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LA PERVERSIONE SADOMASOCHISTA

CAPITOLO 1: PROFILO STORICO E TEORICO DEI CONCETTI


L’aggressività, e i fenomeni ad essa connessa, ricadono sotto la denominazione di “perversione”.
Questo sentimento\istinto\impulso può essere inteso come:
1. Un nucleo energetico che fa parte del corredo biologico dell’essere umano (un Sistema Motivazionale
avversivo);
2. Un istinto auto-diretto (verso se stessi) o etero-diretto (verso gli altri);
3. Un sentimento funzionale (aggressività strumentale: per raggiungere un obiettivo) o disfunzionale
(aggressività ostile: per infliggere dolore) o una via di mezzo (aggressività reattiva: atto di difesa ad una
provocazione reale o percepita);
4. Un componente necessaria per la crescita dell’individuo: l’etimologia della parola “aggressività”, dal
latino “ad gredior”, significa “andare verso”, verso gli altri, verso le conquiste della vita, verso la
realizzazione di Sé. In questo senso, l’aggressività si configura come positiva, propositiva, forza vitale, come
pulsione sana e funzionale ai bisogni di crescita del bambino.
Tutte queste capacità dipendono, in gran parte, dalla qualità buona o cattiva dell’esperienza che tutti
abbiamo avuto nella prima fase della nostra vita durante le prime relazioni oggettuali;
5. Una reazione emotiva ad un evento frustrante (l’aggressività deriva da una frustrazione): questa è la
prima formulazione della TEORIA DELLA FRUSTRAZIONE-AGGRESSIVITA DI DOLLARD. Successivamente egli
la riformula e sostiene che la frustrazione è una condizione sufficiente, ma non necessaria, per il verificarsi
di comportamenti aggressivi (l’aggressività non deriva solo da una frustrazione);
6. Una caratteristica comportamentale appresa: questa è la formulazione della TEORIA
DELL’APPRENDIMENTO DI BANDURA;
7. Una risposta automatica (reazione psicomotoria) a situazioni di dolore, di malessere, di dispiacere, e, in
generale, a vissuti emozionali negativi, a cui un individuo può andare incontro (un’altra possibile risposta
automatica è la fuga): questa è la formulazione del MODELLO COGNITIVO NEOASSOCIAZIONISTA DI
BERKOWITZ;
8. Una reazione psicofisica influenzata da componenti chimiche e neuronali:
-AMIGDALA, un’area del cervello implicata nei comportamenti aggressivi;
-SEROTONINA, un neurotrasmettitore che potrebbe inibire gli impulsi aggressivi;
-TESTOSTERONE, un ormone maschile associato all’aggressività (gli uomini sono, in linea di massina, più
aggressivi delle donne);
-ALCOL, può essere un disinibitore che conduce le persone a commettere azioni disapprovate dalla società,
tra cui comportamenti aggressivi.

Nonostante tutte queste varianti, resta aperta una domanda:


L’AGGRESSIVITA’ E’ INNATA O E’ APPRESA?

L’aggressività muove da 5 dimensioni che possono essere definite “suoi sottoinsiemi”:


1. IRRITAZIONE - un affetto aggressivo moderato; un segnale che permette di capire che ci può essere una
reazione di rabbia; una segnalazione di carenze affettive precoci;
2. IRA - un affetto più intenso dell’irritazione; ha sempre un aspetto cognitivo collegato; differenziato nel
tipo di relazione d’oggetto (può essere collegato ad un oggetto reale oppure può essere collegato ad un
oggetto ideale);
3. RABBIA - una reazione travolgente che coinvolge mente e corpo; erronea convinzione di affetto primario
puro; c’è una presenza costante di una componente cognitiva;
4. ODIO - un aspetto emotivo e cognitivo; cronico e stabile che in genere fa parte del corredo caratteriale
dell’individuo; il suo scopo è la distruzione di un oggetto specifico nella fantasia inconscia;
5. INVIDIA - un sentimento complesso causato dal confronto con l’altro; il soggetto invidioso ha un forte
desiderio di avere ciò che l’altro possiede; il soggetto invidioso sente il desiderio di distruggere ciò che
l’altro ha o rappresenta (invidia distruttiva); esiste anche l’invidia costruttiva basata sul confronto
costruttivo e sulla motivazione all’azione; Freud ci ha parlato di invidia con il complesso di castrazione e
l’invidia del pene; Klein ci ha parlato dell’invidia primaria (seno buono che nutre) con tutto ciò che
comporta l’aspetto dell’angoscia persecutoria.

COME E’ DEFINITA COMUNEMENTE LA PERVERSIONE?


La perversione (dal latino perversum: stravolto) è un atteggiamento deviante che si realizza nell’ideazione e
nel perseguimento di comportamenti distorti rispetto al senso comune.
A causa della differenza, tra le varie culture, del concetto di “normalità”, questo atteggiamento può riferirsi
a situazioni e comportamenti diversi a seconda della cultura di provenienza.
COME DEFINISCE LA PSICODINAMICA LA “PERVERSIONE” ?
La perversione è un gesto coatto, imperativo, ripetitivo, stereotipato. Questo mette in evidenza uno degli
elementi base della perversione e cioè il suo CARATTERE DI FISSITA’, DI RIPETIZIONE, DI RIGIDITA’, di una
serie di gesti e rituali sempre uguali.
Nello specifico, dal punto di vista psicodinamica, nella PERVERSIONE SADOMASOCHISTICA assumono rilievo
le RELAZIONI INTERPERSONALI AGGRESSIVE.
Ad oggi, la ricerca e la letteratura a disposizione sul disturbo sadomasochistico di personalità è molto
esigua. A causa di questa limitazione teorica e pratica, i contributi su questo disturbo derivano dagli studi di
altri due disturbi ad esso connessi:
1. SADISMO – un atteggiamento in cui il soggetto trae godimento dalla sofferenza che INFLIGGE AGLI ALTRI
(il sadismo può essere anche un tratto del carattere: “sadico” è colui che si compiace del suo essere
spietato).
2. MASOCHISMO – un atteggiamento in cui il soggetto trae godimento dalla sofferenza che RICEVE
DALL’ALTRO (il masochismo può essere anche un tratto del carattere: “masochista” è colui che prova
piacere nei maltrattamenti, nelle umiliazioni, nella sofferenza);
Gli individui sadomasochistici mostrano l’ALTERNARSI di comportamento masochistico e di comportamento
sadico verso LO STESSO OGGETTO.

FREUD
Freud ha utilizzato il termine SADOMASOCHISMO con accezioni differenti:
1. Nei 3 saggi sulla teoria sessuale, Freud definiva il SADISMO come la degenerazione patologica di una
tendenza nelle relazioni ad agire con aggressività, ed era ritenuta la parte attiva del binomio sadismo-
masochismo (una delle grandi polarità che caratterizzano la vita sessuale). Il MASOCHISMO, essendo la
parte passiva, è pensato come una trasformazione negativa del sadismo che, secondariamente, si rivolge
contro il proprio Io: il masochismo è un sadismo rivolto contro se stesso (Freud lo espone nel “Lutto e
Melanconia” in cui dice che il suicida rivolge contro se stesso un’aggressività che originariamente era rivolta
verso l’esterno).
 SI MANIFESTA PRIMA IL SADISMO E POI IL MASOCHISMO;
2. Successivamente, con l’introduzione delle IMPOSTAZIONI EDIPICHE, egli afferma ugualmente che il
sadismo si può trasformare in masochismo, ma questa trasformazione è dovuta ai contrastanti sentimenti
dei suscitati desideri edipici: l’originario sadismo contro i fratellini\padre (queste figure devono essere
distrutte perché ostacolano il soddisfacimento dei desideri sessuali nei confronti della madre), si trasforma
in masochismo al seguito dei sensi di colpa.
 SI MANIFESTA PRIMA IL SADISMO E POI IL MASOCHISMO;
3. Infine, con l’opera “Al di là del principio di piacere”, in cui introduzione il concetto di pulsione di morte,
cioè una tendenza fondamentale ed originaria in ogni essere vivente a ritornare allo stato inorganico,
afferma che il masochismo è una pulsione autodistruttiva rivolta verso il proprio Io; quando questa
aggressività è rivolta verso l’esterno, si trasforma in sadismo.
 SI MANIFESTA PRIMA IL MASOCHISMO E POI IL SADISMO.
Freud afferma che chi prova piacere ad infliggere dolore agli altri nel contesto di relazioni sessuali, è anche
capace di godere il dolore come piacere: un sadico, quindi, può essere allo stesso tempo un masochista (a
seconda che l’aspetto attivo o quello passivo della perversione possa essere in lui più sviluppato, ne
consegue un lato sadico\masochista più sviluppato).

HORNEY
Afferma che le tendenze sadiche non sono l’espressione di impulsi sessuali. L’eccitazione sta nel
mortificare, sottomettere e distruggere gli altri e la spinta motivazionale è il DESIDERIO DI VENDETTA.

MILLON
Propone che il disturbo sadico sia considerato come una sottocategoria del DISTURBO ANTISOCIALE (anche
se egli sottolinea le diverse caratteristiche cliniche dei due disturbi a livello cognitivo, emotivo e
comportamentale). Egli descrive le caratteristiche tipiche del sadico: bassa tolleranza alla frustrazione,
accentuata distruttività, marcati sentimenti di colpa, potenti energie esplosive di natura aggressiva,
controllo e operazioni difensive, soddisfazione e piacere nel fare del male agli altri.

KERNBERG
Kernberg propone una classificazione tripartita delle strutture di personalità patologiche, ossia,
NEVROTICO, BORDERLINE, PSICOTICO, in cui le strutture di personalità borderline sono ulteriormente divise
in ALTE (ad alto funzionamento, come le istrioniche) e BASSE (a basso funzionamento, come quelle
antisociali). E’ all’interno delle organizzazioni di personalità borderline alte, che egli inserisce il
sadomasochismo.
AMERICAN PSYCHOANALYTIC ASSOCIATION (1991)
Si sono dedicati al tema del sadomasochismo nelle perversioni
PULVER, in quest’occasione, dichiara che si può parlare di perversioni quando, per raggiungere l’eccitazione
sessuale, è necessario fare ricorso a fantasie erotiche e comportamenti che non hanno come oggetto il
rapporto genitale; ella, inoltre, suggerisce che il comportamento perverso si estende lungo uno spettro di
psicopatologia che va dalle nevrosi, ai disturbi di personalità, alle psicosi.
SANDLER, sempre in quest’occasione, si è interrogato sulle differenze tra comportamenti sessuali di tipo
perverso, sulle fantasie perverse che non vengono messe in atto, e sugli aspetti non sessuali della
perversione.

STONE
Nel trattare i criminali psicopatici, afferma che gli individui sadici non possono trarre vantaggio dalla
psicoterapia poiché il disturbo dell’attaccamento (vissuto nell’infanzia e rinforzato nel corso della vita)
manifestato nel trattare le altre persone come oggetti con cui divertirsi, anziché come soggetti da amare e
rispettare, impedisce lo sviluppo della capacità di creare un’alleanza terapeutica.

MEDARD
Si è occupato di perversioni sessuali in ambito analitico esistenziale.
A proposito di sadomasochismo, egli afferma che i soggetti che presentano questo disturbo, sono persone
che a causa di fattori traumatici vissuti nell’infanzia, si ritrovano nell’impossibilità di approcciarsi alla vita
sessuale in modo sano: l’atto sadomasochistico scaturirebbe da un profondo bisogno di DARE e RICEVERE
amore, il cui soddisfacimento viene impedito da una sorta di “insensibilità” (fisica nel masochista e
percettiva nel sadico); l’individuo cerca di eliminare questa insensibilità e di sentirsi “emotivamente vivo”
infliggendosi o procurandosi il dolore.

FRANCO DE MASI
Con il suo volume “La perversione sadomasochistica. L’oggetto e le teorie”, De Masi, presenta il concetto di
perversione come indipendente da altre condizioni psicopatologiche (diversamente da Kernberg), anti-
relazionale e anti-erotica (la perversione è completamente slegata dall’ambito della sessualità). Egli
presenta i perversi come degli esseri mortiferi: l’unico scopo è quello del dominio e del possesso
dell’oggetto o dell’essere dominati e posseduti dall’oggetto.
SANDRA FILIPPINI
Pone l’attenzione sui diversi significati che la letteratura psicoanalitica offre del termine perversione: ella
afferma che questo termine viene collocato su piani logici-concettuali diversi, e proprio questa confusione,
molte volte, rende difficile il dialogo sull’argomento tra le differenti scuole psicoanalitiche.

STOLLER
Secondo Stoller, il sadomasochismo è composto da due variabili:
1. Comportamento in cui è rintracciabile il desiderio di umiliazione e degradare il partner e se stessi:
l’INTENZIONE è la variabile critica;
2. Comportamento che tende ad evitare una relazione a lungo termine, emotivamente intima, con un’altra
persona: la FINALITA’ è la variabile critica.

CARATTERISTICHE CLINICHE E DI SVILUPPO


Data l’estensione del concetto di sadomasochismo e la molteplicità degli elementi che lo costituiscono, la
perversione sadomasochista è difficile da definire; anzi, forse sarebbe meglio parlare di una molteplicità di
quadri sadomasochistici.
Pertanto, dal punto di vista clinico, la perversione sadomasochista, non è molto lineare: può presentarsi
sporadicamente, essere presente accanto ad altre condotte sessuali apparentemente normali, o può
manifestarsi in comorbidità con altre condizioni psicopatologiche.

Generalmente, il disturbo sadomasochistico viene spiegato come un comportamento innato o come una
specifica reazione ad arcaiche frustrazioni e umiliazioni. E’ possibile spiegare il piacere che deriva
dall’attività sadomasochistica in termini di SENSO DI POTENZA (si acquisisce nel procurare o nell’infliggersi
sofferenza) o in termini di RABBIA NARCISISTICA (timore di essere ferito): con queste reazioni si tenta di
riprodurre traumi vissuti nell’esperienza infantile, fantasmi ostili, figure persecutorie, senza che sia
possibile alcuna elaborazione (processo evocativo).
Nello specifico, alcuni autori ritengono che il sadomasochismo sia una difesa\tentativo di riparazione nei
confronti di una GRAVE PERDITA o una MANCANZA AFFETTIVA: questo lutto non elaborato induce i soggetti
a pensare che non ci sia nessuno da amare e nessuno da cui essere amati.
Descritta in questo modo, la perversione sadomasochistica indica un comportamento che affonda le sue
radici nell’infanzia e che si mantiene stabile per tutto il corso della vita.

Tuttavia, un aspetto clinico condiviso dalla maggior parte dei teorici, è che la PERVERSIONE esclude la
percezione della sofferenza e si presente come una RICERCA EGOSINTONICA del piacere. Pertanto, avendo
un comportamento, un sentimento, un’idea, in perfetta armonia con il proprio Sé (questi bisogni sono
coerenti con l’immagine di Sé), queste persone difficilmente attuano una RICHIESTA D’AIUTO o di TERAPIA.
Tuttavia, questo atteggiamento contrasta con quanto si verifica nelle patologie borderline con ACTING
PERVERSI: queste persone hanno SINTOMI EGODISTONICI, sentono la sofferenza\angoscia dissonante con il
proprio Sé, e richiedono aiuto.
Ciò ci fa capire che c’è un’importante differenza sul piano eziologico, strutturale e prognostico, tra
PERVERSIONE EPISODICA (episodi perversi in personalità patologiche) e PERVERSIONE STRUTTURATA
(personalità interamente perversa). Mentre i pazienti con ACTING PERVERSI presentano relazioni sessuali
polimorfe e potenzialità di sviluppo, i pazienti con PERVERSIONE STRUTTURATA presentano stereotipia e
rigidità.
IPOTESI EZIOPATOGENETICHE DEL DISTURBO
La comprensione eziopatogenetica delle parafilie rimane per lo più una nebulosa non facilmente
decifrabile: fra tutte le perversioni, il sadomasochismo è il quadro fra i più complessi e difficili da
interpretare. Numerose teorie hanno cercato di chiarire l’origine di tali quadri sindromici: possono derivare,
ad esempio, da alterazioni qualitative dell’istinto sessuale, da traumi infantili, da un clima di eccesiva
freddezza, o da lontananza affettiva.

WELLDON
Secondo Welldon, i comportamenti sadomasochistici sono una soluzione per affrontare un insopportabile
dolore psichico e si originano nella prima infanzia. Emerge in queste persone un bisogno di azioni sadiche in
risposta a scenari infantili in cui sono state vittime di abusi fisici o sessuali: infliggendo ad altri quello che è
successo a loro quando erano bambini, questi individui raggiungono una vendetta e un senso di
padronanza sulle esperienze infantili di abuso. Allo stesso modo, i pazienti masochistici, che hanno bisogno
di umiliazione o di dolore per raggiungere il piacere sessuale, ripetono esperienze infantili di abuso.
In entrambi i casi, i traumi subiti ripetutamente nell’età dello sviluppo, producono conseguenze drastiche,
negative, e stabili nella personalità: un bambino maltrattato può sviluppare uno stato interno di
svuotamento (passività masochistica) oppure può diventare, per identificazione, come l’aggressione
(attività sadica).
LA CONVINZIONE CHE QUESTI PAZIENTI HANNO E’ CHE LA RELAZIONE SADOMASOCHISTICA SIA LA SOLA
FORMA POSSIBILE DI RELAZIONE OGGETTUALE.

STOLLER
Lavorando con pazienti adulti, Stoller, osserva che, in determinate situazioni, i bambini sviluppano
un’elevata propensione a farsi aggredire e ad aggredire a loro volta:
1. Bambini prematuri che hanno dovuto affrontare interventi chirurgici traumatici;
2. Famiglie in cui è evidente l’abuso degli adulti sui bambini;
3. Giochi sessuali effettuati con i bambini;
4. Bambini abusati andati in terapia;
Tuttavia, questi studi, come osserva DE MASI, sebbene ci dicano molto sullo sviluppo dei comportamenti
aggressivi e compulsivi, non stabiliscono nessuna connessione univoca fra trauma e perversione
sadomasochista. Anzi, l’esperienza clinica documenta anche che, malgrado i traumi infantili possano
facilitare l’insorgere della perversione, l’infanzia di molti perversi è stata sufficientemente tutelata.
QUINDI SI TRATTA DI TEORIA TRAUMATICA DELLA PERVERSIONE O DI TEORIA INNATIVA DELLA
PERVERSIONE? Questa domanda resta aperta ad ulteriori valutazioni e dati clinici che permettano di capire
meglio il rapporto tra fattori familiari e le dinamiche interne della personalità.

DE MASI
Per De Masi, la perversione è una tecnica di eccitamento mentale. Tuttavia, un tale eccitamento non deriva
da una forma primitiva di sessualità, piuttosto, esso deriva dall’idea di potere e di dominio.
Bambini sottomessi, abusati, maltrattati, anche se nel corso della vita apparentemente “evolvono”,
mantengono un mondo relazionale ed emotivo distorto dal FASCINO EROTIZZATO DEL POTERE. Questo
mondo, va elaborando, nel corso del tempo, una parte della personalità che si esplicita facilmente nelle
relazioni sadomasochiste.
Secondo De Masi, l’ipotesi che la perversione abbia origine nella sessualità infantile polimorfa, appare
insufficiente per comprendere il sadomasochismo e i suoi esiti distruttivi: “il piacere sadomasochistico non
coincide né con l’aggressività, né con l’odio, bensì con l’assenza di amore, ovvero con l’indifferenza”.
IL NUCLEO DELLA PERVERSIONE E’ UNA DISTRUTTIVITA’ APPAGATA CHE CRESCE NELL’INDIFFERENZA E
NELLA MANCANZA DI SENTIMENTO: mentre l’aggressività e l’odio possono essere una risposta violenta ad
un conflitto relazionale, la distruttività ha, invece, il significato di un’operazione anti-relazionale.

IL DISTURBO SADOMASOCHISTICO E LE RELAZIONI OGGETTUALI


Il nucleo centrale nella psicopatologia delle perversioni è rappresentato da una debolezza di fondo che si
esprime come incapacità di avvicinarsi all’altro, di sentirlo empaticamente, di stabilire un contatto emotivo
con lui. Questo profondo disagio relazionale si rivela in comportamenti che manifestano fantasie di
sfruttamento e di prevaricazione (abuso di potere).
Possiamo sostenere che l’elemento fondamentale della sessualità umana è la capacità di instaurare
relazioni psicologiche: nella perversione, invece, è presente l’incapacità di stabilire una relazione amorosa
soddisfacente con l’oggetto sessuale (la sessualità è solo un mezzo per esprimere l’aggressività).
La TEORIA DELLE RELAZIONI OGGETTUALI costituisce un modello esplicativo dello sviluppo della
psicopatologia. Questo modello si basa su quanto la relazione sia al centro dei bisogni del Sé e su come le
sue deviazioni fin dalla primissima infanzia comportino carenze nella struttura psichica del soggetto.

BACH
Secondo Bach, le pulsioni e le relazioni oggettuale sono strettamente connesse nel motivare l’esistenza di
questa perversione dal carattere ambivalente: come le gratificazioni pulsionali perverse possono
rappresentare un fuga da relazioni oggettuali, così le relazioni oggettuali perverse possono costituire una
difesa nei confronti di angosce sollevate dalle pulsioni.
Secondo questo autore è possibile individuare il trauma originario del sadomasochista primariamente
nell’infanzia o durante l’adolescenza, come ad esempio la perdita di un genitore o la perdita del senso di Sè,
periodi in cui il soggetto matura una progressiva negazione della perdita stessa e, contemporaneamente,
afferma pulsioni sadomasochistiche volte a sostenere un precario senso del Sé: l’individuo costruisce, in
fantasia, un Sé illusoriamente intatto che attua, con l’oggetto perduto, una relazione sulla quale poter
esercitare un controllo assoluto. Tale fantasia, e i comportamenti che ne conseguono, tendono a
mantenere la prosecuzione di un rapporto (si tratta di gestire un deficit interpersonale e non di superarlo);
essi, infatti, sono indirizzati verso la riappropriazione dell’oggetto perso e non all’elaborazione della perdita.
In tal modo, la modalità agita della relazione oggettuale, riempie una carenza nel senso di realtà, che in
altre perversioni viene integrata mediante un feticcio, un rituale, o un meccanismo di difesa.
Secondo Bach, le RELAZIONI SADOMASOCHISTICHE sono, tuttavia, un “modo di amare”:
queste relazioni hanno di base dei problemi di separazione precoci\traumi. Il dolore risultante dalla
sofferenza inflitta e provata del comportamento sadomasochistico, è un rifugio contro il dolore ben più
grande della perdita dovuta alla separazione precoce\trauma, dunque, è preferibile ad essa.
Il sadomasochista si trova obbligato a compiere sempre le stesse azioni, con le stesse modalità, costretto a
ripeterle per mantenere il suo stato illusorio di dominio.
 NEI RITI SADOMASOCHISTICI DI PREDILIGE IL DOLORE (INFLITTO E PATITO) PIUTTOSTO CHE IL
CONFRONTO CON IL DOLORE DELLA SEPARAZIONE (VISSUTA COME MANCANZA INSOPPORTABILE).

La terapia psicoanalitica si pone in perfetta antitesi, rispetto al disturbo sadomasochistico, proponendo


come scopo la comprensione della difficoltà della relazione: il percorso analitico può condurre il paziente
ad una consapevolezza del significato della perdita e ad un’accettazione delle ferite ricevute.

FAIRBAIRN
Secondo Fairbairn, il bambino crea legami con i genitori attraverso qualsiasi forma di contatto loro gli
forniscano, e queste forme di contatto (e i legami che ne conseguono) diventano modelli di attaccamento e
di relazione con gli altri (si creano dei “prototipi di relazione” che durano tutta la vita).
Nel suo lavoro con i BAMBINI DEPRIVATI, Fairbairn osservò che i bambini maltrattati\abusati, invece di
allontanarsi dai genitori maltrattanti, se ne avvicinavano sempre di più: in questo caso, la mancanza di
gratificazione affettiva non aveva diminuito il legame, anzi, l’aveva intensificato.
 GENITORE MALTRATTA IL BAMBINO  IL BAMBINO NON PUO’ FARE A MENO DEL GENITORE  SI
AVVICINA AL GENITORE INVECE DI ALLONTANARSENE  COSTRUISCE UN MODELLO RELAZIONALE DI
STAMPO MASOCHISTICO (il genitore mi fa male, ma stare con lui mi fa stare bene).
Ne consegue che, i bambini, e i futuri adulti, applicheranno nel rapporto con le altre persone il modello
relazionale che hanno sperimentato all’inizio del loro sviluppo: i bambini finiscono col ricercare la
SOFFERENZA COME FORMA DI CONTATTO PRIVILEGIATA NEL RAPPORTO CON GLI ALTRI.
E’ evidente, dunque, come per Fairbairn, i problemi nelle relazioni fra gli esseri umani derivino dalle
PRIMISSIME ESPERIENZE INFANTILI. Durante queste esperienze il bambino è in grado di distinguere (e
interiorizzare) immagini di genitori scarsamente disponibili\non gratificanti (oggetto cattivo) o ampiamente
disponibili\gratificanti (oggetto buono).
Ogni bambino ha bisogno di sentire che i suoi genitori sono “giusti” ed “affidabili”: quando la relazione
madre-bambino è altamente insoddisfacente e non permette, quindi, al bambino di sperimentare dei
genitori sufficientemente “giusti” ed “affidabili”, il piccolo agirà in due modi:
1. Pur di avere un rapporto con loro, crea al suo interno degli “oggetti compensatori”: agiscono come
sostituti e permettono di avere un’esperienza allucinatoria gratificante;
2. Pur di non riconoscere la loro cattiveria (il bambino non riesce ad entrare in contatto con gli spetti
insensibili dei genitori), interiorizza queste parti cattive (si crea l’illusione che i genitori siano buoni),
“diventando come” gli aspetti traumatizzanti dei genitori: depresso, isolato, masochista, prepotente o
sadico.
In entrambi i casi, il bambino sarà disposto a sacrificare la sua percezione della realtà, pur di mantenere un
rapporto con i genitori.

FENICHEL
L’autore suggerisce che l’aggressività non è innata (contrariamente a ciò che pensa la Klein: la pulsione di
morte è innata) e la ritiene un elemento che segnala altre problematiche. L’aggressività non appare sempre
e necessariamente come l’esteriorizzazione di impulsi autodistruttivi: essa, ad esempio, può essere
finalizzata alla ricerca di autostima e alla soddisfazione di desideri, dal momento che altri comportamenti
adottati in passato si sono mostrati inefficaci o dal momento che la persona non ha sviluppato altri
“strumenti comportamentali” (in entrambi i casi si tratta di una mancanza di affetto e cure genitoriali).
Fenichel, partendo da questa considerazione sull’aggressività, focalizza la sua attenzione sulle
PERVERSIONI, in particolare, sul VOYEURISMO (l’altra faccia dell’esibizionismo): egli associa le tendenze
voyeuristiche (guardare di nascosto) ad una fissazione ad una scena infantile, in cui il bambino assiste
oppure ode un rapporto sessuale tra genitori. Questa esperienza traumatica stimola il bambino a rimettere
in atto la scena (coazione a ripetere: ripetizione di esperienza traumatica precoce), ponendosi di nuovo
come osservatore, nel tentativo di padroneggiare attivamente un trauma vissuto passivamente.
Vediamo in questa intuizione, l’anticipazione delle teorie che vedranno i rapporti sadomasochistici come
ripetizioni di esperienze traumatiche relazionali precoci.

SANDLER
Joseph Sandler, nel tentativo di integrare la teoria pulsionale classica con quella delle relazioni oggettuali,
elabora un “modello rivoluzionario”, secondo cui un individuo, vivendo determinate esperienze soggettive,
elabora delle FANTASIE DI DESIDERIO: queste fantasie sono RAPPRESENTAZIONI DI UNA RELAZIONE
DESIDERATA TRA IL SE’ E L’OGGETTO, il cui scopo principale è quello di fornire uno STATO AFFETTIVO DI
BENESSERE e, allo stesso tempo, di prendere le distanze da uno STATO AFFETTIVO DI DISPIACERE (il bisogno
di sicurezza è predominante rispetto al bisogno istintuale). Questa rappresentazione corrisponde ad una
RELAZIONE OGGETTUALE INTERNA in cui sono già prestabiliti il ruolo del Sé e il ruolo dell’oggetto.
L’individuo ATTUALIZZA nel mondo reale questa rappresentazione della relazione desiderata attraverso un
meccanismo che Sandler chiama RISONANZA DI RUOLO: in una relazione reale, l’oggetto deve assumere il
ruolo che l’individuo gli ha assegnato in fantasia.
Solo attraverso queste relazioni oggettuali attualizzate è possibile giungere al SODDISFACIMENTO DEL
DESIDERIO.
Sandler ci dice che sin dalla PRIMISSIMA INTERAZIONE MADRE-BAMBINO, in base alle esperienze vissute
con il caregiver, si formerà un mondo interno di relazioni oggettuali DESIDERATE (a cui sono collegati stati
affettivi positivi) e TEMUTE (a cui sono collegati stati affettivi negativi), che diventeranno la matrice di tutte
le relazioni successive. Tale mondo interno continuerà a consolidarsi\cambiare nel tempo e andrà a
formare i tratti del carattere\personalità dell’individuo: ne consegue che le percezioni delle relazioni con gli
altri nella vita quotidiana possono essere influenzate da queste fantasie e da queste rappresentazioni di
ruolo.
QUESTO MECCANISMO PSICHICO PUO’ ESSERE ALLA BASE DELLE PERVERSIONI: fantasie inconsce temute
possono creare delle rappresentazioni interne distorte che, attualizzate nella realtà, piegano l’oggetto al
ruolo desiderato.
CAPITOLO 2: LE CLASSIFICAZIONI NOSOGRAFICHE
Le chiavi interpretative del sadomasochismo in letteratura sono molteplici, questo anche perché i soggetti
con sadomasochismo sono poco motivati alla terapia, quindi vi sono pochi studi clinici su di loro.
Per questo motivo e per altri ragioni storico-sociali, la perversione sadomasochista non è stata
concettualizzata sempre allo stesso modo all’interno del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi
Mentali (DSM):
1. DSM I (1952) – le deviazioni sessuali venivano classificate insieme al disturbo di personalità psicopatica.
Ciò perché, secondo le norme dell’epoca, il comportamento perverso apparteneva a coloro che compivano
atti criminali e antisociali;
2. DSM II (1968) – le perversioni non sono state più associate al comportamento antisociale, ma ai disturbi
di personalità narcisistico e borderline;
3. DSM III (1980) – il termine “perversione” (deviazione della libido) viene sostituito con il termine
“parafilie” (natura insolita dell’oggetto sessuale);
4. DSM III-R (1987) – alle perversioni definitivamente viene data una categorizzazione e vengono definite
con il nome di parafilie. Il nuovo termine evidenzia che il disturbo varia in base all’oggetto utilizzato per
raggiungere l’appagamento sessuale, laddove, l’oggetto serve a riempire un vuoto causato dall’incapacità
del soggetto di stringere relazioni interpersonali intime;
5. DSM IV-TR (2000) – ha proposto la restrizione del termine alle situazioni in cui vengono:
- Utilizzati oggetti non umani;
- Inflitti a sé o al proprio partner un effettivo dolore;
- Coinvolti bambini o adulti non consenzienti;
Le parafilie sono descritte come “caratterizzate da ricorrenti e intensi impulsi, fantasie, o comportamenti
sessuali che implicano oggetti, attività, o situazioni inusuali, che riguardano l’uso di oggetti inanimati,
imprimere sofferenza o umiliazione a se stessi, a partner, a bambini o ad altre persone non consenzienti, il
che causa DISAGIO CLINICAMENTE SIGNIFICATIVO, COMPROMISSIONE DELL’AREA SOCIALE E LAVORATIVA,
COMPROMISSIONE DI ALTREE AREE IMPORTANTI DEL FUNZIONAMENTO”.
Pertanto, le parafilie assumono CARATTERE DI PATOLOGIA, quando i comportamenti, i desideri sessuali o le
fantasie determinano un disagio che compromette in modo significativo la SFERA SOCIALE E LAVORATIVA
del soggetto: se alcune fantasie erotiche dal carattere di superficiale perversione vengono vissute o agite
sotto forma di gioco, battute, o in qualsiasi modo simulato, e sempre nel rispetto reciproco tra partner, non
si può parlare di parafilia o di una perversione patologica.
Le parafilie, inoltre, sono caratterizzate:
1. RIGIDITA’ e RIPETITIVITA’ ossessiva dei comportamenti;
2. INDIFFERENZA nei confronti della vittima;
3. Prevalere dell’ISTINTO AGGRESSIVO attraverso cui il soggetto affronta i traumi subiti durante l’infanzia;
4. Punto di godimento anomalo;
5. Sono quasi esclusivamente collegate alla sessualità;
6. Coinvolgono primariamente il sesso maschile.

In aggiunta, il DSM IV-TR, ha elaborato uno spettro di gravità:


- Nelle forme lievi, i pazienti sono turbati dalle loro spinte sessuali ma non le mettono in atto;
- Nelle forme moderate, i pazienti traducono le loro spinte sessuali in azione ma solo occasionalmente;
- Nelle forme gravi, i pazienti mettono ripetutamente in atto le loro spinte sessuali.

Le principali parafilie delineate nel DSM IV-TR sono:


- Esibizionismo, ricerca dell’eccitazione mostrando il proprio corpo;
- Frotteurismo, toccare o strofinarsi contro un individuo non consenziente;
- Pedofilia, interesse sessuale per i bambini;
- Masochismo sessuale, trarre piacere dal subire dolore fisico o umiliazioni psicologiche da altri soggetti;
- Sadismo sessuale, trarre piacere dall’infliggere dolore fisico o umiliazioni psicologiche ad altri soggetti;
- Travestimento, eccitarsi sessualmente nel vestirsi come il sesso opposto;
- Feticismo, concentra il desiderio erotico, consentendone l’appagamento, su una parte del corpo del
partner o su un oggetto che gli appartiene (etnologia: una forma di religiosità primitiva che prevede
l’adorazione di oggetti ritenuti dotati di poteri magici)
- Voyeurismo, pratica sessuale di chi, per ottenere l’eccitazione e il piacere sessuale, ama guardare\spiare
persone seminude, nude, intente a spogliarsi, oppure persone impegnate in un rapporto sessuale (i voyeur,
spesso, non sono direttamente coinvolti con la persona che amano guardare e la persona osservata,
spesso, è ignara di essere osservata);
- Parafilie non altrimenti specificate (NAS), che includono tutte le parafilie che non soddisfano i criteri per
alcuna categoria specifica.

MASOCHISMO E SADISMO SECONDO IL DSM IV-TR


Il DSM IV-TR definisce il MASOCHISMO SESSUALE come “l’atto di essere umiliato, picchiato, legato, o fatto
soffrire in altro modo”. Il soggetto masochista può:
1. Coltivare fantasie che comportano l’essere violentati, schiaffeggiati, fustigati, mentre si è tenuti legati,
imprigionati, bendati, da altri senza alcuna possibilità di fuga;
2. Avere il desiderio di essere trattato come un bambino indifeso e di farsi mettere il pannolino, ciò che
viene definito INFANTILISMO;
3. Provare eccitazione sessuale da una privazione di ossigeno, ottenuto mediante una compressione del
petto, un cappio, una legatura, ciò che viene definito IPOSSIFILIA;
E’ possibile che le fantasie sessuali masochistiche inizino nella fanciullezza e l’età in cui cominciano le
attività con un partner è variabile (di solito è la prima età adulta). Di solito questo disturbo è cronico e,
mentre alcuni soggetti tendono a ripetere sempre lo stesso atto masochistico per molti anni senza
aumentare la potenziale pericolosità dei loro atti, altri, invece, aumentano la gravità degli atti con
l’avanzare del tempo o in particolari periodi di stress.

Il DSM IV-TR definisce il SADISMO SESSUALE come “azioni in cui la sofferenza psicologica o fisica della
vittima è sessualmente eccitante per il soggetto”. Il soggetto sadico può:
1. Coltivare fantasie che comportano il violentare, schiaffeggiare, fustigare, la vittima, mentre è legata,
imprigionata, bendata;
2. Mettere in atto attività che indicano il dominio del soggetto sulla vittima, come, forzare la vittima a
camminare a carponi;
3. Essere infastidito dalle sue stesse fantasie sadiche (che possono essere immaginate durante l’attività
sessuale ma non agite);
4. Mettere in atto i propri impulsi sadici con un partner consenziente (che può essere affetto da
masochismo sessuale) o con un partner non consenziente (diventa una vittima).
E’ possibile che le fantasie sessuali sadiche inizino nella fanciullezza e l’età in cui cominciano le attività con
un partner è variabile (di solito è la prima età adulta). Di solito questo disturbo è cronico e, mentre alcuni
soggetti tendono a ripetere sempre lo stesso atto sadico per molti anni senza aumentare la potenziale
pericolosità dei loro atti, altri, invece, aumentano la gravità degli atti con l’avanzare del tempo o in
particolare periodi di stress: quando il sadismo sessuale è GRAVE, e, in modo particolare, quando è
associato con il DISTURBO ANTISOCIALE DI PERSONALITA’, i soggetti possono ferire gravemente o uccidere
le proprie vittime.
N.B. NON BISOGNA CONFONDERE IL “SADISMO” CON IL “DISTURBO SADICO DI PERSONALITA’” CHE E’
STATO ABBANDONATO DAL DSM (forse perché c’era una sovrapposizione tra disturbo sadico di personalità
e disturbo antisociale di personalità: diagnosi che si sovrappongono non sono abbastanza valide e
attendibili).
EVOLUZIONE DELLE CLASSIFICAZIONI DIAGNOSTICHE: SADISMO SESSUALE E MASOCHISMO SESSUALE NEI
DISTURBI PARAFILICI DEL DSM V
Una delle motivazioni che ha spinto alla modifica dei criteri diagnostici per le parafilie, rispetto a quelli
utilizzati nel DSM IV-TR, è l’interrogativo di considerare o meno tutte le parafilie come dei disturbi mentali.
Uno dei primi e dei maggiori cambiamenti proposti nel DSM V, rispetto al DSM IV-TR, è la distinzione tra
(questa distinzione elimina alcune incongruenze del DSM IV-TR):
1. DISTURBO PARAFILICO – è una parafilia che ha causato, sta causando, ha il rischio di causare disagio o
danno alla persona. Alcuni si configurano anche come reati a causa della nocività delle loro azioni.
Nei criteri diagnostici stabiliti per ciascuno dei disturbi parafilici, sono presenti:
-IL CRITERIO A, che specifica la natura qualitativa della parafilia (es. esporre i genitali agli estranei);
-IL CRITERIO B, che specifica le conseguenze negative della parafilia (es. angoscia);
La modifica proposta dal DSM V è che agli individui che:
-Soddisfano sia il criterio A che il criterio B, può essere fatta una diagnosi di disturbo parafilico;
-Soddisfano solo il criterio A, non può essere fatta una diagnosi di disturbo parafilico, ma, al contrario, può
essere fatta solo una diagnosi di parafilia;
-Soddisfano solo il criterio A per una particolare parafilia “benigna”, l’atto di constatare che l’individuo ha
questa parafilia, deve essere indicato esclusivamente come accertamento, piuttosto che come diagnosi;
2. PARAFILIA – è un intenso e persistente interesse sessuale diverso dall’interesse sessuale per la
stimolazione genitale. E’ una condizione necessaria ma non sufficiente per avere un disturbo parafilico.

Un secondo importante cambiamento del DSM V è l’aggiunta, per i criteri diagnostici relativi a tutti i
disturbi parafilici, degli indicatori:
1. IN UN AMBIENTE CONTROLLATO – è applicabile maggiormente per persone che vivono in ambienti
istituzionali o dove le possibilità di agire una parafilia sono limitate;
2. IN REMISSIONE COMPLETA – indica che per ALMENO 5 ANNI e in un ambiente non controllato, non si è
verificato disagio o compromissione in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.

MASOCHISMO E SADISMO SECONDO IL DSM V


In riferimento al MASOCHISMO SESSUALE, i criteri per il disturbo prevedono (i criteri vanno applicati se
l’individuo ammette spontaneamente tali interessi parafilici):
1. Eccitazione sessuale ricorrente e intensa, manifestata attraverso fantasie, desideri, e comportamenti, per
un periodo di ALMENO 6 MESI, derivante dall’atto di essere umiliato, percosso, legato o fatto soffrire in
altro modo;
2. Le fantasie, i desideri o i comportamenti sessuali causano disagio clinicamente significativo o
compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti;
Deve essere specificato se in AMBIENTE CONTROLLATO o in REMISSIONE COMPLETA.
Una caratteristica che può essere associata come supporto alla diagnosi, è l’ampio uso di pornografia con
sfondo di atti di umiliazione, percosse, essere legati o fatti soffrire in altro modo.
L’età media di esordio del disturbo è intorno ai 19 anni e si suppone che ci sia una riduzione delle
preferenze per il masochismo sessuale con l’avanzamento dell’età.

In riferimento al SADISMO SESSUALE, i criteri per il disturbo prevedono (i criteri vanno applicati sia a coloro
che ammettono spontaneamente di avere questi interessi parafilici, sia a coloro che li negano: coloro che li
riconoscono ma non provano disagio, possono essere definiti “esplicitamente” sadici):
1. Eccitazione sessuale ricorrente e intensa, manifestata attraverso fantasie, desideri e comportamenti, per
un periodo di ALMENO 6 MESI, derivante dalla sofferenza fisica e psicologica di un’altra persona;
2. L’individuo ha messo in atto questi desideri sessuali a discapito di un’altra persona non consenziente,
oppure i desideri o le fantasie sessuali causano disagio clinicamente significativo o compromissione del
funzionamento in ambito sociale, lavorativo e in altre aree importanti;
3. Esiste il criterio di SADISMO SESSUALE RICORRENTE, utilizzano in casi in cui ci sia il coinvolgimento di
diverse vittime (in genere 3 o più vittime) non consenzienti, in diverse occasioni; oppure in casi in cui si sia il
coinvolgimento di una sola vittima non consenziente, in diverse occasioni (il soggetto ha un interesse
preferenziale, per cui questa condizione è sufficiente ma non necessaria per la diagnosi).
Una caratteristica che può essere associata come supporto alla diagnosi, è l’ampio uso di pornografia che
implichi l’infliggere dolore o sofferenza.
E’ possibile riscontrare una prevalenza di tale disturbo nei maschi (analizzando le denunce per violenza
sessuale in ambito forense) e si suppone che duri tutta la vita (non ci sono informazioni per ciò che
concerne il decorso del disturbo).

IL DISTURBO SADOMASOCHISTICO SECONDO IL PDM


Il Manuale Diagnostico Psicodinamico (PDM) rappresenta una novità nel panorama degli strumenti
diagnostici. Nasce dallo sforzo di sanare una frattura che si era creata tra i sistemi di classificazione
categoriali (DSM) e l’indagine psicoanalitica delle fantasie, dei ricordi, della verità da ricercarsi non nei fatti
ma nei vissuti dei pazienti: è necessario che ci sia dialogo tra la ricerca clinica e la ricerca empirica.
La valutazione del PDM è MULTIASSIALE, MULTIDIMENSIONALE, PROTOTIPICA, perché cerca di prendere in
considerazione le sindromi cliniche, l’esperienza soggettiva del paziente, il profilo globale del
funzionamento mentale e le sue singole funzioni, lo stile di personalità, le sue basi strutturali e la sua
funzionalità globale nel contesto di vita del soggetto.

Il DISTURBO SADICO DI PERSONALITA’, secondo il PDM, è un disturbo di livello borderline, organizzato


intorno al tema del dominare: il sadico ha l’esperienza interiore di un senso di morte e sterilità affettiva, da
cui riesce ad affrancarsi soltanto procurando dolore e umiliazione ad altri individui, sia nella fantasia che
nella realtà.
Tuttavia, non tutti i soggetti che compiono azioni violente e abusi sono caratterialmente sadici: tra tutte le
persone violente, solo gli individui sadici infliggono le loro torture con una CALMA PRIVA DI PASSIONE.
Infatti, Il marchio che caratterizza il disturbo sadico di personalità è “il distacco emotivo o la determinazione
priva di sensi di colpa con cui queste persone cercano il dominio e il controllo”. Questo distacco, ha come
risultato quello di disumanizzare l’oggetto. Il disturbo sadico di personalità è facilmente riconoscibile, ad
esempio, l’uomo che picchia la moglie e mentre racconta i suoi abusi, ridacchia senza vergogna e senza
rimorso, è senz’altro un sadico.
Fromm, spiega questo atteggiamento, come un tentativo di trasformare la propria debolezza\impotenza in
forza\onnipotenza, scegliendo sempre di aggredire chi è più debole e ha meno potere dell’individuo in
questione: il sadico ricerca il controllo e la vendetta sull’altro agendo la cosiddetta AGGRESSIVITA’ OSTILE
(in ambito giuridico: violenza predatoria).
In genere, condurre colloqui con persone sadiche può provocare sentimenti di fastidio viscerale, un vago
senso di disagio, intimidazione, brivido; inoltre i sadici sono bugiardi e potrebbero privare piacere a
tormentare l’analista mentendo o non descrivendo i propri pensieri sadici.

Il DISTURBO SADOMASOCHISTICI DI PERSONALITA’, per il PDM, è un sottotipo dei disturbi sadici, con
caratteristiche emotive più vive e con maggiori capacità di attaccamento. Questi individui esprimono
atteggiamenti e comportamenti sia sadici che masochistici: “i pazienti con questo tipo di patologia sono più
vivi e capaci di attaccamento di quelli con una struttura psicopatica, narcisistica o sadica. Le loro relazioni,
comunque, intense e turbolente. Si tratta di individui che possono lasciarsi dominare fino all’estremo, ma
anche attaccare violentemente la persona alla quale si erano precedentemente sottomessi”.
Gli individui con disturbi sadomasochistici spesso si vedono come vittime dell’aggressività degli altri, e
possono scegliere di sottomettersi a loro o di contrattaccare spietatamente. La persona che si “lamenta ma
rifiuta l’aiuto”, può essere considerata una delle versioni di questo tipo di funzionamento psicologico.
In psicoterapia questi pazienti alternano momenti in cui attaccano il terapeuta, a momenti in cui si sentono
insultati da lui!
Il DISTURBO MASOCHISTICO DI PERSONALITA’, secondo il PDM, indica tutti gli individui che finiscono per
trovarsi sistematicamente in situazioni di sofferenza. Questo termine si applica a quelle personalità in cui
alcune sfere importanti, per esempio l’autostima e la vicinanza, sono associate all’esigenza di patire
sofferenza (al termine masochismo molti preferiscono il termine AUTOFRUSTRANTE, perché privo di
connotazione sessuale).
Se facciamo riferimento allo svolgimento della psicoterapia, possiamo distinguere diverse sfumature di
masochismo:
1. Durante la psicoterapia, i masochisti possono sembrare semplici depressi, ma alla fine i pattern
masochistici diventano palesi: un segnale di masochismo del carattere è che le terapie farmacologiche che
aiutano la depressione, con questi pazienti, non sono efficaci. Così, a questi pazienti, con dinamiche
depressive e autofrustranti di livello nevrotico, può essere diagnosticato un DISTURBO DEPRESSIVO-
MASOCHISTICO DI PERSONALITA’. Questo termine, usato da Kernberg, indica individui che ricorrono a modi
inefficaci di elaborare le perdite e i sentimenti di tristezza, hanno bisogni eccessivi di dipendenza, ed
esprimono critiche e disapprovazioni esagerate nei confronti di se stessi. Se un paziente apparentemente
depresso, sembra più afflitto che non triste ed autocritico, allora si può presumere che i TRATTI
MASOCHICISTI siano predominanti;
2. Durante la psicoterapia, i masochisti possono cercare conforto e aiuto per le proprie disgrazie e
sembrano più volti a dimostrare ingiustizie subite, che a risolvere i propri problemi. Questa modalità di
comportamento contraddistingue le persone definite MASOCHISTI MORALI, che con la loro sofferenza
esprimono un senso di colpa inconscio e, per mezzo della loro apparente altruistica sottomissione
masochistica agli altri, trasmettono sottilmente un senso di superiorità morale.
In generale, in una sessione di psicoterapia, i clinici che lavorano con pazienti con carattere masochistico,
per non alimentare le loro disposizioni autodistruttive, devono utilizzare la “confrontazione”: il terapeuta
non ascolta e accetta affettuosamente le difficoltà del paziente (rafforzerebbe la convinzione che è la sua
sofferenza e la sua vittimizzazione a favorire la relazione: MASOCHISMO RELAZIONALE), piuttosto, mette
quest’ultimo di fronte ai contributi che egli stesso fornisce alle proprie difficoltà.

Da qui l’esigenza del PDM di descrivere due categorie di questo disturbo:


1. MASOCHISTA MORALE – in cui l’autostima dipende dalla sofferenza ed il senso di colpa inconscio porta a
non riconoscere\non dare valore alle esperienze di soddisfazione\successo;
2. MASOCHISSTA RELAZIONALE – crede inconsciamente che la relazione con gli altri dipenda dalla propria
sofferenza o vittimizzazione.
CAPITOLO 3: MODELLI PSICODINAMICI CLASSICI
FREUD
La teoria dell’aggressività (pulsione di morte o destrudo) di stampo Freudiano, è stata sviluppata lungo più
di trent’anni di studio, ed ha seguito un evolversi tutt’altro che lineare; essa, infatti, è stata revisionata e
cambiata più volte nel corso di questo periodo. Vediamo le varie formulazioni:
1. Per comprendere questa prima formulazione sull’origine dell’aggressività, bisogna partire dalla nozione
di pulsione. La pulsione è la rappresentazione psichica del bisogno, arriva in virtù della sua forza (spinta)
alla meta, cioè alla soppressione della tensione prodotta dall’eccitazione somatica (fonte), dirigendosi verso
un oggetto.
Freud vede la possibile origine dell’aggressività come conseguenza del non soddisfacimento di una
domanda pulsionale e come posta al servizio della libido: essa emerge molto precocemente nel bambino,
nella sua forma “positiva” del complesso di Edipo (desiderio di uccidere il padre: gli impedisce di
raggiungere il soddisfacimento sessuale con la madre), e visto che il complesso edipico è considerato come
una struttura universale, ne consegue che ogni bambino è destinato ad esperire questa aggressività
(sentimenti di odio nei confronti del padre). Sarà la corretta risoluzione del complesso di Edipo a deviare
l’aggressività del bambino verso altre mete ed altri oggetti.
Freud, seguendo queste prime idee, affronta la PERVERSIONE come una PATOLOGIA CONTENUTISTICA
(fissazione e regressione ad un precedente stadio infantile: la perversione contiene l’angoscia): il perverso
denega l’angoscia di castrazione (rifiuta di riconoscere la differenza tra i sessi) non riconoscendo nella
donna la mancanza del fallo. Ella possiede un fallo ma sotto forma di feticcio. Ne consegue una scissione
dell’Io in cui, una parte riconosce la realtà e una parte la rifiuta, per non essere invaso dall’angoscia.
2. Con la pubblicazione di “Al di là del principio di piacere”, introducendo l’esistenza di una pulsione di
morte (una carica distruttiva innata), Freud afferma che sarà Thanatos ad essere vista come l’origine
dell’aggressività. E’ proprio qui che l’aggressività si libera dall’assoggettamento della libido: l’origine
dell’aggressività proposta in questa fase è del tutto differente dalla fase “economica” Freudiana.
Freud afferma che la pulsione di vita (Eros: segue il principio di costanza\di realtà e cerca di adattare il
principio di piacere alla realtà) e la pulsione di morte (Thanatos: segue il principio di inerzia\di piacere e
cerca di allentare la tensione con distruttività e annientamento) non vengono mai manifestate nella loro
forma pura (non sono mai scisse), ma solo attraverso un IMPASTO o un DISIMPASTO tra le due. Quando
una dose di pulsione di morte devia da questo impasto e si manifesta all’esterno, allora, si può parlare di
aggressività. In base al grado di FUSIONE o DEFUSIONE delle due pulsioni, si hanno determinati
comportamenti normali o patologici, in cui la manifestazione dell’aggressività varia in un continuum “sana-
distruttiva”:
-PATOLOGIA – DEFUSIONE PULSIONALE, comporta manifestazioni aggressive molto distruttive perché c’è
una prevalenza di Thanatos;
-NORMALITA’ – FUSIONE PULSIONALE, comporta manifestazioni aggressive sane perché c’è una prevalenza
di Eros. La pulsione di vita si impasta a quella di morte per cercare di farla adattare alla vita e per renderla
più accettabile.
Freud, seguendo queste idee, affronta la PERVERSIONE, nello specifico il SADISMO e il MASOCHISMO, come
delle PATOLOGIE PULSIONALI la cui componente principale è l’aggressività:
-Il masochismo corrisponde ad una pulsione di morte , che spinge verso l’auto-distruzione, verso uno stato
inorganico (Nirvana), vero la destrudo, verso la riduzione totale delle tensioni;
-Il sadismo corrisponde ad una pulsione di morte che, resasi indipendente dall’impasto pulsione (pulsione
di vita e pulsione di morte), si esternalizza e si presenta come aggressività. In altre parole, il masochismo,
cioè pulsione di autodistruzione, diventa sadismo, cioè aggressività intensa, quando è rivolto verso
l’esterno.
Pertanto, secondo questa nuova impostazione freudiana, l’aggressività, è rivolta dapprima verso l’individuo
stesso (masochismo) e poi, solo successivamente, è indirizzata l’esterno (sadismo); è proprio in
quest’ultimo caso che la parte di pulsione di morte estroflessa viene anche chiamata PULSIONE DI
AGGRESSIONE O DISTRUTTIVA.

MELANIE KLEIN
La Klein attribuisce all’aggressività una dimensione istintuale-originaria: l’aggressività ha una dimensione
fantasmica, è già è presente alla nascita e da subito costringe il bambino ad avere fantasie di distruttività,
inizialmente verso Sé (angoscia di annichilimento: la distruttività interna rischia di ucciderlo) e,
successivamente, verso gli altri (angoscia persecutoria: proietta la distruttività verso l’esterno).
Per la Klein, la distruttività che deriva dall’angoscia di persecuzione (oggetto distrutto) è alla base di molta
psicopatologia e, in particolare, della PERVERSIONE, ed è proprio attraverso l’onnipotenza ed il piacere del
dominio distruttivo sull’altro che queste strutture relazionali patologiche si esercitano e si rafforzano (se il
bambino non ripara gli oggetti distrutti, continueranno a persistere queste strutture).
In questa ottica, il bambino è precocemente dotato di spinte distruttive che lo spingono a ricercare
esperienze oggettuali con oggetti in grado di contenerle: saranno gli altri ad essere aggressivi, distruttivi e
minacciosi.

La Klein, inoltre, ha dato una comprensione molto diversa della sessualità e del posto che questa occupa
nelle relazioni umane: è nella posizione depressiva, momento in cui sorge il senso di colpa (per aver
distrutto la madre nella posizione precedente) ed il desiderio di riparazione, che la capacità di dare e
ricevere piacere sessuale assume il suo significato originario. Procurare un’esperienza sessuale
soddisfacente a se stessi e all’altro è la testimonianza che le proprie capacità di riparazione riescono a
prevalere sulla propria distruttività ed indica la capacità di tenere in vita e di coltivare sia i propri oggetti
interni che i propri oggetti esterni.
DARE PIACERE SESSUALE AD UN’ALTRA PERSONA IMPLICA IL “SUPERAMENTO” DELL’ANGOSCIA
DEPRESSIVA: il desiderio di dare e ricevere gratificazione sessuale viene perciò sollecitato dalla pulsione di
riparazione (se questa fase non viene adeguatamente superata, si formano strutture patologiche perverse).
Il neonato sente che in questo modo l’oggetto danneggiato può essere riparato, e che il potere dei suoi
impulsi aggressivi viene diminuito, che i suoi impulsi di amore hanno briglia sciolta, e che la colpa è stata
mitigata.

WINNICOTT
Winnicott racchiude lo spirito della sua idea di aggressività, sostenendo che i rischi dell’eccesso di
aggressività dipendono direttamente dall’impossibilità di riconoscerla e poterla gestire con sentimenti
appropriati: l’aggressività è vista come una funzione mentale parziale, che precede la costituzione della
personalità e che serve al neonato per esprimere amore aggressivo (ad gredior). Solo in un secondo
momento, attraverso la maturazione della “preoccupazione” e l’elaborazione della “rabbia” (ad opera di
una madre sufficientemente buona), il bambino imparerà a gestirsi, scindendo il suo amore aggressivo in
due parti, ossia, amore e odio (questa scissione perdurerà per tutta la vita e lo aiuterà a consolidare gli
aspetti amorosi dentro di Sé e a tenere gli aspetti aggressivi fuori di Sé).

Secondo questa teoria, l’aggressività è una componente distruttiva delle pulsioni dell’Es, precede la fase
della costituzione della personalità e partecipa allo sviluppo della mente. L’aggressività innata, attraverso
uno sviluppo basato sulla relazione con l’ambiente capace di integrare e organizzare l’Io (madre
sufficientemente buona), verrà trasformata in un’aggressività riconosciuta e gestita (sarà in grado di
regolare ogni sentimento negativo).
Se le cose, invece, andassero diversamente, cioè se vi fosse una cattiva esperienza con l’ambiente (madre
non sufficientemente buona), il bambino non sarà in grado di riconoscere e gestire l’aggressività e, di
conseguenza, svilupperà comportamenti aggressivi.
Nella teoria Winnicottiana, ciò che ha un ruolo fondamentale per un sano sviluppo dell’aggressività è,
appunto, l’AMBIENTE, poiché deve dare al bambino la possibilità di vivere esperienze sufficientemente
buone, cioè di far riconoscere la rabbia, l’odio, l’aggressività e di integrarle con le altre parti di Sé: per
ottenere questo risultato, è necessario che l’ambiente non sia né troppo protettivo, né eccessivamente
frustrante. Pertanto, i dati costituzionali del bambino (patrimonio genetico) hanno bisogno delle cure
affettuose e dell’aiuto offerti dalla madre (attitudine materna ad adeguarsi alle esigenze del figlio), per
essere utilizzati, per articolarsi e per differenziarsi.

Winnicott insiste sulla necessità di un’attitudine materna ad adeguarsi alle esigenze del bambino.
Innanzitutto, ella deve adeguarsi all’onnipotenza e ai primi “gesti creativi” del figlio, e, l’autore, sottolinea
come ciò costituisca la base perché il bambino acquisti un’autentica fiducia nel proprio senso del Sé (in via
di sviluppo e maturazione). Un processo implicato in questa prima interazione è quello di “riparazione” -
“creazione” (la mamma e tutti gli oggetti del mondo esterno devono “lasciarsi creare” dal bambino),
laddove, i processi riparativi sono espressione del potenziale congenito delle forze libidiche, aggressive,
immaginative e affettive, operanti nel sistema psiche-soma del bambino. E’ evidente, quindi, che Winnicott,
diversamente dalla Klein, non intende la funzione della riparazione come limitata a mitigare e neutralizzare
il danno procurato dal sadismo presente nella prima infanzia; egli la intende, piuttosto, come un modo per
il bambino di sviluppare una propria identità personale, un proprio senso di fiducia, e un proprio Sé
autentico(un’adeguata devozione materna rendono il bambino capace di acquisire il contatto con la realtà,
l’integrazione del Sé, un senso del proprio corpo, ecc.).
Se la madre non riesce a rispondere alla tendenza riparativa-creativa del figlio, si produce uno squilibrio
nell’articolarsi del senso di Sé, dell’autenticità e dell’identità, che comporta l’uso difensivo della tendenza
alla riparazione. Il bambino potrebbe avere azioni ed emozioni troppo rivolte verso la madre e rischiare di
sviluppare un falso-Sé compiacente.
L’essere umano fa così uso della sessualità non procreativa in modo peculiare: egli diviene uno strumento
per l’appagamento dei bisogni di un altro, bisogni che sono trasmessi e percepiti come modalità primitive
d’interazione, entro un mondo strutturato nel rapporto simbiotico.

Nel pervertito l’area del disturbo si forma in quello stadio della prima infanzia, in cui il Sé, il corpo, l’Io, si
avviano a definirsi sotto la guida e le cure materne: in questo contesto il concetto di “oggetto
transazionale” ci fornisce un valido strumento per esaminare le perversioni.
Winnicott elenca le speciali qualità della relazione tra il bambino e l’oggetto transazionale:
1. Il bambino sperimenta un’onnipotenza sull’oggetto e il care-giver lo accetta;
2. L’oggetto viene abbracciato affettuosamente (viene amato) ma anche rimproverato, picchiato o
mutilato;
3. L’oggetto non deve mai cambiare;
4. L’oggetto deve sopravvivere all’odio istintuale e all’aggressività pura;
5. L’oggetto non viene totalmente da fuori (mondo esterno) e non viene neanche totalmente da dentro
(un’allucinazione);
6. Deve essere gradualmente disinvestito, in modo che, nel corso degli anni, non venga dimenticato ma
accantonato (va perdendo significato).
Per il soggetto perverso, “l’altro” ha essenzialmente il valore di un “oggetto transazionale”. E’ un oggetto
che, per il suo atteggiamento acquiescente, si presta ad essere inventato, manipolato, usato e abusato,
saccheggiato e scartato, coccolato e idealizzato. Può assurgere ad identificazione simbiotica e, nello stesso
tempo, venire ridotto a cosa inanimata. In ogni caso, non riuscirà a cura il soggetto perverso dalle sue
deviazioni evolutive, originate da carenze nelle cure materne.

LACAN
Le tematiche psicoanalitiche trattate da Lacan, procedono verso l’abbandono della centralità del soggetto
come chiave d’interpretazione del modo d’essere dell’essere umano: egli è considerato un innovatore del
pensiero Freudiano ed un seguace di De Saussure.
La rivoluzione freudiana, secondo Lacan, è consistita nel detronizzare l’Io dalla sua posizione elitaria,
riconoscendo nell’Inconscio la vera voce dell’individuo: chi parla all’individuo non è l’Io, ma l’Inconscio.
Lacan ha basato, coerentemente, la sua teoria sull’Inconscio, il Linguaggio, e l’Altro, teorizzando che :
“L’inconscio è strutturato come un linguaggio”. In questo contesto vediamo che:
1. “L’ inconscio” non è l’istintuale e il preverbale, su cui deve intervenire l’Io regolatore, ma è il luogo della
ragione, ed essendo strutturato come un linguaggio, sottostà a delle regole ed ha una struttura ben precisa;
2, “L’altro”, non corrisponde ad una persona ma al campo del linguaggio, entro le cui leggi il soggetto si
trova preso e costretto (l’uomo dipende dalla cultura in cui nasce: è una struttura che lo predetermina):
l’essere umano nasce nel campo dell’altro (cultura).
Già prima della sua nascita, l’individuo si trova inscritto nella cultura.
L’altro (cultura\campo del linguaggio) agisce sul bambino ancor prima di ogni possibile interazione con la
madre.

La TERAPIA PSICOANALITICA, dunque, non deve mirare a potenziare l’Io, cioè la dimensione conscia, ma,
deve mirare a consentire l’accesso alla verità dell’Inconscio (plasmato precocemente dalla cultura): solo
operando una riduzione dell’IO, si può lasciare che la verità parli, anche se mai nella sua interezza.

La prima tappa dello sviluppo del bambino è costituita dallo STADIO DELLO SPECCHIO: tra i 6 e i 18 mesi, il
bambino arriva a riconoscere la propria immagine riflessa nello specchio ed elabora un primo abbozzo di
Sé, ma entro una relazione duale di confusione tra il Sé e l’altro. A tale simbiosi, in un secondo momento
(quando il bambino ha desideri sessuali nei confronti della madre: Edipo), si interpone la figura paterna, la
quale rappresenta la “figura della legge” e la “civiltà”: la sua “parola” produce la rimozione del desiderio
della madre, l’uscita del bambino dal mondo simbiotico\psicotico\perverso con lei, e l’ingresso nel mondo
adulto condiviso. Secondo Lacan, il linguaggio, fondato sulla rimozione dell’immaginario, consente l’accesso
alla società e alla cultura, necessarie per far sorgere una “soggettività” e “un’immagine di Sé” (i simboli
linguistici e sociali si depositano nell’Inconscio). Pertanto, l’uscita dal mondo psicotico, simbiotico e
perverso infantile, prevede l’abbandono del godimento e l’ingresso nel mondo del desiderio realistico,
limitato e procrastinabile.
tuttavia, per Lacan, il processo di soggettivazione implica, insieme, l’alienazione, la perdita d’essere della
vita, la separazione e l’erotizzazione di questa perdita che avviene per via del desiderio.

Secondo Lacan, il soggetto cosciente, parlando, tende ad esprimere, attraverso le parole (i significanti),
contenuti di pensiero (significati): l’inconscio parla, ma attraverso una trama indefinita di significanti che
scorrono su di una rete sottostante di significati, con cui essi non hanno un rapporto univoco.
 A LIVELLO COSCIENTE SI DA’ IL PRIMATO DEI SIGNIFICANTI SUI SIGNIFICATI: un’espressione non rimanda
ad un’altra espressione; è certo\definibile il piano dei contenuti a cui ci si riferisce;
 A LIVELLO INCOSCIENTE SI DA’ IL PRIMATO DEI SIGNIFICATI SUI SIGNIFICANTI: un’espressione rimanda
ad un’altra espressione; è incerto\indefinibile il piano dei contenuti a cui ci si riferisce;
Nell’Inconscio, il significante è un sistema, una rete, una catena, e il significato è ciò a cui rinvia il
significante, ma che rimane non articolabile, indecifrabile, inaffidabile: Lacan vede nel linguaggio l’unico
mezzo per pervenire alla conoscenza di se stessi ma, contemporaneamente e inevitabilmente, esso è anche
strumento di alienazione di se stesso.

CONTINUA

KHAN
Khan fa una distinzione tra nevrosi, psicosi e perversione, data dal tipo di meccanismi di difesa che si
utilizzano, dalla qualità dell’esame di realtà, e dalla specifica modalità di relazione oggettuale che si vive (sia
oggetto esterno che oggetto interno):
1. NEVROSI – la relazione oggettuale, sia interna che esterna, è chiaramente stabilita. Il problema patogeno
è il conflitto istintuale intrapsichico;
2. PSICOSI – l’onnipotenza dei processi soggettivi intrapsichici nega la relazione oggettuale con l’oggetto
esterno;
3. PERVERSIONE – l’oggetto occupa una posizione intermedia, nel senso che, è non-Sé ma è vissuto come
soggettivo; è vissuto e accettato come separato da Sé ma trattato come creazione soggettiva; esiste nel
presente in quanto non-Sé ma è obbligato a compiacere il bisogno soggettivo che l’ha inventato.
“E’ sospeso a metà strada, in uno spazio che sta tra la realtà esterna e la realtà psichica profonda”.

Secondo questa idee, lo sfruttamento magico dell’oggetto da parte del perverso, è veramente ovvio;
eppure il pensiero magico non riesce completamente l’effettiva carenza che sta alla base dell’incapacità del
soggetto perverso di focalizzare e sintonizzare le emozioni nella relazione con un oggetto (Anna Freud
descrive questo atteggiamento come “incapacità di amare” - “terrore di cedere alle emozioni”).
In questa sostanziale incapacità di mantenere un adeguato investimento sull’oggetto, Khan, vede il
dinamismo motivante sottostante la “TECNICA DELL’INTIMITA’” usata dal soggetto perverso. Khan ha
definito questo tipo di relazione oggettuale la “tecnica dell’intimità” quando aveva in analisi,
contemporaneamente, pazienti eterosessuali con disturbi di tipo schizoide e pazienti omosessuali: in
entrambi i casi la “tecnica dell’intimità” era il risultato del loro “difetto di maturazione” per quanto
concerne l’integrazione dell’Io entro il contesto evolutivo della relazione d’appoggio del bambino con la
madre.  LA TECNICA DELL’INTIMITA’ INDICA IL CLIMA EMOTIVO DELLE FUNZIONI ENDOPSICHICHE
PROPRIE DELLA PERVERSIONE (aggettivo intimate: riferito ai sentimenti e ai pensieri più intimi\ verbo
intimate: condurre o spingere dentro, far conoscere, annunciare).
Il soggetto perverso, mediante la “tecnica dell’intimità”, cerca di annunciare a se stesso e di spingere
dentro un’altra persona, qualcosa che si riferisce alla propria natura profonda. Cerca di scaricare questa
tensione istintuale in modo immediato e coattivo su un’altra persona, sforzandosi di stabilire una situazione
fittizia che implichi la seduzione e la cooperazione volontaria dell’oggetto stesso: la capacità di creare
l’atmosfera emotiva che sollecita la volontaria partecipazione di un’altra persona è uno dei pochi talenti
reali dei soggetti perversi.
L’autore è, tuttavia, incline a ritenere che nel carattere del soggetto perverso, l’aspetto difensivo principale
(il mantenimento della psicopatologia è dato dalla rigidità e la staticità dei meccanismi difensivi) sia quello
di EVITARE DI REGREDIRE ALLA DIPENDENZA DELL’IO: con la tecnica dell’intimità, il soggetto perverso tenta
di costringere il suo complice a regredire verso la dipendenza e la resa istintuale, mentre, il suo Io si difende
con la distanza e le dissociazioni. In lui gli elementi di gioco ripetitivo, finzione, onnipotenza, manipolazione
dell’oggetto, sono tutti elementi vissuti come GARANZIE CONTRO LA REGRESSIONE DELL’IO ALLA
DIPENDENZA (vigilanza autoprotettiva).

Tuttavia, Kahn, nella sua teorizzazione, tiene sempre conto di un paradosso: il soggetto perverso non riesce
ad adagiarsi completamente all’esperienza del piacere e del soddisfacimento, poiché il suo Io mantiene
sempre un controllo – manipolativo della situazione, questo perché è come se il soggetto dovesse sempre
tenere sotto controllo le sue angosce dovute al trauma dell’“abbandono infantile” (il soggetto resta privato
del suo desiderio). Questo rappresenta sia il suo successo (onnipotenza e sfogo piacevole), sia il suo
fallimento (non soddisfatto) nella relazione intima. Questo fallimento, a sua volta, alimenta la COAZIONE A
RIPETERE continuamente il processo perverso (per raggiungere, prima o poi, il soddisfacimento pulsionale):
il senso di insaziabilità deriva dal fatto che, per lui, ogni avventura costituisce un parziale fallimento.
Proprio questo elemento di insoddisfazione personale e di invidia del piacere che gli altri, invece, possono
raggiungere, fa sì che molti soggetti perversi si comportino in modo meschino e violento con i loro oggetti
d’amore, elemento che li spinge e costringe anche ad insultarli e ferirli.

Un altro aspetto interessante del comportamento perverso è il suo confessare la vergogna e il senso di
colpa all’oggetto prescelto. Ma si tratta di una confessione destinata al fallimento, perché l’oggetto
prescelto può solo aiutare a porre in scena questi sentimenti e a dargli una realtà nel comportamento
tangibile, senza riuscire a far riaffiorare il vero bisogno, i tormenti, i traumi del soggetto perverso. Da qui
l’inconsolabilità di quest’ultimo e il suo ricorrere ricorrente alla “tecnica dell’intimità”: se si prefigura (per il
soggetto perverso) come uno strumento terapeutico, ma, nella realtà dei fatti, è solo un meccanismo
patologico, in quanto, comporta senso di svuotamento, spossatezza, ritiro paranoide, ecc.
 I SOGGETTI PERVERSI RICORRONO ALLA TERAPIA PSICOANALITICA SOLTANTO QUANDO I LORO
TENTATIVI “AUTO-TERAPEUTICI” SONO COMPLETAMENTE FALLITI.

Kahn, infine, ci dice che nel soggetto perverso l’area del disturbo risale a quello stadio della prima infanzia
in cui il Sé si dirige verso l’integrazione e la definizione, sotto la guida e le cure della madre: ne deriva che i
processi psichici adeguati a quello stadio, cioè le modalità con le quali il bambino si pone in relazione e
sperimenta il suo ambiente umano e non umano, devono avere molta importanza per il modo in cui il
soggetto perverso si connette col suo oggetto sessuale e lo manipola (Khan, essendo un winnicottiano, fa
anche uso del concetto di “oggetto transazionale” per spiegare il comportamento perverso).

KERNBERG
Kerneberg ha proposto una concezione dell’aggressività innatista e pulsionale-affettiva: l’aggressività è
presente negli affetti, in altre parole, nella primordiale capacità di distinguere ciò che ci piace (es. nutrirsi)
da ciò che non ci piace (es. sentire fame).
 COLLOCA LA MATRICE DELL’AGGRESSIVITA’ NEGLI AFFETTI, OVVERO, NELL’INNATA CAPACITA’ DI POTER
SOFFRIRE E GIOIRE: solo dall’esperienza che possiamo fare di questa nostra capacità, l’aggressività potrà
strutturarsi, successivamente, in pulsione.
Attraverso le prime esperienze con il mondo, e grazie ad altre due proprietà innate, ossia, fantasticare e
memorizzare, strutturiamo una psiche molto complessa. Questa psiche si struttura, quindi, sia a partire
dalle esperienze primarie vissute, che dalle pulsioni di vita e di morte innate (libido e destrudo). In questo
contesto, ritroviamo l’aggressività che corrisponde alla ESTRINSECAZIONE DELLA PULSIONE DI MORTE.

Per quanto concerne il MASOCHISMO (e la patologia masochistica), Kerneberg, sostiene che potrebbe
essere descritta come un’ampia serie di fenomeni, sia normali che patologici, che si focalizzano sull’auto-
distruttività e sul piacere della sofferenza.
E’ un campo dai confini imprecisi, dove da un lato, troviamo l’auto-eliminazione o l’eliminazione dell’auto-
consapevolezza, aspetti che acquisiscono il focus centrale della patologia; e, dall’altro, troviamo una sana
capacità di sacrificio in nome della famiglia, degli altri, di un ideale, aspetti che non possono essere
considerati patologici.
Tra questi due estremi, vi è un ampio spettro di patologia masochistica, che ha come elemento comune un
conflitto inconscio tra la sessualità ed il Super-io: nel regno del “masochismo morale” e del “masochismo
sessuale”, l’esperienza obbligata del dolore, la sottomissione, l’umiliazione, per ottenere una gratificazione
sessuale, sono la punizione inconscia per i desideri edipici proibiti della sessualità genitale.
L’oggetto del desiderio sessuale è, in origine, la madre che offre, insieme, un eccitamento ed una
frustrazione; l’eccitazione erotica (dovuto all’eccitamento), con la sua componente aggressiva (dovuto alla
frustrazione), è una risposta di base ad un oggetto desiderato.
La fantasia inconscia sottostante potrebbe essere espressa in questo modo: “tu mi fai male, e questa è una
parte della tua risposta al mio desiderio; io accetto la sofferenza come parte del tuo amore. Questo
consolida la nostra vicinanza e io divento come te, godendo del dolore che mi infliggi”.
Le implicazioni aggressive della sofferenza, l’aggressione subita dall’oggetto desiderato, la reazione
rabbiosa al dolore, sono, così, fuse con l’amore, che diventano parte indispensabile dell’eccitazione erotica.

Tuttavia, quando le interazioni con la madre sono cronicamente aggressive o caratterizzate da un abuso
eccessivamente frustrante, l’intensità della sofferenza fisica e psichica del bambino, non può essere
assorbita in una normale risposta erotica: il bambino diventa sadico.
UNA ECCESSIVA SOFFERENZA SARA’, DUNQUE, TRASFORMATA IN AGGRESSIVITA’.
In circostanze estreme, l’eccessiva aggressività si riflette in un’auto-distruttività primitiva. Gravi malattie
con sofferenze prolungate in età precoce, aggressioni fisiche o sessuali, e relazioni cronicamente
improntate al caos e all’abuso con un oggetto parentale, possono riflettersi in una grave distruttività e
auto-distruttività, che produce la sindrome del NARCISISMO MALIGNO, caratterizzata da un Sé grandioso
patologico carico di aggressività (rispecchia la fusione del Sé con l’oggetto sadico).
La fantasia inconscia sottostante potrebbe essere espressa in questo modo: “sono solo con la mia paura, la
mia rabbia e il mio dolore. Diventando tutt’uno con chi mi tormenta, posso proteggere me stesso dalla
distruzione e dall’autoconsapevolezza. Adesso non devo più temere il dolore e la morte, perché infliggendole
a me stesso o ad altri, divento superiore a tutti quelli che determinano o temono queste disgrazie”.

In casi meno estremi l’aggressività non conduce ad un’auto-distruttività primitiva.


Per questo motivo, Kernberg, descrive 3 modalità di organizzazione psichica in cui un’intensa aggressività
può essere incorporata nell’apparato psichico in maniera auto-diretta:
1. L’auto-distruttività primitiva;
2. Il masochismo erotico;
3. Il masochismo morale;
Negli individui sani, invece, l’aggressività primitiva dovrebbe essere integrata come elemento “normale” nel
proprio Sé, senza necessariamente contaminare l’intera struttura di carattere.

FRANCESCO DE MASI
Il pensiero di De Masi sulle perversioni, e, in particolare, sulla perversione sadomasochista, si differenzia in
maniera netta da altre teorizzazioni contemporanee. Egli afferma che ciascuna concezione psicoanalitica
della perversione sembra cogliere solo una parte della sua natura, tanto che potrebbe essere utile e
auspicabile, costruire un approccio multicentrico. Vediamo per quali motivi si differenzia:
1. Facendo riferimento all’odio, lo psicoanalista lo considera lontanissimo dal sadomasochismo come da lui
inteso, cosa che invece troviamo alla base di autori come Stoller che vedono la perversione come “forma
erotica dell’odio”. L’odio non è né una componente, né il cuore, della perversione sadomasochista: al vero
sadico perverso non importa nulla della sua vittima (non la odia), in quanto tale, se non per il fatto che sia,
appunto, nullificata e vittima;
2. Riconosce l’importanza del trauma e delle relazioni ma non le considera fondamentali. Rispetto alla
prospettiva relazione e traumaticista, identificate spesso come i focus del problema della perversione,
l’autore pone due ordini di obiezioni:
-OBIEZIONI CLINICHE, i due paradigmi possono far luce su altre situazioni cliniche, ma non sulla perversione
sadomasochista. Non c’è dubbio che molti disagi siano da porsi direttamente in relazione con traumi
passati, ma ciò non ha nulla a che fare con la vera struttura perversa (anche perché nelle vere perversioni
l’angoscia non gioca alcun ruolo). Non ci sono evidenze cliniche o ricerche extra-psicoanalitiche che
effettivamente confermino questa corrispondenza. Anzi, in molti casi, la sequenza trauma-perversione
potrebbe essere rovesciata, ad esempio, in un bambino segretamente dedito al piacere sadomasochistico,
un’esperienza traumatica può stimolare la sessualizzazione,
 PIACERE NASCOSTO  TRAUMA  RISVEGLIA IL PIACERE NASCOSTO, INVECE CHE ESSERE UNA FONTE
D’ANGOSCIA  DISTURBO SADOMASOCHISTICO.
-OBIEZIONI TEORICHE, non vi sono serie ragioni per ritenere che un disturbo nello sviluppo e nella coesione
del Sé, debba produrre proprio lo sviluppo della sessualità perversa. Vi sono, invece, molte ragioni teorico-
cliniche per ritenere ipotizzabile una relazione opposta tra fragilità del Sé e perversione, infatti, è il
progressivo prevalere di un’area perverso-distruttivo-eccitata che produce un’usura progressiva del Sé.
 STATO MENTALE PERVERSO  DESTRUTTURAZIONE DEL SE’  INDEBOLIMENTO DELLA VITALITA’.
3. Nella dimensione perversa l’amore o il sesso non sono delle caratteristiche distintive. De Masi nega ogni
continuità tra “sessualità normale” e “sessualità perversa”. L’autore sostiene, piuttosto, la sostanziale
diversità sul piano clinico tra la “vera perversione sadomasochista” (perversione come struttura) e il campo
variegato degli “agiti perversi”, dei comportamenti perversi più o meno “episodici e difensivi”, dei
comportamenti perversi a “carattere compulsivo”, dei comportamenti perversi sintomatici di “stati
depressivi” o di sottostanti “angosce dissolutive” (patologia borderline).
L’aspetto prezioso della teoria di De Masi è proprio la RADICALE SEPARAZIONE tra distruttività sadica e
sviluppo della psicosessualità e del mondo relazionale (porre le radici del sadomasochismo fuori dalla
sessualità): egli introduce la nozione di SESSUALIZZAZIONE, cioè l’attivazione di uno stato mentale eccitato
e drogato, totalmente al servizio della distruttività primaria, che consente un piacere anoggettuale (non
legato ad una relazione affettiva) puramente distruttivo.
De Masi colloca la perversione nel MONDO DELLA PSICOPATOLOGIA, come espressione di un nucleo
distruttivo, che non è affatto in continuità né con le vicende dello sviluppo psicosessuale (lo sviluppo
psicosessuale freudiano si riferisce ai fattori della personalità, alla conformazione biologica, a un generale
senso di Sé: non si riferisce ai soli sentimenti o comportamenti sessuali) e della relazionalità, né con
l’organizzazione “normale” della vita mentale: pensare la perversione sadomasochista come radicalmente
“altra” rispetto alla sessualità e alla costruzione del mondo oggettuale, significa che a essa non può essere
riconosciuto alcun significato evolutivo rispetto a fasi o posizioni precedenti, né regressivo, difensivo o di
ancoraggio, rispetto ad un cammino che ha subito intoppi.
 NON HA NULLA A CHE FARE CON IL BAMBINO “PERVERSO POLIMORFO”;
4. La perversione sadomasochistica è THANATOS PURO, nasce da una distruttività primaria, alimentata e
rafforzata, in alcuni casi, dalle vicende esperienziali e oggettuali più varie, dalle quali, però, non è
dipendente: semmai prende forma di STATI SESSUALIZZANTI della mente (non stati sessuali), cioè, la
sessualizzazione (vedi sopra) colonizza (in senso dispregiativo) la sessualità; quest’ultima diventa solamente
la benzina che accende lo stato mentale distruttivo. La sessualità è piegata al servizio di un Sistema
Motivazionale avversivo e predatorio.

Quindi, secondo De Masi, la PERVERSIONE SADOMASOCHISTA, è un “qualcos’altro” rispetto a tutte le


concettualizzazioni e le definizioni che le sono state assegnate. L’intento di De Masi è quello di ISOLARE
UNA CELLULA, che egli chiama MONADE SADOMASOCHISTICA, in cui collocare l’esperienza mentale del
piacere a carattere distruttivo. Vediamo i punti focali di questa teorizzazione:
-è l’effetto colonizzante di aree della mente distruttive, eccitate, drogate;
-al servizio della distruttività primaria c’è una sessualizzazione che attiva degli stati mentali rivolti
esclusivamente al piacere anoggettuale;
-non si sviluppa in continuità con la sessualità e con la relazionalità;
-è una tecnica di “annullamento dell’Eros”. Un’eccessiva sottolineatura della dimensione psicologica lascia
in ombra la specificità e l’autonomia della sfera sessuale;
-è un fenomeno radicalmente patologico che non può essere pensato in termini di difesa, di conflitto, di
deviazione, di regressione. Esso, piuttosto, cattura progressivamente la mente di bambini particolarmente
fragili ed eccitabili;
-la bruta, cieca, criminale, sessualità del sadico, viene distinta dalle “parafilie” e dal “sintomo di
perversione” visibili in altre esperienze psicopatologiche. Ad esempio, gli stati sessualizzati nella psicosi,
l’acting perverso nelle patologie borderline, le difese sessualizzate nelle depressioni.
CAPITOLO 4: LE PERVERSIONI NELLA CLINICA
IL CONCETTO CLINICO DI PERVERSIONE
IL PUNTO DI VISTA PSICODINAMICO SULLA CLINICA DELLE PERVERSIONI
LA PERVERSIONE SADOMASOCHISTICA E LE RELAZIONI MASOCHISTICHE
LE PERVERSIONI SECONDO LA PROSPETTIVA DELLA PSICOANALISI RELAZIONALE
CAPITOLO 5: LE PSICOTERAPIE
La perversione sadomasochista prevede diverse psicoterapie:
1. PSICOANALISI CLASSICA, prevede un trattamento (a lungo termine) mirato alla risoluzione dei conflitti
inconsci e alla ristrutturazione della personalità;
2. APPROCCIO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE, si basa sull’idea che la conoscenza dei propri bias
cognitivi e dei propri pensieri disfunzionali possa promuovere un cambiamento stabile;
3. TERAPIE FOCALI, prevede un trattamento (a lungo termine) mirato alla risoluzione dei conflitti inconsci
ma, a differenza della psicoanalisi classica, essa si rivolge ad un circoscritto cambiamento del carattere e
non a tutta la personalità.

PSICOTERAPIA PSICODINAMICA
La terapia psicodinamica si propone di conseguire una comprensione degli stati interni problematici del
paziente, costituiti da sentimenti, desideri, convinzioni contrastanti, i quali, a loro volta, sono codificati
all’interno di pattern relazionali. Questa comprensione è ottenuta attraverso l’interpretazione delle
verbalizzazioni e del comportamento del paziente nel corso della seduta, e, in particolare, attraverso la
relazione con il terapeuta (transfert e controtransfert).
La psicoterapia psicodinamica racchiude un ampio range di approcci terapeutici collocabili lungo un
continuum che dalla PSICOANALISI VERA E PROPRIA passa attraverso le PSICOTERAPIE ESPRESSIVE o
ORIENTATE ALL’INSIGHT (rivolte all’analisi delle difese, del transfert, del controtransfert e sono finalizzate a
rendere consci i conflitti inconsci) fino ad arrivare alle PSICOTERAPIE SUPPORTIVE o DI SOSTEGNO DELL’IO
(che si propongono di rafforzare le difese l’Io e di favorire modalità di adattamento alla realtà più
funzionali).
Tra tutti questi trattamenti, la PSICOTERAPIA ESPRESSIVA, può essere il metodo privilegiato per trattare
alcuni casi di parafilia, anche se le aspettative del terapeuta riguardo agli esisti devono sempre essere
modeste: i pazienti che hanno un’organizzazione del carattere di alto livello, una buona dose di
motivazione, provano un certo disagio per i loro sintomi, sono curiosi riguardo alle origini di tali sintomi,
traggono maggiori vantaggi rispetto a coloro che non presentano queste caratteristiche.

Un meccanismo che spesso emerge quando i soggetti parafilici vengono trattati con una terapia
psicodinamica, è il DINIEGO: i soggetti asseriscono che la parafilia non è un problema o che non lo è più.
Il terapeuta deve riconoscere che questo tipo di comportamento adottato dal paziente è necessario per la
sua SOPRAVVIVENZA EMOTIVA, in quanto, egli, in questo modo, si ripara da un’angoscia (dovuta a traumi
infantili) che altrimenti sarebbe invalidante e pervasiva: deve comprendere e ridimensionare
l’atteggiamento, ma, per fare ciò, è importante che prima si costruisca, tra le due parti, un’ALLEANZA
TERAPEUTICA.

Una caratteristica importante del TRANSFERT SADOMASOCHISTICO, è che spesso i pazienti accusano
l’analista di avere un comportamento pretestuosamente frustante, aggressivo, invasivo, freddo e
sprezzante nei loro confronti, non lasciando nessuna possibilità di chiarire la natura fantasmica o esagerata
di queste lamentele, né di lavorare psichicamente e riflessivamente su questi aspetti: “è così e basta”.
Potremmo concludere, in linea con De Masi che: “L’analisi con pazienti perversi prevede che l’analista
mantenga costantemente un equilibrio, e un interesse per il mondo della perversione, per i suoi misteri e la
sua singolarità, in una posizione forte e tollerante insieme, tale che la speranza in una possibile
modificazione non sia vanificata dal cinismo con cui il paziente per lungo periodo difende la sua posizione”.
NON SIAMO COMPLETAMENTE DISARMATI NELLA TERAPIA DELLA PERVERSIONE, SE RIUSCIAMO A
“CAPIRLA” BENE: anche nel più grave dei nostri pazienti esistono aree sane con le quali si può lavorare con
buone “speranze”.
APPROCCIO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE
Il modello cognitivo-comportamentale ipotizza una complessa relazione tra emozioni, pensieri e
comportamenti, sottolineando come molti dei nostri problemi, siano influenzati da ciò che facciamo e ciò
che pensiamo nel presente, nell’hic et nunc.
Questo approccio combina due orientamenti clinici estremamente efficaci:
1. COGNITIVO, aiuta a riconoscere pensieri ricorrenti, schemi fissi di ragionamento e di interpretazione
della realtà, che sono concomitanti alle persistenti emozioni negative, le quali, a loro volta, sono percepiti
come sintomi; aiuta, inoltre, a correggerli, ad arricchirli, a integrarli con altri pensieri più oggettivi\più
funzionali al benessere della persona;
2. COMPORTAMENTALE, aiuta a modificare la relazione fra le situazioni che creano difficoltà e le abituali
reazioni emotive\comportamentali che la persona ha in tali circostanze, mediante l’apprendimento di
nuove modalità di reazione; aiuta, inoltre, a rilassare mente e corpo, così da sentirsi meglio e poter
riflettere e prendere decisioni in maniera più lucida (es. desensibilizzazione sistematica).

Terapie cognitive e terapie dinamiche condividono l’assunto dell’ESISTENZA DI PROCESSI COGNITIVI


IRRAZIONALI, anche se, nel caso dell’approccio cognitivo-comportamentale, i legami tra la sintomatologia e
le cognizioni, sono considerati meno complessi di quanto ipotizzato dalle teorie dinamiche.
Tuttavia, esiste comunque una sovrapposizione tra la terapia cognitiva moderna e le idee psicoanalitiche
tradizionali: per esempio, il carattere auto-distruttivo, riscontrabile anche nella perversione masochistica,
riguarda cognizioni negative insite nella visione negativa del Sé, del mondo e del futuro (triade cognitiva), e,
allo stesso tempo, riguarda una tendenza difensiva ad evitare l’esame di queste cognizioni penose.

I clinici di questo orientamento sono meno interessati all’ORIGINE di idee e di comportamenti scarsamente
adattivi, e si concentrano, piuttosto, su COME questi aspetti disadattivi di funzionamento siano sostenuti e
premiati dall’ambiente di un individuo e dai suoi sistemi di convinzione.
 L’IDENTIFICAZIONE DELLE CAUSE DI CREDENZE DISFUNZIONALI NON E’ UNA COMPONENTE ESSENZIALE
DI QUESTI TRATTAMENTI (A DIFFERENZA DEI TRATTAMENTI PSICODINAMICI).
I trattamenti cognitivo-comportamentali lavorano sull’analisi dei pensieri e delle convinzioni che
potrebbero portare a comportamenti disfunzionali e hanno l’obiettivo di modificare queste convinzioni
scarsamente adattive in modo da ottenere comportamenti funzionali: tutto ciò si fa attraverso tecniche di
autocontrollo, sensibilizzazione, decatastrofizzazione, programmazione di attività, homeworks, e
soprattutto attraverso terapia di gruppo, attraverso cui, il sexual offender può confrontarsi con altri
pazienti per vedere “da fuori” i propri comportamenti, ascoltandoli da altri, e può sentirsi meno solo e
“strano”, dal momento che altre persone condividono le sue stesse problematiche.
Nel caso della PERVERSIONE, l’approccio cognitivo-comportamentale, all’inizio, applicava tecniche
comportamentali di tipo avversivo: ad esempio, ai violentatori si facevano vedere delle immagini sessuali
associate all’iniezione di una sostanza che produceva nausea.

Il difficile compito del terapeuta sarà quello di costruire una capacità di resistenza e di contrasto ad un tipo
di pensieri\azioni forti: un perverso può considerare assolutamente normali la violenza interpersonale, gli
abusi, le opinioni negative su donne e bambini, la superiorità del maschio.
I terapeuti cognitivi, inoltre, lavorano molto sul recupero dell’autostima da parte di questi soggetti, poiché
presuppongono che queste azioni di violenza derivino da sensazioni di debolezza. Il perverso, infatti, spesso
vive in solitudine ed ha una mancanza di empatia (non solo nei confronti della vittima ma anche nei
confronti di tutte le persone con cui si rapporta).

LE PSICOTERAPIE E LE PROVE DI EFFICACIA


Quali sono i motivi per cui è difficile affrontare una psicoterapia con un soggetto affetto da perversione?
Possiamo racchiuderli in 3 categorie:
1. Molte perversioni sono ego-sintoniche e quindi molto raramente questi pazienti richiedono un
trattamento. Tuttavia, può succedere che, pazienti affetti da parafilie, possono essere “pressati” dalle
famiglie, amici, coniugi, affinché si rivolgano ad uno specialista;
2. Il tipo di risposte contro-transferiali che questi pazienti evocano. Se tutti noi combattiamo con desideri
inconsci perversi, come Freud e altri dopo di lui hanno ripetutamente suggerito, allora è ragionevole
presumere che noi potremmo reagire al paziente perverso così come reagiremmo ai nostri stessi impulsi
perversi, con disgusto, ansia e disprezzo o con atteggiamenti punitivi e di rimprovero;
3. La comorbilità psicopatologica, che rende difficile la diagnosi e complesse le tematiche da affrontare.

Gli studi sull’efficacia del trattamento per le parafilie sono stati per la maggior parte condotti su individui
responsabili di reati a sfondo sessuale e, ad oggi, non siamo in grado di affermare che uno specifico
trattamento psicoterapeutico sia particolarmente efficace per una o per tutte le forme di parafilia.
MOLTI PROGRAMMI TERAPEUTICI PREVEDONO MODELLI INTEGRATI ADATTI AL SINGOLO PAZIENTE.
Si può dire che, di solito, associati all’impiego degli approcci psicodinamici, sono impiegati la terapia
cognitivo-comportamentale, il condizionamento comportamentale, e la prevenzione delle ricadute (si può
ricorrere anche alla farmacologia se è necessario: come nel caso del sadismo acuto).
Gli obiettivi della terapia (qualsiasi) generalmente includono:
-Aiutare i pazienti a superare la loro negazione e a sviluppare empatia per le loro vittime;
-L’identificazione e il trattamento dell’eccitazione sessuale deviante;
-L’identificazione di deficit sociali e di inadeguate capacità di adattamento;
-La modifica di distorsioni cognitive;
-Lo sviluppo di un completo piano di prevenzione delle recidive che includa l’evitamento delle situazioni in
cui il paziente può essere indotto in tentazione;

In ambito psicoterapeutico si è cercato di individuare i fattori che potessero portare contributi all’efficacia
della terapia. Tra i vari fattori, SCHAFFER, individua i CONTRIBUTI DEL TERAPEUTA su 3 dimensioni
concettuali:
1. La tecnica terapeutica usata;
2. Le abilità del terapeuta, quali, la capacità di persuasione, la capacità verbale, la tempestività, la capacità
di neutralità, la capacità di ridurre la discrepanza tra il punto di vista del terapeuta e quello del paziente;
3. Le caratteristiche personali e le modalità interpersonali del terapeuta, quali, il calore terapeutico, la
capacità di empatia, la simpatia, la sincerità percepita.
In generale, l’abilità del terapeuta consisterà nella capacità di creare un contesto interpersonale
particolare, all’interno del quale stimolare determinati tipi di apprendimento, seguendo gli ambiti teorici di
riferimento.
Tuttavia, ricerche sulla psicoterapia, hanno identificato il RAPPORTO TERAPEUTA-PAZIENTE come fattore di
maggiore importanza: stabilire una buona ALLEANZA di lavoro, unitamente alle caratteristiche sia del
cliente (interpersonali e intrapersonali), che del terapeuta (interpersonali e intrapersonali), può
massimizzare le possibilità di successo di una relazione di aiuto.
Alcuni autori distinguono 3 aspetti dell’alleanza terapeutica:
1. La percezione da parte del paziente della rilevanza e della forza degli interventi offerti;
2. L’accordo tra paziente e terapeuta circa aspettative ragionevoli ed importanti relative alla terapia;
3. Una componente cognitiva ed affettiva, influenzata dalla capacità del cliente di costruire un legame
personale con il terapeuta e da quella del terapeuta di presentarsi come una figura sensibile ed empatica in
grado di prestare aiuto.
 ENTRANO IN GIOCO, IN QUESTA DINAMICA RELAZIONALE, FATTORI SIA INTERPERSONALI CHE
INTRAPERSONALI.
Interventi terapeutici che possono facilitare l’alleanza sono:
1. Un atteggiamento amichevole ed empatico nei confronti del cliente;
2. L’incoraggiamento ad una relazione collaborativa;
3. Interventi del terapeuta volti ad affrontare i sentimenti negativi dei pazienti nei confronti del terapeuta
stesso;
4. Attenzione diretta e costante al rapporto durante la terapia.

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