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CAPITOLO 4: Il comportamento individuale nelle organizzazioni.

4.1 Perchè studiare il comportamento individuale

Lo studio del comportamento individuale nelle organizzazioni è di u5lità in diversi aspe7 dell’a7vità
manageriale, quali la ricerca e la selezione del personale, la formazione, la mo5vazione e
valorizzazione delle persone, il lavoro di gruppo, ges5one dei con<i7, ecc.
Vi è una disciplina speci?ca che studia il comportamento degli individui in ambien5 organizza5: il
comportamento organizza5vo. AnzituDo è in aumento il numero di imprese deDe personality
intensive dove le caraDeris5che della personalità degli individui, la loro mo5vazione, i loro
aDeggiamen5 verso il lavoro acquisiscono ruoli determinan5; inoltre, la compresenza di più referen5
organizza5vi e di più capi rendono complesse, molteplici e diversi?cate le richieste ai singoli che si
ritrovano a lavorare in contes5 di mul5-tasking e ad interagire con più capi che tra di loro hanno
aspeDa5ve e s5li di direzione diversi. Ciò richiede intelligenza emo5va, capacità di ascolto, leDura
poli5ca di contes5 diLerenzia5, consapevolezza delle proprie percezioni e conoscenza delle proprie
fon5 mo5vazionali. La progeDazione dei sistemi di ges5one delle risorse umane si traduce in pra5che
di ges5one delle persone e in comportamen5 osservabili all’interno di un reparto, di una funzione e
dell’organizzazione nel suo insieme. Diverse ricerche hanno dimostrato l’impaDo delle pra5che di
ges5one del personale sui comportamen5 e sulle performance organizza5ve, così come l’importanza
del percezione dell’ambiente di lavoro e del clima organizza5vo come mediatori dell’eOcienza delle
pra5che stesse.

4.2 Un modello sempliBcato di comportamento individuale

Per meglio comprendere la tema5ca impieghiamo un modello individuale basato su quaDro elemen5
chiave:
1. ambiente;
2. individuo;
3. comportamento;
4. conseguenze del comportamento.
L’ambiente, cos5tuito da numerosi elemen5 presen5 nel mondo esterno, interagisce con le
caraDeris5che dell’individuo che spiegano e governano il suo comportamento. TuDavia, il
comportamento non può mai portarci all’in5mo dell’individuo, dal momento che è un suo semplice
aDo manifesto che ci dice ben poco delle sue determinan5; produce conseguenze, che hanno eLe7
intenzionali e inintenzionali sui risulta5 e può condurre a con<i7 innescando relazioni posi5ve o
nega5ve negli altri.

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4.3 Personalità

Per personalità si intende l’insieme rela.vamente stabile delle cara2eris.che psicologiche di una
persona, ovvero un modello duraturo di cara2eris.che che de9niscono l’unicità di una persona e che
in;uenzano il modo con cui essa interagisce con gli altri e con l’ambiente. Leader si nasce o si
diventa? Vi sono studi che cercano di comprendere se le capacità di leadership derivano dal
comparto gene.co del sogge2o, cioè ereditato dai genitori (approccio gene.co), oppure dal ruolo
fondamentale dell’educazione e del modo in cui si è sta. alleva. (approccio cogni.vi sta). Si può
aGermare che entrambi gli studi sono validi, poiché tuI nasciamo con un cara2ere gene.co, che si
pone alla base della propria personalità, arricchita successivamente grazie alle esperienze sensoriali
del sogge2o, alla base dell’apprendimento e della socializzazione. Le nostre esperienze maturate in
ambito familiare o nell’osservazione dei comportamen. altri modellano il modo in cui noi ci
adaIamo al mondo circostante e il risultato di ciò cos.tuisce la personalità: l’unicità dell’insieme di
valori, a2eggiamen. e comportamen. nelle nostre vite adulte, modellate intorno al nostro cara2ere
gene.co. La personalità diventa meno determinante delle situazioni formali nelle quali alcune
costrizioni, quali regole, procedure, divie., ecc, riducono la discrezionalità nei comportamen. (es.
parata militare, dove tuI indossano uniforme e marciano insieme ed è impossibile intuire le varie
personalità dei protagonis.). Nelle situazioni meno stru2urate invece è più facile osservare e capire
un comportamento guidato da personalità.

4.3.1 Big Five

Un tra2o della personalità è una par.colare tendenza individuale, rela.vamente stabile e duratura, a
reagire emo.vamente o a comportarsi in un determinato modo. Recentemente si è giun.
all’iden.9cazione dei Big Five, cinque grandi fa2ori della personalità:
 nevro6cismo: cara2eris.ca della stabilità emo.va, vista dal lato nega.vo. Considerando i
traI delle persone con bassa stabilità emo.va, emerge che essi tendono ad essere
emo.vi, tesi, insicuri, con al. livelli di ansietà, facilmente tris. e deprimibili. Un’alta
stabilità emo.va favorisce lo sviluppo di competenze di supervisione, controllo e
valutazione delle performance.
 estroversione: alcuni traI .pici di una persona estroversa sono che essa tende ad essere
molto socievole, a stare con gli altri ed essere ricca di energia; gli introversi, all’opposto,
sono meno socievoli, preferiscono la solitudine e la minore interazione possibile con gli altri.
Essa è una cara2eris.ca di successo sul lavoro per manager, venditori, docen. e posizioni di
front oSce o che richiedono alto conta2o con gli altri.
 apertura: le persone aperte a nuove esperienze sono immagina.ve, curiose, colte, di
larghe vedute e con vari interessi.
 amabilità: è un tra2o .pico delle persone tolleran., aSdabili, generose, calde, cortesi, di
indole buona, diScilmente sono aggressive, maleducate, egoiste e ciniche.
 coscienziosità: fra i traI .pici riconducibili ad essa vi sono quelli dell’essere responsabili,
aSdabili, persisten., puntuali ed
orienta. al lavoro. E’ un elemento di
successo sul lavoro e nella formazione
per manager, professionis., polizioI:
gli individui che manifestano traI
associa. alla precisione, aSdabilità e
alla persistenza hanno un potenziale di
successo maggiore di coloro che non
manifestano tali tendenze.

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I big &ve sono impiega/ nelle organizzazioni per gli assessment di personalità u/li ai &ni della
selezione; questo modello è di facile ed immediata comprensione anche ai non adde= ai lavori
perchè u/lizza termini impiega/ quo/dianamente per comunicare.

4.3.2 Locus of control

Il locus of control è una dimensione di personalità che in?uenza l’opinione dell’individuo circa la
localizzazione dei faAori interni ed esterni che determinano il suo comportamento. Se si è convin/
che i risulta/ della propria a=vità siano controlla/ da altri, si possiede un locus of control esterno,
mentre se si pensa di avere un elevato controllo sui risulta/ personali, si possiede un locus of control
interno. In quest’ul/mo caso la persona necessita di indipendenza, partecipando alle decisioni e
controllando l’ambiente esterno; sarà maggiormente adaAata al lavoro e anche più soddisfaAa,
limitando le assenza sul lavoro e mostrando maggior coinvolgimento.

4.3.3 Tipi psicologici e preferenze individuali

Il modello di Myers-Briggs è basato sul conceAo di /po psicologico, inteso come sistema di
preferenze individuate in relazione a dimensioni bipolari, che interagiscono in modo dinamico,
determinando modi di pensare, agire, interessi, mo/vazioni e propensioni delle persone. Vengono
individuate quaAro dimensioni:
• sensazione/intuizione: le persone che preferiscono la sensazione raccolgono le info in
modo sistema/co e preciso, preferiscono rou/ne rigide, deAagli precisi, il pragma/smo e
generalmente u/lizzano competenze già acquisite. Coloro che prediligono l’intuizione
raccolgono le info lasciandosi ispirare dal momento, non amano la ripe//vità, seguono l’is/nto
e nelle a=vità di problem solving saltano immediatamente alle conclusioni e alla soluzione del
problema.
• pensiero/sen/mento: le prime prendono decisioni ricercando verità generali e fa=
obie=vi, non sono emo/ve e talvolta feriscono i sen/men/ altrui, possono sembrare
anaMe=ve ed impersonali, preferiscono analizzare i problemi piuAosto che risolverli. Le altre
prendono decisioni ricercando il benessere, l’armonia individuale ed amano compiacere gli
altri, sono in?uenzate dai bisogni altrui, relazionandosi bene con la maggior parte delle
persone.
• introversione/estroversione: le persone introverse ricevono l’energia dall’interno e la
dirigono verso l’interno, preferiscono valutare prima di agire, lavorano meglio da sole,
ri?eAendo a lungo prima di ogni azione, non amano le interruzioni e possono avere problemi di
comunicazione. Le estroverse ricevono energia dall’esterno e la dirigono verso l’esterno, sono
impazien/ nei confron/ di a=vità da svolgere lentamente o che richiedono tempi lunghi,
preferiscono la varietà e l’azione alla contemplazione. Sono inoltre eccellen/ nelle relazioni
interpersonali e nella comunicazione con le persone che amano avere sempre intorno.
• percezione/giudizio: le prime si adaAano bene al cambiamento e gradiscono nuove idee,
tendono a lasciare problemi in sospeso procras/nando le decisioni senza troppa
preoccupazione, iniziano contemporaneamente più proge=, non portando a termine quelli
meno piacevoli. Le altre tendono a piani&care il lavoro seguendo passo precisamente il piano,
cercano l’essenzialità del problema cos’ da essere soddisfa= di risulta/, prendono decisioni
velocemente, non abbandonano il progeAo in corso e meAono subito in pra/ca quanto deciso.
Ognuna delle quaAro dimensioni presenta due possibilità opposte di preferenza e indica il modo in
cui le persone raccolgono e usano le informazioni (sensazione/intuizione), prendono le loro decisioni
(pensiero/sen/mento), usano la loro energia (introversione/estroversione), e organizzano la loro vita
(percezione/giudizio). Esse sono caraAerizzate dal conceAo di preferenza, non sono semplici qualità o
abilità: se infa= tuAe le persone hanno le risorse per obbligarsi ad imparare a fare qualcosa non vuol
dire che ciò risul/ naturale o piacevole. Queste dimensioni possono essere usate per diverse &nalità
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quali l’analisi e la comprensione degli s2li di comunicazione e di relazione interpersonale, la selezione


del personale e il miglioramento dei processi decisionali. Col tempo si può apprendere quando è il
momento per mostrare la propria razionalità, intuizione introspezione, emo2vità e si può anche
imparare quando me=ersi a coppie nel lavoro di gruppo: la reciproca u2lità degli oppos2 infa@
perme=e il completamento e l’equilibrio di una relazione.

4.4 A%eggiamen,

Per a=eggiamen2 si intende la tendenza a reagire in modo favorevole o sfavorevole nei confron2 di
un ogge=o o referente, cos2tuito da qualunque cosa sia presente nel mondo a=orno a noi. Essi
riDe=ono ciò che una persona gradisce o non gradisce del proprio ambiente in merito alle altre
persone, even2 ogge@vi e alle a@vità in genere.
Gli a=eggiamen2 sono importan2, in quanto funzionali al
comportamento, perché aiutano a dare un senso a tu=o
ciò che ci circonda, fornendo un quadro di riferimento
con cui interpretare il nostro mondo. Essi sono funzionali
al comportamento aiutandoci a dare un senso
all’ambiente che ci circonda, fornendoci un quadro di
riferimen2 o per l’interpretazione del nostro mondo
(tendiamo infa@ a percepire solo una parte
dell’ambiente selezionando i fa@ maggiormente coeren2
con i nostri a=eggiamen2, ignorando o non tenendo in
considerazione ciò che repu2amo incoerente). Inoltre gli
a=eggiamen2 possono diventare il mezzo per un Jne: se
una persona ci ha minacciato in qualche modo, un
a=eggiamento nega2vo nei suoi confron2 ci può aiutare
a proteggerci quando ne incontriamo una simile. Ancora,
gli a=eggiamen2 sono esprimibili a=raverso la
comunicazione verbale, non verbale e le azioni.
Gli a=eggiamen2 ci aiutano a mantenere l’immagine ed in rispe=o che abbiamo per noi stessi, anche
se spesso si assumono a=eggiamen2 contraddi=ori, ques2 non provocano alcun disagio o senso di
dissonanza e ciò accade quando le contraddizioni tra due opinioni, comportamento o a=eggiamen2
diversi vengono riconciliate da un processo di catalogazione per compar2men2. (Es. il vostro capo vi
tra=a male e siete insoddisfa@ del lavoro ma siete molto felici della vostra vita familiare quindi
compar2mentalizzate e separate i due a=eggiamen2 pensando “il lavoro è lavoro, la famiglia è la
famiglia”)

4.4.1 Un modello degli a%eggiamen,

Esiste un modello degli a=eggiamen2 da cui si evince come essi siano stre=amente collega2 ai valori
e alle opinioni. Il modo principale di riferirsi agli a=eggiamen2 è la catalogazione in posi2vi o nega2vi;
la componente aOe@va è il tono emo2vo generato da e verso l’ogge=o dell’a=eggiamento. Ognuno
ha delle preferenze nei confron2 dell’ogge=o; gli a=eggiamen2 sono sempre rivol2 verso un ogge=o
iden2Jcato, che può essere persone, cose o situazioni pertanto non è tecnicamente corre=o
aOermare che qualcuno ha un a=eggiamento buono o ca@vo senza speciJcare qual è l’ogge=o di
questo a=eggiamento. Ogni persona sviluppa un diverso set di fa=ori cogni2vi associa2 ad un
ogge=o (es. il lavoro) che variano a seconda della personalità e della sua visione del mondo.
I valori riDe=ono il senso di ciò che è giusto o sbagliato e presentano cara=eris2che di maggiore
generalizzazione rispe=o agli a=eggiamen2 poiché non sono necessariamente riferi2 ad un ogge=o

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in par'colare. Gli a.eggiamen' forma'si come cognizioni vengono messi in relazione ai valori
rilevan'. A.raverso la socializzazione le persone sviluppano una serie di sen'men' generali e
par'colari riguardo ai diversi ogge8 e questo processo porta allo sviluppo dei valori, alla base degli
a.eggiamen' e generalmente coeren' con essi. Gli a.eggiamen' posi'vi o nega'vi si determinano
quando le cognizioni vengono soppesate in termini di valori e si comincia ad avere un’opinione
posi'va o nega'va.

4.4.2 A&eggiamen-, intenzioni e comportamen- osservabili

I nostri a.eggiamen' ci incoraggiano a prendere decisioni e ad agire, ed in alcuni casi portano a


manifestare un certo comportamento. Ecce.o che per il comportamento manifesto, tu8 gli altri
a.eggiamen' sono interni alla persona e non osservabili. La componente comportamentale è
fondamentale perché le persone traggono le loro conclusioni riguardo gli a.eggiamen', opinioni,
valori a.raverso quello che viene de.o e fa.o da un sogge.o. (Es. un collega che lavora Eno a tardi
la sera, penseremo che ha un a.eggiamento posi'vo nei confron' del lavoro, ma semmai la sua è
solo una necessità economica momentanea)
La teoria della dissonanza cogni-va è basata sull’idea che le persone hanno bisogno di sen're una
corrispondenza tra il loro comportamento e i loro a.eggiamen', opinioni o pensieri-cognizioni;
quando non c’è questa corrispondenza, insorge una dissonanza cogni'va e si è invoglia' a contenerla
o ridurla, in quanto causa di disagio. Un’altra idea di questa teoria è che siamo mo'va' a gius'Ecare
e spiegare il nostro comportamento, i nostri pensieri o sen'men' così che ques' siano coeren' con
gli altri. Supponiamo che siate soddisfa8 del vostro lavoro e quindi gli speciEci a.eggiamen'
riguardo esso siano posi'vi; viene assunto un nuovo capo e voi ritenete che le sue azioni nei
confron' del gruppo siano severe ed avvilen' con il risultato di trasformare gli a.eggiamen' nei
confron' del vostro capo in nega'vi: ora sen'te un a.eggiamento dissonante nei confron' degli
a.eggiamen' riguardan' il lavoro. Un modo per aNrontare questa dissonanza è di modiEcare il
gruppo di a.eggiamen' verso il lavoro riducendo il proprio livello di soddisfazione sul lavoro
(raccontando come lui si compor' in maniera nega'va con gli altri, convincendoli che egli è inOuente
per la vostra carriera). E’ stato dimostrato che c’è una forte relazione posi'va tra la soddisfazione sul
lavoro e soddisfazione nella vita; se tra le due c’è sovrapposizione potreste provare disagio nel
momento in cui vi trovereste ad essere insoddisfa8 dell’uno, ma soddisfa8 dell’altra. La dissonanza
potrebbe sorgere nel momento in cui vi siano insuPcien' gius'Ecazioni per ciò che si sta facendo e si
può ridurre prima di intraprendere un’azione. Se coinvol' personalmente, la dissonanza è avver'ta in
misura maggiore perchè di solito è diPcile amme.ere i propri errori e le persone persevereranno
nella loro decisione originale piu.osto che amme.ere la dissonanza derivante dal fa.o di aver
sbagliato qualcosa.

4.5 Mo-vazione

Per mo-vazione, invece, si intende l’insieme dei mo'vi ad agire, che sono in relazione a diversi
obie8vi e interessi e che sono guida' da processi cogni'vi ed emo'vi. La mo'vazione è parte
fondamentale della prestazione; le capacità sono l’insieme delle cara.eris'che intelle8ve
dell’individuo, delle abilità mentali, meccaniche e psicomotorie, del livello delle conoscenze
generiche e speciEche e del grado di u'lizzo delle tecniche nello svolgimento dell’a8vità.
Mo'vazione e capacità sono condizione necessaria ma non suPciente per il raggiungimento dei
livelli di prestazione desidera' (ovvero, anche la persona più capace nello svolgimento di un’a8vità
può non raggiungere un livello di prestazione elevato se non è mo'vato e viceversa ovvero se è
molto mo'vato ma non ha suPcien' capacità). Per analizzare il comportamento mo'vato, inteso
come decisioni di partecipare e produrre è opportuno considerare gli elemen' alla base della

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mo#vazione al lavoro, (quali bisogni soddisfare? Quali beni desidera#? Obie9vi persegui#?) ed a tale
proposito risultano u#li i modelli de=ni# del contenuto che analizzano perchè gli individui abbiano
mo#vazione ad agire e raggiungere obie9vi.

4.5.1 Modelli orienta0 al contenuto

I modelli orienta0 al contenuto aiutano a capire cosa mo#va gli individui ad agire e quali bisogni
tendono a soddisfare. Si lavora per vivere, cioè per oDenere una paga o si lavora per la propria
realizzazione? I bisogni sono di #po diverso e secondo il modello di Maslow, la mo#vazione si
sviluppa in sequenza, seguendo una scala gerarchica di cinque livelli prede=ni#.
Un bisogno cessa di essere mo#vante una volta soddisfaDo e si tende a dare precedenza ai bisogni
primari lega# alla sopravvivenza e successivamente a quelli di ordine superiore. Al primo livello ci
sono:
- i bisogni 4siologici, primari, quali fame, sete, sesso e sonno;
- successivamente ci sono i bisogni di sicurezza (protezione dai pericoli, minacce),
- ancora vi sono i bisogni di appartenenza (socialità, aLeDo, acceDazione, amore).
- Poi i bisogni di s0ma, come autos#ma (=ducia in se stessi, interdipendenza) ed eteros#ma,
- in=ne al quinto livello ci sono i bisogni di autorealizzazione, come lo sviluppo delle proprie
potenzialità e un con#nuo sviluppo di se stessi.
Il lavoro di Maslow ha il merito di aver avviato un =lone di ricerca sulla mo#vazione, basato sulla
teoria dei bisogni, e con esso anche alcune cri#che che dimostrano come un individuo frustrato in un
par#colare livello della scala rimanga lì =no a che il bisogno non viene soddisfaDo. Vi sono alcune
estensioni al modello base di Maslow, che hanno il merito di aver iden#=cato un numero inferiore di
livelli e relazioni di #po diverso tra i bisogni.
Si passa al modello ERC, in cui sono individua# solo tre livelli:
1. bisogni esistenziali,
2. relazionali,
3. e di crescita.
I primi racchiudono quelli =siologici e di sicurezza, quelli relazionali quelli di appartenenza e in=ne i
bisogni di crescita sono quelli di s#ma e autorealizzazione. L’innovazione principale è il conceDo di
con#nuum anziché di gerarchia, in quanto consente l’ampliamento della teoria, aDraverso il
meccanismo della soddisfazione- progressione con quello della frustrazione-regressione. Quindi se
un individuo rimane frustrato nel processo di ricerca della soddisfazione di un livello di bisogni, può
regredire al livello inferiore così da trovare un allentamento della tensione nella soddisfazione di
bisogni già precedentemente soddisfa9.
Diversa impostazione è data dal lavoro di Herzberg che ha iden#=cato due livelli di faDori denomina#
mo0van0 e igienici. Si parte dall’ipotesi che le persone, in quanto animali, tendono ad evitare il
dolore =sico e le privazioni e, in quanto esseri umani, tendono a crescere psicologicamente. Una
serie di situazioni individuano i faDori mo#van#, in quanto procurano soddisfazione se presen#, ma
non procurano insoddisfazione se assen#; altre situazioni sono state ricondoDe a faDori igienici,
caraDerizza# dal procurare insoddisfazione se assen#, ma di non procurare soddisfazione se presen#.
Tra i faDori mo#van# ricordiamo i contenu# del lavoro, il ricongiungimento e riconoscimento dei
risulta# raggiun#, il livello di responsabilità, le possibilità di promozione e di avanzamento
professionale. Tra quelli igienici sono comprese le poli#che. e le procedure di impresa, l’ambiente
=sico di lavoro, il livello retribu#vo, le condizioni =siche e di sicurezza personale. Spesso le
organizzazioni investono tempo e risorse economiche per modi=care gli aDeggiamen# dei lavoratori
e per migliorare il clima organizza#vo (disposizione e insonorizzazione degli u[ci, turnis# a e
miglioramento del piano ferie), ques# interven# impaDano sulla qualità lavora#va poichè possono
portare ad una demo#vazione del personale.
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Oltre alle estensioni del modello di Maslow, sono state apportate anche alcune modi5che, nel senso
di aggiunte di alcuni contenu7 della mo7vazione, riguardan7 i bisogni di achievement, di potere e di
a;liazione, analizzando in par7colare i livelli più eleva7 di responsabilità manageriale dell’impresa. Il
bisogno di achievement, ossia predisposizione al raggiungimento del successo, è un traBo della
personalità che si caraBerizza per la con7nua ricerca personale di obieCvi di;cili, s5dan7 e che
possano portare al successo. A;nché vi sia un eFeCvo impaBo mo7vazionale occorre che le cause
del successo siano direBamente e totalmente aBribuibili al contributo dell’individuo; le situazioni
devono essere s5dan7, ma non impossibili, altrimen7 scaBa la mo7vazione a evitare l’insuccesso.
L’acquisizione di potere è spesso stata vista come un possibile importante mo7vo perseguito
nell’azione colleCva organizzata; tuBavia il conceBo di potere è ampio ed elusivo. In un primo
signi5cato i bisogni di potere sono sta7 considera7 semplicemente come interessi par7colari degli
individui contrappos7 a quelli generali di sistema; in un secondo signi5cato, il potere è stato
concepito come controllo di incertezza, libertà d’azione, esenzione da vincoli. Solo in un terzo
signi5cato il potere gioca eFeCvamente il ruolo di un mo7vo, se si u7lizza la de5nizione di dominio
su altri individui come termine dis7n7vo di un comportamento orientato al potere in sé. In5ne il
bisogno di a;liazione è collegato al bisogno di socialità e appartenenza di Maslow, ossia al bisogno di
interazione sociale e a quello di stringere relazioni con gli altri.

4.5.2 Modelli orienta0 al processo

L’analisi del legame tra bisogni e modalità di ricerca, valutazione e selezione delle alterna7ve di
azione è aBuabile aBraverso l’uso di modelli de5ni0 del processo e della prospeCva cogni7vista,
secondo la quali gli individui raggruppano gli s7moli e formano i conceC per produrre senso nel loro
speci5co ambiente agito. I bisogni, più che meccanismi di natura biologica o psicologica, sono
considera7 manifestazioni di operazioni cogni7ve che gli individui eFeBuano. Gli individui creano
rappresentazioni interne degli ambien7 esterni piuBosto che monitorare semplicemente gli ambien7
esterni e confrontarli con gli sta7 interiori. Lo stesso Maslow nello studio longitudinale condoBo sui
studen7 universitari di ingegneria, ha scoperto che gli studen7 considerano la potenziale
soddisfazione sul lavoro secondo modalità diverse in funzione dell'approssimarsi della laurea. In
par7colare le matricole non sembrano fare dis7nzione tra retribuzioni e opportunità di carriera
mentre per i laureandi si traBa di incen7vi che posso ricompensare contribu7 diFeren7. I laureandi,
che hanno maggiori informazioni e interesse alle prospeCve di lavoro, dimostrano di avere
sviluppato categorie conceBuali più ra;na7. Ciò dimostra che la categorizzazione degli elemen7 di
s7molo, come ad esempio il cluster di bisogno soddisfaBo, viene inPuenzata dall'esperienza. Ques7
studen7, una volta terminato il corso di studi addentra7 nuovo sistema, tendono a modi5care con
l'esperienza il proprio sistema di bisogni e conseguentemente lo schema di priorità degli obieCvi da
raggiungere in termini di carriera, di livello retribu7vo, esposizione internazionale, ecc. In altri termini
la mo7vazione può nascere da valutazioni dell'u7lità o valenza aBribuita ad un par7colare obieCvo e
dell'aspeBa7va di raggiungimento del risultato desiderato.
Questa prospeCva comunemente de5nita dell'aspe7a0va-valenza ed il modello più conosciuto é
quello di Vroom. L'aspe7a0va è il giudizio che individua formula sulla probabilità di raggiungere un
certo risultato, aBraverso l'impiego di un certo sforzo ed energia. La valenza è il peso, l'u7lità, il
bene5cio, inPuenza7 dalla scala di valori dall'esperienza di un individuo nel porre in essere
comportamen7 necessari per raggiungere un determinato risultato. Il raggiungimento della meta-
obieCvo gra75ca l’individuo, esercita funzione di rinforzo e tende. a confermare ed innalzare il livello
delle aspeBa7ve. Il modello dell'aspeBa7va-valenza si basa sull'idea che gli individui indirizzino propri
sforzi verso l'oBenimento dei risulta7 desidera7, ed è direBa al miglioramento della prestazione e
delle rela7ve gra75cazioni.
La teoria del goal se<ng coglie gli aspeC lega7 ai processi euris7ci e di soddisfacimento e stabilisce
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come la de)nizione di obie.vi di0cili ed acce1abili dagli individui ha un impa1o mo6vazionale in


termini di prestazioni raggiunte maggiore rispe1o alla de)nizione di obie.vi facili e acce1a6. Gli
obie.vi sono il risultato o il traguardo a1raverso cil quale gli sforzi sono dife., il goal se.ng quindi
in?uenza il processo mo6vazionale poichè aiuta a focalizzare l’a1enzione su obie.vi speci)ci,
incrementando impegno e sforzi profusi, s6molando la crea6vità nello sviluppo di nuove strategie e
piani di azione. Gli obie.vi devono essere speci)ci, di0cili, ma raggiungibili. Un obie.vo impossibile
infa. diventerà frustrante, creando situazioni di overstress e rinuncia. Studi dimostrano che individui
con obie.vi speci)ci raggiungono prestazioni maggiori di chi ha obie.vi generici.
La teoria del rinforzo asserisce che il comportamento che produce conseguenze posi6ve tende ad
essere ripetuto, mentre quello che ne produce di nega6ve viene interro1o. La mo6vazione a
produrre comportamen6 desidera6 è legata quindi ai 6pi di rinforzo che l’individuo riceve nel
compiere determinate azioni. E’ possibile in?uenzare i comportamen6 a1raverso un corre1o schema
di incen6vazione: l’ incen6vazione di comportamen6 desidera6 è a1uabile con rinforzi posi6vi e
nega6vi, la disincen6vazione di comportamen6 indesidera6 si a1ua a1raverso l’es6nzione e la
punizione. Le punizioni hanno un eHe1o a breve termine, si concentrano su ciò che non bisogna fare
e pur facendo cessare i comportamen6 indesidera6 in modo rapido, possono avere eHe. collaterali
come l’aumento della tensione interpersonale, la riduzione dei processi di comunicazione e la
tendenza a non interagire più con il punitore. Al contrario, i rinforzi posi6vi hanno ruolo chiave nel
processo mo6vazionale, alimentando la crescita e lo sviluppo professionale di lungo periodo.

CAPITOLO 5: Analisi e proge9azione del lavoro

5.1 Il lavoro nell’economia della conoscenza - SOLO DA LEGGERE

Il mondo della produzione e dei consumi ha subito nel corso degli ul6mi decenni cambiamen6
epocali che hanno segnato la transizione dall’economia industriale a quella che viene de)nita
economia della conoscenza. Vi sono mol6 fa1ori che hanno contribuito a questo cambiamento:
• diHusione delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni che ha
permesso di annullare la distanza spazio-temporale fra individui, organizzazioni e
Paesi;
• globalizzazione che ha agito nella diHusione e ada1amento delle nuove tecnologie,
prodo. e idee;
• miglioramento degli standard di vita.
L’eHe1o complessivo me1e al centro dei processi lo sviluppo economico, la conoscenza, le
competenze, l’istruzione, la crea6vità e l’innovazione. Si assiste ad una smaterializzazione dei
processi di generazione del valore di beni e servizi. La velocità nell’evoluzione di conoscenze e
tecnologie obbliga i lavoratori ad acquisire su base con6nua6va nuove competenze, abilità e pro)li
professionali in modo da riuscire ad adeguarsi e an6cipare i cambiamen6.
Par6colare rilevanza hanno acquisito i cosidde. knowledge worker, categoria che comprende tu.
quei lavoratori per i quali la conoscenza rappresenta al tempo stesso sia il principale input sia il
prodo1o stesso del lavoro. La peculiarità di ques6 lavoratori, unitamente all’importanza che essi
hanno assunto per il successo in mol6 business e se1ori, e che pongono s)de signi)ca6ve per chi
deve capire quali approcci ado1are per creare contes6 di lavoro in grado di accoglierli e far emergere
il loro potenziale. Questo non vale solo per le nuove imprese nate per mano della globalizzazione ma
anche per tu1o il vasto ambiente manufa1uriero, di can6eri edili, aziende agricole, dove le
organizzazioni si sono ritrovate a dover capire come ripensare i modelli di ges6one del passato,
rivela6 ad oggi inadegua6 ed obsole6. Oltre alla tecnologia, numerosi fa1ori esterni ed interno
dovrebbero concorrere alle decisioni su come organizzare e ripensare al lavoro anche in riferimento a
quelle occupazioni che sembrano più tradizionali, fra tu. è importante analizzare le preferenze dei
bisogni delle persone, che sono radicalmente cambia6 con l’evoluzione della società.
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5.2 L’organizzazione del lavoro: 3nalità ed approcci

L’organizzazione del lavoro fa riferimento alle scelte di base che de3niscono come è stato diviso il
lavoro fra le persone a7raverso l’assegnazione di a:vità e quali requisi> e modalità di svolgimento
sono state individuate in termini di competenze che le persone devono avere e di discrezionalità,
controllo e responsabilità che possono esercitare; l’organizzazione del lavoro comprende anche la
con3gurazione degli strumen> e degli spazi di lavoro che gli individui avranno a loro disposizione. Alla
base dell’organiza(onal design vi sono:
• il compito: insieme di a:vità umane elementari necessariamente collegate per
vincoli di natura tecnica o di “signi3cato minimo” dal punto di vista psicologico;
• la mansione: insieme/sistema di compi> assegna> ad una persona;
• la posizione organizza:va: collocazione organizza>va del >tolare di una mansione;
• il ruolo: l’insieme delle a7ese associate ad una mansione o posizione organizza>va in
termini di comportamen> da a:vare, obie:vi da perseguire, relazioni da sviluppare.
Bisogna comprendere quali sono le 3nalità che possono essere perseguite a7raverso alterna>ve di
proge7azione del lavoro. Tali scelte possono inIuire su:
- e.cienza: modo in cui vengono proge7ate le mansioni inIuisce sui tempi e cos> di
esecuzione(es. numero di clien> servi> o pezzi lavora> al giorno);
- qualità: l’organizzazione del lavoro determina anche le condizioni per supportare
l’orientamento al miglioramento con>nuo (es. per migliorare la qualità di un servizio o prodo7o non
basta vigilare aMnchè si evi>no errori durante l’esecuzione dei compi>, è necessario che il modo in
cui è disegnata la mansione incoraggi il lavoratore ad analizzare i compi> per capire come migliorare);
- 4essibilità: l’organizzazione inIuisce sul grado di Iessibilità organizza>va, ossia tu7e le
capacità di introdurre variazioni quali/quan>ta>ve (es. variare >po e volume di produzione è più
facile quando le persone sono abituate a svolgere mansioni che includono compi> diversi così da
favorire la polivalenza);
- salute e sicurezza: la proge7azione delle mansioni, degli strumen> e degli spazi di lavoro
determina anche il livello di sicurezza 3sica e il rischio per la salute a cui sono espos> i >tolari delle
mansioni e, indire7amente, gli eventuali clien>/uten> presen> durante l’esecuzione (es. paziente in
sala operatoria) o di quelli che faranno uso dei prodo: realizza> (es. bambino che usa un gioca7olo
dife7oso);
- qualità della vita lavora(va: la proge7azione di qualsiasi lavoro deve tener conto non solo
degli ePe: sulla sicurezza e sul benessere 3sico del lavoratore, ma anche sulla qualità di vita
professionale in termini di interesse intrinseco, opportunità di crescita e sviluppo, livello di stress,
qualità dei rappor> interpersonali (es. orari di lavoro rigidi, pari opportunità uomo-donna).

Le diverse alterna>ve per organizzare il lavoro raramente perme7ono di massimizzare tu7e le


dimensioni elencate. Dal punto di vista dell’organizzazione, oltre a speci3ci vincoli eventualmente
presen>, la scelta del modello di organizzazione risulterà più eMcace se vi sarà coerenza con la
strategia e la cultura organizza>va. E’ fondamentale che le scelte del modello organizza>vo siano
coeren> con le poli>che HR, perché entrambe incidono dire7amente sul modo di lavorare delle
persone, sulle loro potenzialità di sviluppo, sulla loro mo>vazione e soddisfazione.
Si possono dis>nguere tre approcci principali alla proge7azione del lavoro.
5.2.1 Approccio meccanicis:co

L’uomo sin dalle costruzioni delle grandi opere come piramidi o ca7edrali, si è trovato a decidere
come organizzare il lavoro. Tu7avia è con la rivoluzione industriale che l’organizzazione è divenuta
una delle problema>che fondan> a causa della meccanicizza ione che ha incrementato la scala delle
a:vità produ:ve con la nascita di grandi fabbriche e lo sviluppo della tecnica. Tale approccio ha
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radici nell’ingegneria industriale classica degli inizi del ‘900, contesto un cui si sviluppa e stabilisce le
fondamenta il fordismo ed ha l’obie;vo di massimizzare l’e<cienza organizza=va creando mansioni
semplici e specializzate in grado di sfru>are pienamente i vantaggi o?er= dalla meccanizzazione (es.
catena di montaggio). Lo scien=Dc management si basa su una spinta divisione del lavoro fra diversi
operatorie un’allocazione dei compi= di decisione, coordinamento e controllo ad un supervisore. Ciò
perme>eva di individuare mansioni elementari che venivano a>entamente studiate dagli analis= del
lavoro per iden=Dcare il modo migliore ed e<ciente di eseguire ciascuna mansione. Successivamente
si selezionavano ed addestravano i lavoratori nell’esecuzione della mansione, mo=va= all’e<cienza
a>raverso incen=vi monetari. Ai principi fondan= di questo approccio è possibile ricondurre il
modello di lavoro burocra=co ispirato a Max Weber (es. colle; bianchi vs colle; blu di Frederick
Taylor).

5.2.2 Approccio mo/vazionale

A par=re dagli anni Cinquanta, si fanno strada una serie di studi e teorie di matrice psicologica e
sociologica che me>ono al centro dell’a>enzione le cara>eris=che delle mansioni che inRuiscono sul
signiDcato psicologico del lavoro e sul potenziale mo=vazionale. Alla base vi è una visione dell’uomo-
lavoratore come portatore di bisogni psicologici e relazionali e non solo meramente economici, che il
lavoro può contribuire a soddisfare sia a>raverso la dimensione sociale di appartenenza al gruppo,
sia a>raverso il contenuto della mansione che può diventare una fonte di ricompensa intrinseca. La
mo=vazione intrinseca consiste in sensazioni posi=ve in termini di interesse, diver=mento, senso di
competenza che si ricavano dal far bene il proprio lavoro e indipenden= da fa>ori esterni come
incen=vi monetari e approvazione del capo e colleghi. Gli studi di Maslow ed Herzberg
contribuiscono ad a?ermare la necessità di avviare un processo di revisione e correzione degli eccessi
del fordismo. Dagli anni Se>anta questo approccio acquista crescente importanza ed ad oggi è
considerato il paradigma di riferimento per proge>are il lavoro all’interno di organizzazioni. Il
modello delle cara>eris=che del lavoro elaborato da Hackman e Oldham individua cinque
cara>eris=che fondamentali che inRuiscono sulla mo=vazione intrinseca e soddisfazione legata al
lavoro:
• varietà: dipende dalla numerosità e diversità dei compi= assegna= che
richiedono al lavoratore di u=lizzare abilità e capacità diverse nello svolgimento
della mansione;
• iden*tà: misura quanto un compito sia eseguito in modo completo;
• signi-ca*vità: dipende dalla possibilità di iden=Dcare il contributo della mansione al
risultato Dnale dell’organizzazione;
• autonomia: misura il grado di discrezionalità che il lavoratore esercita nella
programmazione dei compi= e nella scelta delle modalità di esecuzione;
• feedback: misura quante informazioni il lavoratore riceve sull’e<cacia della
propria prestazione.

A seconda di come sono proge>ate le mansioni, queste cara>eris=che possono manifestarsi in vari
gradi e maggiore sarà- il loro livello tanto più alto è il contenuto mo=vazionale del lavoro poichè è
queste cinque cara>eris=che inRuiscono su tre sta= psicologici cri=ci: il signiDcato a>ribuito al
proprio lavoro, la responsabilità e la conoscenza dei risulta=. L’e?e>o in termini di mo=vazione e
soddisfazione può essere più o meno pronunciato anche in funzione di altre cara>eris=che individuali
quali il livello di competenze possedute e il bisogno di crescita professionale inRuenzato da
cara>eris=che del contesto (es. remunerazione percepita).

5.2.3 Approccio ergonomico e perce8vo.

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Si sviluppa dagli anni Cinquanta in Gran Bretagna dall’incontro di diverse discipline quali la bio
meccanica, la psicologia, la :siologia, l’ingegneria meccanica e il disegno industriale. L’obie=vo è
studiare come proge?are le mansioni, le postazioni e le a?rezzature nei luoghi di lavoro al :ne di
ridurre lo sforzo :sico e minimizzare l’impa?o negaCvo sulla salute dei lavoratori che compiono
movimenC ripeCCvi o assumono posture dannose nello svolgimento dei compiC. Tale è l’importanza
riconosciuta a questo approccio che,a d oggi, diversi principi ergonomici sono divenuC standard
uEciali. L’approccio perce=vo deriva dallo studio delle abilità cogniCve e perce=ve dei lavoratori con
l’obie=vo di migliorarne l’aEdabilità, la sicurezza e le reazioni al :ne di ridurre i tassi di errore e gli
incidenC.

5.3 Le variabili chiave nella proge3azione del lavoro

Il punto di partenza per la proge?azione del lavoro consiste nell’idenC:cazione del sistema primario
del lavoro, ossia l’insieme delle a=vità che devono essere svolte. Esse includono:
• a=vità operaCve interdipendenC che concorrono alla realizzazione di un output
idenC:cabile;
• le a=vità di supporto, manutenzione e controllo.

Anche se la proge?azione è :nalizzata a riorganizzare il lavoro in un contesto pre-esistente, occorre


evitare di guardare isolatamente ad ogni singola mansione dando per scontato che tu?e e/o solo le
a=vità svolte correntemente siano quelle necessarie, poichè alcune di esse potrebbero essere
superNue o addiri?ura dannose nella misura in cui impiegano tempo e risorse senza aggiungere
valore. Una volta individuato il sistema primario delle a=vità, si può procedere a proge?are le
mansioni rispondendo a due quesiC chiave:
- quante e quali a=vità bisognerebbe assegnare a ciascuna persona? Tale decisione
incide sul gradi di divisione del lavoro all’interno dell’organizzazione e sull’ampiezza o varietà
di ogni mansione;
- come tali a=vità dovrebbero essere svolte? Tale decisione incide sul grado di
standardizzazione e formalizzazione del comportamento, quindi sul grado di autonomia. e
discrezionalità di ogni mansione.

5.4 Le nuove forme di organizzazione del lavoro

Le organizzazioni stanno diventando sempre più a=ve nel cercare nuove modalità di organizzazione
del lavoro, che superino quelle tradizionali.
Parole come empowerment, coinvolgimento, condivisione, team work stanno diventando parte del
vocabolario dei manager e consulenC aziendali, ma anche nelle imprese industriali e nei servizi.
L’approccio tradizionale al job design, che ha le sue radici nelle teorie sviluppatesi in Gran Bretagna
durante la Rivoluzione Industriale, si basa su una visione meccanicisCca dell’organizzazione ed ha
come obie=vo la massimizzazione dell’eEcienza a?raverso una forte divisione della lavoro, una
sempli:cazione dei compiC ed un rigoroso controllo. L’approccio moCvazionale sviluppatosi negli
anni Cinquanta e Sessanta, ha dato l’avvio ad una serie di soluzioni proge?uali :nalizzate a
rispondere alle nuove esigenze del contesto economico, dell’evoluzione tecnologica, dei bisogno di
benessere delle persone. Tra le soluzioni di job redesign ci sono:
• La job rota=on (rotazione di compi=) considerata il primo anCdoto contro l’eccessiva
sempli:cazione del lavoro scaturita dall’applicazione dei principi di proge?azione
taylorisCci; essa prevede la rotazione del lavoratore tra diverse mansioni, su base
obbligatoria, oppure volontaria. I bene:ci per il lavoratore sono daC dalla minore ripeCCvità
e monotonia delle a=vità e da una aggiorna Nessibilità della forza lavoro che riduce i cosC
dell’assentesimo.
• Il job enlargement (allargamento dei compi=) un comporta un ampliamento
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orizzontale del numero di compi0 assegna0 ad una determinata mansione. I vantaggi sono:
ridurre la ripe00vità, migliorare la qualità del prodo:o e far fronte alla variabilità del ciclo
produ=vo.
• Il job enrichment (arricchimento dei compi1) prevede la ricomposizione all’interno
della mansione di compi0 esecu0vi e compi0 di piani?cazione, controllo e ges0one delle
risorse, che comportano una maggiore autonomia decisionale e una maggiore
consapevolezza dei risulta0 consegui0. Intervento importante in quanto incide sia sulla
quali?cazione del lavoro richiesto all’individuo, sia sulla proge:azione delle unità
organizza0ve; esso inoltre porta ad una maggior percezione di autoeBcacia.

Anche il team work rappresenta una modalità di organizzazione del lavoro ?nalizzata a massimizzare
eBcienza, riduzione dei cos0 e mo0vazione delle persone. Il passaggio da una dimensione di lavoro
individualista ad una di gruppo comporta mol0 vantaggi: ad esempio i membri di un team hanno la
possibilità di apprendere l’uno dall’altro, in modo tale da abba:ere i cos0 di formazione e
addestramento, aumentando la Dessibilità del lavoro. Il lavoro di gruppo può avere impa:o posi0vo
sulla mo0vazione facendo leva sulla socializzazione, sulla varietà, sulla contribuzione e sul feedback.
Queste soluzioni hanno contribuito a riconoscere la centralità della persona nelle scelte di job design
me:endo in luce l’impa:o che la natura e il contenuto del lavoro hanno sulle a=tudini e sulle
prestazioni dei lavoratori con l’obie=vo di accrescerne la soddisfazione, la mo0vazione intrinseca e la
permanenza all’interno dell’organizzazione.
Al tempo stesso però, numerosi studi hanno messo in evidenza come il semplice allargamento della
mansione, se non accompagnato da un intervento sulla mo0vazione e la responsabilità, a:raverso
l’arricchimento del ruolo, possa avere eHe= nega0vi sulla percezione di autoeBcacia. Un problema
importante è rappresentato anche dal rischio di un sovraccarico della mansione, cosidde:o job
engorgement, quando si supera quel limite oltre il quale l’aggiunta di compi0 porta a un
decadimento della performance. Si consideri inoltre il fa:ore temporale: gli eHe= di un lungo
periodo degli interven0 di work-redesign possono essere anche molto diversi da quelli di breve
periodo. I bene?ci in termini di produ=vità e soddisfazione che si manifestano nel breve potrebbero
svanire nel lungo termine e al tempo stesso generare cos0 o bene?ci imprevis0 che non si erano
manifesta0 nell’immediato; dunque è importante saper sostenere i bene?ci di un intervento di
riproge:azione anche in un orizzonte temporale più lungo. Anche le diHerenza individuali inDuiscono
sull’eHe=va capacità degli interven0 di job design di incidere posi0vamente sulla produ=vità
dell’impresa e sul benessere personale poichè il lavoro di ogni mansione non è ogge=vo ma dipende
da come viene percepito singolarmente: ne consegue che i vari interven0 possono avere eHe= molto
diversi a seconda dello stato mentale, delle a=tudini e delle preferenze che cara:erizzano le persone
interessate.

CAPITOLO 6: Piani?cazione e ricerca

In questo capitolo orienteremo la riDessione verso quelli che vengono de?ni0 i processi di Dusso,
ovvero le a=vità di ges0one delle risorse umane interessate alla mobilità delle persone. Inizieremo
soHermandoci sui processi indispensabili per assicurare all’organizzazione il corre:o funzionamento
del proprio “metabolismo”.

6.1 La piani?cazione

L’a=vità di piani?cazione delle risorse umane è ?nalizzata a rilevare il fabbisogno personale


necessario all’organizzazione per raggiungere i propri obie=vi strategici. La crescente a:enzione
verso questa a=vità è sostenuta dal principio che le persone rappresentano un’irrinunciabile fonte di
vantaggio compe00vo per le aziende. Obie=vo quindi è quello di individuare le esigenze di risorse
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umane in termini quan+ta+vi e qualita+vi per rispondere alle domande: di quante persone necessita
in futuro l’organizzazione? E con quali cara:eris+che? L’esigenza di an+cipare il futuro e di prepararsi
ad esso adeguatamente è fondamentale per le organizzazioni che con+nuano ad impiegare tempo ed
energie in questa direzione.
6.1.1 L’HR Planning

Il processo di piani@cazione è alimentato da mol+ fa:ori sia interni che esterni all’organizzazione.
Due sono gli approcci che descrivono i legami tra ques+ fa:ori: il primo ne privilegia una visione
lineare, riconducibile a fasi dis+nte e temporalmente successive; momento iniziale è la previsione dei
fabbisogni in coerenza con gli obieEvi strategici, a cui segue l’iden+@cazione delle modalità con cui si
vuole assicurare questo fabbisogno, la de@nizione di piani di azione orienta+ al reclutamento e allo
sviluppo delle risorse interne.
A diHerenza, il secondo approccio considera che il processo possa prendere avvio da una qualunque
delle fasi in cui si ar+cola, secondo una modalità circolare. Si so:olinea la natura evolu+va e
incrementale del processo di piani@cazione, in cui le singole componen+ subiscono le conseguenze
delle dimensioni sulle quali esercitano la propria inJuenza.
Le dimensioni principali alle quali le organizzazioni devono prestare massima a:enzione,
indipendentemente dall’ordine sono:
• una chiara comprensione del pro@lo delle risorse umane presen+ nell’organizzazione e
della loro “saturazione”;
• una visione accurata della dire:rice di sviluppo strategico per il futuro, per valutare la
coerenza tra il pro@lo esistente e quello che si renderà necessario;
• l’individuazione delle azioni più opportune per assicurare l’allineamento tra strategie
e risorse.

6.1.2 Il focus della piani9cazione

Il processo di piani@cazione può essere scomposto in due diverse prospeEve: vi è un @lone di aEvità
che privilegia la dimensione hard presidiando l’aspe:o quan+ta+vo e un @lone sof che invece
considera gli aspeE più stre:amente qualita+vi. La prima modalità si avvale di analisi matema+che e
sta+s+che per determinare il numero corre:o di persone necessarie, mentre il secondo approccio
copre l’esigenza di individuare le competenze che l’organizzazione dovrà possedere nel futuro per
raggiungere gli obieEvi di business pre@ssa+. Per iden+@care questo par+colare fabbisogno
organizza+vo ci si avvale di strumen+ di rilevazione qualita+vi come focus group o interviste a
tes+moni privilegia+ come i key manager dell’organizzazione.
L’aEvità di piani@cazione si con@gura come un processo complesso e ar+colato di costante
monitoraggio dei Jussi della componente umana dell’organizzazione, in termini di allineamento con
gli obieEvi di business, consentendo di individuare, comprendere e risolvere tempes+vamente
eventuali scostamen+.

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6.1.3 Le principali leve di ges3one dei 5ussi

Le poli(che di ges(one del /usso del personale possono essere scomposte in tre componen(:
1. La ges$one dei *ussi in ingresso, assicurata a7raverso l’assunzione di lavoratori a
tempo determinato e indeterminato. L’acquisizione di risorse dal mercato del lavoro
rappresenta la modalità più e?cace per soddisfare esigenze di incremento del personale
e, tradizionalmente le aziende hanno fa7o fronte alla necessità di reperire risorse
dall’esterno con assunzioni a tempo indeterminato che assicurano un legame stabile e
duraturo che oBre sicurezza a entrambe le par(; tu7avia, la crescente turbolenza
economica ha ora indo7o le aziende a fare ricorso a risorse temporanee e contraD di
lavoro a(pici, rispondendo all’esigenza di /essibilizzazione della ges(one dei rappor(
lavora(vi. L’u(lizzo di collaboratori a tempo indeterminato avviene con il coinvolgimento
delle agenzie interinali.
2. La ges$one della mobilità interna, sostenuta da interven( di sviluppo e
trasferimento; ovvero l’insieme di aDvità di people management rela(ve
all’assegnazione di ruoli, trasferimen(, promozioni e rimozioni. Molte sono le leve a
disposizione dell’azienda, ad esempio la crescita ver(cale, che ha sempre coinciso con il
conce7o di carriera, è a?ancata da modalità di sviluppo orizzontale che oBrono
opportunità di arricchimento in termini di competenze professionali. Tali interven( sono
Hnalizzza( generalmente ad incrementare la mo(vazione e il coinvolgimento delle
persone nell’impresa, pertanto le decisioni organizza(ve dovrebbero essere percepite in
modo equo, rispondendo il più possibile alle aspirazioni individuali.
3. La ges$one dei *ussi in uscita o7enuta a7raverso aDvità di downsizing (riduzione
pianiHcata di una componente signiHca(va dell’organico aziendale a7raverso il ricorso
alle diverse modalità previste di risoluzione del rapporto di lavoro a causa di eventuali
necessità di ridurre le spese o il far fronte a cambiamen( tecnologici), outsourcing
(l’esternalizzazione di un’aDvità ritenuta non core e di tu7e le rela(ve risorse); ques(
/ussi sono determina( da fa7ori di natura individuale o organizza(va. Ad esempio il
turnover volontario è una causa rilevante di interruzione del rapporto di lavoro dove alla
base vi è la valutazione da parte della persona di un maggior beneHcio nel terminare la
relazione lavora(va, mo(vata spesso da alterna(ve professionali più alle7an(. Ma anche
l’età rappresenta una variabile individuale con forte impa7o sulle dinamiche di uscita
dalle organizzazioni, si pensi al raggiungimento dell’età pensionabile.

6.2 Il reclutamento delle risorse

Il reclutamento consiste nell’insieme di aDvità che consentono all’impresa di esprimere la propria


domanda di lavoro e aDvare l'oBerta potenziale di lavoro.

6.2.1 La de*nizione del pro*lo: job descrip3on e personal speci>ca3on

Requisito indispensabile per avviare la fase di reclutamento è la stesura del proHlo rela(vo alla
posizione da ricoprire e bisogna coniugare necessariamente due dimensioni dis(nte, ma integrate: la
prima riguarda le cara7eris(che della posizione (job descrip3on), mentre la seconda riguarda le
competenze e i requisi( personali necessari per coprire al meglio tale posizione (person
speci>ca3on). ObieDvo della prima è pervenire ad una descrizione accurata della posizione in
termini di Hnalità, aree di responsabilità e obieDvi a7esi; indispensabile è fornire indicazioni rispe7o
alla collocazione organizza(va della posizione, individuando le principali relazioni gerarchiche e
funzionali.
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La person o human speci/ca0on coglie la componente so4 della posizione; l’analisi è rivolta
all’individuazione delle competenze richieste per ricoprire adeguatamente il ruolo vacante. Vengono
esplicitate le conoscenze (sapere teorico di natura tecnico-specialis0ca alla base della professione),
abilità (concreta capacità di applicazione delle conoscenze) e comportamen0 (modi di agire richies0
rispeDo allo svolgimento dei compi0 stabili0, e che sono supporta0 da traE speci/ci della
personalità, orientamen0 e valori individuali) che l’organizzazione ri0ene possano favorire
performance eccellen0 in quella par0colare mansione.
La de/nizione del pro/lo è completata dall’iden0/cazione di alcuni requisi0 speci/ci, quali esperienze
professionali preceden0, disponibilità alla mobilità, cer0/cazioni, che possono indirizzare
opportunamente l’aEvità di reclutamento. E’ in/ne importante considerare che la descrizione del
pro/lo non esaurisce la sua /nalità solo all’interno dell’organizzazione ma si estende anche
all’esterno nei confron0 di potenziali candida0: una descrizione accurata rappresenta un faDore
importante nel determinare le aspeDa0ve individuali e nel consen0re la soddisfazione delle stesse da
parte dell’organizzazione.

6.2.2 La ricerca: scelta dei merca1 e dei canali

Il passo successivo consiste nell’aEvare concretamente la ricerca; per l’impresa l’obieEvo della
ricerca è venire in contaDo, velocemente e al minor costo possibile, con i candida0 in linea con il
pro/lo della posizione da ricoprire. L’iden0/cazione del mercato di riferimento, se interno o esterno,
e dei canali da aEvare diventa la scelta prioritaria. Le diverse possibilità di reclutamento presentano
vantaggi e limi0 da valutare in relazione ai /ni da raggiungere. Il grado di complessità e strategicità
organizza0va dei diversi ruoli rappresenta un criterio di diJerenziazione u0lizzato nella scelta delle

modalità di reperimento. Si determina quindi una matrice che consente di dis0nguere tra risorse
core e periferiche. Sono core quelle risorse che rappresentano il reale capitale umano e sociale
dell’organizzazione, ad esempio top manager, giovani al0 potenziali, par0colari pro/li professionali.
Sono periferiche le risorse i cui ruoli hanno minor peso nel generare valore per l’azienda. Il modello
diJerenzia le risorse umane secondo due dimensioni: unicità, intesa come grado di speci/cità o
idiosincrasia delle conoscenze/competenze richieste dal ruolo, e valore strategico, inteso come
capacità di alimentare e sostenere il vantaggio compe00vo dell’impresa.
L’incrocio delle due dimensioni determina una matrice composta da 4 quadran0 a cui corrispondono
diverse 0pologie di capitale umano, ciascuna delle quali presenta implicazioni diverse in termini di
reclutamento. In alto a dx ci sono i ruoli che richiedono conoscenze molto speci/che, diOcilmente
replicabili, ruoli cruciali per l’impresa quindi il suo reclutamento deve considerare in primo luogo il
mercato interno che oJre conoscenze consolidate rispeDo a quello esterno. In alto a sx ci sono i ruoli
di elevata specializzazione, anch’essi caraDerizza0 da conoscenze *rm speci*c ma con meno impaDo
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sul business, sono posizioni importan1 ma più periferiche per questo talvolta le organizzazioni,
invece che internalizzare queste risorse, tendono a creare forme di collaborazione o alleanze esterne.
In basso a dx ritroviamo di pro=li facilmente acquisibili sul mercato esterno, perchè poggiano su
competenze trasversali che si possono sviluppare in contes1 organizza1vi diversi come ruoli
specialis1ci nelle aree di sta?, il cui know-how è legato prevalentemente all’area professionale
rispeAo che all’organizzazione in cui vengono inseri1. In=ne, nell’ul1mo quadrante, ritroviamo risorse
facilmente iden1=cabili nel mercato di lavoro ma rispeAo alle quali le organizzazioni non sono
disposte ad inves1re molto in termini economici e di coinvolgimento, sono ruoli ancillari che le
organizzazioni scelgono spesso di esternalizzare.
Il ricorso al mercato interno, ovvero a risorse che sono già inserite nell’organizzazione in ruoli diversi
da quello vacante, avviene aAraverso interven1 di mobilità o mediante l’aCvazione di job pos,ng,
strumento di sviluppo professionale che consente alle persone l’autocandidatura per ruoli o posizioni
di interesse. Mentre la mobilità tradizionale è generalmente ges1ta dalla funzione HR e dai
responsabili di linea che individuano la persona più adaAa per ricoprire la posizione, nel caso di job
pos1ng è la singola risorsa a farsi avan1 a proporsi per un cambiamento di ruolo. Entrambe queste
modalità devono essere ges1te con estrema imparzialità e trasparenza in modo da non favorire
impressioni di scelte non basate su criteri meritocra1ci, inoltre pur essendo più rapida ed economia,
la scelta di basare il reclutamento sul bacino interno può accrescere il rischio di “autoreferenzialità”
dell’organizzazione. L’inserimento di risorse dal mercato esterno, invece, favorisce una ibridazione
della cultura aziendale, alimentando l’innovazione e la crea1vità.
Il reclutamento aAraverso il mercato esterno si avvale di mol1 strumen1, fra cui l’autocandidatura, il
passaparola, il ricorso ad inserzioni su organi di stampa oppure online. L’autocandidatura rappresenta
uno strumento molto di?uso, sopraAuAo in situazioni economiche e sociali in cui l’o?erta di lavoro
eccede la domanda, in quanto sono i potenziali candida1 a fornire spontaneamente alle
organizzazioni il proprio c.v. che conMuisce in un database che viene aCvato in occasione di ricerche
speci=che. Con il termine “passaparola”, invece, si intendono i canali informali aAraverso i quali
molto spesso potenziali candida1 vengono a conoscenza di posizioni vacan1 all’interno delle
organizzazioni; nella maggior parte dei casi sono i dipenden1 stessi che veicolano queste
informazioni ad amici o conoscen1. L’ePcacia di questa modalità è che i dipenden1 agiscono da
ambasciatori dell’organizzazione fornendo ai potenziali candida1 informazioni realis1che
sull’ambiente lavora1vo. Alcune organizzazioni, credono a tal punto in questa modalità che
prevedono forme di ricompensa economica per ogni selezione di reclutamento conclusa a buon =ne
da parte del dipendente.
Il ricorso alle inserzioni rappresenta una modalità di reclutamento ePcace in termini di di?usione,
consentendo di raggiungere un vasto bacino di potenziali candida1 (aAraverso quo1diani di ampia
copertura nazionale), anche se è una modalità molto onerosa e rischia di essere dispersiva.
Ai giorni d’oggi, pur essendo la carta stampata una modalità ancora adoAata da molte organizzazioni,
le aziende si aPdano al recruitment on-line che si avvale di piaAaforme tecnologiche
speci=catamente dedicate a favorire l’incontro tra la domanda e l’o?erta di lavoro.

6.2.3 L’importanza della comunicazione

Un momento cruciale nel processo di reclutamento comprende la formulazione di una


comunicazione chiara e precisa della domanda, ovvero dei requisi1 della posizione: un messaggio
ePcace è in grado di aCvare un meccanismo di autoselezione tra i potenziali candida1, favorendo
l’avvicinamento di persone realmente interessate e in linea con i requisi1, consentendo anche di
economizzare tempi e cos1 del successivo processo di selezione. Il processo di comunicazione
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coinvolge non solo le cara-eris.che del pro2lo, ma anche l’immagine più complessiva
dell’organizzazione poichè fornisce sia info concrete e ogge;ve sulla posizione e sull’organizzazione
(dimensioni dell’organizzazione, salario, opportunità di carriera e sviluppo personale), ma anche
elemen. simbolici astra; e intangibili ascrivibili all’impresa (pres.gio, innova.vità, sensibilità
sociale) in grado di suscitare interesse ed a-enzione.

CAPITOLO 7: Scegliere le persone a7raverso la selezione

Il caso Ferrero : Join our family. Join our team. Questa frase è stata usata per invitare i candida. ad
entrare in conta-o con l’organizzazione. Hanno usato la parola famiglia per mostrare quanto questa
sia importante per il gruppo. Ferrero ha puntato sull’integrazione di tradizione e innovazione, oltre
che sulla qualità della materia prima. La ricerca del personale, durante la selezione, è molto a-enta a
ricercare coloro che condividano e abbiano gli stessi valori dell’azienda.
Al culmine del processo di acquisizione delle risorse umane (processo che si compone di un insieme
di a;vità complesse) si colloca l’a;vità di selezione, il cui obie;vo primario consiste nel consen.re
ad entrambe le par. coinvolte, l’organizzazione e l’individuo, di prendere la propria decisione in
merito all’inserimento all’interno del contesto lavora.vo. Il processo non si esaurisce nel momento
della decisione, ma si estende anche alla fase immediatamente successiva, l’inserimento, durante la
quale l’individuo entra a far parte dell’organizzazione e impara a comprenderne i valori e le
aspe-a.ve. La scelta della “persona giusta” è responsabilità condivisa tra le stru-ure di business
(commi-ente della ricerca) e la funzione risorse umane (presiede l’acquisizione).

7.1 L’evoluzione del processo di selezione

Con la 2ne del ventesimo secolo il processo di acquisizione delle risorse umane è tra le a;vità di
people manegement che ha subito maggiori cambiamen.. Il riconoscimento del ruolo cruciale delle
persona ha accresciuto l’importanza della selezione come processo per perme-ere alle
organizzazioni di mantenere nel tempo il successo delle proprie prestazioni. L’organizzazione guarda
la persone nella sua interezza e guarda non solo il candidato che soddis2 esigenze immediate, ma
guarda alle sue possibilità di sviluppo e alle sue potenzialità. Anche l’individuo guarda
l’organizzazione in vista del suo futuro. Gli ePe; della selezione inQuenzeranno la relazione tra i due,
ed è il momento in cui entrambe le par. raccolgono elemen. u.li alla decisione 2nale.

7.2 La scelta del candidato: quale FIT?

Una selezione corre-a, cioè quella che soddisfa entrambe le par., consente all’impresa di creare i
presuppos. per raggiungere con maggiore facilità i propri obie;vi di business, accrescendo il
benessere e la soddisfazione dei collaboratori, la produ;vità e la qualità delle performance. La
sintonia fra la persona e il contesto lavora.vo viene de2nita person-environment 2t (P-E 2t) e si
compone di due dimensioni: la prima guarda l’allineamento tra l’individuo ed il contesto lavora.vo e
prende il nome di person-organiza.on 2t, la seconda .ene conto della relazione tra la persona ed il
lavoro che è chiamata a svolgere, denominata person-job 2t. L’a;vità di selezione generalmente
tende a privilegiare questo secondo aspe-o, indirizzando il processo di selezione verso
l’individuazione di quei candida. che hanno abilità, conoscenze e percorsi forma.vi in linea con la
posizione da ricoprire. Il person-job 2t .ene conto dell’allineamento sia tra il contenuto del lavoro e
le qualità/ cara-eris.che del candidato, sia tra la natura del lavoro e le preferenze e a;tudini della
persona. Accanto a questa modalità si presta a-enzione alla sintonia tra la persona e l’organizzazione
nel suo insieme. Il principio di fondo è che la condivisione dei valori e della cultura aziendale
favorisca nelle persone una più rapida ed elevata iden.2cazione con l’organizzazione, fa-ore in grado
di sostenere nel tempo la mo.vazione individuale. Il person-organiza.on 2t favorisce il commitment
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e la propensione verso quei comportamen1 discrezionali a vantaggio dell’organizzazione,


generalmente de7ni1 comportamen1 di ci8adinanza organizza1va. Queste due forme di
allineamento si in<uenzano a vicenda creando una forte sinergia. La condivisione dei valori favorisce
nell’individuo un miglior ada8amento al proprio ruolo, e un’elevata corrispondenza tra persona e
lavoro promuove il coinvolgimento nel contesto organizza1vo.

7.3 La valutazione dei candida2: principali strumen2

Gli strumen1 a disposizione per la selezione sono molteplici, alcuni in cui prevale la componente
qualita1va, altri in cui prevale quella quan1ta1va. Gli strumen1 che approfondiamo sono: colloquio,
test, Assessment Centre, alcuni tra i più ado8a1 dalle organizzazioni.

7.3.1 L’e:cacia degli strumen2

La loro eDcacia (delle metodologie di selezione) sta nell’assicurare la scelta migliore tra i possibili
candida1; tra i criteri più diIusi di cui avvalersi vi sono l’aDdabilità, la validità e la sensibilità.
L’aDdabilità rappresenta il criterio base che deve essere soddisfa8o da qualunque strumento di
valutazione e si riferisce in par1colare alla coerenza dello strumento con l’ogge8o misurato, ossia alla
capacità di escludere errori dovu1 a disturbi casuali. Uno strumento può dirsi aDdabile se determina
lo stesso esito:
• se si ripete nel tempo la misurazione di uno stesso ogge8o;
• se uno stesso ogge8o viene misurato da soggeN diversi.
La selezione, che vede come ogge8o misurato la persona, ha alcune cri1cità in quanto l’essere
umano è per sua natura mutevole ed in<uenzabile. Ma è possibile che venga misurato in quanto
ciascun individuo ha dentro di sé valori e traN di personalità che rappresentano il DNA
psicologico/comportamentale di ciascuno di noi.
La validità di uno strumento si misura sulla base delle sue capacità di individuare il candidato migliore
avendo come parametri i punteggi o8enu1 in fase di selezione e le misure rela1ve alla prestazione
lavora1va realmente oIerta. Il 1more è di incorrere in due 1pologie di errori, qualora non ci sia una
adeguata validità dello strumento: falsi posi1vi o falsi nega1vi. Il primo caso porta ad inserire in
azienda candida1 che non si rivelano all’altezza delle aspe8a1ve, mentre il secondo caso porta
all’esclusione di candida1 le cui performance avrebbero potuto essere di interesse per
l’organizzazione.
La sensibilità di uno strumento di selezione indica la capacità di discriminare tra candida1 che
presentano elevate similitudini.
Importan1 sono anche l’economicità e la pra1cità degli strumen1; il primo si riferisce ai cos1 dello
strumento in sé e a quelli connessi alla sua applicazione, (es. formazione per i selezionatori) mentre il
secondo si riferisce al livello di complessità insito nell’adozione dello strumento e la sua <essibilità ad
adeguarsi ai contes1 diversi.

7.3.1 Gli strumen2 di selezione: il colloquio

Il colloquio rappresenta lo strumento privilegiato per la selezione; il diIuso ricorso a questo


strumento non è legato molto alla sua aDdabilità, ma oIre la possibilità di un confronto dire8o tra
l’organizzazione e il candidato. La natura stessa del colloquio è quella di favorire l’avvio di una
relazione tra le due par1 e a creare le condizioni per uno scambio a due vie a8raverso il quale è
possibile ridurre l’asimmetria informa1va che accomuna entrambe le par1. Il colloquio rappresenta il
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se#ng più consono per un confronto dire1o e serrato a1raverso il quale a1enuare l’incertezza che
inevitabilmente accompagna una scelta sempre rischiosa. A limitare la validità del colloquio è la
componente sogge#va che cara1erizza questo strumento; il selezionatore, infa#, è il Altro di
valutazione, con i suoi valori e umani pregiudizi. la consapevolezza di questo induce le aziende a
avvalersi di questo strumento con sempre maggiore competenza e preparazione, a1raverso la
creazione di una precisa stru1urazione. Tra le interviste stru1urate il format più ado1ato è quello
delle interviste situazionali in cui viene chiesto al candidato di descrivere il proprio comportamento in
diversi ipoteCche situazioni. Questo approccio si basa sulla convinzione che le intenzioni
rappresenCno dei validi predi1ori del comportamento. Le risposte fornite dai candidaC possono
essere comparate o messe in relazione al repertorio di comportamenC ritenuC eccellenC, nella media
oppure inadeguaC. Un altro approccio di interviste stru1urate su evenC passaC avvenuC nel corso
dell’esperienza lavoraCva del candidato la cui risoluzione può oHrire spunC sul suo comportamento
futuro. Punto di forza dell’intervista stru1urata è la possibilità di ancorare le risposte fornite ai
candidaC a griglie di valutazione precedentemente stabilite e concordate fra i diversi intervistatori, al
Ane di limitare la sogge#vità e l’arbitrarietà delle valutazioni. Se stru1urare il colloquio può essere
importante, un eccesso in tal senso può essere controproducente. Quindi il selezionatore dovrà
trovare, all’ interno dell’ intervista alcuni spazi per consenCre al candidato di esprimersi in modo
autenCco e spontaneo. Questo per capire i valori che abitano la persona e quindi poter scegliere la
migliore. Bisogna quindi combinare i due approcci, lasciando spazio o all’inizio o alla Ane
dell’intervista ad uno scambio più libero e spontaneo. Il colloquio perme1e, in questo caso, di
acquisire informazioni riguardo la componente del person-job At, sia uCli ad approfondire il person-
organisaCon At.

7.3.3 Gli strumen/ di selezione: i test

I test rappresentano un’altra metodologia uCle a fornire elemenC per la valutazione dei candidaC. I
test più ado1aC sono i test di abilità cogniCva e i test di personalità. I primi forniscono indicazioni
sulle abilità intelle1uali, sia in termini di intelligenza generale (QI), sia in termini di speciAche abilità
numeriche, verbali, di ragionamento; la seconda Cpologia consente di acquisire elemenC sulla
generale disposizione di una persona a me1ere in a1o determinaC comportamenC in situazioni o
contesC parCcolari. I test cogniCvi sono semplici da somministrare e da validare anche se necessitano
comunque di una formazione da parte degli esaminatori. I test cogniCvi forniscono dei risultaC
predi1ori di alcune competenze uCli per alcuni speciAci proAli professionali. Ci sono alcune
limitazioni rispe1o a quesC test: può accadere che il livello di abilità cogniCva e di intelligenza di
coloro che si candidano non presenC un’elevata varianza. Un altro problema di quesC test è che gli
esiC possono essere inSuenzaC da parCcolari cara1erisCche personali, quali il genere o la cultura di
origine. Spesso le aziende uClizzano quesC test per selezioni relaCve a ruoli junior e non per quelle
che necessitano un’esperienza pregressa consolidata. Il test più diHuso è il Big Ave che individua
cinque tra# fondamentali sui quali misurare le inclinazioni e gli orientamenC individuali.
Ampiamente discusso nel capitolo 4 i 5 grandi fa1ori della personalità sono: la stabilità emoCva,
l’estroversione, l’apertura, l’amicalità e la coscienziosità. Molte ricerche confermalo l’aWdabilità di
questo strumento e l’adeguatezza a rilevare una stru1ura della personalità stabile nelle persone
adulte. La validità di questo strumento è confermata da congruenza dei risultaC espressi dai singoli
individui molto allineaC con quelli formulaC dai valutatori. Tra i vantaggi di questo strumento c’è la
facile ed immediata somministrazione e comprensione anche da parte dei meno esperC. Sono sorte
molte perplessità riguardo all’uso di quesC test in quanto ci si è domandato se sia corre1o indagare
in maniera così profonda andando a toccare l’inCmità della personalità. Studi però hanno dimostrato
quanto gli elemenC sulla personalità del candidato possano essere rilevanC ed uCli nel caso sia
chiaro il legame tre il proAlo di competenze e richieste e gli speciAci tra# di personalità che lo
supportano.
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7.3.4 Gli strumen0 di selezione: Assessment centre

Con Assessment Centre ci si riferisce non ad un singolo strumento di selezione, bensì ad una
metodologia che consente di valutare più candida; contemporaneamente rispe<o a competenze
speci=che o a generiche abilità relazionali a<raverso l’uso congiunto di un insieme di prove. L’intento
principale è quello di cogliere nei candida; le competenze e a<eggiamen; agi;, ovvero osservare
concre; comportamen; che possano essere prediDvi del modo di agire di una persona. Le
simulazioni più frequentemente usate durante l’ Assessment Centre rientrano in due ;pologie: gli
esercizi in-basket e le prove di gruppo. Gli esercizi in-basket sono uno strumento eIcace per valutare
le capacità di problem soling, piani=cazione e delega dei candida;. Questa consiste nel presentare al
candidato un contenitore in cui ci sono una quan;tà elevata di documen; di varia natura ai quali la
persona è chiamata, in un tempo breve, a fornire per iscri<o delle risposte e delle indicazioni
concrete. L’intento è cogliere le strategie ado<ate in situazioni molto stressan;. Prove di gruppo
molto u;lizzate sono le discussioni senza leader e i role play. Le prime consentono ad un team di
valutatori di veri=care come i candida; pervengono alla risoluzione di un problema all’interno di un
tempo de=nito. I selezionatori valuteranno non solo la bontà della decisione presa ma anche il
processo che ha portato a questa e il modo in cui i candida; hanno contribuito. Durante i role play ai
candida; viene chiesto di immedesimarsi in un ruolo speci=co, che può essere di un manager, di un
consulente o di un cliente e di partecipare alla simulazione me<endo in a<o i comportamen; che
ciascuno ri;ene siano più adegua; al ruolo assegnato. Nel corso delle prove di gruppo il ruolo dei
selezionatori, che in questo caso è più appropriato chiamare Assessor, consente nell’osservare la
coerenza dei comportamen; agi; dai candida; rispe<o alle competenze che si vuole misurare. Ogni
assessor osserverà e annoterà i comportamen; di due o tre candida;, poi si condividono le
osservazioni. Questa metodologia viene spesso u;lizzata per iden;=care persone con alte
potenzialità manageriali, misurare i pun; di forza o di debolezza di chi già occupa posizioni alte.

7.4 L’employment agreement

L’employment agreement è l’insieme di condizioni economiche, comportamentali e morali che


vincolano le due par; e sanciscono la relazione di lavoro. Il contra<o giuridico, nel quale vengono
esplicita; gli impegni principali del datore di lavoro e del lavoratore ha un ruolo fondamentale; in
esso viene formalizzato l’obbligo di corrispondere la retribuzione pa<uita nei confron; del lavoratore
da parte del datore di lavoro, in cambio della prestazione di lavoro manuale o intelle<uale. Il
contra<o, però, non riesce per sua natura a speci=care a priori tuD i comportamen; a<esi del
lavoratore. Ciò lascia spazio alla componente implicita del contra<o di lavoro. La relazione di lavoro è
inSuenzata notevolmente dall’insieme di a<ese reciproche che vengono percepite da entrambe le
par; come obbligazioni vincolan;. Questa componente rappresenta un fa<ore in grado di inSuenzare
e orientare il comportamento individuale e viene de=nita contra<o psicologico. Il contra<o
psicologico interviene per colmare gli spazi vuo; lascia; dal contra<o formale e rappresenta un
modello mentale che comprende le credenze consapevoli riguardan; gli obblighi reciproci tra
l’individuo e l’organizzazione. Il contra<o psicologico trae origine dalle informazioni trasferite
dall’organizzazione all’esterno e all’interno del contesto di lavoro rispe<o ai comportamen; e alle
azioni par;colarmente apprezza; e valorizza;. Queste informazioni vengono codi=cate e diTuse da
diversi a<ori organizza;vi, primi fra tuD i selezionatori. Il candidato durante il processo di selezione
recepisce il contenuto del messaggio e lo pone in relazione ai propri valori ed alle proprie
inclinazioni. Una volta entrato in azienda riceverà altri messaggi di rinforzo dal contesto organizza;vo
che contribuiranno a orientarne il comportamento. Il contra<o psicologico porterà la persona ad
impegnarsi per mantenere alta la qualità delle sue prestazioni e l’organizzazione ad assicurare le
possibilità di crescita promesse. Il contenuto del contra<o psicologico varia da contesto a contesto
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organizza(vo e, all’interno della stessa organizzazione, può cambiare nel tempo o al mutare di
situazioni strategiche o economiche. Con il mutamento delle condizioni dell’ambiente economico, le
aziende non sono sempre in grado di garan(re stabilità e sicurezza di impiego né tanto meno
opportunità di crescita. Al tempo stesso può essere cresciuto il desiderio di una maggiore
autodeterminazione del proprio percorso professionale, che si manifesta molte volte nel desiderio di
diversi?care la propria esperienza di lavoro. Si andrà a delineare un nuovo contraAo psicologico che
sos(tuirà quello vecchio. Figure 7.2-7.3-7.4 pag 157/8/9
Poi viene faAo l’esempio di un’azienda, la Novo Nordisk che, in una proposta di lavoro descrive con
precisione cosa cerca: proposità, crea(vità, passione. E al tempo stesso oSre l’opportunità di
esprimere la propria individualità e sen(rsi parte di una colleTvità.

7.5 L’inserimento in azienda

Il primo impaAo con l’ ambiente lavora(vo cos(tuisce un momento delicato e prezioso, da ges(re
con sapienza ed aAenzione. L’inserimento dei nuovi assun( nell’organizzazione rappresenta un
momento cruciale per il consolidamento del rapporto di ?ducia reciproca tra la persona e l’azienda.
E’ un momento vissuto, anche dai più esper( con (more. Questo processo ha quindi l’obieTvo di
favorire l’acquisizione di consapevolezza da parte del neoassunto rispeAo a tre dimensioni chiave:
• il modo in cui le competenze individuali verranno valorizzate e u(lizzate;
• aspeAa(ve in termini di task performance che l’organizzazione ha nei confron( del ruolo che la
persona è chiamata a coprire;
• aspeAa(ve dell’organizzazione in termini di comportamento richiesto e aAeggiamen( che vanno
oltre lo speci?co task richiesto.
Sorge l’esigenza di guidare il neoassunto nella conoscenza dell’organizzazione e dei compi( che è
chiamato a svolgere; questa è assicurata aAraverso percorsi di socializzazione e inserimento che
vedono la realizzazione di vari interven(. Possono essere messe in campo numerose inizia(ve per
favorire l’ingresso in azienda, si possono coinvolgere diversi aAori aziendali, può variare o la
dimensione temporale o i candida(. Inizia(ve che coinvolgono solo la funzione delle risorse umane
può essere la consegna di welcome kit, consegnato al neoassunto in formato cartaceo o informa(co
riguardante la storia dell’organizzazione e sulla cultura della stessa, oppure le stesse informazioni
possono essere condivise aAraverso incontri forma(vi mira( con tes(monianze di responsabili di
alcune funzioni chiave dell’azienda o di ?gure di Top Management. Un’altra modalità frequente è
l’is(tuzione di un Buddy, ovvero l’iden(?cazione di una persona all’interno dell’organizzazione alla
quale viene assegnato il compito di abancare il neoassunto nel primo periodo di ingresso in azienda.
Di solito il Buddy è individuato tra i colleghi dello stesso livello gerarchico e preferibilmente
impegnato in ruoli piuAosto simili a quelli del neoassunto. La funzione del Buddy è quella di facilitare
l’inserimento nell’organizzazione, piuAosto che nel ruolo speci?co. A questa ?nalità risponde meglio
il Mentoring, relazione promossa dall’organizzazione tra il neoassunto e un dipendente senior
par(colarmente esperto, con l’obieTvo di favorire il trasferimento di speci?che competenze e know-
how rela(ve al ruolo che la persona è chiamata a ricoprire.

CAPITOLO 8: Valutare il contributo delle persone

8.1 I signiBcaC e le Bnalità della valutazione

TuT noi, nel corso della nostra vita siamo sta( valuta( od abbiamo valutato. Con il termine
valutazione ci si riferisce all’azione che assegna e determina il valore di una cosa, o in senso ?gurato,
il pregio o la sua importanza. In un’organizzazione sono tan( i momen( in cui c’è bisogno di
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assegnare un valore. L’a/vità di valutazione è una a/vità complessa per varie ragioni:
- per la diversità dei contes; e delle situazioni in cui ci si trova a valutare;
- per le numerose dimensioni su cui si focalizza;(conoscenze, prestazioni, a/tudini)
- nella valutazione si è sempre inseri; in un processo che coinvolge più sogge/ e ruoli;
- perché si esprime nell’ambito di una serie di relazioni con gli altri e di legami organizza;vi che
possono introdurre conEi/, incomprensioni, disallineamen;;
- perché è fortemente interrelata con tu/ gli altri sistemi di ges;one delle risorse umane.
La valutazione ha molteplici Fnalità per un’organizzazione, che possiamo raggruppare in tre aree:
• strategico-organizza;va: valutazione Fnalizzata ad accrescere il valore complessivo
dell’organizzazione e garan;rne il correHo funzionamento;
• mo;vazionale: nel riconoscere e valorizzare il contributo individuale, indirizza con eIcacia l’azione
delle persone;
• di sviluppo: consente di alimentare e supportare i percorsi di crescita personale e professionale
degli individui, valorizzando le loro competenze e aspeHa;ve coerentemente con gli obie/vi
dell’organizzazione.
Spesso è la Fnalità strategico-organizza;va a rappresentare la mo;vazione prevalente nel decidere di
inves;re risorse e competenze nell’area della valutazione del personale; l’idea è che tali inves;men;
porteranno nel breve-medio periodo a un miglioramento tangibile delle performance organizza;ve.
Secondo alcune teorie, però, le ricompense che hanno un maggiore impaHo sulla mo;vazione sono
quelle erogate sulla base dei risulta; di una performance. Quando valu;amo una persona inEuiamo
infa/ sulla sua determinazione e sul suo impegno.

8.2 Dimensioni e ogge- della valutazione

Quando si valuta è necessario tenere conto di molteplici aspe/. In alcune circostanze valu;amo la
dimensione più personale, in altre il ruolo ricoperto o i livelli di risultato consegui;. Ma ogni
valutazione, anche se il valutatore sarà concentrato in una dimensione i par;colare, coglierà anche
aspe/ che riguardano le altre dimensioni della persona che sta valutando. E’ per questo che la
valutazione risulta molto complessa. Le teorie organizza;ve e la pra;ca di management propongono
una classiFcazione dei sistemi di valutazione che sempliFca la loro leHura. Questo sistema iden;Fca
quaHro ogge/, ciascuno dei quali basa; su diQeren; approcci e metodi. Si valuta dunque:
• la posizione;
• la prestazione;
• le competenze;
• il potenziale.
La valutazione della posizione è direHa a cogliere ed apprezzare il valore dei compi;, a/vità e
responsabilità aIdate alla persona ;tolare di un ruolo organizza;vo ed è la forma di valutazione più
ogge/va, in quanto basata su metodologie scien;Fche e riguarda il contenuto del lavoro anziché la
persona. Quando si valuta la prestazione l’oggeHo prevalente di interesse diviene il risultato
conseguito e il reale contributo fornito da una persona che ricopre uno speciFco ruolo e quindi si
confronta il risultato e gli obie/vi stabili;. Diverso è l’oggeHo della valutazione delle competenze, il
cui interesse si sposta sulla persona e sul suo valore per l’organizzazione, apprezzato tramite i
comportamen; messi in aHo e che evidenziano le sue caraHeris;che personali, conoscenze e abilità.
InFne con la valutazione del potenziale l’apprezzamento è centrato sulla persona: l’aHenzione si
sposta su ciò che le persone potrebbero essere piuHosto che su ciò che sono, con un orientamento al
futuro e un forte accento sullo sviluppo di competenze e capacità.

8.3 La valutazione della prestazione

Quella della prestazione è sicuramente la forma di valutazione più diQusa. La valutazione della
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prestazione ( o valutazione della performance o performance appraisal) può essere leva di


mo6vazione e sviluppo, generatrice di energia e impegno, ma se pra6cata in modo non competente
anche fa:ore di demo6vazione e occasione di con;i:o.

8.3.1 Ogge)o della valutazione della prestazione

Ogge:o della valutazione sono i risulta6 consegui6 dalla persona in un determinato arco temporale,
sia in termini di obie?vi di prestazione raggiun6, sia in termini di comportamen6 organizza6vi
ado:a6; l’ogge:o è stre:amente legato alla posizione ricoperta all’interno dell’organizzazione e alle
aree di a?vità e responsabilità dell’individuo. Essa va ben oltre la job evalua6on, che coglie solo
alcuni aspe? che cara:erizzano il lavoro. L’a:enzione è indirizzata a cogliere la portata di ciò che
viene concretamente realizzato da una persona in relazione a un obie?vo predeGnito assegnato al
ruolo ricoperto in un determinato contesto organizza6vo. A:raverso la valutazione si assegna un
valore al contributo complessivo apportato dall’individuo e reso evidente dai risulta6 consegui6 e
dalle modalità realizza6ve ado:ate nel periodo di tempo in cui è collocata la performance osservata
e valutata. La deGnizione degli obie?vi rappresenta una delle fasi più cri6che del processo di
valutazione, sia per la sua valenza mo6vazionale sia per la complessa a?vità che presuppone in
termini di iden6Gcazione dell’ogge:o della valutazione e delle misure con cui apprezzare i livelli di
conseguimento. La teoria del goal se?ng fornisce indicazioni circa le cara:eris6che che gli obie?vi
devono possedere per essere incen6van6 e so:olinea l’importanza che il sogge:o valutato partecipi
alla deGnizione dell’obie?vo. I principi su cui si basa sono:
• l’obie?vo è una determinante della prestazione e funge da mo6vatore;
• il goal se?ng si declina in un sistema che va dall’assegnazione degli obie?vi alla valutazione del
loro conseguimento ed al piano di sviluppo del collaboratore;
• gli obie?vi speciGci conducono a prestazioni più elevate rispe:o ad obie?vi vaghi;
• gli obie?vi diMcili/s6molan6 conducono a prestazioni più elevate rispe:o a quelli facili;
• il tempo è una variabile importante in quanto opera da regolatore eMcace dell’azione quindi è u6le
avere obie?vi ravvicina6 come tappe intermedie di quelli distan6;
• una volta che la persona ha o:enuto un certo standard, se ne assegnano altri più eleva6 creando
una discrepanza che deve essere colmata.
Gli obie?vi, dunque, devono essere:
• speciGci, chiari, ben deGni6;
• misurabili, in modo che si possa capire che il risultato è stato raggiunto
• achievable, ovvero s6molan6 ma realizzabili coerentemente con la responsabilità, le deleghe e le
risorse a disposizione;
• rilevan6, importan6 per gli scopi dell’azienda, in modo da essere allinea6 con le Gnalità della
stessa;
• 6me related, ovvero riferi6 a un arco di tempo predeterminato.
Non sempre, però, gli obie?vi sono quan6Gcabili, a volte possono esprimere il risultato con un dato
numerico, altre volte invece è necessario ricorrere a descrizioni generali per esprimere i risulta6
raggiun6. I comportamen6 ogge:o di valutazione devono essere realmente misurabili e osservabili.
Risulta6 e comportamen6 possono avere un peso diverso nel sistema di valutazione per numerose
ragioni. Generalmente l’area dei comportamen6 è tanto più importante quanto più scendiamo lungo
la scala gerarchica delle dell’organizzazione. La valutazione (che riguarda risulta6 e comportamen6) a
seconda anche della 6pologia di lavoro darà più importanza ad una di queste due aree. (se
prendiamo come esempio un infermiere si guarderà alla sua capacità di ascolto e di cura rispe:o ad
altri aspe?).

8.3.2 Il processo: dalla valutazione alla ges;one della prestazione

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Nella pra(ca manageriale odierna, la valutazione della prestazione rappresenta solo una componente
del più ampio sistema di ges(one della prestazione (performance management), un sistema ampio e
ar(colato di strumen(, capace di integrare gran parte delle componen( di un’impresa, in;uenzando
concretamente la performance individuale, di gruppo e organizza(va. Figura 8.1 pag 173 mostra uno
schema che evidenzia l’interrelazione del sistema di performance menagement con altri processi
aziendali. Il processo è correlato temporalmente con il processo di pianiEcazione e budgte(ng
aziendale, con quello di deEnizione del sistema di Management by Objec(ves (MbO) e della poli(ca
retribu(va e incen(vante dell’organizzazione. A livello individuale, l’obieMvo principale del
performance management è sviluppare la capacità di rispondere alle aspeOa(ve di ciascun
collaboratore e realizzarne il potenziale, a beneEcio personale e dell’impresa. A livello organizza(vo il
performance management ha la Enalità di accrescere le capability dell’organizzazione, garan(re
eleva( livelli di performance, raggiungere gli obieMvi di business e rispondere ai bisogni degli
stakeholder. Il performance menagement consente di creare legami tra obieMvi individuali e
strategie dell’organizzazione. I pilastri del performance management sono: 1) la comunicazione
strategica: il sistema fa sì che agli individui sia chiaro cosa ci si aspeOa da loro e come interpretare il
proprio ruolo; 2) le relazioni: consente di raUorzare le relazioni di lavoro in quanto meOe insieme con
regolarità i manager e i propri collaboratori per monitorare il raggiungimento dei risulta(; 3) la
valutazione: consente di valutare le prestazioni individuali e prendere decisioni sull’assegnazione di
incarichi, promozioni e leve di reward; 4) lo sviluppo: consente di fornire feedback sulla propria
prestazione, iden(Ecare le aree di forza e quelle di miglioramento, e convergere su un piano di
sviluppo individuale e un contraOo di apprendimento. Mantenere il giusto equilibrio tra le Enalità
valuta(ve e quelle di sviluppo rappresenta senza dubbio una delle principali sEde che il menagement
deve aUrontare nell’implementare un sistema di performance menagement e comprende le fasi
descriOe nella Egura 8.2 a pag 174.
Alla fase di pianiEcazione in cui sono condivisi con l’individuo gli obieMvi di performance e il piano di
sviluppo, segue una fase di aOenta ges(one della performance. Il performance menagement
dovrebbe essere inteso come una normale responsabilità per tuM i buoni capi. Quindi la persona non
viene considerata solo faOore di produzione ma anche come fonte di un potenziale vantaggio
compe((vo come invece fa il performance appraisal. Vedi tab 8.1 pag 175
Pur essendo un processo con(nuo nel tempo il performance management prevede uno o due
momen( frontali. Per implementare un sistema di performance management è necessario:
• deEnire l’orizzonte temporale del ciclo di valutazione: (solitamente è a cadenza annuale) momento
di avvio in cui si deEniscono, insieme agli obieMvi, ai risulta( e ai comportamen(, le aspeOa(ve
dell’organizzazione. A questo momento farà seguito il periodo temporale durante il quale la
prestazione sarà osservata nel suo divenire; momen( di feedback intermedi; a conclusione del ciclo
temporale si colloca il colloquio di feedback Enale, un altro dei momen( più delica( del processo.
• iden(Ecare l’oggeOo della valutazione: bisogna decidere se limitare la valutazione ai risulta(
raggiun( oppure estendere la valutazione anche all’area dei comportamen(. Tabella 8.2 pag 177
mostra vantaggi e svantaggi di un sistema di performance management più incentrato sui risulta( o
sui comportamen(.
• decidere quali aOori coinvolgere nel processo: decidere i soggeM valutatori. Tab 8.3 pag 179 Nella
gran parte delle situazioni il miglior valutatore è il capo, in quanto più vicino al lavoro del valutato e
ne conosce meglio il contesto. I cambiamen( dell’ambiente organizza(vo però hanno contribuito a
rompere il monopolio del capo, ampliando il sistema di valutazione ad altri soggeM, interni ed
esterni, delineando quella REVIEW MONITOR che viene chiamata mul(-source feedback. Questo
processo prevede che il valutato riceva valutazioni da aOori che possono essere: il valutato stesso, i
collaboratori del valutato, i pari livello e colleghi (peer evalua(on) oppure clien( interni o esterni.
Una delle ragioni che spinge ad ampliare il sistema di valutazione è la consapevolezza dei numerosi
errori in cui il valutatore può incorrere. Tab 8.4 pag 180
Al di là di tuOe le possibilità tradizionalmente gli aOori del processo di performance management
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sono tre:
-il valutato che appar2ene a ruoli manageriali dire6vi e professionali di elevato valore
-il valutatore inteso come manager delle persone. Ma come abbiamo visto il manager può cadere in
una serie di errori di valutazione e quindi si ra>orza la necessità per le organizzazioni di formare i
capi, per educarli alla valutazione.
-il gestore del processo ossia la struAura che ha la responsabilità di governare il sistema nel suo
insieme garantendo la sua progeAazione e ges2one.
• scegliere gli strumen2 e le tecniche di valutazione più idonei: la scelta di una o di un’altra
metodologia di valutazione dipenderà essenzialmente dal contesto di business dell’impresa, dalla sua
cultura e da quella del suo management, dalle Enalità che si vogliono perseguire e dall’oggeAo della
valutazione. E’ possibile classiEcare i diversi metodi di valutazione della performance dis2nguendo
tra:
- metodi basa2 sugli aAribu2: secondo questo approccio la valutazione è e>eAuata focalizzandosi su
alcuni tra6 o caraAeris2che considerate rilevan2 per il successo dell’organizzazione. La tecnica più
di>usa è quella delle scale graEche di valutazione, in cui il valutare esprime un giudizio su un
determinato traAo o comportamento in base ad una scala qualita2va. Es: la scala può essere discreta
(punteggio da 1 a 5) oppure con2nua (quando il valutatore apporrà un segno su una linea con2nua
nel punto in cui ri2ene sia corrispondente la prestazione). Una variante può essere riportare accanto
ad ogni qualità da valutare il livello usando scarso, medio, elevato. La cri2ca più più comune è la
scarsa ogge6vità di questo metodo.
- metodi basa2 sul comportamento: il focus si sposta sui comportamen2 che l’individuo deve
adoAare; un metodo è quello della tecnica degli inciden2 cri2ci in cui si prevede che il valutatore
anno2 periodicamente episodi comportamentali del proprio collaboratore par2colarmente rilevan2
in posi2vo o in nega2vo. Il metodo più di>uso è quello della scala di valutazione dei comportamen2
(BARS), ossia una scala di giudizio contrassegnata da diversi livelli di prestazione ai quali
corrispondono esempi speciEci di comportamento. Es Egura 8.3 pag 182
- metodi basa2 sul confronto: sollecitano il valutatore a confrontare tra loro i collaboratori,
esprimendo un giudizio compara2vo. Nella tecnica della graduatoria semplice, gli individui che
ricoprono analoghe posizioni sono pos2 su una scala che va dal migliore al peggiore. Nel confronto a
coppia ogni individuo viene messo a confronto singolarmente con ciascun altro componente del
gruppo di lavoro, per poi sommare i punteggi oAenu2 da ciascun confronto e oAenere il livello totale
di prestazione. Con questo metodo le valutazioni sono ogge6ve. Con il metodo della di>erenziazione
forzata, gli individui vengono colloca2 in categorie prestabili2 e vengono quindi, quelli con un
elevato livello di performance di>erenzia2 da chi ha invece uno scarso livello. Metodo u2le per
ricompensare impegno ed alta qualità.
- metodi basa2 sui risulta2: valutare il risultato e non il comportamento. in questa categoria mol2
studiosi vi inseriscono il MbO (menagement by objec2ves), che valuterebbe soltanto i risulta2
anziché i comportamen2. Tale ricostruzione però non 2ene conto del faAo che le metodologie
preceden2 possono essere ben u2lizzate anche per valutare risulta2 nel senso proprio del termine,
sempre più spesso le esperienze propongono sistemi di MbO che vanno ad assegnare anche obie6vi
e risulta2 più qualita2vi e misurabili aAraverso proprio l’osservazione dei comportamen2; inEne con
tale orientamento si riduce la portata del MbO, che deve essere considerato come strumento di
ges2one, correlato alle poli2che e agli strumen2 di incen2vazione del management, più che una
mera tecnica di valutazione.
• ges2re il feedback: a conclusione del ciclo temporale si colloca il colloquio di feedback. A questa
fase farà seguito un complesso momento in cui il people manager e il collaboratore discuteranno
prospe6ve e programmi di sviluppo. Durante il colloquio si res2tuisce al collaboratore l’esito del
processo di valutazione e si condividono le azioni di sviluppo future. Dal colloquio il collaboratore può
uscire senza energie o se viene ben ges2to può ra>orzare l’alleanza tra persona ed organizzazione. E’
necessario che il people manager predisponga con accuratezza il se6ng del colloquio tenendo conto
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di varie dimensioni come:


• l’ambiente, ossia il luogo dove tenere il colloquio;
• se stesso, per fare in modo che sia concentrato sul suo interlocutore piu;osto che sui propri
problemi;
• i comportamen< messi in a;o per confermare o meno la centralità dell’incontro, le sue >nalità e le
a;ese in esso riposte.
Tab 8.4 pag 185
De>nire le modalità di comunicazione del sistema:
Momento importante è il processo di comunicazione del sistema, ossia le modalità con cui il
management comunica le >nalità del processo, le persone coinvolte e le rela<ve responsabilità. E’
importante che la comunicazione non sia improvvisata o lasciata alla buona volontà del singolo capo,
ma ges<ta in maniera organica. (es caso 8.1 pag 186) Il processo di valutazione e ges<one della
prestazione trova sempre più spesso come alleata la tecnologia. E in par<colare le pia;aforme web
based. Manager e collaboratori possono quindi ges<re dire;amente il processo on line aggiungendo
i nuovi da<. I da< saranno disponibili a valuta< e valutatori e questo consente alla relazione tra capo
e collaboratore, che resta il cuore della performance management, a trovare un confronto dire;o.
Caso 8.2 pag 188

8.4 La valutazione delle competenze

La valutazione delle competenze è la valutazione maggiormente richiamata nelle policy aziendali di


ges<one delle risorse umane. A diUerenza della valutazione delle prestazioni la valutazione delle
competenze sposta l’a;enzione alla persona e ai suoi comportamen<. I modelli di competenze
nascono con l’intento di limitare le distorsioni valuta<ve dei manager. IntrodoV da McClelland negli
anni 70 consentono di iden<>care un insieme di comportamen< riconducibili a competenze
speci>che che consentono di iden<>care le risorse di valore per l’organizzazione e di ancorare la
valutazione all’osservazione di comportamen< speci>ci e declina< puntualmente a;raverso
declaratorie. Il legame tra competenze e performance è il solo che legiVma l’interesse manageriale
verso le stesse; così come, nella prospeVva dello sviluppo delle risorse umane, l’interesse trova
fondamento nella consapevolezza che le competenze non sono solo date ma sono invece prodo;o di
una costruzione sociale, piu;osto che cara;eris<che stabili che una persona può avere o non avere
nel proprio repertorio comportamentale. Figura 8.5 pag 191

8.4.1 Gli approcci alla valutazione delle competenze

Due sono gli approcci circa i metodi di valutazione delle competenze:


• approccio psicologico-individuale;
• approccio strategico-organizza<vo.
Secondo il primo approccio (box 8.5 pag 192) la competenza è una cara;eris<ca intrinseca
individuale che è causalmente collegata a una performance e`cace; fondamento sta nell’assunzione
che è possibile andare a rintracciare quelle competenze che fanno la diUerenza e che creano un
nesso causale con performance eccellen<. Partendo dalla rilevazione delle competenze speci>che
possedute dai best performer di un ruolo, l’organizzazione può costruire pro>li di competenza di
successo e organizzare la ges<one. Questo modello parte dalla persona e risale verso
l’organizzazione, facendo derivare dalla rilevazione delle cara;eris<che individuali un modello di
intervento organizza<vo fondato sulle indicazioni che scaturiscono da questa indagine.
L’approccio strategico-organizza<vo parte da un diverso presupposto; considera l’organizzazione
come un portafoglio di competenze e si fonda sul presupposto che il vantaggio compe<<vo è creato
dalle capacità combinatorie del management che consentono di dare vita a competenze dis<n<ve
indispensabili per creare valore e competere con successo. Fig 8.6 pag 193 Risulta evidente come
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questo approccio, a di/erenza del primo, parta dall’organizzazione e vada verso la persona,
consentendo un collegamento più stre8o tra visione dell’organizzazione, strategia dell’impresa e
competenze individuali. Entrambi gli approcci presentano aree di forza e aree di debolezza;
l’approccio psicologico individuale non soddisfa la prospe>va di quan? si aspe8ano
dall’implementazione del modello di competenze un contributo per modi@care la cultura
organizza?va, cogliendo anche gli aspe> evolu?vi e di cambiamento del business; l’approccio
strategico-organizza?vo, invece, non potrà corrispondere alle a8ese di quan? si aspe8ano di
u?lizzare il modello per correlare le competenze necessarie per il successo a performance superiori
di gruppi reali. Tab 8.5 pag 194

8.4.2 Le applicazioni

Le possibili applicazioni dei modelli di competenze sono molte. Essi possono essere u?lizza? secondo
tre prospe>ve(tab 8.6 pag 195):
• culturale: prevale l’u?lizzo del modello di competenze secondo un approccio orientato a coglierne
tu> i possibili bene@ci quale strumento per cambiare la cultura organizza?va e quella del
management; si tende a valorizzare esternamente le competenze e a creare e condividere dei
modelli di leadership. Diventa modello ed opportunità unica per fare squadra condividendo valori,
visione e strategia dell’organizzazione.
• organizza?va: il modello di competenze può trovare un ambito di u?lizzo molto pro@cuo in contes?
dove sono piani@ca? e implementa? programmi di reingegnerizzazione dei processi produ>vi; dove
vi è un cambiamento organizza?vo oppure una ridisegnazione di alcuni ruoli dell’organizzazione.
• di ges?one e sviluppo delle persone: nella prospe>va di people management, il modello delle
competenze diviene il motore per disegnare ruoli professionali, set di conoscenze e capacità
richieste, percorsi di formazione su cui fondare sistemi di valutazione e di incen?vazione. Il modello si
integra in tu8e le pra?che HR, dai processi di recruitment a quelli di formazione, dalla valutazione
allo sviluppo e alla ricompensa delle persone.

8.5 La valutazione del potenziale

Anche la valutazione del potenziale è @nalizzata a cogliere il valore della persona, ma si cara8erizza
per il suo essere orientata al futuro, in quanto nel suo ogge8o non ci sono prestazioni passate o
comportamen? osserva? per apprezzare la performance durante il percorso lavora?vo. Questa
valutazione si pone l'obie>vo di trarre elemen? predi>vi riguardo alle possibili prestazioni future
che un individuo potrebbe fare se collocato in un altro ruolo, proge8o o in un diverso contesto
organizza?vo. Il potenziale rappresenta il bagaglio dis?n?vo di ogni individuo che, se
opportunamente individuato e valorizzato, gli consente di dare il meglio di sé contribuendo alla sua
realizzazione professionale e al contempo al buon funzionamento dell’organizzazione. Possiamo
dis?nguere il potenziale in: • potenziale rela?vo: è quello ancorato ad una determinata posizione
dell’organizzazione; nell’analisi si considera la probabilità che una persona ha nel breve-medio
periodo di ricoprire con successo un ruolo, solitamente manageriale. Questa prospe>va intende
conciliare il bisogno delle persone di essere immessi in speci@ci percorsi di carriera con l’esigenza
dell’organizzazione di piani@care i passaggi in alcuni ruoli chiave. • potenziale assoluto: considera le
cara8eris?che ricorren? e dis?n?ve nel determinare il successo organizza?vo e non necessariamente
riferite ad una determinata posizione lavora?va. Il sistema di valutazione del potenziale si presenta
con livelli di complessità molto più eleva? rispe8o a quelli propri di altre ?pologie di valutazione
perché deve fare i con? con la natura pragma?ca del management e perché si tra8a di una
valutazione che necessita del supporto di persone esperte, che siano in grado di dare senso,
sopra8u8o predi>vo, alle potenzialità della persona.

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8.5.1 La valutazione del potenziale

Le $nalità di questa valutazione sono:


• supportare i piani di crescita e sviluppo delle persone;
• assumere decisioni importan9 di carriera;
• stabilire, nelle fasi di forte discon9nuità organizza9va, il patrimonio di potenzialità disponibili per
ges9re il cambiamento, confrontandolo con le capacità richieste dal nuovo scenario di business.
Inves9re in programmi di valutazione del potenziale è u9le perché è u9lizzabile per varie $nalità
come conoscere le potenzialità di una persona, e il suo sviluppo.

8.5.2 Metodologie e strumen9

Il più noto e diDuso metodo di valutazione del potenziale è il metodo dell’assesment centre (oltre a
questo c’è il colloquio di potenziale) che si basa sull’osservazione direHa del valutato, messo in una
condizione simile a quella che si troverebbe ad aDrontare qualora ricoprisse un determinato ruolo.
Rappresenta una situazione contenitore all’interno della quale trovano opportuna collocazione
numerose prove, alcune delle quali svolte in gruppo; ciascuno di ques9 esercizi è $nalizzato a rilevare
una determinata area di competenze e l’insieme delle valutazioni espresse consentono di oHenere
un pro$lo del valutato e indicazioni di sviluppo. Tab 8.8 pag 200 L’assessment centre è solitamente
svolto da un team di assessor formato da consulen9 esterni e da componen9 della direzione risorse
umane e del menagement aziendale.

CAPITOLO 9: Valorizzare le persone: sviluppo e carriere

Per un’organizzazione che considera il capitale umano un faHore chiave di successo nel lungo
termine, lo sviluppo rappresenta senza dubbio una leva fondamentale di compe99vità e di
management delle persone. Fa riferimento ad un ampio contenitore di strumen9 che comprendono
la selezione delle persone, la piani$cazione delle carriere, la formazione, i piani di successione:
strumen9 direHamente o indireHamente orienta9 alla valorizzazione delle risorse umane e quindi
$nalizza9 ad incrementare mo9vazione, competenze e coinvolgimento delle persone nell’impresa.
Sono i capi che aHraverso la valutazione, l’ascolto, il feedback, l’assegnazione di task e obieRvi
consentono ai propri collaboratori di accrescere competenze, capacità ed esperienze, permeHendo
quindi la creazione delle condizioni aSnché le persone possano realizzare le proprie prospeRve di
sviluppo, dentro o fuori l’organizzazione. Inoltre, lo s9le di leadership esercitato dai capi direR può
decisamente inUuire sulle modalità con cui i collaboratori percepiscono l’eScacia delle pra9che di
sviluppo le quali hanno sui dipenden9 un impaHo non direHo, ma mediato dai comportamen9 e
aRtudini del manager. Es. molte imprese meHono a disposizione dei dipenden9 un catalogo di
formazione, ovvero un’oDerta di corsi nell’ambito della quale ciascun dipendente può scegliere il
proprio corso di apprendimento; la scelta però è spesso mediata dal capo che aiuta il collaboratore a
valutare su quale area di competenze centrare i propri sforzi di sviluppo. E’ il capo direHo ad
esercitare l’inUuenza maggiore sulla scelta $nale del collaboratore, quindi sono i manager, con i loro
comportamen9, a contribuire all’eScacia delle poli9che di sviluppo.
9.1 Gli strumen9 dello sviluppo - SOLO DA LEGGERE

Negli ul9mi vent’anni c’è stata una profonda trasformazione che ha caraHerizzato l’economia e i
sistemi compe99vi ed ha contribuito a modi$care il conceHo di sviluppo e la ges9one delle sue leve.
Vi è una nuova concezione di sviluppo, inteso come responsabilità diDusa all’interno
dell’organizzazione; questa esige un forte ripensamento del modello di leadership, che deve tenere
sempre più conto della capacità di interpretare, costruire e comunicare visione e senso del progeHo
aHorno al quale cercare l’engagement dei collaboratori. La responsabilità dello sviluppo chiama in
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causa non solo gli specialis- HR, che devono avere una rinnovata mo-vazione e competenze
adeguate, ma anche l’individuo, protagonista della propria crescita, e i capi che devono improntare le
proprie scelte ges-onali alla valorizzazione delle persone, delle loro competenze e delle loro
mo-vazioni. I principali strumen- su cui si basa lo sviluppo delle risorse umane sono prima di tu<o la
formazione, che rappresenta la principale leva di sviluppo delle persone e fonte di apprendimento
organizza-vo. A<raverso la formazione le imprese possono aggiornare le competenze dei propri
collaboratori, accrescere la performance e la produ?vità e sviluppare quelle competenze
organizza-ve necessarie per raggiungere i propri obie?vi strategici. La valutazione è davvero eDcace
solo laddove è concepita a servizio degli obie?vi di diEerenziazione e valorizzazione delle persone e
si può aEermare che, se collocata all’interno di un proge<o condiviso tra capo e collaboratore,
rappresenta essa stessa uno strumento di sviluppo e valorizzazione.

9.2 Valutare per sviluppare

Una prima tendenza è rappresentata dall’u-lizzo di sistemi di valutazione a 360° che rappresenta una
modalità di valutazione par-colarmente soLs-cata proprio perché amplia il set di a<ori che sono
chiama- a fornire il loro giudizio sul sogge<o valutato, al Lne di raccogliere pun- di vista diversi, in
grado di cogliere le molteplicità di forme con cui la persona si manifesta e crea valore nei contes- di
lavoro, e di creare dunque una base solida su cui impostare i proge? individuali di sviluppo.
L’autovalutazione, ovvero la valutazione che un individuo fa delle proprie capacità o prestazioni, ha
acquistato una crescente importanza nella pra-ca manageriale; nonostante la diEusione, molte
ricerche hanno messo in dubbio la sua aDdabilità e accuratezza perchè la tendenza frequente è
quella di valutare la propria performance più favorevolmente di quanto facciano i propri capi. Anche
qui l’eDcacia dello strumento è legata all’opportunità che esso oEre di dedicare il giusto tempo a
riPe<ere sulla propria prestazione e le proprie competenze, oltre che a confrontarsi con il punto di
vista del proprio capo durante il colloquio di feedback.
Sempre più importanza ha acquisito nel tempo il development centre (evoluzione dell’assessment
centre), strumento valuta-vo che ha un forte orientamento allo sviluppo e oEre molteplici occasioni
di pra-ca e di feedback che portano a cambiamen- reali nelle a?tudini e/o nei comportamen-. Esso,
a<raverso la valutazione delle competenze ed abilità egli individui, consente di o<enere diversi
beneLci:
- fornire al valutato feedback precisi sui suoi comportamen- nel lavoro;
- incoraggiare i valuta- a sviluppare quelle competenze di cui oggi sono caren-;
- alimentare il confronto tra il valutato e il suo capo per deLnire un piano di sviluppo;
- rivedere il pool di competenze dell’organizzazione;
- consen-re ai manager HR di deLnire gli incarichi futuri da assegnare ai valuta- nonché le
a?vità di formazione con cui supportare lo sviluppo delle competenze necessarie;
- iden-Lcare gli al- potenziali da assegnare a percorsi di sviluppo par-colarmente sLdan-.

InLne, il feedforward, rappresenta una elle principali applicazioni della psicologia posi-va che sposta
l’a<enzione dai deLcit e dalle carenze che le persone manifestano, ai pun- di forza e potenzialità che
essi posseggono. Questo protocollo di intervista è pensato per accrescere le performance individuali
e migliorare il rapporto tra capo e collaboratori; l’intervistatore sollecita l’individuo a ricordare
l’esperienza lavora-va in cui si è sen-to “full of life” ed a riPe<ere sulle emozioni provate e sulle
condizioni che hanno facilitato l’esperienza per poi confrontare i propri comportamen- con altri. E’
stato dimostrato che questo approccio riduce le resistenze che normalmente gli individui
manifestano nelle valutazioni a 360° e migliora il loro a<eggiamento insieme alla loro percezione di
apprendimento ed autoeDcacia.

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9.3 Lo sviluppo work based

Larga parte dello sviluppo individuale si realizza durante il lavoro, accumulando esperienze;
l’importanza dell’apprendimento work-based è stata sempre riconosciuta e con l’a8ermarsi del nuovo
contra9o psicologico, apprendere da a:vità informali e esperienze di lavoro è divenuto ancora più
essenziale. Talvolta i manager decidono di assegnare un proprio collaboratore ad un ruolo con
maggiore responsabilità non tanto perché il suo proClo professionale è in linea con i job
requirements, ma piu9osto perché la promozione può rappresentare un’occasione importante di
apprendimento e di sviluppo di alcune competenze criEche per l’organizzazione. Allo stesso modo
spesso vengono decisi incarichi temporanei dove un collaboratore ricopre un ruolo a tempo pieno
presso un’altra organizzazione, per es. partner o cliente. Nel tempo è cresciuta la consapevolezza che
lo sviluppo manageriale non può essere conCnato nelle aule di formazione e che le persone
apprendono da evenE informali e talvolta accidentali.

9.5 Piani7cazione della successione

Altro processo importante è quello circa la piani7cazione della successione, che consiste
nell’idenECcare quella rosa di persone che saranno in grado in futuro di ricoprire ruoli di elevata
responsabilità all’interno dell’azienda. L’a9enzione per questa a:vità è cresciuta molto a causa dei
fenomeni di invecchiamento della popolazione che richiedono alle imprese un grande sforzo di
pianiCcazione al Cne di evitare il scadimento del proprio patrimonio di competenza manageriali.
Essa si avvale di uno strumento denominato tavola di sos;tuzione (o rimpiazzo) che ha l’obie:vo di
dotare l’impresa e il management di una mappa che consenta loro di prendere le decisioni più
adeguate per sosEtuire una persona non più disponibile a ricoprire un certo incarico. Un’azienda in
forte crescita e quotata in borsa non può perme9ersi, infa:, che l’allontanamento di un top manager
crei rallentamenE dell’a:vità o instabilità. Alla costruzione delle tavole di rimpiazzo si arriva
a9raverso varie fasi:
• scegliere le “persone” e i “ruoli” che entreranno nel piano delle sosEtuzioni;
• decidere quale sistema di coinvolgimento a:vare in azienda;
• deCnire gli standard con cui aiutare a individuare i candidaE successori;
• decidere l’orizzonte temporale delle idoneità alla successione e le eventuali azioni e
strumenE di gesEone e sviluppo per sopportare;
• stabilire che Epo di feedback dare e a chi nell’organizzazione.
Questo processo presenta il vantaggio di costringere l’organizzazione a riPe9ere sul suo patrimonio
manageriale e sulle competenze disponibili, sollecitando anche un diverso commitment del top
management nel valorizzare l’adozione di tu9e quelle iniziaEve gesEonali, formaEve e organizzaEve
necessarie per supportare le scelte indicate dalla pianiCcazione e per valorizzare il mercato interno
del lavoro. Questa praEca è a9ualmente uElizzata non solo per i top manager ma anche per i middle;
così come è presente anche nelle piccole e medie imprese a controllo familiare grazie a programmi
stru9uraE come la successione generazionale.

9.6 People value mapping

Al Cne di idenECcare le persone che possono essere inserite all’interno di una tavola di successione,
è necessario che l’organizzazione scelga quali sono le dimensioni chiave sulla base delle quali
segmentare la popolazione aziendale. Questa a:vità è deCnita di people value mapping e incrocia
due dimensioni: i livelli di valutazione conseguiE dall’individuo in termini di prestazione e in termini
di potenziale. Si segmenta la popolazione aziendale in gruppi cara9erizzaE da di8erenE livelli di
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prestazione e potenziale così da perme1ere interven3 ges3onali e di sviluppo oltre che di rewarding;
la mappa può anche essere u3lizzata per alimentare il turn-over, per allontanare alcune persone o
per contribuire alla de<nizione dei fabbisogni forma3vi del managment. Anche gli approcci di people
value mapping sono sta3 in@uenza3 dalle profonde trasformazioni che interessano i sistemi
economici e produAvi: negli ul3mi 15 anni la dimensione del potenziale è stata sos3tuita con quella
delle competenze anche al <ne di tener conto dei fa1ori culturali e di contesto che possono incidere
sulla performance di lungo periodo dell’impresa.

9.7 Relazioni di sostegno

Vi sono una serie di aAvità che l’organizzazione può avviare al <ne di sostenere lo sviluppo e le
carriere dei propri collaboratori, valorizzando le relazioni interpersonali; interven3 disegna3 su
misura in base a speci<che esigenze del singolo individuo o del gruppo, in grado di riconoscere i
bisogni speci<ci e fornire un servizio di supporto personalizzato, che me1a in grado gli individui di
sviluppare capacità di apprendimento e u3lizzare al meglio le proprie leve di sviluppo. La transizione
da una ges3one delle carriere prevalentemente organizza3va ad una individualis3ca ha richiesto alle
organizzazioni di rinunciare ad un approccio top-down, di piani<cazione e controllo delle carriere, per
abbracciare piu1osto un approccio suppor3 o e orientato allo sviluppo. Le pra3che più diLuse sono
quelle del coaching, counseling e mentoring.

9.7.1 Il coaching

Il coaching può essere de<nito come una modalità di intervento, individuale o di gruppo, basato su
una varietà di metodi e tecniche comportamentali, dire1o ad aiutare le persone ad avviare un
percorso di cambiamento e sviluppo al <ne di migliorare la propria performance professionale, il
proprio benessere e di conseguenza l’eNcacia dell’organizzazione: in sintesi è un processo <nalizzato
a 3rare fuori il meglio dalle persone. Esso, si distanzia dalla psicoterapia anche se entrambe le aAvità
si basano su un rapporto a due, ma nel coaching l’”obieAvo” è l’apprendimento ai <ni lavora3vi non
la risoluzione di un disagio personale, le “tema3che” aLrontate sono legate al contesto del lavoro,
non sono aspeA in3mi della persona ed il “seAng” è de<nito dal contesto di lavoro, non da uno
studio professionale. Il ruolo del coach è quello di proporre al proprio interlocutore domande
semplici, chiare, in grado di aiutarlo a spostare il punto di osservazione del problema ad acquisirne
una visione più completa La relazione di coaching è improntata sulla <ducia e sull’ascolto, leve
fondamentali per consen3re all’individio di aprirsi, esplorando le proprie possibilità e perseguendo
obieAvi speci<ci di sviluppo. Le diverse 3pologie di coaching possono essere classi<cate sulla base di
tre dimensioni: what: cosa c’è nell’agenda del coaching; who: chi è il coach; how: come si svolge il
coaching. Con riferimento al what esistono tre 3pologie di contenu3:
• skill coaching: modi<care comportamen3 o abitudini molto speci<che; è di
durata rela3vamente breve;
• performance coaching: richiede uno sforzo maggiore di tu1e le par3 coinvolte essendo
rivolto a colmare tuA i gap che possono ostacolare la performance individuale;
• life coaching: ha a che fare con ques3oni più in3me e personali e richiede un
approccio più olis3co.
Rispe1o alla seconda dimensione, il who, vi sono qua1ro possibilità:
• un coach esterno all’impresa;
• un coach interno all’impresa in nessun modo legato alle aAvità di management del
coachee;
• il capo dire1o;
• il self-coaching.

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La terza dimensione, how, fa riferimento ai di2eren3 approcci u3lizza3: umanis3co,


comportamentale, cogni3vo, gestal3co e sistemico.

9.7.2 Il counseling

Anche il counseling ha la =nalità di generare un cambiamento nella persona; si traAa di un intervento


teso a favorire l’analisi e la comprensione di problemi speci=ci, a sostenere un processo decisionale,
eliminando quelle problema3che che ostacolano il percorso individuale di sviluppo. Può assumere
=nalità diverse, a seconda che sia orientato a fornire un servizio di orientamento alla carriera o a
risolvere speci=ci problemi. Il counseling consiste in una relazione di aiuto che si instaura tra
counselor e cliente aAraverso una serie di colloqui in cui sono a2ronta3 temi personali, che
coinvolgono emo3vamente l’individuo; è un intervento di natura psicologica e si aHva solo a fronte
di speci=che diIcoltà espresse dal cliente.

9.7.3 Il mentoring

Il mentoring è una relazione interpersonale in cui un individuo con molta esperienza o2re aiuto ad
un junior con poca esperienza e diviene una guida nelle fasi di sviluppo all’interno
dell’organizzazione. L’essenza sta nel di2erenziale di competenza ed esperienza tra il mentore e il
protègè, infaH la relazione non è incentrata solo sui problemi speci=ci o competenze tecnico-
professionali, bensì sul funzionamento più generale dell’organizzazione, sulla sua cultura, sulle
pra3che e relazioni più informali. Il mentoring può essere u3lizzato per:
• Facilitare i processi di socializzazione dei neo-assun3
• AIancare i processi di apprendimento formali
• Migliorare la performance
• Valorizzare il potenziale
La pra3ca informale di questa relazione di supporto è ampiamente di2usa nei contes3 organizza3vi
sebbene si soAolinei l’importanza di sviluppare percorsi formali di mentoring dove l’organizzazione
de=nisca i soggeH che fanno parte del target di riferimento, iden3=chi le competenze del mentore e
selezioni coloro che posseggono tali competenze ed in=ne de=nisca linee guida precise per lo
svolgimento della relazione; così facendo i potenziali del mentoring aumenteranno e si eviteranno
rischi connessi ad una pra3ca inappropriata di questa pra3ca.

CAPITOLO 10: Conoscenza e apprendimento: gli strumenA della formazione

10.1 Conoscenza, processi di apprendimento e formazione

L’esperienza ci suggerisce che nel contesto aAuale ciò che è veramente in grado di fare la di2erenza
fra un’azienda e i propri compe3tor è il capitale umano, insieme di capacità, competenze, know-how,
abilità, exper3se degli individui che fanno parte dell’organizzazione. Il management della conoscenza,
noto come Knowledge Management, ha assunto un ruolo signi=ca3vo nell’agenda organizza3va, con
la =nalità di creare, di2ondere e applicare la conoscenza a tuH i livelli organizza3vi, anche
avvalendosi del contributo o2erto dalle nuove tecnologie. Quando si parla di formazione ci si riferisce
all’insieme di processi, inizia3ve e strumen3, de=nite e piani=cate all’interno dell’organizzazione, con
la =nalità di far acquisire, mantenere e sviluppare nelle persone che ne fanno parte le competenze sia
tecniche che trasversali necessarie per ricoprire con eIcacia il proprio ruolo organizza3vo.
L’organizzazione cerca sempre di più di operare come una learning organizza3on, quindi
soAolineando l’importanza di :
-creare e costruire occasioni che meAano gli individui in condizione di ampliare e rinnovare

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costantemente il patrimonio di competenze ed esperienze, così da trasferirlo nel loro lavoro


quo6diano;
-facilitare le condizioni a9nché l’apprendimento dei singoli non res6 isolato ma si di>onda nel
sistema so?o forma di rou6ne, strumen6, pra6che e procedure.
Quando parliamo di formazione ci riferiamo all’insieme di processi che , inizia6ve, e strumen6 che
hanno le Bnalità di far acquisire, mantenere e sviluppare nelle persone le competenze sia tecniche
che trasversali(conoscenze, abilità, aFtudini) necessarie per ricoprire con e9cacia il proprio ruolo
organizza6vo. La missione della formazione in azienda è quindi quella di facilitare i processi di
apprendimento dei singoli come dei gruppi per fare in modo che essi possano fornire un contributo
al raggiungimento degli obieFvi aziendali. A?raverso la formazione il management mira non solo a
fornire alle persone strumen6 tecnici e opera6vi per espletare al meglio il proprio ruolo ma a
ra>orzare, a?raverso percorsi contestualizza6 alla realtà di riferimento, le soK skill necessarie per
operare in contes6 sempre più Nessibili e destru?ura6. Fig 10.1 pag 240

10.2 L’apprendimento degli adul5

Con il termine apprendimento ci si riferisce ad un processo psicologico che induce un cambiamento


delle conoscenze, abilità, percezioni, mo6vazioni e a?eggiamen6 dell’individuo, che si conclude con
l’acquisizione permanente di un nuovo comportamento. Non esistono modelli chiari che spiegano
come avvenga questo fenomeno, ma lo studio sulle dinamiche e modalità è stato ogge?o di interesse
da parte di numerosi studiosi le cui ricerche hanno dato vita a diversi approcci e teorie. Gli approcci
teorici sull’apprendimento sono:
1. Comportamen6smo (behaviorismo): sviluppato all’inizio del Novecento e concepisce
l’apprendimento come mera modiBca dei comportamen6 e non coinvolge gli aspeF psichici e
cogni6vi; a?raverso s6moli è possibile produrre nel discente risposte desiderate.
2. Cogni6vismo: si sviluppa nella metà del Novecento, a>erma che le conoscenze si formano
a?raverso l’interpretazione delle informazioni, l’organizzazione delle stesse e l’assegnazione di
signiBca6 personali.
3. CostruFvismo: vede la luce negli anni 80 e a>erma che il processo di apprendimento si stru?ura
non intorno al docente, bensì intorno al sogge?o che apprende e alla sua esperienza. La conoscenza
è fru?o di un processo di costruzione aFva da parte del discente ed è contestualizzata alla situazione
in cui avviene l’apprendimento. Vedi tab 10.1 rispe?o a ques6 primi tre approcci-
4. Andragogia: si sviluppa verso la metà degli anni 60 e indica i principi che guidano l’apprendimento
negli adul6. Individua almeno qua?ro fa?ori che cara?erizzano questo 6po di apprendimento e che
lo fanno di>erire da quello dei fanciulli; essi sono: il conce?o di sé, il bisogno di conoscere, la
disponibilità ad apprendere, il ruolo dell’esperienza. Tab 10.2 pag 242
5. Teoria dell’apprendimento esperienziale: la centralità dell’esperienza e l’esigenza di rendere
l’insegnamento un’aFvità basata sulle cara?eris6che e sulle necessità del singolo sogge?o che
apprende, ha determinato lo sviluppo di questa teoria negli anni 80, sostenuta dal modello di Kolb.
Questo modello divide l’apprendimento in qua?ro fasi principali: esperienza concreta (EC),
osservazione riNessiva (OR), conce?ualizzazione astra?a (CA) e sperimentazione aFva (SA) Bgura
10.3 pag 243. Il processo di apprendimento potrebbe iniziare da uno qualsiasi dei qua?ro pun6, ma
ai Bni di una maggiore e9cacia, è preferibile che inizi dall’esperienza concreta del contenuto che si
vuole trasferire. Si passa poi ad una fase di riNessione che conduce necessariamente alla
conce?ualizzazione astra?a e al consolidamento dei conceF. È il momento teorico, di sintesi delle
osservazioni e riNessioni preceden6; quanto Bn qui appreso deve essere messo alla prova con
successo in contes6 opera6vi diversi da quelli in cui ha avuto luogo il processo di apprendimento. Il
learning by doing implica un costante legame tra l’agire e il riNe?ere, tra la pra6ca e la teoria. Kolb
a>erma che ogni individuo ha un determinato s6le di apprendimento e l’autore ne iden6Bca qua?ro
che corrispondono a qua?ro 6pologie di proBli personali:
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• accomodatore (SA e EC), colui che apprende meglio quando fa esperienza concreta dell’ogge>o;
• divergente (EC e OR), colui che apprende meglio quando osserva e raccoglie una vasta gamma di
informazioni;
• assimilatore (OR e CA), colui che apprende meglio tramite modelli teorici e ragionamenC induDvi;
• convergente (CA e SA), colui che apprende meglio dall’applicazione praCca di conceD e teorie.
6. La teoria delle intelligenze mulCple di Gardner: secondo questa teoria, oltre alle già note due
forme di intelligenza (inguisCco-verbale e logico-matemaCca), ce ne sono altre che se sCmolate e
valorizzate possono promuovere negli individui un apprendimento eMcace. Gardner individua ben
o>o intelligenze Ng 10.4 pag 244:
• intelligenza linguisCca, capacità di usare le parole in modo eMcace;
• intelligenza logico-matemaCca, capacità di usare i numeri in modo eMcace;
• intelligenza visivo-spaziale, senso di orientamento, rappresentazione visiva niCda e chiara dei
problemi, processi e situazioni;
• intelligenza musicale, buon senso del ritmo e della melodia; •
intelligenza corporeo-cinesteCca, capacità di comunicare con i gesC e con il linguaggio del corpo;
• intelligenza interpersonale, capacità di entrare rapidamente in sintonia con gli altri;
• intelligenza intrapersonale, capacità di incanalare le proprie emozioni in forme socialmente
posiCve;
• intelligenza naturalisCca, sensibilità verso la natura e l’ambiente.
7. L’approccio sociale è situato nell’apprendimento: inNne c’è un ulCmo Nlone teorico molto
signiNcaCvo che interpreta l’apprendimento come un processo sociale e situato. Ci sono vari autori
che promuovono questo approccio e secondo loro l’apprendimento e la costruzione di conoscenza
sono fenomeni che non avvengono nella testa degli individui ma piu>osto nelle interazioni che
hanno luogo all’interno di un contesto sociale, culturale speciNco. L’apprendimento è anche dare un
signiNcato alle proprie esperienze.

10.3 Il processo forma1vo

L’eMcacia della formazione dipende da vari fa>ori, tra cui una corre>a impostazione metodologica
nella fase di proge>azione. La proge>azione di un intervento formaCvo è un processo di aDvità
stru>urate la cui impostazione dovrebbe essere sempre sistemaCca ma allo stesso tempo Uessibile in
base alle necessità aziendali. Il modello tradizionale per la proge>azione di un intervento formaCvo
scompone il processo in qua>ro fasi principali: analisi dei fabbisogni formaCvi, proge>azione,
a>uazione e valutazione dei risultaC. (Ng 10.5 pag 245) Tra queste fasi non esistono delle linee ne>e
di demarcazione. Di seguito vengono annotaC i principali aspeD delle qua>ro fasi.

10.3.1 L’analisi dei fabbisogni

Consiste in un’aDvità di ricerca Nnalizzata all’acquisizione di daC e informazioni uCli a comprendere


le eZeDve necessità di apprendimento degli individui e dell’organizzazione in generale. Le
informazioni che emergono sono uCli anche per comprendere se proseguire o meno nelle tappe
successive del processo formaCvo oppure se uClizzare un’altra leva organizzaCva o di people
management. L’analisi è Nnalizza ad approfondire i fabbisogni complessivi della stru>ura rispe>o
all’orientamento strategico, al Nne di idenCNcare le iniziaCve formaCve che meglio possano
rispondere al fabbisogno. Gli strumenC più uClizzaC per rilevare i fabbisogni organizzaCvi sono:
interviste o somministrazione di quesConari al Top Management, survey (analisi di clima, di
customers saCsfaCon), analisi di documenC di programmazione aziendale. Una seconda rilevazione
importante riguarda l’analisi dei fabbisogni individuali, che ha la Nnalità di idenCNcare le esigenze
formaCve dei singoli individui rispe>o alla posizione ricoperta, alle moCvazioni personali, al
potenziale e al proprio piano di carriera. Un terzo livello riguarda l’analisi professionale per
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iden%&care le esigenze di formazione derivan% dalla valutazione delle a5vità previste dalle varie
mansioni organizza%ve e dall’analisi dei gap esisten% tra le competenze del ruolo e le performance
degli individui che li ricoprono.

10.3.2 Proge,azione dell’intervento

La fase di proge<azione è correlata ai risulta% emersi dalla prima fase e al budget economico; le
esigenze vengono trado<e in obie5vi forma%vi, ovvero il bagaglio di conoscenze, abilità e
comportamen% che i partecipan% dovranno sviluppare al termine dell’inizia%va. Le dimensioni della
professionalità alle quali si riferiscono sono le conoscenze professionali (sapere), le abilità (saper fare)
e le capacità comportamentali (saper essere).Nell’oEerta forma%va aziendale vengono generalmente
inserite:
-inizia%ve più orientate allo sviluppo delle conoscenze e delle tecniche
-inizia%ve di formazione indirizzate allo sviluppo/cambiamento non solo delle conoscenze e delle
abilità, ma anche del comportamento
Oltre agli obie5vi, l’analisi dei fabbisogni perme5 di iden%&care i des%natari della formazione; ad
esempio se l'azienda introduce un’innovazione nel sistema di performance management, l’inizia%va
forma%va a supporto, sarà rivolta a tu5 i capi che dovranno u%lizzare la nuova tecnica per la
valutazione dei propri collaboratori. Si scelgono poi le metodologie dida5che, ovvero le modalità
pra%che per produrre apprendimento che possono essere con approccio dedu5vo o l’approccio
indu5vo (tab 10.2 pag 248); il processo di proge<azione prevede anche la de&nizione di ulteriori
variabili come:
• scelta dei docen%: esterni oppure interni;
• criteri di valutazione: è la fase di proge<azione in cui si decidono tempi e modi e l’ogge<o su cui
valutare l’eScacia dell’inizia%va forma%va;
• aspe5 logis%co-organizza%vi.

10.3.3 Valutazione dei risulta9 e della formazione

La valutazione dei risulta% rappresenta l’ul%ma fase del processo forma%vo e non coincide con una
chiusura ma può essere il punto da cui ripar%re per ria5vare l’intero sistema. La fase di valutazione
della formazione consiste sostanzialmente in un’a5vità di ricerca per individuare i cambiamen%
intervenu% nei partecipan% al termine dell’esperienza forma%va. Vi sono diverse ragioni per cui è
importante valutare l’eScacia degli interven% forma%vi:
- supportare coloro che si occupano di formazione a comprendere come migliorare la qualità dei
programmi futuri;
- decidere se è opportuno o meno riproporre l’inizia%va nell’oEerta forma%va aziendale;
- aumentare la credibilità del lavoro svolto dalla funzione RU e da quella Formazione;
- gius%&care al management l’importanza di inves%re in formazione.
Uno dei modelli di valutazione più no% ed u%lizza% all’interno delle organizzazioni è quello proposto
da Kirkpatrick che propone qua<ro dis%n% livelli di valutazione &nalizza% a comprendere l’eScacia
dell’intervento forma%vo sull’individuo e sull’organizzazione.
Livello 1: reazione: Questa prima fase è &nalizzata a misurare il livello di gradimento dei partecipan%
nei confron% dell’esperienza forma%va vissuta
livello 2: apprendimento: il secondo livello è &nalizzato a comprendere il raggiungimento degli
obie5vi forma%vi
livello 3: comportamento: fase &nalizzata a valutare quanto di ciò che ha il partecipante ha appreso
durante l’intervento forma%vo viene u%lizzato nel suo lavoro quo%diano.
Livello 4 : impa<o sul business: si valuta l’impa<o che la performance ha sul business una volta
tornato sul posto di lavoro
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10.4 Le metodologie dida0che

Ci sono vari metodi dida.ci e la scelta tra loro dipende principalmente da:
-l’obie.vo forma7vo del corso
-la strategia dida.ca scelta
- i des7natari dell’inizia7va
-e:cacia in termini di applicabilità alla realtà lavora7va
-cos7 di proge<azione e realizzazione
Ci sono metodi che promuovono l’apprendimento a<raverso l’esposizione di conce. e s7molando
l’ascolto (learning by absorbing), metodi che fanno leva invece sul learning by doing.

10.4.1 La lezione d’aula

La lezione è una delle tecniche dida.che più comuni e u7lizzate all’interno dei corsi di formazione.
Consiste nel trasferimento delle informazioni e conoscenze in forma già stru<urata dal docente al
discente; vantaggio principale è la sua e:cienza, in quanto consente di tra<are un elevato numero di
argomen7 in un tempo più contenuto rispe<o ad altre metodologie. Perme<e anche di raggiungere
un grande numero di des7natari con minor tempo e risorse possibili. I principali svantaggi, invece,
sono la possibilità limitata di rendere il sogge<o protagonista a.vo nel processo di apprendimento
con una conseguente scarsa memorizzazione di conce. insieme ad una rapida caduta di a<enzione e
mo7vazione. E’ possibile supportare la lezione con suppor7 visivi, come slide, video, e a:ancando ad
essa una o più esercitazioni, casi o giochi d’aula.

10.4.2 Esercitazioni e casi

Queste tecniche dida.che possono essere classiMcate in esercitazioni nozionis7che, addestra7ve,


metodo dei casi e auto-casi. Fig 10.6 pag 250

10.4.3 Simulazioni

Le simulazioni sono tecniche dida.che che pongono i discen7 in una situazione simile a quella che
essi potrebbero incontrare nella loro vita lavora7va, chiedendo loro di raggiungere l’obie.vo dato
a<raverso l’interazione con gli altri. Si basano su un approccio esperienziale in cui è richiesta la
partecipazione a.va del discente in termini di coinvolgimento e azione e sono molto e:caci per
l’apprendimento di competenze legate al saper fare e al saper essere. Fra i metodi più diUusi di
simulazione vi è il role playing.

10.4.4 Cinema

E’ possibile anche l’inserimento di spezzoni Mlmici a supporto della lezione d’aula; u7lizzo legato
all’opportunità che esso oUre di a.vare, dal punto di vista non solo cogni7vo ma anche emo7vo.

10.4.5 Outdoor training

L’outdoor training è una metodologia di apprendimento che prevede che le a.vità forma7ve siano
svolte all’esterno del contesto di lavoro e al di fuori di una tradizionale aula di formazione. Ques7
programmi sono Mnalizza7 a sviluppare nelle persone dimensioni comportamentali e relazionali; le
a.vità si svolgono all’esterno, spesso a stre<o conta<o con la natura, e richiedono anche un
impegno Msico. L’idea di fondo è quella di creare un se.ng di forte coinvolgimento Msico, emo7vo e
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psicologico che por, le persone a uscire fuori dalla propria zona di comfort e dagli schemi di
comportamento abituali, sperimentando dire7amente le competenze ogge7o dell’apprendimento.

10.4.6 Lo storytelling

E’ l’u,lizzo delle tecniche narra,ve e del racconto di storie nell’ambito di percorsi di formazione e
sviluppo e si con<gura come opportunità di apprendimento collabora,vo e situato. Le principali
potenzialità dello storytelling sono legate alla possibilità di sviluppare consapevolezza di sè,
socializzare e condividere con gli altri le proprie esperienze, facilitando un processo di trasmissione di
conoscenze tacite. Inoltre esso può essere u,lizzato per la diCusione delle best prac,ces, modalità
a7raverso cui sono sta, risol, con successo alcuni problemi, ma anche al cosidde7o problem posino,
ossia una conce7ualizzazione e condivisione dei problemi non ancora eDcacemente risol,.

10.4.7 Teatro nella formazione

DiCuso è anche l’u,lizzo del teatro che può assumere diverse conformazioni:
-training lab all’interno dei quali i partecipan, sono coinvol, in esercizi individualità
- la realizzazione di spe7acoli forma,vi
-partecipazione ad uno spe7acolo forma,vo
Il teatro è u,le per acquisire e sviluppare tecniche espressive di comunicazione come il public
speaking, ges,one di se stessi, empa,a ed ascolto, funzionali a processi di integrazione culturale e
organizza,va, anche in situazioni di cambiamento.

10.4.8 Comunità di pra>che

Sono gruppi di individui che condividono una pra,ca lavora,va e che interagiscono per scambiarsi
esperienze e conoscenze. I presuppos, perché possa esistere una comunità di pra,ca sono 3:
-l’esistenza di un domain, cioè di l’insieme di ques,oni e di problemi che i partecipan, sperimentano
-il senso di comunità
-la pra,ce cioè un repertorio condiviso di risorse cogni,ve ed opera,ve
Le cdp possono nascere in maniera spontanea o essere facilitate dal Management.

10.4.9 Training on the job (toj)

Questa metodologia prevede che la formazione e l’apprendimento della persona avvengano sul posto
di lavoro a7raverso il supporto di colleghi più esper,. Il training on the job (TOJ), si fonda sul
principio del learning by doing ed è indicato per l’acquisizione di skill di ,po tecnico. Uno dei
principali vantaggi del TOJ consiste nel fa7o che consente di trasme7ere e socializzare conoscenze
tacite. Tra i pun, di a7enzione connessi a questa metodologia vi sono l’individuazione di esper,
prepara,, mo,va, e capaci di ges,re il proprio ruolo di formatori e il rischio, per la natura stessa
dell’aWvità che si svolge sul campo, che non vi sia chiara separazione tra i tempi della formazione e il
tempo lavora,vo.

10.5 Nuove tecnologie ed evoluzione della formazione: l’e-learning

Nuove possibilità, in<ne, giungono dall’e-learning che indica la possibilità di sviluppare e supportare
a7raverso l'u,lizzo di nuove tecnologie processi di formazione in tempo reale (modalità sincrona) e
in remoto (modalità asincrona). I percorsi e-learning oggi perme7ono ai partecipan, di ricoprire un
ruolo sempre più aWvo ed di interagire con il contenuto del corso(apprendimento autonomo) o con il
docente o tutor (apprendimento assis,to) e con la comunità di uten, che contribuiscono a e
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collaborano per il raggiungimento di obie1vi (apprendimento collabora4vo). Si sviluppano percorsi


di e-learning puri, quindi interamente on-line o percorsi mis4 o combina4 in cui ci possono essere ad
esempio a1vità in presenza, cioè in aula. Ci sono numerosi vantaggi nell’u4lizzo dell’e-learning ma
anche pun4 di aBenzione. Tab 10.3 pag 258
Si tende a sviluppare architeBure forma4ve che veicolano i contenu4 aBraverso linguaggi diversi e
sempre innova4ci per rendere più coinvolgen4, gradevoli e agevoli contenu4 che potrebbero
risultare noiosi; ulteriore tendenza è rappresentata dall’applicazione del web 2.0 e dell’e-learning 2.0,
che, aBraverso l’u4lizzo dei social soNware, oOre nuove opportunità alle persone per condividere e
socializzare esperienze e conoscenze acquisite sul lavoro, facilitando l’apprendimento informale.

CAPITOLO 14: Valorizzare la diversità

Sono numerosi i cambiamen4 he hanno faBo crescere l’interesse della ricerca e del management ai
temi della diversità e della sua ges4one. La globalizzazione che ha interessato anche il mercato del
lavoro, ha avvicinato culture prima molto distan4 e messo in contaBo individui profondamente
diversi tra loro. Oggi la maggior parte delle imprese sono internazionali o mul4nazionali e anche
quelle che non lo sono hanno clien4 fuori dai conRni nazionali. Anche l’evoluzione tecnologica ha
rimesso in discussione le distanze, modiRcando le modalità di comunicazione e abbaBendo conRni
che in passato erano invalicabili. Ma il faBore che ha contribuito a meBere il Diversity management
(DM) tra le priorità delle imprese è rappresentato dai trend demograRci globali, che stanno
rivoluzionando la composizione della forza lavoro secondo una tendenza irreversibile: Xussi
migratori, mobilità dei lavoratori, la crescente quota di donne nel mondo del lavoro hanno
accresciuto di molto l’eterogeneità della nostra società. La diversità può avere eOe1 sia posi4vi che
nega4vi sulle performance dell’organizzazione accrescendo la conXiBualità e riducendo il grado di
coesione o arricchendo la conoscenza, le prospe1ve di analisi e le idee disponibili per a1vare
crea4vità ed innovazione.

14.1 Come declinare la diversità

L’aBenzione alla diversità si può far risalire alla Rne degli anni 60, quando negli USA, si è diOuso come
approccio volto ad eliminare le discriminazioni sui luoghi di lavoro. Inizialmente le inizia4ve di DM
erano direBe esclusivamente ad aumentare la presenza di donne e minoranze etniche nei luoghi di
lavoro aBraverso l’adozione di azioni posi>ve che sancivano l’obbligo di assumere determinate quote
di lavoratori appartenen4 a minoranze, in risposta alle richieste del legislatore. Con il passare del
tempo, dagli incen4vi legali ed e4ci, si è arriva4 a quelli di 4po economico che hanno accresciuto
l’esigenza di promuovere l’uguaglianza e la diversity all’interno dell’impresa; il DM è diventato uno
strumento non più limitato a ges4re le diversità delle persone, ma direBo a riconoscere tuBe le
forme di diversità, anche le più nascoste.
La diversità, infa1, deve essere declinata nelle sue numerosi dimensioni, tante quante le
caraBeris4che che diOerenziano le persone tra di loro: caraBeris4che che inXuiscono sugli
aBeggiamen4, sulle aspeBa4ve, sul modo di leggere il mondo e ovviamente sui nostri
comportamen4.

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Il modello proposto da Gardenswartz e Rowe descrive i diversi elemen5 che cara7erizzano la


diversità individuale, ponendoli su di;eren5 livelli che vanno (dal centro verso la periferia) da un
maggiore ad un minor grado di stabilità: al centro della ruota della diversità è collocata la personalità
che rappresenta la parte più stabile delle cara7eris5che psicologiche di una persona, diDcilmente
modiEcabile, poi vi sono le dimensioni “interne” sulle quali la persona non ha il controllo, quelle
“esterne” più controllabili e inEne quelle organizza5ve.

14.2 Diversity management

Per Diversity Management si intende l’u5lizzo di pra5che di ges5one delle risorse umane per:
• aumentare la diversità del capitale umano rispe7o a determinate dimensioni
• garan5re che questa varietà non ostacoli il raggiungimento degli obieMvi individuali e
dell’organizzazione
• garan5re che questa varietà facili5 il raggiungimento degli stessi obieMvi.

Queste azioni prevedono un crescente grado di impegno da parte del management e alcune imprese
si focalizzano sul primo livello (ad es. aumentando le assunzioni di donne o stranieri), o sul secondo
livello (eliminando dalle policy aziendali i riferimen5 esplici5 rela5vi all’età o al genere che possano
indurre a comportamen5 discriminatori). Vi sono tre prevalen5 ragioni che spingono le imprese ad
implementare strategie di Diversity Management:
- la constatazione che la forza lavoro è cara7erizzata da una diversità elevata e che tale
diversità è des5nata a crescere; il business non può che ada7arsi a questa realtà;
- la convinzione che tu7e le persone, indipendentemente dalle loro cara7eris5che
individuali, debbano avere la stessa opportunità; prevale in questo caso un obbligo e5co e
morale;
- l’idea che il DM abbia un impa7o posi5vo sulla performance dell’impresa.

L’eDcacia di queste inizia5ve dipende dal grado in cui l’organizzazione riesce a rimuovere gli
stereo4pi e i pregiudizi presen5 nel contesto di lavoro. Gli stereo5pi son credenze che si sono
formate nel tempo per e;e7o di inVuenze sociali, culturali e poli5che, piu7osto che sulla base di
evidenze oggeMve (gli italiani sono crea5vi, i cinesi gran lavoratori, le donne sono emo5ve, i giovani
non hanno voglia di lavorare). Essi svolgono una funzione precisa: consentono, quando si incontrano
altri soggeM, di avere già un’idea delle loro cara7eris5che anziché dover costruire l’immagine dal
nulla. I pregiudizi, invece, sono valutazioni precos5tuite che si manifestano come aMtudini irrazionali
e os5li nei confron5 di individui o gruppi di essi, e che possono condurre a comportamen5
discriminatori. La discriminazione nei luoghi di lavoro si manifesta quando: 1) le persone sono
tra7ate in maniera diversa a causa delle loro cara7eris5che anziché delle loro capacità o

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performance; 2) queste azioni hanno un impa5o nega7vo sull’accesso al lavoro, alle promozioni o alle
ricompense. Uno studio condo5o in Europa ha dimostrato come il tasso di discriminazione nei
confron7 di immigra7 e appartenen7 a minoranze etniche pari al 35%. Il lavoro rappresenta una delle
più importan7 espressioni dell’iden7tà di una persona: acce5are la presenza di stereo7pi, pregiudizi
e comportamen7 discriminatori signiGca distruggere una parte importante di questa iden7tà a danno
dell’individuo, dell’organizzazione e della società in generale per questo le inizia7ve di DM devono
innescare un cambiamento culturale che trasformi i luoghi di lavoro in luoghi inclusivi dove tuK

possano avere uguali opportunità di sviluppo e partecipazione. La Direzione HR svolge un ruolo


fondamentale nell’ado5are pra7che di DM Gnalizzate a superare le barriere all’inclusione, a5raverso
qua5ro principali approcci.

Come si evince dalla ruota della diversità anche le diPerenze di orientamento sessuale rappresentano
uno dei principali fa5ori che possano alimentare pregiudizi o comportamen7 discriminatori nei
contes7 di lavoro; su questa dimensione del Diversity sembra mancare ancora nel nostro Paese la
dovuta a5enzione da parte delle imprese, sono infaK caren7 inizia7ve speciGche e conoscerete che
diano visibilità anche a questo tema e che vadano al di là delle generiche dichiarazioni di non
discriminazione.

14.3 Diversità di genere

Per decenni l’accesso al mercato del lavoro ha rappresentato per le donne il primo ostacolo da
superare; il divario tra il tasso di occupazione femminile e quello maschile so5olinea una condizione
di forte squilibrio per le donne, ancora in larga parte escluse dalla sfera produKva. L’esclusione delle
donne dal contesto produKvo ha radici economiche e sociali lontane, che riportano alla dis7nzione
tra la sfera domes7ca, governata dallo scambio emo7vo, pregno di aPeKvità e cara5erizzato da
“calore” e la sfera della produzione nella quale prevale lo scambio strumentale che dà maggior spazio
alla razionalità. Questo fenomeno nel tempo ha determinato un vero e proprio sex-typing, ovvero il
consolidamento di una diPerenziazione dei lavori sulla base del genere, dentro e fuori le
organizzazioni. La creazione all’interno di ruoli ritenu7 più adaK alle donne ha contribuito ad
alimentare un secondo fenomeno rilevante cos7tuito dalla segregazione occupazionale, che porta a
concentrare le donne in determinate aKvità e gli uomini in altre. Con questo termine si intende
l’ineguale distribuzione per genere degli individui tra le diverse occupazioni; si individuano due
diverse forme di segregazione occupazionale: la segregazione orizzontale, riferita alla
concentrazione dell’occupazione femminile in un ristre5o numero di ruoli organizza7vi, e la

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segregazione ver,cale, che rileva l’elevata concentrazione femminile ai livelli più bassi della scala
gerarchica. L’esclusione sistema;ca delle donne da mol; ruoli organizza;vi si traduce inevitabilmente
in uno spreco di talento, so<ou;lizzando di fa<o il contributo femminile rispe<o alle sue reali
potenzialità. A queste forme se ne aggiunge un’altra che concerne la di@erente distribuzione di
uomini e donne tra diverse ;pologie contra<uali e può essere deBnita con il termine di status
occupazionale. La segregazione ver;cale indica la presenza di un so$%o di cristallo (glass ceiling) che
ostacola il percorso di carriera delle donne e le esclude dal ricoprire posizioni di responsabilità. Si
possono iden;Bcare due mo;vazioni chiave, la prima è rela;va alla natura delle organizzazioni e al
loro funzionamento: alla base di questo fenomeno vi è il ruolo giocato dalle poli;che di reclutamento
e sviluppo pra;cate dalle aziende in quanto i radica; pregiudizi e il ;more che gli impegni familiari
possono rendere discon;nue le prestazioni inducono le aziende a ritenere meno opportuno o@rire
proprio alle donne posizioni di rilievo. (es. l’essere una potenziale madre può portare a tenere
lontano le donne dalla carriera anche a fronte di elevate competenze professionali). La seconda
dipende da problema;che individuali o di competenze femminili che danno luogo a fenomeni di
autoesclusione: il ;more delle donne di essere escluse o di dover sostenere richieste di prestazioni
eccessive scoraggia le stesse dal farsi avan; per posizioni di responsabilità, spingendole a ripiegare su
suoli in cui le opportunità di carriera sono meno elevate. Le aziende, infaH, puntano su coloro che
presentano le migliori performance ma anche su chi è in grado di prome<erne altre<ante in futuro;
rinunciare ad un avanzamento di carriera o ad un trasferimento rappresenta un messaggio forte e
chiaro di disinves;mento.
Negli ul;mi tempi, le quote rosa hanno costre<o le organizzazioni a fare i con; con un problema che
altrimen; sarebbe stato accantonato e hanno evidenziato la mancanza di una cultura del merito che
sia in grado di riconoscere il valore delle risorse per il contributo che apportano all’organizzazione,
indipendentemente dal genere. Emerge quindi che il tema delle di@erenze di genere deve essere
a@rontato con inverten; ar;cola; e complessi: dai processi di selezioni a quelli di valutazione e
sviluppo, è necessario che le organizzazioni si do;no di strumen; in grado di passare dall’oHca della
pura “eguaglianza” a quella della reale “valorizzazione delle diversità” tra uomini e donne.
Un esempio è nell’a<enzione manifestata con maggior frequenza da parte dell’impresa al tema del
work-life balance, che deve porre in equilibrio la vita lavora;va e emozionale della lavoratrice (es. in
Ferrero l’orario di inizio delle riunioni non viene mai Bssato oltre le 16:00 del pomeriggio).

14.4 L’età come fa3ore di diversità nelle organizzazioni

L’età è certamente una delle cara<eris;che che di@erenzia di più le persone nei contes; sociali e
lavora;vi. Nei luoghi di lavoro, così come quelli sul genere o sull’etnia, sono presen; stereo;pi lega;
all’età che portano a comportamen; discriminatori, essi sono più soHli e meno evidente, e per
questo ancora più diTcili da sradicare. La principale ragione è che la popolazione sta invecchiando
velocemente in tuH i Paesi sviluppa;, prevalentemente per via della crescita dell’aspe<a;va di vita e
dell’abbassamento dei tassi di natalità. Questo fenomeno ha comportato una crisi dei sistemi
pensionis;ci, della previdenza sociale e del welfare nella gran parte dei Paesi sviluppa;, spingendo i
Governi ad a<uare una riforma del sistema. Le implicazioni di queste trasformazioni sono profonde,
sia per le organizzazioni che per gli individui:
• L’età media della popolazione nelle aziende è in aumento, è crescente il numero di
lavoratori “maturi
• La produHvità dipende dalle prestazioni di ques; lavoratori
• Il raggiungimento dell’età pensionabile si va allontanando e cresce l’”aspe<a;va” di
permanenza all’interno dell’organizzazione
• I giovani rappresentano sempre più una “minoranza”
• Cresce la distanza di età tra i lavoratori che fanno parte di una stessa organizzazione
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Queste implicazioni comportano la necessità per le imprese di a3rontare un radicale cambiamento e


avviare poli6che e strumento che siano in grado di a3rontare rapidamente le trasformazioni della
demogra:a aziendale: risulta necessario che si rivalu6 al conce<o di età ed invecchiamento. Se :no
ad oggi un lavoratore che aveva superato i 55 anni poteva considerarsi nella parte :nale della sua vita
lavora6va, oggi ciò non ha più valore. Ciò richiede un intervento sulla cultura organizza6va, che
spesso legiDma i comportamen6 discriminatori nei confron6 degli older workers. Molto di3usi sono
gli stereo6pi e i pregiudizi nei confron6 di ques6 soggeD nelle fasi di selezione, formazione,
valutazione e piani:cazione delle carriere.
E’ necessario che cresca la consapevolezza nei contes6 di lavoro, a tuD i livelli, della presenza di
ques6 stereo6pi e del grado in cui essi inIuiscono sulle scelte ges6onali dei capi e delle concrete
opportunità di sviluppo delle persone e dell’organizzazione; l’organizzazione deve ripensare le
pra6che di HRM così da:
- eliminare poli6che discriminatorie o non coeren6 con l’obieDvo di valorizzare i
lavoratori a tu<e le età;
- introdurre pra6che age inclusive, che riconoscano le di3erenze legate all’età al :ne
di valorizzarle e che ra3orzino l’integrazione tra persone appartenen6 a diverse classi di
età.

Ecco nella tabella alcune pra6che dire<amente o indire<amente :nalizzate a rivitalizzare la


mo6vazione dei lavoratori maturi; essa infaD non decresce con il passare dell’età, ma a diverse età
corrispondono diversi fa<ori mo6vazionali (per i lavoratori più maturi sono più importan6 quelli di
mo6vazione intrinseca, per i giovani di estrinseca). E’ importante che le imprese imparino ad
“ascoltare” i bisogni e le aspe<a6ve appartenen6 a diverse fasce di età o diverse generazioni.

14.5 Diversamente abili

Il tema della disabilità in azienda è rimasto :nora ai margini delle riIessioni e degli studi organizza6vi
nonostante sia molto a<uale e importante. Per disabilità si intende la limitazione o la perdita, a
seguito di una menomazione, delle capacità di compiere aDvità considerate normali per un essere
umano; essa si traduce in incapacità a svolgere azioni nella vita e quo6diana e quindi lavora6va, che
pone la persona in una condizione di svantaggio.
L’a3ermarsi di un’economia basata sulla compe6zione e sulle performance ha acu6zzato le diVcoltà
di inserimento nei contes6 produDvi di tuD coloro che non potevano assicurare alle organizzazioni
ritorni adegua6: ciò ha portato il legislatore a provvedere, alla :ne degli anni Se<anta, l’obbligo per
alcune 6pologie di organizzazioni di assumere personale disabile. Il collocamento obbligatorio o3erto
opportunità di lavoro per i disabili ma ha anche alimentato nelle imprese un pregiudizio e una
chiusura nei confron6 di persone il cui inserimento lavora6vo veniva visto come un obbligo sociale da
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o"emperare. A"raverso la L.68/1999 a4anco al collocamento obbligatorio si è inserito il conce"o di


collocamento mirato: obie>vo è stato favorire l’incontro tra domanda e oAerta; ciò che si è cercato
di perseguire è un superamento della logica stre"amente assistenziale per dare spazio ad
opportunità di inserimento che consentano a entrambe le parH di perseguire il massimo beneIcio

dallo scambio. In quest’o>ca lo stato di invalidità rappresenta soltanto la condizione di accesso alle
liste di collocamento, mentre tu"o il processo di avvicinamento al lavoro deve basarsi sulla
valutazione delle capacità lavoraHve della persona.

Questo approccio normaHvo non risulta ad oggi su4ciente a sradicare pregiudizi e resistenze da
parte delle organizzazioni: uno studio ha analizzato le moHvazioni che portano all’assunzione di
dipendenH con disabilità evidenziando che la maggior parte lo fà per soddisfare l’obbligo di legge,
solo una minima parte ha raggiunto a questa una sensibilità aziendale ad obie>vi di responsabilità
sociale. In questa riNessione è opportuno tener conto anche della prospe>va sogge>va che
coinvolge dire"amente l’idenHtà della persona portatrice di qualche menomazione rispe"o al
contesto lavoraHvo; la possibilità di svolgere alcune mansioni dipende anche dall’a"enzione
dell’organizzazioni a creare condizioni di lavoro facilitanH (es. accesso agevolato alle stru"ure e
disponibilità di tecnologie speciIche di supporto).

14.6 Di1erenze etniche e razziali

In Italia, in seguito ai Nussi migratori degli ulHmi decenni, la composizione della nostra popolazione si
è modiIcata, portando alla luce il diba>to sull’appartenenza a gruppi etnici e razziali già presente nei
Paesi tradizionalmente mulHetnici. Il conce"o di razza è comparso agli inizi del Se"ecento per
deInire gruppi di persone con cara"erisHche simili (colore della pelle), accompagnato dall’idea che vi
fosse una ne"a supremazia della razza bianca sulle altre. MolH ricercatori ritengono che il conce"o di
razza dovrebbe essere sosHtuito con quello di etnica. Un gruppo etnico si deInisce come un inizio e
di persone che condividono un medesimo background culturale, spesso idenHIcato da lingua e
religione. Anche l’etnia è un conce"o Nuido, deInito in maniera sogge>va, grazie ad un processo di
idenHIcazione che porta gli individui a senHrsi parte di una determinata categoria. Secondo la social
iden*ty theory l’idenHtà di un individuo deriva dalla sia sua appartenenza ad un gruppo culturale che
genera comunque in ogni parte del mondo pregiudizi e comportamenH discriminatori. Numerose
ricerche mostrano disparità di tra"amento nei confronH di minoranze etniche a livello retribuiH, alla
valutazione di competenze e potenziale, all’accesso alle promozioni e alla carriera.
L’IBM ha cosHtuito un organismo per supportare ed incoraggiare il diversity management
idenHIcando 5 temi strategici:
• Consapevolezza e acce"azione delle culture
• MulHlinguismo
• Diversità del management team
• Promozione e sviluppo delle donne
• Flessibilità e armonia sul luogo di lavoro
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Sono state is*tuite delle task force per o3mizzare la soddisfazione, la produ3vità e la crea*vità dei
dipenden* appartenen* ad alcune categorie tra cui donne, asia*ci, afroamericani, ispanici e le
persone con disabilità. Ogni task force ha 3 obie3vi: determinare di cosa il gruppo ha bisogno per
sen*rsi veramente parte di IBM, decidere cosa l’azienda può fare per massimizzare la produ3vità di
ciascuna minoranza e suggerire inizia*ve per migliorare il posizionamento dell’azienda nei confron*
della comunità di appartenenza del gruppo.

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