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MASTER DI I LIVELLO ECM04 IN

“IL BULLISMO E IL CYBERBULLISMO. ANALISI, INTERVENTI E METODOLOGIE DIDATTICO-


EDUCATIVE”

INSEGNAMENTO III

A cura del Prof. Lelio Imbriglio


CAPITOLO I

Il bullismo e le sue forme

1.1 Il concetto di bullismo

Il bullismo è l'uso della forza, la minaccia, la coercizione o l'abusare della propria


posizione, l'intimidire o il dominare gli altri in modo aggressivo. Il comportamento è
spesso ripetuta e abituale. Una condizione essenziale è la percezione, da parte del
bullo o da altri, di uno squilibrio di potere sociale o fisico, che distingue il bullismo
dai semplici conflitti. I comportamenti utilizzati per far valere tale dominio possono
includere molestie verbali o minacce, aggressioni fisiche o la coercizione, e tali atti
possono essere diretti e ripetuti verso particolari obiettivi.
La razionalizzazione di tale comportamenti a volte comprendono le differenze di
classe sociale, razza, religione, sesso, orientamento sessuale, l'aspetto, il
comportamento, il linguaggio del corpo, la personalità, la reputazione, il lignaggio, la
forza fisica, le dimensioni o le capacità. Se il bullismo è fatto da un gruppo, si chiama
mobbing.

Il bullismo può essere definito in molti modi diversi. In Italia il fenomeno viene
definito come: Il bullismo è una forma di comportamento sociale di tipo violento e
intenzionale di natura sia fisica che psicologica, oppressivo e vessatorio, ripetuto nel
corso del tempo e attuato nei confronti di persone considerate dal soggetto che
perpetra l'atto in questione come bersagli facili e/o incapaci di difendersi1;

1 http://www.treccani.it/
mentre in altri paesi, come ad esempio il Regno Unito o l'Irlanda non vi è una
definizione legale di bullismo, mentre alcuni Stati degli Stati Uniti d'America hanno
leggi contro di esso, ma non una definizione univoca.

Il bullismo, su questi gli esperti sono in larga parte concordi, è diviso in quattro tipi
fondamentali di abuso - emozionale (a volte chiamato relazionale), verbale, fisico e
informatico. È in genere basato su metodi sottili di coercizione, come l'intimidazione.
Il bullismo varia da caso a caso, infatti, tali fenomeni possono essere individuali
oppure attraverso al gruppo possiamo parlare di mobbing, in cui il bullo può avere
uno o più "luogotenenti", che sono disposti ad aiutare il bullo primario nelle sue
attività discriminatorie.
Il bullismo a scuola e sul posto di lavoro è indicato anche come l'abuso tra pari.
Robert W. Fuller ha analizzato che nell'ambito del bullismo, soprattutto tra i banchi
di scuola il razzismo e più in generale la discriminazione ha un peso essenziale per
l'insorgere di questi fenomeni, che posso anche trascendere notevolmente, come la
cronaca giudiziale purtroppo ci ha indicato negli ultimi anni.

Una cultura violenta e discriminatoria può svilupparsi in qualsiasi contesto in cui gli
esseri umani interagiscono tra loro. Questo comprende la scuola, la famiglia, sul
posto di lavoro, a casa, e persino in interi quartieri. In uno studio 2012 su calciatori
adolescenti americani di sesso maschile, "il più forte stimolo all'insorgere del
bullismo è la percezione del fatto che il maschio più influente nella vita calcistica di
quel gruppo approvasse il comportamento ".
1.2 La definizione

Non esiste una definizione universale di bullismo, tuttavia, è ampiamente convenuto


che il bullismo è una sottocategoria del comportamento aggressivi caratterizzati dai
seguenti tre criteri minimi: intento ostile, squilibrio di potere, e ripetizione dell'atto
in un arco temporale. Il bullismo può quindi essere definito come quel
comportamento aggressivo e ripetuto nel tempo destinato a ferire un altro
individuo, fisicamente, mentalmente o emotivamente.

Il ricercatore norvegese Dan Olweus afferma che il bullismo si verifica quando una
persona è "esposta, ripetutamente e nel corso del tempo, alle azioni negative da
parte di una o più persone".
Le azioni negative si verificano "quando una persona infligge intenzionalmente danni
o causa disagio ad un'altra persona, attraverso il contatto fisico, attraverso le parole
o in altri modi". Il bullismo individuale è di solito caratterizzato dal comportamento
di una persona che con particolari azioni tende ad acquisire potere su un'altra
persona2.

Il bullismo individuale può essere classificato in quattro tipi, mentre il bullismo


collettivo è conosciuto come mobbing, e può includere uno qualsiasi dei singoli tipi
di bullismo.

2 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano, 2011.
Il bullismo fisico, verbale e relazionale sono più diffusi nella scuola primaria e
potrebbe anche iniziare molto prima. Il Cyber-bullismo è più comune nella scuola
secondaria rispetto alla scuola primaria.

Le tattiche di bullismo possono essere perpetrate da una sola persona contro un


bersaglio o più bersagli (non è raro che un bullo possa perseguitare numerosi
soggetto più deboli). Parliamo di bullismo fisico in riferimento di una qualsiasi forma
di bullismo che provoca danni di natura corporale ad un certo soggetto o danneggia i
suoi beni. Rubare, spintonare, colpire, lottare, e distruggere le proprietà sono tutti i
tipi di bullismo fisico. Il bullismo fisico è raramente la prima forma di bullismo che un
soggetto sperimenterà. Spesso bullismo inizierà in una forma diversa e
progressivamente si sviluppa in violenza fisica.
Nel bullismo fisico l'arma principale del bullo è il suo stesso corpo, ovvero la sua
capacità di aggredire soggetti più deboli3.

Quando parliamo di bullismo verbale facciamo riferimento ad una qualsiasi forma di


bullismo che si ottiene parlando. Applicando nomignoli dispregiativi, partecipando
alla diffusione di voci, minacciando qualcuno, o prendendo in giro gli altri sono tutte
forme di bullismo verbale. Il bullismo verbale è uno dei più comuni tipi di bullismo.
Nel bullismo verbale l'arma principale il bullo è la propria voce.

Quando parliamo di bullismo relazionale facciamo riferimento ad una qualsiasi


forma di bullismo che si fa con l'intento di ferire la reputazione o la condizione
sociale di qualcuno.

3 Dan Olweus, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti editore, Milano, 2012
Quando parliamo di Cyberbullismo facciamo riferimento ad una qualsiasi forma di
bullismo che si ottiene con il supporto di qualsiasi dispositivo tecnologico. Questo
include e-mail, instant messaging, siti di social networking (come Facebook),
messaggi di testo, e telefoni cellulari.

Il bullismo collettivo o per meglio dire le tattiche di bullismo collettive sono


impiegate da più di una persona contro un bersaglio o più bersagli.

Il Mobbing è "ganging " per modificare le azioni di qualcuno con forza, attraverso la
voce, l'insinuazioni, l'intimidazioni, l'umiliazioni, il discredito, e l'isolamento. Si tratta
di più di un aggressore, spesso orchestrato da un leader che è un manipolatore abile.
Nella vecchia Germania Est, la Stasi (la polizia segreta) ha utilizzato il mobbing
ampiamente, ufficialmente veniva chiamato con il nome in Zersetzung, che si
traduce approssimativamente con "decomposizione". La Stasi considerava le "misure
di Zersetzung4" come uno strumento necessario quando le procedure giudiziarie non
erano state in grado di portare al risultato voluto, o per motivi politici , come nei casi
relativi all'immagine internazionale del governo tedesco orientale (RDT).

4 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano, 2011.
1.3 L'etimologia della parola

La parola "bullo" è stata utilizzata nel 1530 con il significato di "tesoro", applicato ad
entrambi i sessi, questo deriva dall'olandese Boel "amante, fratello", probabilmente
diminutivo del tedesco alto medioevale Buole "fratello", di origine incerta
(confrontabile con il tedesco Buhle "amante").

Il significato del termine deteriora attraverso il 17 ° secolo e diviene "buon tempone"


o "farfallone", fino a divenire "molestatore dei deboli". Questo può essere derivato
come un senso di connessione tra "amante " e "ruffiano" come in "protettore di una
prostituta ", che era un certo senso un "bullo" (anche se non specificamente
attestata questa valutazione fino 1706). Il termine "bullo" appare come molestatore
e soppressore di deboli nel 1710.
In passato, nella cultura americana, il termine è stato usato in modo diverso, come
esclamazione/esortazione, in particolare, notoriamente associata a Theodore
Roosevelt e continuando al presente nel pulpito e anche come debole/deprecando
lode (" bullo per lui").

Nel nostro paese il termine è divenuto di uso comune ed è stato considerato come
elemento pieno della nostra lingua solo a partire dagli anni settanta del secolo
scorso5.

5 L. Lehnus, Incontri con la filologia del passato, Dedalo Editore, Roma, 2012.
1.4 Caratteristiche

Gli studi hanno dimostrato che l'invidia e il


risentimento possono essere motivi di
bullismo. La ricerca sull'autostima dei bulli ha
prodotto risultati equivoci. Mentre alcuni
bulli sono arrogante e narcisista, altri
possono anche utilizzare il bullismo come
strumento per nascondere la vergogna o
l'ansia o per aumentare l’autostima:
umiliare gli altri, l'aggressore si sente il potente, colui che domani, non a caso in
ambienti scolastici molti bulli sono bambini che derivano da contesti familiari dove
vengono ripetutamente sottomessi o comunque marginalizzati. I comportamenti di
questo tipo possono derivare dalla gelosia o frutti di fenomeni passati o anche
attuali di bullismo. Lo Psicologo Roy Baumeister afferma che le persone che sono
inclini a comportamenti abusivi tendono ad aver l'immagine di soggetti consapevoli,
ma posseggono un ego fragile, perché avendo una considerazione estremamente
elevata di se, eventuali mancanze di rispetto o comportamenti derisori o
semplicemente di non curanza, porta a risposte violente6.

6 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano, 2011.
I ricercatori hanno identificato altri fattori di rischio come la depressione e disturbi
della personalità, così come gli scatti di rabbia e utilizzo frequente della forza, porta
a sindromi da dipendenza comportamenti aggressivi, scambiando le azioni degli altri
come ostili, la preoccupazione con immagine di sé la conservazione, e impegnarsi in
azioni ossessive o rigide.

Una combinazione di questi fattori può anche essere la causa di questo


comportamenti.
In uno studio sui giovani tra i 13 e i 18 anni condotto nel 2012 negli USA si è evinto
che, una combinazione di tratti antisociali e la depressione sono risultati essere il
miglior predittore di violenza giovanile, sottolineando come la violenza da
videogioco e l'esposizione alla violenza televisiva non erano predittivi di questi
comportamenti, ma semplici spunti di comportamento7.

Il bullismo può anche derivare da una predisposizione genetica o da una anomalia


cerebrale nella bullo. Mentre i genitori possono aiutare un bambino a sviluppare una
struttura emotiva sana e impartirgli i giusti insegnamenti che limitano il
comportamento aggressivo, alcuni bambini non riescono a sviluppare queste abilità
a causa di un rapporto insicuro con le loro famiglie, disciplina inefficace, e fattori
ambientali come una vita familiare stressante e fratelli ostili.
7 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano, 2011.
Inoltre, secondo alcuni ricercatori, i bulli possono essere inclini alla negatività e
scarso rendimento accademico. Dr. Cook dice che "un bullo tipico ha difficoltà a
risolvere i problemi con gli altri e ha anche problemi accademici. Lui o lei di solito ha
atteggiamenti ed influenze negative sugli altri, non solo le sue vittime, ma in
generale, è portatore di negatività a tutti il complesso sociale che lo circonda.

Al contrario, alcuni ricercatori hanno suggerito che alcuni bulli sono


psicologicamente più forti e hanno un elevato status sociale tra i loro coetanei,
mentre i loro obiettivi sono emotivamente turbati e socialmente emarginati.
I Gruppi di pari spesso promuovono azioni violente o repressive, e i membri di questi
gruppi di pari possono anche impegnarsi in comportamenti, come il sbeffeggiare,
escludere, punzecchiare, o in generale promuovere altri metodi deplorevole come
semplici intrattenimento. Altri ricercatori hanno, inoltre, sostenuto che una
minoranza dei bulli, quelli che non sono a sua volta vittime di bullismo, possono
godere di andare a scuola e di viverla al vertice della gerarchia sociale, ed hanno
minori probabilità di prendere giorni di permesso per malattia. La ricerca indica che
gli adulti che da giovani ponevano in essere comportamenti da bullo, hanno
sviluppato un carattere autoritario, combinato con una forte necessità di controllare
o dominare. È stato anche suggerito che una visione pregiudizievole dei propri
subordinati può essere un forte fattore di rischio8.
8 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano, 2011.
Spesso, il bullismo si svolge alla presenza di un folto gruppo di astanti relativamente
non coinvolti. In molti casi, è la capacità del bullo volta a creare l'illusione che lui o
lei ha il sostegno della maggioranza presente che infonde la paura della vittima e
nella folla stessa che non deve parlarne oltre una certa cerchia delle attività
osservate con il gruppo. A meno che l'autorità di un bullo non sia sfidata e demolita
nelle fasi iniziali della creazione del gruppo, questa rimarrà al suo interno per tutta la
durata dello stesso. Se non si agisce, una "cultura del bullismo" è spesso perpetua
all'interno di un gruppo per mesi, anni o più.
Gli astanti che sono stati in grado di stabilire il proprio "gruppo di amicizia" o il
proprio "gruppo di supporto" sono stati riscontrati essere molto più propensi a
scegliere di parlare contro comportamento violento rispetto a quelli che non hanno,
invece, avuto la possibilità di farlo.

Fattore che scaturisce in maniera univoca da tutte le ricerche effettuate negli ultimi
decenni sul fenomeno è che i soggetti che erano giovani bulli sono divenuti adulti
che hanno una visione della vita più incline alla violenza rispetto alla media9.

9 Ibidem
1.4.1 Tipica vittima

Dr. Cook dice che "Una tipica vittima è probabile che sia aggressiva, abbia una scarsa
propensione sociale o per meglio dire alla socializzazione, abbia pensieri negativi,
incontrano difficoltà a risolvere i problemi sociali, provengo da una famiglia poco
stimolanti intellettualmente, e sono notevolmente respinti e isolati dai coetanei".

Le vittime hanno spesso caratteristiche particolare, soggetti fisicamente più deboli


della media, oltre ad essere fragili emotivamente. Essi possono anche avere
caratteristiche fisiche che li rendono più facili bersagli per i bulli, come essere in
sovrappeso o che hanno un certo tipo di deformità fisica.
I ragazzi hanno più probabilità di essere vittime di bullismo fisico mentre le ragazze
hanno maggiori probabilità di essere vittime di bullismo indiretto.

I risultati di una meta-analisi condotta da Cook e pubblicato dalla American


Psychological Association nel 2010 hanno concluso che i principali fattori di rischio
per i bambini e gli adolescenti vittime di bullismo è, oltre che diventare, a loro volta,
bulli, è la mancanza di capacità di problem solving sociale10.

I bambini che sono vittime di bullismo spesso mostrano segni fisici o emotivi, come
ad esempio: la paura di andare a scuola, lamentano mal di testa o perdita di
appetito, mancanza di interesse nelle attività scolastiche e per passare il tempo con
gli amici o la famiglia, e avere un senso generale di tristezza.

10 S. Castorina, Fantasie di bullismo. I racconti di bulli e vittime al test proiettivo dell'abuso infantile, Franco Angeli editore, Milano, 2006.
1.5 Gli effetti degli atti di bullismo

Mona O'Moore del Centro anti-bullismo al Trinity College di Dublino, ha scritto, "Vi è
un crescente corpo di ricerca che indica che gli individui, sia bambini sia adulti, che
sono costantemente sottoposti a comportamenti abusivi sono a rischio di stress
correlato, a malattie psicosomatiche che a volte possono portare al suicidio". Coloro
che sono stati bersaglio di bullismo possono soffrire di problemi emotivi e
comportamentali a lungo termine.
Il bullismo può causare solitudine, depressione, ansia, portare a bassa autostima e
una maggiore suscettibilità alla malattia, in quanto i forti fattori di stress psicologico
portano ad un abbattimento delle difese immunitarie. Il bullismo è stato anche
dimostrato di essere causa di disadattamento nei bambini piccoli (3 ai 7 anni), il che
è ancora più visibile nei bulli che sono stati a loro volta vittime di questo
fenomeno11.

Anche se vi è la prova che il bullismo aumenta il rischio di suicidio, il bullismo da solo


non causa il suicidio. La depressione è uno dei motivi principali per cui i bambini che
sono vittime di bullismo si suicidano. Si stima che tra i 15 ei 25 bambini si suicidano
ogni anno nel solo Regno Unito, perché devono sottostare a determinate angherie e
prepotenze.
11 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano, 2011.
Alcuni attributi di una persona sono correlati ad un più alto rischio di suicidio
rispetto ad altri quali: Indiani Americani, Alaska Native, Asiatici Americani,
minoranze etniche, e soggetti aventi non usuali indirizzi12. Quando qualcuno, inoltre,
non è supportato dalla sua famiglia o dagli amici, si può creare una la situazione
molto pericola per la vittima che potrebbe avere un vero e proprio crollo emotivo.

Mentre alcune persone è molto facile ignorare un bullo, per altre potrebbe essere
molto difficile e raggiungere un punto di rottura in questi casi è semplice. Ci sono
stati casi di suicidi legati al bullismo che sono stati riportati e descritti con dovizia di
particolari dai media.

12 Ibidem
Il bullismo e il suicidio, conosciuti come "bullycide", sono considerati insieme
quando la causa del suicidio è da attribuire allo stress psicologico e relative
depressione derivante dalle morbose pressioni che il soggetto ha subito in un dato
ambiente, di persona o attraverso i social media13.

Gli analisti legali criticano il termine bullycide perché collega una causa con un
effetto sotto il controllo di qualcun altro. Una nota ricerca (il libro Bullycide: Death at
Playtime, di Neil Marr e Tim del 2001), mostra coloro che sono vittime di bullismo
hanno una maggiore probabilità di considerare o di realizzare un intento suicida
rispetto a quelli che non lo sono.

13 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano, 2011.
Tuttavia, ci sono vittime di bullismo che non finiscono per suicidarsi, e alcuni di loro
condividono le loro esperienze al fine di inviare un messaggio positivo alle vittime di
bullismo che il suicidio non è l'unica opzione.

Nel 2010, i suicidi di adolescenti negli Stati Uniti che sono stati vittime di bullismo
perché erano gay o percepiti come tali ha raggiunto livelli allarmanti, il che ha
portato alla costituzione della It Gets Better, progetto sociale dell'associazione Dan
Savage. Durante l'evento inagurale, Spirit Day, è stato chiesto a tutti i partecipanti di
portare una viola come simbolo di rispetto per le vittime decedute per bullismo,
cyberbullismo14.

14 S. Castorina, Fantasie di bullismo. I racconti di bulli e vittime al test proiettivo dell'abuso infantile, Franco Angeli editore, Milano, 2006.
Infatti, il fenomeno, che è preoccupante nel nostro paese, ha assunto dimensioni
spropositate negli Stati Uniti, al punto da spingere il governo federale ad una
specifica azione contenitiva.

Il bullismo nasce dalla violenza, ma genera a sua volta violenza, basti pensare che
serial killer sono stati spesso vittime di bullismo sia diretto sia indiretto, quanto
erano bambini o adolescenti. Henry Lee Lucas, un serial killer psicopatico dalla
ferocia inaudita, ha sostenuto che la sua sete di violenza derivava dall'odio
generalizzato verso il genere umano, nato da quando da bambino un bullo lo
derideva per il suo aspetto.
Kenneth Bianchi, un serial killer e membro degli "strangolatori della collina", è stato
preso in giro quando era un bambino perché ha urinato nei pantaloni e ha subito
vessazioni, e da adolescente è stato ignorato dai suoi pari15.

Alcuni hanno sostenuto che il bullismo può insegnare lezioni di vita e infondere
forza. Helene Guldberg, un accademico dello sviluppo del bambino, ha suscitato
polemiche quando ha sostenuto che essere un bersaglio di bullismo può insegnare
ad un bambino "come gestire le dispute e aumentare la loro capacità di interagire
con gli altri", e che gli insegnanti non dovrebbero intervenire, ma lasciare ai bambini
la possibilità di opporsi o comunque gestione la questione.

15 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano, 2011.
Alcuni studi hanno evidenziato alcuni risultati potenzialmente positivi dal
comportamento legato al bullismo. Questi studi hanno trovato che molti individui,
che da bambini o da adolescenti erano stati vittime di uno o più bulli, ed anche in
modo grave, hanno sviluppato una notevole spinta interiore volta a migliorarsi ed
accrescere le proprie abilità e potenzialità, che li ha spinti a diventare adulti
consapevoli e ottimamente preparati alla vita e al lavoro16.

16 S. Castorina, Fantasie di bullismo. I racconti di bulli e vittime al test proiettivo dell'abuso infantile, Franco Angeli editore, Milano, 2006.
1.6 II Dark triad

La triade scura è un concetto in psicologia che si concentra su tre tratti della


personalità: Narcisismo, machiavellismo, e la psicopatia. L'uso del termine "dark"
implica che le persone che possiedono queste caratteristiche hanno qualità
malevoli.

La ricerca sulla triade scura è usata in psicologia applicata, in particolare nei settori
di applicazione della legge, psicologia clinica e di gestione aziendale. Le persone con
punteggio alto su questi tratti sono più propensi a commettere crimini, causare
disagio sociale e a creare gravi problemi per un'organizzazione, soprattutto se sono
in una posizione di leadership.
Tutti e tre i tratti della triade oscura sono concettualmente distinti, anche se
l'evidenza empirica mostra che, di fatti, vi è sovrapposizione tra questi tre aspetti.
Essi sono associati con uno stile interpersonale insensibile-manipolativo.
Il Narcisismo è caratterizzato da grandiosità, l'orgoglio, l'egoismo, e una mancanza di
empatia.

Il Machiavellismo si caratterizza per la capacità di manipolazione e di sfruttamento


degli altri, un cinico disprezzo per la moralità, e una particolare attenzione per
l'interesse e l'inganno.

Psicopatia è caratterizzato da un perdurante comportamento antisociale,


impulsività, egoismo, insensibilità e spietatezza.

Una analisi fattoriale effettuata alla Glasgow Caledonian University ha scoperto che
la sgradevolezza e l'astio sono sentimenti che socialmente provocano chi possiede
elementi della triade oscura, mentre le nevrosi e la mancanza di coscienza sono
direttamente collegabili alla triade oscura.
Nel 1998, McHoskey, Worzel, e Szyarto hanno provocato una polemica sostenendo
che il narcisismo, machiavellismo, e la psicopatia sono più o meno intercambiabili in
campioni normali. Delroy L. Paulhus e McHoskey hanno dibattuto queste prospettive
in una successiva conferenza American Psychological Association (APA), ispirando un
corpo di ricerca che continua a crescere nella letteratura pubblicata. Paulhus e
Williams hanno individuato alcuni elementi di riconoscibilità e di diffusione del
fenomeno, anche se, questi studi ancora oggi si presentano frammentare e
incompleti.

La "natura e l'educazione" sono concetti che nella società moderna risultano


fondamentali, interessante è sapere come questi influenzino il lato oscuro. La ricerca
ha cominciato ad indagare sulle origini dei tratti della triade oscura.
In un modo simile alle ricerche sui disturbi della psiche, sono stati condotti studi
empirici, nel tentativo di comprendere il contributo relativo della biologia (la natura)
e fattori ambientali (educazione) nello sviluppo di tratti della triade oscura. Uno dei
modi in cui i ricercatori tentano di sezionare l'influenza relativa di fattori genetici e
ambientali sulla personalità (e le differenze individuali più in generale) è un ampio
tecnica investigativa liberamente raggruppati sotto il titolo di "studi sui gemelli." Per
esempio, in un approccio di studio sui gemelli, i ricercatori confrontano i punteggi
derivanti dall'analisi della personalità di monozigoti (MZ) o gemelli identici allevati
insieme, per i gemelli dizigoti (DZ) o solidali, anche questi allevati insieme.
Poiché entrambi i tipi di gemelli, in questo disegno, sono allevati insieme, quindi, vi è
la considerazione che tutte le coppie di gemelli abbiano condiviso un ambiente
comune 100%. Al contrario, i gemelli monozigoti condividono il 100% dei loro geni,
mentre i gemelli dizigoti condividono solo circa il 50% dei loro geni. Pertanto, per
ogni tratto di personalità, è possibile vedere parziali influenze genetiche e parziali
influenze ambientali o culturali.

Dalle analisi scaturite da questo studio, la genetica ha un ruolo essenziale nello


sviluppo di determinati comportamenti, e che anche una sana educazione non
riesce a reprimere determinati tratti.
1.6.1 Gli elementi essenziali della triade oscura

Come notato in precedenza, vi è una buona dose di sovrapposizione concettuale ed


empirica tra i tratti triade oscura. Ad esempio, i ricercatori hanno notato che tutti e
tre i tratti hanno in comune caratteristiche quali, una mancanza di empatia, ostilità
interpersonale, e offensività interpersonale. Probabilmente ciò è dovuto in parte a
questa sovrapposizione; una serie di misure sono state di recente sviluppato nel
tentativo di misurare tutti e tre i tratti della triade oscura allo stesso tempo, come il
Dirty Dozen o la breve triade oscura (SD3). Alla loro base, tuttavia, la maggior parte
di queste tecniche di ricerca sono questionario e richiedono sia auto-risposta sia la
risposta da osservatore (ad esempio, feedback da supervisori o colleghi).
Entrambi i metodi possono risultare problematici quando si tenta di misurare
qualsiasi tratto socialmente avverso, in quanto, l'aspetto temporale, morale e
umorale ha notevoli implicazioni.

A rendere, se è possibile, ancor più complessa la ricerca è il fatto che, questi soggetti
essendo dotati di Machiavellismo sono abilissimi nel dissimulare e nel manipolare gli
altri, quindi potrebbero eludere il test. La principale critica sollevata in ambito
accademico è ricollegabile essenzialmente alla costatazione che individui che sono
abili ad ingannare e a manipolare gli altri potrebbero essere percepiti come a basso
contenuto di ingannevolezza e manipolazione da parte dei valutatori, e sono quindi
suscettibili di ricevere feedback sfalsati.
Nonostante queste critiche e le comunanze riconosciute tra i tratti della triade
oscura, ci sono prove che i costrutti sono legati, ma distinti.
Machiavellismo

Chiamato in questo modo per via della filosofia di Niccolò Machiavelli, le persone
che punteggio alto su questo tratto sono cinici (in senso proprio, ovvero hanno
interessi amorali), senza scrupoli, convinti che la manipolazione interpersonale sia la
chiave per il successo nella vita.
Narcisismo

Gli individui che hanno un punteggio alto alla voce narcisismo mostrano un senso di
grandiosità, di diritto nell'ottenere le cose, il dominio e la superiorità sugli altri. Il
narcisismo è stato anche trovato per avere una correlazione significativa con la
psicopatia.
Psicopatia

Considerato l'elemento più disdicevole della triade scuro, gli individui con punteggio
alto in questa voce mostrano bassi livelli di empatia combinati con elevati livelli di
impulsività e ricerca di emozioni forti. La somiglianza tra la psicopatia e disturbo
antisociale di personalità sono stati notati da alcuni ricercatori.
La differenza tra i gruppi e i generi

Numerosi studi hanno dimostrato che gli uomini tendono a punteggi più alt rispetto
alle donne sul narcisismo, machiavellismo, e la psicopatia, sebbene la grandezza
della differenza varia tra i tratti e gli strumenti di misura utilizzati. Una scoperta
interessante legata al narcisismo, anche se è stata criticata la rappresentatività del
campione analizzato, è che, seppur permanendo una media più elevata degli uomini
rispetto alle donne, quest'ultime sono fortemente più narcisiste oggi rispetto alle
prime ricerche di inizio anni novanta. In particolare, i già citati risultati indicano che
vi è stato un generale aumento dei livelli di narcisismo nel tempo tra gli studenti
universitari di entrambi i sessi, ma relativamente, il livello medio di narcisismo nelle
donne è aumentato più che il livello medio di narcisismo negli uomini.
I dati in nostro possesso sulle differenze etniche e la presenza dei tratti della triade
oscura sono abbastanza frammentari, e il dato che è disponibile non è
rappresentativo della popolazione in modo globale. Per esempio, uno studio del
2008, condotto sugli studenti universitari neo - laureati ha esposto il dettaglio che i
caucasici siano maggiormente narcisistici rispetto agli asiatici. Allo stesso modo, un
altro studio del 2008, utilizzando sempre studenti universitari, ha rilevato che i
caucasici tendevano a segnare livelli di machiavellismo leggermente superiore ad
altri gruppi etnici. Quando si cerca di capire se ci sono differenze etniche in
psicopatia, i ricercatori hanno affrontato il tema utilizzando diversi strumenti di
misura (ad esempio, il self-report o Personality Inventory), ma non sono state
trovate significative differenze a prescindere dalla misura utilizzata.
In sintesi, ci sono alcune prove sparse che caucasici tendono a punteggio più alti
sulle misure di narcisismo e machiavellismo rispetto ad altre etnie, mentre non
esiste alcuna evidenza di differenze razziali in
Le conseguenze
del bullismo. psicopatia.
1.7 Bullismo ed intelligenza emotiva

Il bullismo è un interazione sociale basata su abusi tra i


coetanei, che possono includere l'aggressione, le
MALESSERE MALESSERE MALESSERE
FISICO Mal di
pancia, mal di
PSICOLOGICO
Insicurezza, incubi
SOCIALE
Solitudine, molestie e la violenza. Il bullismo è tipicamente
testa... attacchi d'ansia, difficoltà
depressione... relazionali...

ripetitivo e promulgato da coloro che sono in una


posizione di potere sulla vittima. Un crescente corpo di ricerca illustra una relazione
significativa tra bullismo e intelligenza emotiva.
L'intelligenza emotiva (EI) è un insieme di abilità relative alla comprensione, l'uso e
la gestione delle emozioni, in quanto, si riferisce a sè stessi e gli altri... Mayer (2008)
definisce le dimensioni del complesso EI come: "Percepire con precisione
l'emozione, usando le emozioni per facilitare il pensiero, la comprensione
emozionale del mondo, e la gestione delle emozioni". Il concetto combina processi
emotivi e intelligenza; ne consegue che un minor livello di intelligenza emotiva
sembra essere correlato direttamente al bullismo, come elemento sottostante tra il
bullo e/o la sua vittima.
EI sembra giocare un ruolo importante sia nel comportamento legato al bullismo e
alla vittimizzazione; dato che EI è riconosciuta per essere malleabile, l'educazione
all'EI potrebbe notevolmente migliorare, attraverso iniziative di prevenzione e di
intervento, la condizione scolastica e in generale, rasserenare il clima di convivenza.

Il bullismo è la forma più diffusa di violenza nelle scuole ed ha riflessi, di


conseguenza, anche in età adulta. La crescente preoccupazione per i fenomeni di
bullismo scolastico è stata sollevata negli ultimi anni, a causa di suicidi pubblicizzati
dai media di vittime giovanissime.
Circa nel 40% delle scuole medie i bambini sono direttamente coinvolto nel
fenomeno, almeno una volta alla settimana, secondo di dati della ricerca effettuata
dal Centro nazionale di Education Statistics; la ricerca sui pre-adolescenziali
conferma un rapporto di correlazione negativa tra livelli bassi di EI e il
comportamento violento e a sociale del bullo. Il bullismo è negativamente associata
con empatia e, più specificamente, la dimensione dell'EI di empatia cognitiva, che è
la capacità di capire o comprendere le esperienze emotive e le prospettive di vita
degli altri. Lomas (2012), a seguito di un ricco studio sul tema, ha dimostrato, in
modo inequivocabile, che chi presenta un comportamento da bullo ha una scarsa
capacità empatica.
Poiché il comportamento negativo nei bambini in età scolare è legato a livelli più
bassi di comprensione delle emozioni altrui, una teoria molto diffusa sostiene che, i
bambini che mostrano comportamenti legati al bullismo non sono in grado di
comprendere appieno l'impatto che hanno sulle loro vittime. In effetti, quando si
differenziano le diverse componenti dell'empatia, risulta che la componente
cognitiva nei soggetti con episodi di bullismo attivo, sembra presentare il più alto
deficit. Oltre alla incapacità di relazionarsi con le emozioni degli altri, la ricerca
suggerisce anche che, coloro che si impegnano in comportamenti avversativi nei
confronti dei propri coetanei, possono presentare competenze non adeguate nel
trattare con le proprie emozioni.
Lo scarno uso delle emozioni si trova ad essere significativo nel prevedere il
comportamento e insorgere di eventuali problemi tra gli adolescenti, come
l'aggressività, che di norma è un comportamento caratteristico del fenomeno
bullismo. In questo modo, la capacità di comprendere e gestire le proprie emozioni
può giocare un ruolo importante nel prevenire insorgere di determinati fenomeni e
garantire un clima scolastico sereno. Ad esempio, in uno studio tra le adolescenti, ha
dimostrato che una migliore gestione dello stress potrebbe impedire il perpetuarsi
di aggressività e violenza.
Il mobbing è segnalato per essere molto più diffuso di quanto comunemente si
pensa; per qualche ragione, le ricerche effettuate non hanno offerto una visione
comune, il mobbing sembra essere particolarmente diffusa nelle organizzazioni
sanitarie e nelle realtà ludico - ricreative. Un dato importante è che circa 80% degli
infermieri sostiene di aver subito il mobbing. Simile all'ambiente scolastico per i
bambini, l'ambiente di lavoro pone in genere gruppi di coetanei adulti insieme in
uno spazio condiviso in maniera regolare. In una tale situazione, le interazioni sociali
e le relazioni sono di grande importanza per la funzione della struttura organizzativa
e gli obiettivi che perseguono. Le conseguenze emotive di questo fenomeno
possono minare la stabilità e il benessere di qualsiasi organizzazione.
Il bullismo contribuisce anche a un ambiente di lavoro negativo, non è favorisce,
infatti, la cooperazione necessaria e può ridurre la produttività a vari livelli. Il
mobbing sul posto di lavoro è associato come risposta negativa allo stress.

La capacità di gestire le emozioni, in particolare lo stress emotivo, sembra essere un


fattore sempre importante in diversi tipi di bullismo. Il luogo di lavoro, in generale,
può essere un ambiente stressante, quindi un modo negativo di far fronte allo stress
o l'incapacità di farlo può essere particolarmente schiacciante. I bulli sul posto di
lavoro possono avere grande intelligenza sociale e bassa intelligenza emotiva. In
questo contesto, i bulli tendono a rango elevato nella scala sociale e sono abili a
influenzare gli altri.
La combinazione di alta intelligenza sociale e bassa empatia è favorevole al
comportamento manipolativo, come descrive lo studio Hutchinson (2013) nel suo
lavoro "il mobbing sul posto di lavoro ".

In gruppi di lavoro in cui i dipendenti hanno un basso EI, i lavoratori possono essere
persuasi a impegnarsi in comportamenti non etici. Con la persuasione i bulli, nel
gruppo di lavoro, costruiscono un modello sociale in un modo che razionalizza il
comportamento aggressivo ed intollerante, e rende il gruppo tolleranti o di supporto
a fenomeni di mobbing. Hutchinson & Hurley (2013) in "il caso dell'EI e capacità di
leadership" illustrano come un soggetto o un gruppo di soggetti leader con elevata
empatia demoliscono ogni fenomeno di bullismo e di sopraffazione.
Le analisi sull'EI e il comportamento etico tra gli tutti i membri del gruppo di lavoro
hanno dimostrato di avere un impatto significativo sul comportamento etico dei
team e sulla qualità del lavoro offerto.

Higher sostiene che EI è legata al miglioramento dell'ambiente di lavoro ed è un


importante moderatore tra il conflitto e le reazioni tese sul posto di lavoro. L'auto-
consapevolezza e le dimensioni di autogestione di EI sono stati entrambi illustrati
come elemento di forte correlazione positiva tra una leadership efficace e la
capacità della leadership di costruire ambienti di lavoro e cultura del lavoro sani.
Dato l'intelligenza emotiva inferiore, è anche possibile che molti bulli siano più
creativi in modo malevolo.
Per quanto possa apparire originale, gli atti di aggressione e di abuso sia durante
l'infanzia sia durante il periodo adulto sono portati con maggiore creatività da questi
soggetti. I risultati di diverse ricerche suggeriscono che gli individui con livelli
inferiori di EI concepiscono soluzioni più creative, che porta teoricamente a
comportamenti disdicevoli e negativi per gli altri, infatti, si ha la certezza che le
persone con intelligenza emotiva inferiore potrebbero non vedere la scorrettezza di
idee malevoli e e ignorare come gli altri le potrebbero percepire, e quindi hanno
meno problemi nella divulgazione di tali idee.

L'ipotesi, che un comportamento legato alla creatività malevole è tipico di tutti


questi soggetti, ha senso alla luce del deficit di empatia cognitiva trovato nel
comportamento bullistico.
Esistono anche dei sottotipi di bullo che sono ad ampi tratti insensibili e freddi,
questi tratti di insensibilità e di freddezza emotiva includono alcuni dei deficit in
ambito di intelligenza emotiva, in particolar modo la mancanza di empatia, ma non
solo, spesso sono presenti altre caratteristiche come la mancanza di senso di colpa,
la bassa capacità di comprendere le proprie emozioni e la scarsa modulazione del
comportamento di fronte a una punizione. Dato che i bambini che hanno un
comportamento da bulli spesso hanno problemi di condotta, lo studioso americano
Viding et al., (2009) ha studiato la relazione tra comportamenti negativi e il bullismo.
Dato che la ricerca precedente suggerisce che i bambini con problemi di condotta
rientrano in sottotipi di bulli, l'analisi di questo ricercatore si è soffermata nel
comprendere come l'insensibilità sia legato alla scarsa intelligenza emotiva e come
questa si possa legare a comportamenti vessatori.

Dallo studio condotto su oltre 250 bambini preadolescenti si è evinto che,


nonostante l'influenza della scuola e degli educatori, la carenza sistema di una forte
concezione di sè e delle proprie emozioni è una delle cause scatenanti del bullismo;
inoltre, dallo studio si evince che, l'unico modo per limitare il fenomeno, non è
collegabile ad una punizione, ma ad un forte lavoro sulle emozioni, soprattutto, sulla
consapevolezza delle stesse.
Fig. 1 - Le forme di bullismo
CAPITOLO II

Il Cyber-bullismo tra le mura della scuola

2.1 Il bullismo in classe


Il fenomeno tra le mura della scuola è un tipo di bullismo che si verifica in un
contesto educativo. Il bullismo può essere di natura fisica, sessuale, verbale o
emotiva.

Un caso classico di bullismo può prevedere la presenza di solo due soggetti, il bullo e
la vittima, che dovrebbe di norma essere un compagno di classe. Attualmente, non
esiste una definizione universale di bullismo scolastico, tuttavia, è ampiamente
convenuto che il bullismo è una sottocategoria del comportamento aggressivo
caratterizzato dai seguenti tre criteri minimi:
1. intento ostile (cioè, i danni causati dal comportamento ostile è intenzionale,
non accidentale);
2. squilibrio di potere (ad esempio, il bullismo include un reale o percepito
disuguaglianza di potere tra il bullo e la vittima);
3. la ripetizione nel corso di un periodo di tempo (cioè, più di una volta con la
possibilità di ricorrere più volte).

I seguenti due criteri aggiuntivi sono state proposti per integrare i criteri minimi di
cui sopra e per renderlo più facilmente riconoscibile agli educatori:

1. vittimizzazione (la vittima soffrire di un lieve o grave trauma psicologico,


sociale o fisico);
2. la provocazione (il soggetto debole o vittima viene costantemente provocato,
insultato e umiliato per spingerlo a reagire con l'obiettivo di giungere ad uno
scontro fisico).

Alcune di queste caratteristiche sono state contestate (ad esempio, squilibrio di


potere: i bulli e le vittime per quanto con caratteristiche diverse, sono sempre dei
pari, soprattutto in un contesto scolastico), ma comunque rimangono ampiamente
riconosciuti nella letteratura scientifica.
Gli effetti a lungo termine sul contesto scolastico sono numerosi, incluso ma non
limitato alla sensibilità, ansia e depressione. Recenti statistiche indicano che la
maggioranza degli studenti sperimenteranno fenomeni di bullismo ad un certo
punto della loro carriera accademica.
A partire dal 21 ° secolo, una crescente attenzione è stata data al fine di garantire
degli strumenti per insegnanti e genitori volti a migliore le capacità di capire e
riconoscere i segni del fenomeno, (sia che si tratti di bullo e sia che si tratti di
vittima), e sono state sviluppate diverse strategie e canali per affrontare il problema.

Essendo la scuola un micro - cosmo, molto spesso piccole azioni che in altri ambiti
avrebbero effetti estremamente lievi o insignificanti, possono assumere dimensioni
notevoli e protrassi per anni, il che può essere causa di comportamenti
autolesionisti, fino a portare al suicidio.
Vi è da sottolineare, che in un contesto sociale come quello della scuola, ogni
studente riveste un proprio ruolo, e tenta di difendere il suo ruolo nella comunità,
indipendentemente che questo posso portare a gravi conseguenze per gli altri; non
è raro che uno studente venga etichettato come soggetto aggressivo, ma la sua
aggressività non è irrazionale o arbitraria, ma si ricollega al tentativo di terzi di
invadere il suo status sociale.

Detto ciò, poniamo in essere una rapida analisi delle principali caratteristiche dei
soggetti che pongono in essere questi fenomeni:

• la ricerca evolutiva suggerisce che i bulli sono spesso moralmente disimpegnati


e usano strategie di ragionamento egocentrico;
• Gli adolescenti che subiscono violenza o aggressione in casa, o sono influenzati
da relazioni tra pari negative, hanno maggiori probabilità di sviluppare
comportamenti aggressivi e autoritari. Ciò suggerisce che le relazioni sociali
positive riducono la probabilità di questo fenomeno.
• La diagnosi di un disturbo di salute mentale è fortemente associato con
l'essere un bullo.
• Questa tendenza è più evidente negli adolescenti con diagnosi di depressione,
ansia o DSA.
• La scarsa informazione sul fenomeno e sulle sue conseguenze accresce i rischi
del verificarsi dello stesso.
Ci sono quattro tipi fondamentali di bullismo: verbale, fisico, psicologico, e Cyber.
Cyberbullismo sta diventando uno dei più comuni e diffusi, mentre le vittime
possono sperimentare il bullismo a qualsiasi età, è testimoniato che il fenomeno è
più diffuso nei bambini in età scolare. Con la conoscenza corretta, possono essere
prese misure preventive contro il bullismo.

2.2 Cyber-bullismo
Il Cyberbullismo è l'atto di danneggiare o molestare tramite reti informatiche in
modo ripetuto e deliberato. Con un maggiore uso di tecnologie di comunicazione,
il cyberbullismo è diventato sempre più comune, soprattutto tra gli adolescenti.

La consapevolezza è anche aumentata, dovuto in parte a casi di alto profilo, come


il suicidio di Tyler Clementi.
Cyberbullismo è definito nei glossari:

Come le azioni che utilizzano le tecnologie dell'informazione e della


comunicazione per sostenere intenzionalmente, ripetutamente un
comportamento ostile da parte di un individuo o di un gruppo, che è destinato a
danneggiare un o più soggetti.

Di fatti, non è altro che l'uso delle tecnologie della comunicazione con l'intenzione
di nuocere ad un'altra persona.
Ecco come si manifesta bullismo virtuale
Molestie il bullo invia frasi
volgari e violente tramite email,
sms, chat o blog.

Denigrazione il bullo diffonde


opinioni e commenti che
minano la reputazione

Violazione privacy: il bullo XXX?!!!KKKK


ruba nickname e password, e YY!!!I????XX
usa impropriamente.

Esclusione il bullo isola la


vittima da blog, chat ed altro.

Persecuzione: le molestie del


bullo vengono inoltrate a
ripetizione.
L'utilizzo del servizio di Internet e delle tecnologie mobili, come le pagine web e
gruppi di discussione così come la messaggistica (SMS) o messaggi di testo
istantanei (Whatapp) sono gli strumenti più utilizzati dai cyberbulli.

Il cyberbullismo può essere visto come una distinta forme di comportamento


online. Alcuni vedono cyber-bullismo come una forma di cyberstalking, che
consiste nel portare un approccio di ripetuto assillo ad una vittima, ma con
impossibilità di giungere allo scontro fisico.
Esempi di ciò che costituisce il cyberbullismo includono: comunicazioni che
cercano di intimidire, di controllare, manipolare, abbattere moralmente, di gettare
infamie, o umiliare il destinatario. Le azioni sono intenzionali, ripetute, e il
comportamento ostile viene posso in essere scopo di danneggiare l'altro.
Il cyberbullismo è stata definita dal Consiglio di prevenzione della criminalità
nazionale: "Quando si utilizzano Internet, telefoni cellulari o altri dispositivi per
inviare un di testo posta o un'immagine destinata a ferire o mettere in imbarazzo
un'altra persona."

Un cyberbullo può o non può conoscere la sua vittima. Un cyberbullo può essere
anonimo e può sollecitare il coinvolgimento di altre persone on-line che non
conoscono il bersaglio. Questo è noto come un "pile-on digitale."
La pratica di cyberbullismo non si limita ai bambini e, mentre il comportamento è
identificato dalla stessa definizione, quando viene praticata da adulti, la
distinzione in gruppi di età porta ad una distinzione come cyberstalking o
cyberharassment quando perpetrati da adulti verso gli adulti.
Tattiche comuni usate da cyberstalker vengono eseguite in forum pubblici, social
media o siti di informazione on-line e sono destinate a minacciare i guadagni,
l'occupazione, la reputazione o la sicurezza della vittama prescelta. I
comportamenti possono includere l'incoraggiamento verso gli altri a molestare la
vittima, cercando di coinvolgere quanti più soggetti e possibili.

Molti cyberstalker cercano di danneggiare la reputazione della loro vittima e girare


altre persone contro di loro. La differenza essenziale tra bullismo e cyberstalking
può essere vista principalmente come una maggiore aggressività nel primo caso,
mentre nel secondo, l'azione si concentra maggiormente sulla derisione e lo
scernimento.
Cyberstalking può includere false accuse, monitoraggio, minacce, il furto di
identità, danni ai dati o alle attrezzature, la raccolta di informazioni personali al
fine di molestare la vittima.

Troll e bulli non sempre hanno gli stessi obiettivi. Alcuni troll si impegnano in
cyberbullismo (incluse le molestie, diffamazione, o diffusione di informazioni che
sarebbero altrimenti nascoste), ma altri troll possono creare azione volte ad
infastidire, ma relativamente innocue.
2.3 bullismo tradizionale e la tecnologia

Alcune caratteristiche intrinseche nelle tecnologie on-line aumentano la


probabilità che essi saranno sfruttati per scopi devianti. A differenza di bullismo
fisico, i bulli elettronici possono rimanere praticamente anonimi utilizzando
account temporanei ed e-mail, pseudonimi in chat, programmi di instant
messaging, messaggi di testo inviati da numeri anonimi, e utilizzare false
informazioni personali per mascherare la loro identità; questo forse li libera dai
vincoli normativi e sociali del loro comportamento, infatti, persone all'apparenza
normali e in totale sincrono con la società, si sono dimostrati essere dei cyberbulli,
anche molto aggressivi.
Inoltre, molti forum spesso mancano di supervisione. Mentre chat host osservano
regolarmente la finestra di dialogo in alcune chat room, nel tentativo di
individuare i soggetti molesti ed allontanarli conservando la bontà delle
conversazioni, i messaggi personali inviati tra utenti (come ad esempio i messaggi
di posta elettronica o di testo elettronici) sono visualizzabili solo dal mittente e il
destinatario, cadendo in tal modo al di fuori della portata normativo di tali
autorità. Inoltre, quando gli adolescenti sanno di più sulle tecnologie dedicate alla
comunicazione digitale rispetto ai loro genitori o tutori, sono quindi in grado di
operare con queste senza la preoccupazione che un genitore scoprirà la loro
esperienza con il bullismo (sia come vittima o colpevole).
Un altro fattore è l'inseparabilità di un telefono cellulare dal suo proprietario,
rendendo quella persona un obiettivo perpetua per la vittimizzazione. Gli utenti
hanno spesso bisogno di mantenere il loro telefono acceso per scopi legittimi, il
che prevede la possibilità per le persone con cattive intenzioni di impegnarsi in un
comportamento indesiderato persistente come molestie telefonate o minaccie e
dichiarazioni offensive tramite funzionalità di messaggistica di testo del telefono
cellulare. Cyberbullismo penetra così le pareti di una casa, tradizionalmente un
luogo dove le vittime potrebbero cercare rifugio da altre forme di bullismo. Ad
aggravare questa infiltrazione nella vita domestica della vittima del cyberbullo è
l'unico modo in cui internet può "creare sensazioni simultanee di esposizione (il
mondo intero sta guardando) e alienazione (nessuno capisce).
Nancy Willard, nel 2006, propone una classificazione delle azioni tipiche del bullo
on-line:

• Flaming: messaggi online violenti e volgari, che mirano a suscitare battaglie


verbali in un forum;

• Harassment (Molestie): l'invio ripetuto di messaggi offensivi e sgradevoli


mirati a ferire qualcuno;

• Denigration (Denigrazione): insultare o diffamare qualcuno online


attraverso dicerie, pettegolezzi e menzogne, solitamente di tipo offensivo e
crudele, volte a danneggiare la reputazione di una persona e i suoi rapporti;
• Impersonation (Furto d'identità): in questo caso l'aggressore ottiene le
informazioni personali e i dati di accesso (nick name, password, ecc.) di un
account della vittima, con lo scopo di prenderne possesso e danneggiarne la
reputazione;

• Outing: condividere online informazioni imbarazzanti, segreti o foto di


qualcuno;

• Trickery (Inganno): ottenere la fiducia di qualcuno per poi rendere


pubbliche in rete, le informazioni carpite con l'inganno;

• Exclusion (Esclusione): escludere deliberatamente qualcuno da un gruppo


online, per provocare in lui un senso di emarginazione (chat, forum, lista di amici
etc.);
• Cyberstalking (Cyber-persecuzione): molestie e denigrazioni ripetute e
minacciose mirate a incutere paura17.

Secondo il rapporto Ipsos 2014 per Save The Children quattro minori su dieci sono
testimoni di atti di bullismo on line verso coetanei, percepiti "diversi" per aspetto
fisico (67%) orientamento sessuale (56%) o perché stranieri (43%). Il bullismo è
percepito dal 69% dei minori italiani intervistati come un problema più grave di
droga, alcol e della possibilità di subire molestie da un adulto. I social network
rappresentano la modalità d'attacco preferita dal cyber bullo (61%), che di solito
colpisce la vittima attraverso la diffusione di foto e immagini denigratorie (59%) o
tramite la creazione di gruppi "contro" (57%).

17 http://www.scuolavicospinea.it/documenti/Cyberbullismo%20Piemonte.pdf
C'è poi il fenomeno del "furto" di mail e messaggi privati resi poi pubblici (48%),
l'invio di sms, mms, e-mail aggressivi e minacciosi (52% che sale al 61% nel caso di
femmine preadolescenti) e la diffusione di notizie false sulla vittima (58%). Secondo i
ragazzi il cyber bullismo ha conseguenze sul rendimento scolastico (38%), sui
rapporti sociali (65%) e può portare a conseguenze sulla salute come ansia e
depressione (57%, percentuale che sale al 63% nelle ragazze tra i 15 e i 17 anni)18.

Molti studi (Cowie E., 2013; Elgar F.J. et al., 2014) fanno emergere in modo evidente
la relazione tra atti di cyber bullismo e conseguenze sulla salute della vittima. Le più
frequenti risultano essere: difficoltà di concentrazione, ritiro dalla vita sociale
(scolastica e personale), aggressività, ansia, depressione e nei casi peggiori il
suicidio.
18 http://www.scuolavicospinea.it/documenti/Cyberbullismo%20Piemonte.pdf
E' evidente, per chi si occupa di prevenzione e promozione della salute, l'urgenza e
la necessità di essere preparati a fronteggiare questo fenomeno in continua
espansione. Come dichiara la dott.ssa Cristina Bonucchi, dell'Unità di analisi dei
crimini informatici della Polizia Postale, è importante realizzare progetti e interventi
di prevenzione mirati rivolti alle tipologie di destinatari maggiormente coinvolte nel
fenomeno del cyber bullismo: i ragazzi, il personale scolastico e le famiglie in
un'ottica di integrazione degli interventi di prevenzione e di promozione di un
utilizzo consapevole e critico della rete.
2.4 I social media e il bullismo

Il cyberbullismo può avvenire su siti di social media come Facebook, Myspace e


Twitter. "Nel 2014, il 93% dei giovani di età compresa tra 12 e 17 anni erano on -
line. In realtà, i giovani passano sempre più tempo con i media interattivi rispetto
a qualsiasi altra singola."

Ci sono molti rischi collegati ai siti di social media, e il cyberbullismo è uno dei
rischi più grandi. Un milione di bambini sono stati molestati, minacciati o
sottoposto ad altre forme di cyberbullismo su Facebook durante l'anno passato,
mentre il 90 per cento dei ragazzi che utilizza stabilmente i social-media, e che
hanno assistito a forme di crudeltà on-line dicono di aver ignorato il
comportamento medio sui social media,
e il 35 per cento sottolinea che si tratta di un fenomeno molto frequente. Il 95 per
cento dei ragazzi che utilizzano i social-media e che hanno assistito a
comportamenti crudeli su siti di social networking, dicono di aver visto altri
ignorare il comportamento, mentre il 55 per cento testimonia come questa sia una
pratica usuale. Secondo uno studio del 2013 del Pew Research, otto adolescenti su
10 che fanno uso di social media condividono più informazioni personali su de e la
propria famiglia rispetto a quello che farebbero nel mondo reale. Questo include
la posizione, le immagini e informazioni di contatto.

"Il caso più recente di cyber-bullismo e di attività illecita su Facebook coinvolto


una pagina commemorativa per dei giovani ragazzi che si sono suicidati a causa di
forme di bullismo anti-gay molti forti.
Questa pagina è stata letteralmente presa d'assalto da numerosi sostenitore della
disparità di trattamento che hanno portato gli amministratore della stessa pagina
a doverla chiudere, alfine, di evitare di trascendere nei commenti e nelle foto
pubblicate19.

19 R. Renzi, M. A. Zanetti, Il fenomeno del bullismo - Tra prevenzione ed educazione, Edizioni Ma.Gi, Roma, 2009
2.5 L'esperienza italiana nella lotta al fenomeno

Il cyberbullismo anche non nostro Paese ha assunto dimensioni e inclinazioni


tutt'altro che rassicuranti, questo ha portato all'insorgere di diverse campagne
nazionali volte a limitare il fenomeno.
MOVE UP - Destinazioni alternative

Progetto voluto dalla Regione Piemonte con la collaborazione


dell’Ufficio Scolastico Regionale e le Forze dell’Ordine per coinvolgere l’opinione pubblica
sull’argomento del cyberbullismo.
“Si tratta di un’iniziativa specifica il cui valore aggiunto sta nell’affrontare tre tematiche -rispetto
delle diversità, prevenzione della violenza e uso consapevole delle nuove tecnologie - in modo
integrato, valorizzando le esperienze fatte sul territorio e proponendone di nuove, per far
comprendere a studenti, docenti e genitori i legami che le caratterizzano e per fornire maggiore
informazione, anche dal punto di vista delle condanne penali in cui si può incorrere, e strumenti
di difesa. ”

FACEBOOK- Fermiamo il bullismo


Iniziativa da parte del social network per contrastare il
fenomeno del bullismo - in senso ampio.
Oltre ad una serie di suggerimenti per i ragazzi,
genitori/tutori e insegnanti, l’elenco delle diverse azioni di
sicurezza per il proprio profilo, messe a disposizione da
Facebook.

Polizia di Stato - "Una Vita da Social": un viaggio nella Rete senza


pericoli

"Una Vita da Social" è un progetto di sicurezza organizzato


dalla Polizia di Stato in collaborazione con il MIUR.
L’iniziativa è rivolta a chi utilizza i social network, in particolar
modo agli studenti delle scuole secondarie (di primo e secondo
grado), ai loro insegnanti e ai loro familiari.
“La campagna di educazione alla legalità su Internet ha un carattere
itinerante su tutto il territorio nazionale: all'interno di un autocarro gli
specialisti della Polizia postale illustreranno a tutti i visitatori, studenti e
famiglie, le principali insidie della Rete, fornendo consigli per una
navigazione sicura.”

“Una Vita da Social” ha attraversato l’Italia in 39 tappe.


Smonta II Bullo
Portale del MIUR che offre informazioni, approfondimenti e
news sul tema del bullismo e del cyber bullismo.

Se mi posti ti cancello mQO


SE MI POSTI
Campagna all’interno del progetto Generazioni Connesse che coinvolge i TI cancello
giovani dagli undici ai sedici anni, attraverso il racconto e la condivisione di
pensieri e testimonianze relative al tema della sicurezza on line.

“L'intento è quello di parlarne, uscire dal silenzio, raccontare le proprie strategie di sopravvivenza,
condividere con i propri pari il senso delle relazioni online. Il risultato sarà una raccolta di video
che serviranno da ispirazione per le cinque puntate della web series alla quale parteciperanno
iprotagonisti dei video selezionati.”
CAPITOLO III

Strategie per il contrasto al bullismo - il lavoro in team


3.1 Il lavoro di gruppo

L'interesse per i gruppi, da parte della Psicologia sociale, diviene oggetto di


studio scientifico intorno agli anni Trenta negli Stati Uniti sotto la spinta degli eventi
storici. Da allora molti studiosi si sono dedicati allo studio e alla ricerca elaborando
varie teorie per spiegare i rapporti che intercorrono tra l'individuo e la società. Nelle
loro ricerche si sono interessati sia dell'individuo che si rapporta nei modi più svariati
con la realtà gruppale, sia del funzionamento del gruppo che non è una semplice
addizione delle individualità, sia dei rapporti fra gruppi.
Il gruppo, per K. Lewin, è innanzitutto una totalità dinamica caratterizzata dalla
stretta interdipendenza delle sue parti, egli considera il gruppo come una unità, una
totalità dinamica in cui le parti sono interdipendenti fra loro. Questa
interdipendenza è di due tipi: l'interdipendenza del destino e l'interdipendenza del
compito. La prima costituisce un elemento macroscopico di unificazione, nel senso
che qualunque aggregato casuale di individui può diventare gruppo se le circostanze
ambientali attivano la coesione e la sensazione di condividere un destino comune; la
seconda costituisce un elemento più forte e più diretto poiché fa sì che lo scopo del
gruppo determini un legame fra i membri in modo tale che i risultati delle azioni di
ciascuno abbiano delle implicazioni sui risultati degli altri.
La natura di questa implicazione può essere positiva o negativa:
l'interdipendenza positiva o collaborazione si ha nel caso in cui il risultato positivo di
ognuno implica il successo del gruppo, l'interdipendenza negativa o competizione si
ha quando il successo di un membro costituisce l'insuccesso di un altro o degli altri
membri. K. Lewin quindi concepisce il gruppo non solo come un insieme dinamico
caratterizzato da un rapporto di interdipendenza tra i suoi componenti, ma anche
dalla comunanza degli scopi. L'azione del gruppo e il suo ambiente costituiscono un
campo sociale dinamico, in cui le modificazioni di una variabile privilegiata possono
modificare la struttura nel suo insieme; l'azione, quando si fa strumento di
modificazione del mondo esterno, svolge un ruolo di ristrutturazione sui sistemi
cognitivi interni al gruppo20.
20 G. Speltini, A. Palmonari, I gruppi sociali - Il Mulino, 1998, p. 37-40
M. Sherif, i cui studi sulla funzione dei gruppi e sulle relazioni fra essi
costituiscono un classico della Psicologia sociale, ha una concezione "architetturale"
di gruppo, considera sia i piccoli che i grandi gruppi come una struttura in cui i
membri sono legati da rapporti di status e ruoli e in cui si delineano norme e valori
comuni. La condizione essenziale per la formazione di un gruppo è l'interazione nel
corso del tempo di individui che hanno motivazioni, interessi, problemi comuni; ma
la ripetuta interazione non significa che i membri svolgono nelle varie attività le
stesse funzioni anzi nel corso del tempo esse si differenziano e specializzano dando
luogo alla differenziazione di ruoli, ad uno status diverso, ad un potere diverso21.

21 G. Speltini, A. Palmonari, I gruppi sociali - Il Mulino, 1998, p. 37-40


Il concetto utilizzato da H. Tajfel e dai suoi allievi riguardo alla teoria
dell'identità sociale e delle relazioni intergruppi si basa sul sentimento di
appartenenza e include tre componenti:
• cognitiva (conoscere di appartenere ad un gruppo);

valutativa (il gruppo e/o la propria appartenenza ad esso può essere connotata
positivamente o negativamente);

• emozionale (gli aspetti cognitivi e valutativi sono accompagnati da


sentimenti ed emozioni quali amore - odio, piacere - dispiacere).
Questi aspetti dell'appartenenza ad un gruppo sono applicabili sia ai piccoli
gruppi faccia - a - faccia sia a grandi categorie sociali. H. Tajfel sostiene che "non
potremmo adattarci alla realtà esterna se non esistesse il meccanismo della
categorizzazione sociale per cui gli individui dividono il mondo sociale nelle
categorie "noi" (ingroup) e "loro" (outgroup); questo meccanismo permette infatti di
orientarsi nella complessità della vita sociale e il confronto con gli altri gruppi fa
riconoscere il proprio gruppo come il migliore, contribuendo così al consolidamento
dell'autostima; avviene inoltre che spesso trovando delle positività o superiorità in
altri gruppi si cerca nel proprio una "specifica positività".
Altri autori come D. Abrams e M. Hogg ritengono che l'appartenenza ad un
gruppo dipenda non solo dal bisogno di autostima, ma anche dalla "riduzione
dell'incertezza", cioè dal bisogno che ogni individuo ha di trovare un significato
all'esistenza, di sentirsi sicuri nella vita sociale22. Secondo K. Deaux esistono almeno
sette motivazioni che determinano l'appartenenza ad un gruppo, ognuna delle quali
può agire da sola o insieme alle altre: la conoscenza di sé e del mondo circostante; il
confronto e la competizione intergruppi; la cooperazione e la coesione; la stima di
sé; il confronto che stabilisce delle gerarchie; l'interazione sociale; il coinvolgimento
"romantico"23. Il gruppo è soggetto a trasformazioni dovute ai processi interattivi di
socializzazione detti "sviluppo di gruppo".

22 Anzieu, J. Y. Martin, Dinamica dei piccoli gruppi - Boria (Roma), 1990, pp. 13-14
23 G. Speltini, Stare in gruppo - Il Mulino, 2002, pp. 27-29
B. W. Tuckman sostiene che ogni gruppo deve essere considerato secondo due
aspetti: uno centrato sul compito, cioè sull'operatività tesa a raggiungere gli obiettivi
prefissati, l'altro affettivo riguardante gli scambi emozionali fra i membri. B. W.
Tuckman poi indica in cinque stadi lo sviluppo del gruppo:

• lo stadio di formazione (forming) dove i membri non si conoscono, sono


incerti e cercano di orientarsi rispetto alle mete che il gruppo si propone e alle
modalità in cui operare;

• lo stadio del conflitto (storming) dove i membri, pur conoscendosi meglio e


avendo avuto vari scambi, faticano ad operare congiuntamente, in questa fase
cercano di modificare il gruppo secondo i propri bisogni e criticano il leader;
• lo stadio normativo (norming): è la fase dell'assestamento, ci sono scambi
autentici di idee, nasce la coesione e il senso di appartenenza; • lo stadio della
prestazione (performing): il gruppo ha ormai una propria fisionomia e può dedicarsi
pienamente al raggiungimento dei propri scopi;

• lo stadio della sospensione (adjourning): il gruppo ha terminato il suo


compito e i membri cominciano a ritirarsi sia dalle attività socio - emozionali sia da
quelle centrate sul compito, il gruppo si scioglie24;

24 G. Spettini, Stare in gruppo - Il Mulino, 2002, pp. 60-61


Un altro modello più recente ci viene da S. Worchel e dai suoi collaboratori. In
questo modello si parte dalla convinzione che spesso i gruppi nascono dal distacco
da gruppi precedenti e si evolvono secondo sei fasi abbastanza ricorrenti:

• il periodo di malcontento: la nascita di un gruppo spesso avviene sulla base


di un gruppo antecedente che non funziona più e i membri non vedono prospettive
per il futuro, si impegnano meno, sono apatici e criticano la leadership;

• l'evento precipitante: nella fase di malcontento avviene qualcosa di preciso,


un evento che, ritenuto positivo da alcuni membri, li porta a formare un nuovo
gruppo sulla base di un terreno comune differenziandosi così dai membri centrali del
gruppo precedente;
• l'identificazione di gruppo: è una fase molto costruttiva per il nuovo gruppo
che stabilisce norme, distribuisce ruoli, compone la dirigenza; i membri si
identificano nel gruppo, sono pieni di entusiasmo e coinvolgimento per la
costruzione di questa nuova comunità; in questa fase il gruppo è chiuso rigido nella
difesa dei propri principi e difficilmente accetta nuovi membri;

• la produttività di gruppo: il gruppo ha una propria identità e può lavorare


sugli obiettivi da raggiungere, i membri vengono valutati in base alle loro
competenze e la leadership viene assegnata in base alle capacità dimostrate. C'è
attenzione verso quello che fanno altri gruppi, c'è disponibilità ad accogliere nuovi
membri;
• l'individuazione: l'interesse ora si sposta dal gruppo agli individui, si cerca di
individuare le reciproche diversità ed eterogeneità, la produttività diminuisce, si
cerca nei nuovi arrivati apporti che possono ristabilire l'equilibrio. Si guarda ad altri
gruppi come ad una possibilità per uscire da una situazione poco soddisfacente;

• il declino: è una fase molto critica, scoppiano rivalità e conflitti, si


sottolineano i fallimenti, si critica la dirigenza e i membri si sentono demotivati.
Sono queste le basi che porteranno alla distruzione del gruppo o all'uscita da esso di
una parte consistente del gruppo che potrà cercarne uno nuovo25.

25 G. Speltini, Stare in gruppo - Il Mulino, 2002, pp. 62-65


I processi di socializzazione non sono però lineari come vorrebbero le teorie, in
quanto in ogni gruppo esiste la possibilità di accedere a socializzazioni alternative
che, come ha mostrato il sociologo E. Goffman, esistono anche negli ambienti sociali
più rigidi quali le carceri e i manicomi26.

L'interesse della Psicoanalisi ha offerto strumenti di analisi ed interpretazione


riguardo la problematica dei gruppi e del lavoro di gruppo, e S. Freud, uno dei suoi
maggiori esponenti, in "Totem e Tabù" e successivamente in "Psicologia delle masse
ed analisi dell'Io" ci spiega come sia possibile un'organizzazione gruppale che non sia
di tipo patriarcale. Egli vede nel gruppo ristretto della famiglia, il padre come un
tiranno a cui i figli, unendosi, finiscono col ribellarsi.

26 Ibivi
Da questa ribellione può nascere una nuova organizzazione a patto che però i
figli trasformino la gelosia in solidarietà rendendo impossibile il dominio sugli altri.
Questa fratellanza simbolica determina una coesione tra i membri del gruppo e
mantiene basso il livello di aggressività interno al gruppo stesso27.

Altre teorie psicoanalitiche, derivanti dalle esperienze psichiatriche di W. R.


Bion, concentrano il loro interesse sulle dinamiche di gruppo e sulla necessità del
sostegno da parte di un leader.

27 L. Dozza, Il lavoro di gruppo tra relazione e conoscenza - La Nuova Italia, 1993, pp. 32- 36
Questa necessità di sostegno può consistere: nel riconoscere ed esplicitare la
preoccupazione del gruppo di non riuscire ad impostare il proprio lavoro, nel
mettere il gruppo in condizione di avere chiarezza sugli scopi del lavoro e di
condividerli, nel riconoscere e far riconoscere le risorse su cui contare per cercare
percorsi di soluzione28. Le teorie cognitive hanno dato un rilevante contributo alla
ricerca sull'apprendimento scolastico che deve essere costruttivo, strategico,
interattivo. L'orientamento cognitivistico studia il processo che raccorda lo stimolo e
la risposta: metodi e tempi di elaborazione dell'informazione, tempi di reazione,
attenzione selettiva, memoria a lungo e breve termine prendendo così in
considerazione soprattutto la comunicazione e i processi di gruppo.

28 ibivi
Questo modello di orientamento cognitivo diviene dominante alla fine degli
anni Sessanta con la pubblicazione nel 1966 di "La psicologia del bambino" di J.
Piaget. Egli propone un modello scolastico che ha carattere costruttivo, basato su
schemi d'azione e strutture cognitive capaci di adattamento ad ogni nuovo oggetto,
fatto, situazione proposto dall'ambiente attraverso l'assimilazione e
l'accomodamento che comportano piccoli ma significativi cambiamenti29.

29 L. Dozza, Il lavoro di gruppo tra relazione e conoscenza - La Nuova Italia, 1993, pp. 38-41
3.2 Cosa si intende per lavoro di gruppo

Il "Team Working", può essere definito come "un'attività in cui alcune persone
interagiscono tra loro con una certa regolarità, nella consapevolezza di dipendere
l'uno dall'altro e di condividere gli stessi obiettivi e gli stessi compiti"30. Ognuno
svolge un ruolo specifico e riconosciuto, sotto al guida di un leader, basandosi sulla
circolarità della comunicazione, preservando il benessere dei singoli (clima) e
mirando parallelamente allo sviluppo dei singoli componenti e del gruppo stesso.

30 http://www.urp.it
Perché un gruppo di lavoro possa evolversi e maturare nel tempo e per
permettere una maggiore collaborazione tra i suoi membri ed una loro
partecipazione più attiva, è necessario che si passi dalla semplice integrazione ad
una vera e propria interazione, affinché i partecipanti al gruppo possano condividere
bisogni ed esigenze. La realizzazione concreta della collaborazione all'interno del
gruppo, è poi facilitata dal meccanismo di negoziazione, che permette il confronto e
il passaggio dal punto di vista dei singoli individui ad un punto di vista comune e
condiviso per realizzare al meglio gli obiettivi previsti.
Sette sono, quindi, gli elementi chiave che concorrono nella costruzione e

nell'evoluzione di un efficace gruppo di lavoro:

> Obiettivo

> Metodo

> Ruolo

> Leadership

> Comunicazione

> Clima
> Sviluppo
Obiettivo

Nessun gruppo di lavoro può essere efficace se l'obiettivo che deve raggiungere
non è chiaro e ampiamente condiviso dai suoi membri. L'obiettivo di un gruppo di
lavoro efficace deve essere definito in termini di risultato, costruito su dati
osservabili e risorse disponibili, espresso in termini chiari, articolato in compiti ed,
infine, valutabile. Un obiettivo chiaro e ben esplicitato contribuisce a consolidare la
coesione e il senso di appartenenza al gruppo da parte dei suoi componenti e
contemporaneamente contribuisce a definire in maniera chiara il rapporto con
l'organizzazione, quindi il clima interno.
Metodo

Il metodo assume per il gruppo una duplice accezione: da una parte stabilisce i
principi, i criteri e le norme che orientano l'attività del gruppo, dall'altra richiama le
modalità di organizzazione e strutturazione efficace dell'attività stessa. Un buon
metodo di lavoro dà sicurezza al gruppo e permette un miglior utilizzo nell'uso e
nella gestione delle risorse disponibili.
Ruolo

Il ruolo rappresenta la parte assegnata a ciascun membro del gruppo in


funzione del riconoscimento delle sue competenze e capacità; esso racchiude poi
anche l'insieme dei comportamenti che si attende da chi occupa una certa posizione
all'interno del gruppo stesso.
Fondamentalmente per un efficace sistema di ruoli è la qualità della
comunicazione interna al gruppo stesso perché un suo corretto funzionamento
permette che si realizzi corrispondenza tra attese e richieste dei singoli e prestazioni
e comportamenti del gruppo.
Leadership

La leadership costituisce lo snodo tra le variabili di tipo strutturale, quali


obiettivo, metodo e ruoli, e variabili di tipo processuale, quali clima, comunicazione
e sviluppo. Il leader si definisce in primo luogo come un professionista di relazioni,
anche se non esiste il "buon leader" per antonomasia, ma piuttosto si dovrebbero
definire delle funzioni di leadership efficacemente svolte e ruoli di leader ben
negoziati e definiti.
E' inoltre importante che la funzione di leadership sia quanto più possibile
circolare e diffusa a seconda degli obiettivi e dei compiti del gruppo nelle diverse
occasioni. Questo significa che esisterà un leader istituzionale, che è quello
individuato dall'organizzazione e che avrà la responsabilità e l'autorità del ruolo
formalmente affidatogli, ma che proprio grazie ad essi, questo leader avrà la facoltà
di scegliere i leader situazionali di volta in volta più idonei al perseguimento degli
obiettivi del gruppo stesso. Dunque egli avrà il compito di individuare, sulla base
della conoscenza delle competenze degli altri membri del gruppo, quelle persone
che di volta in volta saranno più idonee ad affiancarlo e a cui potranno essere
delegati compiti e funzioni necessari per il buon funzionamento del gruppo stesso.
Comunicazione

La comunicazione è il processo chiave che permette il funzionamento del lavoro


di gruppo poiché permette lo scambio di informazioni finalizzato al raggiungimento
dei risultati. Tuttavia, essa orienta ed è a sua volta orientata dal sistema di relazioni e
ruoli presenti nel gruppo stesso. Essa presuppone tre livelli: uno interattivo, che va
ad impattare sulla struttura relazionale del gruppo; uno informativo che è relativo
allo scambio e all'elaborazione di materiali e conoscenze inerenti al lavoro; uno
trasformativo che concerne gli scambi che producono il cambiamento. Il processo
comunicativo diventa anche il luogo di verifica del linguaggio del gruppo e la
definizione del codice.
Clima

Il clima consiste nell'insieme degli elementi, delle opinioni, delle percezioni dei
singoli membri rispetto alla qualità dell'ambiente del gruppo e della sua atmosfera.
Una buona percezione del clima si attua quando c'è un giusto sostegno e calore nel
gruppo, i ruoli dei singoli sono riconosciuti e valorizzati, la comunicazione è aperta,
chiara e fornisce feedback accettabili sui comportamenti delle persone e sui risultati
conseguiti dal gruppo. Una leadership partecipativa e gli obiettivi opportunamente
calibrati alle capacità del gruppo sono tra i fattori che maggiormente influenzano il
clima.
Sviluppo

Questa variabile identifica la costruzione del sistema di competenze del gruppo


di lavoro e parallelamente la crescita del sistema delle competenze individuali. I due
processi dovrebbero portare da una parte allo sviluppo del singolo all'interno del
gruppo e dall'altra alla creazione all'interno del gruppo di un sapere condiviso e
diffuso e alla capacità di lavorare in modo efficace31.

31 http://www.urp.it
3.3 Funzione educativa del lavoro di gruppo

E' un dato inconfutabile che nel corso dei millenni gli


uomini abbiano saputo creare cultura e civiltà grazie alla
collaborazione tra loro. La cooperazione quindi è sempre
stato un processo necessario e determinante.

Oggi viviamo in una società dove i rapidi mutamenti in


campo produttivo, economico e scientifico portano a

rapporti di interdipendenza a livello mondiale basati sulla stretta collaborazione di


tutti i Paesi per il progresso e lo sviluppo. E' evidente la necessità di mettere in
comune le informazioni, i progetti di ricerca e di coordinare gli sforzi.
La cooperazione e quindi il lavoro di gruppo sono oggi una necessità che sempre
più prende corpo in tutte le attività umane. Il mio interesse si soffermerà
maggiormente sui processi di socializzazione che riguardano la Scuola che trae dal
lavoro di gruppo un valido contributo didattico-educativo32.

Il lavoro di gruppo è un'efficace tecnica che permette di raggiungere obiettivi


educativi sia sul piano cognitivo quali l'apprendimento concettuale e l'aumento della
padronanza linguistica orale, sia sul piano interpersonale poiché migliora le relazioni
di intergruppo aumentando la fiducia e la disponibilità33.

32 G. P. Quaglino , S. Casagrande, A. Castellano, Gruppo di lavoro, lavoro di gruppo, Raffaello Cartina Editore, Roma, 2013, pg. 78
33 G. P. Quaglino , S. Casagrande, A. Castellano, Gruppo di lavoro, lavoro di gruppo, Raffaello Cartina Editore, Roma, 2013, pg. 78
Per quanto riguarda l'apprendimento di contenuti curricolari, il lavoro di gruppo
può essere più efficace rispetto ai metodi di insegnamento tradizionale che
prediligono la lezione frontale e i compiti scritti, poiché nell'attività di gruppo viene
favorito l'uso del pensiero concettuale piuttosto che l'applicazione di una regola o la
sua memorizzazione; infatti nello svolgimento di compiti concettuali, gli alunni
interagiscono secondo modalità che li aiutano a capire e ad applicare le idee. Nessun
alunno all'inizio del compito possiede le informazioni o i principi fondamentali
richiesti ma, attraverso la raccolta di informazioni, l'intuizione e lo stimolo reciproco,
arriva alla soluzione del problema in modo creativo.
In questo modo gli studenti hanno molte più possibilità di apprendere:
imparano gli uni dagli altri, sono stimolati a produrre un pensiero di ordine più
elevato, provano un vero e proprio orgoglio intellettuale rispetto a ciò che hanno
raggiunto quando il loro prodotto di gruppo è più di quanto avrebbe potuto ottenere
qualsiasi singolo componente34.

La situazione di gruppo risulta quindi ideale per lo sviluppo delle abilità


cognitive: ogni alunno infatti formula ipotesi, prende decisioni e, attraverso la
comunicazione orale, esercita la persuasione elaborando ciò che sa.

34 G. P. Quaglino , S. Casagrande, A. Castellano, Gruppo di lavoro, lavoro di gruppo, Raffaello Cartina Editore, Roma, 2013, pg. 79
L'apprendimento cooperativo quindi, ampliando la capacità di assumere il
punto di vista degli altri, permette di trattenere informazioni migliorando le proprie
abilità fondamentali e produce un comportamento più attivo, più impegnato e più
orientato al compito di quanto faccia il lavoro individuale. La valutazione di gruppo
per il lavoro complessivo, da parte dell'insegnante, evidenzierà solide forze interne
che impediscono ai singoli membri di distogliersi dal lavoro da svolgere poiché
l'interazione risulta sempre interessante e coinvolgente per gli studenti. Il gruppo,
per poter portare a termine il compito con successo, ha bisogno non solo di risorse
che includono abilità intellettive, lessico, informazioni rilevanti, ma anche di chiare
istruzioni su come procedere.
Il lavoro di gruppo cambia il ruolo dell'insegnante che non è più il supervisore
diretto degli studenti, non è più sua la responsabilità di osservare e correggere
immediatamente ogni errore.

L'autorità viene delegata al gruppo di studenti, sono gli studenti ad avere


l'incarico di assicurarsi che il lavoro venga svolto e che i compagni ricevano l'aiuto
necessario. Essi, inoltre, possono commettere errori, scoprire cosa c'è che non ha
funzionato e cosa si potrebbe fare per rimediare.
In questo modo, però, l'insegnante non rinuncia alla propria posizione di
autorità, perché spetta a lui dettare le istruzioni per lo svolgimento del compito,
stabilire con gli alunni le regole, formare gli studenti all'uso di norme mirate alla
cooperazione, assegnare gli studenti ai rispettivi gruppi, delegare l'autorità a quegli
studenti che devono svolgere determinati ruoli e soprattutto ritenere il gruppo
responsabile del prodotto del proprio lavoro. La presenza dell'insegnante durante il
lavoro di gruppo è indispensabile perché, vigilando attentamente gli studenti e le
loro discussioni in maniera discreta e non autoritaria, potrà porre domande per
stimolare il gruppo o intervenire rinforzando le regole, i ruoli e le norme.
Quindi gli studenti devono essere preparati adeguatamente ad affrontare
situazioni che richiedono il lavoro cooperativo. Infatti non si può dare per scontato
che i giovani sappiano come lavorare insieme in modo costruttivo e realmente
cooperativo senza che ci sia bisogno di un supervisore, pertanto è necessario che
l'insegnante introduca nuove norme o regole di comportamento. Quando questo
nuovo comportamento diventa spontaneo, vuol dire che le norme sono state
interiorizzate e che ogni alunno sarà portato a farle rispettare all'interno del gruppo.
Le nuove norme prevedono l'equa partecipazione degli studenti che devono sentirsi
dipendenti gli uni dagli altri, devono ascoltarsi, devono essere consapevoli dei
bisogni reciproci ed essere disposti ad aiutarsi, perché solo così potranno
raggiungere gli obiettivi prefissati.
Il vivace disaccordo che sempre si riscontra in un gruppo di lavoro va visto in
modo positivo perché, in questa situazione, gli studenti sono costretti a giustificare i
propri punti di vista e a rendersi conto che, rispetto ad un problema, può esserci più
di una prospettiva. E' necessario anche che l'insegnante decida quali abilità servano
per la situazione di lavoro di gruppo che si intende creare ed è bene che le norme e
le abilità vengano insegnate attraverso giochi e facili esercizi perché è difficile che la
classe impari i nuovi comportamenti unicamente attraverso lezioni frontali o
discussioni di gruppo.
Completare il percorso formativo con successo significa per l'insegnante essere
riuscito a far interiorizzare le nuove norme, così che il lavoro può essere assunto
dagli stessi studenti: è il gruppo ad assicurarsi che tutti abbiano capito cosa bisogna
fare, è il gruppo che aiuta tutti ad impegnarsi nell'attività da svolgere35.

Quindi l'insegnante non controllerà più i singoli comportamenti, ma saranno gli


alunni ad assumere la responsabilità per sè stessi e per gli altri. L'insegnante, che
deve sempre favorire l'interazione di tutti gli studenti, può adottare strategie
particolari per far sì che gli alunni di status inferiore non si isolino o vengano
considerati incompetenti dal resto del gruppo.

35 G. P. Quaglino , S. Casagrande, A. Castellano, Gruppo di lavoro, lavoro di gruppo, Raffaello Cartina Editore, Roma, 2013, pg. 80
Due strategie hanno effetto su questo problema:

• stabilire norme cooperative del tipo "tutti partecipano e tutti aiutano";

• attribuire un ruolo o una parte da svolgere a ogni studente.

E' necessario che l'insegnante cerchi in questi alunni con status inferiore dal
punto di vista scolastico, sociale, relazionale, delle aree di competenza e progetti
una situazione in cui lo studente può fungere da esperto. La fase di partecipazione
collettiva è la conclusione, il momento cioè in cui gli studenti di ogni gruppo
presentano il lavoro all'intera classe che condivide ciò che il gruppo ha imparato.
La valutazione, da parte dell'insegnante, è la misurazione del profitto, è un
processo valutativo globale che prende in considerazione ogni aspetto dell'attività;
serve per conoscere gli allievi e poter incoraggiare le loro abilità e conoscenze; serve
per accertare se sono stati fatti propri i concetti fondamentali che andavano appresi
ed è la base per la prossima programmazione di lavoro di gruppo36.

36 E. G. Cohen, Organizzare i gruppi cooperativi. Ruoli, funzioni, attività - Ed. Erickson, 1999, pp. 25-40 e pp. 59-64
3.4 I concetti teorici di riferimento

Un connotato saliente della Scuola è


indubbiamente costituito dal tipo e dalla qualità delle
relazioni interpersonali che in essa si realizzano, e ciò
per diverse ragioni.

In primo luogo perché ogni Scuola è innanzitutto scuola di socialità e la scuola


del bambino, rivolgendosi ad un soggetto che ha vissuto quasi esclusivamente, al
suo ingresso, un'esperienza sociale primaria e che una valenza morale, che
possiamo individuare, come processo particolare è un aspetto specificamente
importante:
da qui il perciò non ha ancora elaborato un orientamento sociale di base
definito rispetto ad un gruppo allargato, ancor più di altre scuole deve assumere la
socialità e la relazionalità come dimensioni essenziali della sua ragion d'essere37. C'è
poi il fatto che la costruzione di una socialità compiuta (che non può limitarsi a
realizzare una coesistenza tra individui, ma deve chiaramente assumere
psicogenetico, nel passaggio del bambino da un comportamento governato dalle
u
regole" ad un comportamento riferito a "norme"), avviene nel bambino proprio

grazie ai rapporti interpersonali, che da un lato sono rapporti "personali" (e


conservano quindi la pregnanza emotivo - affettiva di questi), e dall'altro, essendo
"sovraidividuali", preparano la conquista della dimensione "impersonale"
costituendo i referenti vissuti della norma.
37 A. De Bernardo, la scuola e la sue metodiche, Mursia Editore, Milano, 2010, pg.24
La vita di relazione è quindi un aspetto importantissimo, anche se specifico e
non esaustivo, dell'educazione alla società; ma proprio per questo valore particolare
è un aspetto specificamente importante: da qui il fatto che la Scuola, come soggetto
e luogo di socialità, diventa anche, intenzionalmente, ambiente di relazionalità.
Ambiente che non si limita a "consentire" la relazionalità spontanea, ma che
intenzionalmente predispone vari contesti relazionali (coppia, piccolo gruppo,
gruppo allargato; con o senza la presenza dell'insegnate cioè a leadership definita -
verticale - o non definita38).

38 A. De Bernardo, la scuola e la sue metodiche, Mursia Editore, Milano, 2010, pg.25


E' chiaro che tali contesti, e la relativa valenza educativa di ciascuno di essi, non
sono astratti, cioè pure occasioni di socialità, ma inscindibilmente connessi, e quindi
congruenti, con le diverse attività e i diversi momenti della giornata scolastica del
bambino.

Ad esempio, mentre attività strutturate di apprendimento si avvantaggiano, in


genere, della coppia e del piccolo gruppo (quando non del lavoro individuale);
attività autogestite relativamente complesse (come quelle connesse al momento
del pasto o della cura di piccoli allevamenti, o
della pulizia e dell'ordine delle sezioni), si
avvantaggiano di una tipologia organizzativa
"mista",
che prevede l'affidamento a turno dei compiti ad un gruppo relativamente
allargato, che si articola poi al suo interno in piccoli gruppi39. Questo significa che le
relazioni personali che la Scuola induce, sollecita, promuove e sostiene, non sono
"spontanee" e non possono quindi né sostituire né compensare le relazioni
personali tipiche dei gruppi informali; sono esperienze di socialità e di relazionalità
che non si svolgono in un "involucro vuoto" ma sono progettate e predisposte dalla
Scuola come soggetto attivo e consapevole.

39 D. Niccoloa, Gruppi e formazione, Mursia Editore, Milano, 2007, pg.71


Tanto è vero che anche il clima sociale positivo (costituito da relazioni positive
degli adulti fra loro e degli adulti con i bambini), non è frutto di una disponibilità solo
affettiva degli insegnanti, ma di una loro attenzione continua e competente nei
confronti dei bisogni e dei segnali inviati dai bambini, e della capacità di "attivare"
forme flessibili, interattive e circolari di comunicazione didattica.

Ciò sta ad indicare che se è vero che la Scuola dell'infanzia deve essere un vivaio
di relazioni umane, tali relazioni, costituendosi all'interno di un ambiente
predisposto, costituiscono il risultato di una chiara intenzionalità educativa che ha
un grande valore, sia in sè stesso che per gli effetti circolari che la formazione
interpersonale e sociale induce sull'esperienza relazionale informale, cioè aiutando il
bambino a saper vivere in modo più libero e capace la socialità informale.
Per favorire la dimensione relazionale che costituisce terreno di intervento
intenzionale della Scuola attraverso lo specifico campo di esperienza "Il sé e l'altro",
è necessario riconoscere l'importanza per la capacità relazionale dell'insegnamento
personalizzato. Infatti, la personalizzazione dell'intervento (anzi più precisamente la
personalizzazione dei percorsi di formazione) non è in contraddizione necessario
riconoscere l'importanza per la capacità relazionale dell'insegnamento
personalizzato. Infatti, la personalizzazione dell'intervento (anzi più precisamente la
personalizzazione dei percorsi di formazione) non è in contraddizione con l'esigenza
e la pratica della socialità, ma sono due dimensioni da far coesistere e integrare
poiché diverse ma ambedue importanti.
Infatti gli studi sull'egocentrismo e la lunga pratica didattico-formativa fondata
sulla personalizzazione dei percorsi di formazione (montessoriana), hanno
dimostrato che il grado di socialità è correlato positivamente ad una percezione di sé
chiara, distinta e forte, nel senso che solo una chiara e matura coscienza di sé può
far scoprire l'altro come una soggettività vera, diversa da sè stessi. E cioè un senso
pieno dell'Io che ci rende capaci di "non fate agli altri ciò che non vorremmo fosse
fatto a noi". Questo spiega perché un ambiente sociale che si fonda sulla
personalizzazione dell'intervento sia, per ciò stesso, una concreta scuola di socialità,
in cui il rispetto dell'altro si manifesta sia come percezione dell'altro (un altro Io
simile a me), e sia come capacità positiva e attiva di cooperazione e non di semplice
coesistenza o tolleranza40.
40 N. Dell'Aquila, Manuale per il concorso della Scuola materna - Ed. Giunti, 1998, pp. 400-403
Interessante è riportare la valutazione di alcuni grandi pedagoghi che hanno
affrontato il tema dello sviluppo cognitivo in ambito scolastico attraverso il gruppo.
a) J. Piaget

L'ipotesi psicogenetica elaborata da Jean Piaget mira a spiegare i processi


cognitivi umani, ricostruendo le fasi del loro sviluppo nell'individuo, in senso
evolutivo, dalla fase senso motoria legata ad un rapporto "statico" con la realtà, alla
formazione delle strutture propriamente logiche che creano un rapporto dinamico
con la realtà; ogni tappa, ogni stadio è preceduto necessariamente da un altro stadio
in cui si attuano operazioni mentali che stanno alla base delle operazioni

successive.
Questo sviluppo, per l'azione delle stimolazioni socioculturali e delle esperienze
personali compiute dall'individuo, non avviene in modo lineare, ma ciò che sembra
restare immutato è l'ordine degli stadi e non le modalità e i percorsi con i quali essi
si organizzano41.

Piaget ha dimostrato sia che la differenza tra il pensiero del bambino e quello
dell'adulto è di tipo qualitativo (il bambino non è un adulto in miniatura, ma un
individuo dotato di struttura propria) sia che il concetto di intelligenza (capacità
cognitiva) è strettamente legato al concetto di "adattamento all'ambiente":

41 N. Dell'Aquila, Manuale per il concorso della Scuola materna - Ed. Giunti, Napoli, 1998, pp. 403-405
Sostiene che l'intelligenza non è che un prolungamento del nostro adattamento
biologico all'ambiente: l'uomo non eredita solo delle caratteristiche specifiche del
suo sistema nervoso e sensoriale, ma anche una disposizione che gli permette di
superare questi limiti biologici imposti dalla natura. Piaget ha scoperto che la
conoscenza del bambino si basa sull'intelligenza pratica del soggetto con l'oggetto,
nel senso che il soggetto influisce sull'oggetto e lo trasforma. Lo sviluppo psichico
che inizia fin dalla nascita è un continuo processo di autoregolazione nella ricerca di
un equilibrio dinamico tra fattori innati e fattori acquisiti.
Questo processo avviene attraverso due processi che caratterizzano ogni
adattamento e che si avvicendano durante l'età evolutiva:
• l'assimilazione dei nuovi dati dell'esperienza alle strutture preesistenti;

• l'accomodamento, cioè il riadattamento delle strutture preesistenti42.

Lo sviluppo mentale consiste quindi in un adattamento sempre più preciso ed


elevato dell'organismo alla realtà attraverso quattro fasi durante le quali il soggetto
accresce ed arricchisce i propri schemi cognitivi mediante l'interiorizzazione delle
esperienze compiute:

42 Ibivi
Fase sensomotoria (da 0 a 2 anni):

ovvero dell'intelligenza pratica e manipolativa che si esplica totalmente


nell'azione concreta, senza processi di astrazione in quanto il bambino reagisce agli
oggetti come segnali, mai come simboli.
Fase pre - concettuale o simbolica (dai 2 ai 4 anni):

In questa fase il linguaggio è molto importante, perché il bambino impara ad


associare alcune parole ad oggetti o azioni, il gioco occupa la maggior parte della
sua giornata: per lui tutto è gioco, addirittura ripete in forma di gioco le azioni reali
che sperimenta (ad esempio, per lui è un gioco vestirsi e svestirsi); inoltre scopre la
possibilità di usare i simboli.
Successivamente, nella fase preoperativa, i giochi diventano percettivo motori e
simbolici: il bambino comincia a manipolare la sabbia, la creta o la cera, le
costruzioni; a coordinare i movimenti e inizia a trovare equilibrio ed agilità nelle
attività motorie; compare il gioco simbolico attraverso il quale rielabora la realtà
modificandola o riproducendola sulla base del ricordo e degli stati emotivi ad esso
legati (giochi che implicano il "far finta di..."), diventano dunque predominanti la
fantasia ed i giochi d'immaginazione. Intorno al quarto anno il bambino diventa
capace di fare giochi di costruzione e inizia a giocare prima con un compagno,
successivamente in gruppo. Percepisce così con gradualità che, per giocare con gli
altri, deve rispettare delle regole.
Il gioco associativo è una conquista importante perché fa acquisire una
significativa valenza sociale rispetto a quella individuale ed egocentrica. Attraverso il
gioco sociale, il bambino è sottoposto a tutte quelle regole che favoriscono la
formazione del senso di responsabilità e, soprattutto, di socialità. Il gioco non ha
soltanto una funzione di socializzazione, ma ha anche un elevato valore educativo:
assolve non solo il compito di far sviluppare adeguatamente il linguaggio, ma anche
di eliminare o di attenuare le ansie e le paure sia di agevolare il processo di
apprendimento43.

43 N. Dell'Aquila, Manuale per il concorso della Scuola materna - Ed. Giunti, Napoli, 1998, pp. 406-409
Fase pre-concettuale e del pensiero intuitivo (da 4 a 7 anni):

è caratterizzata dalla ricerca delle caratteristiche che distinguono un oggetto


dall'altro e dei nessi causali che legano gli eventi. In questa fase aumenta la
partecipazione e la socializzazione nella vita di ogni giorno in maniera creativa,
autonoma, adeguata alle diverse circostanze. diverse dai genitori. Questo lo obbliga
a rivedere le conoscenze acquisite nelle fasi precedenti, mediante dei processi
cognitivi di generalizzazione: ovvero, le conoscenze possedute relative ad
un'esperienza specifica vengono trasferite a quelle esperienze che, in qualche modo,
possono essere classificate nella stessa categoria. Tuttavia la sua capacità di
riprodurre mentalmente un avvenimento avviene nell'unica direzione in cui
l'avvenimento si è verificato: non è capace di reversibilità.
Se mettiamo di fronte ad un bambino una fila di otto vasetti di fiori e
collochiamo un fiore in ogni vasetto, il bambino dirà che il numero dei fiori e dei
vasetti è lo stesso. Se però gli facciamo togliere i fiori per farne un mazzetto, il
bambino dirà che i vasetti sono più dei fiori: il maggior spazio occupato dalla fila dei
vasetti ha dominato la sua valutazione. In sostanza ciò che non ha compreso è stata
l'invarianza (o conservazione) della quantità al mutare delle condizioni percettive.

Il periodo dai tre ai cinque anni è definito: "L'età dei perché" in cui il bambino,
di fronte a nuove scoperte concrete si domanda e domanda quale sia il nesso che
lega la causa con l'effetto, interiorizzando le risposte e adattandole poi ad altre
situazioni.
b) L. Vygotskij

I risultati delle ricerche di L. Vygotskij, per lo meno quelli che si sono rivelati più
importanti per il mondo scolastico, si possono così sintetizzare: in generale,
l'insegnamento propone agli alunni obiettivi che tengano conto delle competenze
già acquisite da ciascuno in modo da stimolare, sostenere e sviluppare ulteriori
provvedimenti; il divario tra i due livelli (risultati conseguiti da soli e risultati
conseguibili con l'aiuto dell'adulto) indica la zona di sviluppo prossimale.
Poiché i bambini con la più vasta zona di sviluppo prossimale conseguono
migliori risultati nell'apprendimento, l'insegnamento efficace è quello che precede
lo sviluppo perché risveglia e anima i processi interiori che in quel momento sono
possibili per l'intervento dell'adulto e per la collaborazione dei compagni44. Sviluppo
e apprendimento quindi, non possono essere considerati termini distinti o
contrapposti, ma piuttosto due facce di un più generale e unico processo.
L'attenzione dell'educatore deve perciò spostarsi sulla possibilità di apprestare
ambienti, situazioni, relazioni, materiali, procedure. L'ambiente scolastico, infatti,
rispetto a tutte le altre situazioni di vita del bambino, gode del carattere
dell'intenzionalità, della competenza, dell'organizzazione45.

44 AAVV, La scuola e le sue idee, Ferraro Editore, Napoli, 1987, pg. 34


45 Ibivi
c) H. Gardner

Su una posizione un po' diversa si collocano le ricerche di H. Gardner sulle


intelligenze multiple (logico - matematica, linguistica, spaziale, musicale, cinestesica,
interpersonale, intrapersonale, naturalistica ed esistenziale) che hanno ispirato gli
Orientamenti per la Scuola dell'infanzia. Secondo questo autore le teorie di Piaget
sulle diverse fasi dello sviluppo del pensiero logico - matematico sono
sostanzialmente giuste, ma il loro limite è quello di non tenere conto delle altre
forme di intelligenza. Le conseguenze sul piano dell'attività didattica possono essere
notevoli46.

46 http://www.elledici.org
In Piaget, l'attività mentale è unica e indifferente e quindi anche il sapere
è unico: le abilità cognitive conseguite in una qualsiasi specializzazione
possono essere trasferite in altri campi disciplinari. Ne consegue che la
distinzione in discipline non corrisponde ad una esigenza della mente,
quanto piuttosto a una esigenza culturale (alfabetizzazione culturale)
essendosi il sapere storicamente suddiviso in specializzazioni.
In Gardner, l'attività mentale è differenziata, anche se poi di fronte a
problemi complessi le diverse intelligenze operano sinergicamente. Ne
consegue che la distinzione dell'insegnamento in discipline (o Campi di
Esperienza) risponde alla necessità di stimolare opportunamente le varie
funzioni della mente per poter tenere conto delle peculiarità dei diversi
saperi per ciascuno dei quali si hanno forme specifiche di pensiero.
Tuttavia anche se non esiste una definizione completa e unica del concetto di
apprendimento, tutte le scuole psicologiche e pedagogiche sono concordi che
l'apprendimento:

1. non è un processo che riguarda esclusivamente la sfera cognitiva, ma


abbraccia tutta la personalità del bambino ed è strettamente legata alle
componenti affettive;

2. è un processo che, al di là degli aspetti e delle fasi comuni a tutti gli


individui, presenta, nello stesso tempo, rilevanti differenziazioni
individuali;
3. non è un processo lineare, ma piuttosto, secondo una felice
espressione di J. Bruner, un percorso a spirale che si sviluppa attraverso
ampliamenti successivi delle precedenti conquiste;

4. non è un processo unidirezionale perché può conoscere regressioni o


battute di arresto;

5. è un processo interamente programmabile, controllabile prevedibile a


priori;
6. non è conseguente alla qualità dell'insegnamento, nel senso che
l'insegnate non può avere, a priori, certezze sull'efficacia delle sue
strategie educative, ma solo indicazioni probabilistiche;
7. non esiste una strategia educativa e didattica che possa essere
considerata valida per tutte le discipline47.

Gli studiosi sono concordi nell'affermare che l'affettività e le funzioni


intellettuali sono fra loro correlate e interagiscono continuamente.

In base a tali valutazioni si ritiene che il lavoro in team o di gruppo, soprattutto


se i soggetti che lo compongo sono portatori di interessi e conoscenze diverse è una
forma di arricchimento e crescita costante da parte dei soggetti coinvolti.

In base a tale presupposto, si tende a sottolineare l'esigenza dei cosiddetti


gruppi aperti, strutture socio - relazionali che tendono con il passare del tempo ad
ampliarsi numericamente per inserire in esso nuove e migliorative conoscenze48.

47 AAVV, La scuola e le sue idee, Ferraro Editore, Napoli, 1987, pg. 34


3.5 Giochi cooperativi contro la violenza a scuola

Il comportamento aggressivo può essere definito come un comportamento


intenzionalmente rivolto a far male all'altro; questo può articolarsi nei sottotipi di
aggressività proattiva, che comprende l'aggressività strumentale e l'aggressività
ostile o bullismo, e di aggressività reattiva. In particolare i trend evolutivi
dell'aggressività proattiva evidenziano che l'aggressività strumentale si manifesta dai
tre ai dieci anni e l'aggressività ostile-bullismo dagli otto ai sedici anni (Menesini
2000).

48 Ibivi
Considerando che in età scolare si assiste ad un cambiamento nella natura del
comportamento aggressivo (diventando sempre più intenzionale e rivolto ad
attaccare l'altro) e che con l'età adolescenziale si evidenzia un decremento
dell'incidenza della condotta aggressiva (anche se è un età in cui le azioni violente
più serie aumentano) si propongono dei giochi cooperativi per la fascia d'età dagli
otto ai sedici anni per prevenire e contrastare il fenomeno del Bullismo, proponendo
delle esperienze basate sullo stile del "tutti per uno e uno per tutti" a sostegno del
percorso evolutivo verso una migliore gestione dei comportamenti socio-affettivi.
I giochi cooperativi sono utili per contrastare il fenomeno del bullismo in quanto
si fondano sul lavoro di squadra in cui i partecipanti devono collaborare tra loro per
assolvere ai compiti ludici, migliorando la qualità dei risultati con il livello di
cooperazione che si basa sull'aiuto reciproco. Nei giochi cooperativi i compiti
possono essere realizzati solo se i componenti del gruppo uniscono le loro abilità
facendo la fondamentale esperienza di apprendimento prosociale che gli sforzi,
l'iniziativa e l'impegno attivo di tutti danno un risultato che supera la soddisfazione
individuale per scoprire la responsabilità per qualcosa di comune attraverso una
esperienza di successo.
Il valore pratico del lavoro di gruppo si evidenzia quando nei giochi affiorano dei
conflitti conseguenti al dover prendere decisioni difficili, quando si è sotto la
pressione temporale, quando vi sono diverse strategie di soluzione od uno scarso
impegno di alcuni, occasioni preziose di apprendimento in cui aiutando gli altri e
lasciando che essi ci aiutino si manifesta l'impegno verso di loro, ma anche la
disponibilità a riconoscere i propri limiti permettendo loro di esserci di aiuto.
Durante i giochi cooperativi l'osservazione dei comportamenti socio-affettivi
può essere effettuata con una griglia di osservazione (All.1), utilizzabile da un
docente in compresenza con il ruolo di osservatore durante le attività condotte dal
collega che svolge il ruolo di animatore dei giochi cooperativi, con la rilevazione della
"emosia" (parafrasando la "gnosia" = riconoscimento e la "prassia" = riproduzione,
con questo neologismo intendo riferirmi alla "risonanza emotiva" della corporeità
nella dialettica Intrapersonale= rapporto con se stessi - Emozione / Interpersonale =
rapporto con gli altri - Empatia)49.

49 FONTE: http://www.istruzionepadova.it/intedu/documenti/EdFis_GiochiCooperativi.pdf
Per quanto riguarda la proposta operativa dei Giochi Cooperativi si fa
riferimento alla raccolta di Giochi Cooperativi d'Avventura (Lehner, 2001), di cui si
selezionano alcuni giochi adatti alla fascia d'età e al contesto scuola sopracitato,
integrata da altre attività ludico-relazionali acquisite in corsi di formazione; si rinvia
poi alla biblio-emerografia per un eventuale approfondimento personale sul tema
specifico. Della raccolta proposta sono scelti alcuni giochi cooperativi, in quanto
utilizzabili sia per l'approccio curricolare e/o trasversale alle varie discipline al
problema del Bullismo, sia per il Training ComunicativoRelazionale relativo al
modello dell'operatore amico (Menesini 2003), e in gran parte sperimentati
personalmente nelle attività da me condotte come tutor-animatore nella fascia d'età
dagli otto ai sedici anni.
In particolare quest'ultimo gruppo di giochi favorisce il "debriefing", inteso
come momento di riflessione critica collettiva realizzato a caldo dopo una situazione
emotiva molto intensa, fondamentale per elaborare la 2 dimensione socio-affettiva
possibile solo dopo una fase esperenziale pratica, che può articolarsi, specie con la
fascia d'età dei più piccoli, con una fase non verbale "iconica" (per visualizzare il
vissuto) e una fase verbale (per nominare il vissuto) sia orale che scritta,
utilizzandolo così come modello di apprendimento.
Per la "coerenza" del messaggio educativo finalizzato a contrastare il fenomeno
del bullismo si raccomandano agli insegnanti-animatori i seguenti principi
pedagogici adatti per i giochi:

• Inscenare il gioco: creare le condizioni per consentire agli/lle alunni/e di


giocare spontaneamente.

• Imparare a restare in disparte: osservare cosa fanno, giudicare come lo


fanno e il suo sviluppo.

• Aiutare a risolvere da soli i problemi: aiutare a chiarire, risolvere e attuare


questioni,conflitti, idee.
• Fare attenzione alla complessità del gioco: d'accordo con gli/le alunni/e
adattare le situazioni.

• Chiarire le strutture del gioco: far notare le correlazioni fra i diversi fattori
rilevanti per il gioco.
• Avviare all'autoregolazione: fare in modo che le funzioni relative alla
soluzione dei problemi e alle strutture dei giochi possano essere svolte dagli/lle
alunni/e in modo regolare ed autonomo, senza che uno di loro si imponga sugli
altri50.

50 FONTE: http://www.istruzionepadova.it/intedu/documenti/EdFis_GiochiCooperativi.pdf
3.6 Elementi di contrasto al fenomeno del bullismo

Una pietra miliare nella prevenzione del bullismo è la presenza di una cultura
scolastica positiva, alfine, di favorire un clima accogliente delle differenze e delle
diversità, per ottenere questo risultato è necessario una politica scolastica basata
sull'inclusività e rispetto delle persone. Una politica della scuola sul bullismo è più
efficace se supportata da una scuola positiva e propositiva.
Quale clima favorisca il rispetto, la fiducia, la cura, la considerazione e il supporto
per gli altri. Accuratamente valutare l'entità del bullismo è difficile. diverse
definizioni di bullismo portano a stime diverse.
Sotto-segnalazione degli incidenti, a causa della mancanza di volontà da parte dei
bambini e dei giovani 'per dire' e perché le scuole non sempre tenere registri
sistematici e dettagliati, contribuisce anche alla incertezza circa la sua prevalenza.

Nonostante queste difficoltà, vi è la prova da organizzazioni come ChildLine che


conferma che il bullismo è un problema significativo e che ogni scuola deve porre in
essere tutte le strategie possibili per limare limitare il fenomeno. Nel 2013, 20.000
tra bambini e giovani chiamati da ChildLine per essere intervistati sul tema, hanno
affermato di aver vissuto direttamente e indirettamente la tematica trattata. Recenti
ricerche sulle opinioni dei bambini e dei giovani ha scoperto che un quinto degli
alunni della scuola primaria e un quarto degli alunni delle medie percepisce il
bullismo come un 'grande problema' nella loro scuola.
Uno studio di Savethechildren sui maltrattamento, ha rilevato che il bullismo,
soprattutto a scuola, è una delle forme più comuni di aggressione nocive vissute da
bambini e giovani nel tutto il Paese51.

Il fenomeno nelle scuole soffre anche di una coltre di omertà, soffrire in silenzio,
viene osservato in questa ricerca è un tratto distintivo delle vittime del bullismo,
purtroppo non vi sono prove che suggeriscono che alcuni bambini hanno maggiori
probabilità di essere coinvolti in episodi di bullismo e che i modi in cui essi imparano
a gestire aggressione e sviluppare le competenze sociali possono essere un fattore
chiave che contribuisce o meno al perdurare del fenomeno.

51 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano 2013.
Coloro che sono disabili, vittime di abusi o negligenza, in lutto, provenienti da
diverse etnie, o crescono in cura, possono essere vulnerabile e le scuole devono
essere consapevoli delle particolari esigenze di questi bambini e di questi giovani. In
aggiunta a questo, ci sono indicazioni che i bambini che sono percepiti come
differenti in termini di dimensioni, forma, colore, con gli occhiali e anche avere i
capelli rossi, possono essere maggiormente tendenti a subire determinati episodi
negativi. Altri bambini e giovani sono vittime di bullismo senza, però, presentare
nessun motivo apparente e possono essere vittime di bullismo anche da parte di ex
amici52.

52 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano 2013.
Il bullismo non è giustificato, anche se alcuni alunni irritano gli altri o non sono in
grado di gestire il disaccordo o il conflitto. Gli insegnanti e i genitori devono lavorare
insieme per trovare il modo di aiutare l'allievo. Migliorare le competenze sociali,
l'assertività, la gestione della rabbia e i feedback da amici sul comportamento
fastidioso, hanno dimostrato di essere strategie efficaci.

A volte la persona che è vittima di bullismo è a sua volta un bullo. In un rapporto


ChildLine si evince, da un sondaggio tra bambini di età preadolescenziale e
adolescenziale, che il 15% dei bambini della scuola primaria e il 12% dei ragazzi delle
scuole medie hanno detto che erano entrambi vittima di bullismo e sono stati
vittima di bullismo nel corso dell'ultimo anno.
La ricerca ha evidenziato che il passaggio tra la scuola primaria alle medie è oltre che
una fase di sviluppo un momento di grande delicatezza, in quanto, in questa fase si
ha il passaggio tra un rapporto sereno con la collettività al trasformarsi in bullo o in
vittima di bullismo, non è raro, tra l'altro, che in questa fase alcuni bulli diventino
vittime di bullismo ed alcune vittime si trasformino a loro volta in bulli.

Ci sono due componenti di efficacia pratica contro il bullismo; la prevenzione di


episodi negativi e la costruzione di un sistema di dialogo tra docenti ed alunni.
Gli interventi più efficaci, con ottime ricadute nel lungo, sono stati sviluppati con un
lavoro cooperativo tra il personale scolastico, gli alunni, i genitori/accompagnatori e i
partner nella comunità, il sistema si basa su un constante monitoraggio e
valutazione di come varia il contesto dei ragazzi53.

Vi è da sottolineare, come nonostante gli sforzi, non esiste, ancora tutt'ora, una
strategia univoca e universalmente riconosciuta volta a contrastare in modo
definitivo il fenomeno.

53 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano 2013.
3.5.1 Un approccio scolastico

Ciò comporta il coinvolgimento dell'intera comunità scolastica, ovvero studenti,


insegnanti, mentori di apprendimento, personale di sostegno scolastico, responsabili
amministrativi, i genitori/tutori, e si basa sullo sviluppo di espliciti valori condivisi,
credenze e atteggiamenti che inibiscono il bullismo. Un ambiente sicuro si basa su
questi valori e si basa sullo sviluppo di una serie di strategie che affrontano il
bullismo in termini di prevenzione e di risposta, e fornisce il quadro per eventuali
interventi anti-bullismo.
L'importanza che tutti nella comunità scolastica debbano essere coinvolti e debbano
possedere la piena conoscenza della politica d'azione prevista è sottolineato dalla
ricerca condotta da Young Voice, che ha riscontrato, che molti alunni non erano a
conoscenza che la loro scuola ha avuto una politica anti bullismo.

Gli esperti raccomandano la definizione di una politica che coinvolga tutta la scuola
con un approccio in quattro fasi: la consapevolezza e la consultazione;
l'implementazione; il monitoraggio; e la valutazione. Grazie alla collaborazione di
queste fasi si dovrebbe garantire che non solo che è in atto una certa politica, ma
che sia efficace.
La politica dovrebbe mirare a:

• assicurarsi che l'intera comunità scolastica capisca che cosa si intende per
bullismo;
• mettere in chiaro che qualsiasi forma di bullismo non sarà tollerata;

• creare una cultura e un sistema che permetta ai bambini di segnalare gli


incidenti di bullismo senza che questo voglia dire esporsi pubblicamente alle
contro - reazioni del bullo accusato;
• garantire che tutti gli incidenti e le accuse sia prese sul serio, ma che non
portino ad immediate ritorsioni verso l'accusato, ma ad indagini e a
comportamenti di analisi della situazione o dell'episodio;
• fornire una procedura di registrazione approfondito e sistematico per gli
incidenti, in modo che la loro natura, la prevalenza, le indagini e l'esito possono
informare in modo affidabile revisione e valutazione della politica;
• facilitare la partecipazione a sostegno tra pari per coloro che sono coinvolti in
episodi di bullismo;
• fornire un approccio curricolare al bullismo54.

54 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano 2013.
3.5.2 Approcci curriculari

Il programma scolastico può essere utilizzato per affrontare le questioni connesse


con il bullismo e per costruire una cultura della scuola di sostegno.

Può essere uno strumento per abilitare e responsabilizzare gli studenti ad acquisire
e mantenere le competenze sociali che permetteranno loro di gestire in modo
costruttivo i loro rapporti con gli altri e dotarli di quel bagaglio di esperienze tali da
poter rispondere al bullismo in forma adeguata, e, se necessario, modo assertivo.
Questo approccio al bullismo ha il vantaggio di garantire che la questione è
introdotta progressivamente nella vita dello studente e non viene trattata come una
lezione "una tantum55".

55 Dan Olweus, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti editore, Milano, 2001
Esso consente agli alunni di fare uso di stili di apprendimento preferiti e appropriati
e possono includere l'uso di: letteratura, materiale audiovisivo, teatro, musica,
dibattiti e visitatori esterni.

Molti esperti, compreso il MIUR italiano, sottolineano che se si usa questo approccio
con alunni con bisogni educativi speciali, la cura deve essere presa per includerli nel
lavoro curriculum in modo adeguato per le loro esigenze individuali56.

56 Ibidem
3.5.3 II supporto tra pari

Il supporto tra pari copre una gamma di approcci pianificati e strutturati al bullismo
che mirano a utilizzare le conoscenze, le competenze e l'esperienza dei bambini e
dei giovani a capire, supportare, informare, aiutare e sviluppare le competenze,
l'autostima e la fiducia dei loro pari. L'evidenza conferma che il sostegno tra pari
offre un contributo significativo alla riduzione del bullismo. Servono a giustificare
una politica anti bullismo nelle scuole, che permette ai bambini di rifiutare
comportamenti di bullismo, di assumersi la responsabilità per sè stessi e gli altri
all'interno della comunità scolastica, per sviluppare la loro capacità di entrare in
empatia e connettersi con gli altri e di contribuire alla sicurezza e a benessere dei i
loro coetanei.
È richiesto un elevato livello di impegno alla scuola e agli insegnanti per garantire la
sua efficacia, i bambini o in generale gli alunni dovrebbero essere formati dagli
insegnanti per svolgere questo compito, in quanto, la pratica empirica ha dimostrato
che se lasciati senza una ferma guida gli alunni sviluppano comportamenti che sono
esattamente all'opposto di quanto sperato. Il sostegno reciproco non dovrebbe
essere visto come un sostituto al coinvolgimento degli adulti nelle strategie anti-
bullismo e dovrebbe essere usato come un approccio di supporto agli altri. Termini
diversi sono stati adottati per descrivere i diversi approcci di sostegno tra pari con
maggiore precisione57.

57 Dan Olweus, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti editore, Milano, 2001
• L'educazione tra pari: Spinge gli alunni a condividere le loro conoscenze,
competenze ed esperienze individualmente e in gruppo. Utilizzato per
promuovere la comprensione e la conoscenza delle abilità di vita, può essere
utilizzato per contribuire a sostenere un allievo che è stato vittima di
bullismo.
Il processo porta benefici anche agli educatori, in termini di sviluppo
personale.
• Ascolto tra pari: Dà accesso agli alunni di potersi rivolgere ad un soggetto
amico ed empatico e permette la condivisione di problemi. Può essere
particolarmente efficace in situazioni di bullismo in cui vi è riluttanza a
condividere le preoccupazioni con un adulto a causa di timori di non essere
presi sul serio, o di coinvolgimento degli adulti facendo peggiorare le cose58.

58 Dan Olweus, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti editore, Milano, 2001
• Peer befriending: Funge da spinta per i bambini e i giovani a costruire e
raffinare delle competenze che aiutano a risolvere stati di tensione attraverso
l'interazione di tutti i giorni con gli amici e la famiglia. Può basarsi su semplici
chiacchierate informali (quando l'approccio si sovrappone con l'ascolto tra
pari), ma può essere anche e più semplicemente scritto, e può coinvolgere
solo due soggetti, ma anche più soggetti, aventi età, sesso e cultura diversa,
ma accumunati dalla vicinanza al medesimo problema.
• Peer mentoring: implica una relazione di sostegno fra due allievi: l'allievo e il
mentore. È comunemente usato come prevenzione, piuttosto che, come
strategia reattiva e permette al mentore di assumere un impegno personale
attivo nella azione di guida, con consigli e incoraggiamenti. Viene utilizzato
per sostenere un allievo in un momento difficile, ad esempio come quando si
ci si trasferisce presso una nuova scuola, o dopo un lutto, ma può anche
essere utilizzato per sostenere quegli allievi che possono essere stati
identificati come vulnerabili al bullismo.
• Mediazione tra pari: i mediatori tra pari sono soggetti addestrati a risolvere i
problemi tra gli studenti incoraggiandoli a: definire il problema; individuare e
concordare questioni chiave; discutere e giungere a una soluzione; a
negoziare un accordo scritto firmato da tutti i partecipanti.
Questo approccio di solito adotta in una visione che sottolinea l'importanza di
riconoscere comportamenti bullismo.
• Peer advocacy: si basa sul concetto di trattare i bambini e i giovani in modo
consapevole e maturo, per identificare i punti di loro punti di vista e le
preoccupazioni che li tormentano (che possono includere il bullismo) e
parlare a loro nome. Nelle scuole , questo può essere fatto attraverso il
consiglio di istituto59.

59 N. Iannaccone, Né vittime, né prepotenti. Una proposta didattica di contrasto al bullismo, la meridiana, Roma, 2007.
• Lavorare con passanti: Questo nome cosi particolare, derivante da diversi
studi britannici, indica l'importanza di coinvolgere la folla o per meglio dire,
un vasto pubblico. In base a questo studio, il bullismo vive e si alimenta del
gruppo, il quale lo protegge e lo fomenta, quindi, secondo quest'approccio
metodologico, il gruppo deve essere la risposta, ovvero creare un gruppo che
vada a contrastare le idee discriminatore e vessatorie tipiche del bullismo60.

60 Dan Olweus, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti editore, Milano, 2001.
3.5.3 II lavoro in circolo

La circolarità è utilizzata in molte scuole, con diverse tipologie di gruppi, per


affrontare temi positivi e questioni di interesse. Nel corso 20-30 minuti, l'insegnante
facilita un ambiente sicuro e positivo per gli alunni, che a turno (se vogliono) posso
parlare di un argomento o di un problema specifico, come ad esempio il bullismo. I
partecipanti sono invitati ad ascoltare gli uni gli altri con attenzione e poi discutere le
questioni in modo da risolvere i problemi. Il cosiddetto circle time può essere
utilizzato per aumentare la consapevolezza e la comprensione del bullismo e per
discutere modi di trattare con esso.
L'approccio, con il passare degli incontri, migliora sia come ascolto e sia come
capacità di comunicazione, da la possibilità agli studenti a turno, di prendere in
considerazione i sentimenti degli altri, e permette loro di esplorare le proprie e altrui
emozioni su questioni difficili e aumenta la loro fiducia e autostima, il che facilità la
possibilità di trovano le soluzioni migliori.
Circles of friends

Fino a poco tempo questa tecnica è stata utilizzata principalmente dalle scuole
primarie. La ricerca indica che può anche rivelarsi una strategia efficace contro il
bullismo nelle scuole secondarie. Conosciuto anche come "circoli di sostegno",
l'approccio fornisce sostegno emotivo agli alunni vulnerabili che possono sentirsi
isolati e rifiutati dai loro coetanei.
Gli studenti sono formati a fare amicizia e sostenersi a vicenda; inoltre, non giova
solo agli allievi identificati come vulnerabili al bullismo, ma anche, e de questo il suo
grande punto di forza, è che supporta anche chi non subisce episodi di bullismo, ma
si sente isolato e si respinto. Con l'accordo del bambino che è vittima di bullismo, la
classe si riunisce, l'insegnante supervisione ed incoraggia la classe a parlare al
bambino vittima di abusi e vessazioni in modo positivo e dire come si sentirebbero
se fossero isolati o se stessi esclusi. Un piccolo gruppo di studenti volontari si
inserisce nella cerchia degli amici del bambino, e si pone come supporto, anche
esterno alla classe, alla vita e alle dinamiche sociali del compagno.
La tecnica insegna ai bambini e ai giovani ad entrare in empatia con i coetanei che si
sentono socialmente esclusi e ad osservare come questo potrebbe essere stato
collegato al proprio comportamento. Oltre a beneficiare la persona per la quale la
cerchia di amici è stato istituito, fornisce a tutti i partecipanti un modo creativo di
formare relazioni positive con i loro coetanei. Questo è importante, in quanto vi
sono prove estremamente valide che sostengono che i bambini e i giovani con molti
amici hanno minor rischio di essere vittime di bullismo61.

61 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano 2013.
Support group approach

Sviluppato da Barbara Maines e George Robinson, questo è un non-punitiva,


problem-solving basato sulla convinzione che punire i bulli non pone fini al bullismo.
Si sottolinea che è comportamento da bullo deve essere censurato, piuttosto che la
persona che fa il bullo, in quanto l'obiettivo non è quello di punire, ma di
smantellare le radici del bullismo in quella persona. L'approccio prevede la creazione
di un piccolo gruppo di supporto che contiene i responsabili del bullismo e gli
astanti.
Ha lo scopo di farsi che tutti i membri del gruppo si assumano le loro responsabilità
per il loro comportamento adottato e le sue conseguenze, alfine di creare un
impegno comune volto alla realizzazione azione univoca che si tradurrà in
smantellamento della cause del fenomeno62.

Inizialmente, l'insegnante parla con la vittima di bullismo per scoprire qual è il


problema e come ci si sente dopo aver subito certi atti; in un secondo momento
convoca un gruppo che contiene il bambino che sta facendo il bullo e gli astanti e
chiede loro di ascoltare e commentare ciò che l'alunno vittima delle loro azioni sente
e prova.

62 Dan Olweus, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti editore, Milano, 2001.
L'insegnate chiede se tutti loro, come gruppo, si assumerà la responsabilità per il
problema, decide come trattare con esso e procede a prendere gli opportuni
provvedimenti. Una volta che si è deciso ciò che è meglio fare contro questi
atteggiamenti, il gruppo decide di assumersi la responsabilità di agire per limare le
cause del problema. L'insegnante incontra i singoli membri del gruppo in seguito per
monitorare i progressi. (Va sottolineato che questo approccio è molto controverso,
soprattutto i genitori dei bambini, sia essi vittime o carnefici, hanno ritenuto
quest'approccio oltremodo umiliante e deleterio per i loro figli. Tuttavia se usato
correttamente, il bullo viene aiutato a vedere l'impatto del suo comportamento e
spinto a cambiare.
Questo approccio è stato ampiamente utilizzato in diversi paesi, ma è importante se
si utilizza, ad usarlo correttamente e non in una qualche forma diluita che è stata
una delle cause della controversia. Recentemente una valutazione è stata intrapresa
dal professor Peter Smith che ha trovato che il lavoro era stato effettuato utilizzando
forme diluite di questo approccio, per meglio dire, si sono scelte forme intermedie
di tecniche, che hanno portato al peggioramento della situazione e all'insorgere di
numerosi contrasti, attualmente questa metodica è quasi del tutto inutilizzata in
Italia63).

63 Dan Olweus, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti editore, Milano, 2001.
Shared concern (Pikas approach)

Spesso paragonato l'approccio "nessuna colpa", questo è un approccio non punitivo


basato sulla consulenza. Questo approccio si basa non sul tentativo di creare
relazioni stabili tra il bullo e la sua vittima, ma parte dal presupposto che dopo il
verificarsi di tali atti, lo stato d'animo tra i ragazzi protagonisti di un episodio di
bullismo è cosi compromesso che sarà impossibile creare un rapporto di amicizia tra
di loro; per tale motivo si punterà a creare una serie di regole che garantiranno la
convivenza tra i soggetti, cercando ti tenerli il più distanziati possibile.
Un insegnante utilizza uno script strutturato per parlare a ciascuno degli allievi che
sono coinvolti, con l'obiettivo di raggiungere un accordo che possa portare alla
conclusione della vicenda, e che ciascun alunno deve accettare di fare uno sforzo per
cercare di contribuire a migliorare la situazione. Questi incontri sono seguiti da un
colloquio di appoggio tra il maestro e gli allievi. Nei casi in cui il comportamento
dell'alunno vittima potrebbe essere stato visto come una provocazione - irritando
altri alunni, o per non essere in grado di gestire il disaccordo o di conflitto -
l'insegnante avrà lo scopo di incoraggiare questo studente nel modificare il suo
approccio con i compagni e deve fargli capire che si dovrà sforzare nel modificare il
suo comportamento.
Incontri individuali periodici sono tenuti per valutare i progressi compiuti e, infine, si
tiene un incontro con tutti gli alunni, con l'obiettivo di raggiungere un accordo
pubblico sul comportamento ragionevole e civile da tenere nel lungo termine.
Circoli di qualità

L'approccio è preso in prestito dal settore delle risorse umane in seno alla disciplina
della gestione aziendale, i Circoli di Qualità sono strutturati per introdurre i
dipendenti alla gestione partecipativa. In breve, si tratta di creare un gruppo di
alunni per identificare, assegnare priorità e discutere problemi come il bullismo e
per sviluppare soluzioni.
Il processo prevede cinque fasi:

• identificare e dare priorità al problema: i membri devono identificare tutti i

problemi che hanno incontrato e decidere quale affrontare per primo.


• analisi del problema: gli studenti parlano delle possibili cause del problema e
raccolgono informazioni per stabilire la sua estensione. Questo può essere fatto
in diversi modi, come ad esempio con un sondaggio, interviste agli alunni che
sono stati vittime di bullismo.
• sviluppare la soluzione: gli alunni, dopo l'identificazione di un punto di partenza
per l'azione, si dedicano alla formulazione di un piano metodologico di azione
anti bullismo.
• presentare le soluzioni di gestione della scuola: proporre ad insegnanti, dirigenti

scolastici, ed esperti, le azioni che ritengono necessarie che la scuola ponga in


essere.
• revisione della soluzione: se si è d'accordo per implementare la soluzione, la sua

efficacia viene valutata dalla direzione della scuola e dai risultati64.

Per essere efficace in un ambiente scolastico, è essenziale che questo approccio


abbia il sostegno e l'impegno della comunità scolastica, che deve essere pronta a
condividere il potere e il processo decisionale con gli alunni.

64 Dan Olweus, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti editore, Milano, 2001.
Gruppi di formazione assertività

Questo approccio mira a modificare il comportamento degli allievi che sono o sono
state vittime di bullismo e di aiutarli a utilizzare il linguaggio verbale e non verbale in
modo che scoraggia gli eventuali aggressori. Lavorare individualmente o in modo
informale in un gruppo (che non dovrebbe contenere altre vittima di bullismo o dei
bulli, o comunque soggetti particolarmente aggressivi) , gli studenti imparano come
rispondere al bullismo in modo calmo, controllato, assertivo e sicuro65.

65 AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli editore, Milano 2013.
Questo può includere imparare a:

• fare affermazioni assertive;


• evitare l'uso di minacce o comportamenti
manipolatori;
• accordo con insulti;
• fuga dalla contenzioso fisica;
• ottenere aiuto dagli astanti;
• aumentare l'autostima;
• tranquillità emotiva;
APPENDICE 1

RIPORTIAMO IN APPENDICE LE INDICAZIONI MINISTERIALI DIVULGATE DAL MIUR


PER CONTRASTARE I FENOMENI DI BULLISMO:
Bibliografia

• AA. VV., Bullismo e dintorni. Le relazioni disagiate nella scuola, Franco Angeli
editore, Milano, 2011;
• AAVV, La scuola e le sue idee, Ferraro Editore, Napoli, 1987;
• S. Castorina, Fantasie di bullismo. I racconti di bulli e vittime al test proiettivo
dell'abuso infantile, Franco Angeli editore, Milano, 2006.
• E. G. Cohen, Organizzare i gruppi cooperativi. Ruoli, funzioni, attività - Ed.
Erickson, 1999;
• Dan Olweus, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono,
Giunti editore, Milano, 2012;
• N. Dell'Aquila, Manuale per il concorso della Scuola materna - Ed. Giunti,
Napoli, 1998;
• A. De Bernardo, la scuola e la sue metodiche, Mursia Editore, Milano, 2010;
• L. Dozza, Il lavoro di gruppo tra relazione e conoscenza - La Nuova Italia, 1993
• L. Lehnus, Incontri con la filologia del passato, Dedalo Editore, Roma, 2012;
• G. P. Quaglino , S. Casagrande, A. Castellano, Gruppo di lavoro, lavoro di gruppo,
Raffaello Cartina Editore, Roma, 2013;
• D. Niccoloa, Gruppi e formazione, Mursia Editore, Milano, 2007

• R. Renzi, M. A. Zanetti, Il fenomeno del bullismo - Tra prevenzione ed


educazione, Edizioni Ma.Gi, Roma, 2009;
• G. Speltini, A. Palmonari, I gruppi sociali - Il Mulino, 1998;
Sitografia

• www.elledici.org

www.scuolavicospinea.it/documenti/Cyberbullismo%20Piemonte.pdf
• www.treccani.it
• www.urp.it

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