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Aggressività

L’aggressività è presente in qualsiasi ambito dell’esistenza umana “reale”: Relazioni intime (ad es.,
violenza sul partner, abuso infantile); Interazioni tra pari nel contesto educativo (ad es., il
bullismo); Interazioni tra gruppi etnici diversi (ad es., aggressioni a sfondo razziale); Contatti tra
gruppi etnici o nazionali su larga scala (aggressività istituzionalizzata). Ma è molto presente anche
nel mondo virtuale, come ad esempio nelle interazioni nei social media (ad es., flaming,
cyberbullismo).

Cos’è l’aggressività? - L’azione aggressiva è intesa come qualsiasi comportamento intenzionale


che mira a provocare dolore a livello fisico o psicologico, conta la motivazione che sta sotto al
comportamento, ovvero la volontà, l’intenzione di danneggiare o arrecare danno a qualcun altro,
non conta il risultato.
È comportamento aggressivo la molestia verbale contro qualcun altro (alcuna conseguenza fisica);
non è comportamento aggressivo l’investimento accidentale (involontario) che causa la morte di
una persona (conseguenza estrema).
Berkowitz dà una definizione ben precisa di aggressività. Vi sono due tipi di aggressività, la prima è
quella di tipo ostile, ovvero un’azione impulsiva, si può intendere come una reazione ad un’azione
precedente, è quindi un atto provocato da un sentimento di rabbia e mirante a infliggere dolore o
un danno, non passa da un nostro calcolo di costi e benefici, è una semplice reazione; il secondo
tipo è di tipo strumentale, ovvero un’azione premeditata, razionale. È legata al desiderio di
ottenere vantaggi a spese della vittima. È spesso legata ad un calcolo di costi-benefici. Un’altra
distinzione che viene fatta in ambito generale psicologico è quella che vede di nuovo due forme di
aggressività. La prima forma è l’aggressività diretta, comportamento intenzionale finalizzato ad
arrecare danno diretto alla vittima; la seconda forma è l’aggressività indiretta, ovvero comprende
un comportamento intenzionale finalizzato ad arrecare un danno “sottile” e sociale, un danno che
va da intaccare la reputazione sociale della vittima.
Bisogna distinguere molto bene aggressività e violenza. Anderson e Bushman sono gli autori che
recentemente si sono occupati della violenza e aggressività. Secondo questi due psicologi la
violenza si colloca sotto l’aggressività. L’aggressività umana è un qualunque comportamento
intenzionalmente rivolto verso un altro individuo con l’obiettivo di provocare dolore fisico o
psicologico, la violenza invece, è una forma di aggressività che ha come obiettivo quello di
provocare un dolore estremo alla vittima. Ecco che Anderson e Bushman affermano che Tutte le
forme di violenza sono aggressive ma non tutte le forme di aggressività sono violente.
Una volta definite le distinzioni dei vari tipi di forme di aggressività, si deve affrontare un dibattito
che vede scontarsi due prospettive, la prima afferma che l’aggressività sia qualcosa di innato e la
seconda invece sia data dai costrutti sociali. Secondo l’empirista inglese Hobbes, l’uomo è un
essere bruto, che allo stato naturale vive nella violenza e la utilizza naturalmente, solo con la
costruzione sociale questa va a sparire. Anche Freud è della stessa idea del filosofo inglese,
secondo F. l’uomo ha un istinto innato verso la morte e annientamento che li porta a compiere
azioni aggressive. L’istinto aggressivo necessita di una valvola di sfogo. a società e le norme sociali
giocano un ruolo fondamentale per contenere questo istinto e nel trasformarlo in comportamenti
“non distruttivi”. Vi sono anche delle teorie
Critiche alle teorie evoluzionistiche:
biologiche ed evoluzionistiche che hanno cervato di
Empiricamente difficilmente
trasporre le teorie di specie animali su quella umana.
verificabili. Esistono dei
Secondo questo approccio i comportamenti
comportamenti aggressivi da parte
aggressivi sono innati e sono funzionali alla
degli esseri umani non spiegabili da un
sopravvivenza individuale ed al mantenimento della
punto di vista evoluzionistico
specie. Nel mondo animale, per garantire il diritto di
accoppiarsi e per la difesa della propria prole. Ecco che tra gli esseri umani avviene per assicurarsi
un vantaggio sociale ed economico. Spiegare i comportamenti aggressivi dell’uomo moderno
secondo dei principi evoluzionistici è molto poco efficace e scorretto. Ci sono degli spunti che si
possono usare per spiegare i comportamenti aggressivi dell’uomo.

La psicologia sociale non confuta il fatto che l’aggressività ha una componete innata ed istintuale,
ma aggiunge che vi siano dei fattori
situazionali e sociali che possono
scatenare o inibire comportamenti
aggressivi. Come tutti i comportamenti
umani è determinata da più fattori, ci
sono delle macro categorie che
possono essere considerati come
antecedenti. Tutti i fattori antecedete
correlano l’aggressività, ma quasi
sempre o comunque in determinati
contesti ci sono dei fattori che giocano
un ruolo fondamentale in
comportamenti aggressivi. Berkowitz
porta delle prove a favore di questo
approccio. Prese due comunità umane differenti e andò a registrare la percentuale dei
comportamenti aggressivi in queste due comunità. Molte comunità “primitive” (ad es., pigmei
dell’Africa Centrale, arapesh della Nuova Guinea) convivono in rapporti armoniosi sia al loro
interno che con altre comunità. In altre comunità “civilizzate” (ad es., US) la violenza e
l’aggressività in diversi ambiti (ad es., scuola, famiglia) è un fatto comune. Queste prove andavano
a favore delle differenze culturali come elicitanti di aggressività. Un’altra prova viene data
riferendosi ai cambiamenti sociali. Particolari cambiamenti sociali all’interno di una stessa
comunità possono influire sull’aggressività. Gli Indiani Irochesi erano un popolo che fino al 1600
conviveva in rapporti armoniosi sia all’interno del gruppo sia con le altre comunità. Dopo l’arrivo
degli Europei e l’intensificazione dei rapporti commerciali, aumentarono significativamente la
rivalità e le guerre con i popoli vicini.
Fattori biologici e differenze di genere- I fattori biologici che sembrano influenzare i
comportamenti aggressivi sono:
1. amigdala nucleo del cervello che se stimolata, aumenta il livello di aggressività; se inibita
produce l’effetto contrario. È un maccanismo empiricamente provato, ma modificabile da
fattori situazionali e sociale.
2. testosterone questo specifico ormone sembra essere correlato con il presentarsi di
comportamenti aggressivi di tipo diretto fisico. Un alto tasso di questo tipo di ormone più
sarà alto il tasso dei comportamenti aggressivi. È un ormone sessuale maschilemaggior
aggressività fisica dei maschi (sia bambini che adulti) rispetto alle donne. In realtà, la
relazione alti livelli di testosterone maggior aggressività molto debole, spiega in minima
parte il perché dell'aggressività maschile vs. femminile.
Ambiente fisico- Ambiente fisico con condizioni sfavorevoli (ad es., alta temperatura,
inquinamento acustico, umidità) associato ad un aumento dell’aggressività. Vi è una correlazione
tra le alte temperature e i comportamenti aggressivi, heat effect, lo stesso principio può verificarsi
quando si ha una ambiente con molto inquinamento acustico, tutto ciò è legato all’aumentare
della frustrazione e dell’Arousal negativo. Questa è una spiegazione in qualche modo adatta per
spiegare l’aggressività ostile, non quella strumentale.
Differenze individuali- Diverse caratteristiche sembrano essere associate all’aggressività:
1. genere della persona è una viene abbastanza superata, visione per cui persone di
genere maschile siano molto più aggressive di quelle di genere femminile. In una recente
meta-analisi si vede che un’aggressività di tipo diretto, fisico è associata al genere
maschile, l’aggressività di tipo indiretto è associata invece essere più associata al genere
femminile, ma ha una potenza dell’effetto molto piccola rispetto all’effetto dell’aggressività
diretta.
2. Big five Amicalità e Coscienziosità sono correlate negativamente con l’aggressività, il
nevroticismo invece è correlato positivamente.
3. autostima i livelli di autostima di una persona possono influenzare il presentarsi dei
comportamenti aggressivi. Vi è una correlazione positiva tra i livelli di autostima e livelli di
aggressività. Più sono alti i livelli di autostima più sono associati a maggio aggressività e la
messa in atto di comportamenti aggressivi con minor senso di colpa. 
4. narcisismo è un tratto di personalità definito come una tendenza a considerare sé stessi
e le proprie qualità come degne di ammirazione, ad alti livelli di narcisismo sono legati lati
livelli di aggressività. Persone con alto narcisismo più sensibili alla messa in discussione
della loro immagine quando percepiscono che qualcuno minaccia la loro immagine, più
propensi alla messa in atto di comportamenti aggressivi, l’aggressività è diretta, mirata
esclusivamente al target.
5. Assunzione di sostanze psicoattive l’assunzione di alcool è fortemente legata al
comportamento aggressivo. L’alcool favorisce la disinibizione della persona, più probabile
quindi che metta in atto comportamenti aggressivi. Vi è uno studio che va a verificare ciò
Esperimento di Taylor e Sears (1988), i partecipanti erano degli studenti universitari che
venivano sottoposti a degli stimoli sociali sotto effetto dell’alcool. Tutti i partecipanti
dovevano assumere una quantità di alcool ingente, situazione sperimentale; invece, nel
gruppo di controllo veniva dato loro un placebo. La prova consisteva in un test di velocità di
risposta al computer, tutto era sistematizzato e standardizzato. Tutti i partecipanti
competevano poi con un'altra persona (complice dello sperimentatore) in un compito di
velocità al computer composto di diverse prove. Per ogni prova, il vincente avrebbe dovuto
somministrare una scossa elettrica al perdente, il partecipante ingenuo doveva scegliere la
l’intensità della scossa. All’interno del laboratorio vi era il partecipante ingenuo, il
confederato e un altro collaboratore dello sperimentatore, che incitava a impartire la
scossa più forte. L’incitazione del collaboratore era stabilita ed era messa in atto in questo
modo: Prima fase: Nessuna influenza (nessun incitamento); Seconda fase: Lieve influenza;
Terza fase: Forte influenza; Quarta fase: Nessuna influenza. I risultati dimostravano che in
media chi aveva assunto alcool impartiva le scosse più altre mettevano in atto dei
comportamenti aggressivi. Vi è un effetto di
interazione, ovvero l’assunzione di alcool porta da
una maggiore inibizione e porta a farsi influenzare
maggiormente assunzione di alcool/inibizione
sociale/aggressività.
Teorie dell’aggressività-Teoria della frustrazione-
aggressività (1939) Dollard e colleghi affermano che gli
atti aggressivi partono dalla frustrazione, lo stato di
frustrazione lo si sperimenta quando percepiamo di essere
deprivati, nella formulazione originale D. parla di
deprivazione oggettiva, ovvero si percepisce che un bisogno e un desiderio viene frustrato, ovvero
non si riesce a raggiungerlo nasce la frustrazione  derivatifrustrati. La frustrazione produce
uno stato di arousal, di attivazione interna, che necessariamente deve essere sfogata verso
l’esterno, con dei comportamenti aggressivi. Quando secondo D. e colleghi vi è uno stato che è
esterno sia ai fattori biologici sia ai fattori individuali che porta all’aggressività. A questa teoria
viene aggiunto anche il concetto di capro espiatorio, la carica aggressiva non può essere sempre
sfoga sull’oggetto della frustrazione, poiché si trova in uno status gerarchicamente superiore, non
è identificabile o non è immediatamente disponibile; quindi, si devia la carica di frustrazione su un
altro oggetto, per essere un capro espiatorio questo oggetto deve essere: • Diverso rispetto
all’individuo o gruppo fonte di frustrazione • Debole • Esposto, facilmente individuabile. Es1.
Hovland e Sears (1940): ricerca d’archivio negli Stati Uniti del Sud durante gli anni ‘50: la continua
diminuzione del prezzo del cotone (stato di frustrazione), la causa della frustrazione non era
oggettivabile e d identificabile la causa effettiva si disloca verso qualcos’altro il carpo
espiatorio era un gruppo debole ed esposto. Ecco che la frustrazione era associata con l’aumento
di aggressioni razziali da parte dei bianchi verso le persone di colore. Es2. Germania nazista:
grande adesione a ideologie distruttive e aggressive verso gruppi minoritari (ad es., Ebrei, Rom)
causata da un passato di frustrazioni e umiliazioni dovute dal crollo dell’economia tedesca.
Gli aspetti positivi di questa teoria è che fu la prima a prende le distanze dalla concezione di
aggressività come istinto innato, ma come derivante da uno stato psicologico dell’individuo.
Vi sono però degli aspetti problematici che hanno sollevato numerose critiche.
a. La frustrazione è un importatane antecedente dell’aggressività umana, ma non è l’unico
la frustrazione non determina sempre comportamenti aggressivi.
b. Non tutti i comportamenti aggressivi possono essere spigati dalla deprivazione e dalla
frustrazione, soprattutto i comportamenti aggressività strumentale.
Teoria stimolo-segnale/neo-associazionista Berkowitz (1989) rappresenta una rielaborazione
della teoria della frustrazione-aggressività. La base di partenza è la stessa della teoria precedente,
ma ciò che questa teoria cerca di elaborare maggiormente è lo stato di arousal l’aumento di
energia aggressiva non è detto che porta a degli stati aggressivi. Ciò che aumenta la possibilità che
si passi dallo stato interno di attivazione all’atto aggressivo è la presenza dell’ambiente sociale di
indizi che portano verso la direzione dell’aggressività, che funziona come stato cognitivo, ovvero
come uno script associato all’aggressività. Vi è uno studio che spiega molto bene questo fatto.
Studio di Berkowitz e LePage (1967) partecipati svolgevano un compito che veniva valutato da
un complice dello sperimentatore, se il compito fosse stato sbagliato i partecipanti avrebbero
ricevuto un rinforzo negativo, scossa elettrica
aumentare la frustrazione. Vi erano due condizioni
sperimentali Nella prima venivano
somministrate molte scosse elettriche, che
aumentavano la frustrazione dei partecipanti, nella
seconda condizione venivano Somministrate un
numero esiguo di scosse elettriche (partecipanti
non frustrati). Nella seconda fase al partecipante si
dava la possibilità di impartire le scosse ad un altro
partecipante, ovvero un confederato. In questa
fase metà dei partecipanti facevano il compito con accanto un fucile, stimolo aggressivo, anche se
non lo usavano, nella condizione di controllo non era presente nessun oggetto. I risultati sono due:
1) conferma la teoria della frustrazione-aggressività, ovvero più alti erano i livelli di frustrazione
più erano alti i comportamenti aggressivi; 2) il comportamento aggressivo determinato dalla
frustrazione erano molto più alti se vi erano lo stimolo aggressivo. Effetto di interazione
frustrazione-stimolo.
Questa teoria viene spesso tirata in ballo negli USA in alcune circostanze, come nelle sparatorie
nelle scuole nei paesi in cui vi è una gran disponibilità di armi e la grande facilità di armarsi la
percentuale di aggressioni con armi da fuoco è molto alta. È possibile che una delle spiegazioni è
proprio la teoria segnale-stimolo. Sempre secondo questa teoria è possibile pensare che in
contesti in cui fin dall’infanzia si è esposti ad interazioni aggressive è più probabile che la risposta
di tipo comportamentale ad uno stato di frustrazione e non solo sia aggressiva.
Teoria del trasferimento di eccitazione Zillman 1979 questa teoria afferma che l’eccitazione
psicologica abbia un ruolo fondamentale
nell’interpretazione cognitiva delle condotte
aggressive. Infatti secondo Zillman l’eccitazione
psicologica derivante da un’esperienza precedente si
dissipa in maniera molto lenta e può influenzare il
comportamento di una persona in una situazione
successiva.
Teoria della deprivazione relativa Crosby
(1976)Può applicarsi a molti ambiti
comportamentali, non nasce per spiegare
l’aggressività, ma semplicemente per spiegare cosa sia
la deprivazione, che può portare a comportamenti aggressivi. È una teoria che parte da una critica
della teoria frustrazione-aggressività, mette in discussione l’idea di deprivazione, ovvero stato in
cui l’individuo non raggiunge i propri desideri o bisogni primari. L’idea di deprivazione che scatena
la frustrazione non è oggettiva, si definisce deprivazione oggettiva solo quando i nostri bisogni
primari non sono stati raggiunti, tutta l’altra parte della deprivazione che è molto più psicologica è
quella soggettiva. Questa deprivazione si crea attraverso il confronto sociale La frustrazione non
è uno stato oggettivo, non si limita a una deprivazione di bisogni più o meno primari, ma è uno
stato soggettivo. Ciò l’individua mette in atto per far nascere la percezione di uno stato di
deprivazione è confrontarsi con soggetti simili a noi e che percepiamo in una posizione superiore.
Quando la deprivazione che nasce dalla testa dell’individuo e che nasce dal confronto sociale o con
persone che percepiamo simili a noi o con un altro tipo di confronto di tipo temporale, l’individuo
confronta lo stato attuale con quello passato (spesso idealizzato), se si percepisce che le condizioni
erano migliori allora nasce uno stato di deprivazione, questo avviene tra gruppi o con sé stessi.
Teoria dell’apprendimento sociale Bandura (1973) Bandura pensava che se l’aggressività si
potesse apprendere tramite osservazione diretta, i comportamenti aggressivi sarebbero stati
molto pochi e limitati. L’aggressività viene appresa indirettamente. L’apprendimento
dell’individuo non si sviluppa soltanto attraverso il contatto diretto con il mondo circostante, ma
avviene anche attraverso esperienze indirette, sviluppate attraverso l’osservazione di altre
persone (modelli). Con l’osservazione di altre persone si vanno a creare dei modelli, questo
processo è detto modellamento, ovvero un processo di apprendimento che si attiva quando
l’atteggiamento e/o il comportamento di un individuo che osserva si modifica in funzione del
comportamento di un altro individuo (modello). Osservazione di un comportamento aggressivo
altrui aumenta probabilità che l’individuo metta in atto comportamenti aggressivi. Questa teoria
è usata per spiegare l’influenza che hanno i mass media sui comportamenti aggressivi. La
dimostrazione più famose di questa idea di apprendimento sociale è l’esperimento del pupazzo
Bobo. I Partecipanti erano bambini in età prescolare o scolare, venivano portati in una stanza con
diversi giochi, tra cui il pupazzo Bobo. Ed erano assegnati casualmente a tre condizioni
sperimentali, nella Condizione modello aggressivo un complice dello sperimentatore adulto si
dimostrava aggressivo verso Bobo. Nella Condizione di modello pacifico il complice giocava con le
costruzioni di legno, senza mostrare alcun comportamento aggressivo ed infine nel Gruppo di
controllo i bambini giocavano da soli e liberamente, senza alcun adulto. Nella condizione di
modello aggressivo, i bambini mettevano in atto più atteggiamenti e comportamenti aggressivi
verso Bobo rispetto alla condizione di modello pacifico e di modello neutro. I bambini nella
condizione di modello aggressivo non solo mettevano in atto gli stessi atteggiamenti e
comportamenti aggressivi attuato dall’ adulto ma ne sviluppavano anche di nuovi. Vi è un’altra
teoria che si associa a quella dell’apprendimento sociale di Bandura ovvero la teoria degli script.
Questa teoria vede gli script come dei copioni
che vengono appresi e seguiti per semplificare e
interpretare comportamenti e situazioni sociali
che si ripetono.
General aggression model Anderson e Bushman
(2002) è una teoria che cerca di mettere
insieme le varie teorie precedenti. La teoria si
struttura i tre fasi differenti:
1. Fattori prossimali, in termini di
differenze individuali, variabili stabili che
riguardano la loro individualità; fanno
parte anche dei fattori prossimali i fattori situazionali e l’ambiente sociale. Entrambi i
fattori svolgono il ruolo di trigger per i processi interni, che sono di tre tipi
2. Processi interni
a. Affettivi, emozioni negative di tipo proattivo
b. Attivazione psicologica, il vero e proprio arousal
c. Attivazione cognitiva, preparano al comportamento aggressivo
3. Conseguenze comportamento aggressivo. Se gli stati interni vanno verso l’aggressività
tutta l’attivazione di traduce in un comportamento aggressivo.
Questa teoria insieme a quella di bandura viene dato un grande accento ad un fattore
prossimale, ovvero l’esposizione a mass-media violenti.

Esposizione a mass-media violenti- L’esigenza di studiare la relazione tra aggressività e


l’esposizione a mass-media violenti è molto aumentata negli ultimi anni, dato che gli individui in
età di sviluppo vengono sottoposti a questo tipo di influenza, ma il fattore prossimale importante
da tener conte è che la violenza rappresentata dai mass-media non viene punita e spesso
glorificata. Vi è un rapporto causa-effetto positiva tra l’esposizione a contenuti violenti e
aggressività. Gli aspetti da chiarire sono gli effetti a breve e a lungo termine, i paradigmi
sperimentali usati vanno a misurare l’effetto subito dopo l’esposizione, i risultati dimostrano che
subito dopo l’esposizione vi è una relazione statisticamente significativa, questi sono solo gli effetti
a breve termine. L’altro aspetto da tener a mente è il fatto che esiste una relazione tra mass-media
e aggressività vi è una relazione bidirezionale, livelli a priori di differenze individuali possono
portare l’individuo a scegliere tipi di mass-media aggressivi piuttosto che altri.
La relazione causale tra aggressività e mass-media è portata da un processo di desensibilizzazione,
ovvero il processo che deriva dalla continua esposizione a comportamenti aggressivi porta ad
assumerne questo aspetto come normale aumento della desensibilizzazione con aumento
dell’esposizione a comportamenti aggressivi e violenti. Lo studio di Black e Bevan (1992) è stato
condotto sul campo. Veniva chiesto di compilare un questionario ai cittadini canadesi che stavano
entrando in un multisala, il questionario misurava il loro grado di aggressività. Chiedevano poi alle
persone che film sarebbero andata vedere dividendo i film disponibili in film dai contenuti
aggressivi e fil dai contenuti non aggressivi. Dopo la visione del film veniva misurata l’aggressività
con una scala un po’ diversa dalla prima. I risultati mostravano che chi era andato a vedere un film
violento mostrava livelli più alti di aggressività in post, rispetto ai partecipanti che erano andati a
vedere un film non violento. Ma vi è un altro risultato che dimostra che questi effetti erano
particolarmente accentuati da chi aveva dei livelli di aggressività iniziale superiore. Ecco che si
parla di relazione bidirezionale.

Esclusione sociale e aggressività- l’esclusione sociale è un ambito molto studiato dalla psicologia
sociale. L’esclusione sociale viene definita come l’esperienza/percezione che gli individui hanno di
essere separati da altre persone dal punto di vista fisico o emotivo, è stata studiata dal punto di
vista del soggetto. (durante il lock-down si è esperito l’isolamento sociale). Ci sono due tipi di
esclusione sociale:
1. Rifiuto sociale l’individuo percepisce che per gli altri non è ben accetto con
comportamenti e atti comunicativi non verbali.
2. ostracismo comprende l’esperienza di essere ignorati, si percepisce di essere invisibili. È
una forma molto invasiva e ha delle conseguenze molto potenti sull’individuo.
Solitamente la percezione di esclusione sociale è l’esperienza sociale che elicita un numero più alto
di emozioni negative, che vanno dalla rabbia alla tristezza. Una delle motivazioni riguardo a questo
fatto è il bisogno primario di appartenenza sociale, è un bisogno che ci portiamo evolutivamente
dietro. L’esclusione sociale è una delle esperienze che provoca il maggior grado di frustrazione. Il
bisogno di appartenenza è universale, non è quindi specifico di una cultura o di un determinato
gruppo sociale, ci accompagna per tutto il ciclo di vita, Il bisogno di appartenenza accompagna gli
individui fin dai primi istanti di vita sino agli ultimi giorni dell’esistenza delle persone. Si è molto
sensibili all’esclusione nel periodo adolescenziale. È così importante anche perché consente
l’accesso alla soddisfazione di tutti gli altri possibili bisogni e desideri. Il bisogno di connessioni
sociali è il bisogno chiave, quello che se soddisfatto consente l’accesso alla soddisfazione di tutti gli
altri possibili bisogni (fisiologici e psicologici) e desideri di un essere umano. Sembra inoltre che le
parti celebrali che si attivano quando si percepisce l’esclusione sociale, o qualsiasi dolore sociale,
siano molto simili se non le stesse del dolore fisico.
L’esclusione sociale è associata ad un
ampio numero di conseguenze per
l’individuo, come maggior suscettibilità
all’influenza sociale, sintomi depressivi,
minor aspettativa di vita,(come si può
vedere nella meta-analisi di Holt-
Lunsand del 2021, in cui si mette in luce
la similitudine tra l’aspettativa di vita di
persone che percepiscono un’esclusione
sociale cronica e chi fuma, ed infine
l’aggressività). L’aggressività scatenata
da esclusione sociale è molto intensa e
principalmente diretta dalla fonte di esclusione sociale. Un esempio di aggressività scatenata da
esclusione sociale è la strage di Columbine, in cui due ragazzi hanno iniziato una sparatoria in un
college americano principalmente contro i propri compagni. Non è l’unico caso di school-shooting
negli Stati Uniti d’America, è dovuto alla presenza di armi molto accessibili, ma anche al fatto che
nei college americani l’esclusione sociale è molto alta da parte di adolescenti. Ci sono stati molti
studi in laboratorio uno dei più importanti è il Paradigma Cyberball, sviluppata da Williams nel
2000. Ai partecipanti veniva chiesto di giocare ad un gioco online con altre due persone che hanno
anch’essi degli avatar, il gioco online consiste nel passare la palla a chi si vuole. Si creano due tipi di
condizioni sperimentali, la prima è quella di inclusione sociale; quindi, gli avatar passano la palla
anche al partecipante, la seconda condizione sperimentale gli avatar dopo qualche minuto non
passano più la palla al partecipante. I risultati dimostrano che anche in una condizione minimale di
esclusione vi sono delle reazioni aggressive e negative.

Deindividuazione e aggressività- La deindividuazione è un processo in cui all’interno di un gruppo


sociale perdono il proprio senso di identità individuale. La persona agisce esclusivamente
seguendo le norme instaurate dal gruppo, ecco che il gruppo domina l’individuo. Le norme sociali
che abbiamo appreso e che abbiamo interiorizzato in alcuni contesti possono indebolirsi e poi
annullarsi, essendo sostituire da quelle norme che dominano nel gruppo. Nella situazione in cui in
un gruppo ci siano delle norme sociali che tendono all’aggressività è molto probabile che
l’individuo attui quelle che le norme sociali che ha interiorizzato. Affinché il processo di
deindividuazione si attivi il gruppo deve avere delle specifiche caratteristiche (Vedi Onda).
1. Gruppo particolarmente numeroso, tanto più il gruppo è numeroso tanto più la
responsabilità di diffonde e sento più l’anonimato.
2. Coesione e unanimità del gruppo, il gruppo deve essere molto coeso e molto unito, si deve
aderire alle stesse norme sociali.
3. Leadership (direttiva) e carismatica ma anche persuasiva.
4. Percezione di una minaccia esterna, è molto importante perché aumenta di molto la
coesione del gruppo poiché la minaccia è esterna al gruppo e lo mette in pericolo.
5. Omogeneità delle caratteristiche distintive fisiche dei membri di gruppo, è più probabile
si crei deindividuazione se vi sono delle caratteristiche fisiche, evinteti del gruppo.
Nell’esperimento di Johnson e Downing (1979) ai partecipanti, ovvero delle studentesse, veniva
chiesto di essere “l’insegnate” in uno studio simile a quello di Milgram. il partecipante era
l’”insegnante” che doveva far memorizzare allo “studente”, un confederato, una serie di parole, se
lo “studente” rispondeva esattamente riceveva un rinforzo verbale “Giusto,” altrimenti una scossa
elettrica. I partecipanti dovevano scegliere l’intensità della scossa elettrica (ovviamente fittizia). A
seconda della condizione sperimentale, partecipanti erano divisi in tre condizioni:
1. Deindividuazione negativa: Partecipanti somministravano le scosse indossando l’uniforme
del Klu Klux Clan.
2. Deindividuazione positiva: Partecipanti somministravano le scosse indossando l’uniforme
da infermieri.
3. Individuazione: Partecipanti non indossavano alcuna uniforme.
Quando i partecipanti indossavano le uniformi del Kk clan mettevano in atto dei comportamenti
più aggressivi. Quando indossavano uniformi da infermieri i comportamenti aggressivi diminuivano
di molto dal gruppo di controllo. Partecipanti nella condizione di deindividuazione negativa (Klu
Klux Klan) somministravano delle scosse elettriche di maggior intensità rispetto alla condizione di
individuazione. Partecipanti nella condizione di deindividuazione positiva (infermieri)
somministravano delle scosse elettriche di minor intensità rispetto alla condizione di
individuazione. In entrambi i casi le norme di gruppo derivate dalla divisa indossata “dominavano”
sull’individuo: Klu Klux Clan (gruppo aggressivo) maggiore aggressività, infermieri (gruppo
altruistico) minor aggressività.
La relazione tra deindividuazione e aggressività non è sempre scontata. Da qui si può fare un
collegamento con il SIDE Model (social identity model of deindividuation effects), che venne
proposto nel 1995. Questo è un modello in cui si cerca di definire questa relazione in contesti
online. Si andava ad analizzare quanto una situazione di gruppo e di anonimato potesse scatenare
delle reazioni aggressive. Il modello afferma che in interazioni in contesti online è più probabile
che si agisca in modo svincolato dalla nostra identità, in anonimato, questa idea è un po’ datata, al
giorno d’oggi siamo riconoscibili online nei contesti dei social media. L’idea di agire in anonimato
in contesti online è sempre stata vista con un occhio di riguardo e di sospetto, ma proprio questo
tipo di relazione in anonimato vi sono dei grandi vantaggi iper-personalizzazione, ovvero si
comunica più liberamente, si svela il proprio sé più facilmente e con meno vincoli, si assumono
posizioni/comportamenti polarizzati sia positivi sia negativi, ovvero porta ad una disinibizione. In
molti contesti virtuali la carenza id informazioni individuali circa gli altri e che noi diamo di noi
stessi può influenzare l’interazione. Il side model afferma che queste condizioni portano alla
diminuzione della salienza del proprio sé
personale e aumenti invece la salienza del
gruppo di appartenenza. Comportamento on-line
dipende dalle norme sociali del gruppo virtuale
cui si percepisce di appartenere in quel contesto. I
comportamenti aggressivi (ad es., flaming)
avvengono soltanto se norme sociali del gruppo
virtuale legittimano tali comportamenti.

Il comportamento violento non è essenzializzato:


non è una proprietà intrinseca dell’individuo,
appartenente solo a certe persone e non ad altre. È un tipo di affermazione molto limitante. Entro
certi contesti, un’analisi del comportamento violento che ricorre alle disposizioni individuali del
colpevole (ad es., predisposizione genetica, tratti di personalità, estrazione sociale, grado di
istruzione) è riduttiva e insufficiente. Occorre astrarre e generalizzare contesto sociale l’analisi al
contesto sociale. Il comportamento violento o deviante è incrementale: qualcosa di cui tutti
potenzialmente siamo capaci. Dipende dal contesto, dalla situazione, dalla cultura e dalle
influenze sociali dettate dai membri di gruppo o dai leader del gruppo cui apparteniamo. Con ciò
non si giustifica il comportamento aggressivo, ma si cerca di comprenderlo.

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