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3. MOTIVAZIONE
5. GRUPPI
6. DECISIONI
8. CONFLITTI
10. LEADERSHIP
2. La personalità
Usiamo il termine personalità nel senso vero del termine e quindi utilizzato per indicare l‟insieme relativamente stabile
delle caratteristiche psicologiche di una persona, dunque un modello duraturo di caratteristiche che definiscono l‟unicità
di una persona e che influenzano il modo in cui interagisce con le persone e l‟ambiente circostante.
Prospettive teoriche sulla personalità:
A. prospettiva genetica,
B. prospettiva cognitiva: socializzazione e apprendimento
C. prospettiva evoluzionista
La PROSPETTIVA GENETIVA nasce dal concetto che la personalità è ereditaria, quindi genetica.
La PROSPETTIVA COGNITIVA gli studiosi sostengono che niente è innato e che tutto è appreso. Sicuramente noi
nasciamo con un carattere genetico, che rappresenta le fondamenta della personalità. Successivamente però siamo
esposti a processi di socializzazione e apprendimento che forgiano il carattere, il temperamento e la personalità
dell‟individuo. La socializzazione è un processo attraverso cui un individuo impara e acquisisce valori, opinioni,
accettando comportamenti legati ad una cultura o società o organizzazione o gruppo. L‟apprendimento avviene nel
momento in cui all‟interno del comportamento, si ha un cambiamento potenziale o relativamente permanente,
attribuibile all‟esperienza. Si apprende quando, davanti allo stesso stimolo ci si comporta in modo diverso.
Apprendimento e comportamento sono concetti diversi:
- il comportamento non assicura sempre che un individuo abbia appreso
- apprendimento non assicura che avvenga sempre un cambiamento nel comportamento.
Un approccio per capire l‟apprendimento è il modello del condizionamento (pavlov) che nel suo esperimento
condizionò un cane associando il suono della campanella al momento di sfamarsi.
All‟interno della prospettiva cognitiva, vi è la TEORIA DEI RINFORZI. In sostanza è una teoria che si impiega per
descrivere e comprendere situazioni nelle quali il comportamento è influenzato dalla conseguenze. Questa teoria si
focalizza più sulle conseguenze delle risposte che sugli stimoli. Possiamo essere consapevoli di alcune conseguenze, ma
non di tutte. Le conseguenze sono sempre collegate ai comportamenti. Esse possono verificarsi in diversi modi che
condizionano sia la velocità di apprendimento sia quanto il comportamento perduri al cambiamento.
Sempre all‟interno della prospettiva cognitiva, c‟è la TEORIA DELL‟APPRENDIMENTO SOCIALE (O VICARIO),
ossia gli individui possono imparare anche osservando e imitando gli altri modificando così il proprio comportamento.
Questo apprendimento è detto vicario. Coinvolge il pensiero, le intenzioni, la definizione di obiettivi, il ragionamento e
il prendere decisioni.
Sono 4 le condizioni necessarie per l‟apprendimento vicario:
1. occorre avare una ragione per prestare attenzione al modello comportamentale o allo stimolo
2. è necessario memorizzare un discreto numero di informazioni per impegnarsi a seguire il modello
3. è indispensabile possedere le capacità necessarie per riprodurre i comportamenti
4. deve esistere elemento di rinforzo o motivazione e deve esserci sensazione di un riconoscimento
LA PROSPETTIVA EVOLUZIONISTA teorizza che la personalità è il prodotto congiunto di geni e ambiente, che si
sono modificati e adattati nel corso della storia. L‟apprendimento avviene perché innescato da un meccanismo e visto
che non può verificarsi in sua assenza, si costata che è il meccanismo stesso dell‟apprendimento a essere non appreso e
quindi innato.
NEVROTICISMO: valuta l‟adattamento in relazione all‟instabilità emotiva, identifica individui predisposti a stress
psicologici, idee non realistiche, desideri o impulsi eccessivi e risposte di disattamento.
ESTROVERSIONE: valuta le qualità e l‟intensità dei rapporti interpersonali, il livello di attività, il bisogno di stimoli,
la capacità di provare gioia.
APERTURA: valuta la ricerca proattiva e apprezza l‟esperienza spontanea, la tolleranza e il piacere di esplorare ciò che
non è familiare.
AMABILITA’: valuta le qualità degli orientamenti interpersonali in una serie di pensieri, sentimenti e azioni che vanno
dalla compassione all‟antagonismo
COSCENZIOSITA‟: valuta il grado di organizzazione delle persone, quanto sono perseveranti. Contrapponne le
persone sicure ed esigenti a quelle trasandate ed indolenti.
Nota bene: le ricerche questi due tratti sono indipendenti, quindi non esistono come estremi di un continuum. Essendo
indipendenti, una persona può possedere alto/basso grado di affettività sia positiva che negativa
1. istituzionalizzato (forte impegno, forte appartenenza, cerca riconoscimenti e avanzamenti, bassa tolleranza per
ambiguità, rispetta la gerarchia, enfatizza gli obiettivi organizzativi,
2. professionista ( si identifica col suo lavoro, percepisce autorità con esercizio irrazionale, non è disposto a
compromessi organizzativi, ricerca riconoscimento di altri professionisti, vuole far bene)
3. indifferente ( lavora per lo stipendio, considera il lavoro non importante della sua vita, può anche svolgerlo bene
ma senza provare coinvolgimento, separa il lavoro dagli aspetti più importanti della sua vita)
MACHIAVELISMO
Gli individui machiavellici hanno un elevata autostima e fiducia in se stessi e agiscono sempre nel proprio interesse.
Sono individuati come persone fredde e calcolatrici, approfittatori e stringono alleanze che persone di potere. Usano
falso ed esagerati elogi per manipolare gli altri.
LE DIMENSIONI DI MYERS-BRIGGS
Questo modello è basato su un sistema di preferenze individuate in una relazione a dimensioni bipolari, che si
interscambiano in modo dinamico, facendo scaturire modo di pensare, di interessi, di agire, motivazioni.
Myers –Briggs individuano 4 chiavi di preferenze individuali:
1. SENSAZIONE-INTUIZIONE (usano le informazioni)
2. PENSIERO- SENTIMENTO (prendono decisioni)
3. INTROVERSIONE-ESTROVERSIONE (usano la loro energia)
4. PERCEZIONE.GIUDIZIO ( percepiscono i giudizi)
Ogni tipo di preferenza individuale rappresenta due possibilità opposte. Sensazione (raccolgono informazioni
sistematicamente, precise, pragmatiche). Intuizione ( ispirazione del momento, no ripetitività no rountine). Pensiero
(ricercano verità generali, fatti obiettivi, non sono emotive). Sentimento (cercano il benessere, l‟armonia individuale,
amano compiacere altri persone. Introversione (ricevono energia dall‟interno,valutano con attenzione le situazioni.
Estroversione ( ricevono energia dall‟esterno e la dirigono verso l‟esterno, no attività lente, si varietà e azione).
Percezione( si adatta al cambiamento, gradisce nuove idee, può lasciare problemi in sospeso. Giudizio (tende a
pianificare il lavoro e a seguirlo piano.
Diverse finalità del modello: analisi degli stili di comunicazione, selezione del personale, miglioramento processi.
Inoltre viene definito anche la reciprocità degli opposti, ossia ognuno ha bisogno del suo opposto per completarsi e per
l‟equilibrio della relazione che si sta intrattenendo.
3. MOTIVAZIONE
Nel libro per motivazione si intende l‟insieme dei motivi che ci spingono ad agire, che sono in relazione a diversi
obiettivi e interessi e che sono guidati da processi cognitivi ed emotivi.
Il processo motivazionale parte da uno stato interiore di non equilibrio, originato da una mancanza, accompagnato da un
senso di tensione e attesa. Seguono comportamenti atti a ricercar mezzi e strumenti per soddisfare il bisogno. Raggiunta
la meta e riscontrando il grado di soddisfazione, seguono rivalutazioni e una successiva modifica dello stato interiore di
non equilibrio.
Elementi necessari alla motivazione:
- Per svolgere un compito occorrono capacità specifiche e differenti
- Un individuo può essere motivato nello svolgimento di alcune attività, altre meno
- Per alcune componenti della prestazione, possono essere necessari alti livelli di tecnologia
- Le capacità tecnologiche e umane possono essere intercambiabili.
B. Erc, ossia bisogni esistenziali, relazionali e di crescita: Partendo dal lavoro di Maslow, altri studiosi hanno provato
a identificare un numero inferiori di livelli. Alderfer li ricuce a tre, definendoli esistenziali, relazionali e di crescita.
ESISTENZIALI: racchiudono i bisogni fisiologici e di sicurezza.
RELAZIONALI: quelli di appartenenza
CRESCITA: quelli di stima e di autorealizzazione.
L‟innovazione principale è il concetto di continuum tra diversi livelli, versus la gerarchia maslowiana, che ha integrato
il meccanismo di Maslow della soddisfazione – progressione con quello della frustrazione – regressione.
C. Fattori duali: Gli studi di Herzberg e colleghi hanno sostenuto che i fattori che influenza gli individui sul lavoro
sono di due tipi: igienici e motivatori. Il loro programma prende avvio da due ipotesi di fondo:
- gli individui in quanto animali tendono a evitare il dolore fisico e le privazioni (principio edonistico)
- gli individui in quanto esseri umani tendono a crescere psicologicamente
Fattori igienici si riferiscono alle modalità si supervisione, alle relazioni interpersonali, all‟ambiente fisico, al livello
retributivo, alle condizioni fisiche e a quelli di sicurezza.
Fattori motivatori sono l‟autonomia, il contenuto del lavoro, il raggiungimento degli obiettivi, il riconoscimento dei
risultati raggiunti, livello di responsabilità, il contenuto del lavoro.
Punti deboli:
- Distorsione metodologica ( rif. Teoria dell‟attribuzione causale)
- Incoerenza con le altre ricerche( altri studi non avevano dato gli stessi risultati, evitando errore sperimentale
- Differenze individuali: si trascura le differenze individuali nella struttura della personalità
D. successo – potere – affiliazione
McClelland, questo modello si basa sui motives( motivi-moventi) intesi come reti di emozioni disposte secondo una
gerarchia di intensità e importanza.. Essi vengono appresi, sono quindi aspetti della personalità che si sviluppano con
essa. Esistono 3 tipi di motives:
successo-riuscita (need for achievement); potere (need for power); affiliazione ( need for affilation)
I livelli di motivazioni legati ai tre bisogni sono misurabili con un test di proiezioni psicologica ( TAT).
1. SUCCESSO – RIUSCITA: importanza attribuita al successo. Intensità del movente è legata alle prime
esperienze socializzanti. Quando il bisogno di achievement è generalizzato, il soeggetto cercherà il successo in
modo indifferenziato e in tutti i campi. In questo caso si tende a preferire situazioni che attivano il bisogno di
successo. La situazione deve essere impegnativa ma non impossibile, ossia a rischio intermedio. Altra spinta è
quelle di evitare il fallimento.
2. POTERE: l‟interesse per il potere e le sue implicazioni sul comportamento organizzativo sono la naturale
conseguenza del lavoro sull‟achievement. Spinta verso il potere. Il bisogno di potere si può manifestare
secondo tre modalità. La prima consiste in azioni forti come l‟aggressione, l‟assistenza, il controllo, la
persuasione o il tentativo di impressionare gli altri. La seconda in azioni che provocano forte sensazione negli
altri, indipendentemente dalla forza dell‟atto stesso. La terza modalità è legata alla reputazione e può tradursi in
azioni dirette al suo accrescimento o al suo mantenimento. Il livello di potere può avere manifestazioni
personalizzate o socializzate. Potere personalizzato: rapporto diretto con l‟avversario. Gli individui di questo
tipo preferiscono situazioni caratterizzate da aperta competizione. Potere socializzato si manifesta in modo
inpersonale. Pensano di esercitare il proprio potere in funzione di un bene altrui. Pensano che ogni vittoria porta
ad una sconfitta. Gli individui con queste caratteristiche sono denominati leader motive pattern.
3. AFFILIAZIONE il bisogno di affiliazione è collegato al bisogno di socialità/appartenenza di Maslow, ossia al
bisogno di interazione sociale e a quello di stringere relazioni con altri.
A. Rinforzi
Questa teoria sancisce che il comportamento che produce conseguenze positive tende a essere ripetuto, mentre quello
che ne produce di negative tende ad essere interrotto. Ne consegue che è possibile influenzare il comportamento
mediante uno schema di incentivazione-disincentivazione. La prima è attuabile attraverso rinforzi positivi e negativi,
la seconda con punizioni e l‟estinzione.
- Punizione e rinforzo negativo > approcci con effetti nel breve termine
- Rinforzo positivo > ruolo chiave nella motivazione, alimenta la crescita e lo sviluppo di lungo periodo
Altro aspetto importante della teoria dei rinforzi: distinzione tra motivazione intrinseca (stimolo ad agire
interiorizzazione del valore dei compiti sia gratificante) ed estrinseca (aumenti retributivi, benefit, elogi)
B. Goal setting
Semplice premessa. La prestazione è causata dall‟intenzione personale a fornire la prestazione agendo. L‟intenzione di
agire è un fattore determinante. Conseguenze: chi si pone obiettivi ambiziosi avrà una prestazione migliore. Chi ha
obiettivi chiari, avrà una prestazione migliore.
IDEE DI BASE DEL GOAL SETTING.
- Esiste una relazione lineare positiva tra difficoltà e performance. Obiettivi difficili portano a risultati
migliori. Si è arrivati a questa conclusione grazie ad approfondite ricerche svolte. Questa ipotesi non è valida se
gli obiettivi sono eccessivamente difficili e se la risorsa non ha le competenze necessarie
- Obiettivi specifici portano ad una prestazione migliore degli obiettivi generici
- La partecipazione è legata alla prestazione. Uno studio effettuato ha dimostrato che la prestazione è
positivamente legata alla specificità degli obiettivi, mentre la partecipazione alla fissazione degli stessi non fa
registrare incrementi di performance. La partecipazione non opera sulla performance, ma agisce attraverso il
rapporto, quindi coinvolgimento e impegno, che lega le persone agli obiettivi. Rimane ovvio che se le persone
hanno reale possibilità di scelta sul modo di raggiungere obiettivi, questo aumenta il coinvolgimento, e quindi
l‟impegno. Il processo di partecipazione non può limitarsi a coinvolgere i collaboratori nella selezione degli
obiettivi, ma deve coinvolgere altri aspetti del lavoro. La partecipazione deve essere infine effettiva e quindi le
persone devono avere realmente possibilità di scelta per compiere i compiti, ovvio è che devono disporre di
tutte le informazioni necessarie.
- È necessario il feedback su rapporto prestazioni-obiettivi
CRITICHE. Non tiene in considerazione le differenze individuali ( autostima) e la complessità degli obiettivi.
C. Aspetti valenza
Premessa. Gli individui indirizzano i propri sforzi verso quelle attività che possono portare all‟ottenimento dei risultati
desiderabili. ( esempio venditore di automobili, cercare continuamente clienti/aspettare che i clienti entrino in salone. Ci
sono anche altri aspetti oltre al successo o fallimento, come l‟iter di carriere, rapporti con colleghi, soddisfazione
personale.
ASPETTATIVA è la stima o il giudizio sulle probabilità che un determinato evento si verifichi. Esistono due tipi di
aspettativa: sforzo-prestazione e prestazione risultato. Successivamente si arriva al legame prestazione-riconpensa.
Ognuno attribuisce a ogni conseguenza importanza diversa. Questa preferenza viene nominata VALENZA e si intende
per valenza una valutazione personale sulla soddisfazione o non che un determinato risultato può generare.
PRINCIPI CHIAVE
- Le persone tendono a intraprendere il percorso più rapido e indiretto per raggiungere l‟obiettivo valorizzato
- La valenza dell‟obiettivo è esterna al processo di raggiungimento dell‟obiettivo medesimo
- Le persone compiono zioni motivate dalla valenza data agli obiettivi e non per l‟azione di se
CRITICHE: non considera la motivazione intrinseca ( ossia persone motivate dal lavoro in quanto tale)
D. Giustizia organizzativa
Si basa sulle percezioni individuali di quanto si venga trattati in modo equo e giusto in ambito lavorativo, e dobbiamo
distinguere tra giustizia distributiva e procedurale.
Giustizia distributiva: si riferisce a quando le persone credono di essere trattate in modo equo in relazione ai risultati del
lavoro, all‟impegno e agli sforzi e relativo guadagno.
Fa riferimento alla teoria delle equità> fattori chiave: imput, risultati, riferimento.
Esistono diverse modalità per ristabilire equità:
- A. modificare gli input, ossia diminuire l‟impegno
- B. modificare gli output, cercare aumento retributivo, maggior potere, maggiori privilegi
- C. razionalizzare input e output con un processo psicologico chiamato task enhancement, convincendosi del
fatto che il proprio lavoro ha un importanza maggiore di quanto egli stesso creda e attraverso questa distorsione
potrebbe modificare il giudizio riguardo la propria attività
- D. intraprendere azioni nei confronti del riferimento; E. cambiare il riferimento; F. arrendersi
Giustizia procedurale: si riferisce a quanto le persone credono di essere trattate equamente in relazione a come vengono
prese le decisioni circa le materie e i temi che influenzano la loro vita lavorativa
Condizioni particolari affinchè si possa sviluppare giustizia procedurale:
- A. Controllo sul processo, ossia la possibilità di evidenziare la propria posizione entro le decisioni
- B. Controllo decisionale, ossia il grado di influenza che si può avere nel processo decisionale
- C. Giustizia relaz., la ratio del processo decisionale venga spiegato e che sia trattati con rispetto e dignità
1. Le emozioni
2. Lo stress
3. Le strategie di coping
4. Le fonti di stress
5. Indicatori di benessere organizzativo
6. Differenze individuali e stress
1. Le emozioni
Al contrario del tema delle motivazioni sul lavoro, quello delle emozioni è stato affrontato solo di recente. E‟ molto
difficile misurare, calcolare, controllare le emozioni, e soprattutto sono difficili da riconoscere.
Recentemente il tema delle emozioni è stato analizzato in modo sistematico da Goleman, Weiss e Cropanzano, Ashforth
e Humpherey. Un modello interessante è stato proposto da Plutchick, in cui assoda che esistono emozioni primarie, che
combinandosi tra loro generano altre emozioni più complesse, miste.
- Emozioni primarie: rabbia, disgusto, tristessa, sorpresa, paura, accettazione, gioia, anticipazione
- Emozioni complesse: contempt, rimorso, disappunto, awe, sottomissione, amore, ottimismo, aggressività.
Le emozioni sono considerate discrepanze rispetto ai piani, alle mete e come precursori di sistemi motivazionali
complessi e fondamentali. Esse sono combinazioni complesse, relativamente stabili, che scaturiscono da combinazioni e
trasformazioni di affetti e rappresentazioni sul piano del comportamento. Il modo in cui il nostro lavoro della mente
determina pensieri e azioni da intraprendere è influenzato dalle emozioni.
2. Lo stress
È una condizione fisica o psicologica che insorge in una persona quando si trova ad affrontare situazioni che richiedono
risorse interne o esterne superiori a quelle che ritiene di avere. Diversi studi hanno dimostrato come essa diminuisca la
produttività e di conseguenza la competitività d‟impresa.
STATO DI TENSIONE
Quando i fattori di stress vanno oltre le risorse personali, l‟individuo prova una stato di tensione, reagendo
negativamente. Vi sono diversi tipi di tensione:
- Tensione fisiologica, ossia i cambiamenti del corpo ( adrenalina, zucchero sangue aumenta, muscoli tesi)
- Tensione psicologiche, ossia emozioni pensieri e sentimenti
- Tensione comportamentale, le persono possono reagire in modo differente( fumo, bere, assenteismo)
- Burnout; risposta prolungata a fattori cronici di stress, 3 dimensioni ( esaurimento, cinismo e inefficacia)
3 Le strategie di coping
È un processo secondario di valutazione cognitiva, in cui si diventa consapevoli dello stato di stress. Due principali
funzioni di coping. La prima consiste nel tentare di cambiare la situazione o il suo comportamento per far diminuire o
annullare le tensioni di stress. La seconda è quella incentrata sulle emozioni e quindi sulla gestione delle reazioni
fisiologiche ed emotive, che non agisce sulle situazioni stressanti cercando di modificarle.
Le principali strategie di coping:
RICERCA DI INFORMAZIONI: è il tentativo di scoprire quali siano i fattori di stress e qual è la loro causa. L‟esito
sarà tanto più produttivo tanto più si riuscirà a eliminare il fattore incertezza, caratteristica dello stress.
AZIONI DIRETTE: possono essere di diverso tipo. Può lavorare più intensamente, a bere, farmaci, cambiare lavoro
REAZIONI PSICOLOGICHE: inazione e negare la situazione. Questi trucchi ti auto convincimento distorcono la realtà
e costituiscono modalità non autentiche di affrontare situazioni stressanti, generano ancora più stress.
4. Le fonti di stress
Lo stress è il risultato della transazione e dell‟interazione fra persona e ambiente. I fattori stressanti ambientarli possono
trovarsi sia nell‟ambiente oggettivo sia in quello psicologico.
Fonti di stress sul lavoro: Vengono analizzati tre fattori di natura lavorativa. Tipo di occupazione, pressione di ruolo e
sfide e ostacoli.
Fonti di stress non inerenti il lavoro: fattori cronici ( seccature giornaliere o fastidi quotidiani). La solitudine e
assenza totale di supporto sociale. Il concreto aiuto da parte degli altri attenua lo stress, poiché le risorse sembrano
maggiori, le richieste ambientali possono essere soddisfatte e si riduce la possibilità di burnout
5. GRUPPI
2. I tipi di gruppo
GRUPPI PRIMARI. Prime esperienze di socializzazione, determinano valori, credenze e atteggiamenti. Gruppi di
persone con cui ci identifichiamo, anche senza esserne membri e dai quali siamo influenzati.
GRUPPI FORMALI. Nascono per iniziare, gestire e portare a termine un‟ attività con scopo definito.
GRUPPI INFORMALI. Nascono in risposta ai bisogni delle persone di appartenere e alla predisposizione naturale che
alcune persone provano in modo reciproco. Aggregazione volontaria per condividere interessi e valori. I gruppo
informali possono nascere nei luoghi di lavoro perché gli elementi desiderano stringere buone relazioni con gli altri.
Questi gruppi possono essere impiegati a favore dell‟organizzazione.
3. Perché si formano i gruppi?
I gruppi si formano per molti motivi, possiamo comunque ricondurli a quattro determinanti:
- FATTORI INDIVIDUALI
- INTERESSI E OBIETTIVI
- POTENZIALE DI NFLUENZA
- OPPORTUNITA‟ DI RELAZIONE
Occorre analizzare le condizioni che determinano l‟efficacia del lavoro di gruppo, ossia i fattori classificabili in
funzione del grado di controllabilità.
- FATTORI DI CONTESTO, fuori controllo diretto del team
- DINAMICHE E PROCESSI DI GRUPPO, sotto il controllo del team
DIMENSIONI. Diade, triade, piccolo gruppo. Ottimale tra le 5>8 persone. Effetti che si producono al crescere del
gruppo: diminuiscono le opportunità di partecipare,diminuisce la coesione di gruppo, diminuisce la soddisfazione,
aumenta il grado di formalizzazione, gli effetti sulla performance di gruppo dipendono dalle caratteristiche del compito
STRUTTURA. È data dall‟insieme dei ruoli e delle funzioni e dalle forze che ne mangenono l‟organizzazione il
funzionamento. E‟ dinamica e mutevole. L‟efficacia di un gruppo dipende sia dalla corretta progettazione organizzativa
sia da un adeguato sviluppo di funzioni e ruoli sociali. Si possono verificare tensioni di ruolo e ci compone di tre fasi
principali: 1 emissione delle aspettative, 2 assunzione del ruolo, 3 comportamento
STATUS E NORME
STATUS. Si intende la posizione relativa di una persona in un gruppo o in una società. È in funzione delle sue
caratteristiche ,delle sue qualità e dalla natura delle sue interazioni con gli altri e delle caratteristiche della situazione in
cui opera. I criteri più comuni sonno: titolo di studio, capacità personali, livello di responsabilità. Incoerenza di status si
manifesta quando i membri del gruppo attribuiscono uno status maggiore o superiore a quanto gli altri si ritengano.
NORME. Rappresentano uno strumento importante per conseguire controllo e prevedibilità di un gruppo. Le norme
sono aspettative di comportamento condivise e si riferiscono pertanto a come i membri devono comportarsi. Danno
maggiore o minore libertà ai componenti.
TEAM LEADERSHIP All‟interno di uno scenario e obiettivi spesso definiti da altri il team deve perseguire risultati non
completamente definiti a priori, operare in ambienti di incertezza e interagire con svariati fattori. Il ruolo del team leader
è legittimato dalla responsabilità che gli è stata assegnata. Si fonda su autorevolezza che deriva da competenze e
richiede uno stile di direzione orientato alle relazioni sociali.
Le caratteristiche più diffuse del team leader:
Ruoli interpersonali:
- Ruolo di liason, ossia link tra membri interni ed esterni al pro di ottenere informazioni e benevolenza
- Ruolo di leader, centrale per la gestione dei conflitti, creazione di clima di fiducia e motivazione
- Ruolo di figure head, ossia di rappresentante dell‟organizzazione in tutte le questioni formale
Ruoli informativi:
- ruolo di monitor, ossia di ricevente e collettore delle informazioni
- ruolo di disseminator, di trasmissione di informazioni vs organizzazione, efficacia del comunicare
- ruolo di spokesma, ossia di portavoce delle informazioni verso l‟ambiente esterno
Ruoli decisionali:
- ruolo di entrepreneur, ossia non decide la direzione ma può influenzarla
- ruolo di disturbance handler, ossia di gestore delle difficoltà che possono minacciare il lavoro del team
- ruolo di resource allocator, connesso alle azioni di gestione delle risorse
- ruolo di negotiator, verosimilmente una delle dimensioni centrali.
Intelligenza sociale:
- capacità di alimentare relazioni e di conservare amicizie, di stabilire legami personali
- l‟abilità di risolvere conflitti e di negoziare soluzioni
- l‟essere abili nell‟analisi sociale e quindi di individuare interessi, motivazioni ed emozioni negli altri
- capacità di organizzare gruppi e di riconoscere le proprie emozioni e di saperle gestire
RELAZIONI DI INFLUENZA. È un processo attraverso cui si cerca intenzionalmente di ottenere acquiescenza dagli
altri e mediante il quale il comportamento di una persona hanno un impatto sul comportamento di altre persone. Il
miglioramento e il peggioramento nella performance indotti dalla presenza altrui, fenomeni denominati di facilitazione e
inibizione sociale, dipendono dalla natura della performance richiesta e dalla risposta dei membri del team.
L‟influenza può portare negativamente al conformismo, all‟inerzia sociale. Positivamente alla cittadinanza
organizzativa.
6. DECISIONI
1. Modelli decisionali
2. Gli errori da evitare
3. Stili decisionali e differenze individuali
4. Miti decisionali
5. Processi decisionali di gruppo
1. Modelli decisionali
I diversi modelli che permettono di analizzare i processi decisionali sono valutabili in termini di capacità di legare
risultati e obiettivi. I modelli sono 5 :
2. EURISTICO
Queste le parole chiave di questo modello: razionalità limitata e satisficing. Le decisioni vengono prese con razionalità
limitata e le abilità umane come sappiamo sono fallibili, limitate e l‟informazione non è mai completa. Lo si usa per
arrivare ad una decisione molto velocemente ed efficientemente. Fisseremo quindi una procedura o una best practice.
Quando esistono procedure o routing, non deve fare una lista di alternative, è sufficiente applicare la procedura. La
selezione è più rapida e le alternative sono minori. Una volta individuate le si confronteranno con un minimo di
parametri e criteri accettabili, optando la prima che soddisfi. Questo processo è il satisficing.
3. GARBAGE CAN
Il modello garbage can, ossia contenitore dei rifiuti considera la gestione delle decisioni multiple. È adatto nelle
organizzazioni che operano ad elevata incertezza in cui le preferenze individuali sono articolate. Difficile è inoltre
identificare e analizzare i problemi,trovare alternative ed esprimere giudizi di preferenza. Un‟ idea può essere
implementata senza che sia stata pensata intenzionalmente quale soluzione di problemi, oppure un problema può
continuare a esistere senza che venga affrontato pur esistendo idee per risolverlo. Si compone di 4 elementi:
1. i partecipanti al processo e le loro diverse priorità; 2. i problemi da risolvere; 3. le soluzioni da scegliere e da
applicare; 4 le opportunità di decisione.
4. CIBERNETICO
Alcune decisioni vengono prese in modo cibernetico, inducendo un comportamento automatico, di routine, basato sulla
teoria del condizionamento classico. Per decidere occorre adottare una strategia prova-errore e discernere tra i tipi di
conseguenze possibili. Si utilizza una tecnica valutativa. Quelle che funzionano vengono implementate e trattenute,
quelle no vengono espulse. Qui la scelta dei modelli è l‟imitazione di azioni di successo. Punti di forza di questo
processo sono i notevoli risparmi di energia cognitiva ma allo stesso tempo c‟è un limite sulla applicabilità a situazioni
decisionali che si ripetono con caratteristiche simili nel tempo.
5. INCONSCIO-INTUITIVO
Esistono decisioni guidate dall‟inconscio e dall‟istinto, che si prendono senza pensare troppo. L‟istinto può essere
ottima guida per situazioni per portano a scelte difficili ed in particolare quelle ad elevata complessità. In quest‟ultime è
consigliabile non riflettere molto, ma agire d‟istinto. Ciò è spiegabile dal fatto che nelle situazioni complesse, il cervello
riesce a mantenere una visione sistemica d‟insieme, prendendo velocemente in esame gli aspetti caratterizzanti e più
importanti. Non si tratta di affidarsi al caso, ma scelta dettata inconsciamente dall‟unione di esperienza passata,
conoscenza e comprensione della attuale situazione
2. Gli errori da evitare nella selezione e definizione del problema
Quali sono gli errori nella selezione e nella definizione? La selezione e la definizione del problema sono elementi critici
del processo decisionale. Einstein usava dire che un problema senza soluzione è un problema mal impostato e che non si
possno risolvere i problemi con gli stessi schemi con cui li abbiamo creati.
Gli errori nella scelta del problema da affrontare e nella sua definizione nascono da diversi 11 fattori
1. Effettuiamo errori di disponibilità (usiamo informazioni che si ricordano, che sono più salienti e familiari
2. si possono compiere errori da ancoraggio ( facciamo stime partendo da punti di riferimenti, siamo ancorati)
3. compiamo errori di rappresentatività (consideriamo il singolo caso come rappresentativo di intera categoria)
4. i bias nelle nostre percezioni ci rendono consapevoli di alcuni problemi e non di altri.
5. la sequenza degli eventi influenza ciò che scegliamo di affrontare
6. i problemi che percepiamo come emergenze e quelli che possiamo risolvere hanno priorità
7. tendiamo ad essere iperattivi ( piuttosto che essere razionali, scegliamo l‟azione)
8. i problemi sono spesso scarsamente definiti
9. il modo con cui definiamo un problema può portare a una soluzione preconfezionata, che ci distrae
10. spesso passiamo alle soluzioni molto prima di aver ben definito il problema
11. spesso il problema viene definito in modo che per altri risulti una minaccia
Rowr e Boulgarides hanno individuato le dimensioni di analisi rilevanti per delineare il profilo degli stili decisionali
Il modo di pensare ( razionale-intuitivo) e la tolleranza per l’ambiguità ( bassa alta). L‟incrocio ortogonale permette
di individuare 4 stili decisionali prevalenti:
- DIRETTIVO, bassa tolleranza per ambiguità, alta ricerca di razionalità. Efficienza e logica essenziali. Qui si
prendono decisioni velocemente focalizzandosi sul breve termine.
- ANALITICO, maggiore tolleranza verso l‟ambiguità. Tendono a ricercare maggiori informazioni e alternative
prima di prendere decisioni. Sanno affrontare contesti sempre nuovi. Vogliono essere razionali.
- CONCETTUALE, chi tende ad allargare i confini del problema e ricerca più possibili alternative. Orientato al
lungo periodo e valido per soluzioni creative ai problemi.
- RELAZIONALE, tipico di chi vuole prendere decisioni con il consenso degli altri, comporta capacità di
notevole ricettività dei suggerimenti e tendenza ad evitare il confitto.
Grafico: ascisse razionale>intuitivo. Ordinata bassa tolleranza per ambiguità>alta. Partendo dal punto zero in ordine
orario: direttivo, analitico, concettuale, relazionale
4. Miti decisionali
MITO REALTA'
Le decisioni strategiche sono prese in modo simultaneo da diverse
AD prende le decisioni strategiche persone chiave a diversi livelli dell'organizzazione
le decisioni sono prese insieme nella stanza dei bottoni molte decisoni sono prese in modo riservato, in 2 o 3
Le decisioni richiedono esercizio intellettuale le decisioni sono complessi processi sociali, emotivi e politici
i manager analizzano poi decidono le decisioni sono spesso prese in sequenze non lineari
i manager dedidono poi agiscono Le decisioni si formano attraverso un processo di scelta azione
i manager prendono decisioni consapevoli Le decisioni sono sempre prese a consapevolezza limitata
Risk shift: tendenza a prendere decisioni colletive che comportano rischi maggiori o minori di quelli che si
assumerebbero individualmente. Si sceglie se il rischio è minore o maggiore. Polarizzazione: tendenza da parte dei
membri a rafforzare in seguito alla discussione il proprio punto di vista dominante e iniziale.
BRAINGSTORMING. Richiede che i membri del team di esprimere qualsiasi idea, qualsiasi. Ciò deve essere fatto
velocemente e senza inibizioni. Le idee non devono essere criticate da nessuno. Viene incentivata la quantità e qualità di
idee e la possibile congiunzione, integrazione con altre emerse.
NOMINAL GROUP. Tecnica per ottenere idee/alternative di soluzioni quando il gruppo è grande o se persistono
situazioni di conflitto. Ognuno formalizza la propria idea, successivamente ad ogni idea viene dato punteggio.
DELPHI. Tecnica utilizzata quando i membri sono fisicamente lontani. Predisposto un questionario, inviato e i membri
formulano le risposte. Sono riassunte da un team leader e re inviate. Viene poi inviato un secondo questionario di follow
up sulle risposte iniziali, riviste in base dei primi suggerimenti. Si continua fino alla decisione
AVVOCATO DEL DIAVOLO. Obiettivo è apprendere informazioni che solo pochi individui hanno. Spesso si finisce
per decidere anche se non si dispongono di tutte le informazioni. Qui il team leader svolge il ruolo di avvocato del
diavolo con domande di questo tipo: che cosa possiamo sapere che non stiamo condividendo?
8. CONFLITTI
- MESO
Si tratta di conflitti a livello intermedio considerando dimensioni e complessità. Le parti coinvolte possono essere
gruppi e organizzazioni e possono partire da un conflitto interpersonale ed estendersi a tutti gli individui del gruppo.
- MACROCONFLITTI. I macroconflitti si verificano quando vengono presentati gruppi con interessi differenti.
Si manifestano anche in grandi aggregati politico-economico-sociali.
In particolare la NEGOZIAZIONE PER PRINCIPI si enfatizza il problema e tenta di far collaborare le parti in conflitto
per un vantaggio comune. Si articola in 4 fasi principali:
1. Separare le persone dal problema ( invece ci incolparsi a vicenza, si cerca di convididere percezioni e bisogni)
2. focalizzarsi sugli interessi non sulle posizioni ( ogni parte deve definire e rendere espliciti i propri interessi)
3. inventare opzioni a vantaggio reciproco
4. insistere su criteri oggettivi ( valutare su opzioni in modo oggettivo, imparzialità e fattibilità.
GOAL SETTING INTEGRATIVO. Gli obiettivi dovrebbero essere definiti in modo da incoraggiare le unità
organizzative a compiere maggiori sforzi di collaborazione.
INTRAGRUPPI.
Il conflitto all‟interno del gruppo si manifesta quando i suoi membri, che per loro natura operano in condizioni di
interdipendenza, hanno punti di vista, preferenze, interessi, obiettivi differenti se non contrastanti. Questi conflitti
possono avere natura distruttiva o costruttiva,
DISTRUTTIVA. Sono caratterizzate da modalità di comunicazione tipicamente competitive e aggressive. Win lose
COSTRUTTIVO. Quando sono consapevoli che il disaccordo è fisiologico e fattore chiave per il successo. Win-win
I conflitti tra componenti dello stesso gruppo si manifestano in modo differente nelle fasi del CDV del progetto. Le aree
di maggior conflittualità riguardano i seguenti aspetti:
priorità tra progetti; procedure gestionali di progetto; compromessi tecnici; persone da inserire nel team; cost control
scheduling; personalità
- FASE INIZIALE: i conflitti maggiori sono su scadenze, costi, sull‟assegnazione dei ruoli e allocazioni risorse
- FASE INTERMEDIA: conflitti su scadenze, su procedure gestionali e iniziano i primi compromessi tecnici
- FASE FINALE: conflitti su costi e scadenze.
La risoluzione dei conflitti può avvenire con approcci differenti:
attenuazione, confronto, compromesso, pressione, rinuncia, disaccordo.
INTERGRUPPI
Il conflitto può stimolare a maggior impegno per raggiungere gli obiettivi. I conflitti col tempo tendono a vedere
negativamente l‟altra parte. Si presterà attenzione al rivale con una mentalità mors tua vita mea
10. LEADERSHIP
DEFINIZIONE. Leadership è un processo di influenza sugli altri per far loro comprendere e accettare le decisioni che
devono essere prese e le azioni che devono essere intraprese, facilitando gli sforzi individuali e collettivi per il
raggiungimento di obiettivi. La leadership è una esigenza organizzativa e una delle forme più efficaci di controllo
sociale, perché comporta influenza personale, il guidare le persone e l‟assumere ruoli di responsabilità
1. L’approccio dei tratti
Diversi studi hanno esaminato fattori quali età, altezza, intelligenza, pensiero laterale, cv accademico, spirito
d‟iniziativa, bisogno di achievement e potere, autostima ecc. I risultati hanno portato alla conclusione che nessun tratto
specifico sembrava essere correlato alla leadership nelle svariate situazioni.
BIG FIVE E LEADERSHIP. Non solo sono un importante spiegazione della motivazione di performance e della
soddisfazione sul lavoro, ma sono strettamente collegate alla leadership.
LEADER MOTIVE PATTERN DI MCCLELLAND. La configurazioni di dimensioni della personalità che è risultata
maggiormente correlata all‟efficacia manageriale è :
- Bisogno di potere predominante su quello di affiliazione
- Alta inibizione al potere
Il bisogno di potere si riferisce al desiderio di una persona di avere impatto sulle emozioni e sui comportamenti altrui.
Un basso desiderio di affiliazione implica che l‟individuo non necessità ne di interazione con gli altri, ne di accettazione
positiva. Inibizione al potere significa che la persona è disciplinata e ha un forte autocontrollo dell‟uso del potere.
2. L’approccio comportamentale
Questo tipo di approccio analizza il grado di efficacia delle azioni del leader. Le classi di comportamento che hanno
ricevuto maggiore attenzione nell‟approccio comportamentale fanno riferimento alla DISTRIBUZIONE DEL POTERE
DECISIONALE, ai COMPITI, e alle RELAZIONI SOCIALI.
La maggior parte degli studi mostra che la considerazione è generalmente correlata a un „elevata soddisfazione dei
dipendenti, molto meno alla performance. La specificazione del metodo di lavoro è correlata alla soddisfazione sul
lavoro ma con minior frequenza a elevata produttività, basso assenteismo e basso turnover.
UNIVERSITA‟ MICHIGAN . Il comportamento di leadership può essere descritto mediante due stili:
LEADERSHIP CENTRATA SULLA PRODUZIONE ( alti livelli di produzione, esercita forti pressioni)
LEADERSHIO CENTRATA SULLA RELAZIONE (interesse per sentimenti collaboratori,atmosfera di mutuo rispetto)
3. Teorie contingenti
Queste teorie consideravano sistematicamente fattori situazionali che potevano trasformarmi in differenti relazioni tra
comportamento del leader e relativa efficacia. Ci sono 4 teorie contingenti che possiamo distinguere:
- MODELLO FIEDLER
- LA TEORIA DEL PERCORSO-OBIETTIVO
- IL MODELLO VROOM-YETTON
- IL MODELLO BLANCHARD E HERSEY
MODELLO FIEDLER
E‟ stata proposta una spiegazione teorica di come l‟orientamento della leadership, la composizione del gruppo e le
caratteristiche dei compiti interagissero nell‟influenzare la performance di gruppo.
Aspetti importanti: 1. fattori relazionali, 2. orientamento alla leadership, 3.sua efficacia, 4. teoria della risorsa cognitiva
1. 1 FATTORI RELAZIONI
- Variabili situazionali: relazioni leader- membri del gruppo ( quando fiducia ha il gruppo nel leader)
- Prescrittività dei compiti ( obiettivi chiari, obiettivi raggiungibili, discrezionalità limitata se non assente
- Posizioni di potere( alta base di potere legittima il compito e l‟autonomia)
2. ORIENTAMENTO ALLA LEADERSHIP
- Possiamo misurarla con la scala LPC ( least preferred co-worker, collega meno gradito)
3. EFFICACIA DELLA LEADERSHIP
- Forte se relazione con i membri sono buoni, prescrittività dei compiti, alta posizione di potere
- I leader è efficace ad alto livello LCP quando c‟è un livello moderato di controllo situazionale.
4. TEORIA DELLA RISORSA COGNITIVA.
direttivo caratteristiche dei collaboratori: soddisfazione sul lavoro
supportivo locus of control ricompense
partecipativo autoritarismo accettazione del leader
orientato al successo abilità comportamenti motivati
MODELLO VROOM
Proposero cinque tipi di processi decisionali che variavano in funzione dei collaboratori. Ad un estremo troviamo la
decisione unilaterale presa dal manager, dall‟altra la decisione partecipativa.
- AI, prendete la decisione utilizzando le informazioni a disposizione in quel momento
- AII, ricercate tra i vostri collaboratori le informazioni, ma decidete da soli
- CI, condividete il problema con i collaboratori, ma singolarmente. Senza riunioni, prendete una decisione
- CII, condividete il problema in una riunione che ha scopo di ottenere idee, prendete decisione da soli.
- GII, i problemi vengono condivisi col gruppo, management partecipativo, soluzione data dal gruppo.
La RBV è la teoria per la quale: è vero che la strategia indica in che modo l’impresa può conseguire una
performance superiore rispetto ai competitor, ma la fonte del vantaggio competitivo sostenibile è rappresentata
dalla capacità dell’impresa di sfruttare il bundle di risorse di valore, rare e difficilmente imitabili di cui essa
dispone o a cui ha accesso.
Definizione dei concetti chiave della teoria (Barney, J., 1991)
- RISORSE: capitale umano; capitale organizzativo
- VANTAGGIO COMPETITIVO: Adozione e implementazione di una strategia capace di creare valore che non
sia simultaneamente adottata e implementata da altri competitor reali o/e potenziali …
- SOSTENIBILE : … e i cui vantaggi non siano duplicabili da altri competitor reali o/e potenziali
Definizione RBV in termini operativi: Il vantaggio competitivo sostenibile da parte dell‟organizzazione (impresa) è
acquisibile attraverso la capacità di combinare, coordinare e sfruttare il potenziale delle risorse a cui l‟organizzazione ha
accesso e non attraverso l‟analisi dell‟ambiente e la scelta corrispondente di una strategia sulla base della quale adattare
o procurarsi le risorse.
Critiche alla RBV. La critica relativa all‟inapplicabilità della RBV è fondata su DUE questioni:
PRIMO Il contesto in cui la teoria dovrebbe essere applicabile non è specificato e la definizione di risorse data dalla
RBV è omnicomprensiva
RISPOSTA DI BARNEY Proprio perché vuole essere una teoria generale e non riferirsi a nessun settore specifico, la
RBV non fornisce un elenco preciso di risorse che generano vantaggio competitivo sostenibile, né settori specifici
(individuare i confini dei quali, oggi, sarebbe comunque un problema) dove applicarla, ma alcune caratteristiche
generali che le risorse devono avere per generare vantaggio competitivo sostenibile.
SECONDO. Gli aspetti delle risorse che possono generare vantaggio competitivo non sono manipolabili dal
management in quanto non hanno carattere prescrittivo.
RISPOSTA DI BARNEY Questo non significa che la RBV non abbia alcune implicazioni manageriali; Non è vero,
dunque, che la logica della RBV non è manipolabile dal management, ma è vero che l‟RBV non ha carattere
prescrittivo.