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RELATORE
Fabio Apicella
CANDIDATO
Shantala Tomei
Capitolo 5: il trattamento…………………………………………………………………
5.1 Il trattamento TEACCH p. 40
Conclusioni…………………………………………………………………………… p. 45
Ringraziamenti………………………………………………………………………...p. 51
CAPITOLO 1: I Disturbi dello Spettro Autistico
Il Disturbo dello Spettro Autistico (in inglese Autism Spectrum Disorders, ASD) è incluso
nella macrocategoria diagnostica, appartenente al DSM-5, dei Disturbi del Neurosviluppo
(American Psychiatric Association, 2013). I Disturbi Del Neurosviluppo consistono in
anomalie dello sviluppo che causano una compromissione del funzionamento personale,
sociale, scolastico e/o lavorativo. Alcune condizioni prevedono un quadro clinico che
comprende sintomi di eccesso, ma anche deficit e ritardi nel raggiungimento delle fasi di
crescita attese. L’individuo, perciò, risulta incapace di adattarsi alle circostanze e di
soddisfare gli standard di autonomia e di responsabilità sociale in uno o più aspetti della vita
quotidiana.
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2) Insistenza nella sameness (immodificabilità), ossia un’eccessiva aderenza a
routine prive di flessibilità, a pattern ritualizzati di comportamenti verbali o non
verbali, oppure una spropositata resistenza al cambiamento (i.e. estremo disagio
di fronte a piccoli cambiamenti, difficoltà nelle fasi di transizione, schemi di
pensiero rigidi, necessità di percorrere la stessa strada, di mangiare i soliti
alimenti ogni giorno).
3) Interessi altamente ristretti e limitati, atipici per intensità o per focalizzazione
(come forte attaccamento o preoccupazione per oggetti insoliti, interessi
estremamente circoscritti o perseverativi).
4) Iper- o ipo-sensibilità a input sensoriali o interessi insoliti verso aspetti sensoriali
dell’ambiente (per esempio: apparente indifferenza al dolore/ temperatura,
reazione di avversione nei confronti di specifici suoni o consistenze tattili,
annusare o toccare oggetti in modo eccessivo, essere affascinati da luci o da
oggetti che ruotano).
C. I sintomi devono essere presenti nel periodo precoce di sviluppo (infanzia), ma
possono non manifestarsi pienamente prima che le richieste sociali eccedano le
capacità limitate, o possono essere mascherati da strategie apprese in età successiva.
D. I sintomi causano compromissione clinicamente significativa del funzionamento
quotidiano, in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti (vedi tabella 1).
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un interesse ridotto per le
interazioni sociali.
LIVELLO 2: “È Deficit marcati delle abilità di Inflessibilità di
necessario un supporto comunicazione sociale verbale comportamento, difficoltà
significativo” e non verbale; compromissioni nell’affrontare i
sociali visibili anche in cambiamenti o altri
presenza di supporto; avvio comportamenti
limitato delle interazioni ristretti/ripetitivi sono
sociali; reazioni ridotte o sufficientemente frequenti
anomale alle aperture sociali da essere evidenti a un
da parte di altri. osservatore casuale e
interferiscono con il
funzionamento in diversi
contesti. Disagio/difficoltà
nel modificare l’oggetto
dell’attenzione o l’azione.
LIVELLO 3: “È Gravi deficit delle abilità di Inflessibilità di
necessario un supporto comunicazione sociale, comportamento, estrema
molto significativo” verbale e non verbale, causano difficoltà nell’affrontare il
gravi compromissioni del cambiamento o altri
funzionamento, avvio molto comportamenti
limitato delle interazioni ristretti/ripetitivi
sociali e reazioni minime alle interferiscono in modo
aperture sociali da parte di marcato con tutte le aree del
altri. funzionamento. Grande
disagio/difficoltà nel
modificare l’oggetto
dell’attenzione o l’azione.
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è necessario che il livello di comunicazione sociale sia inferiore a quanto atteso per
il livello di sviluppo generale.
I ASD interferiscono con la vita dell’individuo e con il suo ambiente. Tale interferenza,
comunque, è influenzata dal livello di gravità della condizione autistica, dallo stadio di
sviluppo raggiunto e dall’età cronologica del bambino. A tal proposito, viene introdotto da
Lorna Wing e Judith Gould, intorno agli anni ’90 del secolo scorso, il termine “spettro” per
sottolineare la varietà delle manifestazioni cliniche e biologiche del disturbo (CNOP, 2019;
APA 2013).
Nel manuale dei Disturbi dello Spettro dell’Autismo di Hollander, Hagerman e Fein (2019)
e nel DSM-5 (APA, 2013) sono elencati “campanelli d’allarme” per la diagnosi di autismo:
i comportamenti ripetitivi, intesi come stereotipie motorie semplici (di braccia, mani, gambe,
testa e tronco), come uso ripetitivo di oggetti (i.e. far ruotare utensili, mettere in fila i
giocattoli) ed eloquio ripetitivo (come l’ecolalia, ripetizione ritardata o immediata delle
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parole; uso stereotipato di parole, frasi o pattern prosodici). Un altro marker specifico è
rappresentato dalle anomalie del contatto oculare (riduzione o totale assenza), in quanto
discriminano l’autismo dalla Disabilità Intellettiva (APA, 2013; Fein, Hagerman, &
Hollander, 2019; Vivanti, 2010). Queste portano, successivamente, ad un’alterazione
dell’attenzione congiunta, che si manifesta con una scarsa capacità di indicare, mostrare o
portare con sé oggetti per condividere un interesse con gli altri (APA, 2013; Fein, Hagerman,
& Hollander, 2019; Vivanti, 2010). La compromissione dell’attenzione condivisa ha effetti
negativi su alcune competenze, ad esempio la comprensione (o l’anticipazione) delle azioni
di una persona, l’apprendimento del linguaggio. È risultata inoltre palese, durante la
comunicazione sociale, un’inadeguata integrazione del contatto visivo, dei gesti, della
postura del corpo, della prosodia e delle espressioni del viso (APA, 2013; Fein, Hagerman,
& Hollander, 2019; Vivanti, 2010). A causa di ciò, nel bambino non si sviluppa il gioco
sociale condiviso e di immaginazione (i.e. il gioco del “fare finta di…”); piuttosto egli si
focalizza su regole fisse e molto rigide o predilige attività solitarie. Tutto questo andrà ad
inficiare l’interesse sociale da parte dell’individuo autistico, interesse che si manifesta con
caratteri ridotti, atipici o, in casi più gravi, con una sua assenza. Infatti, sono stati osservati
modi comportamentali quali il rifiuto degli altri, la passività, l’adozione di approcci
inappropriati per cui diventano aggressivi o distruttivi (APA, 2013; Fein, Hagerman, &
Hollander, 2019; Vivanti, 2010).
1.1 Epidemiologia
Ufficialmente, l’autismo esiste solo dal 1943 grazie a Leo Kanner, uno psichiatra austriaco
emigrato negli Stati Uniti, il quale descrisse un particolare gruppo di undici bambini di età
compresa tra i 2-11 anni, portatori di caratteristiche insolite ed affascinanti (CNOP, 2019;
Vivanti, 2010). Egli parla per la prima volta del cosiddetto “Disturbo Autistico Innato del
Contatto Affettivo”, fino ad allora sconosciuto al mondo scientifico, ipotizzando che fosse
causato da un’alterazione congenita dello sviluppo del cervello (CNOP, 2019; Vivanti,
2010). Dopodiché, le prime indagini epidemiologiche sull’autismo sono state avviate in
Inghilterra intorno alla metà degli anni ’60 del secolo scorso (Lotter 1966, 1967), dando
l’avvio ad altri studi portati avanti in più di 20 Paesi (Fombonne 2003, 2005; Williams et al.
2006; Fombonne et al. 2011; Elsabbagh et al. 2012; French et al. 2013; Hill et al. 2014).
Studi epidemiologici recenti risentono di una serie di difficoltà dei ricercatori nel misurarne
i tassi di prevalenza (Fein, Hagerman, & Hollander, 2019), dal momento che vengono
incluse anche quelle sindromi simili all’autismo che però non soddisfano tutti i criteri
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diagnostici: deficit dell’interazione sociale reciproca, della comunicazione e
dell’immaginazione (Wing e Gould, 1979); il ritardo mentale autistico (Hoshino et al. 1982);
le psicosi infantili borderline (Brask, 1970); e le sindromi autistic-like (Burd et al. 1987).
Alcuni studi hanno stimato una prevalenza media di circa 70 per 10. 000 (equivalenze: 7,0/
1000 o 0.7%) che corrisponde ad 1 bambino su circa 142 con diagnosi di ASD (Fein,
Hagerman, & Hollander, 2019). Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni’90, è stato
osservato un incremento continuo, nella maggior parte dei Paesi, di diagnosi di ASD
(Elsabbagh et al., 2012; McDonald & Paul, 2010). In effetti, la prevalenza dei Disturbi Dello
Spettro Autistico è aumentata e fa riferimento ad un intervallo che va dallo 0,9% all’1,5%
(Fombonne, 2020; Meng-Chuan, Anagnostou, Wiznitzer, Allison, & Baron-Cohen, 2020).
Tutto questo è spiegato dai seguenti aspetti: nuovi sistemi e metodologie di riferimento, la
disponibilità dei servizi, l’accresciuta consapevolezza pubblica (soprattutto quella degli
operatori sanitari, i quali hanno potuto raffinare le proprie abilità diagnostiche) (Fein,
Hagerman, & Hollander, 2019; Fombonne, 2020). Questi dati di fatto correlano poi
all’incremento dell’accesso alla neuropsichiatria, alla diminuzione dell’età rispetto al
conseguimento della diagnosi, alle modificazioni nel tempo della concettualizzazione di
ASD e delle pratiche diagnostiche (Fein, Hagerman, & Hollander, 2019), infine al reale
aumento del 30% del numero delle già menzionate etichette diagnostiche (l'ultima stima
della prevalenza di ASD - una su 59, ovvero l'1,7%) rispetto a quello su 88 riportato nel 2008
e un aumento del 50% rispetto a quello su 150 rate nel 2000 (Narzisi, et al., 2018). Ad oggi,
questa situazione ha colpito 1 su 59 bambini per quanto riguarda l’anno 2019, mentre per il
2020 è prevista una stima che si aggira intorno ad 1 bambino su 40 (Theoharides, Maria
Kavalioti, & Tsilioni, 2019). I tassi di prevalenza, inoltre, possono essere influenzati a
seconda dell’utilizzo dei servizi per l’età evolutiva. I bambini che appartengono a famiglie
con un basso status socio-economico e culturale, tendono ad essere “sottostimati” e pertanto
avranno un minor accesso ai servizi sanitari (Shi e Stevens, 2005), al contrario dei bambini
appartenenti a livelli sociali con una maggior alfabetizzazione sanitaria (significativamente
associati a diagnosi di autismo senza disabilità intellettiva) (Tsai et al. 1982). A tal proposito,
è in parte giustificato il dato per cui le minoranze etniche manifestano tassi più bassi di ASD
rispetto alle popolazioni occidentali (Lipta et al. 2008; Mandell et al. 2009), in quanto uno
status socio-economico di basso profilo, solitamente, è correlato ad uno scarso accesso
all’assistenza sanitaria (Fein, Hagerman, & Hollander, 2019).
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I sintomi, generalmente, risultano più evidenti intorno al periodo del secondo anno di vita
(24 mesi), ma possono essere osservanti anche prima (12 mesi), se il ritardo dello sviluppo
è grave (APA, 2013). Di solito, il bambino mostra indifferenza, apatia, mancanza di
iniziativa e di scambi prolungati, non è presente la risposta al nome o il pointing (APA, 2013;
Fein, Hagerman, & Hollander, 2019; Vivanti, 2010). Ancora, è possibile che il disturbo si
manifesti dopo un periodo di sviluppo apparentemente normale del bambino, a cui sussegue
un’improvvisa perdita di competenze (APA, 2013; CNOP, 2019; Landa et al., 2013; Pearson,
Charman, Happe, Bolton e McEwen, 2018). Comunque, il Disturbo dello Spettro
dell’Autismo non ha un decorso di tipo degenerativo, bensì può andare incontro a notevoli
miglioramenti, qualora all’individuo siano proposti, precocemente, trattamenti life-span
personalizzati e multidisciplinari (APA, 2013; Fein, Hagerman, & Hollander, 2019).
Ad oggi, non è ancora possibile identificare le concause, considerate punto di partenza del
Disturbo Dello Spettro Autistico. Al momento, la comunità scientifica internazionale
ipotizza un'origine multifattoriale, in cui le alterazioni genetiche avrebbero un ruolo
principale e verrebbero favorite o amplificate, nella loro espressione da altri fattori
ambientali, sia di tipo biologico, sia esperienziale, che psicologico, con grande variabilità da
una persona all'altra. Tale interazione darebbe luogo a trasformazioni strutturali e funzionali
del sistema nervoso centrale, a partire dalla vita intrauterina e con evoluzione più o meno
rapida e marcata (CNOP, aprile 2019; Bakroon & Lakshminarayanan, 2016).
È stato dimostrato dagli studi sui gemelli che il Disturbo dello Spettro Autistico è in parte
ereditabile (Ronald, Happé, S. Price, Baron Cohen, & Plomin, 2006; Sealey, et al., 2016): i
gemelli monozigoti mostrano tassi di concordanza più elevati (92%) rispetto ai gemelli
dizigotici ASD (10%) (APA, 2013; Bakroon & Lakshminarayanan, 2016; Sealey, et al.,
2016; Venerosi, 2016). I risultati suggeriscono che l'autismo può essere causato da una
moltitudine di varianti genetiche rare, ereditarie o de novo, a singolo nucleotide (SNV) o
varianti del numero di copie (CNV), riscontrate nel 10-20% degli individui, che
interferiscono con i percorsi biologici di sviluppo del cervello e della plasticità neuronale
(Baron‐Cohen, 2017; Sealey, et al., 2016; Vorstman, et al., 2017). In aggiunta, il contributo
delle varianti ereditarie comuni all'eziologia degli ASD è stimato tra il 15% e il 50% (i.e. i
polimorfismi a singolo nucleotide -SNP-) (Baron‐Cohen, 2017; Huguet, Benabou e
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Bourgeron, 2016; Vorstman, et al., 2017). Molto spesso si ritrovano sindromi genetiche
associate all’etichetta ASD come la Sindrome di Angelman, la sclerosi tuberosa, la
fenilchetonuria, la rosolia congenita, la sindrome di Rett e Sindrome dell'X fragile
(quest’ultime sono sindromi simil-autistiche con le quali è possibile fare diagnosi
differenziale) (CNOP, 2019; Gottfried, et al., 2013; Grossi, Migliore, & Muratori, 2018;
Lynnan Cohen Brennan. 2010; Sealey, et al., 2016; Sherifi, 2018; Vorstman, et al., 2017).
Comunque, le anomalie genetiche associate al Disturbo dello Spettro Autistico sono
numerose e coinvolgono quasi tutti i cromosomi; generalmente vengono descritte tre
principali categorie: alterazioni della quantità numerica o della conformazione dei
cromosomi, variazioni del numero di ripetizioni di sequenze geniche e anomalie di un
singolo gene (CNOP, 2019).
Fra i fattori ambientali biologici prenatali principalmente trattati dalla letteratura scientifica
si evidenziano l’età avanzata dei genitori nel momento del concepimento (Mandy & Lai,
2016; Sealey, et al., 2016) e le infezioni intrauterine (i.e. virus neurotropi, i problemi allergici
o autoimmunitari), confermate ulteriormente dagli esperimenti sui roditori (APA, 2013;
CNOP, 2019; Sealey, et al., 2016). In questi animali sembra che le infezioni virali
gestazionali scatenino una risposta immunitaria materna, che può perturbare lo sviluppo del
cervello fetale, almeno in parte attraverso l'interleuchina-6 (Smith, Li, Garbett, & Patterson,
2007). Per di più, Voineagu et al. (2011), confermato poi da Sealey et al. (2016), hanno
ipotizzato un’associazione fra disregolazione neuro-immunitaria e alterato sviluppo del
cervello negli autistici: l'esposizione a sostanze tossiche, durante il periodo prenatale, può
interferire con il regolare sviluppo immunitario e neurale (Lawler et al. 2004; Pessah et al.
2008, 2010; Stafstrom et al. 2012). Ad esempio, l’esposizione del feto a valproato,
soprattutto nel primo trimestre di gravidanza, aumenta il rischio di manifestare ASD
(Christensen, et al., 2013; Gottfried, et al., 2013; Mandy & Lai, 2016; Meador & Loring,
2013; Roullet, Lai, & Foster, 2013). Ancora, l’esposizione a particolari farmaci, gli
antidepressivi, è risultata clinicamente significativa: in questo caso, il farmaco selettivo per
gli inibitori del reuptake della serotonina, durante il secondo/ terzo trimestre di gestazione,
aumenta significativamente il rischio di ASD (Croen LA, 2011; Boukhris, Sheehy, Mottron,
& Bérard, 2016; Andrade, 2017; Mandy & Lai, 2016; Mezzacappa, et al., 2017),
l'ipertensione gestazionale, il diabete gestazionale materno, la probabilità di malformazioni
congenite, la prematurità, l'eccesso di testosterone nel liquido amniotico, la minaccia di
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aborto e l'emorragia durante la gravidanza (Baron-Cohen, 2002; Meyer et al., 2007;
Patterson, 2008; Gardener H, 2009; Angelidou et al., 2012; Fox-Edmiston et al., 2015;
Wang, Geng, Liu, & Zhang, 2017; Wood et al., 2015). Per quanto riguarda, invece, i fattori
perinatali, sono rappresentati soprattutto da problemi ostetrici, come la durata anomala della
gestazione, l'induzione farmacologica del parto, esposizione ad un’eccessiva quantità di
ormoni maschili, la sofferenza fetale e l'asfissia perinatale (CNOP, 2019; Sealey, et al., 2016;
Wang, Geng, Liu, & Zhang, 2017). I bambini che nascono da gestazioni inferiori alle 28
settimane hanno in generale un rischio elevato di presentare problemi neuropsichici; il
rischio rimane alto fino alla 33a settimana in riferimento più specifico all'autismo. (CNOP,
2019; Gardener H S. D., 2011; Pauline Chaste, 2012; Gregory et al., 2013; Miranda et al.,
2014; Rosenstein et al., 2014; Groer et al., 2015; Wang, Geng, Liu, & Zhang, 2017; Weisman
et al., 2015). Nei fattori post-natali ritroviamo il basso peso alla nascita (cioè basso
punteggio di Apgar), l’emorragia post-partum, esposizioni tossiche nell’ambiente
(piombo, metilmercurio, bifenili-policlorurati (PCB), arsenico; manganese, insetticidi
organofosfati (DDT) e alcol etilico), il sesso maschile, la rottura dell'equilibrio fra la
produzione e l'eliminazione di sostanze ossidanti (quest’ultime sono dannose per le cellule
nervose), deficit di vitamina D, infiammazioni post-natali da sostanze chimiche ed
endotossine (APA, 2013; CNOP, 2019; Mandy & Lai, 2016; Sealey, et al., 2016; Wang,
Geng, Liu, & Zhang, 2017). Quest’ultime, in certi casi, possono compromettere in maniera
irreversivile lo sviluppo di particolari aree cerebrali e predisporre l’individuo a manifestare
il Disturbo dello Spettro Autistico e/o soffrire di convulsioni nell’età adulta (Sealey, et al.,
2016). Ecco perché molto spesso ritroviamo una sovrapposizione tra ASD ed epilessia.
Riassumendo, l'aumento dei dati epidemiologici suggerisce il forte contributo dei fattori
ambientali prenatali e post-natali iniziali, nonostante l'importanza di una predisposizione
ereditaria al disturbo (Kim e Leventhal, 2015; Shelton et al. 2012; Tordjman et al. 2014).
Nella media, i fattori genetici da soli rappresentano non più del 20-30%, mentre il 70–80%
è il risultato di una complessa interazione tra fattori di rischio ambientale e suscettibilità
genetica ereditaria o de novo. (Bakroon & Lakshminarayanan, 2016; Lai, Lombardo, &
Baron-Cohen, 2014; Wang, Geng, Liu, & Zhang, 2017; Modabbernia, Velthorst, &
Reichenberg, 2017, CNOP, 2019)
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L'autismo non risulta avere specificità etniche o geografiche, in quanto è stato descritto in
tutte le popolazioni del mondo, di ogni razza o ambiente sociale (Fein, Hagerman, &
Hollander, 2019); tuttavia, è stata riscontrata una prevalenza di genere, poiché viene
diagnosticato nei maschi 4 volte in più delle femmine (APA, 2013; CNOP, 2019; Fombonne
E., 2020; Meng-Chuan, Anagnostou, Wiznitzer, Allison, & Baron-Cohen, 2020). La causa
di questa differenza non è chiara. Sono state proposte diverse teorie, tra cui il coinvolgimento
del cromosoma sessuale nell'eziologia di ASD e il ruolo delle influenze ormonali nell'utero
(“Teoria del cervello ipermascolinizzato”, Baron-Cohen, et al., 2011). Hanno suggerito
anche che nelle persone di sesso femminile siano presenti particolari fattori protettivi
specifici contro l'ASD (Park, Lee, Moon, Lee, & Kim, 2016). Tuttavia, nessuna di queste
teorie è stata ancora confermata.
Benché nessuno studio abbia trovato un’associazione tra rischio di autismo e status socio-
economico (Larsson, et al., 2005), è stato osservato un incremento del rischio di autismo con
Disabilità Intellettiva (a basso funzionamento) nei bambini i cui genitori migrano nel periodo
di gravidanza. È stata ipotizzata l’esistenza di diversi meccanismi per spiegare questo
fenomeno, come l'alto livello materno di stress o la bassa immunità per quanto riguarda le
infezioni comuni (Magnusson, et al., 2012).
I bambini con autismo, generalmente, hanno ridotte abilità sociali e comunicative, che
possono inficiare le diverse strategie di apprendimento e in particolare l’apprendimento
osservativo (o modeling, Bandura & Walters, 1963) (APA, 2013; Vivanti, 2010; Gowen,
Vabalas, & Casson, 2020; Luke & Singh, 2018). L’apprendimento osservativo o modeling è
scarsamente sviluppato o addirittura assente in individui autistici (Luke & Singh, 2018), a
causa delle limitate interazioni con gli altri, soprattutto con i coetanei, fondamentali per
imparare nuove abilità (Vivanti, 2010, CNOP, 2019; Bandura & Huston, 1961). Inoltre, Fein,
Hagerman, & Hollander, (2019) ammettono che l’eccessiva aderenza alle routine quotidiane,
affiancata all’avversione per i cambiamenti e l’insolita sensibilità sensoriale, possono
interferire con una corretta alimentazione, con il sonno, fino a rendere la cura di sé
estremamente complicata e frustrante. A livello scolastico, si riscontrano le medesime
difficoltà nella pianificazione, nell’organizzazione e nelle capacità di affrontare i
cambiamenti, con un impatto negativo sul rendimento scolastico anche tra gli studenti con
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intelligenza superiore alla media (APA, 2013). Durante l’età adulta, questi individui possono
trovare difficoltà ad avere una vita indipendente a causa della rigidità e delle novità che
incontrano (APA, 2013). Le conseguenze funzionali in età avanzata non sono ancora state
identificate, ma i problemi di isolamento e di comunicazione sociale (i.e. riduzione della
ricerca d’aiuto), possono avere conseguenze sulla salute (Fein, Hagerman, & Hollander,
2019).
1.5 Comorbilità
La maggior parte delle persone con Disturbo Dello Spettro Autistico soddisfa i criteri
diagnostici per un disturbo mentale concomitante (70%); in casi più gravi si possono averne
due o più (40%), accentuando la sintomatologia dell’autismo (CNOP, 2019). In casi estremi,
si osservano comportamenti decisamente disadattivi, come aggressività e autolesionismo
(i.e. Disturbi distruttivi, del controllo degli impulsi e della condotta) (APA, 2013; Hossain,
et al., 2020). Comunque, i disturbi mentali concomitanti più frequenti sono (APA, 2013;
Hossain, et al., 2020): Disabilità Intellettiva (30-40%, Fombonne, 2020), Disturbo da deficit
d’attenzione e iperattività (ADHD), Disturbo dello sviluppo della coordinazione, Disturbo
d’ansia (oltre il 50%; (Van Steensel, Bögels, & Perrin, 2011)), Disturbo Ossessivo-
Compulsivi e correlati, Depressione, Disturbo evitante/ restrittivo dell’assunzione di cibo.
Infine, possono essere associate anche particolari condizioni mediche, come epilessia,
problemi relativi al sonno e stipsi (APA, 2013; Fein, Hagerman, & Hollander, 2019).
“I cervelli autistici non sono cervelli rotti… semplicemente non si sono sviluppati nel modo
giusto” (Grandin & Panek, Il cervello autistico, 2014)
Sebbene gran parte della letteratura scientifica si è focalizzata sul peculiare funzionamento
cognitivo, sociale ed emozionale degli individui autistici, altre linee di ricerca incorrono in
un obiettivo assai più arduo: analizzare il funzionamento e la strutturazione del “cervello
autistico” tramite l’utilizzo di varie tecniche di indagine quali il neuro-imaging strutturale
(fornisce immagini 3D delle strutture neuro-anatomiche) e funzionale (mostra il
funzionamento cerebrale in risposta ad uno stimolo sensoriale) e l’indagine neuro-
trasmettitoriale (Grandin & Panek, 2014; Vivanti, 2010). Il fine ultimo è quello di
comprendere le eventuali basi neurobiologiche sottese ai sintomi comportamentali, cognitivi
e adattivi che permeano il continuum dello Spettro (Grandin & Panek, 2014; Vivanti,
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2010). Purtroppo, ad oggi, è impossibile sostenere l’esistenza di una teoria patogentica che
spieghi la variabilità clinica che contraddistingue tale disturbo (Grandin & Panek, 2014;
Vivanti, 2010).
Allo stesso tempo, però, Temple Grandin nel suo libro intitolato “il cervello autistico” (2014)
ammette l’esistenza di anomalie cerebrali soggettive; ad esempio, nel suo caso: un aumento
della materia bianca, dello spessore delle cortecce entorinali (esse permettono l’accesso al
deposito delle memorie), del volume intracranico (lo spazio interno al cranio) e cerebrale,
una riduzione del volume del cervelletto, una diminuzione dell’attivazione della corteccia
visiva ventrale (o inferiore) in risposta ai volti umani, alterazioni morfologiche del ventricolo
laterale e del quarto ventricolo, compromissione della corteccia parietale, amigdale più
grandi e regioni cerebrali iperconnesse. Tuttavia, l’autrice afferma anche che “ciò che è
presente nel suo cervello autistico, non è necessariamente presente nel cervello autistico di
qualcun altro… vi sono alcune somiglianze, ma dobbiamo stare attenti a non generalizzare.”
(Grandin & Panek, 2014). Si parla, dunque, di eterogeneità delle cause e dei comportamenti.
Una volta che i ricercatori hanno scoperto un certo legame tra il comportamento di un
individuo autistico e una specifica alterazione cerebrale, non possono avere la certezza che
tale alterazione si verifichi in qualsiasi autistico. Viceversa, quando si rileva un’anomalia in
un determinato cervello autistico, non è detto che essa influenzerà nello stesso modo il
comportamento in un’altra persona (Grandin & Panek, 2014). Ecco, perché la frase “Same
Behavior, Different Brains” (Grandin & Panek, 2014).
Tuttavia, il cervello autistico, controintuitivamente, sembra tendere alla normalità: in altre
parole, le differenze riscontrate fra i cervelli di individui autistici si trovano principalmente
nell’ambito di ciò che è normale. Nonostante ciò, gli studiosi, tramite l’utilizzo di nuove
tecnologie, hanno sperato di trovare biomarcatori scientificamente validi (Grandin & Panek,
2014; Uddin, Dajani, Voorhies, Bednarz, & Kana, 2017). Con il termine "biomarcatore" o
"marker biologico" si intende numerosi segni clinici o indicazioni oggettive, dal punto di
vista medico, che possono essere misurati, essere riprodotti, influenzare e predire l’incidenza
e l’esito di una particola patologia (Uddin, Dajani, Voorhies, Bednarz, & Kana, 2017). Un
biomarcatore efficace deve anticipare i sintomi e quindi assumere un valore predittivo del
disturbo, essere indipendente dai sintomi diagnostici e altamente specifico (Uddin, Dajani,
Voorhies, Bednarz, & Kana, 2017). Bio-marker validi sono in grado di offrire informazioni
sui processi neurobiologici dei disturbi e sugli scopi del trattamento da seguire (Grandin &
12
Panek, 2014; Uddin, Dajani, Voorhies, Bednarz, & Kana, 2017). Le prime indagini sui
biomarcatori vedono protagonisti parametri morfologici, tra cui:
1) caratteristiche volumetriche del cervello autistico (spessore corticale e area
superficiale) (Baribeau DA, Anagnostou E., 2013; Baron‐Cohen, 2017; Brynska A.,
2012; Bakroon & Lakshminarayanan, 2016; Shen MD., Nordahl CW., Young GS.,
et al., 2013; Ohta H, Nordahl CW, Iosif AM, Lee A, Rogers S, Amaral DG., 2016;
Piven, Elison, & Zylka, 2017; Uddin, Dajani, Voorhies, Bednarz, & Kana, 2017);
2) eccesso di liquido cerebrospinale extra-assiale (CFS extra-assiale: localizzato nello
spazio subaracnoideo che pervade la parte superficiale della corteccia cerebrale)
(Canu et al., 2020; Shen, et al., 2017; Shen MD., Nordahl CW, Young GS., et al.
2013; Uddin, Dajani, Voorhies, Bednarz, & Kana, 2017);
3) anomalie nel volume della sostanza bianca e/ o sostanza grigia (Uddin, Dajani,
Voorhies, Bednarz, & Kana, 2017).
Belluck (2014) e Tang et al. (2014) affermano che i bambini con autismo possiedono un
surplus di sinapsi o connessioni tra le cellule cerebrali. Durante lo sviluppo iniziale del
cervello neurotipico, si ha un’esplosione delle sinapsi; in seguito, durante l’infanzia e
l’adolescenza avviene il cosiddetto “pruning” o potatura sinaptica che ridimensiona la
struttura cerebrale e i relativi circuiti (Belluck, P., 2014; Tang G. et al., 2014). Tuttavia, ciò
non avviene nei cervelli autistici, provocando degli effetti collaterali sulla struttura e sulla
funzionalità cerebrale (Belluck, P., 2014; Nunes, et al., 2020; Tang G. et al., 2014). Possiamo
limitarci, quindi, ad analizzare tali anomalie di connettività funzionale e strutturale
osservabili mediante risonanza magnetica (Grandin & Panek, 2014; Uddin, Dajani,
Voorhies, Bednarz, & Kana, 2017 Vivanti, 2010).
13
organizzazione (Bakroon & Lakshminarayanan, 2016; State MW, Levitt P., 2011). Questa
alterazione può avvenire sia in utero sia durante lo sviluppo post-natale (Amihaesei
IC, Stefanachi E., 2013; Bakroon & Lakshminarayanan, 2016; Mamidala MP, Polinedi
A, Kumar PTVP, Rajesh N, Vallamkonda OR, Udani V, et al., 2013). Quando si parla di
connettività cerebrale si fa riferimento a reti neuronali, intese come un insieme di nodi
(regioni cerebrali) collegati fra di loro tramite bordi (fibre di sostanza bianca) (Lee, Kim,
Chung, Alexander, & Davidson, 2018). Vi sono due tipologie di connettività: strutturale e
funzionale. La connettività strutturale registra le connessioni fisiche tra regioni cerebrali;
mentre la connettività funzionale si focalizza sulle caratteristiche temporali dell'attività
cerebrale in più regioni. Pertanto, la connettività locale (detta anche a corto raggio, short-
range o intranetwork) può far riferimento alla connettività all’interno di una regione
cerebrale, oppure all’attivazione di reti locali a prescindere dal loro collocamento; mentre,
quella a lungo raggio (long-range o internetwork) può associarsi alle connessioni fra le varie
e distanti zone del cervello (appartenenti quindi a lobi diversi), oppure all’attivazione
contemporanea di più aree (King, et al., 2019; Rashid, et al., 2018).
Attualmente, viene utilizzata l’analisi delle reti, la quale si fonda sulla teoria dei grafi, un
approccio matematico, che ha permesso di confrontare le proprietà generali delle reti
cerebrali tra soggetti con autismo e soggetti sani (Lee, Kim, Chung, Alexander, & Davidson,
2018). Nello sviluppo tipico, generalmente, si riporta una connettività funzionale a corto
raggio soprattutto nella fase infantile, che diminuisce man mano che ci si avvicina al periodo
adolescenziale (Rashid, et al., 2018). Dopodiché, in età adulta, prende piede un tipo di
connettività diversa: la connettività a lungo raggio porta avanti processi di elaborazione di
alto livello (Rashid, et al., 2018). È noto come lo sviluppo anomalo delle interazioni
neuronali sia uno dei fattori basilari che favoriscono l’emergere di disturbi psichiatrici. In
passato, sono state condotte delle ricerche volte ad analizzare la connettività funzionale sia
nei bambini con sviluppo tipico, sia in quelli con diagnosi di disturbi psichiatrici
neuroevolutivi. Courchesne et al. (2007) hanno dimostrato un aumento della connettività
funzionale (FC) nell'ASD in tenera età, la quale però andava incontro ad una diminuzione
anomala e forse degenerativa nell'adolescenza. Tale risultato è stato confermato anche in
tempi recenti (Uddin et al., 2013; Nomi e Uddin 2015). In effetti, il Disturbo Dello Spettro
Dell’autismo viene definito da Geschwind & Levitt (2007) una "sindrome da disconnessione
dello sviluppo"; inoltre, è emerso che tratti autistici più gravi si possano correlare ad uno
14
stato di disconnessione globale con durata maggiore rispetto ai controlli (Rashid, et al., 2018;
He, et al., 2020).
La teoria più accreditata sulla connettività nell’ASD prevede anomalie delle connessioni a
lungo raggio (tra aree o circuiti cerebrali), invece che evidenziare deficit locali (Dickinson,
et al., 2018). Alcuni studi, infatti, sostengono che gli autistici abbiano un’ipoconnettività
long-range e un’iperconnettività short-range (Anderson J. S. et al., 2011; Dokovna LB, Hull
JV, Jacokes ZJ, Torgerson CM, 2016; Hong, et al., 2019; Keown C. L. et al., 2013; Ouyang
et al., 2016b; Travers et al., 2012; Vissers, Cohen, & M., 2012); questo fenomeno può essere
considerato anche il risultato di alterazioni nel processo di potatura e di formazione delle
nuove sinapsi, accompagnato da uno strano incremento cerebrale e da un’atipica
maturazione corticale (Hazlett, H. C. et al., 2017). Normalmente, nei neurotipici, ritroviamo
una situazione opposta: il connettoma funzionale prevede un’iniziale incremento delle
connessioni locali durante la fase gestazionale, dopodiché, con la crescita dell’individuo,
avvengono processi di integrazione e di segregazione, che concorrono all’incremento delle
connessioni diffuse a discapito di quelle precedentemente citate (Jakab et al., 2014). È stata
proposta una configurazione a forma di U rovesciata del percorso evolutivo dei cambiamenti
della connettività funzionale (FC) a corto raggio dalla nascita all'età adulta (Ouyang, Kang,
Detre, Roberts, & Huang, 2017).
Riassumendo alcuni dati della letteratura, si può affermare che vi sia un’alterata connettività
funzionale specialmente: (Hong et al., 2019; Liu et al., 2011; Long, Z., Duan, X., Mantini,
D., & Chen, H., 2016; King et al., 2019; Herringshaw, Kumar, Rody, & Kana, 2018)
• A livello del cervelletto; Wang e colleghi considerano il danneggiamento del
cervelletto un importante fattore di rischio per l'ASD, in quanto va a compromettere
anche una notevole varietà di competenze sociali di base (Wang S. S., Kloth A. D.
& Bandura A, 2014).
• Nelle regioni temporali e paraippocampali; sono state riportate anomalie in tutte le
aree coinvolte nella percezione del viso: giro fusiforme, giro occipitale inferiore
bilaterale e giro temporale inferiore posteriore destro; è la zona che differenzia
maggiormente i bambini autistici dai neurotipici.
• Scarsa tra le regioni frontali e posteriori, ad esempio tra la corteggia cingolata e la
prefrontale mediale.
15
• Nella corteccia orbitofrontale, dove è stato annotato un aumento di connessioni short
range nella fase adulta rispetto a quella infantile. Si pensa quindi che anche lo
sviluppo del singolo soggetto giochi un ruolo importante nelle circuiterie neurali.
• Ridotta connettività funzionale all’interno del sistema di mirroring (neuroni
specchio) degli autistici durante compiti di riconoscimento delle emozioni.
In conclusione, le persone con autismo mostrano reti cerebrali iperconnesse; d’altra parte
una maggior connettività strutturale implica un aumento di connettività funzionale, di
conseguenza, anch’essa risulta sovraconnessa. Questa iperconnettività può interferire con
l’inibizione sinaptica, provocando altresì un’ipereccitazione sinaptica, capace di determinare
deficit funzionali che corrisponderanno ai sintomi dell’autismo (Lee, Kim, Chung,
Alexander, & Davidson, 2018). Tuttavia, altri studi che hanno indagato la connettività
funzionale negli individui autistici hanno riportato dati contrastanti: alcuni registrano
un’iperconnettività sia per le connessioni a corto raggio sia per quelle a lungo raggio
(Supekar K. et al., 2013), o addirittura incompatibili con il concetto di scarso numero di
connessioni distribuite nell’ASD (Rudie JD, Brown JA, Beck-Pancer D, Hernandex LM,
Dennis EL, Thompson PM, Bookheimer SY, 2012). Tali discrepanze potrebbero essere
dovute allo spettro di manifestazioni tipiche dell’autismo, alle caratteristiche del campione
preso in esame, alla fascia d’età dei soggetti che costituiscono il campione, ai metodi di
acquisizione ed elaborazione dei dati e alle definizioni di “locale” e “a lungo raggio”. Di
fatto, la connettività cerebrale può essere analizzata tramite i paradigmi di connettività
funzionale che si concentrano sulle caratteristiche temporali dell'attività cerebrale in più
regioni, o per mezzo della connettività strutturale, in cui si registrano le connessioni effettive
tra regioni. Pertanto, la “connettività locale” può far riferimento alla connettività all’interno
di una regione cerebrale, oppure all’attivazione di reti locali a prescindere dal loro
collocamento; mentre, quella “a lungo raggio” può associarsi alle connessioni fra le varie e
distanti zone del cervello, oppure all’attivazione contemporanea di più aree (King et al.,
2019; Rashid, et al., 2018). Sebbene vi sia una certa variabilità dei risultati, sono state
identificate atipicità nell’organizzazione delle circuiterie cerebrali negli individui con
Disturbo Dello Spettro Autistico, sia da un punto di vista funzionale, dove osserviamo una
ridotta integrazione funzionale tanto a corto quanto a lungo raggio rispetto ai neurotipici, sia
strutturale (Fishman et al., 2015; Itahashi et al., 2014; Keown et al., 2017). Per quanto
riguarda la dimensione strutturale, sempre relativamente all’ASD, è stato osservato un
decremento notevole dell’efficienza globale (Booth, R. D., & Happé, F. G. 2018; Rudie et
16
al., 2013 , Ouyang et al., 2017a). Ciò spiega il mancato passaggio da un modello di
connessione locale ad uno più distribuito, che solitamente si ritrova durante la fase di
sviluppo cerebrale nei soggetti sani (Hagmann et al., 2010).
Figura 1: Visual Pathway. Tratto da Neuroanatomy, Visual Pathway di Gupta & Bordoni
(2020)
Benché la corteccia visiva primaria (o corteccia striata) sia responsabile del processo di
elaborazione del colore, della luminosità e del movimento dello stimolo visivo, tali
informazioni vengono approfondite solo successivamente (Tootell et al., 1988a , Tootell et
al., 1988b). A questo proposito, vi sono due percorsi che si dirigono rispettivamente verso
la corteccia parietale posteriore e verso la corteccia infero-temporale (Adaval, Saluja e Jiang,
17
2018; Gussoni, Monticelli e Vezzoli, 2006; Recio, 2017; Mishkin e Leslie Ugerleider, 1982;
Prasad e Galetta, 2011) (Figura 3). La prima via è specializzata nella localizzazione degli
oggetti e nel processamento del movimento, per questo viene anche chiamata “via del
where” o “via dorsale” (Adaval, Saluja, & Jiang, 2018; Binkofski e Buxbaum 2013;
Gussoni, Monticelli, & Vezzoli, 2006; Knudsen, 2020; Mishkin et al. 1983; Nassi &
Callaway, 2009, Kaas & Baldwin, 2019; Prasad & Galetta, 2011). La seconda via, invece, è
sensibile all’orientamento dei margini degli oggetti, tant’è che consente di definire forma,
identità e colori del target (Adaval, Saluja, & Jiang, 2018; Kaas & Baldwin, 2019). Si parla,
dunque, della cosiddetta “via del what” o “via ventrale” (Adaval, Saluja, & Jiang, 2018;
Gussoni, Monticelli, & Vezzoli, 2006; Kaas & Baldwin, 2019; Knudsen, 2020; Mishkin et
al. 1983; Nassi & Callaway, 2009; Prasad & Galetta, 2011).
Figura 2: Ventral and Dorsal pathways. tratta da Prasad & Galetta, 2011. La via
“magnocellulare” prende inizio dalle grandi cellule gangliari di tipo M della retina, le quali
proiettano agli strati magnocellulari del nucleo genicolato laterale. Poi le informazioni
giungono alla corteccia V1, dopodiché alla V2 e prosegue fino alla V3 e da qui in V5/MT.
La V5/MT proietta, in seguito, alle aree della corteccia parietale deputate alle analisi dei
rapporti visuo-spaziali tra gli oggetti (Kaas & Baldwin, 2019). La via parvocellulare, invece,
parte dalle piccole cellule gangliari della retina di tipo P e proietta agli strati parvocellulari
del corpo genicolato laterale. La via poi raggiunge la V1, la V2, va in V4 e termina nella
corteccia infero-temporale
18
Gli autistici percepiscono il mondo in modo diverso dalle altre persone. Le differenze
nell’elaborazione visiva sono a tal punto peculiari, da essere considerate primarie nella
neurobiologia dell’autismo, tanto più che sono visibili fin dall’infanzia e sono predittive
dello stato diagnostico futuro ((Robertson & Baron-Cohen, 2017). Infatti, è noto che i
problemi visivi nell’autismo cambiano in base alla comparsa, alla severità e al repertorio
comportamentale che caratterizzano l’etichetta diagnostica (Bakroon & Lakshminarayanan,
2016). Bogdashina (2003), ad esempio, riconduce taluni comportamenti anormali ad
anomalie visive: così, secondo l’autore, l’ipersensibilità visiva può implicare una
focalizzazione sui dettagli, l’evitamento del contatto oculare e delle luci; al contrario, gli
iposensibili possono essere attratti dalle luci intense e da quelle in movimento e guardare
ripetutamente e per lungo tempo le persone. Nonostante le funzioni visive di base siano
normali (i.e. l’acuità, sensibilità al contrasto, discriminazione dell'orientamento, crowding e
flicker-fusion), la percezione autistica si caratterizza per una propensione all'analisi dei
dettagli locali in modo rapido ed accurato (Robertson & Baron-Cohen, 2017). Nel
complesso, dunque, l’elaborazione visuo-percettiva risulta integra nei compiti spaziali
statici, mentre è compromessa nei compiti dinamici (Atkinson J, Braddick O., 2005; Grinter
EJ, Maybery MT, Badcock DR., 2010). Infatti, sono state osservate ridotte prestazioni degli
individui con ASD di fronte a compiti in cui viene richiesta la direzione del movimento
generale di una serie di punti (attività di coerenza del movimento, MCT) (Burghoorn,
Dingemanse, Van Lier, & Van Leeuwen, 2020; Doneddu & Fadda, 2007). Una possibile
spiegazione è che un’elaborazione globale più lenta può influire negativamente sulle
rappresentazioni visive dinamiche che, per loro natura, si costruiscono nel tempo (Robertson
& Baron-Cohen, 2017). Questi risultati suggeriscono la presenza di deficit a livello del
sistema dorsale e, di conseguenza, nella rete di connettività neurale della corteccia visiva
(Bakroon & Lakshminarayanan, 2016).
A partire dagli anni ’80 del secolo scorso, sono emersi i primi modelli che hanno cercato di
spiegare le anomalie del sistema visivo negli autistici: il modello della Coerenza Centrale
Debole (Frith, 1989; Frith & Happe, 1994) e l’ipotesi del Funzionamento Percettivo
Potenziato (Mottron e Burack, 2001). Preliminarmente, per “Coerenza Centrale” si intende
che il sistema visivo dei soggetti neurotipici tende a percepire lo stimolo-oggetto nella
totalità delle sue caratteristiche, in una visione olistica o d’insieme (Eriksen e James 1986;
Müller et al. 2003; Rauschenberger e Yantis 2001). Ancora, Bartlett (1932), ha affermato:
19
“un individuo normalmente tende ad avere un'impressione generale del tutto; e, sulla base di
ciò, costruisce il probabile dettaglio” (p. 206).
Nella “Teoria della Coerenza Centrale Debole” (Weak Central Coherence Theory -WCC-
1989; Frith & Happé, 1994, 2006) Uta Frith ritiene che le persone con autismo falliscano nel
riunire le varie informazioni in un concetto mentale unitario, poiché eccessivamente
concentrate sul dettaglio. In altre parole, la teoria di Frith concepisce l’autismo come “un
disturbo specifico dell'integrazione delle informazioni a diversi livelli” (Soriano, Ibáñez-
Molina, Paredes, & Macizo, 2018), ipoteticamente associabile ad uno scarso incremento
della connettività neuronale a lungo raggio, dedita, per l’appunto, all’integrazione delle
informazioni (Kovács 2000). In origine, dunque si presupponeva che le differenze percettive
nell’ASD (Frith e Happé 1994) fossero associate ad un deficit nel meccanismo di
elaborazione degli elementi globali di una situazione. La Teoria del Funzionamento
Percettivo Potenziato (EPF) (Mottron et al. 2006), invece, suggerisce che gli individui
autistici possiedano un'elaborazione potenziata degli elementi locali di una scena (Mottron
e Burack 2001; Mottron et al. 2006 ). L’EPF, dunque, condivide il presupposto di base della
WCC, ossia che il meccanismo di percezione nei soggetti autistici sia orientato
preferenzialmente verso il dettaglio. Allo stesso tempo, tuttavia, afferma che il
processamento delle informazioni globali non è in alcun modo inficiato o ridotto, bensì meno
impiegato. Quindi, mentre nei neurotipici, il processo di elaborazione globale è quasi
obbligatorio (Hadad & Ziv, 2015), negli individui con ASD esso sembra essere facoltativo
(Van Eylen, Boets, Steyaert, Wagemans, & Noens, 2018) a causa di particolarità
nell’organizzazione del cervello autistico (Mottron et al. 2006).
Di fatto, nonostante questa preferenza visiva locale, l’elaborazione globale negli autistici
risulta integra, anche se relativamente lenta e atipica (Baron-Cohen 2002; Booth & Happé,
2018; Hadad & Ziv, 2015; Nayar, Voyles, Kiorpes, & Di Martino, 2017; Mottron et
al. 2003, 2006; Song, Hakoda, Sanefuji, & Cheng, 2015; Soriano, Ibáñez-Molina, Paredes,
& Macizo, 2018). Ad esempio, i risultati di Wang et al. (2007), avvalorano la tesi che le
persone autistiche richiedano tempi più prolungati dei neurotipici per conseguire buone
performance globali. Ancora, Olu-Lafe et al. (2014) hanno scoperto che se un task
richiedeva di integrare le diverse informazioni, gli autistici necessitavano di molto più tempo
rispetto ai controlli tipici. Dunque, il processamento globale non rappresenta sempre la base
della percezione preliminare (Koldewyn et al., 2013), poiché l’elaborazione
dell’informazione orientata al dettaglio sembrerebbe precedere, negli individui con autismo,
20
la visione olistica (Muth et al., 2014; Van der Hallen et al., 2014). A tal proposito, la celebre
frase “gli alberi prima della foresta”, sintetizza fedelmente il comportamento visivo
autistico visualizzato nell’eye tracking e nella risposta pupillare (DiCriscio, Hu, Troiani,
2019).
In breve, come rilevato per mezzo del test di Navon (Navon 1977; vedi figura 4), poiché è
possibile dirigere l’attenzione sia verso le parti più fini e minuziose dell’immagine, sia,
viceversa, verso il contesto globale, non si può parlare di un “deficit”, ma piuttosto di uno
“stile cognitivo e percettivo” con una predilezione verso uno dei due orientamenti (Guy,
Mottron, Berthiaume, & Bertone, 2019; Happé & Frith, 2006; Mottron et al., 2006; Nilsson
Jobs, Falck-Ytter, & Bölte, 2018; Olu-Lafe, 2014). Ad ulteriore conferma, già a partire dai
6 anni d’età, i bambini autistici sono in grado di analizzare le informazioni sia in senso
globale che locale quando viene chiesto loro esplicitamente di farlo (Bernardino et al. 2012;
Koldewyn et al. 2013; Plaisted et al., 1999; Wang et al., 2007).
Figura 3: Test di Navon tratto da Perez, 2013. Il test di Navon è costituito da stimoli
gerarchici in cui la configurazione globale è una lettera, a sua volta composta da tante altre
lettere piccole (locali). Quest’ultime possono essere coerenti o incoerenti: nel primo caso le
lettere grandi sono uguali a quelle piccole, relativamente al secondo caso, le lettere sono
diverse. In questo modo è possibile studiare l’elaborazione locale e globale.
21
sociali atipici, nonché difetti della comunicazione sociale e dell’elaborazione emotiva
(Martin e McDonald 2003). Questa iperfocalizzazione, inoltre, può essere uno dei fattori
all’origine dei comportamenti ristretti, ripetitivi e stereotipati (Landry e Bryson 2004;
Sasson et al., 2008, 2011).
Nello specifico, una Debole Coerenza Centrale può inficiare il riconoscimento di un volto
(Behrmann et al. 2006b; Blair et al. 2002; Boucher e Lewis 1992; Gepner et al. 1996; Hauck
et al. 1998; Klin et al. 1999; Tantam et al. 1989; Wallace et al. 2008), la comunicazione e il
riconoscimento dei segnali sociali (Baron-Cohen et al. 1997; Baron-Cohen et al. 2001a, b)
che contribuiscono al significato di una frase (Sumby e Pollack 1954). Lo stesso vale per la
capacità di attenzione condivisa: il bambino autistico mostra una certa difficoltà a spostare
lo sguardo dall’oggetto alla persona per condividere con questa l’interesse per lo
stimolo/oggetto target (Scaife e Bruner 1975; Bruinsma et al. 2004). Un modello di
attenzione visiva come questo, in cui la triangolarità oggetto-adulto-oggetto è alterata o
assente, riduce la possibilità di acquisire abilità sociali, contribuendo altresì ad una
comunicazione sociale anomala, specifica di tale disturbo (Anketell PM, Saunders
KJ, Gallagher SM, Bailey CLJ, 2015; Behrmann, M., Thomas, C. & Humphreys, K., 2006;
Dakin, S. & Frith, U., 2005; Klin et al., 2009 , Klin et al., 2015; Herringshaw, Kumar, Rody,
& Kana, 2018; Mottron, L., Dawson, M., Soulières, I., Hubert, B. & Burack, J., 2006;
Robertson CE, Thomas C, Kravitz DJ, Wallace GL, Baron‐Cohen S, Martin A, et al., 2014;
Simmons, D. R. et al., 2009; Song, Hakoda, Sanefuji, & Cheng, 2015).
22
autistici appaiono abili nelle attività di figure incorporate (EFT-“Embedded Figures
Test”- Jolliffe e Baron-Cohen 1997; Shah e Frith 1983) e nell’individuare figure nascoste
(Joliffe & Baron-Cohen, 1997; Shah e Frith, 1983). In quest’ultimo caso, un esempio
possibile è il Test Delle Figure Aggrovigliate di Rey il cui presupposto è di resistere alla
visione globale della figura per far emergere le singole parti (Koffka, 1935). Ancora, le
persone con ASD sono in grado di copiare figure impossibili (Mottron, Burac, Stauder &
Robaey, 1999; Plaisted et al., 1998), come il Triangolo di Penrose, perché isolare le
molteplici componenti permette di non farsi distrarre dalla figura complessiva. Infine, essi
mostrano notevoli capacità artistiche, soprattutto relativamente al disegno (Mottron L.,
Belleville S., 1993; Ropar D, Mitchell P., 2001; Song, Hakoda, Sanefuji, & Cheng, 2015).
Tuttavia, al riguardo, persistono idee contrastanti: alcuni parlano di una “super-visione” delle
persone autistiche, altri, invece, sostengono la tesi che l’acuità visiva degli ASD sia
paragonabile alla popolazione tipica (Cheng et al., 2020).
23
basso livello. Tuttavia, poiché il processo di elaborazione visiva è per lo più inconscio, è
possibile che informazioni ambigue o contraddittorie inducano uno squilibrio tra i segnali
top-down e le stimolazioni bottom-up, generando così errori percettivi o illusioni (Fletcher e
Frith, 2009; Adams et al., 2013; Nour e Nour, 2015; Sterzer et al., 2018). Il Disturbo dello
Spettro autistico sembra essere associato a priors cognitivi deboli o attenuati (Lawson, Rees,
& Friston, 2014; Noel, De Niear, Stevenson, Alais, & Wallace, 2017; Pellicano & Burr,
2012): in altre parole, le persone con ASD sono più polarizzate verso le informazioni
sensoriali (Lawson et al., 2014, Van de Cruys et al., 2014). Ne deriva che gli individui
autistici e quelli con sviluppo tipico non sperimentano le illusioni ottiche nel medesimo
modo e che, di fatto, le percezioni dei primi sono più realistiche (Laeng, Færevaag,
Tanggaard, & Von Tetzchner, 2018).
Infatti, uno stile cognitivo locale sembrerebbe favorire una percezione del mondo più
indipendente dal contesto e dunque meno suscettibile alle illusioni ottiche (Amoruso, et al.,
2019; Bakroon & Lakshminarayanan, 2016; Bókkon, Salari, Scholkmann, Dai, & Grass,
2013; Burghoorn, Dingemanse, Van Lier, & Van Leeuwen, 2020; Chouinard, Unwin,
Landry, & Sperandio, 2016; Happé, 1996; Happé e Frith 2006; Laeng, Færevaag,
Tanggaard, & Von Tetzchner, 2018; Manning, Morgan, Allen, & Pellicano, 2017; Mottron
et al. 2006, 2013; Pellicano e Burr 2012; Razeghi, Arsham, Movahedi, & Sammaknejad,
2020).
Lo studio condotto da Burghoorn, Dingemanse, Van Lier, & Van Leeuwen (2020) ha preso
in esame due tipi di illusioni: l'illusione di Ebbinghaus (Figura 4) e l’illusione di Müller-
Lyer (Figura 5). Entrambe le illusioni dipendono dal contesto circostante, per cui una scarsa
integrazione contestuale potrebbe comportare una ridotta suscettibilità a queste (Manning,
Morgan, Allen, & Pellicano, 2017). L’illusione di Ebbinghaus può essere definita un’
"illusione contestuale tra oggetti" (Ben-Shalom e Ganel 2012) eludibile, per l’appunto, con
un bias locale (Burghoorn, Dingemanse, Van Lier, & Van Leeuwen, 2020; Manning,
Morgan, Allen, & Pellicano, 2017). Inaspettatamente, Chouinard et al. (2013) hanno
scoperto, invece, un legame positivo tra i punteggi all’AQ (Autism-Spectrum Quotient) e la
suscettibilità all'illusione di Müller-Lyer. È stato ipotizzato che un’“illusione contestuale
all'interno dell'oggetto” comprende elementi così fortemente relazionati, che non possono
essere elaborati indipendentemente gli uni dagli altri. Nell’illusione di Muller-Lyer, infatti,
gli elementi contestuali, cioè le pinne alle estremità, sono fisicamente attaccate agli elementi
24
locali, le linee (Burghoorn, Dingemanse, Van Lier, & Van Leeuwen, 2020; Manning,
Morgan, Allen, & Pellicano, 2017).
Figura 4: sono rappresentate due condizioni. Nella prima figura il cerchio centrale è
circondato da otto piccoli cerchi e sembra essere di dimensioni maggiori rispetto a quello di
destra, contornato, invece, da grandi cerchi. In realtà, entrambi i cerchi centrali sono della
medesima dimensione. Tratto da Bertamini M. (2018) Ebbinghaus Illusion.
In generale, secondo la teoria della Debole Coerenza Centrale (WCC) di Frith, i bambini
autistici risentono meno, rispetto ai neurotipici, delle illusioni visive (Razeghi, Arsham,
Movahedi, & Sammaknejad, 2020). È in atto, comunque, un dibattito su tale argomento dal
25
momento che si hanno dati contrastanti (Happé, 1996; Hoy et al., 2004; Manning et
al., 2017; Ropar & Mitchell, 2001; Schwarzkopf, Anderson, de Haas, White, & Rees, 2014).
Inoltre, non tutte le ricerche confermano una percezione dell'illusione anomala in individui
con ASD (Manning, Morgan, Allen, & Pellicano, 2017; Ropar & Mitchell, 1999, 2001). Le
differenze nei risultati e nelle idee, documentate nelle varie ricerche, potrebbero derivare
dall’utilizzo di diverse metodologie, dall’adozione di criteri soggettivi e da bias decisionali
(Manning, Morgan, Allen, & Pellicano, 2017).
4.1 Il savantismo
Alcune ricerche sulla popolazione autistica hanno identificato una sottocategoria che è stata
chiamata “sindrome del savant” (Bennett, Webster, Goodall, & Rowland, 2019; Bókkon,
Salari, Scholkmann, Dai, & Grass, 2013; Treffert, 2014), termine che proviene dal francese
“savoir”, cioè “sapere”. Nello specifico i savants (o sapienti) sono coloro che mostrano
abilità straordinariamente elevate rispetto alla popolazione normale e, allo stesso tempo,
presentano un profilo di funzionamento frammentario in cui emergono disabilità intellettiva
e/ o deficit adattivi (Bennett, Webster, Goodall, & Rowland, 2019; Charman et al., 2011;
Heaton et al., 2008; Joseph et al., 2002; Miller, 1999). Treffert (2009, 2014) spiega che il
savantismo non è esclusivo del Disturbo dello Spettro Autistico. Tuttavia, i ricercatori
riportano che almeno la metà delle persone con diagnosi d’autismo possiede capacità savant
(Bennett, Webster, Goodall, & Rowland, 2019). In aggiunta, sembra che i maschi abbiano
una maggior probabilità di manifestare queste particolari qualità rispetto alle femmine
(Bennett, Webster, Goodall, & Rowland, 2019; Howlin et al., 2009; Miller, 1998),
presumibilmente a causa dei tassi più elevati di diagnosi che ritroviamo associati al primo
gruppo (Bennett, Webster, Goodall, & Rowland, 2019; Hall, 2013).
Leo Kanner è stato il primo a notare le abilità savant nelle persone con autismo; egli ha
scoperto, per esempio, negli individui interessati capacità eccezionali per la musica e la
memoria visiva (Baron‐Cohen, 2017; Bennett, Webster, Goodall, & Rowland, 2019).
Tuttavia, la prevalenza dei savants nella categoria autistica si aggira attorno al 10-30%
(Bennett, Webster, Goodall, & Rowland, 2019; Howlin et al., 2009; Pring, Ryder, Crane, &
Hermelin, 2012; Rimland, 1978; Winoto P., 2017) e le abilità maggiormente sviluppate
rientrano in cinque categorie (Bennett, Webster, Goodall, & Rowland, 2019; Bókkon, Salari,
Scholkmann, Dai, & Grass, 2013; Pring, Ryder, Crane, & Hermelin, 2012; Treffert, 2009):
26
musica, matematica, calcolo del calendario (date), arte e abilità meccaniche o spaziali. Altre
abilità riscontrate meno frequentemente riguardano la capacità di imparare le lingue, la
discriminazione sensoriale atipica, la maggior consapevolezza del tempo, conoscenze
relative ad aree specifiche come statistica o la navigazione; tutte queste sono accompagnate
da una memoria straordinaria (Baron‐Cohen, 2017; Bennett, Webster, Goodall, & Rowland,
2019). Solitamente, questi talenti speciali coesistono con altre condizioni neurocognitive
come anomalie nella crescita cerebrale, nella struttura e nel funzionamento delle persone con
diagnosi d’autismo (Courchesne, Campbell e Solso, 2011), sebbene queste particolarità non
siano sempre coerenti (Bennett, Webster, Goodall, & Rowland, 2019). In altri casi, sono
state identificate differenze nello sviluppo del profilo cognitivo generale degli autistici
rispetto ai neurotipici: vi sono capacità visuospaziali e di memoria superiori alla norma e
difficoltà nei compiti di astrazione e comprensione (Bennett, Webster, Goodall, & Rowland,
2019; Gernsbacher, 2008).
Relativamente al fatto che i talenti speciali sono più frequenti nell’autismo rispetto ad altre
etichette diagnostiche, sono state suggerite due teorie: una debole coerenza centrale (o
iperfocalizzazione ai dettagli) e un repertorio comportamentale ristretto, ripetitivo e
stereotipato (Baron‐Cohen, 2017; Bennett e Heaton 2012; Bennett, Webster, Goodall, &
Rowland, 2019; Bókkon, Salari, Scholkmann, Dai, & Grass, 2013; Happé e Vital, 2009;
Hermelin, Pring, Buhler, Wolff, & Heaton, 2003). Questi doni, in effetti, dipendono dalle
capacità cognitive, dalle alterazioni del sistema visivo e dalla porzione dello spettro in cui si
trova la persona (Hermelin, Pring, Buhler, Wolff, & Heaton, 2003).
27
4.2 Il pensiero autistico è specializzato
In un articolo del 2009 redatto per approfondire la modalità di pensiero di un individuo con
Disturbo dello Spettro Autistico da Temple Grandin, una persona autistica ad alto
funzionamento, introduce 3 principali tipologie di profili cognitivi savant. Quest’ultimi sono
molto simili tra loro in quanto presentano tutti un focus sui dettagli però per stimoli diversi
(Bennett, Webster, Goodall, & Rowland, 2019; Grandin, 2009).
28
complesse sono quasi sempre associate, a livello immaginativo, a delle
rappresentazioni visive piuttosto che essere mediate dal linguaggio (Bókkon, Salari,
Scholkmann, Dai, & Grass, 2013).
Nel 2006, Nancy Minshew e i suoi colleghi dell'Università di Pittsburgh hanno eseguito una
scansione cerebrale su Temple Grandin ed hanno trovato un tratto di fibra bianca di
dimensioni esageratamente superiori alla norma che inizia dalla corteccia visiva-occipitale
e termina a livello della corteccia frontale (Grandin, 2009; Grandin, 2009). Di fatto il tratto
di fibra bianca riscontrato su Temple Grandin è quasi il doppio di quella osservata sui
controlli appartenenti allo stesso genere e con la medesima età (Grandin, 2009; Grandin,
2009). Tutto questo potrebbe spiegare una miglior percezione visiva e la tendenza degli
individui autistici, in particolar modo dei pensatori per immagini, ad analizzare i dettagli
della situazione in cui si trovano (Bertone, Mottron, Jelenic e Faubert, 2005; Bókkon, Salari,
Scholkmann, Dai, & Grass, 2013; Caron et al., 2006; Grandin, 2009; Grandin,
2009; Sahyoun et al., 2010; Soulières et al., 2011).
Maithilee Kunda e Ashok K. Goel hanno condotto uno studio volto a verificare l’ipotesi
“Thinking in Pictures”, per cui un sottogruppo di individui con autismo predilige
rappresentazioni e processi mentali visivi (Alter-Muri, 2017; Grandin, 2006; Hurlburt et
al. 1994; Kunda & Goel, 2008, 2011) piuttosto che quelli verbali, solitamente utilizzati dalle
persone con sviluppo tipico (Kunda & Goel, 2011). Ancora Sahyoun, Belliveau e Mody
(2010) condividono la tesi secondo cui i bambini con sviluppo tipico tendono a scegliere,
per pensare, percorsi mediati dal canale verbale; gli autori altresì ribadiscono come il
processo cognitivo autistico si basi maggiormente sui processi di elaborazione visuospaziale
(Bókkon, Salari, Scholkmann, Dai, & Grass, 2013). Kunda e Goel (2011), ispirandosi al
libro di Temple Grandin (2006), hanno portato avanti il concetto che " alcuni individui con
autismo possono 'pensare visivamente' dovrebbero essere presi sul serio come un modello
cognitivo e ricevere un'attenzione più focalizzata e sostenuta in ambito comportamentale e
neurobiologico esperimenti “. In aggiunta, la predilezione verso le rappresentazioni mentali
visive andrebbe ad influenzare l’esecuzione di particolari operazioni cognitive, dal processo
di categorizzazione in concetti all’interpretazione dei segnali sociali (Kunda & Goel, 2008,
2011; Winoto P., 2017). Tuttavia, a causa dell’eterogeneità delle condizioni in cui si trova
ciascun individuo con ASD, la preferenza nell'adozione di rappresentazioni mentali visive
potrebbe essere adatto per una sottocategoria dello Spettro dell’Autismo (Winoto P., 2017).
29
Secondo lo studio di Kunda & Goel (2008), le rappresentazioni visive-pittoriche presentato
due caratteristiche particolari: la prima si riferisce alla codifica, definita una codifica
analogica poiché mantiene un isomorfismo strutturale fra ciò che è rappresentato e come è
rappresentato; la seconda riguarda il contenuto, ossia l’aspetto dell’oggetto raffigurato e le
informazioni relative al “cosa” e al “dove”. All’opposto, le rappresentazioni verbali
prevedono una codifica proposizionale e un contenuto assegnato convenzionalmente, il
quale cambia a seconda della cultura di appartenenza (Bókkon, Salari, Scholkmann, Dai, &
Grass, 2013; Kunda & Goel, 2008;). Ad esempio, lingue diverse utilizzano parole differenti
per riferirsi a concetti come "albero" (Fig. 7). Al contrario, presentando l’immagine di un
albero, chiunque può capire di cosa si tratta a prescindere dalla propria lingua parlata, poiché
universale (Bókkon, Salari, Scholkmann, Dai, & Grass, 2013). Proprio per questo motivo,
sembra che gli individui autistici abbiano più dimestichezza con le abilità visuo-spaziali
rispetto all’apprendimento di competenze prettamente verbali (Tabernero & Calvo, 2020).
30
Figura 7: thinking in pictures.
“My thinking pattern always starts with specifics and works towards generalization in
an associational and consequential way.” (Grandin, 2006, p16).
“La creazione artistica aumenta la comunicazione emotiva e orale con il mondo interiore
ed esteriore” (Alter-Muri, 2017)
31
alto livello come può essere quello relativo al ragionamento astratto basato sul linguaggio,
bensì si fonda sulle informazioni che provengono dai sensi (Bennett, Webster, Goodall, &
Rowland, 2019; Grandin, 2009; Tabernero & Calvo, 2020). Il pensiero associativo implica
che vengano osservati i più piccoli dettagli di una scena e depositati in memoria sottoforma
di immagini visive (Bennett, Webster, Goodall, & Rowland, 2019; Grandin, 2009).
Dopodiché queste immagini vengono selezionate, ordinate in categorie (Freedman et al.,
2001) e unite in modo da trovare i principi di base e formare i concetti (Grandin 2000, 2002).
Il thinking in pictures è considerato anche un pensiero creativo (Alter-Muri, 2017; Bennett,
Webster, Goodall, & Rowland, 2019; Han, et al., 2018; Hetzroni, Agada, & Leikin, 2019;
Mullin, 2014), sebbene, inizialmente, si pensasse che la creatività nei bambini con Disturbo
dello Spettro Autistico fosse limitata a causa anche della presenza di stereotipie e interessi
ristretti (APA, 2013; Lyons e Fitzgerald 2013; Roth, 2018). Di fatto la creatività è definita
come la capacità di proporre idee nuove, originali e utili al progresso scientifico, tecnologico
e culturale (Baas et al. 2015; Diedrich et al., 2015; Han, et al., 2018; Hetzroni, Agada, &
Leikin, 2019; Mumford 2003; Saul e Leikin 2010); essa si rende palese soprattutto nel
campo artistico tra cui l’arte visiva, la musica e il teatro (Roth, 2018). È divenuto famoso,
per esempio, l’artista Stephen Wiltshire per la sua formidabile memoria visiva e la
predilezione per i dettagli che gli consentono di ricreare mappe dettagliate di grandi città
come Roma, Tokyo, New York, ma anche strutture architettoniche molto complesse dopo
aver volato per una sola volta in elicottero sopra la città (Bókkon, Salari, Scholkmann, Dai,
& Grass, 2013; Hermelin, Pring, Buhler, Wolff, & Heaton, 2003; Roth, 2018; Sachs 1995;
Treffert 2009). Bartlett (1932) parla della memoria non come una mera riattivazione di tracce
fisse; egli ritiene che essa preveda un processo di ricostruzione creativa e attiva. In questo
modo, la memoria immaginativa non è rigidamente influenzata dall'esperienza reale
(Hermelin, Pring, Buhler, Wolff, & Heaton, 2003). Per quanto riguarda le sue creazioni, esse
sono disegni in bianco e nero, in cui generalmente non vengono raffigurate figure umane,
magari a causa dello scarso interesse per le persone che contraddistingue questa etichetta
diagnostica (APA, 2013; Jolley, O'Kelly, Barlow, & Jarrold, 2013). Al contrario dei
neurotipici, gli autistici rappresentano comunemente oggetti inanimati, strutture
architettoniche e addirittura complessi paesaggi (Celani 2002; Jolley, O'Kelly, Barlow, &
Jarrold, 2013; Roth, 2018). Nonostante ciò, vi sono caratteristiche cognitive che accomunano
gli artisti savant con quelli neurotipici (Hermelin, Pring, Buhler, Wolff, & Heaton, 2003):
entrambi i gruppi possiedono notevoli capacità spaziali, una ottima memoria visiva sia a
32
breve che a lungo termine e una maggior capacità di identificare figure nascoste e incomplete
rispetto ai controlli.
Figura 8: l'insolita vista d'angolo del Wiltshire del Palazzo Ducale a Venezia tratto da Roth,
2018
33
Figura 9. La cupola della cattedrale di St Paul. Di Stephen Wiltshire MBE (nato nel 1974)
2010 (11,5 x 16,5 pollici) per gentile concessione di Stephen Wiltshire Gallery (tratto da
Roth, 2018).
34
Piazza San Pietro (figure 10 e 11), Stephen Wiltshire tratto da
https://uozzart.com/2014/04/02/lincredibile-storia-di-wiltshire-giovane-artista-autistico-e-i-
suoi-ritratti-di-roma/
35
Roger Cardinal definisce questo tipo di arte art brut, termine coniato da Dubuffet per
indicare l'arte di artisti inesperti "creati al di fuori dei confini della cultura ufficiale"
(Cardinal 1972, 2009), la quale è caratterizzata da concretezza, accuratezza percettiva e
infiniti dettagli (Hermelin, Pring, Buhler, Wolff, & Heaton, 2003). L’art brut è stata
riconosciuta e ha preso spazio nelle gallerie specializzate, dove ha ottenuto un notevole
successo (McKenzie 2011; Roth, 2018). Esiste, infatti, una raccolta di immagini e opere
d’arte di persone autistiche chiamata “Drawing Autism”, in cui vengono mostrati i vari
talenti e stili (Mullin, 2015). Purtroppo, non tutti gli artisti con disturbo dello spettro autistico
possiedono i doni eccezionali che possiamo ritrovare in Wiltshire (Alter-Muri, 2017);
comunque, questa “nuova arte” ha permesso di capire che anche persone con tale diagnosi
sono capaci di esprimersi creativamente, anche se in modo diverso dalle aspettative standard
(Roth, 2018).
Capitolo 5: il trattamento
Col tempo, il mito “savant” ha favorito la nascita di stereotipi riguardo alle persone con
autismo, incoraggiando così la categorizzazione di queste in gruppi che non rappresentano
adeguatamente i loro punti di forza e di debolezza (Baker, 2008; Bennett, Webster, Goodall,
& Rowland, 2019; Draaisma, 2009; Murray, 2006). Uno dei fattori scatenanti è stata
36
l’attenzione spropositata dei media e dell’industria cinematografica: essi hanno esaltato la
figura del sapiente, contraddistinto per i suoi prodigiosi talenti, ponendola come simbolo di
riferimento della comunità autistica (Bennett, Webster, Goodall, & Rowland, 2019;
Draaisma, 2009). Ad esempio, Raymond Babbitt, dal film Rain Man, viene descritto come
un uomo capace di eseguire accuratamente calcoli matematici molto complessi e
memorizzare una quantità di informazioni elevata; allo stesso tempo, però, non è in grado di
svolgere autonomamente le normali attività della vita quotidiana (Bennett, Webster,
Goodall, & Rowland, 2019). In questo modo, si sono diffuse aspettative irrealistiche di
bambini e adulti autistici (Bennett, Webster, Goodall, & Rowland, 2019; Garner, 2014). Per
di più, la varietà fenotipica che caratterizza lo spettro autistico rende ancora più difficile
l’organizzazione di servizi assistenziali appropriati ai singoli bisogni (Bennett, Webster,
Goodall, & Rowland, 2019). Inoltre, questa situazione promuove la stigmatizzazione sia
degli autistici ad alto funzionamento sia di quelli a basso funzionamento: nel primo caso,
agli individui con abilità speciali non vengono riconosciuti i bisogni in altre aree del
funzionamento che possono risultare più deficitarie e perciò potrebbero ritrovarsi in
situazioni che non sono in grado di gestire, fino ad avere delle vere e proprie crisi o capricci,
capaci di compromettere le interazioni con gli altri (i.e. dare pugni, graffiare, mordere/
mordersi, battere la testa, urlare, piangere per un tempo prolungato, distruggere oggetti, ecc.)
(Carr, 2013). Invece, nel secondo caso, gli individui aventi un maggior numero di
comorbidità, tra cui Disabilità intellettiva e linguaggio limitato, possono essere considerati
inferiori e incapaci di impegnarsi in determinati contesti, tant’è che vengono negate loro
opportunità socio-lavorative (Bennett, Webster, Goodall, & Rowland, 2019). È necessario,
pertanto, riconoscere che ciascun individuo con autismo ha un profilo unico di abilità e di
deficit; questo ci permette di costruire un trattamento “su misura” del paziente (Bennett,
Webster, Goodall, & Rowland, 2019). A tal proposito, ricercatori e professionisti ritengono
che sia fondamentale considerare l'esperienza delle persone con autismo (Gillespie-Lynch et
al., 2017; Milton & Moon, 2012) per garantire loro servizi e supporti idonei che non siano
guidati da un'agenda di "normalizzazione", bensì che soddisfino i bisogni e i diritti di
ognuno, tenendo conto delle differenze che caratterizzano questa etichetta diagnostica
(Bennett, Webster, Goodall, & Rowland, 2019).
37
rispondere alle necessità di particolari bambini, situazioni e compiti. I più appropriati ed
efficaci programmi per bambini con ASD impiegano una varietà di pratiche, includendo
una sistematica e continua valutazione degli interventi” (CNOP, 2019).
Allo stato attuale, purtroppo, non esiste un trattamento psicologico o farmacologico unico
per l’autismo, in quanto non si conoscono tutti i meccanismi neurobiologici alla base di tale
sindrome e la sintomatologia associata è alquanto eterogenea (Vivanti, 2010). Esistono, però,
diverse terapie basate sull'evidenza che sono state efficaci nel migliorare la qualità della vita
delle persone con diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico (Chahin, Apple, Kuo, &
Dickson, 2020; CNOP, 2019; Cottini, 2002; Vivanti, 2010):
38
specificatamente per le persone con autismo (Schopler & Reichler, 1971; Siu, Lin,
& Chung, 2019). Esso prevede 4 aspetti fondamentali: l’utilizzo di strategie visive,
un ambiente di insegnamento organizzato, una strutturazione dei compiti da eseguire
e una pianificazione precisa del sistema di lavoro.
Tuttavia, ad oggi, non esistono prove sulla superiorità di una terapia sull’altra (Green &
Garg, 2018; Spain, et al., 2017; Vivanti, 2010). Il trattamento ideale dovrebbe soddisfare i
seguenti prerequisiti (Celi & Fontana, 2015; Chahin, Apple, Kuo, & Dickson, 2020; Clark,
Vinen, Barbaro, & Dissanayake, 2018; CNOP, 2019; Green, et al., 2015; Green & Garg,
2018; Fava, et al., 2011; Jones, Dawson, Kelly, Estes, & Webb, 2017; Jonsdottir, et al., 2020;
Meng-Chuan, Anagnostou, Wiznitzer, Allison, & Baron-Cohen, 2020; Rogers, Vismara, &
Wagner, 2014; Shen & Piven, 2017; Sherifi, 2018; Siu, Lin, & Chung, 2019; Virués-Ortega,
Arnold-Saritepe, Hird, & Phillips, 2017;Vivanti & Dissanayake, 2016; Turner-Brown,
Hume, Boyd, & Kainz, 2019):
39
Figura 12: eterogeneità dell’autismo, tratto da Bennett, Webster, Goodall, & Rowland,
2019
40
bambini con autismo induce una prognosi positiva e un aumento del benessere dei genitori,
nonché nella relazione adulto-bambino (Lai, Anagnostou, Wiznitzer, Allison, & Baron-
Cohen, 2020; Turner-Brown, Hume, Boyd, & Kainz, 2019). I servizi offerti dipendono,
quindi, dai sintomi del bambino ma anche dalle esigenze della famiglia e possono prevedere
le seguenti opzioni: valutazione, diagnosi, intervento, integrazione nella società (assistenza
nella vita quotidiana e ricerca di un posto di lavoro adeguato ai bisogni e alle capacità della
persona con diagnosi) (Celi & Fontana, 2015; Lord, Bristol, & Schopler, 1993; Virués-
Ortega, Arnold-Saritepe, Hird, & Phillips, 2017).
Sebbene vi sia una certa variabilità tra le persone con autismo, è stato introdotto il concetto
di “cultura dell’autismo” facendo riferimento ai modelli comportamentali che caratterizzano
lo spettro autistico: anomalie nella percezione, deficit nella comunicazione e
nell'apprendimento (Virués-Ortega, Arnold-Saritepe, Hird, & Phillips, 2017). Nello
specifico, la cultura dell’autismo ammette la predilezione dell’elaborazione delle
informazioni visive e del focus sui dettagli, la presenza di anomalie sensoriali, di difficoltà
riscontrate durante il processo di organizzazione (i.e. di idee, di materiali e di attività) e di
comunicazione (i.e. capire i concetti astratti come la durata del tempo); inoltre, un
attaccamento rigido alle routine quotidiane e interessi ristretti, che determinano una
compromissione dell’apprendimento e della generalizzazione, infine, un funzionamento
sociale deficitario (Giuliani, 2016; Virués-Ortega, Arnold-Saritepe, Hird, & Phillips, 2017).
Comunque, lo scopo principale del TEACCH consiste nel porre l’attenzione sulle abilità del
paziente e nel riuscire a creare un intervento life-span (per tutta la durata della vita)
personalizzato e flessibile ai bisogni di ciascun individuo: bambino, adolescente e adulto
(Celi & Fontana, 2015; Giuliani, 2016; Siegel, 2008; Lai, Anagnostou, Wiznitzer, Allison,
& Baron-Cohen, 2020; Virués-Ortega, Arnold-Saritepe, Hird, & Phillips, 2017). Si tratta,
dunque, di un insegnamento strutturato, programmato, che prevede interventi evolutivi,
comportamentali ed ecologici (Celi & Fontana, 2015; Giuliani, 2016; Lai, Anagnostou,
Wiznitzer, Allison, & Baron-Cohen, 2020; Lord et al., 1993; Virués-Ortega, Arnold-
Saritepe, Hird, & Phillips, 2017). Per quanto riguarda l’approccio comportamentale, il
TEACCH ha ripreso, per l’appunto dal comportamentismo, le strategie basate sul rinforzo e
ha tenuto di conto delle preferenze soggettive (Skinner, 1953, 2003; Skinner, 1968, 1972)
per proporre attività di insegnamento più piacevoli e interessanti per il paziente in questione,
sperando che queste vengano maggiormente comprese, attuate e generalizzate
(Bandura,1986; Celi & Fontana, 2015; Reid & Green,2005; Virués-Ortega, Arnold-Saritepe,
41
Hird, & Phillips, 2017). Inoltre, la collaborazione fra i genitori, gli psicologi e gli altri
professionisti che lavorano con individui autistici è fondamentale per riuscire a vedere il
mondo attraverso i loro occhi e a creare un ambiente più comprensibile, organizzato e adatto
alle loro richieste (Mesibov et al., 2005; Giuliani, 2016; Virués-Ortega, Arnold-Saritepe,
Hird, & Phillips, 2017). Per questi motivi, il trattamento TEACCH è riconosciuto in tutto il
mondo e, spesso, è considerato come uno dei modelli di formazione basati sull’evidenza
relativamente alle persone con diagnosi di autismo (Hess, Morrier, Heflin e Ivey, 2008;
Mesibov & Shea, 2010; Siu, Lin, & Chung, 2019; Virués-Ortega, Arnold-Saritepe, Hird, &
Phillips, 2017).
Nella maggior parte dei casi, il TEACCH utilizza le informazioni visive, invece che
istruzioni verbali, perché molto spesso gli individui autistici mostrano capacità linguistiche
(produttive e ricettive) e comunicative limitate (Gillespie-Smith, Riby, Hancock, & Doherty-
Sneddon, 2014; Hartley & Allen, 2015; Virués-Ortega, Arnold-Saritepe, Hird, & Phillips,
2017). Magari proprio queste limitazioni scatenano la serie di comportamenti problematici
associati allo spettro (Gillespie-Smith, Riby, Hancock, & Doherty-Sneddon, 2014). In
effetti, varie ricerche hanno dimostrato che un miglioramento delle capacità comunicativo-
linguistiche è associato ad una riduzione dei comportamenti distruttivi (Carr & Durand 1985;
Durand & Carr 1991; Hagopian et al . 1998; Gillespie-Smith, Riby, Hancock, & Doherty-
Sneddon, 2014), sottolineando come le abilità comunicative influenzino il corretto
funzionamento sociale. Una soluzione a questo problema potrebbero essere le immagini o
addirittura gli oggetti reali (i.e. lettere magnetiche in plastica; Grandin, 1995), in quanto
rendono più chiare e comprensibili le attività proposte al bambino e più facile la messa in
atto di comportamenti “adattivi” (Gillespie-Smith, Riby, Hancock, & Doherty-Sneddon,
2014; Hartley & Allen, 2015; Siu, Lin, & Chung, 2019; Virués-Ortega, Arnold-Saritepe,
Hird, & Phillips, 2017). Per esempio, è stato osservato che i libri con molte raffigurazioni
aiutano i bambini con autismo a sviluppare abilità sociali (i.e. relazione tra lettore bambino
e lettore adulto) e di comunicazione; per di più il loro utilizzo porta ad un incremento
dell'immaginazione (Tabernero & Calvo, 2020). Infatti, Durán (2005) sottolinea che "i libri
illustrati ci permettono di acquisire alcune capacità, esperienze ed emozioni che sono alla
base del nostro sviluppo culturale e sociale" (p. 253). Ancora, è stato proposto un sistema
di comunicazione di immagini, il cosiddetto “Picture Exchange Communication System”
(PECS, Bondy & Frost 1994). Esso ha lo scopo di incrementare nel bambino autistico le
42
abilità sociocomunicative spontanee, come esprimere i propri bisogni, desideri e sentimenti
alle altre persone (Gillespie-Smith, Riby, Hancock, & Doherty-Sneddon, 2014). Ciò è reso
possibile mediante il paradigma comportamentale: il bambino quando ha una richiesta
associa un’immagine “Voglio” al simbolo che corrisponde al suo desiderio. Il metodo PECS
migliora il rapporto del bambino con l’ambiente circostante e promuove le interazioni con
esso (Bondy & Frost 1994 , 1998; Gillespie-Smith, Riby, Hancock, & Doherty-Sneddon,
2014; Salceanu, 2020). Comunque, se il paziente possiede un linguaggio sufficientemente
sviluppato, è possibile associare alle rappresentazioni visive delle istruzioni scritte (Virués-
Ortega, Arnold-Saritepe, Hird, & Phillips, 2017). Nel caso di un bambino che pensa in
immagini, sarebbe opportuno evitare di utilizzare frasi eccessivamente lunghe e limitarsi a
poche indicazioni verbali (massimo tre) (Grandin, 1995). Le strategie visive, pertanto,
promuovono la comunicazione spontanea (generalmente deficitaria negli individui autistici)
“intesa come la capacità di esprimere (verbalmente e non) i propri bisogni e di scambiare
informazioni ed esperienze in normali circostanze della vita” (Celi & Fontana, 2015; Siu,
Lin, & Chung, 2019). In aggiunta, l'eye-tracking risulta essere uno strumento molto utile per
individuare anche i più piccoli progressi dei bambini autistici durante il trattamento. L’eye
tracking analizza l'integrazione dei segnali visivi e consente di esplorare qualsiasi differenza
tra i simboli che sembrano essere compresi e quelli con cui i bambini potrebbero avere
difficoltà, fino ad arrivare a definire il profilo di funzionamento dell’individuo: tramite una
valutazione delle competenze e dei deficit, è possibile proporre un programma di assistenza
adatto al caso preso in esame (Gillespie-Smith, Riby, Hancock, & Doherty-Sneddon, 2014;
Giuliani, 2016). Ad esempio, grazie all’utilizzo della tecnologia eye tracker, è emerso che i
partecipanti con ASD (soprattutto quelli più gravi) tendono a focalizzarsi meno, rispetto ai
neurotipici, sulle aree del viso, indipendentemente dal tipo di simbolo dell'immagine
proposta, ma sembrano più attratti, quindi vi pongono una maggior attenzione, dagli oggetti
inanimati (Baron-Cohen et al . 1996; Gillespie-Smith, Riby, Hancock, & Doherty-Sneddon,
2014; Klin et al . 2002; Swettenham et al . 1998 ; Trepagnier et al . 2002).
Il modo in cui un ambiente viene percepito dipende dalle singolarità del cervello che lo
elabora (Johnson, 2017). Un ambiente, pertanto, non può essere considerato universalmente
“idoneo” per ciascuno a causa dei “vincoli neurali” (Johnson, 2017). Ad esempio, Johnson
et al. (2015) suppongono che i comportamenti patologici possano essere come una risposta
43
evolutiva, adattiva, naturale a meccanismi anomali di elaborazione del segnale neurale
(Johnson, 2017). Dati i vincoli neurali, diventa significativa la necessità di trasformare
l’ambiente circostante, in quanto può ridurre le eventuali distrazioni, i sintomi
comportamentali e facilitare l’indipendenza del paziente (Celi & Fontana, 2015; Mesibov et
al., 2005; Siu, Lin, & Chung, 2019; Virués-Ortega, Arnold-Saritepe, Hird, & Phillips, 2017).
È stato riscontrato, infatti, un miglioramento delle capacità lavorative dei bambini autistici
in stanze (sia a casa che a scuola) maggiormente strutturate, con confini ben definiti e una
disposizione accurata dei materiali da utilizzare (Siu, Lin, & Chung, 2019; Virués-Ortega,
Arnold-Saritepe, Hird, & Phillips, 2017; Celi & Fontana, 2015; Welterlin, Turner-Brown,
Harris, Mesibov e Delmolino, 2012).
Nei “sistemi di lavoro” vengono proposte attività piacevoli e interessanti tenendo conto delle
preferenze del bambino e vengono strutturate di modo che nei compiti da svolgere siano ben
definiti la durata, l’obiettivo da raggiungere e cosa succederà una volta terminata la
mansione (Virués-Ortega, Arnold-Saritepe, Hird, & Phillips, 2017). In caso di un compito
nuovo, il professionista offre istruzioni personalizzate come la guida visiva o fisica,
l’incoraggiamento sociale e magari, a fine training, può dare spazio alle attività preferite dal
paziente, capaci di ridurre le diverse forme di comportamenti provocatori; invece, per quanto
riguarda i compiti ormai conosciuti e automatizzati, il bambino dovrebbe essere lasciato
libero di lavorare in maniera autonoma nella sua postazione di lavoro, in effetti, adatta a
44
garantire un ridotto numero di distrazioni (Schopler et al.,1995; Virués-Ortega, Arnold-
Saritepe, Hird, & Phillips, 2017).
Conclusioni
“Essere autistici significa avere una mente che si struttura in modo diverso, che vede la
realtà in modo diverso, e risponde alle richieste del mondo esterno in modo diverso.
L’unicità di ciascun soggetto impone che gli interventi educativi siano cuciti su misura,
attraverso cui si migliorano le potenzialità e si tenta di ridurre i punti deboli” (Vivanti,
2010)
L’espressione “neuro-diversità” è stata proposta per la prima volta da Judy Singer, una
scienziata australiana autistica, nell’articolo di Harvey Blume pubblicato in The Atlantic (3
settembre 1998). La neuro-diversità incoraggia a vedere l’autismo non tanto come
un’etichetta diagnostica, bensì come “un esempio di diversità nell'insieme di tutti i cervelli
possibili, nessuno dei quali è ‘normale’ e tutti sono semplicemente diversi” (Baron‐Cohen,
2017). Un altro aspetto molto rilevante è l’attenzione data alla persona, ai suoi bisogni e alla
sua sofferenza (Carr, 2013). È necessario, quindi, che la comunità si apra ed offra sostegno
a chiunque mostri maggiori difficoltà (Baron‐Cohen, 2017). Per renderlo possibile è
richiesto che la società non patologizzi ciò che è “diverso”, ma rispetti i diritti e la dignità di
ognuno come essere umano (Baron‐Cohen, 2017; Carr, 2013; Lai, Anagnostou, Wiznitzer,
Allison, & Baron-Cohen, 2020); in seguito, essa dovrà andare incontro ad un processo di
trasformazione per poter creare ambienti in linea con le richieste e le necessità variopinte
45
dell’autismo, consentendo a tutti di raggiungere la propria autonomia (Baron‐Cohen, 2017;
Lai, Anagnostou, Wiznitzer, Allison, & Baron-Cohen, 2020; Salceanu, 2020). Nei confronti
degli individui autistici, bisogna abbattere, anche, l’inutile tendenza a “normalizzarli” a tutti
i costi e piuttosto comprendere la motivazione di certi comportamenti che appaiono
“disfunzionali/ disadattivi” ed incentivare le loro capacità (Baron‐Cohen, 2017; Carr, 2013).
Per alcuni studiosi, il comportamento “disadattivo” è soltanto un mezzo «adattivo» per
raggiungere il livello di stimolazione ottimale (Maisto, Baumeister e Maisto, 1978; Repp,
Felce, & Barton, 1992). Per altri come Iwata, Dorsey, Slifer, Bauman e Richman (1982) i
comportamenti assurdi, insensati possono dipendere da fattori quali: la presenza o assenza
di materiali eterogenei e interessanti nella situazione contingente, le domande, le richieste e
la quantità di attenzione posta sul giovane o sull’adulto. Questi studiosi ritengono, inoltre,
che effettuare in maniera meticolosa un’analisi funzionale (o assessment funzionale) del
comportamento-problema, favorisca l’individuazione della “causa” responsabile del
mantenimento di quella particolare condotta (Carr, 2013; Repp, Felce, & Barton, 1992). Di
conseguenza, sarà possibile progettare un intervento terapeutico corretto, il quale non
preveda soltanto l’applicazione delle procedure atte a modificare il comportamento, ma
anche la facoltà di analizzare, ed eventualmente cambiare, il modo con cui queste
interagiscono con gli altri individui (Carr, 2013; Repp, Felce, & Barton, 1992). Infatti, lo
stabilirsi di relazioni sociali positive permette di migliorare le competenze comunicative e
di ridurre i comportamenti- problema (i.e. insegnare le abilità verbali in sostituzione di
condotte auto/ etero-aggressive) (Carr, 2013). Oppure, secondo la “Ipotesi Comunicativa
Del Sintomo” il comportamento definito “disfunzionale” non è altro che una sorta di
comunicazione primitiva adottata da coloro che non possiedono, o non usano, forme
comunicative più complesse e sofisticate (i.e. il linguaggio verbale); proprio per questo
motivo, tale comportamento si manifesta frequentemente (Carr, 2013). Questi
comportamenti apparentemente “assurdi” hanno scopi ben precisi, quali: attirare
l’attenzione, fuggire da alcune situazioni troppo stressanti (dunque, comunicare la propria
sofferenza), oppure ottenere gratificazioni tangibili (Carr, Taylor e Robinson, 1991; Edelson,
Taubman e Lovaas, 1983; Taylor e Carr, 1992a; Carr, 2013). Pertanto, il trattamento
dovrebbe non tanto avere lo scopo di curare o eliminare l’azione indesiderata, quanto capire
più a fondo il significato, spesso di sofferenza, che essa rappresenta e procedere verso una
valutazione individuale, esaminando il contesto e la funzionalità alla base del
comportamento stesso (Carr, 2013; Repp, Felce, & Barton, 1992).
46
La neuro-diversità è, dunque, un concetto che più si avvicina a quello di “biodiversità”:
siamo, ormai, consapevoli dell’importanza di rispettare l’ambiente che ci circonda e la
varietà di forme viventi che ospita (Baron‐Cohen, 2017). Non esiste, di fatto, un cervello
considerato universalmente “normale”. Ogni individuo presenta punti di forza e punti di
debolezza, per cui alcuni profili cognitivi sembrano adattarsi meglio in specifici habitat,
piuttosto che in altri. Perciò, il motivo principale che spiega come mai il termine “disturbo”
associato all’autismo non è del tutto corretto è che, circostanze compatibili a questa
particolare condizione, farebbero “funzionare” la persona autistica molto meglio di una
neurotipica, la quale, invece, potrebbe manifestare difficoltà di adattamento (Baron‐Cohen,
2017).
47
correla con opinioni prive di pregiudizi nei confronti di questi individui da parte di quelli
con sviluppo tipico (Lai, Anagnostou, Wiznitzer, Allison, & Baron-Cohen, 2020; Salceanu,
2020).
48
decorare le aule con disegni, cartelli e poster in modo che gli studenti con autismo possano
visivamente capire cosa è richiesto o cosa sta accadendo (Fama, 2018; Salceanu, 2020). In
aggiunta, si raccomanda di pianificare attività strutturate, le quali aiutano a rilevare il
momento della giornata in cui il bambino sembra avere maggiori difficoltà (Fama, 2018;
Salceanu, 2020). Secondo Tomlinson et al. ( 2003 ), "l'uguaglianza di opportunità" può
diventare una realtà solo "quando gli studenti ricevono un'istruzione adatta ai loro vari livelli
di preparazione, interessi e preferenze di apprendimento" (p. 120).
Anche relativamente all’ambiente lavorativo, sono necessarie delle trasformazioni: gli adulti
autistici richiedono un’iniziale assistenza (i.e. processi di inserimento e coaching-
lavorativo), strumenti tecnologici di supporto, maggior prevedibilità e senso di controllo
della situazione per meglio adattarsi e per migliorare le prestazioni lavorative (Lai,
Anagnostou, Wiznitzer, Allison, & Baron-Cohen, 2020). Il successo professionale, dunque,
non dipende esclusivamente dalle capacità della persona autistica, ma anche dalle risorse
offerte dall’intera comunità familiare, educativa, lavorativa (Lai, Anagnostou, Wiznitzer,
Allison, & Baron-Cohen, 2020).
Infine, vorrei riprendere il quadro di Escher intitolato “Relatività” (vedi fig. 13). Con questo
dipinto Escher vuole sottolineare che è tutta una questione di prospettiva e di punti di vista
connessi ad una stessa realtà. Perciò questo concetto lo possiamo associare al termine di
“atipia”: ciò che è atipico, non equivale necessariamente a qualcosa di patologico –
disfunzionale, ma si riferisce ad un diverso funzionamento cerebrale, il quale determina
particolari punti di forza e di debolezza in ciascun individuo. Infatti, come dice Temple
Grandin “Different not less”, diversi ma non inferiori.
49
Figura 13: “Relatività” di Escher (1953).
50
Ringraziamenti
Adesso è giunto il momento di dare spazio ai ringraziamenti dedicati a tutte le persone che
hanno contribuito, con il loro instancabile supporto, alla realizzazione di questo elaborato
finale.
In primis, un ringraziamento speciale al mio relatore Fabio Apicella, che non ha mai
abbassato la guardia, che non mi ha mai dato tregua, che mi ha fatto mettere in discussione
più volte il mio percorso di studi e il mio progetto di tesi, ma in questo modo ha permesso
che trovassi la strada migliore per me e per le mie qualità, sia all’interno dello stesso
ambiente universitario, sia fuori. Un ringraziamento sentito per avermi insegnato non solo
ad affrontare la tesi, ma la vita.
Poi vorrei esprimere la mia gratitudine ai Professori che ho avuto il piacere di conoscere
durante gli anni di formazione: grazie a voi ho potuto scoprire chi sono, seguire la mia strada,
fare errori e poi correggerli, prendermi la libertà di sbagliare per imparare cose nuove.
Un grazie di cuore va alle mie colleghe Alessandra, Giulia e Martina che mi hanno
sopportato e supportato nei momenti più bui, ma con le quali ho anche gioito per i traguardi
raggiunti. Senza i loro consigli non ce l’avrei mai fatta.
Non posso non ringraziare la mia storica compagna di banco del liceo, Lisa. Nonostante gli
impegni, la distanza, il frequentare un diverso corso universitario, è riuscita ad essermi vicina
come ai vecchi tempi.
Ringrazio Camilla con la quale si è creato un rapporto speciale di stima reciproca e
solidarietà, sebbene abbia avuto il piacere di conoscerla solo recentemente.
Grazie anche ai miei parenti e alle mie amiche, soprattutto ad Elisa, Carolina ed Azzurra,
che mi sono state sempre a fianco, nonostante le mie crisi isteriche.
51
Un ringraziamento speciale va anche Michele e la sua Famiglia, per aver ascoltato i miei
sfoghi, per avermi offerto un importante sostegno morale e per aver creduto sempre in me,
anche quando io mettevo in dubbio le mie capacità.
Infine, dedico questa tesi a me stessa: grazie alla mia tenacia, ai miei sacrifici sono riuscita
a raggiungere questa meta fondamentale che segnerà, inevitabilmente, la mia vita.
52
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