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Il camouflaging autistico: focus sul principio di compensazione.

Guglielmo Guglielmelli, matricola 355811.

Il disturbo dello spettro autistico (ASD) si configura come un disordine del neuro-sviluppo,
caratterizzato principalmente da deficit concernenti l’interazione sociale e la comunicazione, oltre a
marcate compromissioni sul fronte del comportamento e delle emozioni (Viscidi et al., 2013).

Mediante i lavori sperimentali e medico-neurologici proposti dal pediatra Asperger nel 1944, si è
avuta l’occasione di leggere per la prima volta di alcuni bambini con un comportamento e con
espressioni sentimentali differenti rispetto ad altri bambini considerati attualmente come neurotipici.
Lo stesso pediatra aveva rintracciato un funzionamento cognitivo poco sviluppato e ben poche abilità
in termini di espressione emozionale, relazionale e sentimentale (Muratori & Bizzari, 2020). Nel
1943 il medico Frankl, rigettando l’idea che l’autismo possa essere considerato esclusivamente di
natura congenito-medica, pone l’accento sul dominio, sulla sfera, sulla regione, affettivo-sentimentale
del bambino definito come soggetto autistico: in virtù di questo, lo stesso Frankl, aveva considerato
l’ipotesi secondo cui i disordini affettivo-comportamentali dello spettro autistico siano
principalmente derivati da disconnessioni relative ai meccanismi cerebrali adibiti sia alla
comunicazione che alle espressione affettivo-comportamentale le quali comportano di conseguenza
lacune nella produzione e nella comprensione linguistica (Muratori & Bizzarri, 2020).

Grazie al ‘Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders’ (DSM-IV) del 1994, il disturbo
dello spettro autistico ha trovato la sua piena collocazione all’interno dei disordini relativi allo
sviluppo. Si parla di disordini che presentano una profonda compromissione di alcune aree cerebrali
e cognitive del neuro-sviluppo (Wiggins et al., 2019). Nel 2013 il Diagnostic and Statistical Manual
of Mental Disorders (DSM-V 2013) è stato revisionato in toto, portando gli studiosi a modificare
anche le caratteristiche riguardanti il disturbo dello spettro autistico. Tutto ciò è stato possibile anche
grazie alle nuove evidenze empirico-scientifiche che hanno permesso l’identificazione di una nuova
sintomatologica del disordine dello spettro autistico (Wiggins et al., 2019).

Dunque, per questo tipo di disturbo, è possibile identificare i domini maggiormente compromessi e
deficitari nella socializzazione, nelle abilità di comunicazione di tipo verbale e non verbale, nelle
problematiche che riguardano l’espressività dei bisogni e dei desideri e, inoltre, la quasi totale assenza
di manifestazioni a livello emozionale e sentimentale (Muratori & Bizzarri, 2020). Proprio in virtù
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della multi-dimensionalità del disordine dello spettro autistico, risulta possibile dedurre che tale
problematica sia di natura pervasiva, poiché non tenderebbe a regredire nel corso dello sviluppo
individuale, ma piuttosto si segnala una certa persistenza sintomatologica rispetto a tutto l’arco della
vita del soggetto, andando così ad incidere non solamente sui domini sociali ed emozionali, ma anche
sul corretto assetto psicologico dell’individuo stesso (Zappella, 2018).

A partire da Gould nel 1982 è stato possibile rintracciare quella che a livello della comunità scientifica
viene considerata come “triade delle menomazioni” (Wing et al., 2011) che si riferisce principalmente
a:

• Compromissione interazionale: vuole riferirsi ad una riduzione dei segnali verbali e non
verbali di interesse, quali, ad esempio, stabilire un contatto visivo con l’interlocutore,
rispondere ad un sorriso, avviare spontaneamente un’interazione sociale, esprimere affetto ed
emozionalità. Questa particolare sintomatologia sarebbe già osservabile a partire dai
primissimi anni di vita, ove si segnala uno scarso apprendimento linguistico, che si
tramuterebbe, all’interno dell’ambiente scolastico, in problematiche comunicative e
relazionali con i propri pari, compagni di classe ed insegnanti;
• Compromissione della comunicazione: questa espressione sintomatologica vuole riferirsi alla
capacità e potenzialità degli individui autistici di conversare a livello non verbale o linguistico
con altri individui. La famiglia si configura come il primo luogo nel quale un bambino
interagisce con l’altro. In questo tipo di contesto, il bambino apprende i primi modelli
educativi, relazionali e comunicativi. Un bambino con autismo, però, può presentare
problematiche di interpretazione delle interazioni sociali con i genitori, il che sembra
spingerlo ad un allontanamento fisico e affettivo.
• Compromissione dell’immaginazione: vuole riferirsi a ridotte capacità di pensiero
immaginativo e logico-deduttivo per cui il soggetto autistico non risulterebbe capace di
mentalizzare le conseguenze relative alle proprie azioni e quelle dell’altro.

Successivamente, il DSM V del 2013, ampliando i suoi criteri inclusivi e diagnostici relativamente al
disordine dello spettro autistico ha proposto una valutazione sostanziale relazionata proprio alle
espressioni sintomatologiche e diagnostiche di questa complicanza del neuro-sviluppo infantile
(Wiggins et al., 2019), includendo criteri diagnostici come:

¨ Strani modelli comportamentali: questo criterio vuole riferirsi ad espressioni comportamentali


che possono registrarsi come estremamente ambivalenti: il soggetto può, in prima battuta,

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manifestare un certo livello di gioia e, successivamente, scoppiare in un pianto ininterrotto,
irritabilità o sentimenti di malessere generalizzato;
¨ Problemi di sviluppo comunicativo: tale criterio si riferisce principalmente alle difficoltà di
espressione linguistica e di comunicazione ovverosia il soggetto autistico fa fatica ad
esprimere i propri bisogni, necessità e desideri, ma risulterebbe altrettanto incapace di
rispondere a contingenti comunicazioni ed espressioni linguistiche;
¨ Fissazione in interessi altamente ristretti con intensità o attenzione anormale: questo
particolare criterio si riferisce ad un profondo e massiccio attaccamento ad oggetti e materiali
inusuali con pervasività relativa ad interessi pratici, che possono condurre l’individuo a
sperimentare preoccupazione ed affezione relativa proprio a quei determinati e contingenti
oggetti da lui reputati importanti;
¨ Locomozione e movimenti corporali stereotipati: ci si riferisce ad un criterio relativo a
movimenti del corpo e di locomozione scanditi da ripetizioni costanti e stereotipie, quali, ad
esempio, maneggiare continuamente un oggetto, pronunciare frasi idiosincratiche ed ecolalia;
¨ Contiguità routinaria: questo particolare criterio di inclusione si riferisce sostanzialmente ad
una eccessiva resistenza ai cambiamenti nella vita quotidiana quali, ad esempio, mangiare lo
stesso cibo, dibattere sulla stessa argomentazione o prendere sempre la stessa strada, per cui
l’individuo tenderebbe a compiere rituali motori dallo stesso ritenuti indispensabili;
¨ Iperreattività e/o ipo-reattività agli stimoli sensoriali: tale criterio diagnostico ed altresì
sintomatologico, vuole riferirsi da un lato ad una certa indifferenza nei confronti delle
stimolazioni sensoriali provenienti dall’ambiente esterno, mentre dall’altro lato vi può essere
una massiccia manifestazione comportamentale.

I tratti fondamentali associati a una diagnosi di autismo sono possibilmente riscontrabili in tutta la
popolazione umana (Chown & Leatherland, 2021); tuttavia, spesso gli individui autistici sono
etichettati come soggetti che presentano manifestazioni "estreme" di questi tratti (Mandy et al., 2018).
La diagnosi di autismo è radicata nella specificazione del fatto che una persona debba sperimentare
una "compromissione significativa" per essere classificata come autistica. Pertanto, i "tratti" ed i
"comportamenti" classicamente riscontrati in questi soggetti non possono essere etichettati come
autistici a meno che non siano vissuti negativamente o che non causino una "menomazione". Di
conseguenza, le persone autistiche sono considerate ai margini della normalità umana sia nel mondo
accademico che nella società in generale (Advocate, 2020; Cowen, 2009).

La patologizzazione dell’autismo porta questi individui ad essere stigmatizzati, disumanizzati ed


emarginati (Botha & Frost, 2020). Le persone stigmatizzate possono tentare di nascondere agli altri

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gli aspetti considerati sbagliati della loro identità, cercando di "passare" per normali (Goffman, 1963).
Lo stigma sembra avere un impatto sia sul modo in cui un individuo viene visto e trattato dagli altri,
sia sul modo in cui questo trattamento viene interiorizzato e interagisce con la propria identità
(Advocate, 2019; Botha & Frost, 2020).

L'autismo viene diagnosticato in base alla presenza o all'assenza di caratteristiche comportamentali


osservabili. Tuttavia, la visibilità di queste caratteristiche comportamentali può essere ridotta
attraverso l'uso consapevole o inconsapevole da parte di soggetti autistici di strategie di
camuffamento (Hull et al., 2019; Livingston & Happé, 2017). Tali strategie possono comportare il
mascheramento dei comportamenti autistici e/o l'impiego di strategie di compensazione per superare
le difficoltà sociali (Hull et al., 2019; Lai et al., 2017).

Il camuffamento viene definito come la soppressione conscia o inconscia delle risposte naturali e
l'adozione di risposte alternative in una gamma di domini, tra cui l'interazione sociale, l'esperienza
sensoriale, la cognizione, il movimento e il comportamento (Pearson & Rose, 2021). Esempi comuni
di strategie di camuffamento sono la repressione dei movimenti ripetitivi delle mani, le stereotipie, la
forzatura del contatto visivo e l'uso di ‘copioni’ per quanto riguarda le interazioni sociali (Hull et al.,
2019; Livingston, Shah, et al., 2019). Si tratta dunque di una combinazione di mascheramenti (ad
esempio, nascondere i comportamenti autistici che si distinguono socialmente da quelli degli
individui neurotipici) e di comportamenti di compensazione (compensare i deficit socio-
comunicativi) (Fombonne, 2020). Queste strategie di mimetizzazione possono essere comunemente
utilizzate da individui con diagnosi di autismo, ma anche da coloro che non hanno una diagnosi
formale, ma che tuttavia presentano alti livelli di tratti autistici (ad esempio, Beck et al., 2020; Cage
& Troxel-Whitman, 2019; Wood-Downie et al., 2020).

Pertanto, il camuffamento non è altro che una strategia di coping utilizzata da individui vulnerabili
per migliorare il loro adattamento sociale. In quanto tale, il mimetismo è una conseguenza a valle
dell'autismo, più rilevante per i suoi esiti a lungo termine che per la sua comparsa e il suo sviluppo
precoce. Questa formulazione sottolinea che la mimetizzazione non è una caratteristica intrinseca
dell'autismo di per sé; piuttosto, caratterizza un processo di adattamento persona-ambiente, ovvero il
camuffamento è studiato in relazione all'interfacciamento tra un soggetto autistico e il suo ambiente
sociale di riferimento e non per misurare o definire singolarmente l'autismo (Fombonne, 2020).

Un approccio per lo studio del camouflaging consiste nel differenziare i punteggi dei questionari self-
report dalle osservazioni professionali (Lai et al, 2017; Schuck et al., 2019): la discrepanza tra i
punteggi derivanti dai questionari self-report e il display comportamentale misurato da un osservatore
esterno rappresenta, presumibilmente, una misura di camuffamento.
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Dunque, come sopracitato, il camuffamento è l’unione, l’addizione, tra il mascheramento dei
comportamenti autistici e l'impiego di strategie di compensazione per superare le difficoltà sociali, a
questo punto è importante sottolineare che la compensazione può generare una serie di difficoltà nella
diagnosi e nel supporto di questi individui.

Poiché il disturbo dello spettro autistico viene diagnosticato solo in base al comportamento gli
individui che mettono in atto comportamenti compensatori potrebbero non ricevere una diagnosi fino
all’età adulta, se non addirittura mai (Bargiela et al., 2016; Lai & Baron-Cohen, 2015). Anche per
gli individui con una diagnosi già effettuata, il mettere in atto comportamenti neurotipici grazie alla
compensazione potrebbe far sì che la necessità di supporto venga sottovalutata in contesti educativi
e lavorativi (Livingston et al., 2019).

Molti studi hanno rilevato un legame stretto, importante, tra comportamenti compensatori e ansia
(Cage & Troxell-Whitman, 2019; Livingston et al., 2019), depressione (Lai et al., 2017) e ideazione
suicidaria (Cassidy et al., 2018); questo legame potrebbe essere dovuto alla messa in atto di
comportamenti compensatori spinti da forte desiderio di adattamento sociale i quali non hanno avuto
successo; questo “fallimento” riduce la loro autostima e mina il loro benessere mentale.

Analizzando uno studio qualitativo svolto da Livingston, Shah e Happé nel 2019 è possibile indagare
le strategie di compensazione sociale e il loro effetto sulla diagnosi e sull'esito clinico, negli adulti
con e senza autismo. In primo luogo, la ricerca si è concentrata sulle strategie compensative
superficiali (ad esempio, imitare la gestualità altrui); tali strategie, in quanto poco flessibili,
consentono di mascherare, ma non necessariamente di superare, le difficoltà socio-cognitive degli
individui autistici, purtuttavia, secondo gli autori, è probabile che esistano altre strategie più
sofisticate che implicano una profonda compensazione, come l'analisi incentrata sui dettagli delle
interazioni sociali (Lai et al., 2019; Livingston & Happè, 2017), che potrebbe consentire a una persona
di avere un approccio abbastanza flessibile durante le interazioni sociali. In secondo luogo, la ricerca
si è concentrata sulle persone con una diagnosi clinica, ciononostante, poiché la compensazione
promuove il comportamento neurotipico, i compensatori che portano a risultati migliori, nonostante
le difficoltà cognitive autistiche, potrebbero trovarsi al di sotto della soglia diagnostica per il disturbo
dello spettro autistico (Livingston & Happè, 2017).

Per formare il campione di studio, i ricercatori hanno utilizzato la pubblicazione di un annuncio


pubblicitario. L'annuncio chiariva che per partecipare non era necessaria una diagnosi formale di
autismo. I partecipanti con una diagnosi clinica di autismo sono stati assegnati al gruppo
“diagnosticato”, quelli che si sono autoidentificati ma non sono stati formalmente diagnosticati come
autistici sono stati assegnati al gruppo “autoidentificato” e quelli che non sono stati diagnosticati o
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autoidentificati ma hanno comunque riportato difficoltà sociali sono stati assegnati al gruppo “non
diagnosticato”.

Lo studio prevedeva di indagare quali fossero le strategie compensative maggiormente utilizzate e il


verificare se queste fossero qualitativamente simili negli individui diagnosticati o meno, inoltre, gli
autori si sono proposti di indagare in che modo le strategie compensative influenzassero la diagnosi.

I risultati dello studio hanno mostrato come le strategie di compensazione comportavano l'utilizzo
delle funzioni cognitive ed esecutive per regolare il comportamento sociale, utilizzando paradigmi
basati sulle norme sociali di comportamento (p. es., stabilire un contatto visivo), pianificando in
anticipo gli aspetti più specifici delle interazioni sociali (p. es., porre agli altri domande che
riguardano loro) e passando da una norma o legge sociale all'altra. La compensazione era quindi più
difficoltosa quando si era distratti, stressati o provocati. Inoltre, le strategie compensative
presentavano sottotemi, in quanto quelle primarie non funzionavano in tutte le situazioni o erano
troppo lente e inflessibili nell'interazione sociale botta e risposta. Nel complesso, i partecipanti hanno
riferito che gli aspetti più difficili dell'interazione sociale comprendevano il partecipare a
conversazioni inaspettate.

I membri prendenti parte a questa ricerca hanno riferito che la compensazione ha generato un divario
tra l'apparenza e la realtà interna, tale per cui hanno sperimentato difficoltà socio-cognitive che sono
passate inosservate agli altri. Questi, per dirla in altri termini, hanno attualizzato un comportamento
di camuffamento così profondo e recondito da iniziare a dubitare di sé medesimi, disconoscevano
quali aspetti fossero dovuti alle strategie compensative e quali fossero realmente i propri. Questo
divario derivava in parte dai diversi livelli di strategie compensative utilizzate, effettivamente, molte
strategie superficiali risultavano troppo semplici e inflessibili (ad esempio, ridere dopo uno scherzo).
Queste strategie non erano utilizzabili in nuovi contesti e raramente riducevano le difficoltà socio-
cognitive dei partecipanti; di conseguenza, esse erano più spesso utilizzate dai partecipanti che hanno
auto-riferito comportamenti autistici. Coloro che hanno partecipato hanno percepito che gli individui
neurotipici spesso potevano "vedere attraverso" queste strategie che risultavano anche meno efficaci
in momenti di stress o durante l’incontro con nuove persone, ordunque, si potrebbe pensare di
ipotizzare che le persone affette da ASD abbiano capacità di immedesimazione e di empatia nell’altro,
infatti, oltre al fatto di attualizzare atteggiamenti tipicamente e autenticamente dei neurotipici
comprendono, addirittura percepiscono, come mostra lo studio, come questi ultimi riuscivano a
oltrepassare le loro strategie di camuffamento. Difatti, alcuni partecipanti hanno riferito di aver
rilevato pattern ripetitivi di comportamenti degli individui neurotipici e di aver dedotto lo stato
mentale dell’interlocutore attraverso l’osservazione di questi pattern, ovvero dei gesti, delle
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espressioni facciali ed anche dal contesto. Queste strategie, inoltre, sebbene difficili da implementare
all'inizio, hanno la potenzialità di diventare ordinarie con il tempo.

La compensazione è risultata distinguibile dal mascheramento comportamentale: questa sembra


generare nuovi comportamenti sociali mascherando comportamenti già esistenti, come la
diminuzione di comportamenti sociali ritenuti indesiderabili dalla società (ad esempio, parlare troppo)
e l'aumento di comportamenti ritenuti desiderabili (ad esempio, sorridere). Le strategie di
camuffamento risultano, come indicato dai soggetti sottoposti allo studio, semplici e spesso
automatiche e consentono di mimetizzarsi con l’ambiente circostante, ma risultano meno efficaci nel
supportare a lungo l'interazione sociale. Il mascheramento, dunque, potrebbe essere considerato meno
specifico dell'autismo rispetto alla compensazione dato che anche le persone neurotipiche mettono
comunque in atto strategie di camuffamento quando richiesto dalla situazione (ad esempio,
nascondendo opinioni controverse).

Molti partecipanti hanno riportato motivazioni sociali che li hanno spinti a mettere in atto strategie
compensative per sviluppare relazioni significative. Questa motivazione è risultata evidente dai
racconti dei suddetti riguardo la loro reputazione (la compensazione era utilizzata, ad esempio, per
evitare di apparire socialmente inadatti), la preoccupazione per gli altri (evitare sentimenti dolorosi)
e l’angoscia per qualsiasi rifiuto sociale a seguito di sforzi compensativi. Per modulare gli sforzi
compensativi, molti di loro hanno riferito di aver valutato in modo logico i costi rispetto ai benefici,
ad esempio fare un'impressione positiva nei confronti di un amico era considerato giusto, ma non
valeva lo stesso per le interazioni con estranei insignificanti; nelle interazioni superficiali, il
mascheramento era preferito alle strategie compensative per conservare risorse cognitive.

Per di più, le situazioni di gruppo, che coinvolgono contesti sociali non strutturati (ad esempio, feste),
richiedevano più risorse compensative rispetto all'interazione strutturata a uno a uno (ad esempio, un
appuntamento dal medico). Pertanto, molti individui hanno riferito di "passare" come neurotipici in
ambienti che richiedevano meno sforzo ma di apparire socialmente atipici in quelli con esigenze più
elevate.

La compensazione ha avuto un profondo impatto sulla diagnosi e sul supporto degli individui
autistici: la maggior parte del gruppo diagnosticato ha ricevuto una diagnosi tardiva in età adulta e la
compensazione ha contribuito a spiegare perché l'autismo non è stato diagnosticato durante l'infanzia
o l'adolescenza, addirittura i partecipanti hanno riportato di essere stati aiutati durante l’infanzia, ad
esempio, attraverso i genitori che comunicavano per loro conto. Per la maggior parte dei partecipanti,
quando le richieste ambientali sono aumentate in età adulta, le loro strategie compensative sono
diventate insufficienti o le caratteristiche autistiche hanno compromesso il loro funzionamento
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quotidiano. Anche dopo aver riconosciuto le difficoltà legate all'autismo, molti hanno riferito che
sottoporsi a una valutazione dell'autismo in età adulta è stata una vera e propria sfida. Questi hanno
attribuito tale difficoltà alla mancanza di consapevolezza da parte dei medici sulla compensazione,
che a volte si traduce in diagnosi errate antecedenti alla diagnosi di disturbo dello spettro autistico.

Nonostante le potenziali conseguenze negative, la compensazione sembra ancora essere considerata


importante per aumentare le opportunità durante l’arco della vita e quindi per avere un ruolo nella
società. Siffatte tecniche hanno consentito alle persone autistiche di svolgere attività quotidiane che
comportavano la comunicazione con gli altri (ad esempio, l'accesso ai servizi) e di cercare lavoro.
Alcuni membri, tuttavia, hanno sottolineato che sebbene le strategie compensative facilitassero
l'ottenimento di un impiego, non erano sempre sufficienti per mantenere l'occupazione e spesso era
necessario cambiare lavoro.

I partecipanti hanno riportato sia conseguenze positive che negative sulla compensazione per il loro
senso di identità e le relazioni sociali in effetti, questa metodologia ha contribuito a promuovere la
fiducia e aumentare i sentimenti di connessione con gli altri; seppur molti, tuttavia, hanno notato che
la compensazione non era sempre sufficiente perché le loro strategie non erano in grado di convertire
le conoscenze in amicizie, avendo il timore che le loro differenze venissero scoperte con il tempo con
conseguenze negative per le relazioni sociali. Inoltre, poiché la compensazione spesso comportava
l’utilizzo di menzogne (ad es. fingere di avere determinati interessi) per essere socialmente accettati,
molte relazioni non erano basate su un legame genuino e veritiero, perciò, queste risultavano spesso
insoddisfacenti. Le strategie compensative risultano spesso avere un impatto sull’opinione degli
individui verso sé stessi: i partecipanti hanno riferito che la compensazione - descritta come "mettere
in scena una performance" - si traduceva in un senso di identità incerto.

Molti partecipanti allo studio hanno riferito un miglioramento delle strategie compensative
dall’infanzia all’età adulta: gli ambienti sociali risultavano più tollerabili grazie all'affinamento delle
strategie.

Questo studio evidenzia come la compensazione sia modulata da diverse pressioni sociali esterne. La
compensazione sembra portare gli individui autistici ad apparire neurotipici in determinati contesti
(per es., una valutazione clinica individuale effettuata in una stanza scarsamente illuminata) ma
socialmente atipici in altri (per es., durante l’orario lavorativo all’interno di rumorosi uffici). Questa
scoperta risulta essere in linea con l’ipotesi secondo cui le persone con autismo, nonostante l'impatto
negativo sul loro benessere, siano spinte a soddisfare le aspettative comportamentali della società
neurotipica. Per affrontare questa problematica, l’ambiente sociale dovrebbe essere più inclusivo per
gli individui autistici, in modo da ridurre la necessità di compensazione. Tuttavia, molti partecipanti
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allo studio hanno riferito che la compensazione risulta per loro fondamentale per realizzare gli
obbiettivi di vita e ritengono che le loro strategie abbiano migliori risultati bilanciando il loro utilizzo
con la ricerca di ambienti compatibili con le loro caratteristiche. Risulta dunque importante stabilire
quali strategie compensative siano più vantaggiose e in che modo il loro successo potrebbe essere
massimizzato attraverso cambiamenti ambientali.

Come affermano Pearson & Rose nel 2021 il camouflaging dovrebbe essere considerato come un
processo, simile a quello con cui si formano le rocce. Quello che vediamo esternamente, ovvero le
strategie utilizzate per mascherare comportamenti tipicamente autistici (ad esempio, lo stabilire un
contatto visivo e l’imitare le espressioni facciali) rappresentano la parete rocciosa. Ma queste strategie
sono state plasmate nel tempo, trasformate dalla pressione, costruite strato su strato per creare ciò che
viene visto dall'osservatore. Risulta quindi importante considerare il ruolo dell'ambiente e del
contesto, ovvero le pressioni esterne che hanno portato allo sviluppo iniziale e l'impatto che queste
hanno avuto sull'individuo.

Tenendo in considerazione le conclusioni raggiunte e grazie all’analisi di questo studio, la mia ipotesi
è che non vi sia una così siffatta diversificazione sotto questa prospettiva o punto di vista tra gli
autistici e i normotipici in quanto entrambi utilizzano la finzione, se si vuole la menzogna, o per dirla
in termini tecnici il camuffamento, il mimetismo, a scopo socialmente adattivo. Per dirla in termini
hegeliani, il soggetto autistico concepisce l’altro, ovvero il normotipico, come normale e tramite
questo concepire l’altro come normale comprende sé medesimo come diverso dal normale stesso, ciò
porta al fatto che il diverso, nel senso del soggetto atipico, attualizza dei comportamenti, degli
atteggiamenti, congrui non al suo essere diverso preso di per sé stesso ma al suo essere diverso pensato
o per meglio dire relazionato al normale inteso come la diversità del diverso, una negazione che nega,
toglie, la negazione della negazione dell’identità, questa doppia negazione o per meglio dire questa
posizione fa sì che il soggetto autistico attualizzi, concretizzi, degli atteggiamenti che un autistico non
farebbe mai se non come di contro ad un essere normotipico, il quale riconoscendo quest’ultimo cerca
di assomigliarli il più perfettamente possibile elidendo quello che è la diversità che li distingue.

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