo, la
parola della bocca, o la sensazione esterna, sono l'effetto del fine mediante il pensiero. È
noto che la mente umana non è nella sua vita finché è occupata solamente dall'impulso
della sua volontà, e non altro; ciò vale anche finché è occupata soltanto dall'effetto. Quindi
la mente non ha alcuna vita da una di queste tre cose separatamente, ma essa ha vita da
tutte e tre congiuntamente. Questa vita della mente diminuirebbe e svanirebbe se un
avvenimento venisse predetto.
179. Poiché la prescienza delle cose future distrugge la nostra stessa natura umana, che
consiste nell’agire in virtù della libertà secondo la ragione, non è concesso a nessuno di
conoscere il futuro, ma è permesso ad ognuno di giungere a conclusioni intorno alle cose
future in virtù della ragione. Questo è ciò che dà vita alla ragione e a tutti i suoi poteri. È
questo il motivo per cui l'uomo non conosce la sua sorte dopo la morte, o non conosce un
avvenimento prima che si verifichi; se lo conoscesse, egli non rifletterebbe più nella sua
interiorità su come agire o vivere allo scopo di pervenirvi, ma penserebbe esteriormente
solamente che ciò avverrà. Questo stato chiude i piani interiori della mente, in cui
risiedono principalmente le due facoltà della vita: la libertà e la razionalità. Il desiderio di
conoscere il futuro è innato nella maggior parte degli uomini, ma questo desiderio ha la
sua origine nell'amore del male. Perciò esso viene tolto a coloro che credono alla Divina
Provvidenza, e viene data loro la fiducia che il Signore si prende cura della loro sorte;
quindi essi non vogliono conoscerla anticipatamente, per non interferire in qualche modo
nella Divina Provvidenza. Questo insegna il Signore in vari passi in Luca 12:14 48.
[2] Che questa sia una legge della Divina Provvidenza si può confermare con molti
esempi presi dal mondo spirituale. La maggior parte degli uomini, allorché giungono in
quel mondo, dopo la morte, vogliono sapere la foro sorte; ma si risponde loro che se
hanno vissuto bene, la loro sorte è nel cielo, e se hanno vissuto male è nell'inferno. Siccome
tutti temono l'inferno, anche i malvagi, essi domandano che cosa debbono fare e debbono
credere per venire nel cielo; si risponde loro: « Agite e credete come volete, ma sappiate
che nell'inferno non si fa il bene, né si crede il vero, come invece accade nel cielo.
Informatevi di ciò che è il bene e di ciò che è il vero, e pensate il vero e fate il bene, se lo
potete. » Così è lasciata ad ognuno, nel mondo spirituale come nel mondo naturale, la
possibilità di agire in virtù della libertà secondo la ragione. Tuttavia si continua ad agire
nell’altro mondo come si è agito in questo, poiché in ogni caso la nostra vita resta con noi;
e quindi la nostra sorte, perché la sorte appartiene alla vita.
a) Gli esterni hanno un tale nesso con gli interni, che agiscono come una singola entità in
tutto ciò che fanno;
b) L'uomo è solamente in alcuni piani esterni col Signore, e se fosse in pari tempo negli
interni, egli pervertirebbe e distruggerebbe tutto l'ordine e la progressione della Divina
Provvidenza. Ma come si è detto, queste proposizioni saranno illustrate con esempi.
[2] a) Gli esterni hanno un tale nesso con gli interni, che agiscono come una singola entità in
tutto ciò che fanno. L'illustrazione con esempi si farà qui per mezzo di alcune caratteristiche
del corpo umano. In tutto il corpo ed in ogni sua parte vi sono esterni ed interni. Gli
esterni in esso si chiamano cute, membrane ed involucri; gli interni sono forme variamente
composte e intessute di fibre nervose e di vasi sanguigni; l'involucro che li circonda,
tramite sue estensioni, entra in tutti gli interiori fino agli intimi; così l'esterno, che è
l'involucro, si congiunge con tutti gli interni, che sono le forme organiche composte di
fibre e di vasi. Ne consegue che, come l'esterno agisce o viene messo in azione, così anche
gli interni agiscono o vengono messi in azione. Vi è una costante unione di tutti gli
elementi.
[3] Si consideri ad esempio quale involucro la pleura, che è l'involucro comune del petto,
o del cuore e del polmone, e la si esamini con l’occhio dell’anatomista, e si vedrà che
questo involucro comune, per varie circonvoluzioni ed estensioni, sempre più sottili, entra
negli intimi recessi del polmone, fin nelle più piccole ramificazioni bronchiali, e negli stessi
alveoli, che sono le unità anatomiche dei polmoni; senza parlare poi del suo cammino
attraverso la trachea, nella laringe verso la lingua. Vi è quindi una connessione perpetua
degli esterni con gli intimi, per cui, come l'esterno agisce o è messo in azione, così gli
interiori, cominciando dagli intimi, agiscono o sono messi in azione. Avviene quindi che
quando questo involucro esterno, quale è la pleura, è inondato o infiammato o pieno di
ulcere, i polmoni soffrono a partire dal loro centro; e se il male aumenta, ogni azione dei
polmoni cessa, e l'uomo muore.
[5] Vedremo in seguito (n. 181) che nelle forme spirituali e nelle mutazioni e variazioni
del loro stato, che si riferiscono alle operazioni della volontà e dell'intelletto, avviene come
nelle forme naturali e nelle loro operazioni, che si riferiscono ai movimenti ed alle azioni.
Ora, poiché l'uomo in alcune operazioni esterne coopera col Signore, e nessuno è privo
della libertà di agire secondo la ragione, ne consegue che il Signore non può agire in noi
interiormente in modo differente da come agisce l’uomo esteriormente: se dunque l'uomo
non fugge e non aborrisce i mali come peccati, l'esterno del pensiero e della volontà si
vizierà e si indebolirà, e in pari tempo la loro interiorità, proprio come la pleura è
indebolita dalla sua malattia, detta pleurite, che causa la morte del corpo.
[6] b) Se l’uomo fosse negli interni pervertirebbe e distruggerebbe tutto l'ordine e la progressione
della Divina Provvidenza. Anche questo sarà illustrato con esempi presi dal corpo umano. Se
l'uomo conoscesse tutte le operazioni di entrambi gli emisferi del cervello nelle fibre
nervose, dalle fibre nei muscoli, e dai muscoli nelle azioni, e utilizzasse questa conoscenza
per controllare questi processi come noi controlliamo le nostre azioni, non li pervertirebbe
e distruggerebbe tutti?
[7] Se l'uomo sapesse come lo stomaco digerisce, come gli organi che lo circondano
adempiono il loro compito, elaborano il sangue e lo distribuiscono per ogni necessità
vitale, e ne potesse disporre come nelle sue azioni esteriori, ad esempio quando mangia e
beve, non pervertirebbe e distruggerebbe ogni cosa? Poiché egli non può agire sull'esterno,
che si presenta come uno, senza distruggerlo per la lussuria e l'intemperanza, che cosa
avverrebbe se egli disponesse anche degli interni, che sono infiniti? Perciò gli interni,
affinché l'uomo non penetri in essi con la sua volontà, e non li sottoponga alla sua
direzione, sono stati completamente sottratti alla sua volontà, eccetto i muscoli che
formano l'involucro, di cui ancora si ignora come essi agiscono, e solamente si sa che
agiscono.
[8] Lo stesso vale per tutti gli altri processi. Per esempio, se l'uomo esercitasse il suo
controllo sugli interiori dell'occhio per vedere, sugli interiori dell'orecchio per udire, sugli
interiori della lingua per gustare, sugli interiori della pelle per sentire, sugli interiori del
cuore per il moto sistolico, sugli interiori dei polmoni per respirare, sugli interiori del
mesenterio, sugli interiori dei reni per separare gli elementi, sugli interiori degli organi
della generazione per prolificare, sugli interiori dell'utero per perfezionare l'embrione, e
così via, non pervertirebbe e non distruggerebbe in una infinità di modi l'ordine e la
progressione della Divina Provvidenza in questi organi? L'uomo compie consciamente le
cose esteriori: per esempio egli vede con l'occhio, ode con l'orecchio, gusta con la lingua,
sente con la pelle,respira coi polmoni, contribuisce alla propagazione della specie, e così
via. È sufficiente che egli conosca i processi esteriori e ne faccia uso per la salute del corpo
e della mente. Qualora non potesse farlo, cosa avverrebbe se avesse anche il controllo dei
processi interiori? Da queste considerazioni è evidente che, se l'uomo vedesse
manifestamente la Divina Provvidenza, egli interferirebbe con l'ordine dei suoi processi,
così da pervertirli e distruggerli.
181. Il motivo del parallelismo fra i processi spirituali della mente e quelli naturali del
corpo è la corrispondenza di tutte le cose della mente con tutte quelle del corpo. Perciò la
mente muove il corpo nelle azioni esteriori, la maggior parte delle volte volontariamente.
Essa muove gli occhi per vedere, le orecchie per udire, la bocca e la lingua per mangiare,
bere e parlare, le mani per agire, i piedi per camminare, gli organi della generazione per
prolificare. Per queste operazioni la mente muove non solamente gli organi esterni, ma
anche quelli interni ad ogni passo, dai più interiori ai più esteriori, e dai più esteriori ai più
interiori: cosi, quando muove la bocca per parlare, essa muove il polmone, la laringe, la
glottide, la lingua, le labbra, ciascuno di essi secondo la sua funzione, distintamente e
simultaneamente; ed anche il volto secondo le circostanze.
[2] Quindi è evidente che ciò che si è detto delle forme naturali del corpo vale anche per
le forme spirituali della mente, e che ciò che si è detto delle operazioni naturali del corpo,
vale anche per le operazioni spirituali della mente. Il Signore dispone gli interni nel modo
in cui l'uomo dispone gli esterni: lo fa in modo distinto, dunque; se l'uomo dispone gli
esterni da se stesso, oppure se dispone gli esterni in virtù del Signore e in pari tempo in
apparente autonomia. La mente umana è una persona in ogni elemento della sua forma. È
il suo spirito che, dopo la morte appare come appariva l’uomo in questo mondo. Di
conseguenza vi sono similarità fra i due mondi. Così ciò che si è detto della congiunzione
degli esterni con gli interni nel corpo, si deve intendere anche della congiunzione degli
esterni con gli interni nella mente, con la sola differenza che la prima è naturale, e l'altra
spirituale.
[2] Così parla l'uomo meramente naturale; ma l'uomo spirituale parla altrimenti. Questi,
poiché riconosce Dio, riconosce anche la Divina Provvidenza. Egli può anche vederla, ma
non la può manifestare ad un uomo che pensa solo in termini naturali, sulla base di eventi
naturali. Un uomo simile non può elevare la mente al di sopra della natura, né vedere
nelle sue apparenze esteriori qualcosa della Divina Provvidenza; né può inferire intorno
ad essa qualche cosa dalle sue leggi, che pure sono le leggi della Divina Sapienza. Se
dunque la vedesse manifestamente, egli la confonderebbe con la natura, e così non solo la
velerebbe con illusioni, ma la profanerebbe ancora, e invece di riconoscerla, egli la
negherebbe; e colui che nel suo cuore nega la Divina Provvidenza, nega anche Dio.
[3] O si pensa che sia Dio a governare tutto, o si pensa che sia la natura; chi pensa che
Dio governa tutto, pensa che sia l’amore stesso e la sapienza stessa, quindi la vita stessa;
ma colui che pensa che la natura governa tutto, pensa che sia il calore naturale e la luce
naturale, che tuttavia in sé sono morti, perché emanano da un sole morto. Non è forse ciò
che è vivo a governare ciò che è morto? Può forse ciò che è morto governare qualche cosa?
pensare che ciò che è morto possa dare la vita, è da insensati. La vita deve necessariamente
venire dalla vita.
[2] Alcuni esempi serviranno d'illustrazione. L'uomo, per la sua eredità ancestrale, vuole
diventare grande e ricco; e, finché a questi amori non è posto un freno, egli vuole
diventare sempre più grande e ricco, ed infine grandissimo e ricchissimo. Con tutto ciò
non sarebbe soddisfatto, ma vorrebbe divenire più grande di Dio medesimo, e possedere
lo stesso cielo: questa cupidigia è intimamente nascosta nel male ereditario, e quindi nella
vita dell'uomo e nella natura della sua vita. La Divina Provvidenza non elimina questo
male in un momento, perché se così fosse l'uomo non vivrebbe; ma essa lo elimina
tacitamente e gradatamente, senza che l'uomo se ne accorga. Ciò avviene lasciandoci agire
in accordo a pensieri che riteniamo razionali, e utilizzando diversi mezzi, razionali, civili e
morali, per distoglierci dalle nostre tendenze. In tal modo possiamo essere liberati da
questi mali mantenendo la nostra libertà. Nello stesso modo, neanche il male può essere
tolto a nessuno, a meno che questo non si manifesti, non si veda e non si riconosca: esso è
come una piaga, che non si può guarire se non si apre.
[3] Se dunque l'uomo sapesse e vedesse che il Signore, grazie alla sua Divina
Provvidenza, opera in questo modo contro l'amore della sua vita, da cui trae il massimo
piacere, egli non potrebbe fare altrimenti che andare in senso contrario ed inasprirsi,
contrastare, dire cose dure; ed infine, in forza del suo male, respingere l'operazione della
Divina Provvidenza, negandola – e così negando Dio soprattutto se vedesse che essa si
oppone ai suoi successi, privandolo del suo rango e dei suoi beni.
[4] Tuttavia bisogna sapere che il Signore non distoglie mai l'uomo dal ricercare onori e
ricchezze, ma dalla cupidigia di ambire onori per la sola sete di potere o di dominio, e
dalla cupidigia di acquisire ricchezze per il gusto dello sfarzo, o per l’avidità dei beni in se
stessi. Quando egli lo distoglie da questa cupidigia, lo introduce all'amore degli usi,
affinché consideri il potere non in sé ma per gli usi, affinché egli sia dedito in primo luogo
agli usi e solo secondariamente a se stesso, e non dedito a se stesso e secondariamente agli
usi; lo stesso vale per la ricchezza. Che il Signore umili continuamente i superbi ed esalti
gli umili, egli Stesso lo insegna in molti luoghi nella Parola; e ciò che egli insegna nella
Parola appartiene alla sua Divina Provvidenza.
184. Lo stesso vale per ogni altro male in cui l'uomo si trova in virtù dell'eredità
ancestrale: ad esempio gli adulteri, le frodi, le vendette, le bestemmie ed altri mali simili,
che non si possono rimuovere se non viene lasciata la libertà di pensarli e di volerli, in
modo tale che l'uomo possa rimuoverli come da se stesso. Egli tuttavia non può farlo, se
non riconosce la Divina Provvidenza e non la implora, affinché ciò sia fatto per suo
tramite: senza questa libertà, e in pari tempo senza la Divina Provvidenza, questi mali
sarebbero simili ad un veleno iniettato e non estratto, che in breve si diffonde da ogni
parte e dà la morte; sarebbero simili ad una malattia del cuore, che in breve tempo
distrugge tutto il corpo.
185. Che le cose stiano così, non lo si può venire a sapere meglio che dagli uomini dopo
la morte, nel mondo spirituale. Là, la maggior parte di coloro che nel mondo naturale
erano divenuti potenti e ricchi, e negli onori come nelle ricchezze non avevano considerato
che se stessi, all’inizio parlano di Dio e della Divina Provvidenza come se l’avessero
riconosciuto col cuore; ma poiché allora essi vedono manifestamente la Divina
Provvidenza, e grazie ad essa la loro sorte ultima, cioè che andranno all'inferno, essi si
uniscono là con i diavoli, e non soltanto negano Dio, ma lo bestemmiano. Poi soccombono
al delirio di riconoscere come loro dei i più potenti fra i diavoli, e nulla desiderano più
ardentemente che divenire dei essi stessi.
186. L'uomo andrebbe contro Dio, e giungerebbe a negarlo, se vedesse manifestamente le
operazioni della sua Divina Provvidenza, perché l'uomo si trova nel piacere del suo
amore, e questo piacere costituisce la sua stessa vita. Perciò, quando l'uomo è mantenuto
nel piacere della sua vita, egli è nella sua libertà, poiché la libertà e questo piacere sono
una cosa sola; se pertanto l’uomo percepisse che egli è continuamente distolto dal suo
piacere, si irriterebbe contro Dio, come farebbe contro colui che volesse distruggere la sua
vita, e lo considererebbe come suo nemico. Affinché ciò non accada, il Signore non si fa
vedere manifestamente nella sua Divina Provvidenza, ma grazie ad essa conduce l'uomo
tacitamente, come un fiume nascosto o una corrente favorevole conduce una nave.
Dunque l'uomo sa solo di essere continuamente nel suo proprium, affinché la libertà sia
una cosa sola col proprium. Quindi è evidente che la libertà assimila all'uomo ciò che vi
introduce la Divina Provvidenza; il che, se questa si manifestasse, non potrebbe accadere
(assimilare significa far divenire qualcosa parte della propria vita.)
187. IV. È concesso all'uomo di vedere la Divina Provvidenza di dietro e non direttamente. Ciò
accade nello stato spirituale, non nello stato naturale. Vedere la Divina Provvidenza di dietro e
non direttamente, significa vederla dopo un avvenimento, e non prima; e vederla dallo
stato spirituale e non dallo stato naturale significa vederla dal cielo e non dal mondo. Tutti
coloro che ricevono l’influsso del cielo e riconoscono la Divina Provvidenza,
principalmente quelli che tramite la riforma sono divenuti spirituali quando vedono
degli avvenimenti nella loro ammirabile sequenza, vedono quasi la Divina Provvidenza in
virtù di un riconoscimento interiore, e ne ammettono l’operato; questi non vogliono
vederla direttamente nel volto, cioè prima che l’evento venga ad esistenza, poiché temono
che la loro volontà si intrometta nel suo ordine e nel suo sistema.
[2] È diverso per coloro che non ammettono alcun influsso del cielo, ma ammettono
solamente l'influsso del mondo, e principalmente per coloro che, seguendo le apparenze,
sono divenuti naturali; costoro non vedono nulla della Divina Provvidenza dietro o dopo
di essa, ma vogliono vederla faccia a faccia o prima che l’evento venga ad esistenza; e
siccome la Divina Provvidenza opera tramite mezzi, e tali mezzi includono l'uomo o il
mondo, ne risulta che, sia che la vedano di faccia, sia di dietro, essi la attribuiscono
all'uomo o alla natura, affermando ulteriormente la sua inesistenza. Se essi la attribuiscono
o all'uomo o alla natura, è perché il loro intelletto è chiuso dalla parte superiore, ed aperto
solamente dalla parte inferiore; di conseguenza esso è chiuso dal lato del cielo, ed aperto
dal lato del mondo. Dal mondo non si può vedere la Divina Provvidenza, cosa che è
invece possibile dal cielo. Ho pensato talvolta se costoro potessero riconoscere la Divina
Provvidenza, nel caso che il loro intelletto fosse aperto dalla parte superiore, e qualora
vedessero chiaramente che in se stessa la natura è morta, e che in se stessa l'intelligenza
umana è nulla; e che, se l'una e l'altra sembrano avere vita propria, ciò è in virtù
dell'influsso. Ho percepito allora che coloro che sono convinti del potere supremo della
natura e della prudenza umana non riconoscerebbero la Divina Provvidenza, perché la
luce naturale che fluisce dal basso estinguerebbe subito la luce spirituale che fluisce
dall'alto.
189. L'uomo che è divenuto spirituale per aver riconosciuto Dio, e savio per il rigetto del
proprium, vede la Divina Provvidenza ovunque nel mondo, ed in tutte ed in ciascuna delle
cose del mondo. La vede nelle cose naturali, nelle cose civili ed in quelle spirituali; e ciò in
ciò che è simultaneo, quanto in ciò che è successivo; nei fini, nelle cause, negli effetti, negli
usi, nelle forme, nelle cose grandi ed in quelle piccole. La vede principalmente nella
salvezza degli uomini, nel fatto che Jehovah ha trasmesso la Parola e grazie ad essa li ha
istruiti su ciò che riguarda Dio, il cielo, l'inferno, la vita eterna; ed è venuto egli Stesso nel
mondo per redimere e salvare gli uomini. In virtù della luce spirituale l’uomo vede nella
luce naturale tutte queste cose e molte altre, ed in esse la Divina Provvidenza. Ma l'uomo
meramente naturale non vede nulla di tutto ciò.
[2] Egli è simile a chi vede un tempio magnifico, e ode un predicatore illuminato nelle
cose Divine; e che, tornato a casa, dice di non aver visto che un edificio di pietre, e di non
aver udito che un suono articolato. O è simile a un miope che entra in un magnifico
giardino ornato da frutti di ogni specie, e che, tornato a casa, racconta di aver visto
solamente una selva e degli alberi. Quando uomini di questo genere, divenuti spiriti dopo
la morte, salgono nel cielo angelico, dove tutte le cose si trovano in forme che
rappresentano l'amore e la sapienza, essi non vedono nulla di queste cose, neppure la loro
presenza. Ho visto accadere ciò agli uomini che avevano negato la Divina Provvidenza del
Signore.
190. Vi sono molte cose costanti che sono state create affinché le cose caduche possano
esistere. Le cose costanti sono il sorgere e il tramontare del sole, della luna e delle stelle; il
loro oscuramento per le loro mutue interposizioni, che si chiamano eclissi; il loro calore e
la loro luce. Sono costanti anche i periodi dell'anno che si chiamano primavera, estate,
autunno e inverno, e le cadenze del giorno che sono la mattina, il mezzogiorno, la sera e la
notte, così come le atmosfere, le acque, le terre; il potere vegetativo nel regno vegetale,
analoga alla facoltà procreativa nel regno animale. Vi sono poi gli eventi che
costantemente risultano da questi poteri, quando sono messi in azione secondo le leggi che
regolano il disegno generale. È stato provveduto fin dalla creazione a tutte queste costanti,
e ad altre ancora, affinché una infinità di cose variabili potessero esistere: infatti le cose
variabili non possono esistere che nelle cose costanti, stabili e certe.
[3] Quanto a ciò che riguarda le varietà che hanno luogo nelle cose costanti, stabili e
certe, esse vanno all'infinito e non hanno limite. Nonostante ciò, in tutto quello che esiste
nell'universo non vi è mai una cosa totalmente simile ad un'altra, né vi potrà mai essere
nelle cose che si succederanno per tutta l'eternità. Chi può disporre in ordine queste
varietà che vanno all'infinito e in eterno, se non colui che ha creato le cose costanti allo
scopo che le variabili esistano in esse? E chi può disporre le varietà infinite della vita negli
uomini, se non colui che è la vita medesima, vale a dire l’amore stesso e la sapienza stessa?
Senza la sua Divina Provvidenza, che è come una creazione continua, le affezioni infinite
degli uomini, e quindi i loro pensieri infiniti, e così gli uomini stessi potrebbero forse
essere disposti a formare una unità, le affezioni e quindi i pensieri cattivi un solo diavolo,
che è l'inferno, e le affezioni e quindi i pensieri buoni un solo Signore nel cielo? È stato più
volte affermato e mostrato che tutto il cielo angelico sta dinanzi al Signore come un solo
uomo, che è la sua immagine e somiglianza, e che tutto l'inferno sta dinanzi a lui,
all'opposto, come un solo uomo mostruoso. Ho dovuto fare queste osservazioni perché
alcuni uomini naturali si sono serviti delle cose costanti e stabili — necessarie al fine che le
varietà possano esistere nel loro contesto — come base per i loro insensati argomenti in
favore della natura e della prudenza umana.
X
La propria prudenza è nulla ed esiste solo in apparenza, così come deve
essere. La Divina Provvidenza invece include tutto, perché si estende fin
nei minimi dettagli
191. Che la propria prudenza sia nulla va contro ogni apparenza, e quindi contro
l’opinione di molte persone. Poiché è così, colui che segue l'apparenza e crede che valga
solo la prudenza umana, non può essere persuaso del contrario se non in seguito ad un
ragionamento derivante da una profonda investigazione, basato sulle cause. L’apparenza è
un effetto, mentre le cause mostrano da dove essa deriva. In questo preambolo farà cenno
all’opinione comune su questo soggetto. Ciò che insegna la chiesa va contro l'apparenza:
essa insegna, infatti, che l'amore e la fede, come pure la sapienza e l'intelligenza, e
conseguentemente anche la prudenza, ed in generale ogni bene ed ogni verità, non
provengono dall'uomo ma da Dio. Quando si ammettono queste verità, si deve ammettere
anche che la propria prudenza è nulla, ed ha solo un’esistenza apparente. La prudenza
non deriva che dall'intelligenza e dalla sapienza: queste vengono solo dal nostro intelletto,
e quindi solo dal nostro pensiero di ciò che è vero e buono. Ciò che si è detto adesso è
ammesso e creduto da coloro che riconoscono la Divina Provvidenza, e non da quelli che
riconoscono la sola prudenza umana.
[2] Ora, o la verità è ciò che insegna la chiesa, cioè che ogni sapienza e ogni prudenza
vengono da Dio, oppure è ciò che insegna il mondo, cioè che ogni sapienza ed ogni
prudenza derivano dall'uomo. Come si può risolvere questa contraddizione se non
affermando che ciò che insegna la chiesa è la verità, e quel che insegna il mondo è
l'apparenza? La chiesa trova conferma al suo insegnamento nella Parola, ed il mondo nel
proprium; ma la Parola viene da Dio, ed il proprium viene dall'uomo. Poiché la prudenza
viene da Dio, e non dall'uomo, un cristiano, mentre compie le sue devozioni, prega Dio di
guidare i suoi pensieri, le sue risoluzioni ed azioni, perché con le sue sole forze non ne è
capace. Quando vede qualcuno fare del bene, egli dice che vi è stato condotto da Dio, e
così via. Qualcuno può forse parlare così, se in qualche modo non lo crede interiormente?
Questo livello interiore di fede viene dal cielo; ma quando riflettiamo, e raccogliamo
argomenti in favore della prudenza umana, possiamo credere il contrario in virtù del
mondo. Tuttavia la fede interiore vince in coloro che riconoscono Dio nel cuore, e la fede
esteriore vince in coloro che non riconoscono Dio nel cuore, benché lo riconoscano a
parole.
192. Dunque, colui che, seguendo l'apparenza, crede che la prudenza umana sia alla base
di tutto, non può essere persuaso del contrario se non in seguito ad una profonda
investigazione basata sulle cause. Affinché dunque le ragioni desunte dalle cause si
manifestino chiaramente all'intelletto, esse verranno esposte nel seguente ordine:
II. Le affezioni dell'amore della vita dell'uomo sono note solo al Signore.
III. Le affezioni dell'amore della vita dell'uomo sono guidate dal Signore tramite la sua
Divina Provvidenza, ed in pari tempo sono guidati i suoi pensieri, da cui proviene la
prudenza umana.
IV. Il Signore, tramite la sua Divina Provvidenza, riunisce le affezioni del genere umano in
una sola forma, che è la forma umana.
V. Quindi il cielo e l'inferno, che provengono dal genere umano, hanno forma umana.
VI. Coloro che hanno riconosciuto la sola natura e la sola prudenza umana costituiscono
l'inferno, e coloro che hanno riconosciuto Dio e la sua Divina Provvidenza costituiscono il
cielo.
VII. Tutte queste cose non possono aver luogo, se all'uomo non appare di poter pensare e
disporre della sua vita autonomamente.
193. I. Tutti i pensieri dell'uomo derivano dalle affezioni dell'amore della sua vita, e senza queste
affezioni non vi è, né può esservi alcun pensiero. È stato mostrato in questo trattato e in Divino
Amore e Divina Sapienza, specialmente nelle parti prima e quinta di quest’ultimo, che cos’è
l'amore della vita, e che cosa sono nella loro essenza le affezioni, e quindi i pensieri, e da
questi le sensazioni e le azioni che hanno luogo nel corpo. Dato che da queste provengono
le cause da cui deriva la prudenza umana come effetto, è necessario a questo punto
aggiungere qualcosa. Ciò che è stato scritto in precedenza non può trovare continuità con
ciò che si è scritto dopo, se non viene richiamato e messo sotto gli occhi.
[2] In questo trattato e in Divino Amore e Divina Sapienza è stato mostrato che nel Signore
vi è il Divino Amore e la Divina Sapienza, e che questi due sono la vita stessa; e che in
virtù di questi due vi è nell'uomo la volontà e l'intelletto: in virtù del Divino Amore la
volontà, e in virtù della Divina Sapienza l'intelletto. Alla volontà e all'intelletto
corrispondono nel corpo il cuore e i polmoni; si può quindi comprendere che, come il
battito del cuore congiunto alla respirazione dei polmoni governa l’intero corpo umano,
così la volontà congiunta all'intelletto governa la sua mente. Vi sono dunque in ogni uomo
due principi di vita, uno naturale, l'altro spirituale; il principio naturale della vita è il
battito del cuore, ed il principio spirituale della vita è la volontà della mente. Entrambi si
uniscono ad un compagno col quale coabitano e col quale esercitano le funzioni della vita:
il cuore si unisce ai polmoni, e la volontà all'intelletto.
[3] Poiché l'anima della volontà è l'amore, e l'anima dell'intelletto è la sapienza, e l'uno e
l'altra procedono dal Signore, ne consegue che l'amore è la vita di ciascuno, e che la qualità
di tale vita dipende dall’unione del nostro amore con la nostra sapienza. In altri termini, la
volontà è la vita di ciascuno di noi, e la qualità di questa vita dipende dalla qualità
dell’unione della nostra volontà col nostro intelletto. Intorno a questo argomento si
possono trovare ulteriori particolari in questo trattato, e soprattutto in Divino Amore e
Divina Sapienza (parti prima e quinta).
194. In questi medesimi trattati è stato anche mostrato che l'amore della propria vita
produce da se stesso degli amori subalterni, che si chiamano affezioni: queste sono
esteriori ed interiori, e nel loro insieme formano come un solo governo o reame, in cui
l'amore della vita è come il signore o il re. Inoltre è stato mostrato che a questi amori
subalterni, o affezioni, si aggiungono come delle compagne: alle affezioni interiori, delle
compagne chiamate percezioni, ed alle affezioni esteriori, delle compagne chiamate
pensieri. Ciascuno coabita con la sua compagna e adempie alle funzioni della sua vita. La
congiunzione dell'uno e dell'altra è come quella dell'essere della vita con l'esistere della
vita, che non possono avere alcuna realtà l’uno senza l’altro. Cos’è infatti l'essere della vita
se non si manifesta, e che cosa è la manifestazione della vita se non proviene dalla realtà
stessa della vita? La congiunzione della vita è come quella del suono e dell'armonia, o del
suono e del linguaggio, ed in generale come quella del battito del cuore e della
respirazione dei polmoni, nella quale un elemento non è nulla senza l'altro, e ciascuno di
essi diviene reale grazie alla congiunzione con l'altro. Queste congiunzioni devono aver
luogo nelle loro componenti, o tramite esse. Prendiamo ad esempio il suono: chi immagina
che il suono sia qualcosa, senza che in esso vi sia qualcosa che lo distingue, si inganna. Il
suono corrisponde ai sentimenti dell'uomo; e poiché nel suono vi è sempre qualche cosa
che lo distingue, dal suono della voce di un uomo si può riconoscere l'affezione del suo
amore, così come dalle variazioni del suono, che costituiscono il linguaggio, si può
riconoscere il suo pensiero. Quindi gli angeli più sapienti solamente dal suono di chi parla
percepiscono gli amori della sua vita, ed in pari tempo certe affezioni che ne sono le
derivazioni. Si fa menzione di ciò affinché si sappia che non esiste affezione senza il suo
pensiero, né pensiero senza la sua affezione. Tale argomento è trattato con maggiori
particolari in questo stesso trattato (n. 106), e in Divino Amore e Divina Sapienza.
195. Poiché l'amore della vita ha il suo piacere, e la sua sapienza la sua attrattiva, così è
per ogni affezione, che nella sua essenza è un amore subalterno, derivato dall'amore della
vita come un fiume dalla sua sorgente, o come un ramo dal suo albero, o come un'arteria
dal suo cuore. Perciò ogni affezione ha il suo piacere, e quindi ogni percezione ed ogni
pensiero ha la sua attrattiva; ne deriva quindi che questi piaceri e queste attrattive
costituiscono la vita dell’uomo. Che cos’è la vita senza il suo piacere e la sua attrattiva?
Non è forse qualcosa d’inanimato? Diminuisci il piacere e l'attrattiva, e diverrai freddo e
intorpidito; toglili, ed esalerai il tuo ultimo respiro e morirai.
[2] Dai piaceri delle affezioni, e dalle attrattive delle percezioni e dei pensieri deriva il
calore vitale. Dato che ogni affezione ha il suo piacere, e quindi ogni pensiero la sua
attrattiva, si può vedere da dove derivano il bene e la verità; ed altresì che cosa sono il
bene e la verità nella loro essenza. Il bene è per ognuno ciò che è il piacere della sua
affezione, e la verità ciò che è l'attrattiva del suo pensiero. Infatti ognuno chiama “bene”
ciò che dall'amore della sua volontà sente come piacere, e chiama “verità” ciò che dalla
sapienza del suo intelletto percepisce quindi come un’attrattiva: entrambi fluiscono
dall'amore della vita come l'acqua scaturisce da una sorgente, o come il sangue dal cuore.
Presi insieme, essi sono come un'onda o un'atmosfera che circonda tutta la mente umana.
[3] Questi due (il piacere e l'attrattiva) sono spirituali nella mente, ma nel corpo sono
naturali; essi costituiscono la vita dell'uomo. Quindi si vede chiaramente che cos’è
nell'uomo ciò che si chiama bene, e che cos’è ciò che si chiama verità; come pure che cos’è
nell'uomo ciò che si chiama male, e che cos’è ciò che si chiama falsità: vale a dire che il
male per l’uomo è ciò che distrugge il piacere della sua affezione, e la falsità è ciò che
distrugge l'attrattiva del suo pensiero. Il male, in virtù del suo piacere, e la falsità, in virtù
della sua attrattiva, si possono quindi scambiare erroneamente per il bene e la verità. I beni
e le verità sono in realtà le mutazioni e le variazioni di stato delle forme della mente, ma
queste mutazioni e variazioni si percepiscono e diventano vivi unicamente per i loro
piaceri e le loro attrattive. Queste cose sono state esposte affinché si sappia che cosa sono
l'affezione ed il pensiero nella loro propria vita.
196. Poiché è la mente dell'uomo, e non il corpo, che pensa, e pensa in virtù del piacere
della sua affezione, e poiché la mente dell'uomo è il suo spirito che vive dopo la morte, ne
consegue che lo spirito dell'uomo non è che affezione, e quindi pensiero. Che non vi possa
essere alcun pensiero senza un'affezione, si vede manifestamente dagli spiriti e dagli
angeli nel mondo spirituale, poiché là tutti pensano in virtù delle affezioni dell'amore della
loro vita, e ciascuno è circondato dal piacere di queste affezioni come dalla sua atmosfera.
Nel mondo spirituale, tutti gli uomini si congiungono secondo queste aure esalate dalle
loro affezioni mediante i loro pensieri; e si può riconoscere la natura di ciascuno dall’aura
della sua vita. Quindi ogni pensiero deriva da un'affezione, ed è la forma della sua
affezione. Lo stesso vale per la volontà e per l'intelletto, per il bene e per la verità, così
come per la carità e la fede.
197. II. Solo il Signore conosce le affezioni dell'amore della vita dell'uomo. L'uomo conosce i
suoi pensieri, e le intenzioni che da essi nascono, perché li vede in sé; e poiché da lì deriva
ogni prudenza, egli la vede in se stesso. Se l'amore della sua vita è l'amore di sé, egli si
inorgoglisce della propria intelligenza e attribuisce a se stesso la propria prudenza;
raccoglie argomenti in favore di questa idea, e si allontana sempre più dal riconoscere la
Divina Provvidenza. Lo stesso accade se l'amore del mondo è l'amore della sua vita; ma in
questo caso egli non si allontana così tanto. Ne consegue che questi due amori
attribuiscono ogni cosa all'uomo ed alla sua prudenza; e se si indaga più in profondità, si
vede chiaramente che essi non attribuiscono niente a Dio ed alla sua Provvidenza.
Dunque, quando tali uomini sentono dire che che la prudenza umana è nulla, e che la
Divina Provvidenza è la sola che governa tutto, se sono atei ridono di ciò; ma se
conservano nella loro memoria qualcosa della religione, e si dice loro che ogni sapienza
viene da Dio, essi si dichiarano subito d’accordo con questa proposizione, ma
interiormente, nel loro spirito, la negano. Tali sono principalmente i preti che amano se
stessi più di Dio, ed amano il mondo più del cielo, o ciò che è lo stesso – quelli che
adorano Dio per gli onori e i guadagni che ne traggono, e nondimeno, predicano che la
carità e la fede, ogni bene ed ogni verità, ogni sapienza, ed anche ogni umana prudenza
vengono da Dio, e che nulla proviene dall'uomo.
[2] Una volta, nel mondo spirituale, mi accadde di udire due preti discutere con
l’ambasciatore di un certo reame sulla prudenza umana, se essa viene da Dio o dall'uomo.
La discussione era viva: tutti e tre di cuore credevano la medesima cosa, cioè che la
prudenza umana sia tutto, e la Divina Provvidenza nulla; ma i preti, che in quel momento
si sentivano pieni di zelo teologico, dicevano che niente della sapienza e della prudenza
proviene dall'uomo. Siccome l'ambasciatore replicava che, affermando ciò, ne sarebbe
conseguito che neanche il pensiero deriverebbe dall'uomo, essi affermarono che era
proprio così. Ma poiché gli angeli percepirono che tutti e tre avevano in realtà la medesima
fede, dissero all'ambasciatore: « Indossa gli abiti di un prete, e convinciti di essere un
prete; e allora parla. » Egli si vestì e si credette prete, e dichiarò ad alta voce, con la sua
solita eloquenza piena di argomenti razionali, che nessuna traccia di sapienza e di
prudenza può trovarsi nell'uomo se non proviene da Dio. Poi gli angeli dissero ai due
preti: «Svestitevi dei vostri abiti, indossate gli abiti di uomini politici e credete di essere
tali.» Essi fecero così; e da quel momento pensarono dal loro sé interiore, e parlarono in
favore degli argomenti che avevano fino allora nascosti dentro se stessi, argomenti in
favore dell’umana prudenza, e contrari alla Divina Provvidenza. Tutti e tre, essendo nella
medesima fede, divennero poi amici per la pelle e presero insieme la via della prudenza
umana, che conduce all'inferno.
198. È stato mostrato che nessun pensiero dell'uomo esiste se non in virtù di una qualche
affezione dell'amore della sua vita, e che il pensiero non è altro che la forma dell'affezione.
Poiché l'uomo vede il suo pensiero, e non può vedere la sua affezione, ma può solo
percepirla, egli decide che la propria prudenza è tutto in virtù della vista, che si trova
nell'apparenza, e non in virtù dell'affezione, che non si può vedere, ma si percepisce.
Infatti l'affezione si manifesta solamente in seguito ad un certo piacere del pensiero, e ad
un senso di gratificazione quando ragioniamo su qualcosa. Allora questo piacere e questo
senso di gratificazione fanno causa comune col pensiero in coloro che credono alla propria
prudenza per amore di sé e per amore del mondo; ed il pensiero scorre nel suo piacere
come una nave nella corrente di un fiume, alla quale il nocchiere non presta attenzione,
guardando solo le vele spiegate.
199. L'uomo può riflettere sul piacere della sua affezione esterna, quando questo piacere
agisce in concomitanza col piacere di qualche senso del corpo; tuttavia egli non pensa che
questo piacere viene dal piacere di una sua affezione nel pensiero. Per esempio, quando
un libertino vede una prostituta, il suo occhio risplende del fuoco del suo desiderio, ed in
virtù di esso egli prova piacere nel suo corpo; ma non sente il piacere della sua affezione o
della sua concupiscenza nel pensiero, se non sotto forma di una spinta di natura
virtualmente fisica. Lo stesso vale per un brigante in una foresta, allorché vede dei
viandanti; e per un pirata in mare, allorché vede delle navi; e così via. È evidente che
questi piaceri governano i pensieri dell'uomo, e che i pensieri senza di essi sono niente; ma
l'uomo crede che siano reali solamente i pensieri, mentre i pensieri non sono che affezioni
composte in forme dall'amore della sua vita affinché possano apparire nella luce, poiché
ogni affezione è nel calore, ed ogni pensiero nella luce.
[2] Queste sono le affezioni esterne del pensiero, che si manifestano nelle sensazioni del
corpo, ma raramente nei pensieri della mente. Quanto alle affezioni interne del pensiero,
dalle quali provengono le affezioni esterne, esse non si manifestano mai. Di queste
affezioni l'uomo non è cosciente, così come un viaggiatore che dorme in un carro non è
consapevole del cammino che percorre, e come nessuno di noi avverte il movimento di
rotazione della terra. Poiché l'uomo non sa nulla delle cose che si agitano negli accessi più
interni della sua mente, le quali sono così infinite che non si possono determinare coi
numeri, e tuttavia quei pochi eventi esterni che raggiungono il nostro pensiero cosciente
sono prodotti dagli eventi interiori. E dato che solo il Signore governa le profondità
tramite la sua Divina Provvidenza, ed a noi è concesso di cooperare solamente in quelle
poche cose esterne, come si può affermare che la nostra prudenza è tutto? Se fosse visibile
anche soltanto una idea del pensiero, si vedrebbero più meraviglie di ciò che la lingua può
esprimere.
[3] Che nell’interiorità della mente dell'uomo vi siano cose così infinite che non si
possono determinare coi numeri, è evidente dalle infinite componenti del corpo, delle
quali non perviene alla vista ed ai sensi che una sola azione semplicissima, alla quale
nondimeno concorrono migliaia di fibre motrici o muscolari, migliaia di fibre nervose,
migliaia di vasi sanguigni, migliaia di azioni dei polmoni, che devono cooperare in ogni
azione, migliaia di fenomeni nel cervello e nella spina dorsale, e molte più ancora
nell'uomo spirituale, che è la mente umana, che sono tutte forme delle affezioni, e quindi
le forme delle percezioni e dei pensieri. L'anima, che dispone gli eventi interiori, non
dispone forse le azioni che da essi derivano? L'anima dell'uomo non è altro che l'amore
della sua volontà, e quindi l'amore del suo intelletto; questo amore è tutto l'uomo, ed egli
diviene tale a seconda di come dispone le cose esteriori, nelle quali l'uomo coopera col
Signore. Pertanto, se egli attribuisce ogni cosa a se stesso e alla natura, l'anima diviene
l'amore di sé; ma se egli attribuisce tutto al Signore, l'anima diviene l'amore del Signore.
Quest’ultimo è l'amore celeste, mentre il primo è l'amore infernale.
200. Poiché i piaceri delle affezioni dell'uomo lo trasportano dai livelli più intimi
attraverso i livelli interiori fino a quelli esteriori, ed infine agli estremi che sono nel corpo,
come le onde e i venti trasportano una nave, e poiché nulla di tutto questo appare
all'uomo, tranne ciò che accade nei livelli più esterni della mente ed in quelli del corpo,
come può l'uomo pretendere di essere divino solo perché queste poche cose esteriori gli
sembrano sotto il suo controllo? E tanto meno egli deve pretendere di essere divino,
quando sa dalla Parola che l'uomo non può prendere nulla da sé, se non gli è data dal
cielo; e quando sa, grazie alla sua ragione, che gli è concessa questa apparenza affinché
viva come uomo, veda cosa è bene e cosa è male, scelga l'uno o l'altro e si appropri di ciò
che sceglie, al fine di potersi reciprocamente congiungere al Signore, riformare, rigenerare,
salvare e vivere in eterno. Ho mostrato in precedenza che questa apparenza è concessa
all'uomo affinché agisca in virtù della libertà secondo la ragione, così come da se stesso, e
non resti passivo, aspettando l'influsso. Ciò conferma il terzo principio, cioè: le affezioni
dell'amore della vita dell'uomo sono guidate dal Signore tramite la sua Divina Provvidenza, ed in
pari tempo sono guidati i suoi pensieri, da cui proviene la prudenza umana.
201. IV. Il Signore, tramite la sua Divina Provvidenza, riunisce le affezioni del genere umano in
una sola forma, che è la forma umana. Nel paragrafo seguente si vedrà che questa è una
caratteristica universale della Divina Provvidenza. Coloro che attribuiscono tutto alla
natura, attribuiscono tutto alla prudenza umana; poiché coloro che attribuiscono tutto alla
natura negano Dio nel loro cuore, e coloro che attribuiscono tutto alla prudenza umana
negano nel loro cuore la Divina Provvidenza: le due cose sono legate fra loro. Tuttavia
questi e quelli, per la loro reputazione e per il timore di perderla, affermano che la Divina
Provvidenza è universale, e che l'uomo è responsabile dei dettagli: questi ultimi, nel loro
complesso, sono ciò che si intende per “prudenza umana”.
[2] Ma si indaghi rigorosamente: che cos’è una “provvidenza universale”, se i dettagli
sono separati da essa? Non è forse solo una parola? Viene definito “universale” ciò che è
formato dai dettagli riuniti, così come viene definita una generalità ciò che esiste dai
particolari specifici. Se dunque si separano i dettagli, che cos’è l'universale, se non
qualcosa che dentro è vuoto, così come una superficie dentro la quale non c'è niente, o
come un composto privo di componenti? Se si dicesse che la Divina Provvidenza è un
governo universale, ma che nessuna cosa è governata, tutto è solamente mantenuto unito,
e le attività di governo vengono espletate da altri, si potrebbe chiamare questo un governo
universale? Nessun re ha un governo del genere. Se un re concedesse ai suoi sudditi di
governare tutte le cose del suo regno, egli non sarebbe più re, ma avrebbe solamente il
nome di re: avrebbe soltanto la dignità del nome, senza alcuna dignità sostanziale. Ad un
re del genere non si potrebbe attribuire alcun governo, tanto meno un governo universale.
[3] Ciò che è la Provvidenza in Dio, al livello umano si chiama prudenza. Come la
prudenza non si può definire universale in un re che ha solo il nome di re, affinché il regno
possa essere chiamato regno, e in tal modo mantenersi unito, così la Provvidenza non
potrebbe definirsi universale, se gli uomini provvedessero a tutto con la propria prudenza.
Lo stesso vale per i termini di “provvidenza universale” e di “governo universale” quando
ci riferiamo al mondo materiale, se affermiamo che Dio ha creato l'universo, e che ha
concesso al mondo materiale la capacità di produrre da se stessa tutte le cose. Cosa
sarebbe allora la “provvidenza universale”, in questo caso, se non un termine metafisico
che, a parte il fatto di essere un termine, non ha alcuna realtà? Tra coloro che attribuiscono
alla natura tutto ciò che si manifesta, e alla prudenza umana tutto ciò che accade, e
nonostante ciò affermano a parole che Dio ha creato la natura, ve ne sono molti che
pensano alla Divina Provvidenza solo come ad una parola priva di senso. Tuttavia la
Divina Provvidenza include i più piccoli dettagli del mondo materiale, ed i più piccoli
dettagli della prudenza umana: perciò essa è universale.
202. La Divina Provvidenza del Signore è universale in virtù della sua attenzione per i
più piccoli dettagli, e specificamente in virtù del fatto che il Signore ha creato l'universo
affinché in esso si realizzi un suo infinito ed eterno processo di creazione. Questa
creazione avviene in quanto il Signore forma un cielo dagli uomini, un cielo che dinanzi a
lui è come un solo individuo a sua immagine e somiglianza. È stato già mostrato (dal n. 27
al n. 45) che il cielo formato da uomini appare come tale allo sguardo del Signore, e che
esso è il fine della creazione. È stato anche spiegato che il Divino considera quel che è
infinito ed eterno in tutto ciò che fa (dal n. 56 al n. 69). Lo scopo infinito ed eterno che il
Signore ha in mente formando il suo cielo di uomini, è che esso si espanda all'infinito e in
eterno, e che Egli possa dimorare costantemente nel fine della sua creazione. È a questa
creazione infinita ed eterna che il Signore ha provveduto con la creazione dell'universo; ed
egli è costantemente in questa creazione grazie alla sua Divina Provvidenza.
[2] In tutte le chiese del mondo cristiano si afferma che Dio Padre, Dio Figlio e Dio
Spirito Santo è infinito ed eterno, increato e onnipotente (si veda il simbolo di Atanasio).
Chi mai, sapendo e credendo in virtù della dottrina della chiesa che Dio è infinito ed
eterno, potrebbe essere così irragionevole da non affermare, non appena ode tale verità,
che Iddio nella sua grande opera di creazione non può avere come scopo che l'infinito e
l'eterno: quale altro fine egli può avere, infatti, mentre agisce in virtù di se stesso? Non
dovremmo anche convenire che egli cerca questo fine nel genere umano, da cui forma il
suo cielo? Può forse la Divina Provvidenza avere come scopo altro che la riforma del
genere umano e la sua salvezza? Nessuno può riformarsi da se stesso, grazie alla sua
prudenza: veniamo riformati dal Signore tramite la sua Divina Provvidenza. Ne consegue
che se il Signore non lo conduce in ogni momento, anche per un brevissimo istante, l'uomo
recede dalla via della riforma e perisce.
[3] Ogni mutazione e variazione dello stato della mente umana muta e varia qualcosa
nella serie degli eventi presenti, e quindi di quelli futuri; e perché non dovrebbe farlo
all’infinito, fino all'eternità? È come una freccia lanciata da un arco. Se fin dalla partenza la
freccia deviasse anche per poco, giunta a grande distanza la deviazione sarebbe immensa.
La stessa cosa accadrebbe se il Signore in un qualsiasi momento, anche brevissimo, non
dirigesse lo stato delle menti umane. Il Signore agisce così secondo le leggi della sua
Divina Provvidenza, ed è conforme a queste leggi che sembri all'uomo che egli si conduca
da se stesso; ma il Signore prevede come si condurrà, e continuamente opera
aggiustamenti. Si vedrà in seguito (dal n. 234 al n. 274, dal n. 322 al n. 330) che le leggi di
concessione sono anche leggi della Divina Provvidenza; che ogni uomo si può riformare e
rigenerare, e che non vi è alcuna predestinazione.
203. Poiché ogni uomo dopo la morte vive eternamente, ed ottiene, secondo la sua vita,
un posto nel cielo o nell'inferno, e l'uno e l'altro, tanto il cielo quanto l'inferno, devono
avere una forma che consenta loro di agire come unità, come si è già detto (n. 124); e
poiché nessuno, in tale forma, può ottenere un altro posto che non sia il suo, ne consegue
che il genere umano in tutta la terra è sotto la supervisione del Signore; che ognuno,
dall'infanzia fino alla fine della sua vita, è condotto da lui fin nei più piccoli dettagli, e che
il suo posto è preveduto e predisposto per lui. Quindi è evidente che la Divina
Provvidenza del Signore è universale, perché essa è nei più piccoli dettagli; e che è questa
la creazione infinita ed eterna che il Signore ha provveduto per se stesso con la creazione
dell'universo. L'uomo non vede nulla di questa Provvidenza universale, e se la vedesse,
essa apparirebbe ai suoi occhi come appaiono ai passanti i mucchi di materiali sparsi e
disordinati con i quali si deve costruire una casa; ma al cospetto del Signore essa è come
un palazzo magnifico, costantemente in via di costruzione e di ingrandimento.
205. VI. Coloro che hanno riconosciuto il solo mondo naturale e la sola prudenza umana
costituiscono l'inferno; e quelli che hanno riconosciuto Dio e la sua Divina Provvidenza
costituiscono il cielo. Tutti coloro che conducono un’esistenza malvagia riconoscono
interiormente la sola dimensione naturale e la sola prudenza umana; l’affermazione
dell'una e dell'altra è nascosta interiormente in ogni male, per quanto sia dissimulata sotto
il velo di cose buone e vere: queste sono solamente abiti presi in prestito, o ghirlande di
fiori che appassiscono, disposte intorno al male affinché esso non appaia nella sua nudità.
A causa di questo velo si ignora generalmente che tutti coloro che conducono una vita
malvagia riconoscano interiormente la sola dimensione materiale e la sola prudenza
umana, poiché grazie a tale velo, ciò è sottratto alla vista; ma, nonostante il fatto che essi
affermino la natura materiale e la prudenza umana, si può scoprire l'origine e la causa di
questa loro affermazione. Perciò si dirà da dove procede e cos’è la propria prudenza,
quindi da dove procede e cos’è la Divina Provvidenza; e poi, chi e come sono coloro che
riconoscono questa, e chi e come sono coloro che riconoscono quella; ed infine, che coloro
che riconoscono la Divina Provvidenza sono nel cielo, e coloro che riconoscono la propria
prudenza sono nell'inferno.
206. Da dove procede e cos’è la propria prudenza. Essa procede dal proprium dell'uomo,
che è la sua natura, e che si chiama “anima”, derivata dal padre; questo proprium è l'amore
di sé e quindi ,l'amore del mondo, ovvero l'amore del mondo e quindi l'amore di sé.
L'amore di sé è tale che l’uomo considera sé solo, e considera gli altri come cose di nessun
valore o come un puro nulla; se concede qualche considerazione ad alcuni, ciò avviene
nella misura in cui essi lo onorano e lo riveriscono. Come nel seme vi è la tendenza a
fruttificare ed a prolificare, nell’intimo di questo amore si nasconde il desiderio di divenire
grande, se possibile di divenire re, e addirittura di divenire Dio: questo è il diavolo, perché
esso non è altro che l’amore di sé, un amore che adora se stesso, e non è favorevole se non
a colui che lo adora. Egli odia un altro diavolo simile a lui, perché egli solo vuole essere
adorato. Poiché non può esistere alcun amore senza la sua consorte, e la consorte
dell'amore o della volontà nell'uomo si chiama intelletto, quando l'amore di sé ispira il suo
amore all'intelletto, che è la sua consorte, questo amore diviene orgoglio, l’orgoglio per la
propria intelligenza. Tale orgoglio è l’origine della propria , prudenza.
[2] Inoltre, siccome l'amore di sé vuole essere egli solo padrone del mondo, e di
conseguenza anche Dio, le concupiscenze del male, che ne costituiscono le derivazioni,
prendono vita da questo amore; e ciò vale anche per le percezioni delle concupiscenze, che
sono gli intrighi e le astuzie, per i piaceri delle concupiscenze, che sono i mali, e per i loro
pensieri, che sono le falsità.
207. Da dove procede e cos’è Divina Provvidenza. Essa è la Divina operazione agente
presso l’uomo che ha rimosso l’amore di sé che, come si è detto, è il diavolo, e le cupidità e
i loro piaceri sono i mali del suo regno, che è l’inferno. Una volta rimosso questo amore, il
Signore entra nell’uomo con l’affezione dell’amore per il prossimo, apre la finestra del suo
tetto, e poi le finestre dei lati, e fa in modo che l’uomo veda che esiste il cielo, la vita dipo
la morte, che vi è una felicità eterna; e attraverso l’influsso della luce spirituale e
dell’amore spirituale, gli fa riconoscere che Dio governa tutte le cose per mezzo della sua
Divina Provvidenza.
208. Chi e quali siano coloro che riconoscono la Divina Provvidenza; e chi e quali siano
coloro che non la riconoscono. Coloro che riconoscono Dio e la sua Divina Provvidenza
sono come gli angeli del cielo, ai quali ripugna di condursi da se stessi e amano essere
guidati dal Signore. Il fatto che essi amino il prossimo è sintomatico che sono guidati dal
Signore. Al contrario, coloro che riconoscono la natura e la propria prudenza sono come
gli spiriti dell’inferno, ai quali ripugna d’esser guidati dal Signore, e amano condursi da se
stessi. Se questi furono blasonati in un regno, voglio dominare sopra ogni cosa; allo stesso
modo se furono ai vertici nella chiesa, se furono giudici, essi pervertono i giudizi ed
esercitano il dominio sulle leggi. Se furono eruditi, si consolidano nel loro proprio e nella
natura, applicando la loro scienza. Se furono commercianti, agiscono da ladri; se furono
contadini, agiscono da briganti. Tutti sono nemici di Dio e si fanno scherno della Divina
Provvidenza.
209. È una cosa straordinaria che, quando il cielo viene aperto a tali spiriti e si dice loro
che essi sono folli, e ciò si manifesta anche alla loro percezione (cosa che accade grazie
all'influsso ed all’illuminazione) essi, indignati, si chiudono al cielo, e volgono i loro
sguardi a terra, sotto cui è l'inferno: ciò ha luogo nel mondo spirituale, per coloro che sono
ancora fuori dall'inferno. Da qui si vede chiaramente l'errore di coloro che pensano: « Se io
vedessi il cielo, e udissi gli angeli parlare con me, allora crederei ». Il loro intelletto
potrebbe credere, ma se anche la volontà non crede, in realtà essi non credono affatto,
poiché l'amore della volontà ispira all'intelletto tutto ciò che vuole, e non viceversa; anzi,
questo amore distrugge tutto ciò che nell'intelletto non proviene da se stesso.
210. VII. Tutte queste cose non possono aver luogo, se all’uomo non sembra di pensare e condurre
la propria vita autonomamente. Se non apparisse all'uomo che egli pensa, vuole e vive in
autonomia, egli non sarebbe uomo: ciò è stato pienamente mostrato nei paragrafi
precedenti (dal n. 71 al n. 99, e nn. 174 e 176). Ne consegue che, se all'uomo non apparisse
di poter disporre in virtù della propria prudenza di tutte le cose che appartengono alle sue
funzioni e alla sua vita, egli non potrebbe essere condotto né disposto dalla Divina
Provvidenza, poiché egli sarebbe simile a chi sta con le mani pendenti, con la bocca aperta,
con gli occhi chiusi, trattenendo il respiro, in attesa dell'influsso. In tal modo egli si
priverebbe della qualità di essere umano, che possiede in virtù della percezione e della
sensazione che egli vive, pensa, vuole, parla e agisce come da se stesso; ed in pari tempo si
spoglierebbe delle sue due facoltà, che sono la libertà e la razionalità, grazie alle quali si
distingue dalle bestie. Senza questa apparenza di autonomia nessun uomo avrebbe
ricettività né reciprocità, né di conseguenza l'immortalità, come è stato mostrato in questo
trattato, ed in Divino Amore e Divina Sapienza. Dunque, se vuoi essere condotti dalla Divina
Provvidenza, si deve fare uso della prudenza, come il servitore ed il fattore che
amministra fedelmente i beni del suo padrone; questa prudenza è il “talento” che fu dato
ai servi per farlo fruttare, e di cui essi dovevano render conto (Luca 19:1325. Matteo 25:14
31). La prudenza stessa sembra all'uomo come propria, e finché l'uomo la crede come
propria, egli tiene chiuso in sé il nemico più accanito di Dio e della Divina Provvidenza,
cioè l' amore di sé. Questo amore abita nell’interiorità di ogni uomo fin dalla nascita: se
non lo si riconosce — perché egli non vuole essere conosciuto — egli continua a vivere in
perfetta sicurezza, e custodisce la porta, affinché l’uomo non l’apra e il Signore possa
sradicarlo. L’uomo apre questa porta allorché rifugge, come con le proprie forze, i mali in
quanto peccati, riconoscendo che ciò viene dal Signore. È con questa prudenza che la
Divina Provvidenza può cooperare.
211. Vi è una ragione per cui la Divina Provvidenza opera così segretamente che solo
qualcuno è consapevole della sua esistenza; tale ragione è che l'uomo non perisca, poiché il
proprium dell'uomo, che è la sua volontà, non coopera mai con la Divina Provvidenza. Nel
proprium dell'uomo vi è un’inimicizia innata contro di essa: questo proprium è il serpente
che sedusse i nostri primi padri, e del quale si dice:
Io metterò inimicizia fra te e la donna, e fra il tuo e il suo seme; e il suo seme ti schiaccerà la
testa (Gen. 3:15)
Il serpente significa ogni genere di male, la sua testa è l'amore di sé, il seme della donna è il
Signore, l’inimicizia posta fra loro è quella fra l'amore del proprium umano e il Signore, e di
conseguenza fra la prudenza umana e la Divina Provvidenza del Signore, poiché la
propria prudenza non cessa di alzare la sua testa, e la Divina Provvidenza non retrocede
nell’opera di atterrarla.
[2] Se l'uomo sentisse ciò, egli si adirerebbe e si irriterebbe contro Dio, e perirebbe.
Poiché non avverte tutto ciò, egli si può adirare ed irritare contro gli uomini e contro se
stesso, ed anche contro il destino, ma questo non gli è fatale. Dunque il Signore, grazie alla
sua Divina Provvidenza, non cessa di condurre l'uomo nella sua libertà, che appare
all’uomo come sua propria. Condurre nella libertà chi vi si oppone è come sollevare da
terra un peso grave e resistente con le macchine, per la forza delle quali non si avvertono
la pesantezza e la resistenza; è altresì come se un uomo fosse vicino ad un nemico, che
avesse senza che egli lo sapesse l’intenzione di ucciderlo, e che un amico lo facesse
uscire per vie ignote, e poi gli svelasse l'intenzione del nemico.
212. C’è forse qualcuno che non parli della fortuna, e che non la riconosca? In realtà tutti
ne parlano, e ne sanno qualcosa per esperienza; ma chi sa che cosa essa sia? Non si può
negare che essa sia qualcosa, poiché esiste e si manifesta. Tuttavia qualcosa non può
esistere e non può manifestarsi senza una causa; ma non sappiamo ciò che causa un
evento o l’altro, o ciò che causa la fortuna. Ma affinché questa non sia negata per il solo
motivo che la sua causa è ignota, si prendano dei dadi o delle carte da gioco, o si
consultino dei giocatori; chi tra loro negherà l’esistenza della fortuna? Poiché essi giocano
in modi ammirevoli con lei, ed essa con loro; ma chi può combattere contro di lei, se ella si
ostina? Non ride essa allora della prudenza e della sapienza? Mentre si fanno rotolare i
dadi e si mescolano le carte, non sembra forse che essa conosca e disponga i movimenti dei
muscoli delle mani, allo scopo di favorire, per qualche ragione, un giocatore più di un
altro? La causa non può trovarsi altrove che nella Divina Provvidenza che è nelle cose più
esteriori, laddove, nella costanza e nel mutamento, essa opera meravigliosamente con la
prudenza umana, e in pari tempo si nasconde.
[2] È noto che i pagani abbiano un tempo riconosciuto la fortuna e le abbiano eretto un
tempio, come gli italiani a Roma. Intorno a questa fortuna che, come si è detto, è la Divina
Provvidenza nelle cose più esteriori, ci sarebbero da dire molte cose, che non mi è lecito di
rivelare. È dunque evidente che essa non è un’illusione della mente, né un gioco della
natura, né qualcosa priva di causa, poiché allora sarebbe un puro nulla: al contrario, essa è
una testimonianza visibile che la Divina Provvidenza si trova nei minimi dettagli dei
pensieri e delle azioni umane. Poiché la Divina Provvidenza è nei minimi dettagli di cose
tanto triviali e inconsistenti, perché non dovrebbe trovarsi nei minimi dettagli di cose né
vili né frivole, come la pace e la guerra nel mondo, e la salvezza e la vita nel cielo?
213. Ma io so che la prudenza umana è più attraente per la nostra ragione della Divina
Provvidenza, perché la Divina Provvidenza non si manifesta, mentre la prudenza umana è
ben visibile. Si può ammettere più facilmente che esiste una vita unica, che è Dio, e che
tutti gli uomini sono recipienti della vita che procede da Dio, come si è già più volte
mostrato; ma ciò non fa alcuna differenza, poiché la prudenza appartiene alla vita. Tutti
parlano a favore della propria prudenza e della natura, allorché ragionano in virtù
dell'uomo naturale o esterno, ed a favore della Divina Provvidenza, allorché ragionano in
virtù dell'uomo spirituale o interno. Ma se si prova a dire ad un uomo naturale di scrivere
due libri e di riempirli di argomenti plausibili, probabili, verosimili e solidi, secondo il
proprio giudizio, l'uno a favore della propria prudenza e l'altro a favore della natura, e poi
di consegnarli nelle mani di un angelo, io so che l’angelo scriverà su tutte le pagine:
“Queste cose sono falsità e illusioni.”
XI
La Divina Provvidenza considera le cose eterne, e non considera le cose
temporali se in quanto concordano con le cose eterne
214. Che la Divina Provvidenza consideri le cose eterne, e non consideri le cose temporali
se non nella misura in cui concordino con quelle eterne, deve essere mostrato in questo
ordine:
I. Le cose temporali si riferiscono alle dignità e alle ricchezze, così come agli onori e ai
guadagni nel mondo.
II. Le cose eterne si riferiscono agli onori e alle ricchezze spirituali, che appartengono
all'amore e alla sapienza, nel cielo.
III. Le cose temporali e le cose eterne vengono tenute separate dall'uomo, ma il Signore le
unisce.
IV. La congiunzione delle cose temporali e delle cose eterne è la Divina Provvidenza del
Signore.
215. I. Le cose temporali si riferiscono alle dignità e alle ricchezze, così come agli onori e ai
guadagni nel mondo. Vi sono molte cose temporali, ma tutte si riferiscono alle dignità e alle
ricchezze. Per “cose temporali” si intendono quelle che svaniscono col tempo, o
semplicemente finiscono quando cessa la vita dell'uomo nel mondo; per “cose eterne” si
intendono quelle che non periscono, né finiscono col tempo, né di conseguenza con la vita
nel mondo. Poiché, come si è detto, tutte le cose temporali si riferiscono alle dignità e alle
ricchezze, è importante conoscere i seguenti punti:
a) cosa sono le dignità e le ricchezze, e da dove esse derivano;
b) cos’è l'amore delle dignità e delle ricchezze per se stesse, e cos’è l'amore di esse per gli
usi;
c) questi due amori sono distinti fra loro come l'inferno e il cielo;
d) L'uomo riconosce con difficoltà questa differenza.
Ma ciascuno di questi punti deve essere trattato separatamente.
[3] Ma dopo tale epoca, prevalse gradualmente l'amore di dominare per il solo gusto del
potere; e siccome allora apparvero l'inimicizia e l'ostilità contro coloro che non volevano
sottomettersi, la necessità costrinse le nazioni, le famiglie e le case a riunirsi in assemblee e
ad eleggere un capo, che all’inizio si chiamò giudice, poi principe, ed infine re e
imperatore. Allora gli uomini cominciarono a difendersi per mezzo di torri, bastioni e
muri. Simile a un contagio, il desiderio di dominare si propagò dai giudici, dai principi,
dai re e dagli imperatori fra le moltitudini, come dalla testa nel corpo; ebbero così origine i
vari gradi di dignità, e gli onori legati a queste dignità, e con essi l'amore di sé e l’orgoglio
per la propria prudenza.
[4] La stessa cosa avvenne per l’amore delle ricchezze. Nei tempi più antichi, quando le
nazioni e le famiglie abitavano separatamente l’una dall’altra, l’unico amore per le
ricchezze era quello di possedere le cose necessarie alla vita. Gli uomini trovavano i mezzi
di sussistenza nei greggi e negli armenti, nei campi, nei prati e nei giardini, da cui si
procuravano il cibo. Fra le cose necessarie alla vita di quegli uomini vi erano anche case
decorose, arredate di mobili di ogni specie, e abiti. La cura e l'amministrazione di tutte
queste cose costituivano l'occupazione dei genitori, dei figli, dei servi e delle serve che
vivevano nella casa.
[5] Ma quando l'amore di dominare si diffuse e distrusse questo benessere comune,
anche l'amore di possedere ricchezze al di là del necessario dilagò e crebbe fino a spingere
gli uomini a voler possedere le ricchezze di tutti gli altri. Questi due amori sono come
consanguinei; infatti coloro che vogliono dominare sopra ogni cosa, vogliono anche
possedere ogni cosa. In tal modo tutti divengono schiavi, ed essi soli sono i padroni; ciò è
evidente fra quei cattolici romani che hanno innalzato il loro dominio fino al cielo, fino al
trono del Signore, sul quale si sono seduti. Ciò è evidente anche nella loro brama di
conquistare tutte le ricchezze del mondo, e di accrescere senza fine i loro tesori.
[6] (b) Cos’è l'amore delle dignità e delle ricchezze per se stesse, e cos’è l'amore di esse per gli usi.
L'amore delle dignità e degli onori per se stesse, è l'amore di sé: propriamente parlando, è
l'amore di dominare in virtù dell'amore di sé; e l'amore delle ricchezze e dell'opulenza per
se stesse è l'amore del mondo, ovvero la brama di possedere i beni degli altri con le buone
o con le cattive. Ma l'amore delle dignità e delle ricchezze per gli usi è l'amore degli usi,
che è la stessa cosa dell'amore per il prossimo; poiché ciò per cui l'uomo agisce è il suo
vero fine, ed è lo scopo principale, mentre le altre cose sono i mezzi, e sono secondarie.
[7] Questo amore delle dignità e degli onori per se stessi, che è l'amore di sé e,
specificamente l'amore di dominare in virtù dell'amore di sé, è l'amore del proprium, ed il
proprium dell'uomo comprende tutti i mali. Perciò si dice che l'uomo nasce nel male, e che
ciò che ereditiamo non è altro che male. Ciò che l’uomo eredita è il suo proprium, nel quale
egli si trova, ed a cui partecipa per amore di sé, e principalmente per l'amore di dominare
in virtù dell'amore di sé. L'uomo che è in questo amore non considera che se stesso, ed
immerge così nel suo proprium i suoi pensieri e le sue affezioni. Ne consegue che
nell'amore di sé vi è l'amore di fare del male, e ciò perché non amiamo il prossimo, ma
solamente noi stessi; e chi ama solamente se stesso vede gli altri al di fuori di sé, li
considera come creature prive di valore o come dei puri nulla, che disprezza
paragonandoli a sé, non preoccupandosi di far loro del male.
[8] Dunque, chi è nell'amore di dominare in virtù dell'amore di sé considera come una
cosa da nulla ingannare il prossimo, commettere adulterio con sua moglie, calunniarlo,
vendicarsi di lui e perfino ucciderlo, compiere crudeltà contro di esso, ed altre cose del
genere. Tali atteggiamenti derivano dal fatto che il diavolo stesso, con cui l’uomo è
congiunto e da cui è condotto, non è altro che l'amore di dominare in virtù dell'amore di
sé; e chi è condotto dal diavolo, vale a dire dall'inferno, è condotto in tutti questi mali, e vi
è condotto per i piaceri che derivano da questi mali. Ne consegue che coloro che sono
all'inferno vogliono fare del male a tutti, mentre coloro che sono in cielo vogliono fare del
bene a tutti. In virtù di questa opposizione esiste uno spazio intermedio, dove è l'uomo; e
l'uomo si trova là come in equilibrio, affinché possa rivolgersi verso l'inferno o verso il
cielo. Nella misura in cui egli favorisce i mali dell'amore di sé, nella stessa misura si
rivolge verso l'inferno; ma nella misura in cui li rimuove da sé, nella stessa misura si
rivolge verso il cielo.
[9] Mi è stato concesso di provare la natura e la forza del piacere di dominare in virtù
dell'amore di sé. Fui immerso in questo piacere affinché lo conoscessi: esso superava tutti i
piaceri del mondo. Era il piacere di tutta la mente, dal suo centro fino alla sua superficie; e
nel corpo si avvertiva come una specie di voluttà e benessere, un libero espandersi del mio
petto. Mi fu anche concesso di sentire che da questo piacere scaturivano, come dalla loro
sorgente, i piaceri di tutti i mali: commettere adulterio, vendicarsi, ingannare,
bestemmiare, e fare del male in in ogni modo. Vi è un simile piacere nell'amore di
appropriarsi delle ricchezze degli altri con qualsiasi mezzo; e tale piacere dà origine a
varie concupiscenze che ne derivano. Questo piacere tuttavia non è altrettanto intenso, a
meno che non sia congiunto con l'amore di sé. Quanto a ciò che concerne le dignità e le
ricchezze, ricercate non per se stesse ma per gli usi, esso non è l'amore delle dignità e delle
ricchezze, ma è l'amore degli usi, a cui cui le dignità e le ricchezze servono come mezzi.
Questo amore è celeste; ma di ciò si parlerà più a lungo in seguito (n. 217).
[10] (c) Questi due amori sono fra loro distinti come l'inferno e il cielo. Ciò è evidente da ciò
che è stato già detto, a cui saranno aggiunte alcune cose. Tutti coloro che sono nell'amore
di dominare in virtù dell'amore di sé, siano essi grandi o piccoli, sono, quanto allo spirito,
nell'inferno; e tutti coloro che sono in questo amore, sono nell'amore di tutti i mali.
Seppure non li commettano concretamente, tuttavia nel loro spirito li credono leciti, e
quindi li commettono col corpo, quando la dignità, l'onore e il timore della legge non li
ostacolano. Ma ciò che è più grave, l'amore di dominare in virtù dell'amore di sé racchiude
intimamente l'odio contro Dio, e di conseguenza contro i valori Divini che appartengono
alla chiesa, e principalmente contro il Signore. Se tali uomini riconoscono Dio, lo fanno
solamente a parole; e se riconoscono i valori Divini della chiesa, lo fanno per timore di
perdere l'onore. La ragione per cui questo amore racchiude intimamente l'odio contro il
Signore è che in tale amore si cela la brama di essere Dio, una venerazione e un’adorazione
rivolte solamente a se stessi. Perciò l’uomo che ne è affetto ama di cuore tutti coloro che
che lo definiscono come un possessore di sapienza divina e un semidio in terra.
[11] Del tutto diverso è l'amore delle dignità e delle ricchezze per gli usi; questo amore è
celeste, perché, come si è detto, si identifica con l'amore per il prossimo. Per usi si
intendono le buone azioni, e quindi compiere gli usi significa compiere buone azioni; e
compiere gli usi, ovvero le buone azioni significa essere utili agli altri e servirli. Pur
avendo potere e ricchezza, questi non vengono considerati se non come mezzi per
compiere degli usi, cioè per essere utili e servire. È questo il significato delle parole del
Signore:
Colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo
tra voi, si farà vostro schiavo (Matteo 20:2627)
A tali uomini viene concessa dal Signore un’autorità nel cielo, poiché per essi l’autorità è
un mezzo per compiere usi o buone azioni, e di conseguenza per servire; e quando gli usi
o le buone azioni sono i fini o gli amori, allora non sono essi che dominano, ma è il
Signore, poiché ogni bene viene dal Signore.
[12] (d) L'uomo riconosce con difficoltà questa differenza. Ciò avviene perché gran parte di
coloro che hanno potere e ricchezza compiono anche degli usi; ma essi non sanno se li
compiono per amore di se stessi o degli usi. Tanto meno lo sanno, poiché in coloro che
sono nell'amore di sé e del mondo vi è più fuoco e passione nel compiere gli usi, che non
in coloro che non sono nell'amore dì sé e del mondo. I primi, tuttavia, compiono gli usi per
la loro reputazione o per ottenere un guadagno, quindi per se stessi; ma coloro che
compiono gli usi per amore degli usi, o le buone azioni per amore delle buone azioni, non
lo fanno da se stessi, ma in virtù del Signore.
[13] La differenza fra loro è difficilmente riconoscibile, perché 1'uomo non sa se è
condotto dal diavolo o dal Signore. Colui che è condotto dal diavolo compie gli usi per sé
e per il mondo; ma colui che è condotto dal Signore compie gli usi per il Signore e per il
cielo. Tutti coloro che fuggono i mali come peccati compiono gli usi in virtù del Signore,
mentre tutti coloro che non fuggono i mali come peccati, compiono gli usi in virtù del
diavolo; poiché il male è il diavolo, e l'uso, o il bene, è il Signore. Così, e non altrimenti, si
riconosce la differenza. Esteriormente l'uno e l'altro sembrano simili, ma nella forma
interna sono del tutto dissimili: l'uno è come oro nel quale vi sono delle scorie, mentre
l'altro è come oro nel quale vi è solo oro puro; l'uno è come un frutto artificiale, che nella
forma esterna sembra come il frutto di un albero, benché sia solo cera colorata, dentro la
quale vi è polvere o bitume, mentre l'altro è come un frutto delicato, delizioso e fragrante,
dentro il quale vi sono dei semi.
216. II. Le cose eterne si riferiscono agli onori e alle ricchezze spirituali, che appartengono
all'amore e alla sapienza nel cielo. Poiché l'uomo naturale chiama beni i piaceri dell'amore di
sé, che sono anche i piaceri delle concupiscenze del male, e si convince che sono cose
buone, egli definisce di conseguenza “benedizioni divine” gli onori e le ricchezze. Ma
quando l’uomo naturale vede che i malvagi ottengono onori e ricchezze come i buoni, e
ancor di più quando vede che i buoni ricevono solo disprezzo e povertà, mentre i malvagi
vivono nella gloria e nell’opulenza, egli pensa fra sé: “Che cos’è tutto ciò? Non può essere
la Divina Provvidenza, perché se essa governasse ogni cosa, colmerebbe di onori e di
ricchezze i buoni, ed affliggerebbe con povertà e disprezzo i cattivi, costringendoli così a
riconoscere che c'è un Dio e una Divina Provvidenza.”
[2] Ma l'uomo naturale, se non viene illuminato dall'uomo spirituale (vale a dire, se non
è in pari tempo naturale e spirituale) non vede che gli onori e le ricchezze possono essere
benedizioni così come possono essere maledizioni; e che, quando sono benedizioni,
vengono da Dio, ma quando sono maledizioni, vengono dal diavolo. È noto che vi siano
onori e ricchezze che vengono dal diavolo, poiché è per questo che egli viene chiamato il
“Principe del mondo.” Poiché si ignorano gli onori e le ricchezze che sono benedizioni, e
quelli che sono maledizioni, è necessario precisarli in quest'ordine:
Primo: gli onori e le ricchezze possono essere benedizioni o maledizioni.
Secondo: gli onori e le ricchezze, quando sono benedizioni, sono spirituali ed eterni; ma
quando sono maledizioni, sono temporali e caduchi.
Terzo: gli onori e le ricchezze che sono maledizioni, in confronto agli onori e alle ricchezze
che sono benedizioni, sono come il niente in confronto al tutto, e come ciò che è irreale in
confronto a ciò che è reale.
217. Questi tre punti devono essere illustrati separatamente.
Primo. Gli onori e le ricchezze possono essere benedizioni o maledizioni. La comune esperienza
attesta che tanto gli uomini pii quanto gli empi, o tanto i giusti quanto gli ingiusti, vale a
dire sia i buoni, sia i cattivi, possono avere potere e ricchezza. Tuttavia nessuno può
negare che gli uomini empi e ingiusti, cioè i malvagi, vadano all'inferno, e che gli uomini
pii e giusti, cioè i buoni, vadano in cielo. Poiché questo è vero, ne consegue che l’autorità e
le ricchezze, ovvero gli onori e l'opulenza, possono essere benedizioni o maledizioni, e che
per i buoni sono benedizioni, e per i malvagi sono maledizioni. In Cielo e inferno, edita in
Londra nel 1758 (dal n. 357 al n. 365), è stato mostrato che nel cielo, così come nell'inferno,
vi sono sia ricchi, sia poveri, e grandi uomini così come persone normali. È dunque
evidente che per coloro che sono nel cielo le dignità e le ricchezze del mondo furono
benedizioni, e che per coloro che sono all'inferno esse furono, nel mondo, maledizioni.
[2] Se riflettiamo un poco con la nostra ragione su questo argomento, scopriremo perché
questi doni possono essere benedizioni o maledizioni. Sono benedizioni per quelli che non
vi mettono il cuore, e sono maledizioni per coloro che vi mettono il cuore; mettervi il cuore
significa amare in esse se stesso, e non mettervi il cuore significa amare in esse gli usi e
non se stesso. È stato già detto (n. 215) quale sia la differenza fra questi due amori. Bisogna
aggiungere che le dignità e le ricchezze seducono gli uni e non seducono gli altri; esse
seducono quando eccitano l'amore del proprium dell'uomo, cioè l'amore di sé, il quale,
come si è detto, è l'amore dell'inferno, che si chiama “diavolo” (si veda nn. 206 e 207); ma
esse non seducono, quando non eccitano questo amore.
[3] Se tanto i cattivi quanto i buoni ottengono onori e ricchezze, è perché sia i cattivi, sia i
buoni compiono degli usi, ma i cattivi per i loro vantaggi e per la loro immagine pubblica,
mentre i buoni per amore delle buone azioni stesse e per il bene che ne deriva. I buoni
considerano gli onori e i guadagni, in quanto fonte di bene, come cause principali, e gli
onori e i guadagni della loro persona come cause strumentali, mentre i cattivi considerano
gli onori e i guadagni della loro persona come cause principali, e gli onori e i guadagni
come causa di bene in quanto cause strumentali. È tuttavia evidente che l’immagine, la
posizione e il rango hanno la funzione di permettere all’uomo di compiere il proprio
dovere, e non viceversa. Chi non vede che il giudice è lì per fare giustizia, il pubblico
ufficiale per amministrare il bene comune, il re per il regno, e non viceversa? Per tale
motivo, secondo le leggi del regno, ognuno ha la dignità e l’onore corrispondente alla
dignità di ciò per cui esercita la sua funzione; la differenza è quella che esiste fra ciò che è
principale e ciò che è strumentale. Colui che attribuisce gli onori a se stesso o alla sua
immagine viene rappresentato nel mondo spirituale come un uomo capovolto, coi piedi in
su e la testa in giù.
[4] Secondo. Gli onori e le ricchezze, quando sono benedizioni, sono spirituali ed eterni; ma
quando sono maledizioni, sono temporali e caduchi. Nel cielo vi sono dignità e ricchezze come
nel mondo, poiché esistono governi, e quindi amministrazioni e funzioni; vi sono inoltre
commerci, e di conseguenza ricchezze, poiché vi sono comunità e associazioni. Il cielo
intero è distinto in due regni, di cui l'uno si chiama regno celeste, e l'altro regno spirituale,
e ciascun regno è diviso in innumerevoli società, le une più grandi, le altre più piccole.
Tutte queste società, così come tutti coloro che ne fanno parte, sono ordinate secondo la
differenza di amore e sapienza che esiste fra loro: le società del regno celeste secondo le
differenze dell'amore celeste, che è l'amore per il Signore; e le società del regno spirituale
secondo le differenze dell'amore spirituale, che è l'amore verso il prossimo. Poiché vi sono
tali società, e tutti coloro che ne fanno parte sono stati uomini in questo mondo, e quindi
conservano in sé gli amori che hanno avuto nel mondo, con la differenza che adesso sono
uomini spirituali, e che le stesse dignità e ricchezze sono spirituali nel regno spirituale, e
celesti nel regno celeste, ne consegue che coloro che hanno più amore e sapienza degli altri
hanno più dignità e ricchezze degli altri: essi sono coloro per i quali le dignità e le
ricchezze nel mondo furono benedizioni.
[5] Da ciò si può riconoscere quali siano le dignità e le ricchezze spirituali; vale a dire che
esse appartengono alla funzione, e non alla persona. Coloro che hanno dignità, possiedono
la magnificenza e la gloria dei re sulla terra; ma, nonostante ciò, essi non considerano la
dignità come importante, bensì gli usi. Essi ricevono gli onori che spettano alla loro
dignità, ma non li attribuiscono a se stessi, bensì li attribuiscono agli usi; e dato che tutti gli
usi vengono dal Signore, essi li attribuiscono al Signore come loro sorgente. Tali dunque
sono le dignità e le ricchezze spirituali, che sono eterne.
[6] Ma le cose stanno altrimenti nel caso di coloro per i quali le dignità e le ricchezze nel
mondo sono state maledizioni. Questi, avendole attribuite a se stessi e non agli usi, e non
avendo accettato che gli usi fossero più importanti di loro, anzi avendo voluto essere più
importanti degli usi, che consideravano come usi solo perché servivano al loro onore e alla
loro gloria, di conseguenza sono all'inferno come vili schiavi, nel disprezzo e nella miseria.
Perciò, poiché queste dignità e ricchezze sono destinate a perire, si definiscono temporali e
caduche. Riguardo a questi due tipi di persone, il Signore insegna:
Non fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e
rubano; ma fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non
scassinano né rubano. Perché dov'è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore. (Matteo 6:19, 20, 21)
[7] Terzo. Gli onori e le ricchezze che sono maledizioni, in confronto agli onori ed alle ricchezze
che sono benedizioni, sono come il niente in confronto al tutto, e come ciò che è irreale in confronto
a ciò che è reale. Tutto ciò che perisce e diventa nulla, interiormente è nulla. È vero che
esteriormente è qualcosa, e che anzi appare come molto, e ad alcuni come tutto, finché
dura, ma non è così interiormente: è come una superficie dentro la quale non vi è nulla;
come un attore travestito da re, quando finisce la rappresentazione. Ma ciò che dura in
eterno è in sé eternamente qualcosa, anzi è tutto; esiste realmente, perché la sua realtà non
ha fine.
218. III. Le cose temporali e le cose eterne vengono tenute separate dall’uomo, ma vengono unite
dal Signore. È così perché tutte le cose umane sono temporanee; perciò l'uomo può definirsi
temporaneo, e tutte le cose del Signore sono eterne. Ne consegue che il Signore si può
chiamare Eterno, e le cose temporanee sono quelle che hanno fine e periscono; ma le cose
eterne sono quelle che non hanno fine e non periscono. Ognuno può rendersi conto che
queste due specie di cose possono essere congiunte solo grazie alla sapienza infinita del
Signore, e che dunque esse possono essere congiunte dal Signore e non dall'uomo.
Affinché si sappia che queste due specie di cose vengono separate dall'uomo, mentre
vengono congiunte dal Signore, sarà mostrato in quest'ordine:
1° Cosa sono le cose temporali e cosa sono le cose eterne.
2° L'uomo è temporaneo in sé, ed il Signore è eterno in Sé; quindi dall'uomo non può
procedere se non ciò che è temporaneo, e dal Signore non può procedere se non ciò che è
eterno.
4° Il Signore congiunge l'uomo a Sé per mezzo di apparenze.
5° E per mezzo di corrispondenze.
219. Queste proposizioni debbono essere illustrate e mostrate singolarmente.
1° Cosa sono le cose temporali e cosa sono le cose eterne. Le cose temporali sono tutte quelle che
appartengono alla natura, e quindi all'uomo. Le proprietà primarie della natura sono
principalmente lo spazio e il tempo, che hanno entrambi limiti e confini. Le proprietà
umane, che da queste derivano, comprendono le proprietà della sua volontà e del suo
intelletto, con le affezioni ed i pensieri che esse generano, e soprattutto quelle relative alla
sua prudenza; è noto che esse sono finite e limitate. Ma le cose eterne sono tutte le
proprietà del Signore, e le proprietà del Signore che sembrano appartenere all’uomo. Le
proprietà del Signore sono tutte infinite ed eterne, quindi al di là del tempo, e di
conseguenza senza limite e senza fine. Le proprietà derivative, che sembrano proprie
dell'uomo, sono ugualmente infinite ed eterne; tuttavia nessuna di esse gli appartiene
realmente: sono proprietà del Signore nell'uomo.
2° L'uomo è temporaneo in sé, ed il Signore è eterno in Sé; quindi dall'uomo non può procedere se
non ciò che è temporaneo, e dal Signore non può procedere se non ciò che è eterno. E stato già detto
che l'uomo è in sé temporaneo, e che il Signore è in sé eterno. Poiché è impossibile che da
una cosa possa procedere qualcosa che non si trova in essa, ne consegue che dall'uomo
può procedere solo ciò che è temporaneo, e dal Signore ciò che è eterno. Infatti l'infinito
non può procedere dal finito: ciò sarebbe una contraddizione. Tuttavia l'infinito può
procedere dal finito, ma non dal finito in sé, bensì dall'infinito per mezzo del finito.
Viceversa, il finito non può procedere dall'infinito; anche questa sarebbe una
contraddizione. Il finito può essere prodotto dall'infinito; ma ciò non è un “procedere”,
bensì un “creare”: intorno a questo argomento si veda l’opera Divina Provvidenza, dal
principio alla fine. Perciò se dal Signore procede il finito, come avviene in molte cose
umane, esso non procede dal Signore ma dall'uomo; e si può dire che procede dal Signore
per mezzo dell'uomo, perché così appare.
[3] Ciò si può illustrare con queste parole del Signore:
Ma sia il vostro parlare: Sì, sì; no, no; poiché il di più viene dal maligno (Matteo 5:37)
[4] 3° Le cose temporali tengono separate da sé le cose eterne, mentre le cose eterne congiungono a
sé le cose temporali. Con ciò s’intende che l'uomo (limitato dal tempo) compie cose
temporali in lui; e che il Signore (che è eterno) opera cose eterne in lui, come è stato già
detto (n. 218). è stato mostrato precedentemente (n. 92) che vi è una congiunzione del
Signore presso l'uomo, e una congiunzione reciproca dell'uomo con il Signore; tuttavia la
congiunzione reciproca dell'uomo con il Signore non viene dall'uomo, ma dal Signore. È
stato inoltre osservato (n. 183) che la volontà dell'uomo va in senso contrario alla volontà
del Signore; ovvero, in altri termini, che la prudenza dell'uomo va in senso contrario
rispetto alla Divina Provvidenza del Signore. Ne consegue che l'uomo, per le cose
temporali che sono in lui, separa da sé le cose eterne del Signore; ma il Signore congiunge
le sue cose eterne alle cose temporali dell'uomo, cioè si congiunge all'uomo e congiunge
l'uomo a Sé. Poiché di ciò si è trattato diffusamente nei paragrafi precedenti, non occorre
insistervi ulteriormente.
[5] 4° Il Signore congiunge l'uomo a Sé per mezzo di apparenze. Infatti è solo un’apparenza
che l'uomo, con le sue forze, ami il prossimo, faccia il bene e dica il vero. Se ciò non
apparisse all'uomo come proveniente da lui, egli non amerebbe il prossimo, né farebbe il
bene e direbbe il vero, e così non si congiungerebbe al Signore; ma poiché è dal Signore
che procedono l'amore, il bene e la verità, è evidente che il Signore congiunge l'uomo a Sé
per mezzo di apparenze. È stato già trattato diffusamente di questa apparenza, della
congiunzione del Signore presso l'uomo, e della congiunzione reciproca dell'uomo con il
Signore grazie a tale apparenza.
[6] 5° Il Signore congiunge l'uomo a Sé per mezzo di corrispondenze. Ciò avviene per mezzo
della Parola, il cui senso letterale consiste interamente di corrispondenze. È stato mostrato
in Dottrina della Nuova Gerusalemme sulla Sacra Scrittura, che tramite questo senso si
realizza la congiunzione del Signore con l'uomo, e la reciproca congiunzione dell'uomo
con il Signore.
220. IV. La congiunzione delle cose temporali e delle cose eterne nell'uomo è la Divina
Provvidenza del Signore. Questa verità non può essere colta dall’intelletto neppure di
sfuggita, se tutto ciò che la riguarda non viene ordinato in sequenza, e spiegato
chiaramente passo dopo passo:
1° La Divina Provvidenza fa sì che l'uomo, alla sua morte, si spogli delle cose naturali e
temporali, per rivestirsi delle cose spirituali ed eterne.
2° Il Signore, tramite la sua Divina Provvidenza, si congiunge alle cose naturali per mezzo
delle cose spirituali, ed alle cose temporali per mezzo di quelle eterne, agendo in tal modo
tramite gli usi.
3° Il Signore si congiunge agli usi mediante corrispondenze, vale a dire per mezzo di
apparenze, nella misura in cui l’uomo vi acconsente.
4° Tale congiunzione delle cose temporali e delle cose eterne è la Divina Provvidenza.
Queste proposizioni necessitano di essere spiegate per poterle comprendere con chiarezza.
[2] 1° La Divina Provvidenza fa sì che l'uomo, alla sua morte, si spogli delle cose naturali e
temporali, per rivestirsi delle cose spirituali ed eterne. Le cose naturali e temporali sono le
sostanze più esteriori ed ultime in cui l'uomo entra alla nascita, affinché in seguito egli
possa essere introdotto nelle cose interiori e superiori; poiché le sostanze più esteriori ed
ultime, che sono nel mondo naturale, sono i contenenti di ciò. Ne consegue che nessun
angelo o spirito è stato creato immediatamente come tale, ma tutti sono prima nati uomini.
Quindi essi sono dotati di sostanze più esteriori ed ultime, in sé fisse e stabili, entro e
tramite le quali le loro sostanze più interiori possono essere mantenute unite.
[3] L'uomo tuttavia riveste dapprima gli elementi più grossolani del mondo materiale, di
cui il suo corpo è composto; ma alla morte egli li dismette, e mantiene gli elementi più puri
della natura, che sono i più vicini a quelli spirituali e che ne sono i contenitori. Inoltre,
come è stato mostrato (nn. 108 e 119), nelle sostanze più esteriori ed ultime sono presenti,
tutti insieme, gli elementi interiori e superiori. Quindi il Signore compie ogni sua
operazione dalle prime e dalle ultime fasi nel medesimo tempo, dunque in modo
completo. Ma poiché le sostanze più esteriori ed ultime della natura non possono ricevere
le cose spirituali ed eterne, per cui è formata la mente umana, così come sono in se stesse,
benché l'uomo sia nato affinché divenga spirituale e viva eternamente, perciò l'uomo si
spoglia degli elementi più esteriori ed ultimi della natura, e mantiene solamente quegli
elementi naturali interiori che sono adatti e congeniali a quelli spirituali e celesti, in quanto
rivestono la funzione di “contenitori”. Ciò si compie tramite il rigetto degli elementi
limitanti temporali e fisici, rigetto che è la morte del corpo.
[4] 2° Il Signore, tramite la sua Divina Provvidenza, si congiunge alle cose naturali per mezzo
delle cose spirituali, ed alle cose temporali per mezzo di quelle eterne, agendo in tal modo tramite gli
usi. Le cose naturali e temporali di cui stiamo parlando non sono solamente quelle proprie
del mondo fisico, ma sono anche quelle proprie degli uomini in tale dimensione. Con la
morte l'uomo si spoglia delle une e delle altre, e indossa le cose spirituali ed eterne che ad
esse corrispondono. Egli se ne riveste secondo i suoi usi, come si è già spiegato negli
articoli precedenti. Le cose naturali, che sono proprie della natura, si riferiscono in
generale al tempo ed allo spazio, e in particolare alle cose visibili sulla terra. Alla sua
morte l'uomo le abbandona, ed al loro posto riceve cose spirituali, simili quanto all’aspetto
esterno o all'apparenza, ma non quanto all’aspetto interno o alla loro stessa essenza; anche
di questo soggetto si è già trattato in precedenza (dal n. 102 al n. 110).
[5] Le cose temporali, che sono proprie degli uomini nel mondo naturale, si riferiscono in
generale alle dignità ed alle ricchezze, ed in particolare alle necessità di ciascun uomo.
Esse sono il vitto, i vestiti e l'abitazione. Alla sua morte l'uomo si spoglia anche di esse e le
abbandona, indossando e ricevendo cose simili quanto all’aspetto o all'apparenza, ma non
quanto all’aspetto interiore o all'essenza. Tutte queste cose ricevono il loro aspetto
interiore e la loro essenza dagli usi delle cose temporali che l’uomo ha compiuto nel
mondo. Gli usi sono le buone azioni, i buoni effetti della carità. Da queste spiegazioni si
può constatare che il Signore, tramite la sua Divina Provvidenza, congiunge alle cose
naturali ed alle cose temporali quelle spirituali ed eterne, secondo gli usi.
[6] 3° Il Signore si congiunge agli usi mediante corrispondenze, vale a dire per mezzo di
apparenze, nella misura in cui l’uomo vi acconsente. Siccome questa proposizione non può non
sembrare oscura a coloro che non hanno ancora una nozione chiara di ciò che sono le
corrispondenze e le apparenze, è necessario spiegarla con un esempio. Tutte le cose che si
leggono nella Parola sono semplici immagini che corrispondono a realtà spirituali e celesti;
e poiché sono corrispondenze, sono apparenze. Vale a dire che tutte le cose che si trovano
nella Parola sono beni Divini provenienti dal Divino amore, e verità Divine della Divina
sapienza. In sé queste cose sono nude, ma nella Parola esse sono rivestite di un significato
letterale, così da apparire come un uomo completamente vestito. Ciò significa che esse ci
appaiono come rivestite di abiti corrispondenti ai nostri stati di amore e sapienza. Se
prendessimo le apparenze come dati di fatto, ciò equivarrebbe a credere che gli abiti sono
le persone stesse. Quindi le apparenze divengono illusioni. Ma le cose stanno altrimenti se
cerchiamo le verità e le vediamo nelle apparenze.
[7] Tutti gli usi, tutti gli atti di verità e carità che compiamo per il nostro prossimo,
possiamo compierli secondo le apparenze, oppure secondo le verità contenute nella
Parola. Se li compiamo secondo le apparenze, che abbiamo considerato come realtà di
fatto, siamo nell’illusione; ma se li compiamo secondo le verità, ci comportiamo in modo
giusto. Da ciò si comprende come il Signore si congiunge agli usi mediante le loro
corrispondenze, cioè per mezzo di apparenze, nella misura in cui l’uomo considera queste
ultime come dati di fatto.
[8] 4° Tale congiunzione delle cose temporali e delle cose eterne è la Divina Provvidenza.
Affinché questa proposizione si mostri in una certa luce dinanzi all'intelletto, è necessario
illustrarla con due esempi: uno che concerne le ricchezze e gli onori, ed un altro che
riguarda le ricchezze e i beni materiali. Entrambe queste cose sono naturali e temporali
nella loro forma esterna, ma nella forma interna sono spirituali ed eterne. Le dignità, con
gli onori che esse comportano, sono naturali e temporali quando l'uomo si concentra in
esse e nel suo ruolo, e non considera in esse né il bene dello stato né gli usi; poiché allora
l'uomo può solo pensare che lo stato sia fatto per lui, e non l’inverso. È come un re che
pensa che il regno e tutti gli uomini che contiene siano fatti per lui, e non il contrario.
[9] Ma queste dignità, con gli onori che comportano, sono spirituali ed eterne, allorché
l'uomo considera la sua persona dedita allo stato e agli usi, e non considera lo stato e gli
usi come se fossero fatti per lui. Se l'uomo agisce così, egli è allora nella verità e
nell'essenza della sua dignità e del suo onore; ma se agisce nell'altro modo, allora è nella
corrispondenza e nell'apparenza. Se egli se ne convince, è nelle illusioni, e non è in
congiunzione col Signore, come coloro che sono nelle falsità e quindi nei mali: poiché le
illusioni sono falsità con le quali si congiungono i mali. Costoro in verità hanno compiuto
degli usi e dei beni, ma da se stessi e non dal Signore, ed hanno cercato di mettersi al posto
del Signore.
[10] La stessa cosa vale per le ricchezze e i beni materiali, i quali sono anch’essi da un
lato naturali e temporali, e dall’altro spirituali ed eterni. Essi sono naturali e temporali per
coloro che li considerano unicamente per loro stessi e si contemplano in essi, e vi
ripongono tutto il loro diletto e il loro piacere; ma sono spirituali ed eterni per quelli che
considerano in essi i buoni usi, e negli usi il diletto e il piacere interiori. Per questi uomini
anche il diletto e il piacere esteriori divengono spirituali, e il temporale diviene eterno;
perciò essi dopo la morte vanno in cielo, dove dimorano in palazzi le cui forme, proprie
all'uso, risplendono d'oro e di pietre preziose. Tali uomini tuttavia considerano queste
cose solo come apparenze esteriori splendenti e rilucenti dalla loro interiorità, che è
costituita dagli usi, dai quali giungono a loro lo stesso diletto e lo stesso piacere che sono
la beatitudine e la felicità del cielo. Una sorte contraria attende coloro che hanno
considerato le ricchezze e i beni mondani solamente in se stesse e per se stessi,
secondo le apparenze esteriori e non in pari tempo per le realtà interiori, cioè
secondo le loro apparenze e non secondo le loro essenze. Quando se ne liberano, alla
morte, si rivestono delle loro realtà interiori, che, non essendo spirituali, non possono
essere che infernali, poiché in essi vi è l'uno o l'altro, il celeste o l'infernale. Entrambi
non possono essere presenti nello stesso tempo: quindi invece delle ricchezze hanno la
povertà, e invece dei beni materiali la miseria.
L'uomo non è introdotto interiormente nelle verità della fede e nei
beni della carità se non in quanto può esservi mantenuto fino alla
fine della vita
I. L'uomo può essere introdotto nella sapienza delle cose spirituali, ed anche
nell'amore di esse, e tuttavia non essere riformato.
II. Se l'uomo in seguito recede e va in senso contrario, egli profana le cose sante.
III. Vi sono molti tipi di profanazioni, ma questo è il peggiore di tutti.
IV. Perciò il Signore non introduce interiormente l'uomo nelle verità della sapienza
e in pari tempo nei beni dell'amore, se non in quanto l'uomo può esservi
mantenuto fino alla fine della sua vita.
222. I. L'uomo può essere introdotto nella sapienza delle cose spirituali, ed anche nell'amore di
esse, e tuttavia non venire riformato. Ciò si verifica perché l'uomo ha la razionalità e la libertà;
grazie alla razionalità si può elevare ad una sapienza quasi angelica, e grazie alla libertà ad
un amore non dissimile dall'amore angelico. Ciò nondimeno, la natura del nostro amore
determina la natura della nostra sapienza: se l'amore è celeste e spirituale, la sapienza
parimenti diviene celeste e spirituale; ma se l'amore è diabolico e infernale, la sapienza
ugualmente è diabolica e infernale. Questa, è vero, può apparire allora nella sua forma
esteriore, di fronte agli altri, come celeste e spirituale, ma nella sua forma interiore, che è la
sua stessa essenza, essa è diabolica ed infernale, non all’esterno dell'uomo ma dentro di
lui. Essa non sembra tale agli altri uomini, perché essi sono naturali, e vedono e odono in
modo naturale, in quanto la forma esterna è naturale; ma appare così agli angeli, perché gli
angeli sono spirituali, ed essi vedono e odono spiritualmente, in quanto la forma interna è
spirituale.
[2] È dunque evidente che l'uomo può essere introdotto nella sapienza delle cose
spirituali, ed anche nell'amore di queste, e nonostante ciò, non essere riformato; ma in
questo caso egli è introdotto solamente nel loro amore naturale, e non nel loro amore
spirituale. Il motivo è che l'uomo può introdurre se stesso nell'amore naturale, ma solo il
Signore lo può introdurre nell'amore spirituale; e coloro che sono introdotti in questo
amore si riformano, ma quelli che sono introdotti solamente nell'amore naturale non si
riformano, poiché questi ultimi per lo più sono ipocriti. Molti di essi appartengono
all'ordine dei gesuiti, i quali interiormente non credono alle cose Divine, ma esteriormente
giocano con le cose sacre come attori in una commedia.
223. Grazie a molte esperienze nel mondo spirituale mi è stato concesso di sapere che
l'uomo possiede in sé la facoltà di comprendere gli arcani della sapienza come gli stessi
angeli, poiché ho visto diavoli infuocati, che quando udivano certi arcani della sapienza
non solamente li comprendevano, ma altresì ne parlavano, in virtù della loro razionalità;
tuttavia, appena tornavano nel loro amore diabolico, essi non li comprendevano più, e
invece di quegli arcani intendevano cose opposte, follie che essi definivano sapienza. Mi è
stato anche concesso di udire che, quando si trovavano nello stato di sapienza, essi
ridevano della loro follia, e quando erano nello stato di follia, ridevano della sapienza.
L'uomo che nel mondo è stato tale, quando dopo la morte diviene spirito, ordinariamente
viene messo alternativamente nello stato di sapienza e in quello di follia, affinché veda
quest’ultima dal punto di vista della prima; ma benché vedano, dalla prospettiva della
sapienza, la loro dissennatezza, non appena si concede loro di scegliere, il che avviene per
ognuno, essi preferiscono la follia. Questa è ciò che essi amano, e non provano che odio
per la sapienza. La loro interiorità è stata infatti diabolica, e la loro esteriorità
apparentemente divina. Questi s’intendono per i diavoli che si mostrano come angeli di
luce, e per l’ospite alla festa di nozze che non era vestito con un abito adatto, e fu gettato
nelle tenebre esteriori (Matteo 22:11, 12, 13.)
224. Chi non vede che è dall'interiore che sorge ciò che è esteriore, e che di conseguenza
ciò che è esteriore riceve la sua essenza dall'interiore? E chi non sa per esperienza che
l'esteriore si può mostrare in modo diverso dall’essenza che riceve dall’interiore? Infatti
questo si vede chiaramente negli ipocriti, negli adulatori e nei furbi; e si sa dai
commedianti e dai mimi che l'uomo può fingere nel suo aspetto esteriore un carattere che
non è il suo, poiché essi sanno rappresentare re, imperatori, e perfino angeli, col tono di
voce, il linguaggio, l’espressione e i gesti, proprio come se fossero quei personaggi;
tuttavia essi non sono che attori. Ho detto questo perché l'uomo può spargere calunnie,
tanto nelle cose civili e morali quanto nelle cose spirituali; ed è noto che molti lo fanno.
[2] Quando l'interiore nella sua essenza è infernale, e l'esteriore nella sua forma si mostra
spirituale, nonostante che l'esterno derivi la sua essenza dall'interno, come si è detto, dov’è
nascosta questa essenza nell'esterno? Essa non appare nei gesti, né nel tono di voce, né nel
linguaggio, né nell’espressione: tuttavia essa è nascosta interiormente in queste quattro
cose. Che essa vi sia interiormente nascosta, è chiaramente evidente nelle persone che
vivono nel mondo spirituale, poiché quando l'uomo muore e giunge dal mondo naturale
nel mondo spirituale, egli lascia le sue apparenze esteriori con il corpo, ma conserva le sue
qualità interiori, che erano nascoste nel suo spirito. Se la sua interiorità è stata infernale,
egli appare come un diavolo, come fu in spirito mentre visse nel mondo. Chi è che non
riconosce che ogni uomo, quando diviene spirito, lascia le cose esteriori col corpo e
penetra in quelle interiori?
[3] A questo deve aggiungersi che nel mondo spirituale vi è comunicazione delle
affezioni e quindi dei pensieri, per cui nessuno può parlare diversamente da ciò che pensa.
In quel mondo, inoltre, ognuno cambia il suo volto e diviene simile alla sua affezione, così
che anche dalla faccia egli appare com’è in realtà. Talvolta è concesso agli ipocriti di
parlare diversamente da ciò che pensano, ma il loro tono di voce sembra discordante col
livello interiore dei loro pensieri, ed essi vengono riconosciuti per questa discordanza. Da
ciò si può comprendere che la natura interiore è nascosta nel tono di voce, nel linguaggio,
nell’espressione e nei gesti di quella esteriore, e che ciò non è percepito dagli uomini nel
mondo naturale, ma viene percepito chiaramente dagli angeli nel mondo spirituale.
225. Da queste considerazioni è evidente che l'uomo, mentre vive nel mondo naturale,
può accedere alla sapienza delle cose spirituali, e anche all'amore di esse. Ciò può accadere
sia per coloro che sono meramente naturali, sia per coloro che sono spirituali; ma con la
differenza che grazie a tale sapienza e amore questi ultimi si riformano, mentre i primi non
si riformano affatto. In coloro che non si riformano può anche sembrare che essi amino la
sapienza; ma l'amano come un adultero ama una donna gentile e delicata, cioè come una
prostituta, a cui dice parole dolci e regala vesti lussuose, ma di cui pensa fra sé: «Non è che
una vile prostituta; le farò credere che l'amo, perché soddisfa la mia passione; se non la
soddisfacesse, io la rifiuterei.» L'uomo interno di chi è meramente naturale è l’adultero, e il
suo uomo esterno è questa donna.
226. II. Se l'uomo in seguito recede e va in senso contrario, egli profana le cose sante. Vi sono
molti generi di profanazione delle cose sacre, di cui si tratterà nel seguente articolo; ma
questo tipo è il più grave di tutti, poiché questi profanatori dopo la morte divengono esseri
che non sono più uomini. Essi vivono, in verità, ma sono imprigionati nelle loro folli
allucinazioni. Sembra loro di volare in alto, e quando sono tranquilli essi giocano con le
loro fantasie, che vedono come reali; e poiché non sono più uomini, non vengono chiamati
“lui” o “lei”, ma “ciò”. Anzi, quando si presentano alla vista nella luce del cielo, appaiono
come scheletri, alcuni come scheletri dal colore osseo, altri come infuocati, ed altri ancora
come bruciati. Nel mondo si ignora che i profanatori di questo genere divengono tali dopo
la morte, perché non se ne conosce la causa, cioè che, se l'uomo prima riconosce le cose
Divine ed ha fede in esse, e poi se ne allontana e le nega, egli mescola le cose sante con le
cose profane. Quando le cose sante e le cose profane sono mescolate, l’unico modo per
separarle è la loro completa distruzione. Ma affinché questo argomento possa essere
compreso più chiaramente, deve essere esposto nel seguente ordine:
1° Tutto ciò che l’uomo pensa, dice e fa in virtù della sua volontà, diventa parte di lui e tale
rimane, tanto il bene quanto il male.
2° Ma il Signore, grazie alla sua Divina Provvidenza, provvede e dispone continuamente
affinché il male stia da sé, così come il bene, in modo tale che essi possano essere tenuti
separati.
3° Ma questo non è possibile se l'uomo prima riconosce le verità della fede e vive secondo
queste verità, e poi se ne allontana e le nega.
4° Allora egli mescola il bene e il male, finché non è più possibile separarli.
5° Dato che il bene e il male devono essere separati in ogni uomo, mentre nel tipo d’uomo
sopra descritto non si possono separare, tutto ciò che è specificamente umano in lui viene
distrutto.
227. Queste sono le cause per cui accadono tali disastri; ma poiché tali cause restano
oscure, affinché esse vengano comprese è necessario spiegarle.
1° Tutto ciò che l'uomo pensa, dice e fa in virtù della sua volontà, diventa parte di lui e tale
rimane, tanto il bene quanto il male. Questo è stato già mostrato, dal n. 78 al n. 81. Infatti
l'uomo ha una memoria esterna o naturale, e una memoria interna o spirituale; nella sua
memoria interna sono registrate tutte le cose che nel mondo egli ha pensato, detto e fatto
in virtù della volontà, così totalmente e in dettaglio che non ne manca neanche una.
Questa memoria è il suo “libro della vita”, che si apre dopo la morte, e secondo il quale
egli è giudicato. Riguardo a questa memoria sono state riferite molte cose, per esperienza
diretta, in Cielo e inferno, dal n. 461 al n. 465.
2° Ma il Signore, grazie alla sua Divina Provvidenza, provvede e dispone continuamente affinché
il male stia da sé, così come il bene, in modo tale che essi possano essere tenuti separati. Ogni uomo
ha buone e cattive qualità. Le cattive qualità vengono da lui stesso, mentre quelle buone
vengono dal Signore; e l'uomo non potrebbe vivere se non le possedesse entrambe. Se
fosse avvolto in sé solo, dunque nel solo male, non avrebbe vita; e non avrebbe vita
neppure se fosse avvolto solo nel Signore, quindi nel solo bene. L'uomo totalmente
immerso nel Signore sarebbe come soffocato, e gli mancherebbe il respiro, come un
moribondo in agonia; mentre l’uomo totalmente immerso in se stesso non avrebbe vita,
poiché il male, senza alcun bene in sé, è morto. Perciò l'uomo è in entrambi gli stati; ma la
differenza è che taluni sono interiormente nel Signore, ed esteriormente come in se stessi,
mentre altri sono interiormente in se stessi, ma esteriormente come nel Signore. Questi
ultimi sono nel male, e i primi nel bene; tuttavia entrambi sono nell'uno e nell'altro. Anche
le persone malvagie possiedono entrambi gli stati, perché sono impegnate in attività
positive della vita civile e morale, ed anche, sia pure esteriormente, in attività riguardanti
la vita spirituale; e vengono tenute dal Signore nella razionalità e nella libertà, affinché
possano pervenire al bene. È questo il bene grazie al quale ogni uomo, anche se malvagio,
è condotto dal Signore. Da queste spiegazioni si può comprendere che il Signore mantiene
il male e il bene separati, affinché uno sia all'interno e l'altro all'esterno, facendo sì che essi
non siano mescolati.
3° Ma questo non è possibile se l'uomo prima riconosce le verità della fede e vive secondo queste
verità, e poi se ne allontana e le nega. Questo è evidente da quel che si è detto; in primo luogo
che tutto ciò che l'uomo pensa, dice e fa in virtù della volontà diventa suo e resta tale; ed in
secondo luogo che il Signore, grazie alla Sua Divina Provvidenza, provvede e si adopera
continuamente affinché il bene stia da sé, ed il male da sé, ed essi vengano tenuti separati.
Il Signore li separa dopo la morte. In coloro che sono interiormente cattivi ed
esteriormente buoni viene tolto il bene, ed essi vengono lasciati al loro male; il contrario
avviene per coloro che sono interiormente buoni, e che esteriormente, come gli altri
uomini, si sono arricchiti, hanno ricercato onori, hanno goduto di varie cose mondane, e si
sono abbandonati ad alcune concupiscenze. In questi, tuttavia, il bene e il male non sono
mescolati, ma separati, uno all’interno e l’altro all'esterno. Esteriormente essi erano simili
ai malvagi in molte cose, ma non nella loro forma interna. Lo stesso vale per i cattivi, che si
erano mostrati buoni nel loro aspetto esteriore, nella pietà, nel culto religioso, nelle parole
e nei fatti, e che nonostante ciò nella forma interna erano stati malvagi: anche in essi il
male è separato dal bene. Ma in coloro che dapprima avevano riconosciuto le verità della
fede ed avevano vissuto di conseguenza, e che poi si erano volti in senso contrario e le
avevano rifiutate, e soprattutto se le avevano negate, i beni e i mali non sono più separati,
ma mescolati, poiché uomini del genere si sono appropriati sia del bene che del male, e di
conseguenza li hanno congiunti e mescolati insieme.
4° Allora egli mescola il bene e il male, finché non è più possibile separarli. Questo risulta da ciò
che si è appena detto. Se il male non si può separare dal bene, né il bene dal male, l'uomo
non può essere né in cielo, né all'inferno. Ogni uomo deve essere o nell'uno o nell'altro:
egli non può essere in entrambi. Altrimenti sarebbe ora in cielo, ora all'inferno; e in cielo
agirebbe come all'inferno, e all'inferno agirebbe come in cielo, distruggendo così la vita di
tutti coloro che si trovano intorno a lui, la vita celeste negli angeli, e la vita infernale nei
diavoli. La vita di ciascuno perirebbe, poiché la vita di ognuno deve essere la sua. Nessuno
vive nella vita altrui, tanto meno in una vita opposta. Perciò in ogni uomo, dopo la morte,
quando diviene spirito o uomo spirituale, il Signore separa il bene dal male, ed il male dal
bene; il bene dal male in coloro che sono interiormente nel male, ed il male dal bene in
coloro che sono interiormente nel bene, conformemente alle Sue parole:
Perché a chiunque ha, sarà dato, e sarà nell’abbondanza; ma a chiunque non ha, sarà tolto anche
ciò che ha (Matteo 13:12, 25:29; Marco 4:25; Luca 8:18, 19:26)
5° Poiché il bene e il male devono essere separati in ogni uomo, mentre nel tipo d’uomo sopra
descritto non si possono separare, tutto ciò che è specificamente umano in lui viene distrutto. Ciò
che è veramente umano in ogni uomo deriva dalla razionalità, in virtù della quale, se egli
lo vuole, può vedere e sapere cosa è il vero e cosa è il bene, e dalla libertà, grazie a cui egli
può volere, pensare, dire e fare il bene e il vero, come già si è mostrato (dal n. 96 al n. 97).
Ma questa libertà, con la sua razionalità, è distrutta in coloro che hanno mescolato in sé il
bene e il male. Costoro non possono riconoscere il male dalla prospettiva del bene, né il
bene dalla prospettiva del male, poiché hanno identificato l’uno con l’altro. Per cui essi
non hanno più la razionalità in atto né in potenza, e quindi nemmeno alcuna libertà. È per
questo motivo che essi sono puri deliri allucinatori, come si è già detto (n. 226), e non
sembrano più uomini, ma ossa coperte da brandelli di pelle. Quindi non vengono definiti
“lui” o “lei”, ma “ciò”. Tale è la sorte che attende coloro che mescolano in questo mondo le
cose sante con le cose profane; ma vi sono altri tipi di profanazione, che non sono così
gravi, di cui si tratterà nel paragrafo seguente.
[2] Non prendiamo qui in considerazione l’accettazione ed il riconoscimento della fede
nell'infanzia e nella gioventù. Ciò è comune ad ogni cristiano. Questa non è profanazione,
perché a quell’età le cose che riguardano la fede e la carità non si accettano, né si
riconoscono in virtù della razionalità e della libertà, cioè nell'intelletto in virtù della
volontà, ma solamente imparandole a memoria, per la fede che si prova nei confronti di un
maestro. Se si vive in conformità a tali principi, è per cieca obbedienza. Ma quando l'uomo
inizia a fare uso della sua razionalità e della sua libertà, il che ha luogo successivamente,
quando egli cresce e diviene adulto, se allora riconosce le verità della fede e vive
conformemente ad esse, e poi le nega, egli mescola le cose sante con le profane, e da uomo
qual'era diviene un mostro, come si è già detto. Ma se l'uomo è nel male già dall’età in cui
acquisisce la sua razionalità e la sua libertà, vale a dire dal tempo in cui egli diviene
padrone di sé fino all'età adulta, e poi riconosce le verità della fede, e vive secondo queste
verità, purché vi perseveri fino alla morte, egli non mescola il male con il bene; perché
allora il Signore separa i mali della vita anteriore dai beni della vita posteriore. Così
avviene per tutti coloro che fanno penitenza. Ma su questo argomento si dirà di più in
seguito.
229. III. Vi sono vari tipi di profanazioni del sacro, ma questo è il peggiore.Per profanazione si
intende comunemente ogni empietà, e per profanatori tutti gli empi, che di cuore negano
Dio, la santità della Parola, e quindi le cose spirituali della chiesa, che sono le cose sante di
cui parlano anche gli uomini irriverenti. Ma qui non si tratta di questi, bensì di coloro che
professano di credere in Dio, sostengono la santità della Parola e riconoscono le cose
spirituali della chiesa, la maggior parte di essi però solamente a parole. La ragione per cui
questi uomini commettono profanazione è che in essi vi è qualcosa di sacro che procede
dalla Parola; ed essi profanano ciò che è in loro stessi e fa parte del loro intelletto. Ma negli
empi, che negano Dio e le cose sante, non vi è nulla di santo che essi possano profanare;
questi in verità non sono profanatori, benché i primi lo siano.
230. Alla profanazione di ciò che è sacro si riferisce il secondo comandamento del
Decalogo: «Non pronunciare il nome del Signore, Dio tuo, invano» (Esodo 20:7; Deuteronomio
5:11); e la preghiera del Signore ci dice di non profanare ciò che è santo: «Sia santificato il
tuo nome» (Matteo 6:9; Luca 11:2). Nel mondo cristiano vi sono pochissimi che sanno ciò
che s'intende per Nome di Dio, e ciò perché si ignora che nel mondo spirituale non vi sono
nomi come nel mondo naturale, ma ciascuno si chiama secondo la qualità del suo amore e
della sua sapienza. Infatti, appena qualcuno entra a far parte di una società o di una
comunità in quel mondo, egli viene subito chiamato in un modo che esprime la sua natura.
Tale attribuzione di un nome avviene tramite la lingua spirituale, che è capace di dare un
nome ad ogni cosa: perciò ciascuna lettera dell'alfabeto significa una cosa, e più lettere
riunite in una parola, come avviene per il nome di una persona, comprendono l'intero
stato della cosa. Questa è una delle meraviglie del mondo spirituale.
[2] È dunque evidente che per Nome di Dio nella Parola si indica Dio e tutto ciò che di
Divino è in lui, e che da lui procede. Dato che la Parola procede da Dio, essa è il Nome di
Dio; e poiché tutti i doni Divini, come i doni spirituali della chiesa, derivano dalla Parola,
anch’essi sono il Nome di Dio. Da queste spiegazioni si può comprendere ciò che s'intende
nel secondo comandamento del Decalogo: «Tu non profanerai il Nome di Dio»; e nella
preghiera del Signore con le parole «Sia santificato il tuo Nome». Il Nome di Dio e il Nome del
Signore, significano la stessa cosa, in molti passi della Parola nell'uno e nell'altro
Testamento (fra gli altri si veda Matteo 7:22; 10:22; 18:5, 20; 19:29; 21:9; 24:9, 10; Giovanni
1:12; 2:23; 3:17,18; 12:13, 28; 14:14, 15, 16; 16:23, 24, 26, 27; 17:6; 20:31), ed in moltissimi
passi dell'Antico Testamento. Chi conosce questo significato del Nome può comprendere
anche il significato di queste parole del Signore:
Chi riceve un profeta come profeta, riceverà premio di profeta; e chi riceve un giusto come
giusto, riceverà premio di giusto. E chi avrà dato da bere soltanto un bicchiere d’acqua fresca ad
uno di questi piccoli, perché è un mio discepolo, io vi dico in verità che non perderà il suo
premio. (Matteo 10:4142)
Chi per il nome di profeta, giusto e discepolo intende in questo passo solamente un profeta,
un giusto e un discepolo, non sa che vi è un significato diverso dal semplice senso
letterale; e non sa neppure che cos’è una ricompensa di profeta, una ricompensa di giusto e una
ricompensa per un bicchiere d'acqua fresca data ad un discepolo. Per nome e ricompensa di profeta
si intende infatti lo stato di felicità di coloro che sono nelle verità Divine; per nome e
ricompensa di giusto si intende lo stato e la felicità di coloro che sono nei beni Divini, e per
discepolo, lo stato di coloro che possiedono alcuni doni spirituali della chiesa. Il bicchiere
d'acqua fresca significa un elemento di verità.
[4] Queste parole del Signore indicano che il nome può significare anche la qualità dello
stato dell'amore e della sapienza, o del bene e della verità:
Ma colui che entra per la porta è pastore delle pecore. A lui apre il portinaio, e le pecore
ascoltano la sua voce, ed egli chiama le proprie pecore per nome e le conduce fuori. (Giovanni
10:2, 3)
Chiamare le pecore per nome significa ammaestrare e condurre chiunque sia nel bene della
carità secondo lo stato del suo amore e della sua sapienza; la porta significa il Signore,
come si vede dal versetto 9:
Io sono la porta; se uno entra attraverso di me, sarà salvato (Giovanni 10:9)
È dunque evidente che per essere salvato bisogna rivolgersi al Signore, e chi si rivolge a lui
è un pastore di pecore; mentre chi non si rivolge a lui è un ladro e un rapinatore, come si
dice al versetto 1 dello stesso capitolo.
231. Per “profanazione delle cose sante” si intende la profanazione da parte di coloro che
conoscono le verità della fede e i beni della carità in virtù della Parola, e che in qualche
modo li riconoscono; e non da parte di coloro che non li conoscono, né da coloro che per
irriverenza li rifiutano interamente. Ciò che segue, quindi, si riferisce ai primi, e non agli
altri. I generi di profanazione di costoro sono molti, alcuni più lievi, altri più gravi, ma si
possono ridurre a questi sette. Il primo genere di profanazione viene commesso da coloro che
scherzano sulla Parola o la citano con leggerezza, o si fanno beffe di ciò che è Divino nella chiesa.
Alcuni hanno infatti la cattiva abitudine di prendere nomi o locuzioni dalla Parola e di
mischiarli con discorsi indecenti, e talora osceni; il che si accompagna necessariamente ad
un certo disprezzo per la Parola, mentre la Parola, nella sua interezza e in ogni suo
particolare, è Divina e santa, poiché in essa ciascun vocabolo racchiude nel suo seno
qualcosa di Divino, grazie al quale essa comunica col cielo. Ma questo genere di
profanazione è più leggero o più grave nella misura in cui si riconosce la santità della
Parola, e secondo l'indecenza del discorso in cui le espressioni sacre vengono introdotte da
chi ne fa oggetto di scherno.
[2] Il secondo genere di profanazione viene commesso da coloro che comprendono e riconoscono in
se stessi le verità Divine, e nonostante ciò vivono in modo contrario ad esse. Nondimeno, coloro
che si limitano a comprenderle commettono una profanazione di grado minore, ma coloro
che le riconoscono in se stessi commettono una profanazione più grave. L'intelletto si
limita ad insegnare, come un predicatore, e non si congiunge con la volontà; ma il
riconoscimento vi si congiunge, poiché non si può riconoscere alcunché se non con il
consenso della volontà. Tuttavia questa congiunzione è di vario tipo, e la gravità della
profanazione varia secondo il grado della congiunzione, quando si vive in un modo
contrario alle verità che si riconoscono in se stessi. Per esempio, se qualcuno riconosce che
la vendetta, l’odio, l’adulterio, la fornicazione, la frode, l’inganno, la bestemmia e la
menzogna sono peccati contro Dio, e nonostante ciò li commette, egli è in questo genere
più grave di profanazione; poiché il Signore dice:
Quel servitore che ha conosciuto la volontà del suo padrone e non ha preparato né fatto nulla
per compiere la sua volontà, sarà percosso (Luca 12:47)
E altrove:
Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato
rimane (Giovanni 9:41)
Ma una cosa è riconoscere le apparenze della verità, e ben altro è riconoscere le verità
genuine; coloro che riconoscono le verità genuine, e tuttavia non vivono secondo queste
verità, appaiono nel mondo spirituale senza luce né calore di vita nella voce e nel
linguaggio, come se fossero completamente apatici.
[3] Il terzo genere di profanazione viene commesso da coloro che usano il senso letterale della
Parola per giustificare i loro cattivi amori ed i loro falsi principi. L’affermazione del falso è la
negazione del vero, e l’affermazione del male è il rifiuto del bene; ora la Parola dentro di
sé non è che la Verità Divina e il Divino Bene; e nel senso più esteriore, che è il senso
letterale, essa non appare come verità genuina, eccetto laddove essa fa conoscere il Signore
e la via della salvezza. In realtà, essa appare per lo più rivestita di quelle che si possono
chiamare “apparenze di verità”. Perciò questo senso letterale si può distorcere per
sostenere eresie di ogni genere. Ora, chi conferma cattivi amori fa violenza ai Beni Divini,
e chi conferma falsi principi fa violenza alle Verità Divine. Quest’ultima violenza si chiama
falsificazione del vero, mentre la prima si chiama adulterazione del bene; l'una e l'altra
sono indicate nella Parola con il termine sangue. Vi è qualcosa di spirituale e di sacro nei
dettagli del senso letterale della Parola: lo spirito di verità che emana dal Signore. Questo
sacro contenuto viene leso, quando la Parola è falsificata e adulterata. Questa è
un’evidente profanazione.
[4] Il quarto genere di profanazione viene commesso da coloro che con la bocca pronunziano cose
pie e sante, e fingono col tono della voce e con i gesti di provare amore per esse, ma nel loro cuore
non le credono né le amano. La maggior parte di essi sono ipocriti e farisei, a cui dopo la
morte viene tolto ogni bene ed ogni verità, e vengono gettati nelle tenebre esteriori. Coloro
che appartengono a questa specie, che si sono confermati contro Dio e contro la Parola, e
contro i doni spirituali della chiesa, stanno seduti nelle tenebre, muti, senza poter parlare.
Vorrebbero borbottare cose pie e sante, come nel mondo, ma non possono farlo, poiché nel
mondo spirituale ognuno è costretto a parlare come pensa; ma l'ipocrita vuol parlare in
modo contrario a ciò che pensa, quindi nella sua bocca vi è un'opposizione, in
conseguenza della quale egli non può che tacere. Le ipocrisie sono più lievi o più gravi,
secondo ciò che l’uomo afferma in se stesso contro Dio, a fronte di ragionamenti esteriori
in favore di Dio.
[7] Il settimo genere di profanazione viene commesso da coloro che prima riconoscono le verità
Divine e vivono secondo esse, e poi retrocedono e le negano. Questo genere di profanazione è il
peggiore di tutti, perché mescola le cose sante con le profane, a tal punto che non si
possono separare; tuttavia bisogna che esse siano separate, affinché si possa essere in cielo
o all'inferno. Poiché questa separazione non è possibile in persone di quel genere, ogni
cosa inerente l’intelletto e la volontà umana viene distrutta, ed essi non sono più uomini,
come si è già detto (nn. 226, 227). Accade quasi lo stesso a coloro che riconoscono di cuore
la natura Divina della Parola e della chiesa, ma la immergono interamente nel loro
proprium, che è l'amore di dominare su tutte le cose, amore di cui si è parlato diffusamente
in precedenza (nn. 38, 112, 146, 215). Dopo la morte, quando divengono spiriti, essi non
vogliono assolutamente essere condotti dal Signore, ma vogliono condursi da se stessi; e
quando i loro amori vengono lasciati a briglia sciolta, essi non solo vogliono dominare sul
cielo, ma anche sul Signore. Poiché ciò è impossibile, essi negano Dio e diventano demoni.
È importante rendersi conto che per tutti noi, l’amore dominante, l’amore della nostra vita,
resta lo stesso anche dopo la morte e non può essere sradicato.
[8] Questo genere di profanatori sono i tiepidi, di cui si parla così nell'Apocalisse:
Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo, né fervente. Oh, fossi tu pur freddo o
fervente! Così, perché sei tiepido e non sei né freddo, né fervente, io ti vomiterò dalla
mia bocca (Ap. 3:14, 15)
Questo tipo di profanazione è così descritto dal Signore in Matteo:
Quando lo spirito immondo esce da un uomo, si aggira per luoghi aridi cercando riposo e non
lo trova. Allora dice: Ritornerò nella mia casa da dove sono uscito; e quando ci arriva, la trova
vuota, spazzata e adorna. Allora va e prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui, i quali,
entrati, vi prendono dimora; e l'ultima condizione di quell'uomo diventa peggiore della prima.
(Matteo 12:43,45)
L'uscita dello spirito immondo descrive la conversione; il ritorno dello spirito immondo
con sette spiriti peggiori di lui nella casa adorna descrive il ritorno ai precedenti mali,
dopo aver rigettato le verità e i beni; e lo stato finale di un uomo simile, peggiore del
primo, descrive la profanazione delle cose sante. Questo intendeva dire Gesù all'uomo che
guarì vicino alla piscina di Betesda: Non peccar più, che non t’accada di peggio (Giovanni
5:14).
[9] Il Signore fa sì che l'uomo non riconosca interiormente le verità, perché egli non rischi
poi di rifiutarle e quindi di profanarle:
Ha accecato i loro occhi, e ha indurito il loro cuore, affinché non vedano con gli occhi, e non
intendano col cuore, e non si convertano, ed io non li sani (Giovanni 12:40)
Affinché non si convertano ed io non li sani, significa affinché non riconoscano le verità, e
poi non le rifiutino, e in tal modo non divengano profanatori. Per lo stesso motivo il
Signore ha parlato in parabole, come dice egli stesso in Matteo, 13:13. Se fu proibito agli
Ebrei di mangiare il grasso e il sangue (Lev. 3:17 e 7:23, 25) ciò significava che non
dovevano profanare le cose sante, poiché il grasso significava il Divino Bene, e il sangue la
Verità Divina. In Matteo 10:22 il Signore insegna che l'uomo, una volta convertito, deve
perseverare nel bene e nella verità fino alla morte: Gesù disse: Chi avrà perseverato fino
alla fine sarà salvato (si veda anche Marco 13:13).
232. IV. Perciò il Signore non introduce interiormente l'uomo alle verità della sapienza e in pari
tempo ai beni dell'amore, se l'uomo non può esservi mantenuto fino alla fine della sua vita. Per
illustrare ciò bisogna procedere distintamente, per due ragioni: la prima, perché questo è
importante per la salvezza degli uomini; la seconda, perché dalla conoscenza di questa
legge dipende la conoscenza delle leggi di concessione, di cui si tratterà nel seguente
capitolo (dal n. 234 al n. 274). Infatti tale conoscenza è importante per la salvezza degli
uomini, poiché, come si è già detto (dal n. 226 al n. 227), colui che dapprima riconosce i
contenuti Divini della Parola e quindi della chiesa, e poi se ne allontana, profana le cose
sante nel modo più grave. Pertanto, affinché questo arcano della Divina Provvidenza sia
svelato in modo che l'uomo razionale lo possa comprendere nel modo giusto, esso verrà
spiegato come segue:
1° Nell’interiorità dell'uomo non può trovarsi il male e nello stesso tempo tempo il bene,
quindi la falsità del male non può coabitare con la verità del bene.
2° Il bene e la verità del bene non possono essere introdotti dal Signore nell'interiorità
dell'uomo, se non nella misura in cui il male e la falsità del male sono rimossi.
3° Se il bene con la sua verità vi fosse introdotto prima, o in maggior misura del male, con
la sua falsità, che è stato rimosso, l'uomo recederebbe dal bene e tornerebbe al suo male.
4° Quando l'uomo è nel male molte verità possono essere introdotte nel suo intelletto, e
riposte nella sua memoria, senza essere profanate.
5° Ma il Signore, grazie alla Sua Divina Provvidenza, provvede con la massima cura
affinché esse non siano ricevute dalla volontà prima che l’uomo non abbia rimosso da se
stesso, nella sua apparente autonomia, il male dal suo “sé” esteriore; e affinché esse non
siano ricevute in maggior misura dei mali esteriori che l'uomo ha rimosso.
6° Se ciò venisse compiuto prima del tempo o in misura maggiore del necessario, allora la
volontà inquinerebbe il bene, e l'intelletto falsificherebbe la verità, mischiandoli con i mali
e le falsità.
7° Perciò il Signore non introduce interiormente l'uomo alle verità della sapienza ed ai
beni dell'amore, se non in quanto l'uomo può esservi mantenuto fino alla fine della vita.
233. Affinché questo arcano della Divina Provvidenza sia svelato in modo che l'uomo
razionale lo possa vedere nella sua giusta luce, è necessario spiegare i punti di cui sopra
uno alla volta.
1° Nell’interiorità dell'uomo non può trovarsi il male e nello stesso tempo tempo il bene, quindi la
falsità del male non può coabitare con la verità del bene. Per “interiorità dell'uomo” si
intendono i livelli interiori del pensiero, di cui l’uomo non sa nulla prima di giungere nel
mondo spirituale e nella sua luce, cosa che accade dopo la morte. Nel mondo naturale essi
possono essere riconosciuti dall’uomo solamente tramite il piacere del suo amore
nell’esteriorità del suo pensiero, e riconoscendo i mali, quando l'uomo si esamina
interiormente. Ciò accade perché, come si è mostrato, i livelli interiori e quelli esteriori del
pensiero sono strettamente uniti fra loro. Si dice “il bene e la verità del bene”, e “il male e
la falsità del male”, perché non vi può essere il bene senza la sua verità, né il male senza la
sua falsità. Essi sono infatti come compagni di letto o coniugi, poiché la vita del bene
deriva dalla sua verità, e la vita della verità dal suo bene; lo stesso vale per il male e la sua
falsità.
[2] Gli uomini razionali possono facilmente comprendere, senza ulteriore spiegazione,
che nell'interiorità dell'uomo non può trovarsi il male con la sua falsità, e nello stesso
tempo il bene con la sua verità, perché il male è opposto al bene, e il bene è opposto al
male: due opposti non possono stare insieme. In ogni male vi è anche insito un odio contro
il bene, ed in ogni bene vi è insito un desiderio di difendersi dal male e di allontanarlo da
sé. Ne consegue che l'uno non può stare insieme all’altro: se fossero insieme, prima
sorgerebbe un violento conflitto, e poi una distruzione totale. Il Signore insegna:
Ogni regno diviso contro se stesso va in rovina; e ogni città o casa divisa contro se stessa non
potrà reggere. Chi non è con me è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde. (Matteo
12:25, 30)
E altrove:
Nessuno può servire due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, o preferirà l'uno e disprezzerà
l'altro (Matteo 6:24)
Due elementi opposti non possono stare insieme in una stessa sostanza o in una stessa
forma senza farla a pezzi e distruggerla. Se uno di essi si avvicinasse all'altro, essi si
separerebbero come due nemici: uno si ritirerebbe nel suo campo o dentro le sue
fortificazioni, e l'altro si ritirerebbe all’esterno. Così avviene con i beni e con i mali
nell'ipocrita; questi è negli uni e negli altri, ma il male è dentro, e il bene al di fuori; così i
due sono separati e non mescolati. È dunque evidente che il male con la sua falsità e il
bene con la sua verità non possono coesistere.
[4] 3° Se il bene con la sua verità vi fosse introdotto prima, o in maggior misura del male, con la
sua falsità, che è stato rimosso, l'uomo recederebbe dal bene e tornerebbe al suo male. La ragione di
ciò è che il male prevarrebbe, e quel che prevale vince in seguito, se non immediatamente.
Finché il male prevale, il bene non può accedere agli appartamenti intimi, ma solamente al
vestibolo, poiché, come si è detto, il male e il bene non possono stare insieme, e ciò che è
solamente nel vestibolo viene respinto dal suo nemico, che è negli appartamenti intimi.
Quindi avviene che l’uomo recede dal bene e torna al male, il che è il genere peggiore di
profanazione.
[5] Oltre a ciò, il piacere stesso della vita dell'uomo è amare se stesso e il mondo sopra
ogni altra cosa. Questo piacere non si può rimuovere in un momento, ma poco a poco;
nella misura in cui questo piacere rimane nell'uomo, nella stessa misura in lui prevale il
male; e questo male non si può rimuovere, se non quando l'amore di sé diviene l'amore
per gli usi, e l'amore di dominare non è più l’amore per il potere in sé, ma per gli usi. In
questo modo gli usi sono come la testa, e l'amore di sé o l'amore di dominare sono il corpo
sotto la testa, e infine i piedi sui quali si cammina. Chi non vede che il bene deve essere la
testa, e che quando il bene è la testa il Signore è là; e che il bene e gli usi sono la stessa
cosa? Chi non vede che, se il male è la testa, là vi è anche il diavolo? E che, dovendo
nondimeno accettare qualche bene civile e morale, e perfino qualche forma esteriore di
bene spirituale, questo bene allora costituisce i piedi e le piante dei piedi, e viene
calpestato?
[6] Lo stato della vita dell'uomo deve quindi essere invertito, in modo che ciò che è sopra
stia sotto. Questa inversione non si può fare in un momento, poiché il supremo piacere
della vita deriva dall'amore di sé e quindi dal potere; questo piacere si può diminuire e
trasformare in amore degli usi solo gradualmente. Il bene non può essere introdotto dal
Signore prima, né in maggior misura di quanto questo male viene rimosso. Se ciò
accadesse prima, o in misura maggiore del necessario, l'uomo recederebbe dal bene e
tornerebbe al suo male.
[7] 4° Quando l'uomo è nel male, molte verità possono essere introdotte nel suo intelletto, e
riposte nella sua memoria, senza essere profanate. La ragione di ciò è che l'intelletto non
influisce sulla volontà, ma è la volontà che influisce sull'intelletto. Poiché l'intelletto non
influisce sulla volontà, molte verità possono essere ricevute dall'intelletto e riposte nella
memoria, pur senza essere mescolate col male della volontà; di conseguenza le cose sante
non vengono profanate. Inoltre ognuno ha il dovere di imparare le verità dalla Parola o
dalle prediche, di riporle nella sua memoria e di farne oggetto di meditazione, poiché
dalle verità che sono conservate nella memoria, e che quindi si manifestano nel pensiero,
l'intelletto insegnerà alla volontà, cioè all'uomo, ciò che deve fare. Questo è pertanto il
primo mezzo grazie al quale si può attuare la riforma. Quando le verità sono solamente
nell'intelletto, e quindi nella memoria, esse non sono nell'uomo ma fuori di lui.
[9] 5° Ma il Signore, grazie alla sua Divina Provvidenza, provvede con la massima cura affinché
esse non siano ricevute dalla volontà prima che l’uomo non abbia rimosso da se stesso, nella sua
apparente autonomia, il male dal suo “sé” esteriore; e affinché esse non siano ricevute in maggior
misura dei mali esteriori che l'uomo ha rimosso. Infatti ciò che procede dalla volontà penetra
nell’uomo e diviene una sua proprietà, qualcosa che fa parte della sua vita. In questa vita,
che nell'uomo deriva dalla volontà, il male e il bene non possono stare insieme, perché in
tal modo essa perirebbe; ma possono stare entrambi nell'intelletto, dove essi si definiscono
“falsità del male” o “verità del bene”. Tuttavia non contemporaneamente, altrimenti
l'uomo non sarebbe capace di vedere il male dalla prospettiva del bene, né conoscere il
bene dalla prospettiva del male, bensì distinti e separati come l’interno e l’esterno di una
casa. Quando l'uomo malvagio pensa e dice il bene, egli allora pensa e parla solo
esteriormente; ma quando si tratta dei mali, allora lo fa interiormente; allorché parla dei
beni, il suo linguaggio è come se uscisse dal muro, e può essere paragonato ad un frutto
bello all'esterno, ma che dentro è guasto e pieno di vermi, ed anche al guscio di un uovo di
drago.
[10] 6° Se ciò venisse compiuto prima del tempo o in misura maggiore del necessario, allora la
volontà inquinerebbe il bene, e l'intelletto falsificherebbe le verità, mischiandoli con i mali e le
falsità. Quando la volontà è nel male, allora nell'intelletto essa adultera il bene, e il bene
adulterato nell'intelletto è il male nella volontà. Esso ci persuade che il male è il bene, e
viceversa. Il male fa così con ogni bene che gli è opposto. Il male falsifica la verità, perché
la verità del bene è opposta alla falsità del male; la volontà fa lo stesso nell'intelletto, e non
l'intelletto da se stesso. Nella Parola le adulterazioni del bene sono rappresentate dagli
adulteri, e le falsificazioni della verità dalle fornicazioni. Queste adulterazioni e
falsificazioni vengono compiute tramite ragionamenti speciosi dall'uomo naturale, che è
nel male, ed anche trovando apparenti conferme nelle apparenze della Parola intesa in
senso letterale.
[11] L'amore di sé, che è la radice di tutti i mali, eccelle sugli altri amori nell'arte di
adulterare i beni e di falsificare le verità. Ciò avviene tramite l'abuso della razionalità, che
ogni uomo, sia malvagio, sia buono, riceve dal Signore. Razionalizzando, l’amore di sé
può far sì che il male sembri il bene, e la falsità sembri la verità. L’amore di sé può tutto:
può convincerci con mille argomenti che la natura si sia creata da sola, e che poi abbia
creato gli uomini, le bestie e i vegetali di ogni specie; e che tramite un suo influsso
interiore essa faccia sì che gli uomini vivano, pensino analiticamente e comprendano
saggiamente. L'amore di sé eccelle nell'arte di convincerci di tutto ciò che vuole, perché la
sua superficie esterna è dotata di uno splendore multicolore. Questo splendore è per
l'amore di sé il piacere di acquisire la sapienza, e per suo tramite il dominio e il potere.
[12] Ma quando questo amore si è convinto di tali proposizioni, allora diviene tanto cieco
da credere che l'uomo è solo un animale, e che uomo e animale pensano nello stesso modo;
anzi, se gli animali potessero parlare, sarebbero uomini in forme diverse. Se venisse
indotto a credere che qualcosa dell'uomo sopravvive dopo la morte, sarebbe tanto cieco da
credere che lo stesso accade agli animali, e che questo “qualcosa” che vive dopo la morte è
semplicemente un sottile alito di vita, come un vapore, che infine torna al suo cadavere.
Oppure qualcosa privo di vista, di udito e di parola, e di conseguenza cieco, sordo e
muto, che si limita a svolazzare intorno e pensare; ed altre stravaganze che la natura, che
in sé è morta, ispira alla fantasia. Ecco ciò che fa l'amore di sé che, considerato in se stesso,
è l'amore del proprium; e il proprium dell'uomo, quanto alle affezioni, che sono tutte
naturali, non è differente dalla vita di un animale, e quanto alle percezioni poiché esse
procedono dalle affezioni esso non e diverso da un gufo. Perciò colui che immerge
continuamente i pensieri nel suo proprium non si può elevare dalla luce naturale alla luce
spirituale, né vedere alcunché riguardo a Dio, al cielo e alla vita eterna. Poiché questo
amore è di tale natura, e poiché eccelle nell'arte di confermare tutto ciò che gli piace, esso
può con pari abilità adulterare i beni della Parola e falsificarne le verità, quando per
qualche necessità è costretto a renderne testimonianza.
[13] 7° Perciò il Signore non introduce interiormente l'uomo alle verità della sapienza ed ai beni
dell'amore, se non in quanto l'uomo può esservi mantenuto fino alla fine della vita. Il Signore
opera in questo modo affinché l'uomo non cada in quel gravissimo genere di profanazione
delle cose sante, di cui si è già trattato in questo articolo. Per prevenire questo pericolo, il
Signore permette l’esistenza anche di modi malvagi di vivere e di eresie religiose. I capitoli
seguenti tratteranno proprio di questa tolleranza da parte del Signore.
XIII
Anche le leggi di concessione sono leggi della Divina Provvidenza
234. Non vi sono “leggi di concessione” di per sé, o separate dalle leggi della Divina
Provvidenza. Esse sono la stessa cosa; perciò, quando si dice che Dio concede, ciò non
significa che egli vuole, ma che non può evitare una certa cosa a causa del suo fine, che è .
la nostra salvezza. Tutto ciò che viene compiuto in vista dello scopo, che è la salvezza,
avviene secondo le leggi della Divina Provvidenza; poiché, come si è già detto, la Divina
Provvidenza va continuamente in senso contrario alla volontà dell'uomo. Essa mira
costantemente a quel fine, in modo tale che in ogni momento della sua operazione, o ad
ogni passo del suo cammino, appena si accorge che l'uomo devia dallo scopo, essa lo
dirige, lo piega e lo dispone secondo le sue leggi, distogliendolo dal male e conducendolo
al bene. Si vedrà in seguito che ciò non è possibile senza che il male sia permesso. Inoltre, a
nulla può essere concesso di accadere senza una causa; e le cause si trovano solo in
qualche legge della Divina Provvidenza, una legge che spiega perché ciò è permesso.
235. Chi non riconosce affatto la Divina Provvidenza, in cuor suo non riconosce Dio:
invece di Dio riconosce la natura, e l'umana prudenza invece della Divina Provvidenza.
Ciò può non apparire esteriormente, perché l'uomo può pensare in un modo e parlare in
un altro; egli può pensare e parlare in un modo dalla sua interiorità, e in un altro modo
dalla sua esteriorità. È come un cardine che può far girare una porta in entrambi i sensi: in
un senso quando si entra, e nell'altro quando si esce; o come una vela che può dirigere la
nave da una parte o dall’altra, a seconda di come il nocchiero la spiega. Coloro che si sono
convinti dell'umana prudenza a tal punto da aver negato la Divina Provvidenza,
qualunque cosa vedano, odano e leggano, quando vi pongono mente non si accorgono
d'altro, e neppure possono farlo, perché non ricevono nulla dal cielo, ma solamente da se
stessi. Poiché essi basano le loro conclusioni sulle sole apparenze ed illusioni, e non
vedono nient’altro, possono giurare che le cose stanno così. E anche se riconoscono la sola
natura, essi possono adirarsi contro i difensori della Divina Provvidenza, eccetto quando
si tratta di sacerdoti, perché pensano che in questo caso sia una caratteristica della loro
dottrina o della loro professione.
236. A questo punto è opportuno enumerare alcuni esempi di concessione, che tuttavia
sono conformi alle leggi della Divina Provvidenza; esempi di concessione di cui i
materialisti si servono per affermare la natura contro Dio, e la prudenza umana contro la
Divina Provvidenza. Così quando un materialista legge la Parola, vede che i più saggi fra
gli uomini, Adamo e la sua consorte, si sono lasciati sedurre dal serpente, e che Dio con la
sua Divina Provvidenza non l'ha impedito (Genesi 3:1–5); che il loro primo figlio, Caino,
uccise il fratello Abele, e che Dio, parlando con lui, non lo distolse da tale crimine, ma si
limitò a maledirlo dopo il fatto (Genesi 4:1–16); che la nazione israelita nel deserto adorò
un vitello d'oro, e lo riconobbe per il Dio che l'aveva condotta fuori dalla terra d'Egitto,
mentre Jehovah vedeva tutto ciò dal Monte Sinai, là vicino, e non lo impedì (Es. 32:1–6);
inoltre, che Davide fece censire il popolo, e che per questo motivo fu mandata una peste e
morirono molte migliaia di uomini, e che Dio, non prima ma dopo il fatto, inviò il profeta
Gad per annunziargli il castigo (2 Samuele 24:10–25); che fu permesso a Salomone di
instaurare culti idolatrici, e a molti re dopo di lui di profanare il tempio e le cose sante
della chiesa; infine, che fu permesso agli ebrei di crocifiggere il Signore. In questi e in molti
altri passi della Parola, colui che riconosce solo la natura e la prudenza umana non vede
che cose contrarie alla Divina Provvidenza, e può servirsene come argomenti per negarla,
se non nel suo pensiero esteriore, che è il più vicino al linguaggio, almeno nel suo pensiero
interiore, che è lontano dal linguaggio.
237. Ogni adoratore di se stesso e della natura si sente giustificato nella sua negazione
della Divina Provvidenza quando vede nel mondo tanti uomini empi e tante loro empietà,
e gli onori che alcuni di loro ne ricavano, senza che Dio li punisca in alcun modo. E si
conferma ancor di più contro la Divina Provvidenza, quando vede andare a buon esito le
macchinazioni, le astuzie e le frodi, anche contro gli uomini pii, giusti e sinceri; e quando
vede l'ingiustizia che trionfa sulla giustizia nei giudizi legali e negli affari. Egli si convince
principalmente quando vede gli empi ottenere onori, potere e ricchezza, sia nel governo
che nella chiesa, mentre chi venera Dio vive nel disprezzo e nella povertà. Si conferma
ancora contro la Divina Provvidenza quando pensa che sono permesse le guerre, che
portano con sé l'uccisione di tanti uomini, il saccheggio di tante città, nazioni e famiglie; e
che la vittoria sta molte volte dalla parte della prudenza, e non sempre dalla parte della
giustizia, senza che abbia la minima importanza il fatto che il comandante delle armate
vittoriose sia o meno un uomo probo. E così via, con altre cose del genere che tutte sono
concessioni secondo le leggi della Divina Provvidenza.
239. Nel tempo presente a questi argomenti se ne possono aggiungere altri, che
sembrano dare ragione a coloro che interiormente credono solo alla natura ed alla
prudenza umana. Per esempio, che tutto il mondo cristiano ha riconosciuto tre dei, non
sapendo che Dio è uno in persona ed in essenza, e che egli è il Signore. Inoltre si è
finora ignorato che nei singoli dettagli della Parola vi è un senso spirituale, e che questa è
la base della santità; si è anche ignorato che fuggire i mali come peccati, e che l'uomo vive
in forma di uomo dopo la morte, è l’essenza della religione cristiana. Gli scettici possono
chiedere a se stessi, e domandarsi fra loro: “Perché la Divina Provvidenza, se esiste, rivela
queste cose ora per la prima volta?”
240. Tutti gli esempi citati ai nn. 237, 238 e 239 sono stati riportati affinché si comprenda
che ogni singola cosa che accade nel mondo, tanto per i malvagi quanto per i buoni, viene
dalla Divina Provvidenza. Di conseguenza la Divina Provvidenza si trova nei minimi
particolari dei pensieri e delle azioni dell'uomo: quindi essa è universale. Ma poiché ciò
non risulterebbe chiaro, se le singole proposizioni non fossero spiegate dettagliatamente,
esse saranno brevemente illustrate, seguendo l'ordine in cui sono state presentate,
cominciando dal n. 236.
241. I. I più saggi fra gli uomini, Adamo e la sua consorte, si sono lasciati sedurre dal serpente, e
Dio con la sua Divina Provvidenza non l'ha impedito. Per Adamo e la sua consorte non si
intendono i primi uomini creati in questo mondo, ma gli uomini della chiesa antichissima,
la cui nuova creazione o rigenerazione è descritta nel primo capitolo della Genesi con la
creazione del cielo e della terra; la loro sapienza e intelligenza con il giardino dell’Eden; e la fine
di quella chiesa con il fatto di cibarsi del frutto dell'albero della scienza. La Parola nel suo seno
è spirituale, perché contiene gli arcani della Divina Sapienza; ed affinché essi vi siano
contenuti, è redatta in un linguaggio di simboli e corrispondenze. È quindi evidente che
gli uomini di quella chiesa, che all’inizio furono sapientissimi, e che infine, inorgogliti
dalla propria intelligenza, divennero pessimi, non furono sedotti da alcun serpente, ma
dall'amore di sé. Questa è la testa del serpente, che il seme della donna, vale a dire il Signore,
avrebbe dovuto schiacciare.
[2] Chi mai, in virtù della ragione, non può vedere che con quelle parole della Scrittura si
intendono cose ben diverse da quelle che vi sono raccontate, come in una narrazione, nel
loro senso letterale? Infatti chi può mai concepire che la creazione del mondo abbia potuto
essere come vi è descritta? Gli eruditi si scervellano intorno alla spiegazione di ciò che
contiene il primo capitolo della Genesi, e finiscono col confessare di non riuscire a
comprenderlo. Nel giardino, o paradiso, erano stati posti due alberi, uno della vita e uno
della scienza, e quest’ultimo come pietra d'inciampo: solamente per aver mangiato di
quest'albero Adamo e la sua consorte hanno commesso una colpa così grave, che non
soltanto essi ma anche tutto il genere umano, la loro discendenza, sono stati soggetti alla
dannazione. Vi è il fatto che un serpente abbia potuto sedurli; ed altre cose narrate nella
Genesi, ad esempio che la moglie sia stata creata da una costola del marito, che dopo la
caduta essi si siano accorti della loro nudità, e che l'abbiano velata con foglie di fico; che
fossero date loro delle tuniche di pelle per coprirsi il corpo, e che fossero posti dei
cherubini con una spada fiammeggiante per custodire la via dell'albero della vita.
[3] Tutte queste cose sono immagini usate per descrivere l’instaurazione della chiesa
antichissima, il suo stato, la sua trasformazione, e infine la sua distruzione. Tutte le cose
occulte contenute nel senso spirituale sulla Genesi e l'Esodo, che si trova nei singoli
dettagli del racconto, sono spiegate in Arcana Coelestia, pubblicato a Londra, in cui si può
anche comprendere che con l'albero della vita si intende il Signore nella sua Divina
Provvidenza, e con l'albero della scienza si intende l'uomo nella propria prudenza.
242. II. Il loro primo figlio, Caino, uccise il fratello Abele, e Dio, parlando con lui, non lo distolse
da tale crimine, ma si limitò a maledirlo dopo il fatto. Poiché per Adamo e la sua consorte si
intende, come si è detto, la chiesa antichissima, ne consegue che per Caino ed Abele, loro
primi figli, si intendono le due qualità essenziali della chiesa, che sono l'Amore e la
Sapienza, o la Carità e la Fede. Abele indica l'amore o la carità, e Caino la sapienza o la fede,
in particolare la sapienza separata dall'amore, o la fede separata dalla carità. Quando la
fede viene separata, la sapienza tende non soltanto a rigettare l'amore e la carità, ma ad
annientarli, uccidendo in tal modo il suo fratello. Nel mondo cristiano è noto che la fede
separata dalla carità porta a tali conseguenze: si veda in Dottrina della Nuova Gerusalemme
sulla fede.
243. III La nazione israelita nel deserto adorò un vitello d'oro, e lo riconobbe per il Dio che l'aveva
condotta fuori dalla terra d'Egitto, mentre Jehovah vedeva tutto ciò dal Monte Sinai, là vicino, e
non lo impedì. Questo avvenne nel deserto del Sinai vicino al monte. Che Jehovah non li
abbia distolti da quel culto criminoso, è conforme a tutte le leggi della Divina Provvidenza
che fin qui sono state spiegate, ed anche a quelle che verranno spiegate in seguito. Questo
male fu loro permesso affinché non perissero tutti, poiché i figli di Israele erano stati
condotti fuori dall’Egitto affinché rappresentassero la chiesa del Signore, ed essi non
l'avrebbero potuta rappresentare se l'idolatria egiziana non fosse stata anzitutto estirpata
dai loro cuori. Ciò non avrebbe potuto accadere se essi non fossero stati lasciati liberi di
agire secondo ciò che era nel loro cuore, che poi ne fu strappato via con una grave
punizione. Quanto poi a ciò che significa quel culto, ed alla minaccia che essi sarebbero
stati totalmente rigettati, e che una nuova nazione sarebbe sorta da Mosè, si veda in
Arcana Coelestia (dal n. 10393 al n.10512) sull'Esodo, cap. 22, dove sono trattati questi
argomenti.
244. IV. Davide fece censire il popolo, e per questo motivo fu mandata una peste da cui morirono
molte migliaia di uomini, e Dio, non prima ma dopo il fatto, inviò il profeta Gad per annunziargli il
castigo. Chi nega risolutamente la Divina Provvidenza può riflettere a lungo anche intorno
a questo argomento, soprattutto perché Davide non fu avvertito prima, e perché il popolo,
per la trasgressione del re, fu punito con tanto rigore. Se Davide non fu avvertito prima, è
conforme alle leggi della Divina Provvidenza mostrate fin qui, soprattutto alle due leggi
spiegate dal n. 129 al n. 153, e dal n. 154 al n. 174. Se il popolo fu punito con tanto rigore
per la trasgressione del re, e settantamila uomini furono colpiti dalla peste, ciò non
accadde a motivo del re, ma a causa del popolo. Si legge infatti: La collera del Signore si
accese di nuovo contro Israele e incitò Davide contro il popolo in questo modo: Su, fa’ il censimento
d'Israele e di Giuda. (II. Sam. 34:1).
245. V. Fu permesso a Salomone di instaurare culti idolatrici. Ciò fu permesso affinché egli
potesse presentare un’immagine del regno del Signore o della chiesa a tutte le religioni del
mondo, poiché la chiesa istituita presso il popolo di Giuda ed Israele era una chiesa
rappresentativa. Perciò tutti i giudizi e gli statuti di questa chiesa rappresentavano i
principi spirituali della chiesa, la sua realtà interiore. Il popolo stesso rappresentava la
chiesa; il loro re rappresentava il Signore: Davide, il Signore che doveva venire nel mondo;
e Salomone, il Signore dopo il suo avvento. Perché il Signore, dopo la glorificazione della
sua natura umana, ha avuto il potere in cielo e sulla terra, come dice egli stesso (Matteo
28:18) Salomone, che lo rappresentava, apparve nella gloria e nella magnificenza, e fu il più
saggio di tutti i re della terra. Inoltre edificò il tempio, e consentì ed istituì i culti di molte
nazioni, che rappresentano le varie religioni del mondo. Le sue settecento mogli e le sue
trecento concubine significavano la stessa cosa (I Re 11:3); infatti, nella Parola, moglie
significa la chiesa, e concubina significa una religione. Da ciò si può comprendere perché fu
concesso a Salomone di edificare il tempio, che rappresentava la natura Divinaumana del
Signore (Giovanni 2:19, 21), ed anche la chiesa; e si comprende anche perché gli fu
permesso di instaurare culti idolatrici, e di avere tante mogli. In Dottrina della Nuova
Gerusalemme sul Signore, n. 43, 44, viene spiegato perché Davide, in molti passi della Parola,
indica il Signore che doveva venire nel mondo.
246. VI. A molti re, dopo Salomone, fu permesso di profanare il tempio e le cose sante della chiesa.
Ciò avvenne perché il popolo rappresentava la chiesa, e il re era il loro capo; e poiché la
nazione israelita e giudaica non avrebbe potuto rappresentare a lungo la chiesa, essendo
idolatra nel proprio cuore, essa si ritirò gradualmente dal culto rappresentativo,
pervertendo tutte le cose della chiesa, a tal punto da devastarla. Ciò è stato rappresentato
con le profanazioni del tempio da parte dei re, e con le loro idolatrie; la devastazione della
chiesa è stata rappresentata con la distruzione del tempio e con la deportazione del popolo
israelita, e con la cattività del popolo ebraico a Babilonia. Questa fu la causa; e tutto ciò che
avviene in virtù di una causa avviene in virtù della Divina Provvidenza, secondo qualcuna
delle sue leggi.
248. Fin qui sono stati spiegati i punti enumerati al n. 236: fatti presi dalla Parola, nei
quali l'uomo naturale, che ragiona contro la Divina Provvidenza, può trovare conferma
alle sue idee. Come si è già detto (n. 235), tutto ciò che un uomo simile vede, ode e legge,
può servirgli come argomento contro di essa. Pochi uomini, comunque, trovano argomenti
contro la Divina Provvidenza in ciò che si legge nella Parola; molti tuttavia ne trovano
nelle cose che vedono coi loro occhi, enumerate al n. 237, che perciò adesso devono essere
spiegate.
249. I. Ogni adoratore di se stesso e della natura trova conferme contro la Divina Provvidenza,
quando nel mondo vede tanti uomini empi e tante loro empietà, ed allo stesso tempo la gloria che
alcuni di loro ne traggono, senza ricevere alcuna punizione da Dio. Tutte le empietà, e anche le
glorie che se ne traggono, sono concessioni, le cui cause sono leggi della Divina
Provvidenza. Ogni uomo è libero, anzi perfettamente libero di pensare ciò che vuole,
contro Dio o in favore di Dio. Chi pensa contro Dio raramente viene punito nel mondo
naturale, perché qui egli è sempre in uno stato di riforma; ma dopo la morte viene punito
nel mondo spirituale, perché allora non si può più riformare.
[2] Che le cause delle concessioni siano leggi della Divina Provvidenza è evidente dalle
leggi sopra riportate:
L' uomo deve agire in virtù della sua libertà secondo la ragione (dal n. 71 al n. 97)
L'uomo non deve essere costretto con mezzi esteriori a pensare ed a volere, a credere e
amare le cose che appartengono alla religione, ma vi si deve indurre da se stesso, e talvolta
costringersi (dal n. 129 al n. 154)
La propria prudenza è nulla, ed esiste solo in apparenza, benché debba apparire reale;
ma la Divina Provvidenza include tutto, perché si estende fino ai minimi dettagli (dal n.
191 al n. 213)
La Divina Provvidenza considera le cose eterne, e non considera le cose temporali se non
in quanto coincidono con le eterne (dal n. 214 al n. 220)
- L'uomo non viene introdotto interiormente alle verità della fede ed ai beni della carità, se
non in quanto può esservi mantenuto fino alla fine della vita (dal n. 221 al n. 233)
Che le cause
[3] Come si vedrà nei seguenti articoli, le cause delle concessioni sono leggi della Divina
Provvidenza.
I mali sono permessi per un fine, che è la salvezza (dal n. 275 al n. 284)
La Divina Provvidenza è sempre vicina ai malvagi così come ai buoni (dal n. 285 al n.
307)
Il Signore non può agire contro le leggi della sua Divina Provvidenza, perché agire
contro di esse sarebbe agire contro il suo Divino Amore e contro la sua Divina Sapienza,
dunque contro se stesso (dal n. 31 al n. 340).
Queste leggi, se si confrontano fra loro, possono farci comprendere i motivi per cui le
empietà sono permesse dal Signore, non vengono punite quando sono solamente nel
pensiero, e raramente anche quando si trovano solo nelle intenzioni, e di conseguenza
anche nella volontà, pur non essendo poste in atto. Nonostante ciò, ad ogni male segue la
sua pena: come se nel male fosse insita la .sua punizione, che l’empio subisce dopo la
morte.
[4] Per questi motivi si spiega la seguente proposizione, riportata più sopra (n. 237): Ogni
adoratore di se stesso e della natura si sente giustificato nella sua negazione della Divina
Provvidenza quando vede nel mondo tanti empi e tante loro empietà, e gli onori che alcuni di loro
ne ottengono, senza che Dio li punisca in alcun modo. E si conferma ancor di più contro la Divina
Provvidenza, quando vede andare a buon esito le macchinazioni, le astuzie e le frodi, anche contro
gli uomini pii, giusti e sinceri; e l'ingiustizia che trionfa sulla giustizia nei giudizi legali e negli
affari. Tutte le leggi della Divina Provvidenza sono necessarie; e poiché esse sono le cause
per cui tali cose sono permesse, è evidente che, affinché l'uomo possa vivere da uomo, si
possa riformare e salvare, queste malvagità non possono essere tolte all'uomo dal Signore
se non indirettamente. Per coloro che riconoscono come peccati gli omicidi di ogni genere,
gli adulteri, i furti e le false testimonianze ciò viene compiuto tramite la Parola, e
soprattutto tramite i precetti del Decalogo; ma per coloro che non li riconoscono come
peccati, ciò si compie tramite le leggi civili ed il timore delle pene che esse infliggono, ed
anche tramite le leggi morali, per il timore di perdere la reputazione, e di conseguenza
l'onore ed i guadagni. Con questi mezzi il Signore conduce i malvagi, limitandosi a
distoglierli dal compiere questi mali, ma non dal pensarli e dal desiderarli; mentre coi
mezzi elencati in precedenza il Signore conduce i buoni, distogliendoli non solo dal
compiere questi mali, ma anche dal pensarli e dal desiderarli.
L'adoratore di se stesso e della natura crede che le dignità e le ricchezze siano le più grandi
e le sole felicità che possano esistere, la felicità in se stessa. Se essi pensano in qualche
modo a Dio a motivo del culto a cui furono iniziati fin dall'infanzia, queste cose di Dio essi
le chiamano benedizioni divine, e finché non aspirano a cose più elevate, essi pensano che
vi sia un Dio e lo adorano. Ma nel loro culto vi è latente ciò che essi stessi ignorano, cioè
un desiderio di essere elevati da Dio a più alti onori ed a ricchezze più abbondanti. Se li
ottengono, il loro culto diventa sempre più superficiale, fino al punto di scomparire: allora
essi stessi disprezzano e negano Dio. Tali uomini agiscono nello stesso modo se vengono
privati degli onori e delle ricchezze in cui avevano riposto il loro cuore.
[2] Che cosa sono allora le dignità e le ricchezze se non pietre d’inciampo per i cattivi, ma
non per i buoni, perché questi non ripongono il loro cuore in esse, ma negli usi o nei beni,
per il compimento dei quali gli onori e le ricchezze servono solo come mezzi? Perciò solo
chi adora se stesso e la natura può trovare argomenti contro la Divina Provvidenza nel
fatto che gli empi ottengono onori e ricchezze, e posizioni di potere nello stato e nella
chiesa. D’altronde che cos’è una dignità maggiore o minore, e una ricchezza più grande o
più piccola? È forse altro, in sé, che qualcosa d'immaginario? Forse che l'uno è più
fortunato e felice dell'altro? Dopo un anno, la dignità non viene forse considerata da un
magnate, o anche da un re e da un imperatore, solo come qualcosa di comune, che non dà
più gioia al cuore, e che può anche sembrare vile ai suoi occhi? Si trovano forse costoro,
grazie alla loro dignità, in un grado maggiore di felicità di quelli che hanno una dignità
minore, o anche minima, come sono i coloni e i loro servi? Questi possono essere più felici
di loro, quando prosperano e sono contenti della loro sorte. Chi è più inquieto nel suo
cuore, e più spesso indignato, più fortemente corrucciato se non chi è sotto il dominio
dell'amore di sé? Questo gli accade tutte le volte che egli non è onorato secondo
l'esaltazione del suo cuore, e tutte le volte che qualcosa non riesce a suo piacimento e
secondo la sua volontà. Se il rango non ha sostanza, e non serve ad un uso, cos’è se non un
puro concetto? E una tale idea può forse trovarsi in un altro pensiero che non riguardi se
stesso e il mondo, e più precisamente nel pensiero che il mondo è tutto e l’eternità è nulla?
[3] Ora si dirà brevemente perché la Divina Provvidenza permette che gli empi di cuore
ottengano onori e ricchezze. Gli empi o i malvagi possono ugualmente compiere degli usi
come gli uomini pii e buoni, ed anche con maggior ardore, poiché essi sono concentrati su
se stessi nel compiere gli usi, e considerano gli onori come usi. Perciò, quanto più l'amore
di sé si innalza, tanto più si accende il desiderio di compiere degli usi per accrescere la loro
fama. Un tale ardore non esiste negli uomini devoti o buoni, tranne che non sia
fomentato sottilmente dal loro rango. Il Signore conduce dunque, per l’amore della
reputazione, gli uomini di alto rango che sono empi nel loro cuore, e li spinge a compiere
degli usi per il bene comune o per la patria, la società o la città in cui vivono, ed anche per
i concittadini o per i loro vicini. Tale è il modo di governare del Signore, la sua Divina
Provvidenza, con uomini del genere. Infatti il regno del Signore è il regno degli usi; e
laddove non vi sono che pochi uomini a compiere gli usi per l’amore degli usi, egli fa sì
che gli adoratori di se stessi siano promossi alle cariche più elevate, in cui ciascuno viene
spinto a fare il bene per amore di se stesso.
[4] Si supponga che nel mondo esista un regno infernale (anche se un luogo simile non
c’è) dove esiste solo l’amore di sé, lo stesso amore di sé che è il diavolo. Forse che ognuno,
spinto dal fuoco dell'amore di sé e dallo splendore della sua gloria, non vi compirà degli
usi più che in un altro regno? Nonostante ciò, tutti loro hanno in bocca il bene pubblico,
ma nel cuore il proprio bene. Ciascuno si rivolgerebbe al suo regnante per ottenere
maggiori onori, poiché ognuno aspira ad essere il più grande. Potrebbero tali uomini
riconoscere che c'è un Dio? Sarebbero circondati da un fumo come quello di un incendio,
attraverso il quale non può giungere fino a loro, nella sua luce, alcuna verità spirituale. Io
ho visto questo fumo intorno ad un inferno composto da uomini del genere. Si osservi
quanti, fra coloro che aspirano agli onori nei regni di oggidì, ve ne sono che non siano
amori di sé e del mondo: fra mille se ne troveranno forse cinquanta che sono amori di Dio.
E fra questi ultimi, se ne troveranno ben pochi che aspirano ad ottenere onori. Poiché
dunque ve ne sono così pochi che sono amori di Dio, e un così gran numero che sono
amori di sé e del mondo; e dato che questi ultimi amori, in virtù dei loro fuochi,
producono più usi che non gli amori di Dio in virtù dei loro, come può essere un
argomento contro la Divina Provvidenza il fatto che i malvagi pieni di onori e di ricchezze
sono più numerosi dei buoni?
[5] Ciò è anche confermato da queste parole del Signore:
Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo
mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: Procuratevi
amici con la disonesta ricchezza, perché, quando essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore
eterne. (Luca 16:8, 9)
È evidente ciò che si intende con queste parole nel loro senso naturale; ma nel senso
spirituale la disonesta ricchezza significa le conoscenze del bene e della verità che i malvagi
posseggono, e di cui si servono solamente per acquisire onori e ricchezze. Sono queste
conoscenze che i buoni, i figli della luce, si fanno amiche, e sono esse che li accolgono nelle
dimore eterne. Il Signore ci insegna che gli amori di sé e del mondo sono molti, ma pochi
sono gli amori di Dio:
Larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano
per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi
sono quelli che la trovano! (Matteo 7:13, 14)
Riguardo al fatto che gli onori e le ricchezze possano essere maledizioni o benedizioni, a
seconda di chi le ottiene, si veda al n. 217.
251. III. Chi adora se stesso e la natura trova argomenti contro la Divina Provvidenza quando
pensa che sono permesse le guerre, che portano con sé l'uccisione di tanti uomini e la razzia dei loro
beni. Le guerre non derivano dalla Divina Provvidenza, perché esse si accompagnano ad
omicidi, saccheggi, violenze, crudeltà ed altri mali gravissimi, diametralmente opposti alla
carità cristiana. Tuttavia esse non possono non essere permesse, perché dopo gli uomini
più antichi, simboleggiati da Adamo e dalla sua consorte, di cui si è parlato più sopra (n.
241), l'amore della vita degli uomini e divenuto tale da voler dominare sugli altri, ed infine
su tutti; e vuole possedere le ricchezze del mondo, e infine tutte le ricchezze. Questi due
amori non possono essere tenuti incatenati, poiché la Divina Provvidenza esige che sia
permesso ad ognuno di agire in virtù della sua libertà secondo la ragione (si vedano più
sopra i nn. da 71 a 97). Senza tale concessione l'uomo non può essere distolto dal male da
parte del Signore, e di conseguenza non può essere riformato e salvato. Se non fosse
permesso che i mali uscissero in superficie, l'uomo non li vedrebbe, e di conseguenza non
li riconoscerebbe, e non potrebbe essere indotto a resistervi. Quindi i mali non possono
essere impediti in alcun modo dalla Provvidenza; altrimenti essi rimarrebbero rinchiusi, e
come quelle malattie che si chiamano cancro e cancrena, essi si diffonderebbero da ogni
parte e divorerebbero tutto ciò che è vitale ed umano.
[2] Infatti l'uomo è fin dalla nascita un piccolo inferno, in costante conflitto col cielo.
Nessun uomo può essere liberato dall'inferno da parte del Signore, a meno che egli non si
accorga di trovarsi all’inferno, e che voglia esserne liberato. Ciò non può avvenire senza
concessioni, le cui cause sono leggi della Divina Provvidenza. È per questo motivo che vi
sono guerre piccole e grandi: piccole fra proprietari di fondi e i loro vicini, e grandi fra
monarchi di regni e i loro vicini. Le guerre minori differiscono da quelle maggiori
solamente per il fatto che le prime sono mantenute entro certi limiti grazie alle leggi dello
stato, e le seconde grazie alle leggi internazionali. Vi è anche il fatto che, sebbene le piccole
guerre al pari delle grandi tendano a travalicare le leggi che le regolano, le piccole non
possono farlo, mentre le grandi possono, benché non oltre il limite del possibile. Se le
grandi guerre, benché accompagnate da omicidi, razzie, violenze e crudeltà, non vengono
impedite dal Signore, agendo sui re e sui generali, né all’inizio, né durante il loro corso, ma
solo alla fine, quando la potenza dell'una o dell'altra parte è divenuta così debole che vi è
un pericolo imminente di distruzione, ciò deriva da diverse cause, nascoste nel tesoro
della Divina sapienza, e di cui alcune mi sono state rivelate. Fra esse vi è questa: tutte le
guerre, senza considerare le loro implicazioni di natura civile, rappresentano stati della
chiesa nel cielo, e sono corrispondenze. Tali furono tutte le guerre descritte dalla Parola, e
tali ancora sono, al giorno d’oggi, tutte le guerre. Le guerre descritte nella Parola sono
quelle che i figli d'Israele combatterono contro diverse nazioni, ad esempio con gli
Amorrei, gli Ammoniti, i Moabiti, i Filistei, i Siri, gli Egiziani, i Caldei, gli Assiri; e quando
i figli d'Israele, che rappresentavano la chiesa, si allontanavano dai loro precetti e dalle
loro leggi, e cadevano nei mali rappresentati da quelle nazioni — ogni nazione indicava un
certo tipo di male — essi venivano puniti da quella nazione. Ad esempio, quando
profanavano le cose sante della chiesa con grossolane idolatrie, essi venivano puniti per
mezzo degli Assiri e dei Caldei, perché con Assiri e Caldei s’intende la profanazione di ciò
che è santo. Il significato delle guerre contro i Filistei è spiegato in Dottrina della Nuova
Gerusalemme sulla Fede, dal n. 50 al n. 54.
[4] Le guerre odierne, in qualsiasi parte del mondo, rappresentano cose simili. Tutto ciò
che accade nel mondo naturale corrisponde a qualcosa di spirituale nel mondo spirituale;
e tutte le cose spirituali riguardano la chiesa. Nel nostro mondo non si sa quali regni nella
cristianità siano gli equivalenti dei Moabiti, degli Ammoniti, dei Siri e dei Filistei, dei
Caldei ed degli Assiri, e degli altri popoli contro i quali combatterono i figli di Israele;
tuttavia una relazione esiste. Nel mondo naturale non si può riconoscere quale sia la
qualità della chiesa terrena, né quali siano i mali in cui essa cade, per cui viene punita con
la guerra. In questo mondo si manifestano solamente gli aspetti esteriori, che non
costituiscono la chiesa. Non è così nel mondo spirituale, invece, dove si mostrano
apertamente le realtà interiori che riguardano la chiesa. In quel mondo tutti formano
alleanze secondo i loro diversi stati: i loro conflitti nel mondo spirituale corrispondono alle
nostre guerre, che in entrambi i mondi sono dirette in un modo corrispondente dal Signore
secondo la sua Divina Provvidenza.
[5] L'uomo spirituale riconosce che le guerre nel nostro mondo sono dirette dalla Divina
Provvidenza del Signore, ma non l'uomo naturale, eccetto quando viene proclamata una
festa per una vittoria. Allora egli può rendere grazie a Dio in ginocchio per la vittoria
concessa, e prima di iniziare il combattimento può anche invocare Dio con qualche breve
preghiera; ma quando rientra in sé, allora attribuisce la vittoria o all’abilità del generale, o
a qualche decisione o incidente nel corso del combattimento, a cui non si era fatto caso, e
da cui è risultata tuttavia la vittoria.
[2] Se non importa che il generale sia un uomo probo o meno, è per il motivo spiegato al
n. 250: i cattivi, al pari dei buoni, compiono degli usi, e i cattivi in virtù del loro fuoco ne
compiono con maggiore ardore dei buoni. Ciò si verifica principalmente nelle guerre,
perché il malvagio è più ingegnoso e più astuto del buono nell’escogitare inganni; e per il
suo amore della gloria egli prova un maggior desiderio di uccidere e depredare coloro che
riconosce e identifica come nemici. Il buono ha solamente prudenza e zelo per difendersi,
ma raramente per aggredire. È come per gli spiriti dell'inferno e gli angeli del cielo: gli
spiriti dell'inferno attaccano, e gli angeli del cielo si difendono. Da ciò si può concludere
che è lecito ad ognuno di difendere la sua patria e i suoi concittadini contro nemici
invasori, anche servendosi di generali malvagi; ma non è lecito mostrarsi ostili senza
motivo. Quando il motivo è solo la propria gloria, ciò è diabolico, poiché deriva dall’amore
di sé.
253. Fin qui si sono spiegate le cose riportate al n. 237, per le quali l'uomo meramente
naturale trova argomenti contro la Divina Provvidenza. Adesso è necessario spiegare
quelle del n. 238, che riguardano le religioni delle varie nazioni, e che possono ancora
servire come argomenti all'uomo meramente naturale contro la Divina Provvidenza.
Questi infatti dice a se stesso: « Come possono esistere tante religioni differenti, e perché
non esiste una sola religione, valida per tutto il mondo, se come si è dimostrato più
sopra, dal n. 27 al n. 45 la Divina Provvidenza ha come scopo un cielo formato dal
genere umano?» Tuttavia, deve essere noto che tutti gli uomini, dovunque e in qualunque
religione siano nati, si possono salvare, purché riconoscano un Dio e vivano secondo i
precetti del Decalogo, che sono di non uccidere, non commettere adulterio, non rubare,
non dichiarare il falso e non desiderare le cose e la moglie altrui, perché commettere tali
azioni è contro la religione, e di conseguenza contro Dio. In questi uomini vi è il timore di
Dio e l'amore del prossimo; il timore di Dio, perché pensano che è contro Dio commettere
queste azioni; e l'amore del prossimo, perché è contro il prossimo uccidere, commettere
adulterio, rubare, dichiarare il falso e desiderare le cose e la moglie altrui. Dato che tali
uomini nella loro vita volgono i loro sguardi a Dio, e non fanno del male al prossimo, sono
guidati dal Signore, e quelli che sono guidati dal Signore vengono anche istruiti, secondo
la loro religione, su Dio ed il prossimo. Coloro che vivono così amano infatti essere istruiti,
mentre coloro che vivono in modo opposto non provano questo amore; e poiché amano
essere istruiti, essi lo sono anche dagli angeli dopo la morte, quando divengono spiriti, e
ricevono volentieri le verità della Parola. A tale proposito si veda in Dottrina della nuova
Gerusalemme sulla Sacra Scrittura, dal n. 91 al n. 97, e dal n. 104 al n. 113.
254. I. L'uomo meramente naturale trova argomenti contro la Divina Provvidenza quando
considera le religioni dei vari popoli, in cui ad esempio vi sono uomini che non hanno
assolutamente alcuna nozione di Dio, oppure adorano il sole e la luna, o idoli ed immagini scolpite.
Coloro che da ciò deducono argomenti contro la Divina Provvidenza non conoscono gli
arcani del cielo, che sono innumerevoli, e di cui pochissimi sono noti all'uomo. Nel novero
di questi arcani vi è anche che l'uomo sia istruito dal cielo in modo non diretto ma
indiretto (si vedano in proposito i nn. 154 e 174). Poiché egli è istruito in modo indiretto, e
il Vangelo non ha potuto essere diffuso dai missionari a tutti gli uomini che vivono sulla
terra, altre religioni hanno potuto essere trasmesse per vie diverse anche ai popoli che
vivono ai quattro angoli del mondo: ciò è avvenuto grazie alla Divina Provvidenza. Infatti
nessun uomo crea da sé la propria religione, ma la apprende da altri (che avevano
imparato dalla Parola direttamente o a loro volta tramite l’insegnamento di altri); ciascuno
impara che vi è un Dio, che esistono il cielo e l'inferno, che c'è una vita dopo la morte, e
che si deve adorare Dio per diventare felici.
[2] Riguardo al fatto che la religione sia stata diffusa in tutto il mondo in virtù dell'antica
Parola, e poi in virtù della Parola israelitica, si veda in Dottrina della nuova Gerusalemme
sulla Sacra Scrittura, dal n. 101 al n. 103. Se non vi fosse stata la Parola, nessuno avrebbe
avuto conoscenza di Dio, del cielo e dell'inferno, della vita dopo la morte, e tanto meno del
Signore (si veda nello stesso trattato, dal n. 114 al n. 118). Quando una religione è stata
accettata da un popolo, questo popolo viene condotto dal Signore secondo i precetti e i
dogmi di tale religione; ed il Signore ha provveduto affinché in ogni religione vi siano
precetti simili a quelli del Decalogo: che si deve adorare Dio, non profanare il suo nome,
osservare un giorno di festa, onorare il padre e la madre, non uccidere, non commettere
adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza. Il popolo che considera Divini questi
precetti, e vive conformemente ad essi per amore della religione, è salvo, come si è detto al
n. 253. Anche la maggior parte delle nazioni lontane dal cristianesimo considerano queste
leggi non come civili ma come Divine, e le ritengono sacre. Riguardo al fatto che l'uomo si
salvi grazie ad una vita conforme a questi precetti, si veda in Dottrina della nuova
Gerusalemme secondo i Precetti del Decalogo.
[3] Fra gli arcani del cielo vi è anche questo: il cielo angelico al cospetto del Signore è
come un solo uomo, la cui anima e la cui vita è il Signore; e la forma di questa persona
divina è umana in ogni suo aspetto, non soltanto nelle membra e negli organi esterni, ma
anche in quelli interni, che sono molti, e nella pelle, nelle membrane, cartilagini ed ossa.
Tuttavia, queste parti tanto esterne che interne dell’uomo divino non sono materiali ma
spirituali; e il Signore ha fatto sì che anche coloro che non sono stati raggiunti dal Vangelo,
coloro che semplicemente hanno una religione qualsiasi, possano avere il loro posto in
quella persona divina che è il cielo. Essi costituiscono quelle parti che si chiamano pelli,
membrane, cartilagini ed ossa, e come gli altri sono nella gioia celeste. Non importa in
quale tipo di gioia essi si trovano, se in quella degli angeli del cielo supremo o in quella
degli angeli del cielo inferiore: chiunque sale nel cielo raggiunge la massima gioia del suo
cuore, e non potrebbe sopportarne una maggiore, poiché ne verrebbe soffocato.
[4] A tale proposito si può fare il paragone fra un contadino e un re: il contadino può
essere al sommo della gioia quando può vestirsi di un abito nuovo di ruvida lana, e
sedersi ad una tavola dove c'è della carne di porco, un pezzo di bue, formaggio, birra e
vino cotto. Egli proverebbe fastidio se, come un re, fosse vestito di porpora, di seta, d'oro e
d'argento, e gli fosse imbandita una mensa sopra cui vi fossero laute e delicate vivande di
più tipi, con vini generosi; è dunque evidente che vi è felicità celeste per gli ultimi come
per gli altri, ciascuno nel suo grado, e di conseguenza anche per quelli che sono fuori dal
mondo cristiano, purché fuggano i mali come peccati contro Dio, perché sono contro la
religione.
[5] Vi sono pochi uomini che non hanno assolutamente alcuna conoscenza di Dio. Come
si legge in Dottrina della nuova Gerusalemme sulla Sacra Scrittura (n. 116), questi, se hanno
condotto una vita morale, vengono istruiti dagli angeli dopo la morte e ricevono qualche
elemento spirituale nella loro vita morale. Similmente, coloro che adorano il sole e la luna
e credono che Dio sia là, non sanno altro, dunque ciò non è loro imputato come peccato.
Dice il Signore: « Se voi foste ciechi» ,vale a dire se non sapeste, «non avreste alcun peccato»
(Giovanni 9:41). Vi sono molti, anche nel mondo cristiano, che adorano idoli ed immagini
scolpite. Questa è davvero idolatria, ma non per tutti; infatti vi sono alcuni a cui le
immagini scolpite servono come mezzi per pensare a Dio. Infatti, in virtù dell'influsso che
procede dal cielo, chi riconosce un Dio lo vuole vedere; e poiché alcuni di essi non
riescono ad elevare la loro mente al di sopra del livello sensoriale, come invece accade a
coloro che sono più dotati spiritualmente ed interiormente, si servono di una scultura o di
un’immagine per risvegliare il loro pensiero. Coloro che si comportano così, e non
adorano l’immagine in se stessa come Dio, si salvano, se vivono secondo i comandamenti
del Decalogo per motivi religiosi.
[6] Da queste spiegazioni è evidente che, poiché il Signore vuole la salvezza di tutti, egli
ha altresì provveduto affinché ciascuno, se vive bene, possa avere il suo posto nel cielo. Il
cielo è al cospetto del Signore come un solo uomo; quindi il cielo corrisponde all’uomo
nella sua totalità e nei singoli dettagli. Vi sono anche società celesti che sono in rapporto
con le pelli, le membrane, le cartilagini e le ossa, come si legge in Cielo e inferno, pubblicato
a Londra nel 1758, dal n. 59 al n. 102; come pure in Arcana Celestia, dal n. 5552 al n. 5564, e
in questo stesso trattato, dal n. 201 al n. 204.
255. II. L'uomo meramente naturale trova argomenti contro la Divina Provvidenza, quando
considera che la religione musulmana è stata accettata da molti imperi e popoli. Il fatto che questa
religione sia stata ricevuta da un numero maggiore di popoli che non il cristianesimo può
essere di scandalo per coloro che pensano alla Divina Provvidenza, e in pari tempo
credono che non ci si possa salvare se non si è nati cristiani, in un paese dove è la Parola, e
dove il Signore è conosciuto grazie ad essa. Ma l’Islam non è uno scandalo per coloro che
credono che tutte le cose provengono dalla Divina Provvidenza; questi provano a
riconoscere dove essa sia, e così la trovano. Essa si trova nel fatto che l’Islam riconosce il
Signore come il Figlio di Dio, il più saggio degli uomini e il più grande profeta, venuto nel
mondo per istruire gli uomini. La maggior parte dei musulmani lo considera più grande di
Maometto.
[2] Affinché si comprenda chiaramente che questa religione è stata istituita dalla Divina
Provvidenza del Signore, allo scopo di distruggere l’idolatria di molti popoli, è necessario
che questo argomento sia esposto in un certo ordine. Si tratterà, in primo luogo,
dell'origine delle idolatrie. Prima dell’Islam il culto degli idoli era diffuso in tutta la terra.
Ciò deriva dal fatto che le chiese, prima dell'avvento del Signore, erano tutte “chiese
rappresentative.” Tale fu anche la chiesa israelita, col tabernacolo, le vesti di Aronne, i
sacrifici, tutte le suppellettili del tempio di Gerusalemme e le sue leggi. Presso gli antichi la
scienza delle corrispondenze, che è pure la scienza delle rappresentazioni, era la scienza
principale dei saggi, coltivata principalmente in Egitto (da cui i loro geroglifici). In virtù di
questa scienza essi sapevano ciò che significavano gli animali e le piante di ogni specie,
così come i monti, i colli, i fiumi, le fonti, il sole, la luna, le stelle; e dato che tutto il loro
culto era un culto “rappresentativo”, ovvero simbolico, e consisteva di sole
corrispondenze, essi lo celebravano sui monti e sui colli, ed anche nei boschi sacri e nei
giardini, consacravano fonti e, quando adoravano Dio, volgevano lo sguardo al sole
nascente. Essi creavano inoltre immagini scolpite di cavalli, di buoi, di vitelli, di agnelli, ed
anche di uccelli, di pesci, di serpenti, e le disponevano nelle loro case, ed in altri luoghi,
in un certo ordine che incarnava le caratteristiche spirituali della chiesa a cui esse
corrispondevano o che rappresentavano. Essi ponevano ancora oggetti simili nei loro
templi, per richiamare alla loro memoria le cose sante che tali oggetti significavano.
[3] Più tardi, quando la scienza delle corrispondenze venne dimenticata, i posteri presero
ad adorare le immagini scolpite come sante in se stesse, ignorando che gli antenati non
avevano visto nulla di santo in esse, ma solamente rappresentazioni e quindi simboli di
cose sante, secondo le loro corrispondenze. Da qui nacquero le idolatrie che riempirono
tutta la terra, tanto l'Asia con le isole circostanti, quanto l'Africa e l'Europa. Affinché tutte
queste idolatrie fossero estirpate, la Divina Provvidenza del Signore fece sì che sorgesse
una nuova religione adatta al carattere dei popoli del medio oriente, nella quale vi fosse
qualcosa dell'uno e dell'altro Testamento della Parola, e che insegnasse che il Signore è
venuto nel mondo, e che egli era il più grande profeta, il più savio di tutti, e il figlio di Dio:
ciò venne compiuto ad opera di Maometto, per cui questa religione viene chiamata
religione maomettana.
[4] Questa religione è stata suscitata dalla Divina Provvidenza del Signore, e adattata,
come si è detto, al carattere degli orientali, al fine di distruggere le idolatrie di tanti popoli,
e di dar loro qualche conoscenza del Signore prima che che essi entrassero nel mondo
spirituale. Essa non sarebbe stata accettata da tanti regni, e non avrebbe potuto estirpare le
idolatrie, se non fosse stata concepita in modo da essere in accordo e adatta alle idee ed
alla vita di tutti quei popoli. Se essa non ha riconosciuto il Signore come Dio del cielo e
della terra, è perché gli orientali riconoscono un Dio creatore dell'universo, e non possono
concepire che questo Dio sia venuto nel mondo ed abbia assunto la natura umana.
D’altronde non lo comprendono neppure i cristiani, che nel loro pensiero separano la sua
natura Divina da quella umana, associano la natura Divina al Padre nei cieli, e della natura
umana non sanno che fare.
[5] Da queste spiegazioni si può comprendere che anche l’Islam deve la sua origine alla
Divina Provvidenza del Signore; e che tutti i musulmani che riconoscono il Signore come
Figlio di Dio, e vivono secondo i comandamenti del Decalogo (che anch'essi hanno),
fuggendo i mali come peccati, arrivano dopo la morte in un cielo che si chiama “cielo
islamico”. Questo cielo è a sua volta suddiviso in tre cieli, supremo, medio ed inferiore: nel
cielo supremo vi sono coloro che riconoscono che il Signore è uno col Padre, e quindi egli
stesso è il solo Dio; nel cielo medio vi sono coloro che rinunziano ad avere più mogli e
vivono con una sola sposa; e nell'ultimo vi sono coloro che si avviano su questo cammino.
Intorno a questa religione si possono trovare maggiori dettagli in Continuazione
sull'Ultimo Giudizio e sul mondo spirituale, dal n. 68 al n. 72, dove si tratta dei musulmani e
di Maometto.
[2] Non importa se una religione viene accettata dalla maggiore o dalla minore parte del
mondo, purché vi siano popoli presso cui vi sia la Parola: poiché da loro splende sempre
una luce per coloro che sono fuori della chiesa e non hanno la Parola, come è stato
mostrato in Dottrina della nuova Gerusalemme sulla Sacra Scrittura, dal n. 104 al n. 113. Per
quanto ciò possa sembrare strano, ovunque la Parola viene letta santamente e si adora il
Signore in virtù della Parola, là è il Signore ed il cielo: il Signore è la Parola, e la Parola è la
verità Divina che forma il cielo. Perciò il Signore dice : «Dove due o tre sono riuniti nel mio
nome, io sono fra loro.» (Matteo 28:20). Ciò può essere compiuto grazie alla Parola in molte
parti del mondo da parte degli europei, perché essi commerciano con tutti i popoli, e
ovunque essi si trovano, leggono o insegnano la Parola. Questa potrebbe sembrare una
sofisticheria, ma ciò nonostante è pura verità.
257. IV. L'uomo naturale trova argomenti contro la Divina Provvidenza nel fatto che, nelle varie
nazioni dove è accettata la religione cristiana, vi sono uomini che si arrogano il potere divino, e
vogliono essere adorati come dèi; e si invocano uomini morti. Essi dicono, è vero, che non si sono
arrogati il potere divino, e che non vogliono essere adorati come dèi; ma nonostante ciò
affermano di poter aprire e chiudere le porte del cielo, rimettere o meno i peccati, e di
conseguenza salvare o condannare gli uomini, tutte cose che sono prerogativa di Dio
stesso. La Divina Provvidenza ha come unico scopo la riforma e quindi la salvezza: è
questa la sua continua operazione in ogni uomo. La salvezza si ottiene solo riconoscendo
la natura Divina del Signore, e avendo fede nel fatto che il Signore stesso ci salva quando
viviamo conformemente ai suoi comandamenti.
[2] Chi è così cieco da non vedere che questa è la Babilonia descritta nell'Apocalisse, e la
Babele di cui si parla nei Profeti? Che sia anche Lucifero, è evidente in Isaia, 14:4 e 22: « Tu
pronunzierai questa parabola sul Re di Babele, (vers. 4); e: «Io sterminerò di Babilonia il nome ed i
superstiti» (vers. 22). È chiaro che in questo passo Babele è Lucifero, di cui si dice: «Come
mai sei caduto dal cielo, o astro mattutino, figliuol dell’aurora?! Come mai sei precipitato, tu che
calpestavi le nazioni! Tu dicevi in cuor tuo: Io salirò in cielo, eleverò il mio trono al disopra delle
stelle di Dio; io m’assiderò sul monte dell’assemblea, nella parte estrema del settentrione; salirò
sulle sommità delle nubi, sarò simile all’Altissimo» (Isaia, 14:12,13,14). È usuale invocare
uomini morti, cercando il loro aiuto. Questa si può chiamare propriamente
un’invocazione, poiché tale è la definizione stabilita da una bolla papale, che conferma il
decreto del concilio di Trento, in cui si afferma apertamente che si devono invocare i
defunti. Nonostante ciò, chi non sa che si deve invocare solo Dio, e non i morti?
[3] Ma ora è necessario dire perché Dio ha permesso simili cose. Non si può negare che
esse siano state permesse per uno scopo, che è la salvezza. Senza il Signore, infatti, non c’è
salvezza; e poiché è così, era necessario che il Signore fosse predicato in virtù della Parola,
e che grazie ad essa fosse instaurata la chiesa cristiana. Ma ciò poteva essere compiuto solo
da pionieri che lo facessero con passione; e non ve n’erano altri se non coloro che, per il
fuoco dell'amore di sé, provavano un ardore simile allo zelo. Questo fuoco li incitò
dapprima a predicare il Signore e ad insegnare la Parola. Poiché questo era il loro stato
originario, Lucifero viene chiamato figlio dell'aurora (versetto 12). Ma, nella misura in cui
essi si accorsero che grazie alla santa natura della Parola e della chiesa essi potevano
ottenere potere, l'amore di sé, da cui erano stati dapprima incitati a predicare il Signore,
proruppe dal loro intimo, e si elevò infine ad una tale altezza che essi trasferirono in se
stessi tutta la Divina potenza del Signore, senza lasciargliene alcuna.
[4] Ciò non poteva essere impedito dalla Divina Provvidenza del Signore, perché se fosse
stato impedito, essi avrebbero proclamato che il Signore non era Dio, e che la Parola non
era santa, e sarebbero diventati sociniani o ariani, distruggendo così totalmente la chiesa,
la quale, chiunque siano i suoi capi, tuttavia sopravvive presso i popoli che sono sotto il
loro dominio. Perché tutti coloro che appartengono a questa religione e si rivolgono al
Signore fuggendo i mali in quanto peccati, si salvano. Di qui essi formano molte società nel
mondo spirituale; ed è anche stato fatto sì che vi fosse tra loro una nazione che non ha
subito il giogo di un tale dominio, poiché considera la Parola come santa. Questo nobile
popolo è il popolo francese. Ma che cosa è accaduto?
[5] Quando l'amore di sé porta il suo potere fino al trono del Signore, lo caccia via e vi si
installa, può solo accadere che questo amore, che è Lucifero, profani tutto ciò che ha a che
fare con la Parola e con la chiesa. Affinché questo non avvenisse, il Signore, grazie alla sua
Divina Provvidenza, fece sì che essi si allontanassero dal suo culto ed invocassero uomini
morti, che rivolgessero preghiere alle loro statue, baciassero le loro ossa e si prosternassero
davanti ai loro sepolcri, proibissero di leggere la Parola e attribuissero la santità del culto
alle messe, che il volgo non comprende, e che vendessero la salvezza per denaro. Se non
avessero fatto queste cose, essi avrebbero profanato le cose sante della Parola e della
chiesa: infatti, come è stato mostrato nel capitolo precedente, possono profanare le cose
sante solo quelli che le conoscono.
[6] Pertanto, affinché non profanassero la santissima Cena, la Divina Provvidenza ha
fatto sì che essi la dividessero, concedendo al popolo il pane, e permettendo solo a se stessi
di bere il vino; perché nella santa Cena il vino significa la santa verità, ed il pane il santo
bene. Ma quando essi sono divisi, il vino significa la verità profanata, ed il pane il bene
adulterato. Si è inoltre provveduto affinché essi la rendessero del tutto fisica e materiale, e
che la considerassero come l’elemento centrale della religione. Chi presta attenzione a
questi particolari e vi riflette con mente illuminata, può vedere le operazioni meravigliose
della Divina Provvidenza per preservare le cose sante della chiesa e per salvare tutti coloro
che possono essere salvati, strappando come da un incendio quelli che vogliono essere
messi in salvo.
258. V. L'uomo meramente naturale trova argomenti contro la Divina Provvidenza nel fatto che,
fra coloro che professano la religione cristiana, ve ne sono alcuni che pongono la salvezza nel
pensare e pronunciare certe parole, e non attribuiscono alcun valore alle buone azioni. È stato
mostrato in Dottrina della nuova Gerusalemme sulla Fede che tali uomini sono coloro che
ritengono salvifica la sola fede, e non una vita di carità; e di conseguenza coloro che
separano la fede dalla carità. Nello stesso trattato (dal n. 44 al n. 68) viene spiegato che
nella Parola essi sono i Filistei, il dragone e i capri.
[2] La Divina Provvidenza ha permesso che si affermasse una dottrina del genere
affinché il Divino del Signore e la santità della Parola non fossero profanati. Il Divino del
Signore non è profanato quando si è convinti che la salvezza significhi pronunziare questa
frase: «Che Dio Padre abbia pietà per amore del Figlio, che ha sofferto la croce e ha
rimesso i nostri peccati» perché così essi non si rivolgono al Divino del Signore, ma alla
sua umanità, che essi non riconoscono come Divina; e neanche la Parola è profanata,
perché essi non prestano attenzione a quei passi dove si trovano le parole: “amore”,
“carità”, “fare”, “opere”. Essi dicono che tutte queste cose si trovano nella loro
dichiarazione di fede, che consiste nella suddetta frase; e coloro che lo affermano dicono
fra sé : «La legge non mi condanna, né di conseguenza il male, ed il bene non mi salva,
poiché il bene compiuto da me non è il vero bene». Essi sono dunque come coloro che non
conoscono alcuna verità della Parola, perciò non possono profanarla. Ma la fede che
consiste nella suddetta frase la confermano solo coloro che, in virtù dell'amore di sé, sono
pieni d’orgoglio per la propria intelligenza; questi, nel loro cuore, non sono neppure
cristiani, ma vogliono solamente apparire come tali. Adesso è necessario spiegare che la
Divina Provvidenza del Signore opera continuamente per salvare coloro che considerano
la fede separata dalla carità come un principio teologico.
[3] È grazie alla Divina Provvidenza del Signore che, sebbene questa fede sia divenuta
un principio teologico, tutti sanno che non è solo questa fede che salva, bensì una vita
caritatevole, di cui la fede fa parte. Infatti, in tutte le chiese dove è stato accettato questo
principio religioso, si insegna che non vi è salvezza se l'uomo non esamina se stesso, non
vede i suoi peccati, non li riconosce, non si pente, non vi rinuncia e non comincia una
nuova vita. Queste cose vengono lette con molto fervore davanti a tutti coloro che si
accostano alla santa Cena, aggiungendo che, se i fedeli non agiscono in tal modo, essi
mescolano le cose sante con le profane, e si votano alla dannazione eterna. In Inghilterra si
aggiunge che, se essi non lo fanno, il diavolo entrerà in loro come in Giuda, e li
distruggerà nell'anima e nel corpo. È dunque evidente che, anche nelle chiese dove si
accetta il principio della sola fede, si insegna che è necessario fuggire i mali in quanto
peccati.
[4] Inoltre, chiunque è nato cristiano sa che bisogna fuggire i mali in quanto peccati,
poiché il Decalogo viene insegnato dai genitori e dai maestri ad ogni fanciullo e ad ogni
fanciulla. E tutti i cittadini di un regno, specialmente il popolo, vengono esaminati dal
parroco riguardo a ciò che essi conoscono della religione cristiana facendo loro recitare a
memoria solo il Decalogo, e vengono ammoniti di compiere le cose in esso contenute.
Nessun sacerdote dice loro che essi non sono sotto il giogo di questa legge, né che non
possono fare ciò che essa comanda, perché non sono capaci di compiere alcun bene con le
proprie forze. In tutto il mondo cristiano è stato accettato il simbolo di Atanasio; e tutti
credono in ciò che esso dice alla fine, cioè che il Signore verrà a giudicare i vivi e i morti,
ed allora quelli che hanno compiuto opere buone entreranno nella vita eterna, mentre
coloro che hanno compiuto opere malvagie andranno nel fuoco eterno.
[5] In Svezia, dove viene accettato il principio della sola fede, si insegna chiaramente che
non esiste fede separata dalla carità o senza buone opere. Ciò si legge in una “appendice
memoriale” annessa a tutti i libri dei Salmi, intitolata Obotferdigas foerhinder, ovvero
Impedimenti o ostacoli degli impenitenti, dove si leggono queste parole: « Coloro che sono
ricchi di buone opere dimostrano con ciò che essi sono ricchi di fede, poiché quando la
fede è davvero salvifica, opera attraverso la carità. La fede che giustifica l’uomo non esiste
mai sola e separata dalle buone opere, nello stesso modo in cui un buon albero non è privo
di frutti, né il sole di luce e calore, né l'acqua di umidità.» Si sono aggiunte queste poche
considerazioni affinché si sappia che, sebbene sia stato accettato il principio della sola fede,
i beni della carità, vale a dire le opere buone, vengono insegnati ovunque. Ciò proviene
dalla Divina Provvidenza del Signore, affinché il popolo non sia sviato da questa fede. Io
ho udito Lutero, col quale ho parlato alcune volte nel mondo spirituale, maledire la sola
fede, e dire che quando egli la stabilì, fu avvertito da un angelo di non farlo; ma che egli
aveva pensato fra sé che, se non rigettava le opere, la separazione dal Cattolicesimo
romano non avrebbe potuto effettuarsi compiutamente. Perciò egli affermò questo
principio di fede, malgrado l'avvertimento.
259. VI. L'uomo meramente naturale trova argomenti contro la Divina Provvidenza nel fatto che
nel mondo cristiano vi sono state tante eresie, e ve ne sono ancora, come quella dei Quaccheri, dei
Moravi, degli Anabattisti, ed altre ancora. Infatti egli può pensare fra sé: «Se la Divina
Provvidenza fosse la stessa nei minimi dettagli, ed avesse per fine la salvezza di tutti, essa
avrebbe fatto sì che vi fosse in tutta quanta la terra una sola vera religione, indivisa e non
lacerata da eresie.» Ma fa’ uso della tua ragione, e – se puoi pensa più profondamente. L'
uomo si può forse salvare se prima non si riforma? Infatti egli è nato nell'amore di sé e
nell'amore del mondo; e poiché questi amori non hanno in sé nulla dell'amore verso Dio e
nulla dell'amore verso il prossimo, se non per motivazioni egoistiche, egli è nato immerso
in mali di ogni genere: quale traccia di amore e di misericordia può essevi in questi amori?
Non gli sembrerà dunque una cosa da nulla ingannare gli altri, insultarli, odiarli a morte,
commettere adulterio con le loro mogli, e torturarli se mosso dalla vendetta, poiché egli
vuole essere superiore a tutti e possedere i beni di tutti, e di conseguenza poiché egli
considera gli altri, in confronto a sé, come vili e di nessun conto? Perché un tale uomo
possa essere salvato è necessario che prima si distolga da questi mali, e così si riformi. Si è
ampiamente spiegato che questo non è possibile se non entro i limiti delle molte leggi della
Divina Provvidenza. Queste leggi sono per lo più ignote, e tuttavia sono leggi della Divina
Sapienza e in pari tempo del Divino Amore, contro le quali il Signore non può agire,
perché agire contro di esse significherebbe distruggere l'uomo, e non salvarlo.
[2] Si considerino le leggi che sono state esposte finora, si confrontino, e si comprenderà.
Secondo queste leggi non può esservi alcun influsso diretto dal cielo, bensì mediato
tramite la Parola, le dottrine e la predicazione; a ciò si deve aggiungere il fatto che la
Parola, per poter essere Divina, ha dovuto essere composta interamente tramite
corrispondenze. Ne consegue che i dissensi e le eresie sono inevitabili, e che anche
permettere la loro esistenza è in accordo con le leggi della Divina Provvidenza. Inoltre,
poiché la stessa chiesa ha considerato come suoi elementi essenziali cose che si riferiscono
al solo intelletto, e di conseguenza alla dottrina, e non cose che si riferiscono alla volontà, e
di conseguenza alla vita, ciò che riguarda la vita non fa parte degli elementi essenziali
della chiesa; l’intelletto dell'uomo si trova allora immerso nelle tenebre, ed erra come un
cieco che urta contro ogni cosa e cade nei fossi. Infatti è la volontà che deve vedere
nell'intelletto, e non l'intelletto nella volontà. La vita e il suo amore devono condurre
l'intelletto a pensare, parlare ed agire, non il contrario. Se accadesse il contrario, l'intelletto
potrebbe, in virtù di un amore malvagio, e in effetti diabolico, cogliere tutto ciò che cade
sotto i sensi ed ingiungere alla volontà di compierlo. Da queste spiegazioni si può
comprendere da dove vengono i dissensi e le eresie.
[3] In ogni caso è stato provveduto affinché ciascuno possa riformarsi e salvarsi, qualsiasi
eresia egli adotti intellettualmente, purché fugga i mali in quanto, e non confermi in sé le
falsità eretiche. Fuggendo i mali come peccati la volontà infatti si riforma, e tramite la
volontà, l'intelletto, che allora per la prima volta passa dalle tenebre alla luce. Vi sono tre
elementi essenziali della chiesa: riconoscere il Divino del Signore, riconoscere la santità
della Parola, e condurre una vita caritatevole. La fede di ciascuno è determinata da una
vita di carità; la comprensione di ciò che deve essere quel tipo di vita proviene dalla
Parola, e dal Signore viene la riforma e la salvezza. Se la chiesa avesse mantenuto queste
tre cose come suoi elementi essenziali, i dissensi intellettuali non l'avrebbero divisa, ma
'avrebbero solamente resa varia, come la luce varia i colori negli oggetti di bellezza, e come
diamanti diversi fanno la bellezza di una corona regale.
260. VII. L’uomo meramente naturale trova argomenti contro la Divina Provvidenza nel fatto che
il giudaismo esiste ancora. Dopo tanti secoli gli ebrei non si sono convertiti, benché vivano
fra i cristiani. Essi non adorano il Signore, secondo le predizioni nella Parola, e non lo
riconoscono come il Messia che deve ricondurli, secondo le loro convinzioni, nella terra di
Canaan. Persistono a rinnegarlo, e nonostante ciò essi prosperano. Coloro che riflettono su
queste cose, e che perciò mettono in dubbio la Divina Provvidenza, non sanno che per
ebrei nella Parola si intendono tutti coloro che appartengono alla chiesa e riconoscono il
Signore, e che per la terra di Canaan, alla quale si dice che essi saranno condotti, si intende
la chiesa del Signore.
[2] Se gli Ebrei continuano a rinnegare il Signore, è perché essi sono tali che, se
ricevessero e riconoscessero il Divino del Signore e le cose sante della sua chiesa, le
profanerebbero. Perciò dice il Signore: Egli ha accecato i loro occhi e ha indurito i loro cuori,
affinché non vedano con gli occhi, e non comprendano con il cuore, e non si convertano, e io non li
guarisca (Giovanni 12:42; Matteo 13:14; Marco 4:12; Luca 8:10; Is. 6:9, 10). Si dice: affinché
non si convertano, e io non li guarisca, perché, se si fossero convertiti e fossero stati guariti,
essi avrebbero commesso una profanazione; ed è una legge della Divina Provvidenza, di
cui si è trattato più sopra (dal n. 221 al n. 233) che nessuno possa essere introdotto
interiormente dal Signore nelle verità della fede e nei beni della carità, se non può esservi
mantenuto fino alla fine della vita: se vi fosse introdotto altrimenti, egli profanerebbe le
cose sante.
[3] Il popolo ebraico è stato preservato e disperso in gran parte del mondo a causa della
Parola nella sua lingua originale, che tale popolo considera santa più dei cristiani; e la
natura Divina del Signore è presente in ogni minimo dettaglio della Parola. In essa vi è
infatti la Divina verità unita al Divino bene che procede dal Signore; perciò la Parola è la
congiunzione del Signore con la chiesa e la presenza del cielo, come è stato mostrato in
Dottrina della nuova Gerusalemme sulla Sacra Scrittura, dal n. 62 al n. 69. La presenza del
Signore e del cielo è in ogni luogo dove la Parola si legge santamente. Questo è lo scopo
che la Divina Provvidenza ha avuto nel preservare gli Ebrei e nel diffonderli su gran parte
della terra. Per conoscere qual’è la loro sorte dopo la morte, si veda la Continuazione
sull'Ultimo Giudizio e sul mondo spirituale, dal n. 79 al n. 82.
261. Questi sono i motivi di cui si è trattato al n. 238, per cui l'uomo naturale può trovare
argomenti contro la Divina Provvidenza. Ve ne sono ancora altri, menzionati al n. 239, che
possono servire all'uomo naturale come argomenti contro la Divina Provvidenza, e
possono anche insinuarsi negli animi altrui e suscitarvi dei dubbi. Essi sono i seguenti:
262. I. Si può mettere in dubbio la Divina Provvidenza, poiché tutto il mondo cristiano adora un
Dio in tre Persone, il che significa adorare tre dèi; e perché fino ad ora esso non ha saputo che Dio è
Uno in persona e in essenza, nel quale vi è una Trinità, e che questo Dio è il Signore. Colui che
ragiona intorno alla Divina Provvidenza può dire: «Le tre persone non sono forse tre dèi,
poiché ciascuna persona in se stessa è Dio? Chi può pensare altrimenti? Anzi: chi, in realtà,
pensa altrimenti? Lo stesso Atanasio non poté evitarlo; perciò nel simbolo di fede che
porta il suo nome, egli dice: « Sebbene in virtù della verità cristiana noi dobbiamo riconoscere
che ciascuna persona è Dio e Signore, tuttavia non è permesso, in virtù della fede cristiana, dire o
nominare tre dèi o tre Signori»: per questo si intende che dobbiamo riconoscere tre dèi e tre
Signori, ma che non è permesso dire o nominare tre dèi e tre Signori.
[2] Chi può mai concepire un solo Dio, se questo Dio non è anche una sola persona?
Alcuni potrebbero affermare che ciò sarebbe concepibile, purché si pensi che le tre persone
abbiano una sola essenza; ma, in questo modo, si potrebbe concepire solo che le tre
persone hanno una sola mente e una sola volontà, e che nonostante ciò sono tre dèi. E se
riflettiamo più profondamente, possiamo chiederci in che modo la Divina essenza, che è
infinita, può essere divisa; e come può essa ab aeterno generare un’altra essenza Divina, e
produrne una terza che procede da entrambe. Si dice che bisogna credere a tutto ciò e non
pensarci; ma chi non pensa a quel che gli si ingiunge di credere? Altrimenti quale sarebbe
la base di quel riconoscimento della verità, che è la fede nella sua essenza? Non è forse dal
pensiero riguardo a Dio ed alle tre persone che sono nati il socinianesimo e l’arianesimo,
che dominano il cuore di più persone di quanto non si creda? Ciò che realmente costituisce
la chiesa è la fede in un solo Dio, e questo unico Dio è il Signore. In Lui è la Divina Trinità.
A tale proposito, si consulti la Dottrina della nuova Gerusalemme sul Signore, dal principio
alla fine.
[3] Ma cosa si pensa oggidì riguardo al Signore? Non si pensa forse che egli sia Dio e
uomo: Dio da Jehovah suo Padre, da cui è stato concepito, e uomo da Maria vergine, dalla
quale è nato? Chi è che pensa che in lui Dio e l'uomo, o la sua natura Divina e quella
umana, sono una sola persona, e che sono “Uno” come l'anima e il corpo sono uno? Vi è
forse qualcuno che ne sia consapevole? Interroga i dottori della chiesa, ed essi ti diranno
che non lo sanno; tuttavia ciò è conforme alla dottrina della .chiesa accettata in tutto il
mondo cristiano, che suona così: Nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, è Dio e uomo; e
sebbene sia Dio e uomo, non sono due, ma un solo Cristo. Egli è Uno, perché la natura Divina ha
assunto una natura umana, dunque egli è assolutamente Uno. Vi è una sola persona poiché, come
l'anima e il corpo fanno un solo uomo, così Dio e l'uomo fanno un solo Cristo.
Questo afferma il credo, ovvero il simbolo di Atanasio. Se i dottori della chiesa non l'hanno
compreso è perché, quando hanno letto questo passo, essi non hanno pensato al Signore
come Dio, ma solamente come uomo.
[4] Se si chiede a questi dottori se sanno da chi sia stato concepito il Signore, se da Dio
Padre o dalla sua propria natura Divina, essi risponderanno: «da Dio Padre», poiché
questo afferma la Scrittura. Ma il Padre e il Figlio non sono forse Uno, come l'anima e il
corpo sono uno? Chi mai può pensare che egli sia stato concepito da due divinità? Se è
stato concepito dalla sua natura Divina, dunque egli è il suo stesso Padre. Se tu chiedi
ancora: «Qual’è la vostra concezione della natura Divina e di quella umana del Signore?»
essi diranno che la sua natura Divina deriva dall'essenza del Padre, e la sua natura umana
dall'essenza della madre, e che la sua natura Divina è con il Padre. E se chiedi: «Dov’è la
sua natura umana?» essi non risponderanno: perché nella loro mente essi separano la sua
natura Divina e la sua natura umana, e concepiscono la sua natura Divina uguale a quella
del Padre, e la sua natura umana simile a quella di qualsiasi altro uomo. Essi non sanno
che così separano l'anima e il corpo; e non vedono neppure la contraddizione: la sua
natura razionale sarebbe dunque derivata dalla sola madre.
[5] Da questa idea della natura umana del Signore simile alla natura umana di qualsiasi
altro uomo, consegue che il cristiano può difficilmente essere indotto a pensare al Divino
Umano, quand’anche gli si dicesse che l'anima o la vita del Signore era ed è fin dalla
concezione lo stesso Jehovah. Si raccolgano tutte queste argomentazioni, e si rifletta. Vi è
forse un altro Dio dell'universo all'infuori del solo Signore, in cui si trova quella natura
Divina ed essenziale chiamata Padre, la natura DivinaUmana che si chiama Figlio, e la
natura Divina che procede, e che si chiama Spirito Santo? Così Dio è Uno in persona e in
essenza, e questo Dio è il Signore.
[6] Se si insiste, dicendo che il Signore stesso ha nominato i Tre in Matteo: «Andate e fate
discepoli fra tutte le nazioni, battezzandoli in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»
(Matteo 28:19), risponderò che egli ha detto ciò affinché si sapesse che in lui allora
glorificato vi era la Divina Trinità, come è evidente dal versetto che precede e da quello
che segue. Nel versetto che precede egli dice che ogni potere gli è dato in cielo è in terra, e
nel versetto che segue il Signore afferma che sarebbe rimasto coi discepoli fino alla fine del
mondo. Dunque egli parla solo di sé, e non di tre.
[7] Quanto alla Divina Provvidenza, essa ha permesso che i cristiani adorassero un solo
Dio sotto tre persone, il che significa adorare tre dèi; ed ha lasciato che essi ignorassero,
fino ad ora, che Dio è uno in persona e in essenza, in cui vi è la trinità, e che questo Dio è il
Signore. Di ciò non è responsabile il Signore, ma l'uomo stesso. Il Signore l'ha insegnato
chiaramente nella sua Parola, come si può vedere da tutti quei passi che sono stati riportati
in Dottrina della nuova Gerusalemme sul Signore; e lo ha insegnato anche nella dottrina di
tutte le chiese, nella quale si dice che la sua natura Divina e la sua natura umana non sono
due, ma una sola persona unita come l'anima e il corpo.
263. Ma affinché ciò che si è detto divenga più evidente, aggiungerò quel che è stato
riferito in Dottrina della nuova Gerusalemme sul Signore, nn. 60 e 61:
Che Dio e l'uomo nel Signore, secondo la dottrina, non siano due persone ma una sola, e in
modo assoluto, come l'anima e il corpo sono uno, si vede chiaramente da molte
affermazioni del Signore stesso: ad esempio, che il Padre e lui sono Uno (Giovanni 10:30);
che tutte le cose del Padre sono sue, e tutte le cose sue del Padre (Giovanni, 16:15); che egli
è nel Padre, ed il Padre in lui (Giovanni 14:10); che ogni cosa è stata data nella sua mano
(Giovanni 3:35); che egli ha ogni potere (Matteo 28:18); che egli è il Dio del cielo e della
terra; che chi crede in lui ha vita eterna (Giovanni 3:15), e che l'ira di Dio rimane sopra
colui che non crede in lui. Egli aggiunge che sia la sua natura Divina, sia quella umana
sono state elevate al cielo, e che in entrambe egli siede alla destra di Dio, vale a dire che è
onnipotente. Molti altri passi della Parola sul suo DivinoUmano, riportati più sopra,
attestano che Dio è Uno tanto in persona quanto in essenza, in cui è la Trinità, e che questo
Dio è il Signore.
[2] Se queste cose concernenti il Signore sono divulgate ora per la prima volta, è perché è
stato predetto nell'Apocalisse, cap. 21 e 22, che sarebbe stata instaurata dal Signore, alla
fine della precedente, una nuova chiesa, in cui questa dottrina avrebbe avuto il primo
posto. È questa chiesa che si intende per la “Nuova Gerusalemme”, nella quale nessuno
può entrare all'infuori di chi riconosce solo il Signore come Dio del cielo e della terra;
perciò questa chiesa si chiama la “moglie dell'Agnello.” Ed io posso annunziare che tutto il
cielo riconosce solo il Signore, e che chi non lo riconosce non viene ammesso nel cielo,
poiché il cielo è tale in virtù del Signore. Questo convincimento, che procede dall'amore e
dalla fede, fa sì che tutti siano nel Signore, ed il Signore in essi, come egli stesso insegna in
Giovanni: «In quel giorno voi saprete che Io sono nel Padre mio, e voi in Me, ed Io in voi»
(Giovanni 14:20); ed inoltre: « Dimorate in me, ed io in voi: Io sono la vite, voi siete i tralci; chi
dimora i