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BUGIE, FINZIONI, SOTTERFUGI. PER UNA SCIENZA DELL’INGANNO – POGGI

1 – UN MODELLO DELLA MENTE E DEL COMPORTAMENTO

SOCIALE SCOPI

La nozione d’inganno come meccanismo sociale ha senso solo rispetto ad organismi che abbiano
“conoscenze” sul mondo (percezioni, credenze, inferenze) e i cui comportamenti siano finalistici e siano
basati su tali conoscenze

vi sono sistemi (detti scopistici), siano essi un organismo vivente, un robot autonomo ecc., la cui attività è
regolata da scopi;

uno scopo è uno stato regolatore che può essere identico o diverso da uno stato del mondo attuale, cioè
effettivamente percepito dal sistema stesso in un dato momento: quando c’è discrepanza tra stato
percepito e stato regolatore, il sistema si mette in azione per ridurla o annullarla, quando invece non c’è, il
sistema è in quiete

la possibilità che un organismo raggiunga i suoi scopi dipende dalle condizioni del mondo, dalle risorse
che l’organismo ha a disposizione e dalle azioni che compie;

un organismo, se in certi casi può raggiungere il suo scopo con una sola azione, in altri deve prima creare le
condizioni e procacciare le risorse necessarie al suo raggiungimento: questo porta alla progettazione di un
piano, ossia una gerarchia di scopi da realizzare con un certo numero di azioni;

le varie azioni che compongono un piano possono essere raggruppate in sottopiani, ciascuno dei quali
serve per realizzare uno dei sottoscopi della meta

nella pianificazione il sistema a volte può avere più alternative, e quindi trovarsi in una situazione di
scelta:

per scegliere tra due o più scopi (o sottoscopi) quale perseguire, il sistema fa un bilancio fra scopi (bs)
confrontando i coefficienti di valore (cv) degli scopi in questione, cioè la loro relativa importanza per il
sistema, che dipende dalla somma algebrica dei loro costi e beneficipossiamo classificare i diversi tipi di
scopi in base ad alcuni criteri:

1) una prima differenza è la rappresentazione dello scopo o meno all’interno del sistema: sono
pseudoscopi gli scopi non esplicitamente rappresentati all’interno del sistema, e possono essere di 2 tipi,
scopi esterni, cioè scopi non rappresentati all’interno di un sistema (o non rappresentati affatto) che
tuttavia determinano le caratteristiche e le azioni del sistema stesso (come le funzioni biologiche per gli
individui, o l’uso, la destinazione e la funzione di un oggetto; P.S.: gli scopi di un oggetto sono
necessariamente esterni ad esso), e metascopi, i quali sono più che altro principi costruttivi del sistema
stesso, scopi che stabiliscono il modo più conveniente ed efficace in cui il sistema può perseguire i propri
scopi;
2) una seconda importante distinzione si fa a livello gerarchico, qui distinguiamo tra scopi strumentali, cioè
perseguiti in vista di qualche sovrascopo, e terminali, cioè quelli oltre i quali non è possibile individuare
scopi ulteriori e verso cui convergono tutti i piani (un tipo di scopi spesso terinali sono quelli epistemici,
cioè quelli miranti all’acquisizione delle consocenze);

3) l’ultima importante distinzione riguarda la fase di processamento degli scopi da parte del sistema, e
qui distinguiamo tra scopi attivi, cioè quelli esaminati dal sistema nel suo apparato decisionale, quindi
quelli che rientrano nel bs (bilancio tra scopi), e inattivi quelli che non vi rientrano

CONOSCENZE E RAPPRESENTAZIONI

Fra le risorse di cui un sistema ha bisogno per progettare e mettere in atto le azioni utili ai suoi scopi vi
sono le conoscenze

le conoscenze e gli scopi di un sistema possono essere rappresentate al suo interno; chiamiamo
cognitivo un sistema agente che basa e regola le sue azioni sulle sue conoscenze e su rappresentazioni
interne esplicite dei suoi scopi: questo tipo di sistema agente è in grado di elaborare creativamente i propri
scopi (rappresentazioni mentali di ciò che vuole raggiungere), di scegliere tra le alternative che si
rappresenta, e di risolvere i problemi mentalmente (lavorando cioè sulle rappresentazioni del mondo); le
conoscenze e gli scopi possono però essere rappresentate in almeno 2 modi:

in un formato percettivo-motorio, come nelle immagini mentali, e in un formato concettuale o


proposizionale, come nel significato linguistico; chiameremo sistemi cognitivi mentali quei sistemi capaci
di autoregolazione in cui conoscenze e scopi sono rappresentati in ambo i formati, mentre non
chiameremo “mentali” quelli che dispongono solo del formato percettivo-motorio (citati prima);
chiameremo invece mente in senso pieno il sistema cognitivo di un uomo o di un computer in cui scopi e
conoscenze hanno rappresentazioni di formato proposizionale; tuttavia, un sistema mentale come quello
umano ha un’altra importante proprietà, è capace di riflessione, ha dunque rappresentazioni sulla sua
stessa mente e sulle sue rappresentazioni: questa capacità di meta-rappresentazione, o meglio, di meta-
cognizione, sarà molto importante ai fini della teoria dell’inganno poiché mente solo chi ha una mentela
mente di un sistema è dotata di 4 meccanismi per acquisire, generare e manipolare conoscenze:

1) percezione; 2)comunicazione; 3)memoria; 4)inferenze

una volta acquisite dall’esterno o generate autonomamente, le conoscenze si organizzano in strutture


interconnesse, rappresentabili come reti o alberi; tale strutturazione delle conoscenze in reti permette un
controllo reciproco di esse, governato da una regola di compatibilità secondo cui in una stessa rete non
possono coesistere conoscenze incompatibili, cioè tali che dall’una sia inferibile l’opposto dell’altra

SOCIALITA’

Definiamo ora alcune nozioni sociali

possiamo definire il potere come il fatto che un sistema sia in grado di raggiungere i propri scopi; tale
possibilità di raggiungerli dipende da 2 ordini di fattori:

dal fatto che il sistema sia in grado di eseguire le azioni necessarie al raggiungimento dello scopo, e dal
fatto che siano soddisfatte le condizioni esterne per eseguire con successo quelle azioni;
le condizioni appena citate sono stati del mondo (per esempio la disponibilità di risorse naturali) che
permettono di compiere le azioni, tuttavia in alcuni casi questi stati del mondo non possono essere
determinati dalle nostre azioni (per esempio il tempo atmosferico) e ciò può causare una mancanza di
potere

diremo quindi che un sistema ha interesse nel soddisfare condizioni e compiere azioni necessarie al
raggiungimento del suo scopo tramite il potere; parliamo invece di dipendenza se ci riferiamo al rapporto
di causa-effetto che c’è tra una certa risorsa o stato del mondo e il raggiungimento di uno scopo

si parla di adozione quando un sistema agisce nell’intento di realizzare uno scopo di un altro sistema, e
questa adozione può avvenire per interesse, per collaborazione o per puro altruismo;

riguardo quest’ultimo, il dibattito sociobiologico (Dawkins-Wilson-Trivers) sostiene la presenza all’interno


dell’individuo stesso di due norme che regolano il suo comportamento: da un lato la norma dell’altruismo
parentale (favorire individui che condividono patrimonio genetico), dall’altro la norma dell’altruismo
reciproco (adottare lo scopo dell’altro quando non riesce a raggiungerlo da solo);

tuttavia, un’altra teoria (tratta da Trivers) sostiene l’esistenza del cheater, cioè l’individuo che non rispetta
le regole della collettività, sottraendosi alle due norme di altruismo

parliamo invece di aggressione quando un sistema ne danneggia volontariamente un altro per


raggiungere i suoi scopi

far sì che un altro sistema adotti un nostro scopo è un caso particolare dello scopo di influenzamento,
cioè aumentare o diminuire la probabilità che l’altro adotti i nostri scopi, modificando le sue conoscenze o i
suoi scopi;

in alcuni casi gli scopi di influenzamento sono determinati da scopi tutori: diremo che un sistema si pone
in un rapporto tutorio con un altro sistema quando adotta i suoi interessi (magari attraverso un consiglio
non interessato)

DALLA COGNIZIONE ALLA COMUNICAZIONE

Chi ha lo scopo di influenzare l’altro deve influenzare, come detto, le sue conoscenze, e un modo per
farlo è ovviamente la comunicazione; innanzitutto, distinguiamo 3 livelli di complessità per acquisire
conoscenze:

1) il modo più semplice, come già detto, è la percezione; csp (conoscenza dello stimolo percepito) =
(coincide con) ca (conoscenza assunta); tuttavia da csp posso anche tratte alcune inferenze, ma in
questi casi la conoscenza che assumo per inferenza non è esattamente coincidente con quella che ho
assunto dalla percezione;

2) il secondo modo è la significazione, cioè il rapporto tra csp (conoscenza dello stimolo percepito) e cs
(conoscenza significata); in questo caso la relazione tra le due conoscenze non è più opinabile perché
dalla conoscenza percepita si tende sempre a inferire necessariamente la conoscenza significata;

3) infine abbiamo la comunicazione, distinguibile in comunicazione in senso debole (ogni evento in cui
un organismo o sistema ha lo scopo di che un altro organismo o sistema venga ad assumere una certa
conoscenza cs, e a tale scopo produce uno stimolo percepibile sp che rimanda alla conoscenza cs), e
comunicazione in senso forte (definita da Grice e Strawson come quella comunicazione in cui non è
sufficiente lo scopo di comunicare all’altro, ma è necessario che tale scopo di comunicare sia a sua volta
comunicato)

COMUNICAZIONE LINGUISTICA

Nella comunicazione linguistica un sistema o organismo ha lo scopo di far avere conoscenze a un altro
sistema o organismo e lo persegue producendo un atto linguistico, cioè una sequenza di suoni o segni
grafici il cui significato è appunto lo scopo comunicativo del sistema che vuole fa avere conoscenze all’altro
sistema; il significato di una frase, o atto linguistico, è costituito da un contenuto performativo e uno
proposizionale (VEDI LIBRO LE PAROLE DEL CORPO)

2– L’INGANNO: TRA VERITA’ E PUNTI DI VISTA

L’INGANNO: DEBOLEZZA DELLA COGNIZIONE


QUESTIONE: Che rapporto c’è tra l’errore, l’ingannarsi e l’ingannare?

la nozione minimale di inganno, che chiamiamo ingannarsi, è l’errore: essa fa riferimento ad un solo
agente in relazione con il suo mondo o ambiente, sul quale deve avere una qualche forma di conoscenza;

possiamo dire che ci s’inganna quando si ha una conoscenza erronea o gravemente incompleta, cioè non
rispondente alla realtà;

anche se la nozione di ingannarsi fa riferimento a un solo agente, è una nozione nascostamente sociale
poiché l’errore richiede necessariamente il riferimento a un’altra mente, quella che possiede la verità, e
quindi richiede una relazione tra l’osservatore e l’errante:

O (l’osservatore) assume una conoscenza sul mondo cv che per definizione è una rappresentazione fedele e
adeguata del mondo, mentre I (l’ingannato) assume sullo stesso stato del mondo una conoscenza cf che è
una rappresentazione errata di esso; solo sulla base del confronto tra O e I possiamo dire che quest’ultimo
erra, s’ingannaTESI 1 : è l’ingannarsi, cioè la fallibilità, la debolezza cognitiva, il capostipite e
presupposto dell’ingannare

si parla invece di trarre in inganno o di inganno causale quando l’ingannarsi di I è causato da qualcosa
che non è regolato dallo scopo di ingannarsi di I (la causa dell’errore può risiedere per esempio in verte
caratteristiche dello stimolo da cui I ha ricavato la conoscenza incompleta o sbagliata)

 possiamo distinguere l’inganno causale dall’inganno finalistico in base al fatto che in quest’ultimo
interviene un nuovo agente M (mentitore) che lo scopo di ingannare I e agisce mirando a questo

LA DIFFERENZA TRA “DIRE IL FALSO” E “MENTIRE”

QUESTIONE: Ingannare significa far credere il falso? “inganno” è in opposizione con “vero”?
TESI 2: tra gli agenti cognitivi, perché ci sia (atto di) inganno non è necessario che M faccia
credere ad I qualcosa di oggettivamente falso, è sufficiente che ne abbia lo scopo, l’intenzione
INGANNO DELIBERATO O FUNZIONALE

QUESTIONE: Si può parlare d’inganno anche quando non c’è intenzione? Per esempio nel mondo
animale? E se sì, che differenza c’è tra inganno umano e inganno animale? la femmina del Photorius (una
specie di lucciole) attare il maschio di un’altra specie concorrente, il Photimus, imitando i segnali della
femmina Photimus, e quando il maschio le giunge a tiro lei lo divora: tuttavia, la maggioranza degli autori si
rifiutano di attribuire questo comportamento a d un atto di inganno intenzionale, e lo considerano un
prodotto della selezione naturale

TESI 3: anche in sistemi non-mentali o non-cognitivi esiste l’inganno finalistico, ma il loro scopo non è
rappresentato esplicitamente nel sistema, è solo una funzione adattiva (non vi è una rappresentazione
esplicita della conoscenza soggettiva, non vi è una verità soggettiva rispetto alla quale si intenda ingannare)

riprendendo il caso di sistemi cognitivi, in cui quindi sia gli scopi che le conoscenze sono rappresentati in
maniera esplicita, possiamo dire che qui l’inganno è caratterizzato da almeno 3 elementi:

a) lo scopo di ingannare è interno all’individuo e esplicitamente rappresentato;

b) vero e falso sono definibili in termini soggettivi da M;

c) M ha lo scopo di ingannare solo quando sa che vuole far credere a I diversamente da quanto lui crede;
si può dunque postulare che per agenti mentali è impossibile avere lo scopo di ingannare senza sapere di
avere lo scopo di ingannare, cioè senza esserne coscienti

RIASSUMENDO: possiamo avere inganni in agenti sia cognitivi che non cognitivi; nei primi si ha inganno
deliberato (o intenzionale), in cui lo scopo di ingannare è interno all’individuo ed esplicitamente
rappresentato, e il vero è ciò che l’agente crede tale (soggettivo); negli agenti non cognitivi (e in alcuni
agenti cognitivi non-mentali) l’inganno è funzionale, cioè regolato da finalità biologiche, e il vero è ciò che
oggettivamente risponde alla realtà

SINCERO E INSINCERO

Solo per menti cognitive si può parlare di sincero e insincero; è sincero chi non inganna (cioè non dà
conoscenze false o non nasconde conoscenze vere) sui contenuti della propria mente (i propri scopi,
assunzioni, emozioni e valutazioni), ossia colui che crede in quello che dice e dice ciò che crede; tuttavia, il
fatto che qualcuno sia sincero o insincero è indipendente dal fatto che, oggettivamente, dica il vero o il
falso: le due opposizioni si incrociano dando luogo a 4 possibilità:

1. 1)sincero e veridico;
2. 2)errore in buona fede (per chi è sincero);
3. 3)inganno vero accidentale;
4. 4)inganno falso deliberato (per chi è insincero); sbaglia dunque chi contrappone
semplicisticamente inganno e verità

3– L’INGANNO COME ATTO FINALISTICO


DEFINIZIONE DI INGANNO

Diamo ora una definizione molto generale di inganno, per poi analizzare uno per uno i punti di questa
definizione: un inganno è un atto di un organismo M che ha la finalità di non far avere a un organismo I una
conoscenza vera che per quell’organismo è rilevante, e che non rivela tale finalità

1)atto: tutto ciò che abbia un carattere finalistico, che sia volto ad uno scopo, può essere usato per
ingannare, in primo luogo le azioni o atti;

distinguiamo 4 tipi di atti ingannevoli dal senso più forte al più debole del termine:

a)atto linguistico (il cui caso esemplare è la menzogna);

b) atto comunicativo non linguistico (non solo la bugia è un inganno, può esserlo anche una finzione);

c) atto non comunicativo (per ingannare non c’è bisogno di comunicare);

d)omissione (addirittura è sufficiente non fare nulla, solo decidere di non

fare); oltre agli atti in sé, si possono considerare inganni:

a) oggetti prodotti dall’atto di inganno (come una porta disegnata sulla parete);

b) oggetti usati nell’atto di inganno (come le vesti che uso per travestirmi);

c) caratteristiche morfologiche di un organismo (come la colorazione assunta dal corpo del camaleonte
per mimetizzarsi)

2)finalità: anche l’aspetto finalistico dell’inganno può essere distinto dal senso più forte al senso più
debole del termine in 3 tipi di finalità:

a) intenzione cosciente (specialmente tra persone, chi inganna sa di voler di ingannare);

b) scopo inconscio (come quando per dimenticanza ometto di dirti una cosa per te importante,
perché inconsciamente voglio nascondertela);

3)funzione biologica (come l’inganno animale che nella maggior parte dei casi sembra esser determinato da
funzioni adattive)

3)non verità: sono 2 le strutture fondamentali dell’inganno: far credere il falso (far vedere quello che non
c’è) e non far sapere il vero (non far vedere quello che c’è)

4)rilevanza: un’altra condizione importante perché si possa parlare di inganno è che c’è inganno solo se
la conoscenza in questione è una conoscenza di cui I ha bisogno per i suoi scopi, e tale che il suo
comportamento sarebbe molto diverso se la possedesse

5)non rivelazione: perché vi sia inganno è necessario che l’intenzione di non far sapere il vero o far
credere il falso non sia esplicitata, dunque ogni inganno per essere tale implica un doppio inganno, un
meta-inganno (se voglio ingannarti devo necessariamente ingannarti sul mio scopo di ingannarti)
4 – L’INGANNO COME VIOLAZIONE DEI DIRITTI

L’INGANNO COME ATTO SOCIALE

AGGRESSIVO

L’inganno è un atto aggressivo in quanto mira a non far avere all’altro una conoscenza per lui rilevante, di
cui cioè ha bisogno per un suo scopo;

M, ingannando I viola una norma morale e sociale, il principio di cooperazione conoscitiva (Grice, che
noi abbiamo chiamato principio di adozione o di altruismo) che ci obbliga a fornire agli altri le
conoscenze in nostro possesso che sono per loro rilevanti; dunque:

c’è inganno quando c’è violazione del diritto dell’altro di sapere e dell’obbligo mio di far sapere

IL DIRITTO ALLA CONOSCENZA

L’esistenza di un diritto alla verità come diritto naturale è sostenuta fin da Hugo Grotius, per il quale la
falsità è inammissibile poiché è in conflitto con il diritto di un altro; tuttavia, per Grotius ci sono alcuni
casi in cui l’inganno è ammissibile o giustificato:

1) è consentito sire il falso ai bambini e ai folli o sciocchi perché non hanno libertà di giudizio;

2) è consentito ingannare una terza persona che ascolti, diversa dal destinatario del nostro
messaggio, giacché con essa non si assume alcun impegno e non c’è obbligazione;

3) è consentito ingannare per scopi tutori, cioè “a fin di bene”;

4) è consentito ingannare chi vuole essere ingannato, consente e quindi rinuncia al suo diritto;

questo libro non condivide pienamente la posizione di Grotius; ripercorriamo punto per punto ciò
che egli ha espresso:

1) il non dire il vero, e quindi l’inganno, ai bambini o ai folli, pur se inganno meno grave e in parte
giustificabile, è pur sempre inganno; l’unico caso in cui mentire a un bambino può non essere considerato
inganno è quando gli si danno informazioni non aderenti al vero perché quelle vere non le potrebbe
capire (come quando gli si dice che piove perché le nuvole si urtano);

2) anche nel caso di una terza persona che ascolta si tratta di un inganno meno grave e giustificato, ma
pur sempre di un inganno; nel caso in cui questo “terzo” può è semplicemente un astante non ratificato,
che assiste senza volerlo a un colloquio, può essere giustificato da scopi di segretezza o discrezione, nel
caso invece in cui sia un qualcuno che origlia, l’inganno può essere considerato una giusta ritorsione sulla
sua indebita pretesa di sapere, ma in entrambi i casi si parlerà comunque di inganno;

3) anche l’inganno “a fin di bene” è pur sempre inganno;

4) rimane solo il caso in cui “l’altro” consente l’inganno; possiamo avere due situazioni:

a) nel caso di un inganno consensuale (come per esempio il trucco delle donne, di cui gli uomini
sono consapevoli e acconsentono), è sì consensuale, ma comunque inganno;
b) nel caso di una recitazione, gli attori sono complici nell’inscenate una scena che loro sanno essere
falsa, dunque non si può parlare di inganno

5 – INGANNO E SEGRETO

DIFFERENZA TRA SEGRETO E INGANNO

QUESTIONE: Qual è la differenza tra segreto e inganno?

Se annoveriamo l’omissione, cioè il non dire, fra i casi di inganno ogni volta M non dice a I una cosa per
lui rilevante sorge il problema di determinare se lo stia ingannando o stia mantenendo un segreto;

ci sono 3 modi di mantenere un segreto:

1) inganno attivo, attuato attraverso occultamento e/o falsificazione (nascondere la conoscenza


da mantenere segreta e/o fornirne una falsa al suo posto);

2) esplicita dichiarazione che non si intende rivelare (“non te lo posso dire, è un

segreto”); 3)omissione totale della conoscenza e dell’intenzione di nascondere

TESI: un segreto è una conoscenza che ho lo scopo di non far sapere a un altro in quanto sono o mi sento
in diritto (o addirittura in dovere) di non fargliela sapere (è proprio questo elemento del “sentirsi in diritto
di non dire” che distingue il segreto dal semplice non voler dire, e lo contrappone all’inganno)

dunque le definizioni di segreto e inganno sembrano complementari:

se per M è un segreto ciò che lui ha diritto a non rivelare, per I è inganno ciò che M non gli rivela e che lui
ha diritto di sapere; a giudicare da queste assunzioni, la distinzione tra inganno e segreto sembrerebbe solo
una questione di punti di vista, e in alcuni casi è proprio così

oltre a questo conflitto tra il diritto mio di tacere e il diritto dell’altro di sapere, nel mantenere un
segreto, chi lo dove mantenere, sembra sempre essere in conflitto con se stesso, una sorta di conflitto
psicologico interno;

ma da dove deriva questo peso del segreto?

Forse proprio dalla pulsione a condividere implementata dalla norma dell’altruismo reciproco delle
conoscenze

TITOLI AL SEGRETO

QUESTIONE: Quali conoscenze si ha il diritto di mantenere segrete?

ecco i 3 casi per cui sembra valere il diritto naturale a non rivelare:

1) conoscenze riguardanti la privacy di un individuo, cioè la sua sfera intima intesa in senso fisico o affettivo;

2) conoscenze riguardanti il diritto di difesa, cioè che, se rivelate, possono ledere l’individuo o portarlo
a una punizione;
3) conoscenze che si ha il dovere di non rivelare, cioè quando bisogna mantenere il principio di discrezione,
intesa come il fatto di non cercare di sapere e di non far sapere conoscenze riguardanti la sfera intima di
altri

6 – INGANNO E

COMUNICAZIONE INGANNO E

COMUNICAZIONE

QUESTIONE: L’inganno richiede necessariamente la comunicazione?

la risposta è facilmente intuibile già da quando abbiamo chiarito il concetto di omissione, ma ci sono altri
casi in cui in un inganno non è richiesta comunicazione:

1) si può ingannare l’altro facendo in modo che sappia qualcosa di non vero, quindi un far credere/sapere
che non necessariamente impone l’uso della comunicazione (per esempio se vogliamo far credere/sapere
a qualcuno che piova possiamo salire sul tetto e far cadere dell’acqua davanti la finestra);

2) lasciar credere, caso tipico dell’omissione, si ha quando non si fa nulla per far sapere a un altro che
la conoscenza che egli ha assunto come vera in realtà è falsa;

3) si può ingannare anche facendo in modo che un altro non venga a sapere una conoscenza che
noi sappiamo essere vera, quindi un far non sapere, senza comunicazione;

4) infine, si può ingannare non facendo nulla per far credere a un altro una conoscenza vera, e lasciare
che non creda/sappia quella conoscenza vera, quindi un lasciar non credere/sapere senza comunicazione

potremmo allora asserire che la base necessaria e sufficiente dell’inganno finalistico è la possibilità di
intervenire sul processo di acquisizione delle conoscenze dell’altro (sulla sua percezione, interpretazione o
inferenza), e che la comunicazione è solo un terreno d’inganno, privilegiato sì (nel caso specifico della
menzogna), ma non esclusivo

TESI: la comunicazione è condizione sufficiente ma non necessaria perché si possa ingannare

7 – PERCHE’ ESISTE

L’INGANNO? ASSIOMATICA

DELL’INGANNO

Presenteremo ora un’assiomatica dell’inganno, cioè una serie di principi generali dai quali discende
logicamente la possibilità dell’inganno, analizzando il punto di vista di due ipotetici organismi A, che ha le
conoscenze e le trasmette a B

Punto di vista di AQUESTIONE:

A che serve l’inganno? 1)per ogni organismo è vitale raggiungere i suoi scopi;
2) le conoscenze influiscono sul comportamento (se così non fosse, cioè se conoscenze non
determinassero azioni, l’inganno sarebbe senza costrutto, senza senso);
3) ogni organismo può determinare le conoscenze di un altro, e questo può avvenire in 2

modi: l’organismo può essere o costruire l’input;

4) un organismo può dipendere da un altro, e questa dipendenza può essere di 2 tipi: dipendenza
negativa (evitamento) o positiva (raggiungimento);

5) un organismo può avere lo scopo di influenzare un altro

organismo; 6)un organismo può avere lo scopo di influenzare un

altro organismo;

7) la capacità di influenzare le conoscenze degli altri può essere utile per influenzare il loro comportamento

TESI: il fine principale dell’inganno è influenzare gli altri, cioè dar loro le conoscenze che li inducono a
perseguire gli scopi che vogliamo noi, e per fare ciò non fa alcuna differenza se le conoscenze che gli diamo
siano per noi vere o false

Punto di vista di B

la specificità dell’inganno consiste in 2 fatti:

a) B non farebbe ciò che fa (o farebbe ciò che non fa) se avesse altre conoscenze, e in particolare se
sapesse la verità;

b) per B non è indifferente se ciò che crede è vero o falso, poiché è suo interesse credere cose
vere; passiamo ora agli assiomi riguardanti il punto di vista di I:

8) per un organismo è utile avere conoscenze vere;

9) l’intersoggettività può essere garanzia di verità delle conoscenze (se tutti hanno avuto la medesima
percezione il fenomeno sarà percepito come reale, quindi il confronto intersoggettivo delle conoscenze
è garanzia di verità);

10) l’intersoggettività è fonte di aumento qualitativo delle conoscenze (ricevere dagli altri le
conoscenze vere per inostri scopi costituisce un grande vantaggio e un grande aumento di potere);

11) è utile la condivisione e lo scambio delle conoscenze (è utile alla collettività ed è prescritto
dalla socialità)

riguardo quest’ultimo assioma, ci sono 2 obiezioni comuni:

a) se le conoscenze sono una vera risorsa, non sarà piuttosto un vantaggio per A tenerle per sé e
non metterle in comune con B?

in generale, non c’è concorrenza su una conoscenza: una conoscenza non si consuma con l’uso, dunque il
fatto che A la condivida con B non impedisce ad A di poterla utilizzare; l’unico caso in cui ci può essere
concorrenza è quello in cui il raggiungimento dello scopo da parte di B può recare un danno ad A;

b) perché A dovrebbe perdere tempo e risorse per dare a B le conoscenze che gli mancano? La risposta
è proprio il prossimo assioma

12)vige sugli individui una norma di altruismo reciproco delle conoscenze


ora però proprio come avviene con l’altruismo reciproco in generale, esiste anche in questo caso
l’individuo che Trivers ha definito cheater, il quale non rispettare le regole della reciprocazione consiste
proprio nel non mettere in comune le proprie conoscenze, avvantaggiando così se stesso a danno degli
altri; arriviamo così al prossimo assioma

13)l’inganno è un atto aggressivo (quando un organismo inganna un altro organismo gli provoca un
danno)

CRITERI DELL’ALTRUISMO RECIPROCO DELLE CONOSCENZE

sono 2 i criteri che rendono più o meno forte il diritto dell’altro ad avere e il mio obbligo a dare
conoscenze, e di conseguenza rendono moralmente più grave la mia omissione:

1) più B ha bisogno di una conoscenza, più essa è vitale per lui, più B ha il diritto di averla e A il dovere
di fargliela avere: su A vige la norma dell’altruismo;

2) più B dipende solo/proprio da A per la conoscenza di cui ha bisogno, più A deve rivelargliela

DUE DEFAULT SPECULARI

Dalla norma di altruismo reciproco nella condivisione delle conoscenze derivano 2 regole di default cui si
attengono rispettivamente l’ascoltatore e il parlante nello scambio delle conoscenze:

1) regola del parlante: se non hai motivi particolari per ingannare, fai sapere il vero;

2) regola dell’ascoltatore: se non hai motivi particolari per diffidare del parlante, dato che lui si basa
sulla prima regola, credi;

ciò non vuol dire né che l’ascoltatore creda sempre o sia un credulone, né che il parlante non menta mai: le
norme sussistono anche se vengono violate

8 – L’INGANNO E LA NATURA DEL

LINGUAGGIO SE TUTTI INGANNASSERO

QUESTIONE: Se tutti ingannassero sempre, il linguaggio perderebbe senso?

l’ingannatore ha, nella nostra prospettiva, lo stesso ruolo che il cheater in una prospettiva sociobiologica:
se ce ne fossero troppi, il loro gioco non potrebbe funzionare, e funziona proprio perché il loro
comportamento è poco diffuso, poiché loro vivono proprio sul fatto che non lo fanno tutti;

tuttavia, il linguaggio può avere senso anche se usato in modo insincero, e si può mentire rispettando
perfettamente sia i significati dei termini che le regole della lingua (grammatica e lessico), le quali non sono
fatte per dire il vero né lo garantiscono;

l’inganno non costituisce uno stravolgimento della comunicazione, ma solo un altro modo per influenzare
gli altri; la menzogna non mette in crisi tanto il linguaggio e la comprensione, bensì mina la fiducia: la verità
è il fondamento della fiducia
TESI: se tutti mentissero il linguaggio sarebbe inutile, non efficace, perderebbe quindi la sua utilità, non il
suo senso

9 – LE LEGGI DELL’INGANNO
Formuliamo ora le leggi basiche dell’inganno, cioè i principi in base ai quali è prevedibile che un individuo
tenderà ad ingannare un altro

PERCHE’ SI INGANNA

QUESTIONE: Quando e per quali ragioni si decide di ingannare?

TESI: se A ha lo scopo di influenzare B, e per questo serve che B non abbia una conoscenza vera o ne
abbia una falsa, A tenderà ad ingannare Bin base ai principi del capitolo 7 possiamo formulare le
seguenti leggi per la generazione di scopi del dare conoscenze e dell’ingannare:

LEGGE 1: se la conoscenza C è una base o condizione per l’azione di B, e A ha lo scopo che B non compia
quell’azione, allora A ha lo scopo che B non creda C;

LEGGE 2: se la conoscenza C è una base o condizione per l’azione di B e A ha lo scopo che B compia
quell’azione, allora A ha lo scopo che B creda C;

LEGGE 3: se la conoscenza C è vera per A, e A non vuole farla sapere a B, allora A ha lo scopo di ingannare B
(privazione, cioè non far sapere il vero);

LEGGE 4: se la conoscenza C è falsa per A, e A vuole farla credere a B, allora A ha lo scopo di ingannare B
(deviazione, cioè far credere il falso);

LEGGE 5: se A crede che se qualcuno crede il falso o non sa il vero fallisce (cioè i suoi scopi sono
compromessi), e A ha lo scopo generale che B fallisca, allora A ha lo scopo che B fallisca

QUANDO SAPERE E’ UN MALE

Ci possono essere circostanze o scopi rispetto ai quali la conoscenza del vero è dannosa; colui che ci aiuta
non superficialmente non risponde solo alle nostre risorse o bisogni immediati, ma si cura anche dei nostri
bisogni a lungo termine, inespressi o ignorati da noi;

come già detto questo particolare tipo aiuto è detto rapporto tutorio; possiamo assumere dunque che i
due protagonisti dell’altruismo reciproco della conoscenza sono tra loro in un rapporto tutorio, che lo
scopo di aiutare un altro con le conoscenze che gli si danno o meno può entrare in conflitto con lo scopo
di fargli sapere il vero

10 – INGANNO E RELAZIONI

SOCIALI INGANNO AGLI AMICI E AI

NEMICI
 Per quanto riguarda l’altruismo e l’aiuto, e quindi gli inganni per scopi tutori, in quali casi la conoscenza
del vero è un male e quali sono le buone ragioni per non far sapere il vero? eccone alcune: 1)sofferenza;
2)interferenza emotiva e confusione; 3)distrazione (dell’altro rispetto ai suoi scopi); 4)cortesia e rispetto

al contrario, se trattiamo l’odio e l’aggressività, e quindi le verità per nuocere, i buoni motivi che
avevamo prima per nascondere il vero agli amici diventano buoni motivi per farlo sapere ai nemici:

1)vogliamo farlo soffrire;

2)vogliamo mandarlo in

confusione;

3)vogliamo corromperlo (distraendolo dai suoi scopi);

4)vogliamo offenderlo (mancandogli di rispetto)

INGANNO E POTERE

Non solo chi è sottomesso, ma anche chi ha il potere ha motivo di ricorrere all’inganno, proprio in
ragione della sua posizione e del rapporto di dominio; infatti, quando parliamo di dominio intendiamo il
potere di influenzamento, cioè del potere di far perseguire a una certa persona scopi che prima non
perseguiva; chi sta nella posizione di dominio può dunque ingannare in 2 modi:

per coercizione, cioè quando chi non ha potere adotta quegli scopi per limitare ulteriori danni e perché
glielo si impone, o per convinzione, cioè quando li adotta perché si è convinto che quegli scopi siano giusti e
collegati ai propri valori, e li perseguirebbe anche senza pressioni; di conseguenza possiamo assumere che
l’inganno è l’unico modo di influenzare attraverso la convinzione in tutti quei casi in cui gli scopi proposti
sono a tal punto contrari agli interessi di chi si vuole influenzare che, se egli lo capisse, gli si potrebbero
imporre solo con la coercizione (l’inganno è dunque l’alternativa “dolce” alla coercizione);

inoltre possiamo dire che il dominio basato sulla convinzione del dominato è di gran lunga preferibile al
dominio basato sulla mera forza (coercizione)

 ci sono altri casi di inganni possibili attraverso la posizione di potere:

1) si può fingere di non avere potere (come l’amico importante a cui chiedi una raccomandazione ma
dice di non avere potere per non sprecarlo in favori poco remunerativi);

2) si può fingere di usare potere (come quello stesso amico importante che elargisce una
blanda raccomandazione per non sprecare il suo potere);

3) e si può fingere di non voler usare il proprio potere (come un guanto di velluto che nasconde
un tirapugni)

INGANNO NEI RAPPORTI DI SCAMBIO

Analizziamo 3 situazione comuni di ingannevolezza durante uno scambio:

1) innanzitutto, nello scambio i due attori dipendono l’uno dall’altro, ma per scopi propri, non per scopi
comuni: essi sono interessati solo allo svolgersi dell’attività di scambio, ma questo è completamente
diverso da un rapporto di cooperazione in cui i due attori hanno una meta comune e ciascuno deve fare
la
sua parte; quindi assumiamo che nel rapporto di scambio gli attori razionali tendono a “fregarsi”, cioè ad
ingannare circa la propria reciprocazione;

2) il fatto che i due attori non abbiano una meta comune porta a un’altra conseguenza: perché mai, se
l’altro mi paga per una cosa che in realtà non gli serve, dovrei preoccuparmene o farglielo presente?
dunque nel rapporto di scambio gli attori razionali tendono a ingannarsi per omissione circa l’utilità
per l’altro di quanto l’altro vuole;

3) infine, si sa che in ogni scambio i due attori decidono di scambiare o meno in base alle proprie credenze
circa la vantaggiosità dello scambio, e la soluzione strategica ovvia per fare ciò è manipolare le
conoscenze dell’altro in modo tale che ritenga conveniente per lui uno scambio che non lo è affatto, o per
il quale avrebbe alternative migliori; dunque nel rapporto di scambio gli attori razionali tendono
necessariamente ad ingannarsi

VENDITORE E COMPRATORE

Analizziamo ora da vicino il rapporto tra venditore V e compratore CSTRATEGIE DEL VENDITORE: V
deve far credere a C:

1) che ha titolo per vendere (che il bene è suo e lui ne dispone);

2) che il bene che sta vendendo vale molto di più di quanto costa, e può farlo facendogli credere che la
quantità data sia superiore al vero (bilancia truccata, confezione gigante), o che le qualità del prodotto
sono migliori del vero;

3) che C non può avere a meno lo stesso bene, e può farlo facendogli credere che non ha
alternative vantaggiose, o che in nessun caso glielo darà a meno (“ultima offerta!”);

4) che C rischia di perdere quello che desidera o l’affareSTRATEGIE DEL

COMPRATORE: C deve convincere V:

1) che ha titolo per comprare;

2) che il pagamento che offre a V vale molto di più di quello che V gli dà, e può farlo facendogli credere che
la quantità data sia superiore al vero (le banconote piegate sembrano di più), che le qualità del pagamento
sono più numerose o migliori del vero (banconote false o monete “pregiate”), o che il bene offertogli da V
è meno di quanto V asserisce (svalutare la merce);

3) che rischia di perdere il cliente

ETICA DEL COMMERCIO

Quando due persone sono in un rapporto di commercio, una parte delle cose che tendono a nascondersi
non sono propriamente inganni, ma piuttosto segreti: se tu sapessi, se tu avessi conoscenza migliore,
potresti ottenere di più, ma a scapito mio, a mio danno;

ciò che tu ignori è che:

1) hai alternative migliori nel mercato, con altri agenti che offrirebbero più di me (eso-alternative);
2) hai alternative migliori su di me, in reaktà io sarei disposto a offrirti di più (endo-alternative); dunque
nella negoziazione, lasciare l’altro (a suo danno) nell’ignoranza di alternative migliori è un segreto e non
un inganno

nel suo lavoro “Il mercato dei bidoni” George Akerloff sostiene che nello scambio quasi mai entrambe le
parti possiedono le stesse informazioni sulla qualità del bene, e che spesso una delle due parti
(specialmente il venditore) è meglio informata dell’altra, ciò gli consente di operare in una condizione di
vantaggio che, se sfruttata, introduce disonestà, e quindi inganno

L’IMMAGINE NELL’INGANNO

Un’altra fondamentale matrice di inganni, oltre alle relazioni di potere e di scambio, è l’immagine;
quando A vuole fare in modo che B adotti un suo scopo, il rapporto che B ha con A dipende direttamente
dall’immagine che B ha di A, cioè dalle assunzioni e valutazioni di B sulle capacità di A di raggiungere scopi
propri e altrui; dunque la strada per la convinzione passa necessariamente per l’immagine, e se non è
l’immagine vera quella che si vuole mostrare, allora si tenderà di nuovo a ricorrere all’inganno

11 – CREDERE
COSA SIGNIFICA CREDERE

Ogni volta che un sistema deve assumere una conoscenza nuova deve verificarne la compatibilità con
conoscenze preesistenti; due conoscenze sono compatibili quando dall’una si può inferire l’altra, o dall’altra
si può inferire una stessa terza conoscenza;

nel sistema cognitivo degli agenti umani le conoscenze possono essere assunte con un diverso statuto
cognitivo; tale statuto cognitivo dipende da 2 fattori:

da un lato le conoscenze possono essere collocate in diversi contesti di assunzione (sono credute in odo
diverso a seconda che siano assunte come facenti parte del mondo della realtà, del sogno, della fantasia
ecc.), dall’altro possono essere assunte con diversi gradi di certezza (di alcune conoscenze sono certo, altre
sono probabili, altre sono solo dubbi ecc.);

il grado di certezza è la probabilità soggettiva che noi attribuiamo al fatto che una certa conoscenza sia
vera; credere significa dunque assumere una conoscenza come appartenente al contesto di
assunzione della realtà e assumerla con un alto grado di certezza

ora, il grado di certezza che attribuiamo a una certa conoscenza è determinato in parte dalla sua origine,
cioè dal modo in cui questa conoscenza ci è arrivata, e in parte dalla sua compatibilità con le conoscenze
preesistenti nel sistema cognitivo;

parleremo dunque di un grado di certezza originaria e di un grado di certezza da compatibilità

GRADO DI CERTEZZA ORIGINARIA

Il grado di certezza originaria di una conoscenza dipende dal tipo e dalla quantità delle sue fonti, e dalla
valutazione meta-cognitiva che la mente dà della loro affidabilità

questo assunto si articola in 3 principi: PRINCIPIO 1:


il grado di certezza delle conoscenze varia a seconda del tipo di fonte da cui derivano; infatti, le conoscenze
possono avere diverse origini (o fonti), per l’esattezza 5:

a) percezione (la conoscenza è acquisita dal mondo esterno attraverso i nostri sensi);

b) memoria (la conoscenza è rievocata dalla memoria a lungo termine in cui era stata
precedentemente immagazzinata);

c) inferenza (la conoscenza è ricavata da altre conoscenze mediante regole di inferenza);

d) assunzione di altri (conoscenza che, da evidenze esterne, capisco essere assunta da altri, come
quando vedo un uomo aprire l’ombrello e capisco che sta per piovere);

e) comunicazione da parte di altri (conoscenza comunicata da altri)

PRINCIPIO 2: quante più sono le fonti da cui deriva una certa conoscenza, tanto maggiore è il suo grado
di certezza; in poche parole, la concordanza tra più fonti empiriche indipendenti riduce la probabilità di
errore (uno dei criteri della ricerca scientifica, non a caso)

PRINCIPIO 3: il grado di certezza originario di una conoscenza dipende da una valutazione meta-cognitiva
dell’affidabilità delle sue fonti; del caso specifico in cui la conoscenza è stata assunta da altri, noi siamo
portati a valutare due aspetti di questa persona: la sua attendibilità, cioè le sue capacità di percezione,
ragionamento, comprensione della comunicazione e scelta di informatori a loro volta attendibili, e la sua
affidabilità, cioè il suo atteggiamento sociale nei miei confronti, i suoi scopi verso di me

è opportuno osservare ora che questi 3 principi possono avere alcuni effetti perversi: iniziamo dal
secondo principio, quello sulla quantità delle fonti, il quale può avere lo strano effetto di facilitare la
creazione di dicerie, pregiudizi sociali, superstizioni, ideologie, mitologie ecc., dunque il rischio è che il
sistema vada in corto circuito e costruisca un evidenza inesistente basata sulla mutua conferma; per quanto
riguarda invece i principi 1 e 3, il limite estremo della credibilità della fonte è l’ “Ipse dixit”, un’autorità
indiscutibile, una fonte depositaria della verità assoluta la quale qualsiasi cosa dica io ci credo, e questo può
sicuramente avere l’effetto perverso del tipo che, se sbagliasse lui, sbaglierebbe tutto il sistema

GRADO DI CERTEZZA DA COMPATIBILITA’

Come detto, se la conoscenza acquisita è compatibile con una conoscenza preesistente, questa
compatibilità fa aumentare il grado di certezza di entrambe, ma nel caso in cui le due conoscenze risultano
incompatibili, una delle due va eliminata, e sono 2 le strategie possibili per farlo:

a) ostracismo, cioè espellere la conoscenza dal contesto confinandola in un “mondo” cognitivo che
può essere per statuto contraddittorio con l’altro (“me lo sono sognato”);

b) eliminazione/negazione, cioè rigettare e ritenere falsa la conoscenza

per decidere quale delle due conoscenze rigettare il sistema si basa su criteri sia epistemici che
pragmatici:

riguardo ai primi, un criterio è ancora una volta il grado di certezza originario, mentre l’altro è l’importanza
epistemica, cioè il numero di conoscenze con cui la conoscenza in questione è collegata, che cioè la
supportano e da essa sono supportate(permettono di inferirla e sono inferibili da essa);
il rigetto di una conoscenza è infatti complicato dal fatto che si deve mantenere coerenza con le altre, e per
ridurre al minimo i cambiamenti conviene dunque rigettare la conoscenza che ha minore importanza
epistemica; postuliamo dunque i seguenti 2 principi riguardo ai criteri epistemici:

PRINCIPIO DI RESISTENZA 1 (o di CREDIBILITA’):

l’agente cognitivo avrà più resistenza a rigettare conoscenze più credibili, che hanno cioè un più alto grado
di certezza complessiva determinato sia dal grado di certezza originaria che dalla compatibilità col
sistema; PRINCIPIO DI RESISTENZA 2 (o di IMPORTANZA):

l’agente cognitivo avrà più resistenza a rigettare conoscenze più importanti, cioè che più ne supportano e
più sono supportate; riguardo ai criteri pragmatici abbiamo la rilevanza, cioè l’importanza della conoscenza
ai fini del perseguimento degli scopi dell’agente, e il gradimento, cioè, tra quelle rilevanti, le conoscenze
con alto grado di soddisfacimento per l’agente;

in base a tali criteri pragmatici postuliamo altri 2 principi:

PRINCIPIO DI RESISTENZA 3 (o di RILEVANZA): l’agente cognitivo preferisce rigettare le conoscenze più


irrilevanti, cioè non connesse con i suoi scopi;

PRINCIPIO DI RESISTENZA 4 (o di GRADIMENTO): l’agente cognitivo preferisce conservare le conoscenze


più gradite e rigettare quello sgradite

COME FAR CREDERE

Analizziamo alcuni strumenti utili per far sì che l’altro, quando vogliamo fargli credere una conoscenza,
gli attribuisca un alto grado di certezza:

1) un primo strumento per chi vuole far credere è fornire prove empiriche, cioè evidenze percettive;

2) un altro strumento per la credibilità è migliorare la valutazione sull’affidabilità della fonte, poiché un
presupposto essenziale nella maggior parte degli inganni, soprattutto nella menzogna, è il non-sospetto, la
credulità e la fiducia dell’ingannato; per questo chi dà certe informazioni deve mostrarsi sicuro delle cose
che dice, competente sull’argomento, e deve far capire che non ha interessi particolari a far credere
quella cosa;

3) un terzo strumento per aumentare la credibilità è fornire prove inferenziali, cioè altre conoscenze da
cui quella che si vuole far credere è facilmente inferibile;

4) infine, un ultimo strumento può essere quello di smantellare le conoscenze che nella mente dell’altro
possono contrastare il credere della conoscenza che vogliamo fargli credere, e ciò si può fare mettendo
in dubbio le capacità dell’altro di percezione (“sei sicuro di aver visto bene?”), o di memoria (“sei sicuro
di ricordarti bene? È passato tanto tempo”), o screditando la fonte da cui l’ha acquisita (“quello è un
pallonaro”)

INGANNI CONSAPEVOLI

A questo punto possiamo dire che, fra gli agenti cognitivi, lo scopo di ingannare accompagna lo scopo di
nascondere lo scopo di ingannare, quindi il meta-inganno è, almeno dal punto di vista logico, una
condizione necessaria alla definizione stessa di inganno; tuttavia, talvolta sapere che c’è inganno non
impedisce di essere ingannati: è il caso ad esempio delle illusioni ottiche, della persuasione politica o
pubblicitaria

12 – INGANNEVOLMENTE

LA MENTE DELL’INGANNATORE

Esaminiamo ora le caratteristiche della mente di chi inganna, i requisisti cognitivi della sua attività

partiamo dal primo requisito, l’ingegno, che ha in realtà due facce diverse, da un lato è invenzione,
dall’altro è una capacità fantastico-immaginativa che tuttavia mantiene un costante realismo;

la prima condizione che rende possibile l’inganno deliberato è la capacità di concepire il non vero, il
pensiero contro-fattuale, quello che Arendt chiama (un po’ restrittivamente) “immaginazione”;

infatti, non esiste menzogna senza invenzione, senza la capacità di concepire qualcosa come diversa dal
vero, ma possibile

inoltre, l’ingannatore deve avere vividezza di fantasia, poiché la realtà è vivida, ricca di dettagli, e
l’immaginazione è più vaga e scolorita; l’ingegno del mentitore consiste anche nel saper inventare in modo
ricco e vivido, proprio per questo noi prendiamo la ricchezza dei dettagli e la capacità di aggiungerne su
richiesta, anche irrilevanti, come una prova che ciò che viene raccontato è vero

un altro requisito fondamentale dell’inganno intenzionale è la coscienza, il conoscere la propria mente,
avere quindi una meta-rappresentazione della propria mente; se so che ciò che dico è falso (diverso da
quanto io credo), necessariamente so cosa io credo; dunque la coscienza è inscindibile dall’inganno
deliberato

oltre a una meta-rappresentazione della propria mente, per l’ingannatore sarà fondamentale una
rappresentazione della mente dell’ingannato, cioè sapere ad esempio se nella mente di chi vuole ingannare
è già presente una conoscenza che contrasta quella che gli vuole far credere

infine, un buon mentitore deve avere una buona memoria, poiché anche l’ingannato può avere una
buona memoria e può voler controllare la coerenza delle sue conoscenze; la contraddizione, per esempio, è
un indizio che chi dubita usa per smascherare un bugiardo

I PROBLEMI DELL’INGANNATORE

E’ più facile mentire o dire il vero? La risposta è banale: ingannare mediante finzione è più difficile
rispetto a lasciare/far credere il vero semplicemente perché quest’ultimo non richiede un’azione apposita e
l’emissione di comportamenti artificiali

 inoltre, il falso e l’errato sono in genere meno cedibili del vero in quanto meno integrabili del vero;
ovvero, la probabilità che una conoscenza falsa sia in contrasto con l’insieme più o meno coerente di
preesistenti conoscenze è maggiore della possibilità che sia in contrasto con esse una credenza vera

nonostante tutto ciò, Arendt dice che la menzogna è mediamente più credibile della verità; la
spiegazione è semplice: la credibilità della menzogna è dovuta al fatto che essa è “arte-fatta”, è fatta
appunto per essere credibile, mentre il vero non si sceglie, non è artefatto
esistono alcuni fattori che facilitano la menzogna in condizioni normali di credibilità:

1) l’altruismo reciproco delle conoscenze, ossia i principi di Grice e i relativi defaults (“se non hai motivo
di ingannare dì il vero e l’utile”, e “se non hai motivo di dubitare e diffidare, credi”);

2) la maggiore rigidità della verità rispetto alla menzogna (il vero è uno, i suoi corrispettivi falsi sono
innumerevoli, la menzogna è ad hoc, la verità è meno opportunistica; i famosi “mille volti della
falsità”, come li chiama Montaigne);

3) l’autoinganno (crediamo più facilmente quello che per motivi extra-cognitivi ci piace credere o
vogliamo credere)

13 – FAMIGLIE, GENERI E SPECIE

SCOPO DI

PRIVAZIONE/DEVIAZIONE

La prima distinzione tra i vari tipi di inganno riguarda gli scopi manipolativi dell’ingannatore, il quale può
avere uno scopo di privazione di conoscenze, cioè volere che l’ingannato non sappia il vero, o avere uno
scopo di deviazione di conoscenze, cioè volere che l’altro creda il falso; la scelta tra l’una e l’altra strategia,
cioè tra il porsi uno scopo di inganno privativo o deviativo, dipende dagli scopi di influenzamento di M su I,
cioè dagli scopi che M vuole che I persegua

questa distinzione tra gli scopi di manipolazione si incrocia con la distinzione tra i tipi di strumenti che M
può decidere di usare; si può ingannare compiendo delle azioni o non facendo nulla, dunque M ha due
scelte possibili: azione e omissione; è importante non confondere la privazione con l’omissione: la prima
consiste nello scopo che tu non sappia il vero, la seconda nell’ingannarti omettendo un azione, cioè non
facendo nulla perché tu non ti inganni; le cose sono talmente distinte che vanno incrociate, dando luogo a 4
fondamentali tipi di inganno:

1) omettere per privare (lasciare

nell’ignoranza); 2)omettere per deviare

(lasciare nell’errore); 3)agire per privare

(procurare l’ignoranza); 4)agire per

deviare(procurare l’errore)

SEI STARTEGIE D’INGANNO

Elenchiamo qui di seguito le 6 principali strategie d’inganno

1)omissione: M compie un inganno di omissione quando non compie un’azione che avrebbe lo scopo di
far avere ad I una certa conoscenza per I rilevante;

2) occultamento: azione non comunicativa con cui M ha lo scopo di nascondere ad I una certa
conoscenza, cioè di bloccare le strade attraverso cui I può assumerla;

3) falsificazione: azione comunicativa o non comunicativa con cui M ha lo scopo di far avere ad I
una conoscenza diversa da quella che M stesso assume;
4) falsa conferma: azione comunicativa o non comunicativa con cui M ha lo scopo di confermare ad I
una conoscenza che lui reputa falsa;

5) negazione: simmetrica alla falsa conferma, azione con cui M nega (non conferma) ad I una
conoscenza che M reputa vera, ma non vuole che I l’assuma;

6) mascheramento o inganno di copertura:

inganno di falsificazione in cui però la falsificazione non è fine a se stessa, ma è strumentale a un inganno di
occultamento, per cui M compie un’azione comunicativa o non comunicativa allo scopo di fa avere ad I una
conoscenza falsa, ma lo fa solo per nascondere quella vera (il travestimento è il prototipo di questo
inganno)

DEVIARE PER PRIVARE

QUESTIONE: L’inganno per privazione (lo scopo di non far sapere il vero) implica necessariamente, come
suo mezzo, un inganno per deviazione (lo scopo di non far credere il falso)?

TESI: la deviazione non è una strategia necessaria per la privazione, ma è comunque un’ottima strategia
per la privazione (come accade nel mascheramento, cioè la falsificazione finalizzata all’occultamento);

anche se chi crede il falso necessariamente non crede il vero, è possibile non credere una certa cosa senza
credere che è proprio il contrario

14 – ATTRAVERSO I SENSI, ATTRAVERSO LA MENTE: DALL’OSCURARE, AL FINGERE, AL DARE


AD INTENDERE

I LOCI DELLA MENTE:INTERVENTI SUL PROCESSO DI ACQUISIZIONE DELLA CONOSCENZA

Come detto, l’inganno non richiede necessariamente un’attività comunicativa di M verso I; l’inganno
richiede semplicemente l’esistenza di processi cognitivi in un sistema e interferenza su di essi;

interventi accidentali nei vari punti del processo di acquisizione di conoscenze possono indurre in inganno
il sistema cognitivo (provocargli illusioni, abbagli, previsioni errate);

interventi mirati sugli stessi punti critici possono ingannarlo deliberatamente o funzionalmente;
chiameremo questi punti critici loci dell’inganno: essi delineano la mappa dell’ingannabilità e costituiscono
una griglia di classificazione cognitiva degli inganni alquanto variegata e sottile

distingueremo dunque i loci della privazione da quelli della deviazione

I LOCI DELLA PRIVAZIONE

Analizziamo prima i loci fuori dalla mente di I, ossia i loci esterni1) innanzitutto è possibile intervenire
sullo STIMOLO:

a) interferendo sulla fonte che lo produce si può bloccare il processo al suo inizio (“far tacere”);
b) lo stimolo deve necessariamente essere prodotto in un mezzo che lo rende fisicamente percepibile, si
può allora impedire che lo stimolo “venga alla luce” (“oscurare”); c) se non si può intervenire sulla fonte
o sul mezzo, si può addirittura sopprimere lo stimolo (“distruggere”, “cancellare”);

d) si può impedire la distinguibilità dello stimolo confondendolo con lo sfondo, aggiungendo rumore, cioè
altri stimoli che confondono la percezione distraendo l’attenzione dai caratteri pertinenti dello stimolo
stesso, cosicché lo stimolo arriva ma non è riconoscibile (“confondere”, “mascherare”); e) si può infine
orientare lo stimolo in modo che il suo canale di ricezione non raggiunga l’organo percettivo (“deviare”)

2) si può poi intervenire sul CANALE che va dallo stimolo agli organi di ricezione del ricevente: a) vi si può
interporre un ostacolo (“schermare”); b) quando lo stimolo portatore di conoscenza è un messaggio, un
segnale comunicativo, si può impedire che esso arrivi al destinatario (“intercettare”)

3) si può intervenire poi sull’APPARATO o sull’ORGANO PERCETTIVO per impedire che raccolga lo
stimolo:

a) si può danneggiare l’apparato ricettivo (“abbagliare”, “accecare”);

b) si può orientare l’organo in modo che non riceva lo stimolo (“distrarre”);

c) si può infine allontanare dalla fonte o dall’oggetto in modo che lo stimolo non possa
giungere (“distanziare”)

Passiamo ora alle azioni sulla mente di I, quindi ai loci interni

 4) poniamo la situazione in cui lo stimolo sia comunque raccolto dall’apparato percettivo, è ancora
possibile non far assumere la conoscenza relativa intervenendo nei vari punti dell’elaborazione cognitiva:

a) lo stimolo è registrato ma distraendo l’attenzione si impedisce che venga compiutamente


processato (“distogliere”, “creare un diversivo”);

b) lo stimolo è registrato e discriminato come sensazione, ma si impedisce che sia


riconosciuto intervenendo sui processi di riconoscimento o categorizzazione;

c) lo stimolo è registrato, discriminato come sensazione ed anche riconosciuto, ma si impedisce che


venga capito richiamando altre conoscenze che portano fuori strada (“ottundere”, “depistare”);

d) lo stimolo è riconosciuto ed è una conoscenza acquisita, ma si impedisce che venga creduta, ad


esempio mediante inganni di copertura (“far ricredere”); e) infine, per una conoscenza acquisita, si può
causare l’impedimento del recupero delle conoscenze in memoria con mezzi che interferiscono
direttamente sulle funzioni psichiche e cerebrali, attraverso per esempio la rimozione forzata, il lavaggio
del cervello, l’elettroshock, o addirittura uccidendo (“soppressione”)

I LOCI DELLA DEVIAZIONE

Un esempio di intervento deviativo sulla fonte dello stimolo è il proiettare una luce particolare su un
oggetto in modo che sembri altro, intervenendo dunque sul mezzo alterando la luce che proviene
dall’oggetto (“far balneare”); gli interventi diretti sullo stimolo vanno dall’imitare lo stimolo autentico
(“contraffare”), al creare uni stimolo fittizio (“imitare”); il mimetismo è un caso di mascheramento volto a
confondere e attuato attraverso la mimesi, vi è dunque un inganno deviativo che provoca falso
riconoscimento, come mezzo per un inganno privativo (“nascondere”)
dei vari modi di dare conoscenze false attraverso la percezione, molti appartengono al fingere, in
particolare quelli che operano sullo stimolo; dal punto di vista dello scopo di ingannare, la finzione è un
inganno per deviazione, cioè ha lo scopo di far avere conoscenze false, e in particolare utilizza una strategia
di falsificazione; la finzione è un inganno prodotto con un comportamento o oggetto che imita un’azione o
raffigura uno stato, che si sa non vero e che si vuole far credere all’ingannato; è cioè un atto di simulazione,
di mimesi

AZIONI DEVIATIVE SULLA MENTE

Ci interessa qui sottolineare come l’inganno possa avvenire attraverso i processi cognitivi superiori della
vittima, previsti e calcolati da M; possiamo distinguere gli inganni deviativi per elaborazione cognitiva in:

1) inganni di comprensione (o interpretazione): chiameremo lo sfruttamento deliberato dell’inganno di


comprensione equivoco deliberato; questo avviene quando M inganna I lasciandolo interpretare
erroneamente quanto detto da lui, sfruttando un contesto o un enciclopedia incompleta o errata, o usata in
modo infelice (come quando sui prodotti alimentari troviamo scritto “essenza naturale”, il quale “naturale”
in questo ambito vuole letteralmente dire “uguale ad un essenza che si trova in natura” e non “di origine
naturale”)

2) inganni inferenziali:

chiameremo l’uso deliberato di inferenze ingannevoli dare ad intendere o portare fuori strada; questo
avviene quando M inganna I tramite una nuova conoscenza errata che è inferita da una conoscenza errata
preesistente in I, quindi ogni inganno inferenziale richiede un complice interno nella mente di I, una
conoscenza erronea o incompleta che conduce a un’inferenza falsa

15 – ANATOMIA DELLA MENZOGNA

STRUTTURA DELL’ATTO LINGUISTICO

Come detto, il prototipo degli atti ingannevoli è la menzogna, il quale è un inganno per deviazione
attuato attraverso un atto linguistico; un atto linguistico è un atto sociale, e il suo scopo specifico in quanto
atto sociale è l’influenzamento;

chi parla può dare conoscenze all’altro riguardo ai suoi scopi:

quando A ha lo scopo S, questo può essere di vari modi:

1) indifferente: quando per A non fa differenza che B lo capisca o meno, e non si pone il problema di
farglielo capire o nasconderglielo;

2) comunicato: quando A oltre allo scopo S persegue lo scopo S1 di far capire a B che egli vuole S;

3) comunicativo: quando lo scopo S1 è un sottoscopo di S ed è quindi necessario comunicarlo


per raggiungere S;

4) nascosto: quando A ha lo scopo che B non venga a conoscenza di S;


5) anti-comunicativo: quando nasconderlo è necessario per raggiungerlo (P.S.: la stessa relazione che c’è
tra lo scopo comunicato e quello comunicativo c’è anche per lo scopo nascosto e quello anti-comunicativo)

GLI SCOPI DELL’ATTO D’INFORMAZIONE

Secondo Castelfranchi e Parisi tutti gli atti linguistici, non solo le vere e proprie richieste d’azione (ordini,
preghiere, consigli ecc.) e le richieste d’informazione (domande ecc.) ma anche gli atti d’informazione
(dichiarazioni annunci conferme), si possono considerare atti di richiesta; dunque gli atti linguistici
contengono sempre scopi comunicativi

la menzogna è un atto linguistico d’informazione, cioè un atto il cui scopo è dare credenze (conoscenze
assunte con un alto grado di certezza) all’ascoltatore; all’interno dell’atto d’informazione la menzogna può
essere solo la parte asserita, non la parte presupposta della frase

a volte si può ingannare con la parte presupposta della frase, come quando dico “Lucio ha smesso di
picchiare sua moglie” per far credere che “Lucio picchiava sua moglie”;

questo tipo di inganno lo possiamo chiamare presupposizione mendace

DOPPIA NATURA DELLA MENZOGNA

Più nello specifico, la menzogna è un atto linguistico d’informazione dalla doppia natura: da un lato il
mentitore ha lo scopo che l’ascoltatore creda a ciò che lui die, e questo è uno scopo comunicativo, dall’altro
poiché ciò che dice è falso, ha lo scopo che l’altro creda il falso, e questo è invece uno scopo
anticomunicativo

MENTIRE E’ FINGERE DI INFORMARE

Possiamo definire veridicità il fatto di comunicare conoscenze che si credono vere relative alla realtà
esterna, mentre sincerità è il comunicare conoscenze che si credono vere riguardanti i propri stati mentali;
diremo allora che la menzogna comprende due atti di inganno: un atto di non veridicità riguardante il
mondo e un atto di insincerità, cioè sulla mente del mentitore stesso, sulle sue credenze; in conclusione,
mentire è un atto che imita l’atto di informare

16 – META-INGANNI O INGANNI DEL SECONDO

ORDINE INGANNI MANIFESTI E INGANNI FINTI

Parleremo di inganno manifesto quando A finge di voler fingere B; possiamo riportare l’esempio di una
coppia durante un rapporto sessuale:

A sta fingendo di avere un orgasmo, e quindi sta ingannando B, e accompagna tale atto di finzione (il
gemere), con un altro atto che smentisce il primo e che ha lo scopo rendere tale inganno, appunto,
manifesto; questo secondo atto può consistere per esempio in un’esagerazione delle caratteristiche del
primo atto, o in un comportamento incoerente rispetto al primo (faccia distratta); dunque parleremo di
inganno manifesto quando A compie un atto come per far credere qualcosa di falso e lo accompagna con
un secondo atto che smentisce le conoscenze date dal primo; analogamente, parleremo di menzogna
manifesta quando A finge di voler mentire a B, cioè quando il primo atto ingannevole non è una finzione
ma una menzogna
le due situazioni precedenti, fingere di voler fingere e fingere di voler mentire, cioè gli inganni manifesti,
con il far finta di fingere e il far finta di mentire, cioè inganni finti; partiamo dal primo, riportando
l’esempio di prima in maniera diversa:

poniamo che A stia godendo veramente nel rapporto con B, ma per ostilità nei suoi confronti non vuole
darlo a vedere, ma dato che non può evitare di gemere, può allora fingere di fingere di gemere; molto
simile al fingere di fingere è il fingere di mentire mentre in realtà si dice la verità; esempio tipico è quello
dei due ladri sorpresi dalla polizia di cui uno dei due riesce a fuggire:

quello catturato, sapendo che il commissario penserà che lui menta, gli indica proprio la direzione in cui il
compare è fuggito; dunque il fingere di mentire contiene un doppio inganno, poiché B assume che A mente
(e non è vero), e B assume l’opposto di ciò che dice A (opposto che è falso)

RECITAZIONE : L’INGANNO RIVELATO

La recitazione consiste nel comunicare che si sta fingendo e nel coinvolgere I stesso come “complice”,
cioè quando A vuole che B sappia che fa apposta a fargli capire che finge; in questo caso l’atto di
accompagnamento che deve rivelare l’inganno può consistere, oltre che nell’esagerazione o in espressioni
del viso (come per il fingere di voler ingannare), anche in un commento o in una semplice presupposizione

il dire le cose per scherzo e l’ironia costituiscono un caso particolare di quella che abbiamo chiamato
recitazione (nell’ironia verità e menzogna non formano contrasto, e in essa è compreso il segnale d’ironia,
cioè si ironizza ma lo si lascia capire, si finge ma si comunica di fingere – Wienrich), così come il gioco, il
rito, la fiction e tutta la letteratura

per quanto riguarda invece il fingere di recitare, possiamo considerarlo un caso simile al fingere di
fingere: un comportamento autentico viene fatto passare per una cosa fatta per finta, ma in più si
aggiunge l’aspetto comunicativo (come quando uno dice una cosa pensandola veramente ma facendo
credere all’ascoltatore che dice per scherzo

INGANNI DA RIVELARE

Ci sono forme di inganno programmaticamente destinate al disvelamento, il cui vero scopo quindi non è
l’inganno, ma il trarre in inganno: l’inganno è solo una tappa transitoria del piano; casi esemplari sono la
burla e lo scherzo, in cui l’aggressione che si attribuisce di solito a un inganno è un aggressione finta

un caso più singolare è l’inganno test, cioè l’inganno per mettere alla prova; un esempio emblematico è
colui che si finge morto per vedere le reazioni dei suoi cari ed eredi; in questi casi il contesto di
disvelamento non è parallelo all’atto finto (come nell’ironia e nella recitazione), ma è successivo all’atto

17 – COME INGANNARE DICENDO IL VERO E NON INGANNARE DICENDO IL

FALSO DIRE IL VERO PER INGANNARE (PER FAR CREDERE IL FALSO)

Come può M ingannare e nel contempo dire la verità? Può usare due strategie: a) può avere lo scopo
che I creda a quanto lui dice, dunque uno sfruttamento della credulità che si risolve nell’equivoco
deliberato; b) può puntare invece proprio sull’incredulità di I, cioè sul fatto che I non crede a quanto lui
dice, dunque uno sfruttamento della diffidenza che si risolve nel fingere di fingere o nel fingere di mentire
analizziamo ora 3 casi di equivoco deliberato: 1) ambiguità mendace referenziale: è il caso di frasi
letteralmente vere ma con interpretazione contestuale falsa;

b) ambiguità mendace semantica: è il caso in cui M usa una frase lessicalmente ambigua, di cui la
lettura che vuole far capire all’ascoltatore è ingannevole, mentre l’altra possibile lettura è vera, e
spesso quest’ambiguità consiste nel fatto che uno interpreta alla lettera un’espressione che l’altro usa
metaforicamente e viceversa;

c) cripticità mendace:

è il caso in cui M dice la verità sapendo che non sarà capita da I (un esempio letterario emblematico è il
latinorum di Don Abbondio)

DIRE IL FALSO MA NON PER INGANNARE

Analogamente, M per dire il falso e nel contempo non ingannare può puntare su due strategie: fiducia o
diffidenza, a seconda che l’inganno punti sul fatto che I creda a quanto detto da M o non vi debba credere

18 – L’INGANNO INDIRETTO

VERO E FALSO NEL SOVRASCOPO

Come detto, ogni frase ha uno scopo, che è il suo significato letterale, e può avere uno o più sovrascopi,
il quale è la conoscenza che il parlante vuole far inferire a partire dal suo significato letterale; parleremo
dunque di inganno letterale quando far credere il falso è lo scopo di M, mentre parleremo invece di
inganno indiretto quando è il suo sovrascopo, quindi nel caso di qualsiasi azione che abbia lo scopo di far
assumere per via inferenziale una conoscenza falsa

se di una frase o di un’altra azione comunicativa distinguiamo lo scopo e il sovrascopo, e se ciascuno di
essi può esser far credere il vero o il falso, vengono fuori 4 possibili situazioni:

1) comunicare una conoscenza vera con il sovrascopo di far inferire un’altra conoscenza anch’essa
vera (scopo e sovrascopo entrambi veri, non c’è inganno);

2) comunicare una conoscenza falsa con il sovrascopo di far inferire una conoscenza vera (scopo falso
e sovrascopo vero);

3) comunicare una conoscenza falsa con il sovrascopo di far inferire un’altra conoscenza falsa
(entrambi falsi);

4) comunicare una conoscenza vera con il sovrascopo di far inferire una conoscenza falsa (scopo vero e
sovrascopo falso); gli ultimi due casi sono inganni indiretti, cioè atti in cui è ingannevole la conoscenza
comunicata dal sovrascopo; quando in un inganno indiretto il sovrascopo di far assumere la
conoscenza falsa è comunicativo si parlerà di inganno comunicativo indiretto

l’insinuazione ha in comune con l’inganno comunicativo indiretto il sovrascopo di far assumere una
certa conoscenza solo per via inferenziale, ma mentre nel secondo la conoscenza che si vuole far assumere
è per definizione falsa, nell’insinuazione non è necessario;
inoltre, nell’inganno comunicativo indiretto ciò che si vuol far inferire non è necessariamente una
valutazione negativa, mentre è così nell’insinuazione; quest’ultimo ingrediente si ritrova invece nella
calunnia, che è una menzogna comportante una valutazione negativa sulla vittima, volta a diffondersi come
reputazione

l’allusione consiste invece nel far riferimento a qualche conoscenza che l’ascoltatore già possiede senza
nominarla, facendo capire che si vuole far inferire ciò;

simile all’allusione è la reticenza:

per avere reticenza il parlante deve far capire all’ascoltatore che tace qualcosa, che tace con un certo
scopo, che ha lo scopo di far capire all’altro che tace, le ragioni per cui lo fa, cos’è che tace e che vuole che
l’altro capisca cosa tace (se ciò che egli tace e vuole fa inferire è falso sarà anche un caso di inganno
comunicativo indiretto, se è tale da comportare una valutazione negativa su qualcuno sarà un insinuazione,
se invece si tratta di una cosa che è già nota all’ascoltatore sarà un’allusione);

c’è infine un altro tipo di inganno comunicativo indiretto, la mezza verità: per avere una mezza verità
sembra sufficiente nascondere all’ascoltatore una parte della verità, naturalmente una parte che sarebbe
rilevante per lui, e farlo giungere da solo a delle conclusioni errate

PERCHE’ SI INGANNA IN MODO INDIRETTO?

1) un primo scopo potrebbe essere quello della brevità: il parlante non solo vuole far assumere una cosa
(falsa), ma vuole anche argomentarla, darle un supporto (vero), ma dato che il supporto è sufficiente a far
capire anche il resto, si astiene dal dirlo (affidamento al supporto)

2) un altro scopo può essere quello di evitare la responsabilità: se dico il falso sono perseguibile per ciò
che ho fatto, ma se dico il vero e ti faccio inferire il falso “puoi essere tu che hai male interpretato”

3) non dire cose che è vietato dire

4) mostrarsi reticenti come se ci dispiacesse dire una certa cosa allo scopo di risultare più credibili4)
l’ascoltatore deve ingannarsi necessariamente da sé, magari perché io conosco poco le circostanze sulle
quali voglio fargli inferire una conoscenza falsa

5)render più efficace l’inganno affidandolo all’immaginazione dell’ascoltatore, il quale così può
immaginare cose più terribili di quelle che io stesso saprei dirgli

19 – LA MENZOGNA DELLA

CIVILTA’ LE BUGIE DI CUI VIVIAMO

Perché la società ha bisogno di finzioni ed inganni per funzionare? I seguenti 3 principi spiegano
l’importanza e il funzionamento dell’inganno “prosociale” a fondamento della vita civile

1) nella ritualizzazione della civiltà vi è una superiore verità nella finzione, ma è sincero il rispetto delle
norme civili; i rapporti civili richiedo atti rituali;
rituale è un atto il cui effetto diretto non ha importanza, ciò che importa è che venga compiuto, eseguito;
questo ci aiuta a capire perché alcuni comportamenti ipocriti funzionano: perché la volontà di rispettare
quella norma o comando, di soddisfare l’aspettativa sociale, è vera; come quando mi scuso con dei pretesti
improvvisati e poco credibili, pur sapendo che non vengo creduto e che l’altro finge di credermi solo per
cortesia, otterrò comunque venia; è in questo senso che c’è una superiore verità della finzione: ciò che si
finge ad un livello, è vero a un livello superiore

2) la menzogna prosociale funziona perché crea la realtà che inventa; perché allora la società non
naufraga in preda alle menzogne? Perché esse non riguardano la relatà naturale bensì una realtà sociale,
artificiale, che le menzogne stesse creano: la scena del teatro non rappresenta infedelmente un altro luogo
nel quale in realtà si vive (le strade di Atene), si vive invece nella scena teatrale stessa; infatti, gli umani
apprendono a fingere prima di apprendere a fare, o meglio, apprendono a fingere per apprendere a fare,
proprio come accade nel gioco simbolico (il quale è un caso di recitazione che richiede condizioni cognitive
di almeno parziale consapevolezza che ciò che si finge non è vero); in questo senso, il denaro è il prototipo
perfetto per spiegare come la società e la civiltà si basino su convenzioni, su recitazioni, su cose che
divengono vere e funzionano solo se e in quanto mutuamente credute; il denaro è infatti solo un segno e
un titolo di fiducia: se la reciproca credulità viene meno, esso non ha alcun valore

3)vi è una mutua cooperazione all’autoinganno; abbiamo già trattato l’inganno consensuale, cioè
l’inganno in cui la vittima è implicitamente d’accordo con chi lo inganna; infatti, tra i meccanismi della
mente umana c’è l’istinto a difendersi dalle conoscenze sgradite e dolenti , dalle cose che nessuno vuol
sapere o sentirsi dire; dunque si può assumere che tra gli umani esiste una sorta di altruismo reciproco
dell’autoinganno: ci aiutiamo reciprocamente ad autoingannarci; questo è spiegato da Goleman nell’ambito
di un nucleo familiare, un cui quella che lui chiama “bugia vitale” spesso e volentieri contribuisce a
mantenere una situazione di “famiglia felice”

tutti e tre i principi sono stupendamente esemplificati nella favola di Andersen “Il vestito nuovo
dell’Imperatore”

ANGOSCIA DELL’IGNOTO

Goffman postula un altro motivo per cui la società sia recitazione collettiva: gli attori goffmaniani devono
costantemente palesare a che gioco stanno giocando, perché altrimenti si trovano in una situazione di
vuoto sciale (anomia) nella quale, come gli attori veri che dimenticano la parte, sono perduti; questo
sembra legato a un bisogno di evitare l’angoscia da incertezza, da incomprensibilità del mondo;

in questo senso i ruoli sociali hanno una funzione prevalentemente tranquillizzante, ai fini del nostro
bisogno di prevedere e controllare la condotta altrui; in una simile visione quindi, questi poveri attori
collaborano per evitare l’angoscia epistemica (del tutto cognitiva), e la realtà più solida sembrerebbe
proprio la finzione; possiamo concludere che l’inganno può nascere, oltre che dai limiti della cognizione,
anche dalle conseguenti angosce

20 – PARADOSSI E ROMPICAPO DELLA

MENZOGNA PARADOSSI E POSTULATI


Esaminiamo l’impossibilità delle seguenti richieste: “ingannami!” “ingannati!”; perché sono comandi
impossibili?

Per il postulato di incapacità cognitiva illustrato nel cap.11 “se B crede C falso allora non può credervi”;
infatti se ti dico “ingannami”, poi so necessariamente che quello che mi dici o che mi mostri è falso, non
posso crederci, e quindi ti ho chiesto una cosa che con la richiesta stessa ho reso impossibile;

analogamente, come puoi tu ingannarti deliberatamente e consapevolmente? Se sai che quanto vuoi
credere è falso, non puoi crederlo

c’è poi da analizzare un altro importante paradosso, la divina impossibilità di mentire: il Creatore,
colui che formula le sorti e il destino, nella sua onnipotenza si ritrova infatti uno strano limite,
l’impossibilità di mentire, poiché la sua (ipotetica menzogna) si avvererebbe

un paradosso analogo si trova nelle profezie che si autoavverano, cioè quando il predire un fatto entra
nella sua determinazione, lo crea; questo potrebbe comportare un ottima strategia d’inganno, del tutto
nuova e paradossale: creare la realtà attraverso la credulità, cioè dire il falso, affinché lui mi creda, e
credendomi lui fa in modo che divenga vero; un esempio classico è quello del dottore che prescrive delle
gocce (inutili) al paziente ipocondriaco, il quale pensando che sia un vero farmaco effettivamente si sente
meglio: ciò che si definisce placebo

esiste poi un’altra situazione in cui si può fare i fatti per evitare di dire il vero: è il caso dell’uomo che
mette le corna alla moglie inventandosi scuse che coinvolgono sempre problemi con la sua automobile per
coprire le scappatelle con l’amante, e per rendere più credibili le scuse le fa avverare, squarciando le sue
stesse ruote, rompendo il suo stesso parabrezza ecc.

esaminiamo infine un caso di delizioso paradosso educativo, la frase che il padre dice al figlio “non devi
dire le bugie, altrimenti ti cresce il naso come Pinocchio!”: è sorprendente come nella stessa frase ci sia un
invito a non dire menzogne e una menzogna bella e buona

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