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ANALISI DELLA DOMANDA – RENZO CARLI

DEFINIZIONI E CONCETTI PRINCIPALI


Analisi della domanda : esplorazione delle simbolizzazioni affettive, agite da chi pone una
domanda d’intervento allo psicologo (come arriva la domanda? Come viene accolta nel
contesto in cui arriva? Qual è il tono della richiesta? Chi porta la domanda?)
Emozioni: vissuto che risulta dalla simbolizzazione affettiva degli oggetti del contesto.
Parallelo tra percezione ed emozione. Percezione e simbolizzazione affettiva sono due modalità
in interazione che fondano la relazione tra individuo e contesto.
Collusione: simbolizzazione affettiva del contesto, da parte di chi a quel contesto partecipa. E’
un processo di socializzazione delle emozioni, che proviene dalla condivisione emozionale di
situazioni contestuali. Colludere significa condividere emozionalmente le stesse simbolizzazioni
affettive entro un contesto partecipato e vissuto in comune. La dinamica simbolica che la fonda
può cambiare, progredire, da simbolizzazioni altamente polisemiche (ex: nemico/amico;
alto/basso; …) a categorizzazioni della realtà più organizzare e differenziate quali le
neoemozioni (pretendere, controllare, diffidare, provocare, lamentarsi, preoccuparsi); quindi
le culture locali, culture collusive specifiche di determinati contesti. Il tutto avviene sempre
tramite il progressivo integrarsi tra polisemia e stabilimento di relazioni (relazioni tra oggetti e
realtà). La collusione ha funzione di adattamento alla realtà.
Inconscio: sistema mentale, uno specifico modo di essere della mente (prima topica di
Freud).
Relazione individuo-contesto: lo psicologo ha a che fare con “relazioni”, il problema che
viene portato allo psicologo e che è oggetto di analisi della domanda è sempre un problema
che concerne la relazione tra individui e contesto.
Convivenza: è l’area in cui si situa l’intervento psicologico (psicologia come scienza che si
occupa della convivenza e cerca di promuoverla). Convivenza come relazione tra sistemi di
appartenenza ed estraneo, fondata su regole del gioco convenute. La convivenza è segnata da
due modalità di relazione: -modalità fondata sul potere delle regole (relazione: adempimento)
e – modalità fondata sulla competenza (relazione: attesa di un prodotto competente).
Relazione sistema di appartenenza-estraneo: è il luogo dello sviluppo della convivenza,
quindi dello scambio del prodotto, quali obiettivi dell’intervento psicologico. I sistemi di
appartenenza sono caratterizzati da relazioni emozionali fondate sulla dinamica affiliativa e
su quella del potere. Possono essere integrati con l’estraneità o contrapposti ad essa. Nel
secondo caso si traducono in “emozioni familiste” scontate e date; nel primo implicano invece
l’integrazione con quei processi di comunicazione e costruzione di conoscenza, comportati dalla
relazione con l’estraneo. L’estraneità è data da quegli aspetti della realtà che il sistema
d’appartenenza può valorizzare e individuare al di fuori di sé, per realizzare relazioni di
scambio.
Le regole del gioco: è il sistema di convenzioni, regolate emozionalmente, che consente la
relazione con l’estraneità. Le più semplici regole del gioco sono di tipo normativo (ex:buone
maniere) . Quelle più avanzate consentono di organizzare la relazione sociale in alternativa al
potere senza competenza, emancipando la relazione dal potere dell’uno sull’altro e
consentendo relazioni tra estranei fondate sul potere della competenza, quindi sull’uso delle
risorse. Le regole del gioco sono convenzioni che consentono di individuare le risorse, di
utilizzarle e di definirne i limiti, condividendole entro la relazione appartenenza-estraneità.
Primo passo verso l’emancipazione dalla fusionalità, finalizzato allo scambio. Le regole del
gioco, in sintesi, sono la condizione che consente di passare dall’agito emozionale alla
simbolizzazione affettiva dei vai aspetti della realtà. Questo è il passaggio, importante, che
traghetta dall’agito alla conoscenza emozionata.
Dinamica possesso- scambio: le due dimensioni entro le quali si organizza il rapporto siano

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quelle del possedere l’altro o dello scambiare con l’altro. Il possesso esaurisce la
simbolizzazione emozionale dell’altro, negandone l’estraneità (affiliazione e potere senza
competenza). Lo scambio d’informazioni e di conoscenza competente, p la funzione resa
possibile dalla relazione fondata sul riconoscimento di questa estraneità (potere competente).
Dalla polisemia allo scambio produttivo: convivenza come continuum definito da due
polarità. La polarità più primitiva comporta simbolizzazioni del contesto fondate su un massimo
di simmetria polisemica ed un massimo di acontestualità (ex: amico/nemico, dentro fuori,…). A
seguire troviamo le neoemozioni (copioni emozionali in grado di organizzare il rapporto entro
un relativo ignoramento del contesto) e le culture locali (sistemi collusivi contestualizzati e
storicizzati, caratteristici di specifici contesti). L’analisi dei processi emozionali consente
progressive riduzioni di polisemia ed un sempre più puntuale ancoraggio al contesto, sino alla
competenza a simbolizzare l’altro quale estraneo, che prelude allo scambio produttivo.
Sviluppo: è l’obiettivo dell’intervento psicologico; sviluppo della relazione tra individuo e
contesto, quindi delle capacità produttive e di scambio da parte di chi chiede l’intervento.
Psicologia quale scienza dell’intervento: scienza che consente di intervenire nella
relazione tra individuo e contesto, quindi entro i problemi di convivenza, per un loro sviluppo
(teoria della tecnica chiamata “analisi della domanda).
Cliente: un modello di rapporto tra individuo e contesto; è l’estraneo dal quale dipende lo
sviluppo. Il cliente configura sempre un altro cliente, di second’ordine se si vuole, che è
portatore di una domanda si sviluppo. (ex:insegnante-studente). La coerenza tra strategie di
orientamento del cliente e il nostro costrutto si coglie dalle risposte emozionali che queste
strategie suscitano: dalla speranza di veder verificato il proprio operato, all’irritazione per
un’interferenza entro una prassi autocentrata.
Mandato sociale: tutela le dimensioni conformiste -conformi alla norma – della professione
psicologica. Accordo derivato dal contesto dato.
Committenza (sociale/personale): non ha a che fare univocamente con norme e valori
prestabiliti ma porta in campo i suoi obiettivi. Comporta il consenso tra interlocutori (psicologo
e cliente) che traduca in dimensioni operative, storiche e contingenti, le grandi finalità del
mandato sociale entro la specificità di quella committenza. Con la committenza, vengono
messe in gioco conoscenza e utilizzazione delle risorse locali, proprie della specifica situazione
entro la quale si interviene. Accordo costruito dallo psicologo e dal cliente sulla base delle loro
ipotesi a partire dalla domanda.
OGNI RELAZIONE SOCIALE, QUINDI ANCHE QUELLA CHE FONDA L’ANALISI DELLA
DOMANDA,
E’ FONDATA SULLA COLLUSIONE. LA SIMBOLIZZAZIONE AFFETTIVA E’ PER FREUD,
LA VERA
REALTA’ PSICHICA, IL MODO PIU’ IMPORTANTE DELL’UOMO PER METTERSI IN
RAPPORTO CON
LA REALTA’ E PER CONOSCERLA. NELL’ANALISI DELLA ODMANDA IL PROBLEMA
NON E’ “NON
COLLUDERE” ; IL VERO PROBLEMA E’ NON COLLUDERE CON SPECIFICHE
SILBOLIZZAZIONI
AFFETTIVE DELLA RELAZIONE CON LO PSICOLOGO, PROPOSTE DA CHI PONE LA
DOMANDA.
L’ANALISI DELLA DOMANDA, IN MODO DIVERSO ENTRO I DIVERSI AMBIENTI DI
INTERVENTO,
POTRA’ DURARE POCHI INCONTRI O PROLUNGARSI PER MESI; AVERE UNA
FUNZIONE DI
ORIENTAMENTO O DI INTERVENDO A SE’ STANTE (OBIETTIVO: PROMOZIONE DELLO
SVILUPPO DEL CLIENTE).

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Obiettivo: dalla polisemia alla relazione con l’estraneo e allo scambio produttivo. Prospettiva
di sviluppo definita “metodologica”. L’obiettivo è fondato sulla dinamica d’evoluzione delle
simbolizzazioni emozionali del contesto e sulla sostituzione dell’agito emozionale con il pensare
le simbolizzazioni stesse.
Metodologia: fondata sulla sospensione dell’agito collusivo nei confronti delle simbolizzazioni
emozionali proposte da chi pome la domanda e sull’istituzione, essa pure collusiva, di un
pensiero sule emozioni stesse.
Non colludere: significa sconfermare il ruolo emozionale proposto dalla domanda, per
recuperare la funzione competente di supporto allo sviluppo, cui quel ruolo - in un modo o
nell’altro – rimanda.
Costruzione della committenza: spostare il fuoco del pensiero dalla questione così come è
stata posta, raccontata, alla relazione integrando le due componenti (emozione e pensiero).
Il triangolo ISO: nell’analisi della domanda si pongono tre elementi fondamentali che ne
reggono la prassi.
1: il fallimento della collusione;
2: la riproduzione, nella relazione di domanda, di una situazione fantasmatica-emozionale che
ripropone gli elementi della collusione fallita;
3: l’individuazione di linee di sviluppo.
I = Individuo o componente organizzativa che porge la domanda.
O = Organizzazione entro cui è insorto il problema.
S = Setting della relazione tra chi pone la domanda e lo psicologo.
ANALISI DELLA DOMANDA = comprensione grazie a S del fallimento collusivo avvenuto in O.
LA’ E ALLORA= racconto (narrazione) del problema entro le relazioni che la persona intrattiene
nell’ambito dei vari contesti di appartenenza, o entro quelle specificatamente caratterizzanti
una data organizzazione.
QUI ED ORA = momento del rapporto in cui si dispiega la dinamica affettiva della relazione con
lo psicologo.
IL POTERE DELLO PSICOLOGO SI FONDA SEMPRE SUL POTERE CONFERITO DALLO
ALLO
PSICOLOGO DALL’ESISTENZA DI UNA DOMANDA NEI SUOI CONFRONTI.
Parole dense: parole che vengono simbolizzate emozionalmente.
Fallimento della collusione: discrepanza tra struttura e cultura all’interno di
I
S
O
LA’ E
ALLORA
QUI E ORA
ANALISI DELLA
DOMANDA
un’organizzazione; momento critico portato dalla presenza di nuove condizioni contestuali e
ambientali che necessitano di rivedere la simbolizzazione affettiva in atto.
EX: LA REAZIONE AL FALLIMENTO DELLA COLLUSIONE, PUO’ IMPLICARE IL
TENTATIVO DI
STIGMATIZZARE IL COMPORTAMENTO DEI FIGLI COME UNA CONDOTTA MALATA O
PREOCCUPANTE, COMUNQUE BISOGNOSA DI UN CONTROLLO PIU’ STRETTO, DA
PARTE DEI
GENITORI O DA PARTE DI ADULTI CHE NE PRENDANO LE LORO VECI.
Relazione collusione-fallimento della collusione: modello che mette in relazione la
narrazione del problema con la dinamica del rapporto di domanda; tentativo dell’analisi della

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domanda di mettere in rapporto due dimensioni : il problema e la relazione con lo psicologo.
Analizzare la domanda: serve a comprendere le dimensioni difensive della relazione con lo
psicologo, ed al contempo serve a trovare, assieme, una riorganizzazione della relazione
collusiva che tenga conto del cambiamento contestuale e sia adattiva a tale cambiamento.
L’analisi della domanda, quindi, è un modello che persegue sviluppo nel sistema entro cui è
insorto il problema.
Obiettivi ortopedici: riportare il sistema, entro quale si interviene, ad un modello definito
nelle sue componenti, considerato come utile e desiderabile. Un modello che consente di
considerare lo stato problematico entro cui si interviene quale “scarto dal modello” (ex: cura;
riconduzione ad uno stato di normalità, recessione del sintomo, comportamenti più adeguati
alla realtà, perseguimento di uno stato terminale). Quando uno psicologo opera in riferimento
solo al mandato sociale, senza costruzione di committenza( in questo caso il mandato sociale =
modello da perseguire e da tutelare), ha come unico obiettivo il cambiamento dei
comportamenti. Lo psicologo quindi collude con il committenze in nome dei valori e del
conformismo portati nel setting.
Obiettivi di sviluppo: finalità dell’analisi della domanda, non si rincorre l’adeguamento a
modelli precostituiti basati sul mandato sociale.
QUANDO UNA COMMITTENZA SI PONE COME DIVERSA DAL CLIENTE
DELL’INTERVENTO, LA
ASSIMILIAMO AL MANDATO; COMMITTENTE E’ COLUI CHE VUOLE DISCUTERE CON
LO
PSICOLOGO I PROPRI OBIETTIVI, E IN QUESTO SI METTE IN GIOCO.
Solitudine: obiettivo metodologico dello sviluppo personale, condizione necessaria per
l’interazione produttiva e per lo scambio. Attraverso essa si può riorganizzare il proprio sistema
emozionale, costruendo nuove dinamiche collusive, fondate sulla ricerca e sulla verifica delle
simbolizzazioni estranee dell’altro, più che sulla sostituzione, reciprocamente attuata, della
realtà esterna con le proprie fantasie. La realtà si configura quindi quale risorsa con cui
confrontarsi entro un rapporto realistico.
Familismo: dimensione scontatamente buona dei legami familiari (ex: madre simbolizzata
necessariamente come buona, quindi amica). Le relazioni familistiche sono improntate alla sola
emozionalità, anche aggressiva e violenta, ma contenuta entro il rituale della separazione da
ciò che è esterno e quindi pericoloso (dinamica amico-nemico).
Estraneo: colui del quale non si può dire di conoscere, al di fuori della comunicazione con lui,
cosa pensa o come vive il rapporto con noi; ma anche come vede le cose che si condividono,
quali sono le sue intenzioni, quale il contributo che può dare alla relazione ed al prodotto che la
relazione si pome quale obiettivo. L’estraneo è l’amico ignoto, contro il problema di dare per
scontata l’amicalità dell’amico noto; la relazione con l’amico ignoto diventa un obiettivo di
sviluppo finalizzato a promuovere lo scambio e a rendere le relazioni produttive. L’altro è
estraneo perché è amico: solo l’estraneità emancipa dall’amicalità obbligata quale rifugio dal
nemico, luogo ove sentirsi al sicuro, entro relazioni puramente ed esclusivamente affettive,
senza prodotto.
Intervento individualista: grado di collaborazione bassa, ostacolata, caratterizzata da
conflitti e resistenze, nel caso della committenza sociale; sarò formalmente una collaborazione
elevata, almeno nelle fasi iniziali di intervento, nel caso della committenza personale. Attuati
interventi che possono modificare il comportamento della persona problematica, o facilitare
una conoscenza più approfondita delle dinamiche emozionali interne alla persona stessa.
(astoricità e acontestualità). Fa perdere d’importanza e d’efficacia alla funzione psicologica
entro il sistema sociale.
Narrazioni: analizzate per cogliere il senso emozionale che ne fonda la valenza comunicativa.
Assume la connotazione di esprimere le neoemozioni. La componente narrativa dell’analisi

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della domanda è riferita al là e allora della situazione organizzativa di chi pone la domanda,
mentre assume una valenza emozionale che va ricondotta al qui ed ora della relazione con lo
psicologo.
ALLA BASE DELLA DOMANDA CHE SINGOLI, GRUPPI O ORGANIZZAZIONI
RIVOLGONO ALLO
PSICOLOGO VI E’ SEMPRE UNA SITUAZIONE CHE POSSIAMO DEFINIRE “VISSUTO
D’IMPOTENZA”.
Emozioni che motivano all’analisi della domanda
Abbiamo visto che entro la domanda vengono agite le NEOEMOZIONI. Diremo più avanti che
alla loro base c’è la fantasia di possedere, quale emozione che regge la relazione con gli
oggetti là dove non si riconosce l’estraneo, quindi non si pensa di poter produrre. POSSEDERE
E SCAMBIARE sono le due modalità con cui si piò strutturare la relazione con la realtà confusa
con le proprie fantasie, nel possedere; realtà riconosciuta come estraneo, nello scambio
produttivo. In particolare, il possedere si tratta del potere dell’uno sull’altro, visto nelle due
direzioni di chi esercita il potere o di chi lo subisce, desiderandolo. La relazione di potere, l’altro
canto, si scontra con l’impossibilità di realizzare la fantasia che lo sostanzia. Non si può
esercitare o subire il potere dell’uno sull’altro, in quanto il potere pretende di annullare l’altro o
se stessi entro la relazione, ma questo annullamento non è possibile. Si può costruire
l’illusione di una sua realizzazione, ma lo smacco è sempre in agguato. Di qui il sentimento di
impotenza, che rappresenta l’altra faccia della fantasia del potere. Possedere, farsi possedere,
sono modi per esorcizzare l’impotenza. Riconoscere il fallimento della pretesa neoemozionale
è l’obiettivo di sviluppo dell’intervento psicologico clinico.
Quando la convivenza è fondata sul potere, le relazioni si trasformano in rapporti deliranti,
ove l’altro non è visto nella sua esistenza autonoma e portatrice di esigenze altre dalle tue,
bensì quale competitore entro una relazione ove gli si attribuiscono le proprie intenzionalità, al
fine di farne il nemico da combattere o da sedurre, entro una lotta senza fine. Non sempre c’è
un modo di sottrarsi alla dinamica del potere. A volte, si deve uscire dalla relazione.
C’è però un modo per difendersi dall’impotenza: dare senso, tramite il pensiero emozionato,
alla situazione e accettarne i limiti. Quindi evitare la collusione e stabilire relazioni tra gli eventi
che si stanno vivendo.
Alla base della convivenza violenta è sempre rintracciabile la neoemozione di pretesa.
Pretendere: significa trasformare una relazione di convivenza simmetrica in una asimmetrica,
ove una qualsiasi ragione o pretesto funge da motore per creare rapporti di potere. La pretesa
è fondata su una specifica cultura, su una costruzione simbolico-emozionale che organizza e dà
senso alla pretesa che la legittima socialmente e ne fa un delirio condiviso. Alla base della
pretesa c’è la fantasia di possedere, di avere tutto per sé, quale espressione della paura di
perdere, di non possedere nulla, di essere messi da parte; può arrivare alla distruzione sia
dell’oggetto che si vuole possedere sia del soggetto della pretesa. E’ una modalità di
adattamento altamente gratificante: pur essendo destinata a fallire, è lo stesso fallimento che
nutre emozionalmente (delirio = agito emozionale entro la relazione) l’attore della pretesa.
Tutto ciò si ripresenta nella relazione con lo psicologo. Là dove, nel ricorrere ad una
competenza professionale, manca un’intenzionalità di scambio, di produzione fondata sul
reciproco riconoscimento d’estraneità, sono possibili due dinamiche emozionali: LA
DIPENDENZA (funzionale all’esercizio della professione medica) E LA PRETESA (
imbriglia la prestazione professionale). La dipendenza si trasforma in pretesa tutte le volte in
cui non è chiara la finalità che la prestazione professionale intende perseguire. Pretendere
significa anticipare l’obiettivo dell’intervento tramite l’agito delle fantasie del cliente entro la
relazione con lo psicologo. L’analisi della pretesa, quindi, è la condizione centrale per porre le
premesse dell’intervento psicologico. Rispondere alla pretesa con un’altra pretesa sarebbe, per
lo psicologo, il fallimento del suo intervento.

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Vantaggio secondario: vantaggio dello stare all’interno di una dinamica collusiva. Spesso è
legato alla mancanza di responsabilità e alla paura di scegliere e di andare incontro ai
cambiamenti della vita (ex: transizione all’età adulta).
NEOEMOZIONI
MODELLO DI ORGANIZZAZIONE EMOZIONALE DELLA RELAZIONE SOCIALE
FONDATO SUL
POSSESSO DELL’ALTRO E SULLA DINAMICA NEOEMOZIONALE. NEGA L’ESTRANEITA’ E
SOSTANZIA LA RELAZIONE CON LA FANTASIA DEL POSSESSO (RELAZIONE
ASIMMETRICA).
Neoemozioni: modalità di rapporto volte a perseguire il possesso dell’altro, o l’essere oggetto
del possesso dell’altro. Tale possesso può essere sostenuto da differenti modi di declinazione
della relazione.
Specificità delle relazioni neoemozionali:
--‐ non ci sono obiettivi produttivi per la relazione stessa;
--‐ la relazione è al servizio della sola gratificazione delle fantasie emozionali che la
sostengono;
--‐ rapporto sociale come opposto all’estraneità;
--‐ dinamica affettiva tra le persone è di tipo familistico;
--‐ non è richiesta, alle persone implicate, la consapevolezza del contesto in cui stanno
vivendo quella specifica esperienza;
--‐ conferiscono identità;
--‐ superamento del vuoto a cui condanna la dinamica del desiderio di possesso;
--‐ illusione di possedere.
La differenza tra le varie neoemozioni concerne le varie modalità relazionali utilizzate, atte a
POLO PIU’ DIFFERENZIATO
rendere possibile la fantasia del possesso.
Le neoemozioni si possono distinguere e classificare entro uno specifico criterio: il loro
progressivo specializzarsi e differenziarsi entro i contesti di convivenza.
 Possedere: la fantasia di possesso è fondata sulla valorizzazione idealizzata di ciò che
sta al fuori di sé, da cui ci si sente esclusi e che, per questo, si vuole portare dentro di
sé. Il potere dell’uno sull’altro è un luogo privilegiato per la spinta al possesso. Ciò che
esiste e non si possiede, viene vissuto quale sfida che non si può tollerare; più si cerca
di possedere, più ci si sente frustrati e lontani da qualche soddisfazione, Non si può
possedere nulla, se la finalità del nostro rapporto con le cose è il possesso. Il possesso
rappresenta quindi un elemento regolatore della relazione sociale, quando la relazione
stessa non è organizzata ai fini della produttività e dello scambio. Parallela alla fantasia
del possedere c’è quella dell’escludere, segnale di rifiuto di un riconoscimento
dell’estraneità che fonda la competenza a scambiare.
 Pretendere: possesso attraverso il RUOLO SOCIALE (dato o costruito entro le relazioni
sociali) . La pretesa fondata sul ruolo parentale è la più scontata. Ciò che interessa
rilevare è il fatto che la pretesa si propone quale forma specifica di possesso dell’altro.
In questo caso entra in gioco LA SIMBOLIZZAZIONE EMOZIONALE DEL RUOLO in nome
del quale si pensa di poter rivendicare diritti, pretendere appunto. La pretesa è la
compagna indissolubile del POTERE SENZA COMPETENZA. Quando il potere senza
competenza si propone come la componente principale di un ruolo sociale, allora il
pretendere sarà la forma di possesso che, chi riveste quel ruolo, si sentirà legittimato a
perseguire. Pretendere comporta la fantasia si ottenere dipendenza dall’altro, senza né
proporre né chiedere. La pretesa è una neoemozione estesa poiché il pretendere non ha
limiti. La persona da cui si pretende dovrà accettare o attivarsi in modo intraprendente,
secondo i casi e le circostanze. Due elementi importanti: - chi pretende non sa cosa

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vuole: pretendere è un modo di stabilire relazioni, senza confini e definizioni precise; la
POLO MENO DIFFERENZIATO
pretesa è vaga e la più grave minaccia, per chi pretende, sarebbe il vedere accolte e
soddisfatte le proprie pretese (scontentezza eterna); - la pretesa gode di una solida
legittimazione sociale: il pretendere può investire anche culture e credenze sociali.
Viene definita una neoemozione “primitiva” per la tendenziale non pensabilità
dell’azione che la caratterizza.
Pretendere nell’analisi della domanda: - psicologo: pretende di conferire, a priori
ed “a prescindere”, un ruolo specifico al suo cliente (colui che ha bisogno d’aiuto, che
soffre,…). In questo caso lo psicologo si mette al di fuori della competenza
professionale. Vi sono due possibili soluzioni: istituire un pensiero sul pretendere
oppure avventurarsi entro un agito perverso. - chi pone la domanda: nega l’estraneità
dell’interlocutore e vuole veder gratificate le proprie pretese. In questo caso il paziente
deve affrontare due problemi: accettare l’ignoto del rapporto che sta instaurando con lo
psicologo; spostare il baricentro della sua vita emozionale dall’agito entro un rapporto,
al proprio mondo interno e alla propria solitudine. Lo psicologo deve aspettare, instituire
una relazione che non risponda collusivamente (non si tratta di “non colludere” ma di
evitare una riposta collusiva con la pretesa, magari aiutando il cliente a guardare
ironicamente al suo pretendere); organizzare una modalità di rapporto volta a mettere
in discussione l’investimento simbolico del ruolo che fonda la pretesa. Un ostacolo
difficile da superare è l’identificazione con le proprie fantasie di pretesa; in questo caso
si parlerà di delirio poiché chi agisce le proprie fantasie entro la relazione, aderisce
totalmente all’agito emozionale senza che alcun pensiero, suo o dello psicologo
sull’agito, sia accettato o possibile.
 Controllare: si rinuncia all’interesse per un prodotto comune, in nome del controllo
della relazione. Chi controlla si sente continuamente minacciato dalla propria confusione
sul sentimento che prova per l’altro (piacere/sofferenza). Chi ha bisogno di controllare
vive nell’emozione di una potenziale, incombente, minaccia da parte dell’ “amico” e
vuole avere conferma che questo non è. Ciò comporta una sorta di regressione nelle
regole del gioco: scompaiono le assenze regolate dal segnale, e il sistema regredisce ad
un funzionamento volto alla ricerca di presenza del segnale. Restrizione del campo di
applicazione del pretendere; chi controlla pretende, a partire dal ruolo di amico, che
l’altro dimostri di essere amico. Controllando, si esporta la propria ambivalenza entro
l’agito emozionale; quindi si deteriorano le regole del gioco, trasformandole in una
dimensione non più costruita (come avviene del “verificare”) ma imposta da chi
controlla. Dalla verifica costruttiva si passa al controllo ossessivo e alla ricerca di una
presenza del segnale amico. Elementi caratteristici del controllo: - è più importante
controllare che sapere: ogni conoscenza ottenuta non sarà mai sufficiente a sedare i
sospetti; - vi sono situazioni sociali dove il controllo è istituito, e si propone quale
esplicito sostituto nella produzione: nel campo della leadership, della gerarchia e del
potere; - ciò che si vuole conoscere con il controllo non è la realtà delle cose ma la
sconferma dei propri sospetti: desiderio di possesso attraverso una pretesa di
conoscere, superando anche le distanze di rispetto che fondano le relazioni sociali (ex:
privacy); - il controllo si basa sull’assunzione di una propensione alla trasgressione, là
dove il controllo non sia esercitato; - il controllo si fonda sul vissuto d’una catastrofe
immanente, vissuto che comporta una gratificazione emozionale immediata suscitata
dal controllo stesso; - il controllo comporta uno sporcarsi le mani, un sospetto che
l’altro esista (a differenza del possesso) e un tentativo di entrare in relazione con lui,
uno scendere a patti, un verificare ciò che nella pretesa non era nemmeno messo in
dubbio (PRETESA :” Tu mi devi voler bene visto che sono tua mare” / CONTROLLO:” Tu,

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figlio mio, non mi vuoi più bene perché sono tre giorni che non dai nemmeno un colpo
di telefono a tua madre!”); - il controllo è la diretta conseguenza della frustrazione della
pretesa di essere l’unica fonte di emozioni e di interesse per l’altro: si controlla l’altro
quando questa pretesa fallisce; - il controllo è l’espressione dell’invidia verso la
produttività. Infine, quando si controlla si è totalmente centrati su di sé e sulle proprie
fantasie e si tende solamente a giustificare questo sospettare e controllare. Per chi
controlla è ovvio pensare che ci sia una doppia vita nelle persone e nei sistemi sociali,
ove ciò che appare è solo l’apparenza di una realtà nel diversa. Il controllo serve per
trasformare una relazione d’estraneità in un rapporto familista noto in cui è possibile
rilevare una forte propensione alla distruttività.
Il controllo nell’analisi della domanda: - controllo che il cliente esercita nei
confronti dello psicologo: il primo passo da parte dello psicologo è accettare il controllo
a cui il cliente lo sta sottoponendo, solo a patto che, insieme, siano in grado di capirne il
senso. Il controllo sembra garantire una sorta di possesso dello psicologo; sembra
esorcizzare l’abbandono passivo e dipendente che la relazione con lui necessariamente
comporta nella fantasia di chi controlla. – chi porta la domanda coinvolge lo psicologo in
una dinamica collusiva ove questi si presti a sostenere, diventar complice, prendere le
veci di chi pone la domanda, entro il controllo su qualcun altro: se lo psicologo collude,
diventa la “longa manus “ di un potere che non si rassegna, che vuol restaurare,
provvisoriamente e distruttivamente, quanto pensa di aver ingiustamente perso. Lo
psicologo invece deve restaurare il “potere antico” di madre, moglie, istituzione, ecc…
 Diffidare: la neoemozione di chi dipende ed è subordinato al controllo altrui(versione
passiva del controllo)
Diffidare è un modo per esprimere il dubbio entro i quali è relegato chi ha perso fiducia
nella realtà de rapporti amicali, senza poter far nulla per fronteggiare questo stato se
non arrovellarsi in pensieri contorti.
Si deteriora l’immagine dell’altro, ma al contempo non si ha la forza di rovesciarla entro
un’immagine nemica.;
Chi diffida:
-vive una sorta di sofferenza trattenuta; uno stato di perenne allarme
- non è mai certo della ragione che sostiene la sua diffidenza e non aderisce totalmente a essa;
-rimprovera nel timore di essere derubato di quello che gli spetta;
- non cerca riscontri nelle cose, pensa che debba essere l’altro, di sua iniziativa a rassicurarlo
entro un rapporto impossibile
- non cerca di confermare o meno la diffidenza ma invita implicitamente l’altro ad un
allontanamento dalla relazione. La finalità è rimanere sempre più soli trovando in questo una
ragione in più per diffidare. C’è la negazione di ogni possibile obiettivo produttivo della
relazione sociale.
- va dallo psicologo investendolo della propria diffidenza proponendogli quale problema quella
stessa diffidenza da cui si sente tormentato; si aspetta aiuto ma al contempo è perplesso sulla
reale competenza dello psicologo.
-chiede che lo psicologo si occupi di altre persone.
-chiede di essere accettato nella sua diffidenza, di poter agire questa emozione senza essere
rifiutato; lo psicologo, accogliendo di essere oggetto della diffidenza altrui, si pone in modo del
tutto diverso da quello cui è abituato chi diffida.
Lo psicologo non deve essere coinvolto nella relazione, solo così potrà accettare la diffidenza
nella domanda, non reagire collusivamente, guardare ironicamente alle provocazioni che evoca
nell’interlocutore, aiutarlo a un pensiero sull’emozione e sugli agiti che la diffidenza induce
entro la relazione di domanda.
Ogni tentativo di chi è oggetto di diffidenza, di convincere chi diffida a smetterla, otterrà

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l’effetto opposto; e chi non facesse nulla per convincere il diffidente confermerà la sua
diffidenza.
Con chi diffida va rispettato il setting, le regole e i patti.
Lo sviluppo della diffidenza:
Triangolazione del rapporto particolarmente pressante;
 Lamentarsi: Strumento per l’invasione emozionale del terzo (alleato), avendo quale
oggetto del discorso il vissuto frustrante sperimentato entro la relazione con l’altro di
cui ci si lamenta. Chi si lamenta ha perso ogni controllo diretto di quest’ultimo, ha il
sentimento di non riuscire più a possederlo.
Chi si lamenta:
-ha la speranza implicita che il terzo possa contribuire a colpevolizzare ad esempio la
figlia ricordandole la situazione precaria e sofferente ad esempio della madre.
-comunica il proprio disappunto, l’amara delusione che l’altro esista con una sua
identità. Esprime un lutto inaccettabile per la perdita di una parte di sé, identificata con
l’altro e sentita come distrutta dal fatto che l’altro non vi corrisponda.
-vorrebbe che fosse l’altro a intuire ciò che non si riesce a precisare del suo desiderio;
dovrebbe bastare il lamento perché l’altro si attivi e risolva le ragioni del lamento.
-parlando a un terzo non corre il rischio di un confronto con l’oggetto del proprio
desiderio (denuncia di emozioni: rabbia, abbandono, ingiustizia)
non può raggiungere la gratificazione perché manca l’oggetto;
Lo psicologo deve essere in grado di sopportare l’emozionalità che viene veicolata su di
lui senza farsi distruggere e accogliere il lamento.
Ha una funzione diversa rispetto agli altri possibili “ascoltatori”: tutti tendono ad
ascoltare chi si lamenta, a mostrare solidarietà collusiva ed è questo il modo più rapido
ed efficace di liberarsi dalla presa tormentosa di chi si lamenta. Questo rende difficile
per il lamentoso la comprensione delle ragioni e delle dinamiche del lamentarsi.
Lo psicologo non si limita a non colludere con le fantasie agite, ma propone nuove aree
collusive fondate sull’ascolto, sull’accettazione della paura di una relazione, e sul senso
di tale paura.
 Preoccuparsi: impotenza vissuta da parte di chi si preoccupa nella relazione con
l’altro.
Quando ci si preoccupa, si chiama in causa il terzo come se fosse un genitore
preoccupandolo a sua volta su quanto sta facendo il figlio piccolo.
È spesso l’alternativa legittimata dell’invidia nei confronti di qualcuno che cerca strade
nuove.
Il preoccupato:
-si preoccupa di quanto fa l’altro, del suo comportamento e di quanto tale
comportamento possa veicolare un desiderio. Ci si sente tagliati fuori dall’azione
dell’altro.
vede con forte sospetto ogni possibile cambiamento nell’assetto sociale; rappresenta
chiaramente la risposta difensiva al fallimento della preoccupazione.
-risolve tutto suggerendo dubbi a un terzo implicandolo nella vicenda, rendendolo
responsabile di quanto accadrà riparandosi dietro a difese.
-declina la propria impotenza di fronte al nuovo; conferisce potere al terzo solo a patto
che il potere venga usato nella direzione che la preoccupazione indica con precisione ,
cioè ricondurre la situazione ad un ideale status quo.
Lo psicologo pone in crisi la posizione terza nella quale lo vuol mettere il preoccupato,
per affrontare direttamente la relazione con lui.
Deve analizzare la dinamica della preoccupazione per ridare iniziativa a chi si era
rifugiato nella passività, a consentirgli di intervenire direttamente nella situazione

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preoccupante e stabilire quei rapporti diretti che la preoccupazione vorrebbe spostare a
una persona terza.
Con l’agito della preoccupazione nei confronti dello psicologo ,chi pone la domanda
pretende di vivere e far vivere allo psicologo la teoria per cui le emozioni non devono
essere capite ma sono a fondamento della
realtà.
Pretende di vedere lo psicologo schierato al suo fianco nell’accettare la preoccupazione,
pronto ad intervenire nella direzione che la preoccupazione prevede. Il lavoro di analisi
sarà possibile solo se il paziente accetta di capire insieme allo psicologo il senso della
sua preoccupazione.
Lo sviluppo del controllo
Il controllo si declina in due modi: provocare e obbligare. La trasformazione del controllo
avviene grazie ad una precisazione sempre più evidente dell’oggetto su cui si rivolge la
dinamica neoemozionale.
 Provocare: significa “chiamare in causa l’altro” ed è il preludio di un’aggressività
agita.
Chi provoca:
-confonde l’amico e il nemico( L’altro non può esistere se non ha come centro della sua
esistenza il persecutore); ciò offre un buon supporto emozionale ai sistemi di potere
incompetente;
- negando la dipendenza funzionale dell’altro, costruisce rapporti asimmetrici fondati
sull’emozionalità agita. Nella provocazione spesso è implicita la simbolizzazionedel provocato
come di una persona dotata di maggior potere se confrontato con chi provoca. Nasce Infatti
alla base c’è l’incompetenza a istituire rapporti che includano la relazione con l’estraneo.
- non pensa le sue emozioni ma chiede l’immediato e collusivo riscontro; serve a usare la
competenza dell’altro o del contesto al fine di contenere la provocazione.
-vuol rovesciare e regole del gioco esistenti e sostituirle con continue eccezioni alla regola,
fondate sul potere del più forte così che provocatore diventa colui che è provocato ed è
costretto a reagire alla provocazione. Nell’esperienza di convivenza è essenziale condividere le
regole: scusarsi e ricordare la regola è una provocazione.
- vuol sostituire un sistema di convivenza fondato su regole condivise, esplicitate e verificabili,
con un sistema di relazioni fondato su un conflitto istituito , cioè senza prodotto; l’estraneità
può essere riconosciuta e valorizzata nella relazione di scambio, solo entro in contesto di
regole del gioco certe e condivise. Chi perverte le regole del gioco, si oppone alla relazione
fondata sull’estraneità. Le regole del gioco sono in rapporto con le risorse impegnate per la
realizzazione del prodotto.
-con la disattesa delle regole vuole istituire l’illusione che le risorse non abbiano limiti, e che
l’unico vincolo sia dato dall’esercizio del potere (fantasia delle risorse infinite); lo scopo è
evitare di :stare ai limiti, sostituirli con l’esercizio di un potere incompetente; di stabilire
rapporti. Il limite è l’azzeramento dell’estraneità; il vantaggio, perseguire il massimo
d’economia evitando di pensare e di dare senso alle proprie emozioni e di rifuggire dal trovare
un fattore comune con l’altro.
-manifesta la paura di non essere visto (esibizionismo) dichiara il suo sentimento d’impotenza
nell’ipotizzare e utilizzare altri strumenti.
- manifesta senso di inferiorità che nasce dalla dipendenza sentita come non tollerabile nei
confronti di chi è provocato e pensa di poterla momentaneamente compensare con la sua
sottomissione.
-può attentare al setting nella relazione qui ed ora dettando le condizioni di lavoro
-ha l’abitudine di parlare di ciò che succede nella vita reale (parlare senza troppo impegno =
svuotare di senso con la banalizzazione della competenza dello psicologo)

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- la sua tipica provocazione è quella che lo psicologo non serve a nulla
-può attaccare lo psicologo fisicamente o moralmente perché invidioso e sente il bisogno di
distruggere chi è stato idealizzato quale fonte d’aiuto e perché gli riesce difficile vivere una
relazione di dipendenza.
 Obbligare: è una misura difensiva contro il rischio rappresentato dal chiedersi cosa si
desidera e dall’impegnarsi a perseguirlo, investendo a tal fine sull’estraneo. Riempirsi di
obblighi comporta sempre un appello pressante ad altri con i quali si è in rapporto.
La relazione fondata sull’obbligo funziona solo se l’altro accetta la dipendenza fondata sulla
colpevolizzazione. Il sacrificio di chi si obbliga ha senso solo se viene reciprocato se è
contenuto dalla colpa dell’altro;
Sostituisce la realtà del costruire e del produrre con la fantasia dell’impossessarsi (fantasia che
ci sia un sapere di cui ci si può impossessare che sostituisce la realtà di una competenza
costruita dai propri progetti e dalla propria esperienza pensata).
Una variante è l’oblatività squadernata vissuta in nome dell’altro e dell’amore che si porta nei
suoi confronti (se lo faccio, lo faccio per te!) usata contro l’altro al fine di ricordargli quanto
sarebbe immerso nella miseria e nell’incapacità se non si fosse pensato a lui. L’oblatività
caratterizza colui che si obbliga per obbligare.
La fantasia che un obbligo vincoli lo psicologo è funzionale a quella che lo vorrebbe coinvolto in
agiti con chi pone la domanda.
La relazione con lo psicologo è vista quale luogo per agire fantasie di possesso o per vincolare
questo agito tramite fantasie d’obbligo in entrambi i casi viene negata la professionalità
psicologica.
Altre volte le persone pensano che, una volta stabilito l’obiettivo del rapporto professionale,
potranno isolare quell’obiettivo e lasciare ogni altro aspetto della relazione all’agito di
emozioni.
La domanda portata concerne il desiderio di vedere condannato chi non ha colto la propria
sacrificalità e stigmatizzare questa trascuratezza. Viene richiesto di valorizzare l’obbligo contro
l’esperienza libertaria di chi vi si è sottratto.
SCHEMA
--‐ CHI PONE LA DOMANDA ALLO PSICOLOGO? (Committenza e mandato sociale)
--‐ QUALE DOMANDA PONE? (Domanda esplicita e implicita)
--‐ CHE COSA HA “FATTO CRISI”? (Dove sta la rottura della collusione?)
--‐ QUALI DINAMICHE COLLUSIVE SONO IN ATTO? (Nel “qui e ora” e nel “là e allora”)
--‐ QUALI NEOEMOZIONI SONO IN GIOCO? (Nel “qui e ora” e nel “là e allora”)
--‐ QUALI IPOTESI DI SVILUPPO?

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