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Natalia Padua Matricola: 478619

I DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO

L’autismo viene considerato un disordine neuropsichiatrico complesso.


Presenta un set di comportamenti definiti che riconduce a specifici deficit
nell’ambito delle aree funzionali dell’interazione, della comunicazione
sociale e della flessibilità dei processi di pensiero. Il termine “autismo” fu
impiegato da Bleuler per indicare un comportamento rappresentato da
chiusura, evitamento dell’altro ed isolamento. Successivamente questo
termine fu utilizzato per descrivere un determinato quadro clinico, cioè
“Disturbi autistici del contatto affettivo”, caratterizzato da cause sconosciute,
insorgenza precoce, tendenza all’isolamento, assenza di segni neurologici e
una facies che colpisce per la sua intelligenza. Secondo il modello
interpretativo dell’approccio psicodinamico, invece, l’autismo rappresentava
una difesa contro l’angoscia derivante da un fallimento delle prime relazioni
oggettuali. Vennero distinte due forme di autismo: primario e secondario. Nel
corso degli anni questo approccio è stato oggetto di molte critiche che hanno
ricercato le cause del disturbo autistico non più all’esterno, ma all’interno del
bambino. Attualmente, infatti, è sempre più accettata l’ipotesi che il disturbo
autistico sia legato ad un funzionamento mentale atipico. I disturbi autistici
sono molto più frequenti rispetto al passato e si presentano con una netta
prevalenza per il sesso maschile.
Clinica. I Disturbi dello Spettro Autistico rappresentano un gruppo di
condizioni cliniche che condividono alcune caratteristiche quali: la
compromissione dell’interazione e della comunicazione sociale; la
compromissione del repertorio di attività ed interessi. Accanto ai sintomi
caratterizzanti il disturbo autistico, si ritrovano abitualmente una serie di
comportamenti atipici riscontrabili in diverse altre condizioni cliniche
(disturbi associati).
I deficit dell’interazione e della comunicazione sociale.
I disturbi che rientrano in quest’area variano in rapporto all’età e al livello di
sviluppo.
• PRIMO ANNO DI VITA. Nel corso del primo anno di vita, la
compromissione dell’interazione sociale è espressa dal deficit del canale di
scambio privilegiato durante questo periodo: il contatto occhi-occhi (molti
genitori riferiscono comportamenti come “sfuggenza dello sguardo”,
“sguardo assente”). Nel primo anno di vita sono frequenti anche le anomalie
delle posture corporee; il bambino, inoltre, prova un’insofferenza per il
contatto fisico con conseguente adozione di comportamenti di evitamento. Di
conseguenza i genitori non riescono a tenere in braccio il bambino. Queste
ultime caratteristiche sono riconducibili al disturbo del dialogo tonico, il
modo, cioè, di entrare in uno scambio relazionale con l’altro. Sono presenti,
inoltre, atipie relative alle espressioni facciali, di tipo qualitativo e
quantitativo
• ETA’ PRESCOLARE. La compromissione dell’interazione sociale si
arricchisce di comportamenti sempre più caratteristici: il bambino tende ad
isolarsi; non risponde quando viene chiamato; non rende l’altro partecipe
delle sue attività; utilizza l’altro in maniera strumentale solo per
l’appagamento momentaneo delle sue esigenze (prende il braccio di un
bambino senza guardarlo negli occhi e lo indirizza verso una cosa che non
riesce a prendere da solo). Il rapporto interpersonale è compromesso, ma mai
del tutto assente: il bambino si limita a richiedere qualcosa o qualche azione,
non condividendo interessi, bisogni ed emozioni. Anche se l’isolamento e la
chiusura in sé stessi rappresentano tratti patognomici, vi sono anche casi in
cui il bambino sembra cercare il contatto con l’altro in maniera attiva
attraverso comportamenti che, però, si mostrano subito atipici come: contatto
fisico molto intimo con sconosciuti; dispensano baci ed affettuosità a persone
viste per la prima volta; invasione dello spazio personale dell’altro. Va
segnalata, inoltre, la possibile presenza di un attaccamento morboso nei
confronti di una figura privilegiata (solitamente quella materna). Nel
complesso possono essere distinti alcuni profili di interazione: bambini
inaccessibili, bambini passivi, bambini attivi-ma bizzarri. Questi diversi
profili possono variare nel corso dello sviluppo. Infine, gli strumenti utilizzati
dal bambino per la comunicazione sono poco strutturati ed elementari,
configurando, quindi, anche un disturbo del linguaggio.
• ETA’ SCOLARE.A partire dai sei anni il modo con cui si manifesta il
deficit dell’interazione e della comunicazione sociale, comincia a
differenziarsi in maniera definita fra soggetto e soggetto. Vengono a
caratterizzarsi diversi “livelli” di gravità. Nelle forme severe (livelli 3) il
bambino mostra una marcata chiusura relazionale, dedicandosi
esclusivamente alle sue attività e presentando segni di disaggio o rabbia
quando l’altro cerca di intromettersi nel suo gioco. Il linguaggio verbale è
assente. Nelle forme lievi (livelli 1), invece, il bambino stabilisce relazioni
interpersonali semplici, anche se la qualità degli scambi è condizionata da
un’inadeguatezza delle competenze di percezione e cognizione sociale. In
rapporto ad alcuni aspetti temperamentali, possono configurarsi due profili
caratteristici: un profilo “esternalizzante” (interviene a sproposito, invade lo
spazio dell’altro, si parla addosso, è poco attento ai messaggi dell’altro) ed un
profilo “internalizzante” (lo sguardo è sfuggente, la mimica è poco modulata,
si limita a rispondere alle domande con enunciati essenziali, è goffo nei
movimenti). In questo contesto, il linguaggio possiede un ruolo importante
nella connotazione del carattere. La compromissione del linguaggio, ad
eccezione dei casi in cui
si presenti come un disturbo associato, investe la componente non verbale del
parlato e la pragmatica (incapacità di riconoscere metafore, doppi sensi e
motti di spirito).
• ETA’ ADOLESCENZIALE. I soggetti di livello 3 continuano a presentare
forti chiusure relazionali con un’aderenza molto passiva alle richieste del
contesto. I soggetti di livello 1 presentano un’emergente motivazione sociale,
ma le modalità a cui ricorrono per avviare una relazione interpersonale,
risultano bizzarre.
Il repertorio di attività ed interessi ristretto e ripetitivo.
Si tratta del modo con cui il soggetto si rapporta all’oggetto, presentando una
serie di atipie comportamentali quali: movimenti, uso degli oggetti o eloquio
stereotipati o ripetitivi; insistenza nella monotonia; interessi molto limitati,
fissi che sono anomali per intensità o profondità; iper-o ipo-reattività in
risposta a stimoli sensoriali o interessi insoliti verso aspetti sensoriali
dell’ambiente.
• MOVIVENTI, USO DEGLI OGGETTI O ELOQUIO STEREOTIPATI O
RIPETITIVI. L’elemento caratterizzante è la ripetitività che può assumere
diversi aspetti: dondolarsi, sfarfallare le mani, mettere in fila gli oggetti,
sfogliare le pagine di giornale, strappare la carta, ripetere le stesse parole o
frasi, emettere determinati suoni, versare l’acqua da un contenitore ad un
altro.
• INSISTENZA NELLA MONOTONIA (SAMENES). L’elemento
caratterizzante è la rigidità che può esprimersi con il bisogno di effettuare
determinate attività sempre nello stesso modo. Tale rigidità può assumere
aspetti diversi: comportarsi in maniera eccessivamente abitudinaria nello
svolgimento di routine quotidiane, presentare un’esasperante selettività
alimentare, mostrare un attaccamento eccessivo a particolare oggetti,
pretendere che si verifichino determinati eventi in determinate circostanze,
rifiutarsi di svolgere alcune attività con modalità differenti da quelle abituali,
turbarsi in ambienti nuovi e mostrare forte disaggio in presenza di persone
non familiari.
• INTERESSI MOLTO LIMITATI, FISSI CHE SONO ANOMALI PER
INTENSITA’ O PROFONDITA’. L’elemento caratterizzante è la ristrettezza
degli interessi che può assumere aspetti diversi: osservare l’acqua che scorre,
osservare la lavatrice in funzione, seguire con un dito tutte le linee rette,
osservare soltanto il particolare di un oggetto, essere particolarmente attratto
da numeri o date, essere particolarmente attratto dalle targhe delle
autovetture, dedicarsi in maniera assorbente ad un cartone animato o a
dispositivi elettronici, avere conoscenze approfondite su determinati
argomenti.
• IPER- O IPO-REATTIVITA’ IN RISPOSTA A STIMOLI SENSORIALI O
INTERESSI INSOLITI VERSO ASPETTI SENSORIALI
DELL’AMBIENTE. L’elemento caratterizzante è la reattività insolita nei
confronti di stimoli sensoriali provenienti dal proprio corpo o dall’ambiente.
La gravità della sintomatologia può assumere diversi aspetti, quali:
camminare sulle punte, imprimere alle mani atteggiamenti particolari,
leccare, annusare, essere attratto da particolari sonorità o presentare una
particolare avversione, guardare gli oggetti sotto angolazioni insolite.
L’entità della compromissione varia da soggetto a soggetto e l’espressività
dei comportamenti si modifica nel tempo.
I Disturbi Associati. Il quadro clinico è legato all’eventuale presenza di altre
patologie come:

• Disabilità intellettiva, circa il 75% dei pazienti autistici presenta Disabilità


Intellettive. Nelle situazioni in cui la disabilità intellettiva è grave, risulta
difficile stabilire se alcuni comportamenti atipici siano riferibili alla co-
esistenza di un disturbo dello spettro autistico e non al basso livello
intellettivo. Tuttavia, alcuni aspetti come la socievolezza, la disponibilità allo
scambio relazionale ed il piacere di essere e di partecipare, permettono di
differenziare le due condizioni.
• Epilessie, si verificano nel 30-40% dei casi. Solitamente, le crisi insorgono
in epoca adolescenziale ed assumono le caratteristiche delle crisi parziali
complesse e tonico- cloniche generalizzate. Il disturbo dello spettro autistico
e l’epilessia vengono considerati fenomeno di un comune danno encefalico,
ad esempio una lesione a carico del lobo temporale.
• Altri disturbi del neurosviluppo. Comprendono: disabilità intellettive,
disturbi della comunicazione, disturbi motori, disturbo da deficit di
attenzione/iperattività, disturbi dell’apprendimento.
• Sintomi non inquadrabili in categorie nosografiche definite. Spesso sono
presenti sintomi non autistici che, tuttavia, incidono in maniera determinante
sul profilo funzionale del soggetto. Vanno segnalati, pertanto, i seguenti
sintomi: livelli di attività motoria molto accentuati, ad esempio quando sono
su una sedia, si agitano; compromissione del linguaggio, ad esempio
l’utilizzo di singole parole o di frasi isolate che vanno specificate come
“compromissione del linguaggio associate”; disturbi motori, ad esempio
goffaggine, maldestrezza nell’esecuzione di movimenti fini, incapacità nel
provvedere ad autonomie personali semplici, ipomotilità della muscolatura
mimica.
Età e modalità di esordio. Il Disturbo dello spettro autistico è un quadro
clinico complesso legato ad una disorganizzazione atipica dei network
encefalici preposti all’elaborazione e alla sistematizzazione dei dati della
realtà e necessari alla programmazione dei comportamenti in rapporto alle
esigenze definite dal contesto. La disorganizzazione dei network si realizza
progressivamente nel tempo in rapporto ad una serie di circostanze, interne
ed esterne al soggetto. Di conseguenza, anche i sintomi si manifestano
progressivamente.
Livello 3 (Forme molto severe): si tratta dei casi in cui il bambino, già a
partire dal primo anno di vita, presenta modalità atipiche di rapportarsi
all’oggetto e alle persone, come: limitare l’interesse a determinati oggetti;
guardarsi ripetutamente le mani; non rispondere al sorriso; non adattarsi alla
postura dell’altro in braccio; vivere in un “mondo tutto suo”; isolarsi; ripetere
gli ultimi suoni e le parole udite. In questi casi, è possibile formulare una
diagnosi a partire dai 18 mesi di vita.
Livello 1 (Forme molto lievi): si tratta di casi in cui il bambino comincia a
manifestare i sintomi dopo i 18 mesi. Il bambino, infatti, tende ad estraniarsi
dall’ambiente, si disinteressa dei coetanei, si impegna in attività motorie
stereotipate, non pronuncia alcuna parola con finalità comunicativa. In alcuni
casi, denominati forme regressive, la comparsa dei sintomi interrompe uno
sviluppo che sembrava procedere normalmente. La regressione, tuttavia, è
solo apparente, in quanto, attraverso un’anamnesi accurata, possono essere
messi in evidenza dei segni atipici precedenti. Nelle forme lievi, fattori
favorevoli interni (buone capacità di regolazione e controllo degli impulsi,
soddisfacente adattamento emozionale) ed esterni (esperienze emozionali o
relazionali favorevoli), possono impedire che i sintomi assumano una
rilevanza clinica.
Livello 2 (Forme di media gravità): l’età e le modalità di esordio variano da
soggetto a soggetto in rapporto ad una serie di fattori quali il temperamento
del bambino, l’eventuale presenza di condizioni mediche associate, le
eventuali comorbidità.
Decorso. Con la denominazione di “storia naturale” del disturbo ci si
riferisce alla possibilità di definire i punti critici di una determinata
condizione morbosa, quali: quando inizia, come inizia, come decorre, quando
finisce, come si trasforma nel tempo.
Traiettorie evolutive. Tutti i soggetti con una diagnosi di disturbo dello
spettro autistico formulata entro i primi 3 anni di vita, presentano un
miglioramento a carico dell’interazione e della comunicazione sociale,
specialmente durante l’adolescenza. Questa tendenza, ovviamente, riguarda
in maniera minore i soggetti affetti da forme severe, mentre quelli affetti da
forme lievi presentano modifiche molto più significative. Il miglioramento,
però, non è sempre legato all’interazione e alla comunicazione, ma spesso
coincide con un miglioramento dell’adattamento. Con il termine
“adattamento” si fa riferimento al comportamento che il soggetto assume nei
contesti abituali della vita: quanto più sono aderenti al contesto, tanto
migliore viene definito il suo adattamento.
Cause. Le cause dell’Autismo risultano sconosciute. Il Disturbo dello spettro
autistico non è una “malattia” nel senso classico del termine, ma si tratta di
una serie di comportamenti atipici che, ripresentandosi in maniera ricorrente,
assumono la dignità di una condizione patologica. Ciò che si manifesta sul
piano clinico viene definito come un fenotipo comportamentale, cioè il
fenotipo autistico. Cercare le cause del Disturbo dello spettro autistico
significa, pertanto, cercare “qualcosa” che sta sotto il fenotipo
comportamentale osservabile, ossia l’endofenotipo funzionali. Le disfunzioni
dell’endofenotipo sono riconducibili, a loro volta, ad anomalie che investono
una serie di strutture neurobiologiche di fondo (endofenotipo strutturale).
L’endofenotipo funzionale. I criteri diagnostici si identificano in (a) deficit
dell’interazione e della comunicazione sociale e (b) attività e interessi ristretti
e ripetitivi. Vengono, pertanto, a definirsi due cluster sintomatologici che
possono essere indicati come “componente sociale” dell’autismo e
“componente non sociale” dell’autismo. I principali modelli interpretativi
proposti sono: Deficit della Motivazione sociale; Deficit della Cognizione
sociale; Debolezza della Coerenza centrale; Deficit delle Funzioni esecutive.
DEFICIT DELLA MOTIVAZIONE SOCIALE
Il modello interpretativo che fa riferimento ad un Deficit della Motivazione
sociale, parte dal presupposto che l’essere umano nasce con una
predisposizione innata ad interagire con l’altro, bisogno primario che nasce
con l’individuo. Alcuni comportamenti dei bambini come l’imitazione,
l’inseguimento visivo, il sorriso sociale e la fissazione, rappresentano un
esercizio spontaneo dei riflessi. Secondo la teoria affettiva esisterebbe
nell’autismo un innato disinteresse per gli stimoli sociali ed una disattenzione
nei confronti di ciò che l’Altro fa o non fa. Questa iniziale scarsa motivazione
sociale porterebbe all’incapacità di imparare a riconoscere a riconoscere gli
stati mentali degli altri, al deficit del linguaggio, al deficit della cognizione
sociale.
DEFICIT DELLA COGNIZIONE SOCIALE
Il modello interpretativo nasce sulla base di un paradigma sperimentale, in
rapporto al quale i soggetti autistici presenterebbero un’incapacità di
risolvere compiti di falsa credenza, che richiedono la capacità di assumere la
prospettiva dell’altro, immaginare quello che l’altro crede e
prevedere il suo comportamento. Questa capacità viene indicata come
“Teoria della Mente”, acquisita a partire dai 4 anni. Il deficit del soggetto
autistico consisterebbe nella capacità di acquisire questa competenza, il che
determinerebbe una sorta di “cecità mentale”, ossia l’incapacità di
interpretare i comportamenti degli altri. Tuttavia, il modello di un deficit
della Teoria della Mente si è dimostrato poco attendibile in relazione ad
alcuni fattori come l’incapacità “normale” del bambino di risolvere compiti
di falsa credenza prima dei 4 anni.
DEBOLEZZA DELLA COERENZA CENTRALE
Questa ipotesi interpretativa del funzionamento mentale autistico fa
riferimento ad un dato più volte rilevato nei quadri clinici dei soggetti affetti
da autismo, ossia la presenza di uno stile cognitivo in rapporto al quale il
soggetto tende a soffermarsi sull’analisi percettiva dei particolari e presenta
un’incapacità di giungere ad una visione di insieme, di fondamentale
importanza per la comprensione della situazione e della scelta dei
comportamenti più adeguati.
DEFICIT DELLE FUNZIONI ESECUTIVE
Con il termine di FE vengono indicate una serie di abilità che risultano
determinanti nell’organizzazione e nella pianificazione dei comportamenti di
risoluzione dei problemi. Tali abilità sono: capacità di attivare e mantenere
attiva un’area di lavoro, capacità di formulare un piano d’azione, capacità di
inibire risposte impulsive, capacità di spostare in modo flessibile l’attenzione
sui vari aspetti del contesto. Un disturbo delle FE può spiegare molti
comportamenti del fenomeno autistico come la rigidità dei processi di
attenzione o la scarsa capacità di adattamento ambientale. Tuttavia, un deficit
delle FE può essere riscontrato in altri quadri clinici diversi dall’autismo,
rendendo, in questo modo, complessa la formulazione della diagnosi.
L’endofenotipo strutturale. Si riferisce a quelle anomalie del substrato
neurobiologico che sottendono le atipie considerate nell’ambito
dell’endofenotipo funzionale. L’attuale disponibilità di tecniche di studio
sempre più sofisticate, come la risonanza magnetica funzionale, permette di
individuare con sempre maggiore attendibilità una serie di strutture
encefaliche che funzionano come “impalcatura” per la realizzazione di
funzioni coinvolte nel comportamento sociale e per le sue evoluzioni nel
corso dello sviluppo. Il neonato è subito interessato ad interagire con le figure
di accadimento, imitando le espressioni facciali dell’Altro. Una serie di
ricerche hanno messo in evidenza un sistema encefalico specificamente
preposto a co-attivarsi spontaneamente al solo vedere l’Altro mentre compie
un’azione: i neuroni che si co-attivano sono gli stessi che, nell’Altro, sono in
azione: si tratta dei neuroni specchio. In particolare, studi in Risonanza
Magnetica finalizzati ad indagare le aree coinvolte nel riconoscimento delle
espressioni facciali, hanno messo in evidenza l’attivazione ed il collegamento
funzionale del giro fusiforme (parte del lobo temporale che si occupa del
riconoscimento del viso, delle parole e dei numeri), del Solco Temporale e
dell’amigdala, il cui ruolo nella coloritura emozionale di tutte le esperienze di
un individuo è ben documentato. In epoche successive, l’acquisizione di
competenze coinvolge nuove strutture encefaliche. Uno degli orientamenti
attuali è quello di non considerare la singola struttura encefalica attivata, ma
di ricostruire la rete di strutture che si co-attivano nell’esecuzione di
determinati compiti.
I fattori etiologici. Alcuni fattori sembrano assumere un ruolo etiologico
nella determinazione del quadro clinico. Si tratta di: patologie legate alla
gravidanza e al parto; alterazioni neurochimiche; disfunzioni connesse con il
sistema immunitario; intossicazioni; fattori genetici.
PATOLOGIE LEGATE ALLA GRAVIDANZA E AL PARTO
Noxae patogene legate alla gravidanza, al travaglio o alla fase post-natale,
sono state segnalate come possibili cause, nonostante la maggioranza dei
lavori effettuati in questo senso non hanno confermato questo orientamento.
ALTERAZIONI NEUROCHIMICHE
Diverse ricerche hanno riportato elevati livelli di metaboliti della dopamina
nel sangue, nelle urine e nel liquido cefalo spinale. Ciò ha indotto ad
ipotizzare una disfunzione dopaminergica, in particolare: incapacità di
produrre dopamina, insensibilità o basso numero di ricettori dopaminergici,
impossibilità della dopamina di svolgere le sue funzioni. Anche per quanto
riguarda la serotonina, è stata ipotizzata una disfunzione relativa ad elevati
livelli di serotonina nel sangue e nelle urine. Alcune ricerche, inoltre,
avrebbero messo in evidenza elevati livelli di ossitocina ne sangue e nel
liquido cefalo spinale e un’elevata escrezione urinaria di peptidi.
DISFUNZIONI CONNESSE CON IL SISTEMA INMMUNITARIO
Si tratta di un’area di ricerca che sta suscitando grande interesse in relazione
a: elevata frequenza di affezioni allergiche ed autoimmunitarie nei genitori di
soggetti autistici, presenza di manifestazioni allergiche connesse al sistema
immunitario, presenza di indicatori di processi auto-immunitari in una
significativa percentuale.
INTOSSICAZIONI
Fra le sostanze tossiche è stato spesso enfatizzato il possibile ruolo di metalli
pesanti come il mercurio e la contaminazione ambientale legata all’uso di
pesticidi ed insetticidi. Un’ipotesi molto diffusa è quella della “leaky gut”,
secondo cui, nei soggetti affetti da Disturbo dello spettro autistico, sarebbe
presente un’eccessiva permeabilità dell’intestino, dovuta ad
un’infiammazione a carico della parete intestinale, che dà luogo al passaggio
di alcune sostanze.
FATTORI GENETICI
Sembrerebbero assumere un significato preminente. Per quanto riguarda la
familiarità, infatti, gli studi hanno messo in evidenza: concordanza nei
gemelli variabile dall’86% al 92%; nei fratelli, non gemelli, l’incidenza
sarebbe del 2%; presenza di particolari stili cognitivo-comportamentali,
interpretati come modalità atipiche, fra ascendenti e collaterali. Spesso,
inoltre, un fenotipo comportamentale di tipo autistico viene riscontrato in una
serie di quadri clinici come: la sclerosi tuberosa, la neurofibromatosa, la
fenilchetonuria, la sindrome dell’X fragile.

Diagnosi. Le fasi caratterizzante il percorso diagnostico sono: l’anamnesi,


l’esame clinico generale, l’esame neurologico, l’esame psicologico, le
indagini strumentali e di laboratorio.

L’anamnesi. Riportiamo di seguito i dati che possono assumere una rilevanza


determinante nella conferma diagnostica: presenza nell’anamnesi familiare di
altri casi ascrivibili ad un Disturbo dello spettro autistico; presenza
nell’anamnesi familiare di altri quadri neuropsichiatrici diversi dall’autismo;
consanguineità dei genitori; presenza di noxae patogene in fase pre-natale,
perinatale o post-natale; la presenza di una regressione dello sviluppo.
L’esame clinico generale. Deve avvalersi della documentazione medica
fornita dai genitori e va integrato con un esame finalizzato a mettere in
evidenza segni del tipo: dismorfismi cranio-facciali; macro/microcefalia;
dismorfismi somatici; malformazioni; manifestazioni dermatologiche.
L’esame permette di acquisire informazioni determinanti per la formulazione
delle cause del quadro clinico.
L’esame neurologico. Va effettuato sistematicamente e deve avvalersi di uno
scema procedurale che permetta di prendere in considerazione: i nervi
cranici, il tono muscolare, la forza muscolare,il trofismo muscolare, i riflessi
superficiali e profondi, la coordinazione dinamica generale e la sensibilità.
L’esame fornisce gli elementi necessari per valutare lo stato neurologico del
soggetto e a verificare l’eventuale presenza di quadri clinici
nosograficamente definiti.
L’esame psicologico. Le procedure messe in atto sono rappresentate
dall’osservazione, dal colloquio e dalla somministrazione di reattivi mentali
di livello e proiettivi. Le finalità dell’esame sono: confermare la presenza di
un quadro autistico; valutare la presenza di quadri clinici differenti da quello
autistico, ma che possono simularlo; definire il profilo funzionale del
soggetto e il suo adattamento. Gli strumenti di valutazione maggiormente
utilizzati sono:
• AUTISM DIAGNOSTIC INTERVIEW-REVISED (ADI-R). Si tratta di
un’intervista semi- strutturata da somministrare ad uno o entrambi i genitori
da parte di un operatore; l’obiettivo è quello di fornire un quadro clinico che
prenda in esame i comportamenti del soggetto in tutti gli abituali contesti di
vita al fine di individuare gli elementi utili a formulare una diagnosi di un
disturbo dello spettro autistico. L’intervista, inoltre, non si limita ai soli
comportamenti correnti, ma cerca di ricostruire il percorso evolutivo del
soggetto. In un tempo (2 ore circa) un operatore riesce ad attribuire un
punteggio in rapporto ad un algoritmo diagnostico che prevede a discriminare
fra autismo/non autismo.

AUTISM DIAGNOSTIC OBSERVATION SCHEDULE (ADOS). Può


essere utilizzato a partire dai 2 anni ed è un esame complementare a quello
precedente e si basa sull’osservazione diretta e standardizzata del bambino.
Si struttura in moduli (prove selezionate in base all’età e al livello linguistico)
che esplorano il comportamento sociale in contesti comunicativi naturali. La
somministrazione richiede dai 30 ai 45 minuti e procedure di convalida
specifiche.
• CHILDHOOD AUTISM RAITING SCALES-SECOND EDITION
(CARS2). Si tratta di una scala di valutazione del comportamento autistico
che permette di esplorare 15 aree di sviluppo (imitazione, affettività, utilizzo
del corpo, reazioni d’ansia, etc), attraverso la raccolta di informazioni in
contesti vari. Ad ogni area viene assegnato un punteggio da 1 a 4. Per
determinare il grado di anormalità nelle aree di sviluppo analizzate,
l’esaminatore deve considerare le caratteristiche la frequenza, l’intensità e la
durata del comportamento considerato; la somma dei punteggi riportati in
ciascun area può variare da 15 a 60. Lo strumento può essere utilizzato a
partire dai 2 anni.
Le indagini strumentali e di laboratorio. Rappresentano un completamento
dell’approfondimento diagnostico e sono: EEG, Risonanza Magnetica
Encefalo; Test screening per malattie congenite del metabolismo; consulenza
genetica con relative indagini genetiche; consulenza oculistica; consulenza
foniatrica; consulenza gastro-enterologica pediatrica.

Terapia. Risulta necessaria la formulazione di un PTP. Bisogna tenere


infatti, in considerazione che determinate proposte terapeutiche possono
essere valide per un bambino, ma non per un altro. Allo stesso modo non
esiste un intevento valido per tutte le età o che può rispondere a tutte le
molteplici esigenze direttamente e indirettamente legate all’Autismo.
Risulta molto importante garantire la continuità e la qualità del percorso
terapeutico attraverso:

 il coinvolgimento dei genitori in tutto il percorso;

 la scelta in itinere degli obiettivi intermedi da raggiungere e quindi


degli interventi da attivare;

  il coordinamento, in ogni fase dello sviluppo, dei vari interventi


individuati per il conseguimento degli obiettivi;

 la verifica delle strategie messe in atto all’interno di ciascun intervento.

Le strategie comunemente suggerite ed adottate, anche se variabili in


rapporto ad una serie di fattori, quali l’età o il grado di compromissione
funzionale, possono essere fatte rientrare in due grandi categorie:

- Approcci comportamentali;

- Approcci evolutivi.

GLI APPROCCI COMPORTAMENTALI

Tra gli approcci comportamentali ricordiamo :l’analisi del comportamento


applicata (Applied Behaviour Analysis = ABA) e il Treatment and Education
of Autistic and related Communication Handicapped Children (TEACCH).
L’analisi del comportamento (Behavior Analysis) è lo studio del
comportamento, dei cambiamenti del comportamento e dei fattori che
determinano tali cambiamenti. L’analisi del comportamento applicata
(Applied Behavior Analysis = ABA) è l’area di ricerca finalizzata ad
applicare i dati che derivano dall’analisi del comportamento per comprendere
le relazioni che intercorrono fra determinati comportamenti e le condizioni
esterne. In questa prospettiva l’“analista comportamentale” utilizza i dati
ricavati per formulare teorie relative al perché un determinato
comportamento si verifica in un particolare contesto e, conseguentemente,
mette in atto una serie di interventi finalizzati a modificare il comportamento
e/o il contesto. Le informazioni ricavate dall’analisi del comportamento,
pertanto, vengono utilizzate in maniera propositiva e sistematica per
modificare il comportamento.

L’ABA prende in considerazione i seguenti 4 elementi:

 gli antecedenti (tutto ciò che precede il comportamento in esame);

 il comportamento in esame (che deve essere osservabile e misurabile);

  le conseguenze (tutto ciò che deriva dal comportamento in esame);

 il contesto (definito in termini di luogo, persone, materiali, attività o


momento del giorno) in cui il comportamento si verifica.

Il programma di intervento viene realizzato su dati che emergono dall’analisi,


utilizzando le tecniche abituali della terapia del comportamento: la
sollecitazione (prompting), la riduzione delle sollecitazioni (fading), il
modellamento (modeling), l’adattamento (shaping) e il rinforzo.
Fin dalla fine degli anni 60 sono stati utilizzati per bambini autistici approcci
basati sull’ABA, finalizzati ad insegnare specifiche competenze con lo scopo
di migliorare la socializzazione, la comunicazione ed il comportamento
adattivo. In particolare, Lovaas, che è stato fra i primi ad utilizzare tale
approccio (Lovaas et al., 1979), ha progressivamente elaborato un protocollo
di trattamento altamente strutturato: il Discrete Trial Training (Lovaas,
1981). Si tratta di un intervento che prevede una serie di sedute per un totale
di 40 ore settimanali. Ciascuna seduta, a sua volta, prevede una serie di trial
altamente strutturati. Il trial è un evento di apprendimento, in cui il bambino
è stimolato a rispondere ad un specifico comando o “stimolo”.
In linea con il Discrete Trial Training esistono diversi altri programmi,
accomunati da due presupposti di fondo:

 la necessità di un insegnamento altamente strutturato, con un rapporto


1:1, in un ambiente specificamente organizzato;

 l’incapacità del bambino autistico di apprendere in un contesto


“naturale”, che spesso funziona solo da “distrattore”.

Nel corso di questi ultimi anni è stato progressivamente riconosciuto che un


programma eccessivamente strutturato comporta notevoli problemi di
“generalizzazione” delle competenze apprese al di fuori del setting di
apprendimento. Peraltro, è stato riconosciuto che il bambino autistico può
apprendere molto di più di quanto comunemente ritenuto in ambienti
“naturali”, in maniera incidentale. Pertanto, esiste una tendenza ad
utilizzare il paradigma dell’ABA implementandolo negli ambienti che
“naturalmente” il bambino frequenta (famiglia, scuola, attività del tempo
libero). Ciò comporta, evidentemente, il coinvolgimento dei genitori, dei
fratelli, degli insegnanti e dei coetanei, con opportuni training per
l’implementazione dei programmi di intervento sul bambino. Tale tendenza,
peraltro, traduce l’orientamento verso un tipo di intervento sempre più
“centrato sul bambino”, sulla stimolazione della sua iniziativa e sulla
facilitazione del suo sviluppo sociale (Prizant et al., 1998).

L’altro approccio comportamentale a cui facciamo riferimento è il Treatment


and Education of Autistic and related Communication Handicapped
Children (TEACCH) - University of North Carolina School of Medicine at
Chapel Hill. Il programma TEACCH prevede un
insegnamento strutturato basato sull'approfondita valutazione dei punti di
forza e di debolezza di ciascun bambino e su alcuni principi di carattere
generale: l’organizzazione dell'ambiente fisico, la scansione precisa delle
attività, la valorizzazione degli ausili visivi e la partecipazione della famiglia
al programma d'intervento.

L'obiettivo è il potenziamento delle autonomie del soggetto e il


miglioramento della sua qualità di vita personale, sociale e lavorativa. I
genitori sono considerati la fonte più attendibile di informazioni sul proprio
bambino e vengono coinvolti nel programma di trattamento, sia per
consentire la generalizzazione delle competenze acquisite sia per garantire
una coerenza di approccio in ogni attività di vita del soggetto (Schopler et al.,
1980; Schopler et al., 1983). Il programma TEACCH, pur utilizzando
tecniche comportamentali come il rinforzo, non è di tipo strettamente
comportamentale: infatti, piuttosto che forzare il bambino a modificare il
comportamento attraverso la ripetitività e il rinforzo positivo o negativo, si
preferisce modificare l'ambiente in modo che l'apprendimento sia reso più
agevole (Marcus et al., 2000). Secondo i sostenitori del modello, adattare
l'ambiente alla persona e presentargli progressivamente le difficoltà, significa
rispettare la persona nella sua diversità.

GLI APPROCCI EVOLUTIVI (O INTERATTIVI)

Gli approcci evolutivi (o interattivi) si muovono in una cornice concettuale


completamente differente rispetto ai precedenti. Nella filosofia di questo tipo
di programmi è implicita l'importanza della dimensione emozionale e
relazionale in cui si realizza l’agire del bambino. Normalmente le diverse
aree dell’emotività, delle funzioni cognitive , delle competenze comunicative
e così via, evolvono e si influenzano reciprocamente definendo un sistema
dinamico che non può essere considerato la semplice somma delle
componenti che partecipano alla sua realizzazione. Si tratta, anche, di un
sistema dinamico “aperto”, che in relazione all’apporto esperenziale si attesta
su livelli funzionali progressivamente più evoluti, senza che sia possibile
individuare quale delle modifiche dei singoli componenti sia maggiormente
determinante. In questa prospettiva l’intervento si caratterizza come un
intervento “centrato sul bambino” per favorire la sua libera espressione, la
sua iniziativa, la sua partecipazione. In questa prospettiva, l’ambiente non è
solo concepito come uno spazio fisico in cui implementare i programmi di
intervento secondo i principi dell’ABA, ma assume di per se stesso una
valenza “terapeutica”, in quanto luogo privilegiato di interazione, di scambio
e di conoscenza. Un contesto naturale rappresenta la premessa indispensabile
per attivare l’espressività, l’iniziativa e la partecipazione del bambino e
favorire quindi una proficua utilizzazione dell’apporto esperenziale. Peraltro,
in accordo a questi aspetti di inscindibilità fra cognitivo, emozionale,
comunicativo e relazionale, il ruolo degli operatori preposti alla realizzazione
del progetto diventa critico non solo per gli “esercizi” che possono
somministrare, ma per il loro modo di porsi e di relazionarsi.

I modelli, che fanno riferimento a tali approcci sono:

Denver Model at the University of Colorado Health Sciences Center.

Il modello sostenuto da Sally Rogers (Rogers et al., 2000) utilizza strategie


che rientrano nell’”approccio evolutivo”. In particolare, viene enfatizzato il
ruolo del gioco, inteso come modalità di apprendimento che può promuovere:

 processi di assimilazione e generalizzazione di una serie di pattern


cognitivi, comunicativi e linguistici;

 potenziamento delle relazioni sociali attraverso l’adulto, che si fa


promotore di relazioni e facilita quelle tra pari;

 sviluppo di affetti positivi, che vengono stimolati nel bambino per


renderlo più motivato all’interno delle attività psicopedagogiche;

 sostegno della comunicazione, che viene elicitata e potenziata sia a


livello verbale che non verbale;

 sviluppo del pensiero simbolico attraverso attività di gioco;

 ricorso a routine ed ambienti strutturati, che forniscano una sorta di


regolazione esterna.

In effetti, tale modello, nata nell’ambito di un’esperienza pilota in un’unità


operativa specifica, è stato dal 1998 implementato nei contesti naturali
della famiglia e della scuola.

Developmental Intervention Model at the George Washington University


School of Medicine.
Il Developmental Intervention Model (Greenspan et al., 1999) è basato
sull’identificazione del livello di sviluppo funzionale ed emotivo raggiunto
dal bambino, le differenze individuali nelle modalità di processare le
informazioni sensoriali e motorie, la tipologia di relazioni che il bambino
stabilisce con le figure adulte di riferimento. Il cuore del trattamento (“floor
time”) è lo sviluppo funzionale di modalità interattive che mirano a stabilire
ed incrementare sempre di più circoli di comunicazione, capaci di espandere
sia la gamma di stati emotivi, sia le competenze di comunicazione e di
simbolizzazione del bambino, partendo dal presupposto che la “lezione
emotiva” precede la “lezione cognitiva”.

La Thérapie d’Echange et de Développment (TED) dell’Université


François Rabelais, CHU de Tours.
Il metodo di trattamento TED, ideato da Lelord (Lelord et al., 1978) e
progressivamente rielaborato dal gruppo di Tours (Barthélèmy et al., 1995),
consiste in un programma di stimolazione precoce, individualizzato,
focalizzato su alcune funzioni, quali attenzione, percezione, motricità,
imitazione, comunicazione, regolazione. E’ basato sui principi di tranquillità
(la seduta avviene in una stanza con pochi arredi, priva di stimoli visivi per
favorire l’attenzione del bambino e la decodifica dei messaggi), disponibilità
dell’operatore e reciprocità (viene stimolata la comunicazione attraverso
giochi e attività che comportino scambio di oggetti, gesti e vocalizzi o parole
tra terapisti e bambini). Prevede, inoltre, un ambiente stabile, prevedibile e
rassicurante, con precise sequenze temporali delle attività.

La terapia della neuro e psicomotricità – abitualmente utilizzata in Italia –


rientra nell’ambito di tali approcci. In particolare, essa rappresenta una
proposta terapeutica che si propone i seguenti obiettivi:

 favorire la comparsa di segnalatori sociali (contatto oculare, sguardo


referenziale, sorriso, etc.);

 aumentare i tempi di attenzione;

  facilitare un uso più appropriato degli oggetti;

 stimolare la comunicazione;

 arricchire il vocabolario;
 scoraggiare determinati comportamenti (iperattività, stereotipie
motorie, condotte autolesive, etc.).

La terapia della neuro e psicomotricità inoltre si configura come una prassi


terapeutica che privilegia una modalità di approccio in grado di facilitare nel
bambino:

 la percezione e la "conoscenza" di Sé come persona;

 la percezione e la "conoscenza" dell'Altro;

  la percezione e la "conoscenza" delle emozioni che sottendono i vari


comportamenti;

 la percezione e la "conoscenza" delle "leggi" emozionali e sociali che


regolano i rapporti interpersonali.

TERAPIE FARMACOLOGICHE

Al momento la letteratura è concorde nell’affermare che non esistono farmaci


specifici per la cura dell’autismo (attivi cioè sul disturbo dello sviluppo in
sé). Pertanto, l’approccio farmacologico ha valenza sintomatica, nel senso
che i farmaci possono essere usati su alcuni aspetti comportamentali associati
con frequenza all’autismo (iperattività, inattenzione, compulsioni e rituali,
alterazioni dell’umore, irritabilità, disturbi del sonno, auto- e etero-
aggressività), oltre che nel caso di una sindrome epilettica.

In linea generale gli obiettivi di un trattamento farmacologico devono essere:

 il miglioramento della qualità della vita del bambino e della sua


famiglia;

 la facilitazione dell’accesso ai trattamenti non medici;

 il potenziamento degli effetti dei trattamenti non medici;


 la prevenzione di comportamenti auto e etero-aggressivi;

 il trattamento di manifestazioni collaterali e associate in comorbidità.


Non avendosi ancora dati sufficienti su trattamenti prolungati in età
evolutiva, l'indicazione all'utilizzo del farmaco é quella di impiegarlo
all’interno di cicli terapeutici

definiti, con l’obiettivo di intervenire sulle fasi di acuzie o recrudescenza di


sintomi particolarmente invalidanti, o con l’obiettivo di facilitare la
mobilizzazione del quadro in alcune fasi critiche dello sviluppo del bambino,
analogamente a quanto si fa per altri interventi terapeutici.
La molteplicità fenomenica del disturbo autistico e le scarse conoscenze circa
la patogenesi di tale disturbo giustificano i molteplici tentativi terapeutici con
sostanze farmacologicamente anche molto diverse tra di loro, di cui si è
cercato di volta in volta di sfruttare l'attività specifica su un sintomo. Le
indicazioni del farmaco non devono però basarsi solo sui comportamenti o
sintomi, ma devono prendere in considerazione i diversi nuclei
psicopatologici. Il trattamento farmacologico deve quindi essere preceduto da
una attenta analisi funzionale del disturbo, che evidenzi i nuclei bersaglio,
che possono essere molto diversi nei vari soggetti anche con sintomatologia
apparentemente sovrapponibile.
Bisogna inoltre tener presente che le risposte ai farmaci sono molto
differenziate nei singoli casi, e su queste influiscono anche l’età cronologica,
il funzionamento cognitivo e eventuali componenti neurologiche conclamate.
La scelta di un farmaco non deve mai essere l’unica opzione nel trattamento
di questi disturbi: il farmaco deve essere inserito in un contesto terapeutico
globale e le sue finalità, come anche gli eventuali effetti collaterali, devono
essere chiaramente spiegate ai genitori (consenso informato). Occorre inoltre
intensificare la frequenza dei controlli nel corso del trattamento
farmacologico. E’ da ricordare l’inopportunità di basare il giudizio sulla
efficacia di un farmaco su pochi casi o su una casistica di adulti.
Al momento non c’è un farmaco che si sia dimostrato efficace in tutti i casi di
autismo e resta ancora da provare la reale incidenza del trattamento
farmacologico sulla storia naturale del disturbo autistico.
Tra i più usati, e più ampiamente studiati, sono i Neurolettici (Aloperidolo,
Clorpromazina, Risperidone, Pimozide) che riducono l’agitazione,
l’aggressività, i comportamenti ripetitivi e, conseguentemente, agiscono sulla
chiusura relazionale.

.
SINDROMI PARTICOLARI CON FENOTIPO AUTISTICO.
Il Disturbo di Rett. Interessa il sesso femminile e presenta alcuni elementi
caratterizzanti quali; iniziale sviluppo normale con comparsa di un arresto
dello sviluppo psicomotorio (dai 6 ai 18 mesi), comparsa di comportamenti
autistici, difficoltà nella coordinazione dinamica generale e particolari
stereotipie a livello della mano. Tali stereotipie possono essere caratterizzate
da: portare
va periodicamente valutato e riformulato in rapporto alle esigenze che di
volta in volta si
e mantenere le mani in bocca, battere le mani, imprimere alle mani posture
bizzarre. Dai 12 mesi ai 4 anni compaiono, inoltre, irregolarità del ritmo
sonno-veglia, irregolarità della respirazione e situazioni di irritabilità.
Successivamente, dopo i 4 anni, si ha un parziale recupero dell’interazione
sociale, mentre il ritardo mentale si rende manifesto con un’accentuazione
dei sintomi neurologici. La componente genetica gioca un ruolo determinante
nella definizione della sindrome ed è legata ad una mutazione del cromosoma
X (Xq28). La sindrome di Rett presenta 4 stadi caratterizzanti: iniziale arresto
dello sviluppo (6-18 mesi); regressione rapida (1-4 anni); periodo pseudo
stazionario (recupero parziale della comunicazione); deterioramento motorio
tardivo (inabilità nella deambulazione e grave disabilità).
Il Disturbo di Asperger. Si tratta di un quadro clinico caratterizzato dalla
compromissione dell’interazione e della comunicazione sociale. Viene
messo, inoltre, in evidenza un repertorio di attività ed interessi ridotto. Il
soggetto, tuttavia, presenta un livello intellettivo nella norma ed un
linguaggio normostrutturato. Viene, pertanto, solitamente diagnosticato con
l’ingresso nella scuola primaria. L’evoluzione a lungo termine è positiva,
anche se, spesso l’ingresso nell’età adolescenziale può determinare la
comparsa di quadri neurologici gravi come depressione, disturbi d’ansia o
quadri psicotici.

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