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LEZIONE 1 19/10/2022
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Il bambino guarda le bolle ma non interagisce col papà, poi gli partono le stereotipie.
Poi non ha un’attenzione condivisa (quando gli indica le cose lui non interagisce).
C’è inoltre una mancata risposta al proprio nome.
Un’altra cosa è l’attenzione al dettaglio, al particolare, non all’insieme: quando il papà
indica una cosa, guarda il dito, non la direzione in cui punta; non tiene conto del contesto
sociale, della conversazione, non stabilisce una comunicazione con il papà, è molto passivo
nell’interazione. È un bambino a rischio di un
disturbo dello spettro autistico.
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Competenze sociocomunicative: non risponde alle gratificazioni del papà, non c’è uno
scambio comunicativo. Il contatto oculare è poco modulato, è un contatto che non serve alla
comunicazione (ogni tanto lo guarda). Quando il papà cerca l’interazione, lui si scosta, lo
evita, ha una difficoltà a comunicare. È un bambino molto passivo.
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Mancata risposta al nome, anche se viene sollecitata più volte. La mancata risposta al nome
è una difficoltà sociocomunicativa, questo è il motivo per cui questi bambini vengono
interpretati dai genitori come bambini sordi.
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La psicologa sta parlando con il genitore, il bambino è quindi isolato dal contesto, fa delle
stereotipie motorie.
Per poter fare una diagnosi di autismo è necessario che ci siano tutti questi segni insieme, in
maniera più o meno marcata, però se ci sono dei bambini che hanno stereotipie motorie,
non significa che siano autistici, esiste per esempio il disturbo da stereotipie motorie. La
cosa che va cercata per una diagnosi di autismo è il disturbo sociocomunicativo, la chiusura.
Ci sono forme però in cui c’è un disturbo sociocomunicativo ma non ci sono le stereotipie o
gli interessi ristretti, quello si chiama disturbo socio pragmatico.
In diagnosi differenziale quindi cosa ci dobbiamo chiedere per una diagnosi di autismo?
Ø Se ha un grave ritardo dello sviluppo, perché in tal caso sarebbero bambini che
possono comportarsi in maniera simile al bambino autistico. Come facciamo a
differenziarli? Cerchiamo la risposta al nome, la comunicazione gestuale, ma soprattutto
lo sviluppo motorio. Un bambino autistico in genere (non è vero sempre), cammina entro
l’anno, non ha un ritardo motorio. I bambini autistici hanno dapprima uno sviluppo tipico,
ma poi una regressione, si fermano.
Ø Disturbo del linguaggio, la cui diagnosi parte dai 4 anni, prima parliamo di ritardo
semplice di linguaggio. Un bambino con un ritardo semplice di linguaggio comunica,
non con le parole ma con il gesto; mentre nel bambino autistico troviamo, se non
l’assenza, comunque un’alterata qualità della comunicazione: quando sono piccoli non
rispondono nemmeno agli stimoli positivi, per esempio le facce sorridenti, oppure il
pianto per una richiesta, non utilizzano l’altro nel contesto comunicativo, un bambino con
un ritardo del linguaggio invece sì.
Cosa sono? Disturbi legati alla maturazione del sistema nervoso, si presentano infatti
precocemente. Quali sono? Autismo, disabilità intellettiva, disturbo di
linguaggio, ADHD, disturbo della coordinazione motoria, DSA.
Questi sono quindi tutti disturbi legati a un’alterata maturazione del SN, e che si
accompagnano nel corso dello sviluppo (per es. nei DSA finché non vanno a scuola, non ci
sono predittori).
Dunque, l’autismo è un disturbo del neurosviluppo, è un disturbo biologico.
Disturbo dello spettro autistico è un termine introdotto di recente, con il DSM V
(pubblicato nel 2013); prima si parlava di autismo, sindrome di Asperger, disturbo non
altrimenti specificato. Perché il DSM V
sostituisce tutta questa nomenclatura con un termine più ampio?
Perché la letteratura ci dice che non è sempre facile distinguere un autismo da alto
funzionamento (Asperger) da un autismo con QI non verbale alto, quindi le diagnosi non
sono settoriali, ma in realtà ci sia una continuità di una con l’altra. Per esempio, la febbre:
37.1 è febbre, anche 38,39, ma la gravità del disturbo fa la differenza. Il disturbo dello
spettro autistico è la stessa cosa: è un disturbo dimensionale, non categoriale. Altri
disturbi dimensionali sono l’ipertensione, il diabete, dove quindi la gravità fa la differenza.
LE CARATTERISTICHE:
L’autismo non è necessariamente una malattia, per essere un disturbo deve compromettere
la qualità di vita del bambino e dell’intero nucleo familiare. Ci sono forme di autismo
compatibili con la vita normale. Alcuni hanno grosse difficoltà a vivere le relazioni,
l’intelligenza sociale, sono quelli che dicono e cose più tremende, inopportune, non valutano
l’impatto emotivo di alcune forme di comunicazione. L’autismo è uno spettro,
ci sono forme anche di normalità, nel senso di autonomia possibile, tant’è che si parla di
condizione autistica, un po’ come la sindrome di Down, non è di per sé una malattia, è una
condizione, che poi in molti casi si esprime come ritardo mentale, disturbo del
comportamento, del linguaggio, e lì diventa un disturbo.
In psichiatria per l’autismo, per il ritardo mentale non si hanno test che consentono di fare
diagnosi, nessuna diagnosi si basa su un test in psichiatria. Per poter definire un bambino
con ritardo mentale è necessario un QI inferiore a 70, ma è necessario anche che non
risponda alle richieste che il contesto di vita gli pone davanti. Ci sono bambini con un Q.I. di
60 ma che sono perfettamente inseriti nel loro contesto. Quindi un bambino autistico può
avere qualche interesse ristretto, ma non avere problemi a relazionarsi, oppure può non
guardarti negli occhi, o ancora avere una prosodia piatta (elemento caratteristico), ma non
avere un disturbo.
Ø Deficit nello sviluppo e nella gestione delle relazioni, il prof. racconta un esempio
di un quindicenne mai diagnosticato, portato dalla madre in quanto il figlio non esce più
di casa. Alla domanda del perché non vuole più uscire di casa, il ragazzo risponde che
degli altri non gli interessa più niente, l’unico interesse che lui ha è la fama. Ha già
100.000 followers e vuole arrivare al milione, così sarebbe diventato ricco. Lui è un
autistico, anche se si va a rivedere la storia, ci sono dettagli che sono stati sottovalutati
da piccolo (mancata risposta al nome, difficoltà di inserimento nel gruppo di pari) che ne
fanno un autistico ad alto funzionamento. Quindi
queste persone non vuol dire che non siano empatiche, ma è proprio un disinteresse
della relazione con l’altro.
ALTRI PATTERN COMPORTAMENTALI (non devono per forza presentarsi tutti insieme)
o stereotipie motorie
o frasi idiosincratiche => frasi che non c’entrano nulla con il contesto
Qualcuno parla anche di SELETTIVITA’ ALIMENTARE: mangiano soltanto alcune cose =>
questo è legato ad una ipersensorialità, ad esempio mangiano cose di un certo colore o di
una certa consistenza. La SENSORIALITA’ è un aspetto che va stimolato molto e i
logopedisti sono chiamati nel trattamento della disprassia verbale che spesso si associa a
questi casi: molti bambini con disturbo dello spettro vengono trattati con il metodo PROMT
perché fanno molta fatica a masticare. Questo metodo migliora la coordinazione oro
facciale.
MODIFICATORI (DSM5)
CONDIZIONI DI RISCHIO
- Fattori genetici
L’assistenza delle persone autistiche costa molto perché una condizione cronica e
l'aspettativa di vita di queste persone è molto simile a quella della popolazione generale.
Gli esami strumentali che devono essere richiesti sono esame audiometrico e esame
genetico (array CGH che è il sequenziamento del DNA che si fa perché nel 30% dei casi ci
sono delle alterazioni del DNA che sono compatibili al disturbo dello spettro e quindi ci
aiutano a capire l'origine del disturbo). Tutti gli altri sono esami di secondo livello, cioè si
fanno solo in alcune condizioni (come ad esempio nei bambini che hanno la tendenza al
peggioramento, ad una regressione grave: la regressione è quella condizione in cui i
bambini hanno uno sviluppo normale fino ai 18 mesi, poi regrediscono, perdono le
acquisizioni fatte prima. Se c’è una regressione grave allora si consiglia una risonanza
magnetica. Elettroencefalogramma solo se ci sono convulsioni (perché questi esami
richiedono un’anestesia, la quale prima dei 5 anni ha un impatto sullo sviluppo cognitivo).
CRITERI:
- ADHD 28-44%
- Disordini da Tic 14-38% => non sempre è facile distinguere i tic dalle
stereotipie
· Disturbi medici
- Epilessia 8-30
· Disturbi comportamentali
- Comportamenti aggressivi
- Comportamenti autolesivi
- Fattori genetici: il rischio di avere un figlio autistico è circa l’1%, Se però una
coppia ha già un figlio autistico e fa un secondo figlio, la probabilità che questo
sia autistico sale al 18%, se poi è maschio sale al 26% => questa è
un’informazione che i genitori devono possedere. Abbiamo una popolazione ad
alto rischio di autismo: sono i fratellini, i bambini maschi nati dagli stessi genitori.
La genetica spiega molti dei fattori, spiega fino al 90%. La genetica può dire non che c’è
necessariamente qualcuno in famiglia che già è autistico, ma che il disturbo è legato da una
segregazione all’interno Delle famiglie del disturbo. La genetica spiega moltissimo dei
disturbi del neurosviluppo e in particolare dell’autismo.
FATTORI DI RISCHIO è vuol dire che determinati fattori possono aumentare la probabilità
che questi disturbi si verifichino. Se pratichiamo una vita sedentaria abbiamo maggior rischio
di sviluppare malattie cardiovascolari, se fumiamo il tabacco abbiamo un rischio ancora più
alto per malattie cardiovascolari e tumori ai polmoni. RISCHIO NON VUOL DIRE
CERTEZZA CLINICA, non è che tutti quelli che fumano avranno il cancro ai polmoni, o quelli
che stanno sul divano invece che in palestra avranno un infarto, è un fattore di rischio, è un
elemento che aumenta la probabilità che un certo fenomeno si verifichi. Nessuno di questi
fattori da solo è sufficiente né necessario.
- Basso peso alla nascita e prematurità: il 10% dei nati prematuri ha ADHD o
autismo. Il basso peso è molto legato all’uso di fumo in gravidanza.
- Avanzata età paterna: questo in realtà è un dato su cui si discute ancora molto,
non ci sono dati definitivi. Con l'avanzamento dell'età paterna c'è un maggior rischio
perché la spermatogenesi, a differenza dell’ovogenesi (ovociti presenti sin dalla nascita e
vanno incontro solo a maturazione periodica), è un fattore continuo, ogni 3 mesi si
rinnova tutto il patrimonio di spermatozoi => questo determina una frequenza di divisione
cellulare molto alta, e ogni divisione cellulare si porta con sé il rischio di microerrori
(microduplicazioni e microdelezioni) che ci consentono di non essere identici ad esempio
a nostro fratello/sorella e che nella maggioranza dei casi non si associano alla malattia,
ma in altri casi possono determinare l’autismo. questo fattore è legato proprio a qualcosa
che si trasmette nel corso delle generazioni: anche se il nonno del bambino autistico ha
concepito più avanti nell’età, questo si porta dietro nelle generazioni successive.
Ultimamente va “di moda” la relazione tra il microbioma e autismo => il microbioma è la flora
batterica che ognuno di noi ha nell’intestino, ed è un patrimonio particolarmente utile che
contribuisce alla variabilità individuale. Noi prendiamo in prestito il genoma dei batteri che ci
portiamo dietro. Ma è importante anche il fatto che c’è una forte corrispondenza tra cervello
e intestino: quando si forma l'embrione, i tessuti embrionali da cui derivano il sistema
nervoso e l'intestino sono gli stessi. E c’è tutto un filone di ricerca che mette in relazione la
comparsa di molti disturbi anche autoimmuni con alterazioni proprio a livello intestinale
(sclerosi multipla, depressione) e questo ha trovato forti basi nel modello animale: noi
abbiamo modelli animali per molti disturbi (topo autistico, topo depresso) => si è visto che se
trapiantiamo le feci di un topo depresso in un topo sano, quel topo sano diventa depresso =>
questo si è visto anche con l'autismo. C’è un piccolo particolare: quando proviamo a
trasmettere questo modello dell'animale all’uomo, funziona meno bene, l’effetto è meno
netto, quindi è meno chiaro l’impatto che il microbioma può avere sullo sviluppo di alcuni
disturbi.
I bambini autistici in una percentuale molto alta presentano disturbi gastrointestinali =>
quindi può avere senso misurare il microbioma, si può valutare che tipo di flora batterica c'è
nell'intestino, e si può correggere con degli integratori, e lì dove è sufficiente si arriva a fare il
trapianto fecale: si annullano tutti i batteri intestinali del bambino e si prendono dei donatori
sani (donatori che hanno uno spettro batterico intestinale conservato.
(questo ci porta a dire che c’è una natura biologica del disturbo)
VACCINI
Diciamo adesso due cose sui vaccini, questa questione ci aiuterà a capire uno dei concetti
centrale, ovvero il rapporto temporale rispetto al rapporto causale.
La storia dei vaccini nasce nel 1988 quando venne pubblicato un articolo su un giornale
inglese, in cui un medico di nome Andrew Wakefield presentò 12 casi in cui metteva in
relazione in 8 di questi, la comparsa di sintomi autistici dopo la vaccinazione (in particolare il
vaccino per la trivalente). Poco dopo si è scoperto il conflitto di interesse dell'autore, il quale
era collegato ad un'industria farmaceutica che promuoveva un nuovo vaccino, e quindi la
conseguente falsità dei dati riportati, con il solo scopo di sostituire il vaccino diffamato con il
proprio.
Sembrava tutto finito, ed anche altri studi nel tempo hanno dimostrato come i vaccini non
hanno una correlazione con i sintomi dell'autismo (studi fatti dall'OMS, paesi che hanno
sospeso le vaccinazioni nei quali tuttavia non vi è stata una diminuzione dei casi ma anzi un
leggero aumento)
Nel 2019 è stato pubblicato poi un altro articolo in cui, in Danimarca, hanno seguito 157.000
bambini (nati in un determinato periodo) sino al compimento dei 3 anni. Hanno valutato poi,
quanti e quali di questi bambini erano diventati autistici e quali no, confrontando questi dati
con chi era stato vaccinato e chi no, sia nel gruppo di bambini risultati con autismo, sia nel
gruppo dei risultati neurotipici. Non trovarono nessuna differenza. Non risultava che nel
gruppo di bambini con autismo ci fosse una percentuale di vaccinati maggiore rispetto
all'altro gruppo.
Vediamo ora le ultime linee guida del 2020 pubblicate sul Pediatrics (associazione pediatrica
americana). Questa ci presenta come andrebbe approcciato un bambino. Sono sicuramente
più audaci, facendo diagnosi di autismo già verso i 18 mesi di età, anche se poi, le
raccomandazioni internazionali restano quelle di aspettare i 3 anni per la certezza. Dare una
diagnosi a 18 mesi, significa più che altro, che appena il bambino viene sospettato come
autistico, l’intervento deve iniziare.
Abbiamo bisogno di diagnosi precoci.
Per fare una diagnosi precoce, abbiamo bisogno di segni precoci che ci dicano che il
bambino è a rischio di autismo.
COME SI INDIVIDUANO
Posso chiedere ai genitori dei video.
Posso seguire la popolazione ad alto rischio→i fratelli dei bambini autistici (rischio del 26%).
Per questo sono nati una serie di consorzi che vanno a testare i fratelli dei bambini autistici
(anche in Italia). Quando in una famiglia con un bambino con autismo nasce un altro figlio si
chiede alla famiglia di poterlo seguire, anche se non è detto che lo sia.
QUALI SONO
Ovviamente, non è detto che tutti quelli che presentano questi segni diventino autistici, vuol
dire solo che sono dei bambini con un rischio maggiore di autismo.
Tutti questi sono dei campanelli di allarme, la presenza di uno o più segni non implica la
certezza che il bambino sia autistico.
● 6 mesi:
Il bambino è poco attento alle scene sociali, ovvero quello che succede davanti a lui
in famiglia, alle facce dei genitori. Se risponde meno al sorriso, alle smorfie. Ai
genitori viene detto di stimolare molto il bambino su questo aspetto, come limitazione
delle espressioni facciali, di cercare di ingaggiare il più possibile all'interno della
relazione.
● 12 mesi:
Attenzione condivisa assente;
Il bambino fa fatica ad essere coinvolto in un gioco con il papà o con la mamma
(anche un giocare fisico), quindi l'interazione;
Una minore risposta agli stimoli positivi, "che bravo! Battiamo le mani!" Mentre il
bambino non partecipa;
Difficoltà ad agganciare l'attenzione, lo sguardo, non si aggancia neanche quando gli
viene chiesto di guardarci.
Tutti questi sono, ovviamente, tutti aspetti socio-comunicativi.
La regolazione sia degli aspetti biologici che di quelli emotivi, è estremamente importante.
Bisogna quindi insegnare ai genitori a giocare con il figlio, a farlo mangiare bene, facendolo
masticare il più possibile.
C'è una correlazione tra l’iperattività, il disturbo del linguaggio ed obesità: questi sono
bambini che utilizzano il biberon a lungo, che non masticano, che mangiano solo frullato.
Masticare libera dopamina, che facilita il controllo del comportamento e delle emozioni.
TRATTAMENTI SPECIFICI
Quindi, bisogna essere tempestivi nella diagnosi, individuare i bambini a rischio e trattarli.
Logopedia e Psicomotricità non sono dei trattamenti specifici particolarmente indicati per un
bambino con autismo, l’autismo non richiede l’intervento del logopedista, quantomeno non
nelle fasi più precoci.
Il trattamento deve quindi essere intenso, precoce, deve coinvolgere molto i genitori e gli
insegnanti, bisogna insegnare agli educatori come relazionarsi con il bambino, come favorire
la comunicazione (iniziando dall'indicazione).
INDICAZIONE
Solitamente un bambino con autismo quando vuole qualcosa tende a portare l'adulto verso
l'oggetto, questa non è una forma di comunicazione da rinforzare. Va invece rinforzata
l'indicazione. Se per esempio il bambino che vuole l'acqua, prenderà l'adulto portandolo fino
al rubinetto, l'adulto dovrà poi farlo scegliere tra un altro oggetto e l'acqua, il bambino
inizialmente tenderà ad allungare la mano verso l'oggetto desiderato (una proto indicazione).
Le case dei bambini con autismo dovrebbero essere per questo motivo vuote facendo sì che
il bambino sia obbligato a interagire con l'adulto per poter raggiungere ed ottenere quello
che vuole. Tutte le cose di loro interesse vengono messe NON alla loro portata. Bisogna fare
attenzione a non mandare il bambino in frustrazione, comunque dobbiamo aiutarlo a
raggiungere l’oggetto da lui desiderato, proprio perché va incoraggiata la comunicazione.
AGGANCIO DELLO SGUARDO
Quando il bambino è piccolo, anche questo è un elemento che va rinforzato molto.
IL GESTO
Mentre si parla, il gesto comunicativo viene enfatizzato e rinforzato.
Il gesto preludio del linguaggio, non lo ostacola mai.
Come potete vedere da questo schema, noi abbiamo livelli di efficacia moderata o bassa.
Questo vuol dire che funzionano su alcuni bambini e non su tutti, solo in alcuni casi. Ma
questi sono gli unici trattamenti che hanno evidenza
● PECS: l'uso di immagini per facilitare la comunicazione (CAA). La comunicazione
aumentativa alternativa si inizia ad utilizzare fin da subito, proprio perché il bambino
inizia a comunicare fin da subito. Se il bambino non parla utilizza un gesto, se il
gesto non basta utilizza un'immagine. Piano piano poi il bambino imparerà ad
utilizzarli in autonomia.
Purtroppo c'è ancora una corrente di pensiero, che crede che l'utilizzo dei gesti o
delle immagini possa inibire il linguaggio verbale, perché è più comodo il gesto. Ma
questo non è vero, perché tutti abbiamo iniziato a parlare utilizzando i gesti. Quando
la parola è diventata più economica, più frequente, in quanto abbiamo avuto a
disposizione un lessico molto più ampio, abbiamo abbandonato il gesto.
Facciamo l'esempio di una lingua straniera, quando di quella abbiamo all'incirca 200
parole in uso, non si utilizza più il gesto punto al contrario, quando non conosciamo
una lingua tendiamo a farci capire usando i gesti.
La CAA è una grandissima risorsa, perché permette al bambino di comunicare, e la
comunicazione è il prerequisito fondamentale per il linguaggio verbale.
● EIBI (Early Intensive Behavioral Intervention-Intervento comportamentale
intensivo e precoce): fino a 20 sedute settimanali, non solo a studio, ma anche con i
genitori e gli insegnanti in occasione di apprendimento. Dati in evidenza fino ai 5 anni
● ABA e DENVER (ESDM-Early Start Denver Model): sono efficaci se iniziano molto
precocemente. Dati in evidenza nei primi periodi dello sviluppo. Dopo i 5-6 anni
perde di efficacia, diventa meno utile.
● TEACCH: bambini più grandi.
FARMACI
Non esistono trattamenti farmacologici efficaci nell’autismo. Non esiste nessun farmaco che
curi l'autismo. Ci sono dei farmaci che possono essere utilizzati per trattare le comorbidità.
Si può intervenire sui comportamenti fortemente iperattivi, l'aggressività che possono essere
trattati con antipsicotici; se è anche un adhd si può utilizzare uno psico-stimolante.
Questi trattamenti funzionano meno che nella popolazione non autistica, ma possono
comunque essere utili.
Vediamo poi altre linee guida che riepilogano alcuni trattamenti su cui ci sono
raccomandazioni, non proprio dati in evidenza.
È infatti un pochino più ampio come spettro di interventi. Tra questi vediamo a interventi
basati sulla conversazione del linguaggio, ed in questi potremmo vedere un intervento
logopedico, ma sempre nella logica comportamentale vista precedentemente.
Non è corretto chiamare terapia tutto quello che viene fatto insieme al bambino, la terapia ha
un significato ben preciso.
Il rischio è quello di chiamare terapia tutto ciò che è piacevole per il bambino, ma non tutto
quello che è piacevole per il bambino può essere considerato una terapia.
Il pericolo in cui incorro logopedista è quello di fare terapia anche quando non ha senso,
porti guadagnare soldi in ambito privato o in studi.
È sempre bene chiedersi "la terapia che sto facendo a questo bambino, è terapia? Produce
un cambiamento nel bambino? E se sì, di quanto?". Per vedere se il comportamento si
modifica, è consigliabile farlo valutare da una persona esterna. Quello che vediamo noi
potrebbe non essere oggettivo, in quanto lavoriamo insieme a quel bambino, siamo
condizioni dal fatto che lo conosciamo.
È anche molto importante valutare quanti di quei cambiamenti sono esportati all'esterno
della seduta di terapia. Bisogna vedere se il bambino generalizza il comportamento che fa a
terapia.
Ci sono molti studi, per valutare l'efficacia del trattamento, ma solitamente, i trattamenti più
efficaci sono quelli che vedono coinvolti i genitori ed insegnanti. È sempre consigliabile far
entrare all'interno della terapia la mamma ed il papà, per fargli vedere come devono
relazionarsi con il loro figlio. I genitori non sono lì per rubare il lavoro al terapista, molto
spesso chiedono di essere coinvolti e poi si spaventano quando gli viene chiesto di fare
qualcosa. Ma è molto importante, perché se si insegna la corretta modalità di richiesta ad un
genitore, questo può essere molto utile al bambino, alla famiglia, e anche a garantire il
successo professionale del terapista stesso.
Le terapie comportamentali viste prima (ABA, DENVER, etc) sono molto costose. Non sono
terapie per tutti ed il sistema sanitario nazionale fa molta fatica ad erogarli. Noi dobbiamo
cercare delle terapie che siano efficaci, ma che siano meno costose. Una possibile
soluzione è questa TERAPIA MEDIATA DAI GENITORI: questo vuol dire insegnare ai
genitori a fare terapia.
È strutturato in 10 sedute, una volta a settimana i genitori entrano nella stanza insieme
all'operatore, l'operatore fa vedere come possono mediare il comportamento del proprio
figlio, per favorire alcune acquisizioni (contatto di sguardo, uso del gesto comunicativo,
gestione/contenimento della frustrazione, etc).
Si è visto che questo trattamento migliora la qualità comunicativa, non riduce l'isolamento, e
migliora l'interazione mamma-figlio/genitore-figlio.
Ci sono in corso vari studi, finanziati specificatamente, in Giordania, nei quali si insegna dei
genitori o agli educatori, guardi gli insegnanti, come gestire i comportamenti dei ragazzini
autistici. Questo produce dei miglioramenti.
Anche nella parte nord della Sardegna si sta facendo la stessa cosa ed in Messico.
In questi paesi l'ADOS è troppo costoso e non viene comprato, I bambini sono
istituzionalizzati e non c'è attenzione al trattamento, grazie a questo intervento mediato dai
genitori si è iniziato a trattarli. E questo ci fa capire che è una soluzione possibile.
Il compito del riabilitatore è quello di cercare soluzioni possibili rispetto ai bisogni che i
bambini hanno, adattare quindi le nostre conoscenze, a quella che la realtà nella quale ci
troveremo ad operare.