INSEGNAMENTO III
Il bullismo può essere definito in molti modi diversi. In Italia il fenomeno viene
definito come: Il bullismo è una forma di comportamento sociale di tipo violento e
intenzionale di natura sia fisica che psicologica, oppressivo e vessatorio, ripetuto nel
corso del tempo e attuato nei confronti di persone considerate dal soggetto che
perpetra l'atto in questione come bersagli facili e/o incapaci di difendersi1;
1 http://www.treccani.it/
mentre in altri paesi, come ad esempio il Regno Unito o l'Irlanda non vi è una
definizione legale di bullismo, mentre alcuni Stati degli Stati Uniti d'America hanno
leggi contro di esso, ma non una definizione univoca.
Il bullismo, su questi gli esperti sono in larga parte concordi, è diviso in quattro tipi
fondamentali di abuso - emozionale (a volte chiamato relazionale), verbale, fisico e
informatico. È in genere basato su metodi sottili di coercizione, come l'intimidazione.
Il bullismo varia da caso a caso, infatti, tali fenomeni possono essere individuali
oppure attraverso al gruppo possiamo parlare di mobbing, in cui il bullo può avere
uno o più "luogotenenti", che sono disposti ad aiutare il bullo primario nelle sue
attività discriminatorie.
Il bullismo a scuola e sul posto di lavoro è indicato anche come l'abuso tra pari.
Robert W. Fuller ha analizzato che nell'ambito del bullismo, soprattutto tra i banchi
di scuola il razzismo e più in generale la discriminazione ha un peso essenziale per
l'insorgere di questi fenomeni, che posso anche trascendere notevolmente, come la
cronaca giudiziale purtroppo ci ha indicato negli ultimi anni.
Una cultura violenta e discriminatoria può svilupparsi in qualsiasi contesto in cui gli
esseri umani interagiscono tra loro. Questo comprende la scuola, la famiglia, sul
posto di lavoro, a casa, e persino in interi quartieri. In uno studio 2012 su calciatori
adolescenti americani di sesso maschile, "il più forte stimolo all'insorgere del
bullismo è la percezione del fatto che il maschio più influente nella vita calcistica di
quel gruppo approvasse il comportamento ".
1.2 La definizione
Il ricercatore norvegese Dan Olweus afferma che il bullismo si verifica quando una
persona è "esposta, ripetutamente e nel corso del tempo, alle azioni negative da
parte di una o più persone".
Le azioni negative si verificano "quando una persona infligge intenzionalmente danni
o causa disagio ad un'altra persona, attraverso il contatto fisico, attraverso le parole
o in altri modi". Il bullismo individuale è di solito caratterizzato dal comportamento
di una persona che con particolari azioni tende ad acquisire potere su un'altra
persona2.
2 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano, 2011.
Il bullismo fisico, verbale e relazionale sono più diffusi nella scuola primaria e
potrebbe anche iniziare molto prima. Il Cyber-bullismo è più comune nella scuola
secondaria rispetto alla scuola primaria.
3 Dan Olweus, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti editore, Milano, 2012
Quando parliamo di Cyberbullismo facciamo riferimento ad una qualsiasi forma di
bullismo che si ottiene con il supporto di qualsiasi dispositivo tecnologico. Questo
include e-mail, instant messaging, siti di social networking (come Facebook),
messaggi di testo, e telefoni cellulari.
Il Mobbing è "ganging " per modificare le azioni di qualcuno con forza, attraverso la
voce, l'insinuazioni, l'intimidazioni, l'umiliazioni, il discredito, e l'isolamento. Si tratta
di più di un aggressore, spesso orchestrato da un leader che è un manipolatore abile.
Nella vecchia Germania Est, la Stasi (la polizia segreta) ha utilizzato il mobbing
ampiamente, ufficialmente veniva chiamato con il nome in Zersetzung, che si
traduce approssimativamente con "decomposizione". La Stasi considerava le "misure
di Zersetzung4" come uno strumento necessario quando le procedure giudiziarie non
erano state in grado di portare al risultato voluto, o per motivi politici , come nei casi
relativi all'immagine internazionale del governo tedesco orientale (RDT).
4 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano, 2011.
1.3 L'etimologia della parola
La parola "bullo" è stata utilizzata nel 1530 con il significato di "tesoro", applicato ad
entrambi i sessi, questo deriva dall'olandese Boel "amante, fratello", probabilmente
diminutivo del tedesco alto medioevale Buole "fratello", di origine incerta
(confrontabile con il tedesco Buhle "amante").
Nel nostro paese il termine è divenuto di uso comune ed è stato considerato come
elemento pieno della nostra lingua solo a partire dagli anni settanta del secolo
scorso5.
5 L. Lehnus, Incontri con la filologia del passato, Dedalo Editore, Roma, 2012.
1.4 Caratteristiche
6 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano, 2011.
I ricercatori hanno identificato altri fattori di rischio come la depressione e disturbi
della personalità, così come gli scatti di rabbia e utilizzo frequente della forza, porta
a sindromi da dipendenza comportamenti aggressivi, scambiando le azioni degli altri
come ostili, la preoccupazione con immagine di sé la conservazione, e impegnarsi in
azioni ossessive o rigide.
Fattore che scaturisce in maniera univoca da tutte le ricerche effettuate negli ultimi
decenni sul fenomeno è che i soggetti che erano giovani bulli sono divenuti adulti
che hanno una visione della vita più incline alla violenza rispetto alla media9.
9 Ibidem
1.4.1 Tipica vittima
Dr. Cook dice che "Una tipica vittima è probabile che sia aggressiva, abbia una scarsa
propensione sociale o per meglio dire alla socializzazione, abbia pensieri negativi,
incontrano difficoltà a risolvere i problemi sociali, provengo da una famiglia poco
stimolanti intellettualmente, e sono notevolmente respinti e isolati dai coetanei".
I bambini che sono vittime di bullismo spesso mostrano segni fisici o emotivi, come
ad esempio: la paura di andare a scuola, lamentano mal di testa o perdita di
appetito, mancanza di interesse nelle attività scolastiche e per passare il tempo con
gli amici o la famiglia, e avere un senso generale di tristezza.
10 S. Castorina, Fantasie di bullismo. I racconti di bulli e vittime al test proiettivo dell'abuso infantile, Franco Angeli editore, Milano, 2006.
1.5 Gli effetti degli atti di bullismo
Mona O'Moore del Centro anti-bullismo al Trinity College di Dublino, ha scritto, "Vi è
un crescente corpo di ricerca che indica che gli individui, sia bambini sia adulti, che
sono costantemente sottoposti a comportamenti abusivi sono a rischio di stress
correlato, a malattie psicosomatiche che a volte possono portare al suicidio". Coloro
che sono stati bersaglio di bullismo possono soffrire di problemi emotivi e
comportamentali a lungo termine.
Il bullismo può causare solitudine, depressione, ansia, portare a bassa autostima e
una maggiore suscettibilità alla malattia, in quanto i forti fattori di stress psicologico
portano ad un abbattimento delle difese immunitarie. Il bullismo è stato anche
dimostrato di essere causa di disadattamento nei bambini piccoli (3 ai 7 anni), il che
è ancora più visibile nei bulli che sono stati a loro volta vittime di questo
fenomeno11.
Mentre alcune persone è molto facile ignorare un bullo, per altre potrebbe essere
molto difficile e raggiungere un punto di rottura in questi casi è semplice. Ci sono
stati casi di suicidi legati al bullismo che sono stati riportati e descritti con dovizia di
particolari dai media.
12 Ibidem
Il bullismo e il suicidio, conosciuti come "bullycide", sono considerati insieme
quando la causa del suicidio è da attribuire allo stress psicologico e relative
depressione derivante dalle morbose pressioni che il soggetto ha subito in un dato
ambiente, di persona o attraverso i social media13.
Gli analisti legali criticano il termine bullycide perché collega una causa con un
effetto sotto il controllo di qualcun altro. Una nota ricerca (il libro Bullycide: Death at
Playtime, di Neil Marr e Tim del 2001), mostra coloro che sono vittime di bullismo
hanno una maggiore probabilità di considerare o di realizzare un intento suicida
rispetto a quelli che non lo sono.
13 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano, 2011.
Tuttavia, ci sono vittime di bullismo che non finiscono per suicidarsi, e alcuni di loro
condividono le loro esperienze al fine di inviare un messaggio positivo alle vittime di
bullismo che il suicidio non è l'unica opzione.
Nel 2010, i suicidi di adolescenti negli Stati Uniti che sono stati vittime di bullismo
perché erano gay o percepiti come tali ha raggiunto livelli allarmanti, il che ha
portato alla costituzione della It Gets Better, progetto sociale dell'associazione Dan
Savage. Durante l'evento inagurale, Spirit Day, è stato chiesto a tutti i partecipanti di
portare una viola come simbolo di rispetto per le vittime decedute per bullismo,
cyberbullismo14.
14 S. Castorina, Fantasie di bullismo. I racconti di bulli e vittime al test proiettivo dell'abuso infantile, Franco Angeli editore, Milano, 2006.
Infatti, il fenomeno, che è preoccupante nel nostro paese, ha assunto dimensioni
spropositate negli Stati Uniti, al punto da spingere il governo federale ad una
specifica azione contenitiva.
Il bullismo nasce dalla violenza, ma genera a sua volta violenza, basti pensare che
serial killer sono stati spesso vittime di bullismo sia diretto sia indiretto, quanto
erano bambini o adolescenti. Henry Lee Lucas, un serial killer psicopatico dalla
ferocia inaudita, ha sostenuto che la sua sete di violenza derivava dall'odio
generalizzato verso il genere umano, nato da quando da bambino un bullo lo
derideva per il suo aspetto.
Kenneth Bianchi, un serial killer e membro degli "strangolatori della collina", è stato
preso in giro quando era un bambino perché ha urinato nei pantaloni e ha subito
vessazioni, e da adolescente è stato ignorato dai suoi pari15.
Alcuni hanno sostenuto che il bullismo può insegnare lezioni di vita e infondere
forza. Helene Guldberg, un accademico dello sviluppo del bambino, ha suscitato
polemiche quando ha sostenuto che essere un bersaglio di bullismo può insegnare
ad un bambino "come gestire le dispute e aumentare la loro capacità di interagire
con gli altri", e che gli insegnanti non dovrebbero intervenire, ma lasciare ai bambini
la possibilità di opporsi o comunque gestione la questione.
15 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano, 2011.
Alcuni studi hanno evidenziato alcuni risultati potenzialmente positivi dal
comportamento legato al bullismo. Questi studi hanno trovato che molti individui,
che da bambini o da adolescenti erano stati vittime di uno o più bulli, ed anche in
modo grave, hanno sviluppato una notevole spinta interiore volta a migliorarsi ed
accrescere le proprie abilità e potenzialità, che li ha spinti a diventare adulti
consapevoli e ottimamente preparati alla vita e al lavoro16.
16 S. Castorina, Fantasie di bullismo. I racconti di bulli e vittime al test proiettivo dell'abuso infantile, Franco Angeli editore, Milano, 2006.
1.6 II Dark triad
La ricerca sulla triade scura è usata in psicologia applicata, in particolare nei settori
di applicazione della legge, psicologia clinica e di gestione aziendale. Le persone con
punteggio alto su questi tratti sono più propensi a commettere crimini, causare
disagio sociale e a creare gravi problemi per un'organizzazione, soprattutto se sono
in una posizione di leadership.
Tutti e tre i tratti della triade oscura sono concettualmente distinti, anche se
l'evidenza empirica mostra che, di fatti, vi è sovrapposizione tra questi tre aspetti.
Essi sono associati con uno stile interpersonale insensibile-manipolativo.
Il Narcisismo è caratterizzato da grandiosità, l'orgoglio, l'egoismo, e una mancanza di
empatia.
Una analisi fattoriale effettuata alla Glasgow Caledonian University ha scoperto che
la sgradevolezza e l'astio sono sentimenti che socialmente provocano chi possiede
elementi della triade oscura, mentre le nevrosi e la mancanza di coscienza sono
direttamente collegabili alla triade oscura.
Nel 1998, McHoskey, Worzel, e Szyarto hanno provocato una polemica sostenendo
che il narcisismo, machiavellismo, e la psicopatia sono più o meno intercambiabili in
campioni normali. Delroy L. Paulhus e McHoskey hanno dibattuto queste prospettive
in una successiva conferenza American Psychological Association (APA), ispirando un
corpo di ricerca che continua a crescere nella letteratura pubblicata. Paulhus e
Williams hanno individuato alcuni elementi di riconoscibilità e di diffusione del
fenomeno, anche se, questi studi ancora oggi si presentano frammentare e
incompleti.
A rendere, se è possibile, ancor più complessa la ricerca è il fatto che, questi soggetti
essendo dotati di Machiavellismo sono abilissimi nel dissimulare e nel manipolare gli
altri, quindi potrebbero eludere il test. La principale critica sollevata in ambito
accademico è ricollegabile essenzialmente alla costatazione che individui che sono
abili ad ingannare e a manipolare gli altri potrebbero essere percepiti come a basso
contenuto di ingannevolezza e manipolazione da parte dei valutatori, e sono quindi
suscettibili di ricevere feedback sfalsati.
Nonostante queste critiche e le comunanze riconosciute tra i tratti della triade
oscura, ci sono prove che i costrutti sono legati, ma distinti.
Machiavellismo
Chiamato in questo modo per via della filosofia di Niccolò Machiavelli, le persone
che punteggio alto su questo tratto sono cinici (in senso proprio, ovvero hanno
interessi amorali), senza scrupoli, convinti che la manipolazione interpersonale sia la
chiave per il successo nella vita.
Narcisismo
Gli individui che hanno un punteggio alto alla voce narcisismo mostrano un senso di
grandiosità, di diritto nell'ottenere le cose, il dominio e la superiorità sugli altri. Il
narcisismo è stato anche trovato per avere una correlazione significativa con la
psicopatia.
Psicopatia
Considerato l'elemento più disdicevole della triade scuro, gli individui con punteggio
alto in questa voce mostrano bassi livelli di empatia combinati con elevati livelli di
impulsività e ricerca di emozioni forti. La somiglianza tra la psicopatia e disturbo
antisociale di personalità sono stati notati da alcuni ricercatori.
La differenza tra i gruppi e i generi
Numerosi studi hanno dimostrato che gli uomini tendono a punteggi più alt rispetto
alle donne sul narcisismo, machiavellismo, e la psicopatia, sebbene la grandezza
della differenza varia tra i tratti e gli strumenti di misura utilizzati. Una scoperta
interessante legata al narcisismo, anche se è stata criticata la rappresentatività del
campione analizzato, è che, seppur permanendo una media più elevata degli uomini
rispetto alle donne, quest'ultime sono fortemente più narcisiste oggi rispetto alle
prime ricerche di inizio anni novanta. In particolare, i già citati risultati indicano che
vi è stato un generale aumento dei livelli di narcisismo nel tempo tra gli studenti
universitari di entrambi i sessi, ma relativamente, il livello medio di narcisismo nelle
donne è aumentato più che il livello medio di narcisismo negli uomini.
I dati in nostro possesso sulle differenze etniche e la presenza dei tratti della triade
oscura sono abbastanza frammentari, e il dato che è disponibile non è
rappresentativo della popolazione in modo globale. Per esempio, uno studio del
2008, condotto sugli studenti universitari neo - laureati ha esposto il dettaglio che i
caucasici siano maggiormente narcisistici rispetto agli asiatici. Allo stesso modo, un
altro studio del 2008, utilizzando sempre studenti universitari, ha rilevato che i
caucasici tendevano a segnare livelli di machiavellismo leggermente superiore ad
altri gruppi etnici. Quando si cerca di capire se ci sono differenze etniche in
psicopatia, i ricercatori hanno affrontato il tema utilizzando diversi strumenti di
misura (ad esempio, il self-report o Personality Inventory), ma non sono state
trovate significative differenze a prescindere dalla misura utilizzata.
In sintesi, ci sono alcune prove sparse che caucasici tendono a punteggio più alti
sulle misure di narcisismo e machiavellismo rispetto ad altre etnie, mentre non
esiste alcuna evidenza di differenze razziali in
Le conseguenze
del bullismo. psicopatia.
1.7 Bullismo ed intelligenza emotiva
In gruppi di lavoro in cui i dipendenti hanno un basso EI, i lavoratori possono essere
persuasi a impegnarsi in comportamenti non etici. Con la persuasione i bulli, nel
gruppo di lavoro, costruiscono un modello sociale in un modo che razionalizza il
comportamento aggressivo ed intollerante, e rende il gruppo tolleranti o di supporto
a fenomeni di mobbing. Hutchinson & Hurley (2013) in "il caso dell'EI e capacità di
leadership" illustrano come un soggetto o un gruppo di soggetti leader con elevata
empatia demoliscono ogni fenomeno di bullismo e di sopraffazione.
Le analisi sull'EI e il comportamento etico tra gli tutti i membri del gruppo di lavoro
hanno dimostrato di avere un impatto significativo sul comportamento etico dei
team e sulla qualità del lavoro offerto.
Un caso classico di bullismo può prevedere la presenza di solo due soggetti, il bullo e
la vittima, che dovrebbe di norma essere un compagno di classe. Attualmente, non
esiste una definizione universale di bullismo scolastico, tuttavia, è ampiamente
convenuto che il bullismo è una sottocategoria del comportamento aggressivo
caratterizzato dai seguenti tre criteri minimi:
1. intento ostile (cioè, i danni causati dal comportamento ostile è intenzionale,
non accidentale);
2. squilibrio di potere (ad esempio, il bullismo include un reale o percepito
disuguaglianza di potere tra il bullo e la vittima);
3. la ripetizione nel corso di un periodo di tempo (cioè, più di una volta con la
possibilità di ricorrere più volte).
I seguenti due criteri aggiuntivi sono state proposti per integrare i criteri minimi di
cui sopra e per renderlo più facilmente riconoscibile agli educatori:
Essendo la scuola un micro - cosmo, molto spesso piccole azioni che in altri ambiti
avrebbero effetti estremamente lievi o insignificanti, possono assumere dimensioni
notevoli e protrassi per anni, il che può essere causa di comportamenti
autolesionisti, fino a portare al suicidio.
Vi è da sottolineare, che in un contesto sociale come quello della scuola, ogni
studente riveste un proprio ruolo, e tenta di difendere il suo ruolo nella comunità,
indipendentemente che questo posso portare a gravi conseguenze per gli altri; non
è raro che uno studente venga etichettato come soggetto aggressivo, ma la sua
aggressività non è irrazionale o arbitraria, ma si ricollega al tentativo di terzi di
invadere il suo status sociale.
Detto ciò, poniamo in essere una rapida analisi delle principali caratteristiche dei
soggetti che pongono in essere questi fenomeni:
2.2 Cyber-bullismo
Il Cyberbullismo è l'atto di danneggiare o molestare tramite reti informatiche in
modo ripetuto e deliberato. Con un maggiore uso di tecnologie di comunicazione,
il cyberbullismo è diventato sempre più comune, soprattutto tra gli adolescenti.
Di fatti, non è altro che l'uso delle tecnologie della comunicazione con l'intenzione
di nuocere ad un'altra persona.
Ecco come si manifesta bullismo virtuale
Molestie il bullo invia frasi
volgari e violente tramite email,
sms, chat o blog.
Un cyberbullo può o non può conoscere la sua vittima. Un cyberbullo può essere
anonimo e può sollecitare il coinvolgimento di altre persone on-line che non
conoscono il bersaglio. Questo è noto come un "pile-on digitale."
La pratica di cyberbullismo non si limita ai bambini e, mentre il comportamento è
identificato dalla stessa definizione, quando viene praticata da adulti, la
distinzione in gruppi di età porta ad una distinzione come cyberstalking o
cyberharassment quando perpetrati da adulti verso gli adulti.
Tattiche comuni usate da cyberstalker vengono eseguite in forum pubblici, social
media o siti di informazione on-line e sono destinate a minacciare i guadagni,
l'occupazione, la reputazione o la sicurezza della vittama prescelta. I
comportamenti possono includere l'incoraggiamento verso gli altri a molestare la
vittima, cercando di coinvolgere quanti più soggetti e possibili.
Troll e bulli non sempre hanno gli stessi obiettivi. Alcuni troll si impegnano in
cyberbullismo (incluse le molestie, diffamazione, o diffusione di informazioni che
sarebbero altrimenti nascoste), ma altri troll possono creare azione volte ad
infastidire, ma relativamente innocue.
2.3 bullismo tradizionale e la tecnologia
Secondo il rapporto Ipsos 2014 per Save The Children quattro minori su dieci sono
testimoni di atti di bullismo on line verso coetanei, percepiti "diversi" per aspetto
fisico (67%) orientamento sessuale (56%) o perché stranieri (43%). Il bullismo è
percepito dal 69% dei minori italiani intervistati come un problema più grave di
droga, alcol e della possibilità di subire molestie da un adulto. I social network
rappresentano la modalità d'attacco preferita dal cyber bullo (61%), che di solito
colpisce la vittima attraverso la diffusione di foto e immagini denigratorie (59%) o
tramite la creazione di gruppi "contro" (57%).
17 http://www.scuolavicospinea.it/documenti/Cyberbullismo%20Piemonte.pdf
C'è poi il fenomeno del "furto" di mail e messaggi privati resi poi pubblici (48%),
l'invio di sms, mms, e-mail aggressivi e minacciosi (52% che sale al 61% nel caso di
femmine preadolescenti) e la diffusione di notizie false sulla vittima (58%). Secondo i
ragazzi il cyber bullismo ha conseguenze sul rendimento scolastico (38%), sui
rapporti sociali (65%) e può portare a conseguenze sulla salute come ansia e
depressione (57%, percentuale che sale al 63% nelle ragazze tra i 15 e i 17 anni)18.
Molti studi (Cowie E., 2013; Elgar F.J. et al., 2014) fanno emergere in modo evidente
la relazione tra atti di cyber bullismo e conseguenze sulla salute della vittima. Le più
frequenti risultano essere: difficoltà di concentrazione, ritiro dalla vita sociale
(scolastica e personale), aggressività, ansia, depressione e nei casi peggiori il
suicidio.
18 http://www.scuolavicospinea.it/documenti/Cyberbullismo%20Piemonte.pdf
E' evidente, per chi si occupa di prevenzione e promozione della salute, l'urgenza e
la necessità di essere preparati a fronteggiare questo fenomeno in continua
espansione. Come dichiara la dott.ssa Cristina Bonucchi, dell'Unità di analisi dei
crimini informatici della Polizia Postale, è importante realizzare progetti e interventi
di prevenzione mirati rivolti alle tipologie di destinatari maggiormente coinvolte nel
fenomeno del cyber bullismo: i ragazzi, il personale scolastico e le famiglie in
un'ottica di integrazione degli interventi di prevenzione e di promozione di un
utilizzo consapevole e critico della rete.
2.4 I social media e il bullismo
Ci sono molti rischi collegati ai siti di social media, e il cyberbullismo è uno dei
rischi più grandi. Un milione di bambini sono stati molestati, minacciati o
sottoposto ad altre forme di cyberbullismo su Facebook durante l'anno passato,
mentre il 90 per cento dei ragazzi che utilizza stabilmente i social-media, e che
hanno assistito a forme di crudeltà on-line dicono di aver ignorato il
comportamento medio sui social media,
e il 35 per cento sottolinea che si tratta di un fenomeno molto frequente. Il 95 per
cento dei ragazzi che utilizzano i social-media e che hanno assistito a
comportamenti crudeli su siti di social networking, dicono di aver visto altri
ignorare il comportamento, mentre il 55 per cento testimonia come questa sia una
pratica usuale. Secondo uno studio del 2013 del Pew Research, otto adolescenti su
10 che fanno uso di social media condividono più informazioni personali su de e la
propria famiglia rispetto a quello che farebbero nel mondo reale. Questo include
la posizione, le immagini e informazioni di contatto.
19 R. Renzi, M. A. Zanetti, Il fenomeno del bullismo - Tra prevenzione ed educazione, Edizioni Ma.Gi, Roma, 2009
2.5 L'esperienza italiana nella lotta al fenomeno
“L'intento è quello di parlarne, uscire dal silenzio, raccontare le proprie strategie di sopravvivenza,
condividere con i propri pari il senso delle relazioni online. Il risultato sarà una raccolta di video
che serviranno da ispirazione per le cinque puntate della web series alla quale parteciperanno
iprotagonisti dei video selezionati.”
CAPITOLO III
valutativa (il gruppo e/o la propria appartenenza ad esso può essere connotata
positivamente o negativamente);
22 Anzieu, J. Y. Martin, Dinamica dei piccoli gruppi - Boria (Roma), 1990, pp. 13-14
23 G. Speltini, Stare in gruppo - Il Mulino, 2002, pp. 27-29
B. W. Tuckman sostiene che ogni gruppo deve essere considerato secondo due
aspetti: uno centrato sul compito, cioè sull'operatività tesa a raggiungere gli obiettivi
prefissati, l'altro affettivo riguardante gli scambi emozionali fra i membri. B. W.
Tuckman poi indica in cinque stadi lo sviluppo del gruppo:
26 Ibivi
Da questa ribellione può nascere una nuova organizzazione a patto che però i
figli trasformino la gelosia in solidarietà rendendo impossibile il dominio sugli altri.
Questa fratellanza simbolica determina una coesione tra i membri del gruppo e
mantiene basso il livello di aggressività interno al gruppo stesso27.
27 L. Dozza, Il lavoro di gruppo tra relazione e conoscenza - La Nuova Italia, 1993, pp. 32- 36
Questa necessità di sostegno può consistere: nel riconoscere ed esplicitare la
preoccupazione del gruppo di non riuscire ad impostare il proprio lavoro, nel
mettere il gruppo in condizione di avere chiarezza sugli scopi del lavoro e di
condividerli, nel riconoscere e far riconoscere le risorse su cui contare per cercare
percorsi di soluzione28. Le teorie cognitive hanno dato un rilevante contributo alla
ricerca sull'apprendimento scolastico che deve essere costruttivo, strategico,
interattivo. L'orientamento cognitivistico studia il processo che raccorda lo stimolo e
la risposta: metodi e tempi di elaborazione dell'informazione, tempi di reazione,
attenzione selettiva, memoria a lungo e breve termine prendendo così in
considerazione soprattutto la comunicazione e i processi di gruppo.
28 ibivi
Questo modello di orientamento cognitivo diviene dominante alla fine degli
anni Sessanta con la pubblicazione nel 1966 di "La psicologia del bambino" di J.
Piaget. Egli propone un modello scolastico che ha carattere costruttivo, basato su
schemi d'azione e strutture cognitive capaci di adattamento ad ogni nuovo oggetto,
fatto, situazione proposto dall'ambiente attraverso l'assimilazione e
l'accomodamento che comportano piccoli ma significativi cambiamenti29.
29 L. Dozza, Il lavoro di gruppo tra relazione e conoscenza - La Nuova Italia, 1993, pp. 38-41
3.2 Cosa si intende per lavoro di gruppo
Il "Team Working", può essere definito come "un'attività in cui alcune persone
interagiscono tra loro con una certa regolarità, nella consapevolezza di dipendere
l'uno dall'altro e di condividere gli stessi obiettivi e gli stessi compiti"30. Ognuno
svolge un ruolo specifico e riconosciuto, sotto al guida di un leader, basandosi sulla
circolarità della comunicazione, preservando il benessere dei singoli (clima) e
mirando parallelamente allo sviluppo dei singoli componenti e del gruppo stesso.
30 http://www.urp.it
Perché un gruppo di lavoro possa evolversi e maturare nel tempo e per
permettere una maggiore collaborazione tra i suoi membri ed una loro
partecipazione più attiva, è necessario che si passi dalla semplice integrazione ad
una vera e propria interazione, affinché i partecipanti al gruppo possano condividere
bisogni ed esigenze. La realizzazione concreta della collaborazione all'interno del
gruppo, è poi facilitata dal meccanismo di negoziazione, che permette il confronto e
il passaggio dal punto di vista dei singoli individui ad un punto di vista comune e
condiviso per realizzare al meglio gli obiettivi previsti.
Sette sono, quindi, gli elementi chiave che concorrono nella costruzione e
> Obiettivo
> Metodo
> Ruolo
> Leadership
> Comunicazione
> Clima
> Sviluppo
Obiettivo
Nessun gruppo di lavoro può essere efficace se l'obiettivo che deve raggiungere
non è chiaro e ampiamente condiviso dai suoi membri. L'obiettivo di un gruppo di
lavoro efficace deve essere definito in termini di risultato, costruito su dati
osservabili e risorse disponibili, espresso in termini chiari, articolato in compiti ed,
infine, valutabile. Un obiettivo chiaro e ben esplicitato contribuisce a consolidare la
coesione e il senso di appartenenza al gruppo da parte dei suoi componenti e
contemporaneamente contribuisce a definire in maniera chiara il rapporto con
l'organizzazione, quindi il clima interno.
Metodo
Il metodo assume per il gruppo una duplice accezione: da una parte stabilisce i
principi, i criteri e le norme che orientano l'attività del gruppo, dall'altra richiama le
modalità di organizzazione e strutturazione efficace dell'attività stessa. Un buon
metodo di lavoro dà sicurezza al gruppo e permette un miglior utilizzo nell'uso e
nella gestione delle risorse disponibili.
Ruolo
Il clima consiste nell'insieme degli elementi, delle opinioni, delle percezioni dei
singoli membri rispetto alla qualità dell'ambiente del gruppo e della sua atmosfera.
Una buona percezione del clima si attua quando c'è un giusto sostegno e calore nel
gruppo, i ruoli dei singoli sono riconosciuti e valorizzati, la comunicazione è aperta,
chiara e fornisce feedback accettabili sui comportamenti delle persone e sui risultati
conseguiti dal gruppo. Una leadership partecipativa e gli obiettivi opportunamente
calibrati alle capacità del gruppo sono tra i fattori che maggiormente influenzano il
clima.
Sviluppo
31 http://www.urp.it
3.3 Funzione educativa del lavoro di gruppo
32 G. P. Quaglino , S. Casagrande, A. Castellano, Gruppo di lavoro, lavoro di gruppo, Raffaello Cartina Editore, Roma, 2013, pg. 78
33 G. P. Quaglino , S. Casagrande, A. Castellano, Gruppo di lavoro, lavoro di gruppo, Raffaello Cartina Editore, Roma, 2013, pg. 78
Per quanto riguarda l'apprendimento di contenuti curricolari, il lavoro di gruppo
può essere più efficace rispetto ai metodi di insegnamento tradizionale che
prediligono la lezione frontale e i compiti scritti, poiché nell'attività di gruppo viene
favorito l'uso del pensiero concettuale piuttosto che l'applicazione di una regola o la
sua memorizzazione; infatti nello svolgimento di compiti concettuali, gli alunni
interagiscono secondo modalità che li aiutano a capire e ad applicare le idee. Nessun
alunno all'inizio del compito possiede le informazioni o i principi fondamentali
richiesti ma, attraverso la raccolta di informazioni, l'intuizione e lo stimolo reciproco,
arriva alla soluzione del problema in modo creativo.
In questo modo gli studenti hanno molte più possibilità di apprendere:
imparano gli uni dagli altri, sono stimolati a produrre un pensiero di ordine più
elevato, provano un vero e proprio orgoglio intellettuale rispetto a ciò che hanno
raggiunto quando il loro prodotto di gruppo è più di quanto avrebbe potuto ottenere
qualsiasi singolo componente34.
34 G. P. Quaglino , S. Casagrande, A. Castellano, Gruppo di lavoro, lavoro di gruppo, Raffaello Cartina Editore, Roma, 2013, pg. 79
L'apprendimento cooperativo quindi, ampliando la capacità di assumere il
punto di vista degli altri, permette di trattenere informazioni migliorando le proprie
abilità fondamentali e produce un comportamento più attivo, più impegnato e più
orientato al compito di quanto faccia il lavoro individuale. La valutazione di gruppo
per il lavoro complessivo, da parte dell'insegnante, evidenzierà solide forze interne
che impediscono ai singoli membri di distogliersi dal lavoro da svolgere poiché
l'interazione risulta sempre interessante e coinvolgente per gli studenti. Il gruppo,
per poter portare a termine il compito con successo, ha bisogno non solo di risorse
che includono abilità intellettive, lessico, informazioni rilevanti, ma anche di chiare
istruzioni su come procedere.
Il lavoro di gruppo cambia il ruolo dell'insegnante che non è più il supervisore
diretto degli studenti, non è più sua la responsabilità di osservare e correggere
immediatamente ogni errore.
35 G. P. Quaglino , S. Casagrande, A. Castellano, Gruppo di lavoro, lavoro di gruppo, Raffaello Cartina Editore, Roma, 2013, pg. 80
Due strategie hanno effetto su questo problema:
E' necessario che l'insegnante cerchi in questi alunni con status inferiore dal
punto di vista scolastico, sociale, relazionale, delle aree di competenza e progetti
una situazione in cui lo studente può fungere da esperto. La fase di partecipazione
collettiva è la conclusione, il momento cioè in cui gli studenti di ogni gruppo
presentano il lavoro all'intera classe che condivide ciò che il gruppo ha imparato.
La valutazione, da parte dell'insegnante, è la misurazione del profitto, è un
processo valutativo globale che prende in considerazione ogni aspetto dell'attività;
serve per conoscere gli allievi e poter incoraggiare le loro abilità e conoscenze; serve
per accertare se sono stati fatti propri i concetti fondamentali che andavano appresi
ed è la base per la prossima programmazione di lavoro di gruppo36.
36 E. G. Cohen, Organizzare i gruppi cooperativi. Ruoli, funzioni, attività - Ed. Erickson, 1999, pp. 25-40 e pp. 59-64
3.4 I concetti teorici di riferimento
Ciò sta ad indicare che se è vero che la Scuola dell'infanzia deve essere un vivaio
di relazioni umane, tali relazioni, costituendosi all'interno di un ambiente
predisposto, costituiscono il risultato di una chiara intenzionalità educativa che ha
un grande valore, sia in sè stesso che per gli effetti circolari che la formazione
interpersonale e sociale induce sull'esperienza relazionale informale, cioè aiutando il
bambino a saper vivere in modo più libero e capace la socialità informale.
Per favorire la dimensione relazionale che costituisce terreno di intervento
intenzionale della Scuola attraverso lo specifico campo di esperienza "Il sé e l'altro",
è necessario riconoscere l'importanza per la capacità relazionale dell'insegnamento
personalizzato. Infatti, la personalizzazione dell'intervento (anzi più precisamente la
personalizzazione dei percorsi di formazione) non è in contraddizione necessario
riconoscere l'importanza per la capacità relazionale dell'insegnamento
personalizzato. Infatti, la personalizzazione dell'intervento (anzi più precisamente la
personalizzazione dei percorsi di formazione) non è in contraddizione con l'esigenza
e la pratica della socialità, ma sono due dimensioni da far coesistere e integrare
poiché diverse ma ambedue importanti.
Infatti gli studi sull'egocentrismo e la lunga pratica didattico-formativa fondata
sulla personalizzazione dei percorsi di formazione (montessoriana), hanno
dimostrato che il grado di socialità è correlato positivamente ad una percezione di sé
chiara, distinta e forte, nel senso che solo una chiara e matura coscienza di sé può
far scoprire l'altro come una soggettività vera, diversa da sè stessi. E cioè un senso
pieno dell'Io che ci rende capaci di "non fate agli altri ciò che non vorremmo fosse
fatto a noi". Questo spiega perché un ambiente sociale che si fonda sulla
personalizzazione dell'intervento sia, per ciò stesso, una concreta scuola di socialità,
in cui il rispetto dell'altro si manifesta sia come percezione dell'altro (un altro Io
simile a me), e sia come capacità positiva e attiva di cooperazione e non di semplice
coesistenza o tolleranza40.
40 N. Dell'Aquila, Manuale per il concorso della Scuola materna - Ed. Giunti, 1998, pp. 400-403
Interessante è riportare la valutazione di alcuni grandi pedagoghi che hanno
affrontato il tema dello sviluppo cognitivo in ambito scolastico attraverso il gruppo.
a) J. Piaget
successive.
Questo sviluppo, per l'azione delle stimolazioni socioculturali e delle esperienze
personali compiute dall'individuo, non avviene in modo lineare, ma ciò che sembra
restare immutato è l'ordine degli stadi e non le modalità e i percorsi con i quali essi
si organizzano41.
Piaget ha dimostrato sia che la differenza tra il pensiero del bambino e quello
dell'adulto è di tipo qualitativo (il bambino non è un adulto in miniatura, ma un
individuo dotato di struttura propria) sia che il concetto di intelligenza (capacità
cognitiva) è strettamente legato al concetto di "adattamento all'ambiente":
41 N. Dell'Aquila, Manuale per il concorso della Scuola materna - Ed. Giunti, Napoli, 1998, pp. 403-405
Sostiene che l'intelligenza non è che un prolungamento del nostro adattamento
biologico all'ambiente: l'uomo non eredita solo delle caratteristiche specifiche del
suo sistema nervoso e sensoriale, ma anche una disposizione che gli permette di
superare questi limiti biologici imposti dalla natura. Piaget ha scoperto che la
conoscenza del bambino si basa sull'intelligenza pratica del soggetto con l'oggetto,
nel senso che il soggetto influisce sull'oggetto e lo trasforma. Lo sviluppo psichico
che inizia fin dalla nascita è un continuo processo di autoregolazione nella ricerca di
un equilibrio dinamico tra fattori innati e fattori acquisiti.
Questo processo avviene attraverso due processi che caratterizzano ogni
adattamento e che si avvicendano durante l'età evolutiva:
• l'assimilazione dei nuovi dati dell'esperienza alle strutture preesistenti;
42 Ibivi
Fase sensomotoria (da 0 a 2 anni):
43 N. Dell'Aquila, Manuale per il concorso della Scuola materna - Ed. Giunti, Napoli, 1998, pp. 406-409
Fase pre-concettuale e del pensiero intuitivo (da 4 a 7 anni):
Il periodo dai tre ai cinque anni è definito: "L'età dei perché" in cui il bambino,
di fronte a nuove scoperte concrete si domanda e domanda quale sia il nesso che
lega la causa con l'effetto, interiorizzando le risposte e adattandole poi ad altre
situazioni.
b) L. Vygotskij
I risultati delle ricerche di L. Vygotskij, per lo meno quelli che si sono rivelati più
importanti per il mondo scolastico, si possono così sintetizzare: in generale,
l'insegnamento propone agli alunni obiettivi che tengano conto delle competenze
già acquisite da ciascuno in modo da stimolare, sostenere e sviluppare ulteriori
provvedimenti; il divario tra i due livelli (risultati conseguiti da soli e risultati
conseguibili con l'aiuto dell'adulto) indica la zona di sviluppo prossimale.
Poiché i bambini con la più vasta zona di sviluppo prossimale conseguono
migliori risultati nell'apprendimento, l'insegnamento efficace è quello che precede
lo sviluppo perché risveglia e anima i processi interiori che in quel momento sono
possibili per l'intervento dell'adulto e per la collaborazione dei compagni44. Sviluppo
e apprendimento quindi, non possono essere considerati termini distinti o
contrapposti, ma piuttosto due facce di un più generale e unico processo.
L'attenzione dell'educatore deve perciò spostarsi sulla possibilità di apprestare
ambienti, situazioni, relazioni, materiali, procedure. L'ambiente scolastico, infatti,
rispetto a tutte le altre situazioni di vita del bambino, gode del carattere
dell'intenzionalità, della competenza, dell'organizzazione45.
46 http://www.elledici.org
In Piaget, l'attività mentale è unica e indifferente e quindi anche il sapere
è unico: le abilità cognitive conseguite in una qualsiasi specializzazione
possono essere trasferite in altri campi disciplinari. Ne consegue che la
distinzione in discipline non corrisponde ad una esigenza della mente,
quanto piuttosto a una esigenza culturale (alfabetizzazione culturale)
essendosi il sapere storicamente suddiviso in specializzazioni.
In Gardner, l'attività mentale è differenziata, anche se poi di fronte a
problemi complessi le diverse intelligenze operano sinergicamente. Ne
consegue che la distinzione dell'insegnamento in discipline (o Campi di
Esperienza) risponde alla necessità di stimolare opportunamente le varie
funzioni della mente per poter tenere conto delle peculiarità dei diversi
saperi per ciascuno dei quali si hanno forme specifiche di pensiero.
Tuttavia anche se non esiste una definizione completa e unica del concetto di
apprendimento, tutte le scuole psicologiche e pedagogiche sono concordi che
l'apprendimento:
48 Ibivi
Considerando che in età scolare si assiste ad un cambiamento nella natura del
comportamento aggressivo (diventando sempre più intenzionale e rivolto ad
attaccare l'altro) e che con l'età adolescenziale si evidenzia un decremento
dell'incidenza della condotta aggressiva (anche se è un età in cui le azioni violente
più serie aumentano) si propongono dei giochi cooperativi per la fascia d'età dagli
otto ai sedici anni per prevenire e contrastare il fenomeno del Bullismo, proponendo
delle esperienze basate sullo stile del "tutti per uno e uno per tutti" a sostegno del
percorso evolutivo verso una migliore gestione dei comportamenti socio-affettivi.
I giochi cooperativi sono utili per contrastare il fenomeno del bullismo in quanto
si fondano sul lavoro di squadra in cui i partecipanti devono collaborare tra loro per
assolvere ai compiti ludici, migliorando la qualità dei risultati con il livello di
cooperazione che si basa sull'aiuto reciproco. Nei giochi cooperativi i compiti
possono essere realizzati solo se i componenti del gruppo uniscono le loro abilità
facendo la fondamentale esperienza di apprendimento prosociale che gli sforzi,
l'iniziativa e l'impegno attivo di tutti danno un risultato che supera la soddisfazione
individuale per scoprire la responsabilità per qualcosa di comune attraverso una
esperienza di successo.
Il valore pratico del lavoro di gruppo si evidenzia quando nei giochi affiorano dei
conflitti conseguenti al dover prendere decisioni difficili, quando si è sotto la
pressione temporale, quando vi sono diverse strategie di soluzione od uno scarso
impegno di alcuni, occasioni preziose di apprendimento in cui aiutando gli altri e
lasciando che essi ci aiutino si manifesta l'impegno verso di loro, ma anche la
disponibilità a riconoscere i propri limiti permettendo loro di esserci di aiuto.
Durante i giochi cooperativi l'osservazione dei comportamenti socio-affettivi
può essere effettuata con una griglia di osservazione (All.1), utilizzabile da un
docente in compresenza con il ruolo di osservatore durante le attività condotte dal
collega che svolge il ruolo di animatore dei giochi cooperativi, con la rilevazione della
"emosia" (parafrasando la "gnosia" = riconoscimento e la "prassia" = riproduzione,
con questo neologismo intendo riferirmi alla "risonanza emotiva" della corporeità
nella dialettica Intrapersonale= rapporto con se stessi - Emozione / Interpersonale =
rapporto con gli altri - Empatia)49.
49 FONTE: http://www.istruzionepadova.it/intedu/documenti/EdFis_GiochiCooperativi.pdf
Per quanto riguarda la proposta operativa dei Giochi Cooperativi si fa
riferimento alla raccolta di Giochi Cooperativi d'Avventura (Lehner, 2001), di cui si
selezionano alcuni giochi adatti alla fascia d'età e al contesto scuola sopracitato,
integrata da altre attività ludico-relazionali acquisite in corsi di formazione; si rinvia
poi alla biblio-emerografia per un eventuale approfondimento personale sul tema
specifico. Della raccolta proposta sono scelti alcuni giochi cooperativi, in quanto
utilizzabili sia per l'approccio curricolare e/o trasversale alle varie discipline al
problema del Bullismo, sia per il Training ComunicativoRelazionale relativo al
modello dell'operatore amico (Menesini 2003), e in gran parte sperimentati
personalmente nelle attività da me condotte come tutor-animatore nella fascia d'età
dagli otto ai sedici anni.
In particolare quest'ultimo gruppo di giochi favorisce il "debriefing", inteso
come momento di riflessione critica collettiva realizzato a caldo dopo una situazione
emotiva molto intensa, fondamentale per elaborare la 2 dimensione socio-affettiva
possibile solo dopo una fase esperenziale pratica, che può articolarsi, specie con la
fascia d'età dei più piccoli, con una fase non verbale "iconica" (per visualizzare il
vissuto) e una fase verbale (per nominare il vissuto) sia orale che scritta,
utilizzandolo così come modello di apprendimento.
Per la "coerenza" del messaggio educativo finalizzato a contrastare il fenomeno
del bullismo si raccomandano agli insegnanti-animatori i seguenti principi
pedagogici adatti per i giochi:
• Chiarire le strutture del gioco: far notare le correlazioni fra i diversi fattori
rilevanti per il gioco.
• Avviare all'autoregolazione: fare in modo che le funzioni relative alla
soluzione dei problemi e alle strutture dei giochi possano essere svolte dagli/lle
alunni/e in modo regolare ed autonomo, senza che uno di loro si imponga sugli
altri50.
50 FONTE: http://www.istruzionepadova.it/intedu/documenti/EdFis_GiochiCooperativi.pdf
3.6 Elementi di contrasto al fenomeno del bullismo
Una pietra miliare nella prevenzione del bullismo è la presenza di una cultura
scolastica positiva, alfine, di favorire un clima accogliente delle differenze e delle
diversità, per ottenere questo risultato è necessario una politica scolastica basata
sull'inclusività e rispetto delle persone. Una politica della scuola sul bullismo è più
efficace se supportata da una scuola positiva e propositiva.
Quale clima favorisca il rispetto, la fiducia, la cura, la considerazione e il supporto
per gli altri. Accuratamente valutare l'entità del bullismo è difficile. diverse
definizioni di bullismo portano a stime diverse.
Sotto-segnalazione degli incidenti, a causa della mancanza di volontà da parte dei
bambini e dei giovani 'per dire' e perché le scuole non sempre tenere registri
sistematici e dettagliati, contribuisce anche alla incertezza circa la sua prevalenza.
Il fenomeno nelle scuole soffre anche di una coltre di omertà, soffrire in silenzio,
viene osservato in questa ricerca è un tratto distintivo delle vittime del bullismo,
purtroppo non vi sono prove che suggeriscono che alcuni bambini hanno maggiori
probabilità di essere coinvolti in episodi di bullismo e che i modi in cui essi imparano
a gestire aggressione e sviluppare le competenze sociali possono essere un fattore
chiave che contribuisce o meno al perdurare del fenomeno.
51 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano 2013.
Coloro che sono disabili, vittime di abusi o negligenza, in lutto, provenienti da
diverse etnie, o crescono in cura, possono essere vulnerabile e le scuole devono
essere consapevoli delle particolari esigenze di questi bambini e di questi giovani. In
aggiunta a questo, ci sono indicazioni che i bambini che sono percepiti come
differenti in termini di dimensioni, forma, colore, con gli occhiali e anche avere i
capelli rossi, possono essere maggiormente tendenti a subire determinati episodi
negativi. Altri bambini e giovani sono vittime di bullismo senza, però, presentare
nessun motivo apparente e possono essere vittime di bullismo anche da parte di ex
amici52.
52 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano 2013.
Il bullismo non è giustificato, anche se alcuni alunni irritano gli altri o non sono in
grado di gestire il disaccordo o il conflitto. Gli insegnanti e i genitori devono lavorare
insieme per trovare il modo di aiutare l'allievo. Migliorare le competenze sociali,
l'assertività, la gestione della rabbia e i feedback da amici sul comportamento
fastidioso, hanno dimostrato di essere strategie efficaci.
Vi è da sottolineare, come nonostante gli sforzi, non esiste, ancora tutt'ora, una
strategia univoca e universalmente riconosciuta volta a contrastare in modo
definitivo il fenomeno.
53 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano 2013.
3.5.1 Un approccio scolastico
Gli esperti raccomandano la definizione di una politica che coinvolga tutta la scuola
con un approccio in quattro fasi: la consapevolezza e la consultazione;
l'implementazione; il monitoraggio; e la valutazione. Grazie alla collaborazione di
queste fasi si dovrebbe garantire che non solo che è in atto una certa politica, ma
che sia efficace.
La politica dovrebbe mirare a:
• assicurarsi che l'intera comunità scolastica capisca che cosa si intende per
bullismo;
• mettere in chiaro che qualsiasi forma di bullismo non sarà tollerata;
54 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano 2013.
3.5.2 Approcci curriculari
Può essere uno strumento per abilitare e responsabilizzare gli studenti ad acquisire
e mantenere le competenze sociali che permetteranno loro di gestire in modo
costruttivo i loro rapporti con gli altri e dotarli di quel bagaglio di esperienze tali da
poter rispondere al bullismo in forma adeguata, e, se necessario, modo assertivo.
Questo approccio al bullismo ha il vantaggio di garantire che la questione è
introdotta progressivamente nella vita dello studente e non viene trattata come una
lezione "una tantum55".
55 Dan Olweus, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti editore, Milano, 2001
Esso consente agli alunni di fare uso di stili di apprendimento preferiti e appropriati
e possono includere l'uso di: letteratura, materiale audiovisivo, teatro, musica,
dibattiti e visitatori esterni.
Molti esperti, compreso il MIUR italiano, sottolineano che se si usa questo approccio
con alunni con bisogni educativi speciali, la cura deve essere presa per includerli nel
lavoro curriculum in modo adeguato per le loro esigenze individuali56.
56 Ibidem
3.5.3 II supporto tra pari
Il supporto tra pari copre una gamma di approcci pianificati e strutturati al bullismo
che mirano a utilizzare le conoscenze, le competenze e l'esperienza dei bambini e
dei giovani a capire, supportare, informare, aiutare e sviluppare le competenze,
l'autostima e la fiducia dei loro pari. L'evidenza conferma che il sostegno tra pari
offre un contributo significativo alla riduzione del bullismo. Servono a giustificare
una politica anti bullismo nelle scuole, che permette ai bambini di rifiutare
comportamenti di bullismo, di assumersi la responsabilità per sè stessi e gli altri
all'interno della comunità scolastica, per sviluppare la loro capacità di entrare in
empatia e connettersi con gli altri e di contribuire alla sicurezza e a benessere dei i
loro coetanei.
È richiesto un elevato livello di impegno alla scuola e agli insegnanti per garantire la
sua efficacia, i bambini o in generale gli alunni dovrebbero essere formati dagli
insegnanti per svolgere questo compito, in quanto, la pratica empirica ha dimostrato
che se lasciati senza una ferma guida gli alunni sviluppano comportamenti che sono
esattamente all'opposto di quanto sperato. Il sostegno reciproco non dovrebbe
essere visto come un sostituto al coinvolgimento degli adulti nelle strategie anti-
bullismo e dovrebbe essere usato come un approccio di supporto agli altri. Termini
diversi sono stati adottati per descrivere i diversi approcci di sostegno tra pari con
maggiore precisione57.
57 Dan Olweus, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti editore, Milano, 2001
• L'educazione tra pari: Spinge gli alunni a condividere le loro conoscenze,
competenze ed esperienze individualmente e in gruppo. Utilizzato per
promuovere la comprensione e la conoscenza delle abilità di vita, può essere
utilizzato per contribuire a sostenere un allievo che è stato vittima di
bullismo.
Il processo porta benefici anche agli educatori, in termini di sviluppo
personale.
• Ascolto tra pari: Dà accesso agli alunni di potersi rivolgere ad un soggetto
amico ed empatico e permette la condivisione di problemi. Può essere
particolarmente efficace in situazioni di bullismo in cui vi è riluttanza a
condividere le preoccupazioni con un adulto a causa di timori di non essere
presi sul serio, o di coinvolgimento degli adulti facendo peggiorare le cose58.
58 Dan Olweus, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti editore, Milano, 2001
• Peer befriending: Funge da spinta per i bambini e i giovani a costruire e
raffinare delle competenze che aiutano a risolvere stati di tensione attraverso
l'interazione di tutti i giorni con gli amici e la famiglia. Può basarsi su semplici
chiacchierate informali (quando l'approccio si sovrappone con l'ascolto tra
pari), ma può essere anche e più semplicemente scritto, e può coinvolgere
solo due soggetti, ma anche più soggetti, aventi età, sesso e cultura diversa,
ma accumunati dalla vicinanza al medesimo problema.
• Peer mentoring: implica una relazione di sostegno fra due allievi: l'allievo e il
mentore. È comunemente usato come prevenzione, piuttosto che, come
strategia reattiva e permette al mentore di assumere un impegno personale
attivo nella azione di guida, con consigli e incoraggiamenti. Viene utilizzato
per sostenere un allievo in un momento difficile, ad esempio come quando si
ci si trasferisce presso una nuova scuola, o dopo un lutto, ma può anche
essere utilizzato per sostenere quegli allievi che possono essere stati
identificati come vulnerabili al bullismo.
• Mediazione tra pari: i mediatori tra pari sono soggetti addestrati a risolvere i
problemi tra gli studenti incoraggiandoli a: definire il problema; individuare e
concordare questioni chiave; discutere e giungere a una soluzione; a
negoziare un accordo scritto firmato da tutti i partecipanti.
Questo approccio di solito adotta in una visione che sottolinea l'importanza di
riconoscere comportamenti bullismo.
• Peer advocacy: si basa sul concetto di trattare i bambini e i giovani in modo
consapevole e maturo, per identificare i punti di loro punti di vista e le
preoccupazioni che li tormentano (che possono includere il bullismo) e
parlare a loro nome. Nelle scuole , questo può essere fatto attraverso il
consiglio di istituto59.
59 N. Iannaccone, Né vittime, né prepotenti. Una proposta didattica di contrasto al bullismo, la meridiana, Roma, 2007.
• Lavorare con passanti: Questo nome cosi particolare, derivante da diversi
studi britannici, indica l'importanza di coinvolgere la folla o per meglio dire,
un vasto pubblico. In base a questo studio, il bullismo vive e si alimenta del
gruppo, il quale lo protegge e lo fomenta, quindi, secondo quest'approccio
metodologico, il gruppo deve essere la risposta, ovvero creare un gruppo che
vada a contrastare le idee discriminatore e vessatorie tipiche del bullismo60.
60 Dan Olweus, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti editore, Milano, 2001.
3.5.3 II lavoro in circolo
Fino a poco tempo questa tecnica è stata utilizzata principalmente dalle scuole
primarie. La ricerca indica che può anche rivelarsi una strategia efficace contro il
bullismo nelle scuole secondarie. Conosciuto anche come "circoli di sostegno",
l'approccio fornisce sostegno emotivo agli alunni vulnerabili che possono sentirsi
isolati e rifiutati dai loro coetanei.
Gli studenti sono formati a fare amicizia e sostenersi a vicenda; inoltre, non giova
solo agli allievi identificati come vulnerabili al bullismo, ma anche, e de questo il suo
grande punto di forza, è che supporta anche chi non subisce episodi di bullismo, ma
si sente isolato e si respinto. Con l'accordo del bambino che è vittima di bullismo, la
classe si riunisce, l'insegnante supervisione ed incoraggia la classe a parlare al
bambino vittima di abusi e vessazioni in modo positivo e dire come si sentirebbero
se fossero isolati o se stessi esclusi. Un piccolo gruppo di studenti volontari si
inserisce nella cerchia degli amici del bambino, e si pone come supporto, anche
esterno alla classe, alla vita e alle dinamiche sociali del compagno.
La tecnica insegna ai bambini e ai giovani ad entrare in empatia con i coetanei che si
sentono socialmente esclusi e ad osservare come questo potrebbe essere stato
collegato al proprio comportamento. Oltre a beneficiare la persona per la quale la
cerchia di amici è stato istituito, fornisce a tutti i partecipanti un modo creativo di
formare relazioni positive con i loro coetanei. Questo è importante, in quanto vi
sono prove estremamente valide che sostengono che i bambini e i giovani con molti
amici hanno minor rischio di essere vittime di bullismo61.
61 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano 2013.
Support group approach
62 Dan Olweus, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti editore, Milano, 2001.
L'insegnate chiede se tutti loro, come gruppo, si assumerà la responsabilità per il
problema, decide come trattare con esso e procede a prendere gli opportuni
provvedimenti. Una volta che si è deciso ciò che è meglio fare contro questi
atteggiamenti, il gruppo decide di assumersi la responsabilità di agire per limare le
cause del problema. L'insegnante incontra i singoli membri del gruppo in seguito per
monitorare i progressi. (Va sottolineato che questo approccio è molto controverso,
soprattutto i genitori dei bambini, sia essi vittime o carnefici, hanno ritenuto
quest'approccio oltremodo umiliante e deleterio per i loro figli. Tuttavia se usato
correttamente, il bullo viene aiutato a vedere l'impatto del suo comportamento e
spinto a cambiare.
Questo approccio è stato ampiamente utilizzato in diversi paesi, ma è importante se
si utilizza, ad usarlo correttamente e non in una qualche forma diluita che è stata
una delle cause della controversia. Recentemente una valutazione è stata intrapresa
dal professor Peter Smith che ha trovato che il lavoro era stato effettuato utilizzando
forme diluite di questo approccio, per meglio dire, si sono scelte forme intermedie
di tecniche, che hanno portato al peggioramento della situazione e all'insorgere di
numerosi contrasti, attualmente questa metodica è quasi del tutto inutilizzata in
Italia63).
63 Dan Olweus, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti editore, Milano, 2001.
Shared concern (Pikas approach)
L'approccio è preso in prestito dal settore delle risorse umane in seno alla disciplina
della gestione aziendale, i Circoli di Qualità sono strutturati per introdurre i
dipendenti alla gestione partecipativa. In breve, si tratta di creare un gruppo di
alunni per identificare, assegnare priorità e discutere problemi come il bullismo e
per sviluppare soluzioni.
Il processo prevede cinque fasi:
64 Dan Olweus, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti editore, Milano, 2001.
Gruppi di formazione assertività
Questo approccio mira a modificare il comportamento degli allievi che sono o sono
state vittime di bullismo e di aiutarli a utilizzare il linguaggio verbale e non verbale in
modo che scoraggia gli eventuali aggressori. Lavorare individualmente o in modo
informale in un gruppo (che non dovrebbe contenere altre vittima di bullismo o dei
bulli, o comunque soggetti particolarmente aggressivi) , gli studenti imparano come
rispondere al bullismo in modo calmo, controllato, assertivo e sicuro65.
65 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano 2013.
Questo può includere imparare a:
• AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli
editore, Milano, 2011;
• AAVV, La scuola e le sue idee, Ferraro Editore, Napoli, 1987;
• S. Castorina, Fantasie di bullismo. I racconti di bulli e vittime al test proiettivo
dell'abuso infantile, Franco Angeli editore, Milano, 2006.
• E. G. Cohen, Organizzare i gruppi cooperativi. Ruoli, funzioni, attività - Ed.
Erickson, 1999;
• Dan Olweus, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono,
Giunti editore, Milano, 2012;
• N. Dell'Aquila, Manuale per il concorso della Scuola materna - Ed. Giunti,
Napoli, 1998;
• A. De Bernardo, la scuola e la sue metodiche, Mursia Editore, Milano, 2010;
• L. Dozza, Il lavoro di gruppo tra relazione e conoscenza - La Nuova Italia, 1993
• L. Lehnus, Incontri con la filologia del passato, Dedalo Editore, Roma, 2012;
• G. P. Quaglino , S. Casagrande, A. Castellano, Gruppo di lavoro, lavoro di gruppo,
Raffaello Cartina Editore, Roma, 2013;
• D. Niccoloa, Gruppi e formazione, Mursia Editore, Milano, 2007
• www.elledici.org
•
www.scuolavicospinea.it/documenti/Cyberbullismo%20Piemonte.pdf
• www.treccani.it
• www.urp.it