27|10|2021
Conseguenze teorie dell'identità personale di Hume nella contemporaneità
Thomas Reid
- filosofo della scuola della scuola del senso comune
- Fine 700, in parte contemporaneo di Hume
- Dimostrazione di come un contemporaneo di Hume, che si muove in maniera lontana dalle
coordinate dell'empirismo, parli dell'identità personale mostrando una sorta di "paura" per la
versione, percepita come molto radicale, di Hume
Parla di "convinzione" --> quella che era una credenza, una propensione per Hume. Non fa la
distinzione tra prospettiva teoretica e morale.
- Questa convinzione ha carattere prefilosofico, fa parte della natura umana, della nostra
costituzione originale. È una precondizione di ogni esercizio della ragione e della memoria -->
lavorano su questa identità personale che c'è già, è data prima (non è la memoria che
costruisce e produce… come dice Hume)
"l'identità è una relazione che intercorre tra una cosa di cui si è a conoscenza in un dato tempo a
uno, e una cosa conosciuta in un altro tempo a due."
Identità - differenza. La relazione di identità comporta una certa differenza (a uno…a due), nel
momento in cui essa scompare abbiamo l'identità
- per Hume è un'identità imperfetta in quanto passaggio che la nostra immaginazione produce
coprendo una discontinuità reale
- per Rid l'identità implica una esistenza ininterrotta e continuativa
La persona, corrispettivo di questa esistenza ininterrotta e continuativa, è un qualcosa che non ha
discontinuità, non può essere diviso o consistere di parti (esattamente il contrario di Hume). È
assurdo pensare ad una persona scomposta in parti, la persona è indivisibile
La persona non è pensiero, azione, sentimento --> è qualcosa che pensa agisce o soffre (non posso
essere ridotto a fasci di percezioni come diceva Hume). I miei pensieri, le mie azioni, i miei
sentimenti cambiano sempre, non hanno esistenza continuativa ma quel self a cui essi appartengono
è permanente.
- Hume direbbe che sta parlando di un'idea fittizia rispetto alla permanenza
- Secondo Rid la prova che non è così è la memoria: il fatto che uno stesso individuo ricordi le
proprie esperienze passate lo convince della propria identità personale. La memoria non
produce l'identità ma la convinzione (autoreferenziale) dell'identità.
L'identità è perfetta --> non ammette gradi, non è possibile che una persona sia in parte la stessa e
in parte differente poiché una persona è una monade (indivisibile in parti) ---> esattamente il
contrario di Hume
Due prospettive:
- Introspettiva, ci dà una convinzione certa e incrollabile della nostra identità
- Esterna, non ci dà questa certezza (sugli altri, imperfetta)
Tutto ciò riguarda solo l'identità personale, non riguarda il corpo --> che conosciamo in maniera
osservativa
- Quel qualcosa che Hume estende all'identità personale Rid lo riserva solo al corpo (che muta, è
divisibile in parti ecc.)
Accetta l'idea di Hume che anche se quelle sono identità imperfette noi accettiamo che siamo
identità facendo finta che siano perfette (ma l'io non rientra in queste)
Hume grande innovatore che produce paura anche in chi si riconosce in grande parte nella sua
filosofia --> es. Rid, la paura lo spinge a tirar fuori il self dal discorso sulle identità imperfette, che
riprende direttamente da lui.
Secondo Parfit c'è una continuità psicologica che rende ragione del fatto che io dico che sono lo
stesso; c'è una continuità tra la vita mentale di me e la vita mentale di me prima di ora. Ci vuole far
capire che questa dinamica funziona perché ci serve
Esempio che chiama "la mia divisione":
- Ritiene che ci siano tre gemelli identici, uno è lui e dice "il mio corpo è irreparabilmente
danneggiato e allo stesso tempo sono irreparabilmente danneggiati i cervelli dei miei due
fratelli"
- Arriva un neurochirurgo e il mio cervello viene diviso e ciascuna metà viene trapiantata con
successo nei cervelli dei miei bros
- Rimangono quindi in vita due gemelli, e ognuno di loro crederà di essere me
- La domanda è: che cosa ne sarà di me, di quell'io, dopo questo trapianto? 3 possibilità
○ Io sarò identico per continuità psicologica almeno ad una delle due persone, ma in realtà
la continuità psicologica ce l'ho sia con A che con B, perché dovrei preferirne uno dei
due? Quell'io che era uno non può essere A piuttosto che B perché c'è continuità in tutti
e due. (idea che sia 1 non funziona)
○ Sono identico sia in A che in B e sono diviso in due, mezzo-io e mezzo-io. Ma se A è
identico a me e B pure, allora A=B, ma A e B sono diversi, quindi non regge
○ Non sono sopravvissuto all'operazione, sono morto. Ma se B non fosse sopravvissuto,
allora la prima ipotesi reggerebbe, com'è possibile che un successo parziale sia meglio in
questo caso di un successo totale? La sola creazione di A mi garantisce la sopravvivenza,
perché mai la creazione di A e B dovrebbe procurarmi la morte?
--> non arrivo ad una conclusione se ragion con la vecchia idea che sono un'unità, un uno,
semplice, vivo, che può morire, ecc. Eppure la domanda (after operazione che fine faccio) è
ragionevole e dovrebbe avere una risposta determinata.
Parfit la risolve così:
○ Siamo naturalmente inclini a credere che la nostra identità debba essere sempre
determinata, ma questa credenza naturale non può essere vera se non a condizione che
Terza parte di ragioni e persone --> riservata tutta alla questione dell'identità personale
Ci spiega che cos'è nel dettaglio la sua posizione riduzionistica
Inizia con esempio del "caso del teletrasporto"
- Uno vuole viaggiare su Marte e per farlo ci vogliono 20 min. C'è un dispositivo, una sorta di
scanner, capace di registrare gli stati molecolari del nostro corpo e cervello e inviare queste
info ad un ricevitore su Marte. Una volta trasmesse, il corpo e il cervello sulla terra e il
dispositivo li ricrea esattamente uguali su Marte. Questo nuovo corpo e questa nuova mente
su Marte ricorderanno tutto ciò che avviene prima che il dispositivo iniziasse a registrare. La
sua vita continuerà su Marte dal punto in cui ha lasciato la terra. Tutto funziona
Poi c'è il "caso del teletrasporto malfunzionante"
- Una volta abituato a questo via vai del teletrasporto, il dispositivo viene perfezionato
all'insaputa del soggetto. Questo nuovo dispositivo crea il duplicato su Marte mantenendo
l'originale sulla Terra. C'è però un malfunzionamento, per il quale la trasmissione su Marte è
andata bene ma tra qualche giorno l'originale sulla Terra morirà. In questo secondo caso io
muoio. La replica su Marte consola l'originale nello stesso modo in cui l'originale aveva
provato a consolare un suo amico morente.
Caso della linea secondaria, che terminerà fra pochi giorni. Poiché posso parlare con la mia
replica lei non è me.
"io negherò questo assunto"
Parfit sta lavorando su due livelli: identità numerica e identità qualitativa, uno è un problema
metafisico-ontologico l'altro epistemologico. Ci mostra che sono due livelli collegati: se so quali sono
le condizioni dell'identità so quali sono dei caratteri che qualificano quella persona (ma quella
qualificazione quanto c'entra con la quantità, ovvero col fatto che è una numericamente?)
28|11|2021
Secondo il nostro normale modo di concepire l'identità quella persona replicata dall'esempio del
teletrasporto non potrebbe dire di essere se stessa. Lui suggerisce che sia necessario superare la
questione in questi termini e dimenticare una visione cartesiana in cui l'io è privo di tratti
caratteristici a favore di una teoria dell'identità personale descritta in una maniera impersonale
Elementi simili a Hume -> es. il voler superare la visione cartesiana (entità separata ecc.)
- Il problema è che non è che dica che questa idea cartesiana sia incomprensibile, dice che
questa visione è comprensibile ma perché dovremmo crederci? Che vantaggi abbiamo a
crederci? --> dobbiamo renderci conto che non solo non ci sono prove a suo favore ma
abbiamo addirittura prove per non crederci
- Non possiamo sostituire questa visione con una visione determinata dell'identità personale,
bensì con una visione indeterminata e impersonale. Non dovremmo quasi scegliere tra le vare
scelte riduzioniste perché non potremmo arrivare ad una definizione -> perché non è ciò che
conta
Sostiene che l'esistenza di una persona consiste unicamente nell'esistenza di un corpo e di un
cervello nel verificarsi di diversi eventi mentali -> non sta dicendo che c'è una continuità da un punto
di vista fisico, sta dicendo che una persona c'è al verificarsi di questi elementi -> conta per noi poter
utilizzare la parola persona perché ci serve ma in realtà non abbiamo altro che quegli elementi e
basta (una persona può essere anche un'entità distinta ma non è un'entità sostanziale ma un
accordo linguistico che abbiamo sul fatto di dire che quella è una persona -> e ci sono casi che fanno
saltare questo accordo facendoci capire quanto non sia importante)
- Nella vita quotidiana abbiamo quel "gioco linguistico" (per dirla alla witt.) per il quale diciamo
"persona è quell'entità che noi distinguiamo da un cervello, da un corpo, e da una connessione
di stati psicologici
- Filosoficamente parlando tutto ciò non è dimostrabile
- Suggerisce che dovremmo persino avere una visione che vada oltre e per la quale diciamo che
questa roba non conta, c'è un accesso diverso alla questione: un accesso impersonale, che è
universale, interculturale e in accordo col buddismo. (e qui va oltre all'Hume del primo libro)
Metafora che usa Parfit: stato come repubblica (tipicamente Humiana)
- Anche se queste persone dovessero esistere noi possiamo dare una visione completa della
realtà senza che le persone esistano
Dice
- "una persona è un'entità distinta da un cervello da un corpo e da questa serie di eventi"
- "sebbene questo sia vero una persona non è un'entità esistente separatamente" -> "questa
versione del riduzionismo può sembrare contraddittoria" (un'entità distinta non esiste
separatamente) -> metafisicamente non esiste ma linguisticamente si -> risolve la questione
citando Hume "non potrei paragonare un'anima meglio che ad una repubblica o ad uno
stato" --> la Francia non esiste come entità separata da quel territorio e dalle persone che
vivono in quel territorio eppure esiste
Quella cosa per cui noi usiamo la parola "persona" è indeterminata (esempio del locale che chiude e
poi viene ricostituito un altro dagli stessi membri con stesse regole -> non c'è possibilità di
determinare questo interrogativo, la risposta non conta) --> i nostri dati non sono incompleti,
sappiamo tutto ciò che ci serve sapere
Domande vuote -> è vuoto domandarsi se quel club è lo stesso o no perché ho tutti gli elementi ma
non posso arrivare ad una conclusione
- Quando ci poniamo una domanda vuoto consideriamo un fatto o un esito, e le risposte a
questa domanda non sono altro che descrizioni di questo fatto o esito
- Quando la domanda vuota non ha risposta possiamo decidere di sceglierne una. Non si tratta
È irrazionale pensare che questa divisione sia uguale a morire. Il problema posto dalla doppia
Ciò che conta non è la nostra identità, è più importante pensare che sopravviverò se il costo è fare a
meno di quella vecchia logica dell'identità ben venga
Quando riprende nel capitolo che cos'è ciò che conta intitola il primo paragrafo "La liberazione
dall'io"
- Opzione riduzionistica dispone verità che fanno paura -> Parfit dice che al contrario questa
verità rasserena e consola
- Nel momento in cui non mi rappresento più in quell'io i miei confini non sono più cosi definiti
ed entro più in consonanza-risonanza con gli altri (Analogia con ciò che dice Hume in sede
passionale)
- Visione non riduzionista porta a paure come quella della morte
02|11|2021
Tema: Cosa significa essere riduzionisti per Parfit
I criteri che ha indicato: continuità fisica - continuità e connessione psicologica -> sembra che la
continuità fisica non sia importante e tuttavia spesso afferma che abbiamo bisogno di un cervello e
di un corpo
- Da una parte la parte fisica non possiamo e non dobbiamo buttarla via
- Dall'altra ci spinge a guardare in un altro modo
---> secondo lui è sufficiente un corpo "sufficientemente equivalente" (cioè capace di sostenere una
forte connessione psicologica). Non è vero che esclude il corpo, ma lo esclude nella sua accezione
classica (cervello e corpo vecchi, quelli che restano sulla terra, hanno un valore solo sentimentale)
-> da una descrizione impersonale della continuità fisica pur riconoscendo che senza il supporto del
corpo non ci potrebbe essere la persona
La continuità psicologica ci deve essere, ma ciò che conta è la connessione (ovvero qualcosa che
potrebbe andare oltre il singolo individuo) -> possiamo perdere dei pezzi ma riuscire a mantenerci
connessi è sufficiente per avere questa concezione di persona impersonale
Possiamo avere una continuità psicologica che vada oltre la nostra idea di persona, e che per questa
continuità è sufficiente una connessione che si determina in quei casi di cui ha parlato (gemelli ecc.)
Implicazioni morali
Si rende conto che questa teoria ha delle implicazioni morali -> io non sono quell'io lì, non c'è più un
io tradizionale -> es. interesse personale se non c'è una persona?
Parfit arriva a sostenere che questa diminuzione del grado di tenuta della relazione (tra i miei pezzi,
che prima stavano ben integrati) non significa una diminuzione della mia preoccupazione
- Preoccupazione -> idea di Parfit è che mi preoccupo dei miei io futuri, intesi come elementi di
questa continuità impersonale, tanto quanto mi preoccupo degli altri e delle generazioni
future -> uscendo dalla versione personale non c'è più nessuna differenza tra me e gli altri,
quelle connessioni mie si intrecciano molto di più con quelle degli altri, è tutto molto più fluido
I critici: se il soggetto non è più vincolato ad un io allora si è totalmente fuori dalla morale, a chi
ascriviamo infatti le azioni? -> (come Hume) Parfit sa che avere questa idea dell'identità personale
porta a delle conseguenze morali importanti, ma per lui è il contrario, ci si avvicina agli altri in questo
modo. Fa degli esempi sui due estremi della vita:
- Esempio dell'aborto -> adottando una visione non riduzionistica, e quindi assumendo come
riferimento identitario l'io cartesiano, non posso trovare una linea di confine e sono costretto
a identificarlo con il concepimento, e inoltre tutte le parti della mia vita hanno ugualmente
valore. Ne segue che uccidermi a 40 anni o uccidermi dopo il concepimento hanno lo stesso
valore morale, e quindi l'aborto sarebbe moralmente sbagliato in tutti i casi (a parte quando
per salvare la mamma). Se adotto una visione riduzionistica non reputo che in ogni momento o
esisto o non esisto, una ghianda diventa un albero piano piano, crescendo, e potremmo
ritenere che l'aborto non è moralmente grave all'inizio della gravidanza ma lo è mano mano
che ci si avvicina alla fine della stessa
- Esempio del fine vita: secondo la concezione non riduzionistica una persona o è viva o è morta,
per i riduzionisti invece una persona può cessare di esistere gradualmente, anche prima che il
Quando riflettiamo sugli impegni il tema dell'identità personale entra in gioco due volte: identità di
colui che fa la promessa, sia la persona a cui la si fa. L'attenuarsi della connessione può attenuare
l'obbligo di chi fa la promessa, ma non viceversa
- Esempio del russo dell'ottocento.
Noi pensiamo che ulisse quando chiede di essere slegato non è ulisse in quanto offuscato dal
canto, se la persona ci sembra lucida, non in questi casi di tensione, ci dispensa dall'impegno.
Se la sua mente è lucida puo sempre scioglierci dall'impegno. --> il contenuto dell'impegno
non puo imepdire che ne veniamo dispensati
Se lei lo giudica lucido potrà farlo soltanto parte blu
"Qualcuno potrebbe obiettare che distinguendo diversi io successivi secondo la nostra convenienza,
potremmo sottrarci facilmente al nostro impegno e alle nostre responsabilità. Ciò non è vero […]"
insincerità
Va verso una concezione tipicamente utilitarista, ovvero verso una concezione distributiva il
riduzionismo suffraga un cambiamento della portata dei prinicpi distributivi. Sostiene l'idea di dar
loro una portata maggiore e di applicarli anche all'interno di un'unica esistenza
Esempio del sacrificio di un bambino
- Un riduzionista sarà portato a considerare il rapporto del bambino col suo io adulto alla stessa
stregua del rapporto con un'altra persona. E quindi è piu probabile che valuti ingiusto impore
dei sacrifici a quel bambino ad esclusivo vantaggio dell'adutlto
- La versione non riduzionistica vede il bambino e l'adulto che sarà strettamente connessi,
quindi è legittimo chiedere di fare un sacrificio a un bambino in funzione di un futuro
vantaggio dell'adulto che sarà un giorno
- Nella versione riduzionistica, poiché quel bambino e l'adulto hanno meno connessione, non si
può chiedere questo sacrificio al bambino perché non c'è la certezza della connessione con l'io
adulto che sarà un giorno
Scorporando la persona classica in persone che sono io successivi, catene di esperienze ->
l'attenzione morale si focalizza si questi segmenti e quindi sulla questione distributiva non possiamo
fare quel discuorso su tutta la vita di quel bambino (nonp possiamo dare per scontato che quell'io
bambno sarà quell'io futuro).
Esempio di due persone che soffrono, possiamo alleviare il dolore solo di una -> finisce per muoversi
sul terreno dell'utilitarismo; impersonalità dell'utilitarismo rispetto alla sofferenza è più plausibile
(Principio della compensazione -> diventa più plausibile essere più preoccupati rispetto alla qualità
dell'esperienza piuttosto che a chi la fa)
Sulle emozioni tutto ciò può esercitare effetti diversi a seconda delle persone
l'io cartesiano restringe l'orizzonte dei propri interessi, laddove questo io neo-humiano lo allarga ->
questa posizione quindi è sostenibile ed emotivamente persino gestibile