Melanie Klein iniziò a lavorare poco prima del 1920 , in un momento di svolta della psicoanalisi,
quando le nuove idee di Freud avevano sollecitato nuove ricerche. Ella sviluppò il suo pensiero
sulla via aperta da Abraham, psichiatra e psicoanalista tedesco che accrebbe il corpo delle
conoscenze psicoanalitiche freudiane.
L’apporto maggiore e più originale, Abraham lo diede nel campo delle fasi pregenitali dello
sviluppo, infatti egli introdusse una suddivisione sia nella fase orale che nella fase anale.
1. FASE ORALE:
- primo stadio: suzione; questo stadio è preambivalente in quanto la meta del bambino è
succhiare , senza che vi sia né amore né odio.
- secondo stadio: sadico-orale; questo stadio è ambivalente in quanto il bambino ha un rapporto
ambivalente con il seno, lo ama ma desidera anche morderlo e divorarlo cannibalescamente.
2. FASE ANALE:
- primo stadio: espulsivo e sadico; laddove il sadismo della seconda fase orale permane e l’oggetto
divorato , trasformato in feci, viene espulso.
- secondo stadio: ritenzione; in questo stadio comincia a manifestarsi la considerazione per
l’oggetto e quindi nonostante ci sia il desiderio di espellere le feci c’è anche il desiderio di
preservarle.
Nella FASE PREGENITALE l’oggetto è un oggetto parziale, termine introdotto da Abraham per
indicare parti anatomiche dei genitori ( es. seno) e quindi non per indicare i genitori come
persone. Freud aveva già descritto alcune relazioni con oggetti parziali senza però porvi particolare
importanza; invece Abraham studiò nel dettaglio le relazioni orali e anali con gli oggetti parziali
(seno e feci) : egli fu il primo a descrivere la perdita di un oggetto interno , essendo l’espulsione
delle feci percepita come perdita di un oggetto interno e fu anche il primo a dare importanza alla
relazione ambivalente del bambino con la madre.
Questa suddivisione delle fasi in sotto fasi, fu il trampolino di lancio per dimostrare che le
MALATTIE MANIACO-DEPRESSIVE hanno il loro punto di fissazione nella seconda fase orale e nella
prima fase anale ; mentre le NEVROSI OSSESSIVE hanno il loro punto di fissazione nella seconda
fase anale.
CAPITOLO 2.
I PRIMI ANNI.
Melanie Klein nacque a Vienna nel 1882 dal secondo matrimonio del padre, noto medico del paese
Moriz Reizes, ed era la minore di quattro figli.
I suoi rapporti con il padre non furono affettuosi. Quando lei era venuta al mondo , lui aveva più di
50 anni e non troppa pazienza con i bambini piccoli e per di più lui manifestava una preferenza
spiccata per la figlia maggiore, questione per cui Melanie soffriva tanto.
Nonostante queste mancanze, Melanie era colpita e stimolata dalla sua intelligenza e dal suo
ingegno. Purtroppo però egli morì quando Melanie aveva 18 anni.
Molto più profondi furono i legami con la madre che Melanie ricordava molto più giovane del
padre, bella , affettuosa, coraggiosa ed intraprendente, addirittura nel periodo della malattia del
padre era lei si occupava di tutti e di tutto. Morì nel 1914 e Melanie fu commossa dalla serenità e
dal coraggio che la madre mostrava all’approssimarsi della morte.
Quanto a Melanie, ebbe un’infanzia piuttosto felice e serena, fu allevata in modo liberale ,senza
rigidezze e non si dava molto spazio alla religione. Soltanto all’età di 9-10 anni sotto l’influsso di
una governante francese era stata attirata dalla religione cattolica ; ma comunque a parte questo
episodio si conservò sempre libera sia da sentimenti religiosi sia da sentimenti contro la religione,
era senza alcun dubbio atea.
Aveva 3 fratelli, Emily la più grande, Emmanuel l’unico maschio e Sidonie : lasciarono un profondo
segno su di lei i rapporti con Sidonie e con Emmanuel , i quali entrambi morirono tragicamente
molto giovani, prima la ragazza e poi il ragazzo, quindi il suo tempo lo passò di più con Emmanuel.
I due fratelli avevano risvegliato i suoi interessi intellettuali e l’aveva convinta del fatto che fosse
quasi un dovere per lei cercare di svilupparli e trarne dei frutti , Melanie allora dedicò la sua vita a
studiare e decise di iscriversi alla facoltà di medicina.
La morte dei due fratelli, e forse soprattutto quella di Emmanuel, contribuì alla depressione che
rimase un aspetto costante della sua personalità.
Ciò che interferì con i suoi studi di medicina fu il fidanzamento con un amico del fratello, Arthur
Klein ( futuro marito), il quale per lavoro non poteva restare sempre a Vienna, era costretto a
viaggiare, e allora seguendo l’amore decise di abbandonare gli studi: ma rimpianse tutta la vita di
non aver studiato medicina , nella convinzione che se avesse avuto la laurea in medicina, le sue
idee sarebbero state ascoltate con molto più rispetto.
Quando si sposò , visse con il marito fuori città e per Melanie non fu un periodo felice, perché le
mancavano i contatti e gli stimoli intellettuali che aveva avuto a Vienna : per distrarsi dai problemi
matrimoniali e da questa grande mancanza culturale, si rifugiò nella lettura e si mise ad imparare
le lingue , ma i momenti felici li trovava soltanto con i suoi due bambini , Hans e Melitta.
La sua vita cambiò quando si trasferirono a Budapest, dove le capitò di conoscere per la prima
volta l’opera di Freud , ‘Il Sogno’ , e cominciò così quell’interesse per la psicoanalisi che non
abbandonerà mai. Studiare psicoanalisi, praticarla , dare dei contributi a questa scienza divenne la
passione dominante della sua vita. Chiese di essere analizzata da Ferenczi , psicoanalista e
psichiatra ungherese , e incoraggiata da lui cominciò ad analizzare i BAMBINI.
Successivamente dopo la nascita del terzo figlio, Eric, ed il divorzio con il marito, la Klein incontrò
ad un congresso Karl Abraham: fu proprio lui a spronarla nel suo lavoro di analisi infantile e
addirittura ad indurla a trasferirsi a Berlino dove praticò la psicanalisi sia con adulti che con i
bambini.
Non soddisfatta dai risultati con dell’analisi con Ferenczi persuase Abraham a prenderla come
paziente, analisi che purtroppo fu interrotta bruscamente dopo soli nove mesi dalla morte
dell’analista.
Il rapporto di Melanie Klein con i suoi due analisti fu molto diverso:
- Ella fu grata a Ferenczi per averla incoraggiata nel suo lavoro e soprattutto per aver preso
consapevolezza dall’analisi con lui dell’importanza delle dinamiche inconsce; però egli non
analizzava la traslazione negativa ( i sentimenti ostili verso l’analista) e per questo motivo si sentì
poco compresa. D’altra parte Ferenczi poco alla volta abbandonò la tecnica psicoanalitica e
inventò ‘le tecniche attive’ : spogliò l’analista del ruolo di interprete neutrale e ricorse alle misure
attive che consistono nell’incoraggiare, rassicurare, dirigere il paziente, ciò che portò alla rottura
con Freud.
- Verso Abraham ella ebbe un’ammirazione sconfinata , pensava che l’analisi con lui le aveva dato
la conoscenza autentica della psicoanalisi. La sua morte infatti fu una delle perdite più gravi della
sua vita. Ma era ben decisa a continuare nel suo lavoro : iniziò un’autoanalisi.
Dopo la morte di Abraham la vita a Berlino era diventata difficile per lei.
Sempre in quegli anni Anna Freud aveva cominciato a lavorare con i bambini ma con impostazione
diversa e notevoli divergenze rispetto al lavoro della Klein.
La Società psicoanalitica di Berlino però seguiva Anna Freud e considerava ‘non ortodosso’ il
lavoro della Klein.
I suoi lavori sull’analisi infantile furono i più criticati ma anche i più amati dal pubblico, tanto che
Abraham affermava che il futuro della psicoanalisi poggiava sulla psicoanalisi infantile.
Fu invitata in Inghilterra a tenere 6 conferenze e la Klein considerò quel periodo come uno dei più
belli della sua vita. Sì stabilì in Inghilterra dove rimase fino alla morte: ella sentì di aver trovato
nella Società psicoanalitica britannica un’accoglienza migliore ed un appoggio più vero di quello
che avrebbe potuto trovare in qualsiasi altro posto.
CAPITOLO 3.
LA TECNICA DEL GIOCO.
Quando la Klein si stabilì a Londra , la sua tecnica di analisi infantile , che ella chiamò ANALISI DEL
GIOCO , era ormai completamente elaborata.
Per apprezzare la portata rivoluzionaria di questa tecnica è necessario tornare indietro e
soffermarci sull’inizio della psicoanalisi infantile, i cui primi passi furono compiuti da Freud.
Dall’analisi dei pazienti egli dedusse che la nevrosi dell’adulto aveva le sue radici in una nevrosi
infantile di cui la persona aveva sofferto all’epoca del complesso edipico: il caso dell’Uomo dei
Lupi è esemplificativo per questa scoperta.
Ma per quanto egli studiasse i propri figli e facesse tante osservazioni sui bambini , non esistevano
studi sistematici sulla nevrosi infantile , salvo una sola eccezione : Il caso del piccolo Hans. Era un
bambino di 5 anni sofferente di agorafobia connessa alla paura di essere morso in strada da un
cavallo. Guidato da Freud, il padre del bambino aveva analizzato il figlioletto, facendo in modo di
far emergere il complesso edipico. Una volta ammesso e accettato il complesso edipico e le sue
conseguenze il risultato dell’analisi fu la scomparsa della nevrosi di Hans.
Questo caso confermò l’ipotesi di Freud secondo cui le nevrosi degli adulti derivano da nevrosi
infantili ed inoltre dimostrò che i bambini possono essere analizzati e che addirittura questo tipo di
nevrosi può essere risolta non appena compare.
Benché gli inizi fossero stati così promettenti, l’analisi infantile non fece progressi: gli analisti
sembravano riluttanti a turbare ‘l’innocenza dell’infanzia’.
Va detto che le difficoltà da superare, oltre che morali e teoriche ( nessuno accettava le idee della
Klein sull’aggressività infantile o il fatto che lei parlasse con i bambini del sesso in modo diretto) ,
erano anche tecniche. Come applicare ai bambini la tecnica psicoanalitica ?
Prima della Klein, gli analisti pensavano che i bambini non avessero il senso della malattia, non
potevano sapere e pensare di essere malati e di conseguenza non potevano sentire il bisogno di
essere aiutati con una seduta psicoanalitica; non si poteva tener quieto un bambino sul divano
analitico a fare delle libere associazioni; e non pensavano che i bambini potessero sviluppare una
traslazione (transfert).
Il colpo di genio della Klein fu di aver messo in luce che il modo NATURALE di esprimersi del
bambino è il GIOCO e che quindi il gioco può essere utilizzato come mezzo di comunicazione con il
bambino! Il gioco per il bambino non è solo gioco , non è solo un modo per esplorare il mondo
esterno: nel gioco il bambino drammatizza le proprie fantasie e così facendo elabora i suoi
conflitti; la messa in atto della fantasia nel gioco è un modo di padroneggiare l’angoscia.
Freud trattò il ‘gioco’ come un ATTO SINTOMATICO e lo incluse nell’analisi: aveva per esempio
notato che Dora giocava con la sua borsa a rete ed interpretò il significato di questo gioco.
Ma Freud non aveva dato importanza al gioco infantile , né aveva mai pensato di utilizzarlo come
la migliore via di accesso all’inconscio del bambino ( forse l’unica eccezione è l’analisi del gioco del
rocchetto del nipotino che serviva a dimostrare l’esistenza della coazione a ripetere).
Melanie Klein fu l’unica in assoluto ad arrivare alla conclusione che il libero gioco del bambino,
insieme a qualsiasi comunicazione verbale egli sappia dare, può dare delle informazioni circa il
bambino e la sua vita intrapsichica al pari delle libere associazioni degli adulti.
Una volta stabilito il significato del gioco, Melanie Klein rivolse la sua attenzione anche alla
INIBIZIONE AL GIOCO: il libero gioco può essere inibito proprio come le libere associazioni.
L’inibizione può manifestarsi o nell’incapacità assoluta di giocare o in una ripetitività rigida e priva
di immaginazione : inibire il gioco vuol dire bloccare l’espressione della fantasia del bambino, vuol
dire l’incapacità di elaborare i conflitti e di farli emergere.
Come la resistenza alle libere associazioni degli adulti, così le inibizioni al gioco dei bambini
possono risolversi se l’angoscia sottostante si attenua grazie all’interpretazione e all’analisi.
Un altro caso importante è quello della bimbetta di 2 anni e otto mesi, Rita: soffriva di PAVOR
NOCTURNUS (terrori notturni).
Anche questa volta l’analisi fu fatta a casa della bambina e con la presenza della zia e della madre.
Nella prima seduta la bambina era troppo angosciata per stare nella stessa stanza con la Klein e
infatti scappò in giardino. La Klein riconobbe ed interpretò subito la TRASLAZIONE NEGATIVA
dicendo a Rita che era spaventata di quello che la Klein le avrebbe potuto fare e collegò questa
paura con i terrori notturni di cui soffriva: aveva trasportato la sua paura notturna nella paura di
stare con lei.
Dopo aver ascoltato questa interpretazione, la bambina tornò tranquilla nella sua camera e riprese
a giocare con la Klein, anche se risultava difficile condurre l’analisi a casa sua.
Questo fu un passo avanti importante : si rese conto che per l’analisi del bambino, non
diversamente da quella dell’adulto, occorre uno scenario psicoanalitico particolare , fuori dalla
casa e lontano dalla famiglia del paziente.
Oltre ad un luogo prestabilito , durante altre analisi, la Klein decise che anche i giocattoli dovevano
essere prestabiliti!
Finalmente la Klein mette a punto uno scenario appropriato ai bambini e anche i principi
dell’analisi e la relativa tecnica: le sedute dovevano avvenire 50 minuti al giorno per 5 volte alla
settimana; la stanza era allestita in funzione del bambino con mobili semplici e lisci, un tavolino ed
una sedia per il bambino , un piccolo divano, una poltrona per l’analista, pareti e pavimenti
dovevano essere lavabili ed ogni bambino doveva disporre di una scatola di giocattoli prestabilita.
La scelta dei giocattoli fu attentissima: casette, figure umane maschili e femminili in due misure
(piccole e grandi ), animali domestici e selvatici, mattoni, palle, biglie, forbici, pezzi di corda,
matite, carta, plastilina; i giocattoli poi dovevano essere molto piccoli perché secondo la Klein la
piccolezza li rende adatti a rappresentare il mondo interno. La camera doveva poi essere fornita di
un lavabo, perché in certe fasi dell’analisi di molti bambini l’acqua ha un ruolo significativo.
Come nell’analisi dell’adulto l’analista non deve influenzare il tema delle associazioni, così qui i
giocattoli non devono suggerire il tema del gioco: il bambino è libero di giocare con ciò che vuole e
come vuole.
Melanie Klein sostiene che il GIOCO del bambino esprime le sue preoccupazioni, i suoi conflitti, le
sue fantasie e il gioco deve essere analizzato allo stesso modo in cui si analizzano libere
associazioni e sogni.
Negli stessi anni abbiamo detto che si occupò di analisi infantile anche Anna Freud, ma aveva delle
vedute notevolmente diverse dalla Klein:
1. ANNA FREUD: riteneva che nel bambino non può verificarsi la traslazione dal momento che
dipende ancora dai genitori ( qualora ci fosse traslazione bisogna evitare la traslazione negativa: si
può fare un buon lavoro solo con la traslazione positiva); nell’analisi deve essere rafforzato il
Super-io con dei metodi educativi;
2. MELANIE KLEIN: sosteneva che i bambini pur non avendo il ‘senso della malattia’ nello stesso
modo degli adulti, soffrono di angosce e sentono il bisogno di essere aiutato almeno quanto gli
adulti e proprio a causa di queste angosce i bambini sviluppano una traslazione con l’analista.
Il fatto di dipendere ancora dai genitori non preclude lo sviluppo della traslazione , dal momento
che non è il rapporto con i genitori reali che viene trasferito sull’analista ma il rapporto con una
figura fantasmica interna, L’IMAGO PARENTALE: i genitori che appartengono al mondo interno del
bambino sono spesso scissi, per difendersi dall’ambivalenza verso gli stessi, in FIGURE IDEALI e
FIGURE PERSECUTORIE e all’analista viene attribuito a volte l’aspetto ideale e a volte l’aspetto
persecutorio; inoltre a differenza di Anna Freud crede che non ci si deve sforzare di ottenere una
traslazione positiva o di mettere in atto metodi educazioni, perché così non si sviluppa la
situazione analitica (se non c’è traslazione negativa, il conflitto del bambino non verrà mai risolto,
è quasi necessaria per la risoluzione dei problemi).
Queste differenze tecniche erano ovviamente legate ad un modo diverso di affrontare le questioni
teoriche:
1. FREUD: sostiene che il Super-io del bambino piccolo è inesistente o debole; il Super-io si
sviluppa con il tramonto del complesso edipico ed è il costituirsi di un’autorità interna che
riprende l’autorità dei genitori reali. Su questa teoria poggiava la tecnica di Anna Freud.
2. KLEIN: sostiene che le fantasie che il bambino piccolo ha di genitori interni terrificanti e punitivi
costituiscono un Super-io particolarmente crudele che l’Io non è in grado di fronteggiare.
Quindi ciò che doveva essere rafforzato non è il Super-io, come sosteneva Anna Freud, ma doveva
essere rafforzato l’IO che deve saper fronteggiare nel migliore dei modi questo Super-io crudele.
Ma come rafforzarlo? Attraverso la traslazione, che permette di trasferire questo Super-io
sull’analista il quale può diminuirne la severità.
Cosa si propone di fare in definitiva la Klein? Di analizzare le figure interne che compongono il
Super-io , trasferite sull’analista grazie alla traslazione, e di risolvere l’angoscia ed il senso di colpa
connesse a queste figure!
CAPITOLO 4 .
LA PSICOANALISI DEI BAMBINI.
VEDI RIASSUNTO SUL COMPLESSO EDIPICO.
CAPITOLO 5.
NUOVE IDEE NEL PERIODO 1919-1934.
Questa periodo è la prima vera fase di sviluppo del lavoro di Melanie Klein.
Nel corso di questi anni ella ha scoperto e descritto la complessità di un primitivo complesso
edipico pregenitale e l’origine del Super-io anch’esso ricondotto a radici pregenitali. Ha scoperto
l’importanza dei processi di scissione , proiezione ed introiezione e ha descritto la costruzione del
mondo interno del bambino. Ha capito l’importanza della fase orale ed il persistere della sua
influenza sullo sviluppo successivo, nonché l’importanza delle angosce psicotiche che sono alla
base delle nevrosi del bambino.
Vediamo qualche teoria:
1. Angoscia.
Il suo modo di vedere l’angoscia si è evoluto mano a mano che il suo lavoro progrediva.
Nei primi scritti aveva seguito Freud nel ritenere che l’angoscia del bambino riguardasse
l’evirazione, ma poi fu portata sempre più a vederla come la paura di attacchi persecutori da parte
di genitori, a loro volta aggrediti, in fantasia, dal bambino, soprattutto in relazione alla scena
primaria: l’angoscia di evirazione sarebbe una delle manifestazioni di questa paura più generale.
Ella mette in rapporto l’angoscia con la PAURA DI RAPPRESENTAGLIA ( reazione personale ad un
torto subito).
Nello stesso periodo (1925) , Freud, nel riformulare le sue idee sull’angoscia, attribuì anch’egli
all’angoscia l’operare dell’aggressività e della pulsione di morte un ruolo maggiore di quanto non
avesse fatto nei suoi lavori precedenti!
2.Fantasia inconscia.
Freud sembra considerare la fantasia inconscia come un prodotto psichico tardo, che si instaura
quando il principio di realtà è consolidato ed il principio di piacere continua ad operare in maniera
indipendente. Freud stesso dice: ‘ Con l’introduzione del principio di realtà si è differenziata una
specie di attività di pensiero che , libera dall’esame di realtà, è rimasta soggetta soltanto al
principio di piacere. Si tratta dell’attività del FANTASTICARE’.
Melanie Klein aveva invece potuto osservare nel suo lavoro con bambini piccoli che la fantasia
inconscia è precoce, onnipresente e dinamica e influenza tutte le percezioni e relazioni oggettuali
del bambino.
Il fatto di attribuire un’importanza fondamentale alla fantasia è legato anche all’aver spostato il
centro dell’attenzione dalla teoria degli stadi di sviluppo libidico alla teoria dello sviluppo delle
relazioni oggettuali: osservando i bambini, la Klein si era resa conto che le relazioni oggettuali
erano sia con oggetti reali che con oggetti di fantasia.
4. Simbolismo.
L’aver spostato il centro di interesse sul funzionamento della fantasia inconscia si accompagnò ad
alcuni cambiamenti nel concetto di simbolismo.
La fantasia inconscia del bambino, secondo la Klein, si esprime in modo simbolico nel gioco ed il
simbolismo quindi non è altro che l’espressione dei conflitti intrapsichici ( connessi con la
rimozione ) e dell’angoscia presenti nel bambino: il libero gioco, le attività scolastiche o tutte le
attività svolte nel mondo esterno, contengono l’espressione simbolica della vita fantastica del
bambino , es. l’edificio scolastico può rappresentare il corpo della madre con al suo interno il
maestro, che impersona il padre.
La Klein considera il SIMBOLISMO come la base e l’essenza di tutte le sublimazioni e di ogni talento
per il fatto che cose, attività, e interessi diventano materia di fantasie libidiche in forza della
parificazione simbolica.
Più tardi dirà che il simbolismo non è solo la base di tutte le fantasie e le sublimazioni ma è
qualcosa di più: è su di esso che si edifica il rapporto del soggetto con il mondo esterno e con la
realtà.
5. Pulsione epistemofilica.
La Klein ha posto una particolare attenzione nel seguire l’evolversi degli interessi del bambino per
il mondo esterno ed il suo desiderio di conoscere. L’impulso a perlustrare l’ambiente per
conoscerlo (epistemofilia), lo ritenne tanto fondamentale da usare per esso l’espressione ‘pulsione
epistemofilica’, concetto che abbandonò quando si convinse che il comportamento deriva
dall’operare delle pulsioni di vita e di morte e che la pulsione epistemofilica deriva da entrambe.
Anche Freud aveva considerato la curiosità per il mondo esterno come un derivato della pulsione
parziale scopofilica (voyeurismo) , e ritiene che l’interesse per il mondo esterno sia uno
spostamento dall’interesse di fondo concentrato esclusivamente sul proprio corpo e su quello dei
genitori; solo che la Klein dà molta più importanza a questa questione.
Il desiderio di esplorare il corpo materno, come quello di possederlo ed aggredirlo, costituisce
secondo lei, la matrice di ogni relazione epistemofilica con il mondo esterno!
CAPITOLO 6.
LA SOCIETA’ PSICOANALITICA BRITANNICA.
Gli anni in cui la Klein visse in Inghilterra non furono semplici: la morte improvvisa del figlio
maggiore Hans e il conseguente cordoglio per questa perdita, ed il peggioramento dei rapporti con
la figlia Melitta che corrispondeva quindi ad una perdita metaforica, andavano a risvegliare il lutto
per i fratelli Sidonie ed Emmanuel, e tutto ciò contribuì ad aumentare il suo interesse per il LUTTO
e la DEPRESSIONE, di cui parlerà nell’opera ‘Il lutto e la sua connessione con gli stati depressivi’.
Ma la società psicoanalitica britannica era tra le più proficue culturalmente , era l’ambiente ideale
per gli interessi e l’intelletto della Klein, l’unica fonte di ispirazione per le sue teorie.
Tanti autori furono fondamentali per le sue teorizzazioni: Jones, ad esempio, uno dei più
importanti psicoanalisti britannici e futuro biografo di Freud, era convinto dell’esistenza di
un’angoscia di fondo, pensava in particolare che esistesse un’angoscia di perdere tutte le fonti di
gratificazione libidica che chiamò ‘paura di afanisi’ e la ‘paura di evirazione’ teorizzata da Freud
rappresenterebbe solo l’aspetto genitale di questa paura di fondo ( Melanie teorizzerà altre
angosce sulla scia di questo concetto);
oppure nella società c’era un grande interesse per il lavoro psicoanalitico con i bambini ( Melanie
inventerà la tecnica del gioco per lavorare con i bambini).
L’evoluzione della Klein e quella della Società Psicoanalitica Britannica procedevano di pari passo,
mentre le divergenze tra Londra e Vienna andavano aumentando.
CAPITOLO 7.
LA POSIZIONE DEPRESSIVA.
Nello scritto ‘Contributo alla psicogenesi degli stati maniaco-depressivi’ introduce il concetto
assolutamente nuovo di POSIZIONE DEPRESSIVA.
In quest’opera esamina l’evoluzione dalle relazioni con oggetti parziali alle relazioni con oggetti
totali, separati, esterni; e stabilisce anche la differenza tra ANGOSCIA PARANOIDE e ANGOSCIA
DEPRESSIVA.
Sappiamo che la prima relazione con il lattante è una relazione con oggetti parziali, in primo luogo
con il seno della madre; in questo saggio la Klein afferma che a partire dai 4 mesi fino agli 8 mesi di
età, RAFFORZANDOSI L’INTEGRAZIONE , comincia a riconoscere la MADRE COME PERSONA INTERA
e questo cambiamento viene descritto come l’inizio della posizione depressiva.
PRENDI LA CONFERENZA
N.B. Colloca il punto di fissazione della PARANOIA prima della posizione depressiva ( nella
schizoparanoide) , mentre il punto di fissazione della MELANCONIA nelle prime fasi della posizione
depressiva.
Dice la Isaacs: quando Freud abbandona la teoria della seduzione, apre le porte alla fantasia, le
fantasie sessuali e per l’impostazione di Freud la Fantasia Inconscia non aveva una gran rilevanza.
Poteva tranquillamente essere concepita come altri materiali rimossi. Per M. Klein invece la
Fantasia Inconscia diventa un concetto cardine della sua idea della composizione della mente e
per lei le pulsioni e la Fantasia Inc. erano strettamente legate.
Secondo la Isaacs la FANTASIA SORGE DALLE PULSIONI:
Freud affermava che le pulsioni trovano nell’Es la loro espressione psichica; ma la Isaacs nel
presentare le idee della Klein osserva che in realtà la Fantasia inconscia è l’espressione psichica
delle pulsioni,e non l’ES come pensava Freud.
Allora il concetto di Freud di appagamento allucinatorio (in cui si soddisfa un bisogno pulsionale
solo immaginandolo e non mettendolo in atto) è conforme alla concezione di fantasia inconscia
della Klein.
Inoltre tutti i ‘meccanismi’ di cui parla Freud , come l’introiezione di un oggetto o la sua proiezioni
o tutti gli altri meccanismi di difesa, dimostrano che l’individuo sta facendo qualcosa IN FANTASIA
non nella realtà: la fantasia è quindi ciò che collega le pulsioni ed i meccanismi psichici, è la vera
rappresentante di queste pulsioni e tutti i meccanismi di difesa che ne derivano!
Il modo di considerare la fantasia inconscia da parte della Klein è connesso all’idea che alla nascita
esiste un Io sufficiente a stabilire relazioni oggettuali e a servirsi di meccanismi psichici primitivi
quali la proiezione, l’introiezione e la scissione. La Klein non intende la fantasia semplicemente
come un fenomeno dell’Es, la vede invece come un’elaborazione da parte dell’Io di moti pulsionali
( di vita e di morte) , difese e relazioni oggettuali.
Queste discussioni fecero emergere tre diversi indirizzi di pensiero, tre scuole: Anna Freud,
Melanie Klein, un gruppo di mezzo, che comprendeva analisti inglese che accettavano alcune
scoperte della Klein ma non tutte e che quindi non erano legati a nessuna delle due correnti.
Il training per i nuovo psicoterapeuti comprendeva corsi che toccassero tutte le teorie esposte da
questi gruppi, per avere quindi una formazione a 360 gradi.
CAPITOLO 9.
LA POSIZIONE SCHIZO-PARANOIDE.
Due anni dopo le ‘Discussioni Controversie’ , Melanie Klein scrisse ‘Note su alcuni meccanismi
schizoidi’ : fino ad allora era d’accordo con Abraham con il fatto che l’aggressività nel bambino
iniziasse nello stadio sadico-orale e (anzi aveva anche parlato di un sadismo massimo
corrispondente alla seconda fase orale e la prima fase anale) che la prima fase orale è priva di
impulsi aggressivi: questa accettazione però era in disaccordo con una sua ipotesi sviluppata
successivamente.
Nell’opera appena citata la Klein chiarisce il suo punto di vista sullo sviluppo infantile : secondo lei
la pulsione di morte è operante fin dalla nascita e agisce in una fase che precede la posizione
depressiva ( che aveva già teorizzato precedentemente, nel momento in cui abbandonò la
formulazione secondo cui l’aggressività nasce nella seconda fase orale).
C’è da dire inoltre che entrambe le posizioni hanno le loro radici nella fase orale che è
contrassegnata dalla dipendenza del lattante dal nutrimento del seno e le tendenze orali appaiono
non nettamente separate da quelle orali: l’espulsione (cioè la proiezione) può essere fantasticata
sia in termini orali che in termini uretrali e anali.
COMPLESSO EDIPICO!
Comincia ad emergere in concomitanza con la posizione depressiva , di cui è parte integrante:
l’elaborazione dell’una è connessa con l’elaborazione dell’altra.
Quando i genitori sono visti come persone totali e reali, viene intuito anche il loro rapporto e ciò
fa insorgere sentimenti di esclusione, frustrazione, desideri, la rivalità, l’invidia, le gelosie e le
paure edipiche.
Qualunque desiderio egli abbia , lo attribuisce ai genitori e immagina in fantasia che i genitori si
scambino proprio quelle gratificazioni che egli vorrebbe per Sé ( si scambiano cibo e feci).
I genitori, oggetti di grande desiderio perché il bambino vorrebbe ciò che loro si scambiano ma
anche di grande frustrazione perché non riesce ad ottenere ciò che loro si scambiano, diventano
OGGETTI DA ATTACCARE IN FANTASIA proprio perché è geloso di quello che hanno e di quello che
lui non riesce ad avere , ed è arrabbiato in particolare con la madre che era la fonte primaria di
benessere e la prima che lo ha abbandonato!
Ma poiché nella posizione depressiva si comincia ad avere la consapevolezza di dipendere da loro
e di amarli, le aggressioni che agisce contro loro, danno origine a sentimenti di perdita, di colpa e
all’angoscia depressiva : si sente in colpa di far loro del male.
Contro questa situazione vengono mobilitate delle difese:
- ha luogo una regressione a modi di operare schizoparanoidi per es. i genitori possono essere
scissi in uno ideale ed un altro molto cattivo, o la coppia parentale è scissa in genitori ideali non
sessuati che quindi non si scambiano gratificazioni e genitori sessuati pieni di odio;
-le proiezioni possono creare figure terribilmente minacciose , come la figura parentale
combinata;
Ritornano quindi le DIFESE MANIACALI , tra cui scissione, proiezione, ecc.
L’elaborazione del complesso edipico comporta il diminuire di queste scissioni e l’attenuarsi delle
proiezioni, cui consegue una consapevolezza nel bambino dei suoi desideri sessuali ed aggressivi:
la consapevolezza delle proprie fantasie aggressive nei confronti delle figure parentali amate
immette degli elementi riparativi.
I sentimenti di colpa spingono il bambino a desiderare di restaurare all’interno e all’esterno la
coppia sessuata buona ed un’identificazione con essi. Il restauro all’interno della coppia
genitoriale fornisce il modello di una genitalità creativa e procreativa.
Le sue idee sull’angoscia ed il senso di colpa, la Klein, potette confrontarle con quelle di Freud:
il pensiero di Freud sull’angoscia è andato evolvendosi nel corso del suo lavoro.
Inizialmente egli considerava l’angoscia una trasformazione diretta della libido che non ha potuto
essere scaricata , concezione che abbandonò quando si rese conto che era l’angoscia a produrre la
rimozione e non il contrario.
Secondo Freud le due angosce fondamentali sono:
1. La paura di perdita dell’oggetto = preedipica;
2. La paura di evirazione= edipica.
Egli esclude che sia la pulsione di morte la fonte diretta dell’angoscia, perché a suo avviso, né
l’inconscio né l’infante hanno alcuna idea della morte. La paura della morte sarebbe
un’espressione della paura di evirazione!
Melanie Klein invece considera l’angoscia come dipendente e derivante dalla pulsione di morte.
Secondo lei l’operare della pulsione di morte provoca angoscia che assume due forme:
-angoscia persecutoria , tipica della posizione schizoparanoide;
-angoscia depressiva, tipica della posizione depressiva ( angoscia di rappresentaglia, angoscia di
vendetta);
L’angoscia di perdita dell’oggetto postulata da Freud può, secondo la Klein, essere sentita in
entrambe le forme o in qualsiasi combinazione delle due:
- in maniera paranoide, quando l’oggetto si trasforma in oggetto cattivo e aggressivo;
- in maniera depressiva, quando l’oggetto resta buono la paura riguarda la perdita dell’oggetto
buono.
La paura di evirazione invece è di natura PARANOIDE: è la paura di essere aggrediti da un oggetto
cattivo. Ma nella sua forma più evoluta, anche elementi depressivi, perdere il pene buono e
perdere quindi la capacità riparativa, l’unica cosa che avrebbe potuto restaurare la madre
aggredita.
Nell’impostazione Kleiniana abbiamo già detto che il senso di colpa nasce nella posizione
depressiva , quando il soggetto riconosce di aggredire l’oggetto amato.
Comunque le angosce della posizione depressiva e il senso di colpa ad essa connessa, danno
spazio al pressante bisogno di riparare che è la radice della creatività.
I SENTIMENTI DEPRESSIVI si riattivano ad ogni perdita e ogni gradino dello sviluppo implica
qualche perdita:
quando si inizia a camminare si deve affrontare la separazione; nell’adolescenza bisogna
rinunciare all’infanzia; nella maturità si dovrà affrontare la morte dei genitori e la perdita della
giovinezza. Ad ognuna di queste tappe si dovrà retrocedere a battaglie contro modalità
schizoparanoidi e pene depressive: NON SI FINISCE MAI DI ELABORARE LA POSIZIONE DEPRESSIVA.
CAPITOLO 11.
INVIDIA E GRATITUDINE.
Si potrebbe pensare che nel 1955 il lavoro di tutta la sua vita fosse ormai concluso. Ma non è stato
così. Nel 1957, prima in un saggio sull’invidia e poi nel breve libro dal titolo ‘Invidia e gratitudine’
ella avanzò un’altra ipotesi: esiste un’invidia che deve essere differenziata da una rivalità e da una
gelosia.
Il sentimento dell’invidia diventa distinto dalla gelosia, solo quando la Klein parla di INVIDIA DEL
PENE della bambina piccola.
La Klein considera l’invidia del pene un’espressione della bisessualità della bambina ed è rafforzata
da due fonti:
-una è l’invidia della fanciulla per il corpo della madre che è immaginato come contenente il pene
paterno ed i bambini. Quindi la prima invidia del pene che prova è connessa all’invidia della
madre.
Nello sviluppo del fanciullo , la Klein mette in evidenza la sua invidia del corpo materno perché
contiene il pene paterno ed i bambini, considerando questa forma di invidia un elemento del
complesso edipico negativo.
-l’altra fonte di invidia risiede nel desiderio inappagato di possedere il pene del padre.
In scritti più recenti la Klein afferma che l’INVIDIA SORGE NELLA PRIMISSIMA INFANZIA e che sia
rivolta al seno da cui proviene il nutrimento. L’amore, le premure ed il cibo che riceve dalla madre,
stimolano nel lattante due reazioni opposte: una di gratificazione che incoraggia l’amore ed una di
invidia basata sulla constatazione che la fonte del nutrimento, dell’amore e del benessere non è
dentro di Sé, ma fuori di Sé l’invidia del seno scaturisce dalla gratificazione, perché la
gratificazione è la prova dell’infinita ricchezza delle risorse del seno.
Ma l’invidia può essere suscitata anche dalla frustrazione e dalla deprivazione: quando è privato
del seno, il bambino in fantasia immagina che il seno stia usufruendo di tutte le ricchezze che ha e
non le offre a lui, quindi risulta essere un seno egoista e meschino; è un seno che nutre sé stesso e
non suo figlio.
L’invidia del pene è anch’essa influenzata dalla primitiva invidia del seno:
il lattante si distoglie con odio dal seno invidiato per rivolgersi ad un pene idealizzato che porta
quindi la primitiva invidia del seno con Sé.
Poiché l’invidia opera fin dalla primissima infanzia, se è eccessiva, diventerà un elemento
fondamentale nella patologia sia della posizione schizoparanoide che della posizione depressiva.
In entrambe le posizioni l’invidia attacca l’oggetto buono e attraverso le dovute proiezioni lo fa
diventare cattivo si produce quindi una situazione di confusione tra il buono ed il cattivo , che è
alla radice di molti stati confusionali psicotici.
Nella posizione schizoparanoide , le proiezioni dell’oggetto attuate dall’invidia, accrescono la
presenza di persecutori e quindi di angoscia e nell’assenza di figure interne buone e la mancata
identificazione con queste figure, rende queste angosce difficili da superare: è circondato da
cattiveria!
Per difendersi da questo stato si intensificano la scissione e ci si serve di un’idealizzazione
eccessiva per ostacolare la forte persecuzione , ma tutto questo non favorisce un’integrazione
dell’oggetto: le difese vengono estremizzate per far in modo di combattere questa invidia ma si
finisce per degenerare la situazione.
Anzi non funzionando questi meccanismi, si cerca di attuare altri meccanismi schizoidi, come il
soffocare ogni sentimento ed in particolare spegnere l’amore e l’ammirazione.
Nella posizione depressiva l’invidia mantiene l’aspetto persecutorio del senso di colpa, l’accresce e
fa aumentare la disperazione: l’integrazione dell’oggetto buono risulta davvero difficile.
Dall’invidia non c’è sollievo, compromette tutto e addirittura compromette anche la riparazione :
riportare l’oggetto al suo stato originario di purezza e integrità è incompatibile con l’invidia. E al
posto di una riparazione si rafforzano meccanismi di difesa maniacali!
Nella situazione analitica la combinazione di invidia e di difese contro essa conduce a reazioni
terapeutiche negative!
Precedentemente aveva teorizzato che quanto maggiore è l’integrazione raggiunta degli oggetti
parziali, tanto migliori sono le prospettive di salute mentale del soggetto.
Mentre adesso, sostiene che questi oggetti restano scissi e che è il fallimento di tale scissione a
causare il crollo psicotico.
SVILUPPA UNA GRANDE CONTRADDIZIONE, forse non ne era nemmeno consapevole, forse voleva
dire che uno stato di integrazione perfetta non si raggiunge mai , che gli oggetti persecutori
restano scissi , che c’è un’integrazione parziale: e se la parte non integrata e scissa è forte, può
distruggere la parte dell’Io che si è integrata.
A parte questo saggio, scrisse anche ‘Il nostro mondo adulto e le sue radici nell’infanzia’ : in esso
sostiene che le primitive relazioni del bambino , quelle che formano il SUO MONDO INTERNO,
costituiscono la base per la sua visione del mondo e le relazioni sociali e personali nella vita adulta.
Anche lei ebbe una fase totalmente pessimistica, come Freud, e non era fiduciosa sul futuro della
psicoanalisi. Contribuì a questo pessimismo la stesura del saggio sull'invidia, , la morte della sua
amica e segretaria Lola, l’interruzione della sua amicizia con Heimann a causa di divergenze
teoriche e personali, il sentire che la morte si avvicinava.
Questa fase non durò molto, la sua fiducia nel futuro lentamente tornò : le ridiede coraggio vedere
che i suoi allievi di dedicavano a molti lavori ispirandosi al suo, la confortava il sostegno morale
che gli davano amici e colleghi, la famiglia cresceva grazie alla nascita di tanti nipotini.
Il suo lavoro clinico con i pazienti era ormai quasi tramontato, ma continuò altre attività:
insegnamenti, seminari, conferenze, continuava a frequentare la società britannica psicoanalitica e
partecipava attivamente alle discussioni.
Pensava che non avrebbe potuto più dare contributi importanti alla psicoanalisi, ma sapeva che
c’era ancora un impegno da portare a termine: si era sempre proposta di pubblicare un resoconto
particolareggiato delle sedute quotidiane di un paziente , per lasciare la descrizione del suo vero
lavoro; una semplice ‘scelta’ di materiali clinici non avrebbero dato un’idea adeguata del suo
lavoro di analista.
Dopo la stesura del caso di Richard che è esemplificativo di tutto il suo lavoro e della sua maturità,
fu affetta da una brutta malattia, nonostante ella si sentiva ancora viva, aveva molti progetti per il
futuro e l’idea di morire non le piaceva affatto.
Nello stesso tempo però era consapevole dell’arrivo della sua morte e cercò di istruire nel migliore
dei modi i suoi allievi in modo che il suo lavoro fosse portato avanti e che potessero lasciare una
bella e buona immagine di Sé.
CAPITOLO 13.
MELANIE KLEIN, LA PERSONA E L’OPERA.
Il suo lavoro ha non solo influenzato la tecnica, ma ha contribuito ad un mutamento nel modo di
accostarsi psicoanaliticamente alla comprensione della psiche: nella veltascian psicoanalitica.
Melanie Klein , nel suo lavoro, sposta l’accento da considerazioni di ordine economico e biologico
tipicamente freudiane, all’importanza delle relazioni oggettuali: le relazioni con oggetti siano essi
interni o esterni, sono al centro della vita psichica e tali relazioni oggettuali sono connesse con
l’amore e l’odio, le fantasie , le angosce e le difese, attivi sin dalla nascita del bambino.
Questo spostamento sulle relazioni oggettuali è connesso ad altri due fattori correlati, ovvero
l’importanza dei primi due anni di vita e quindi delle fasi pregenitali del bambino e il ruolo della
fantasia.
Ma Freud come la pensava? Cosa c’era al centro dello sviluppo? Fantasia, fasi pregenitali, relazioni
oggettuali e tutte le caratteristiche che ne conseguono?
Nella teoria di Freud il punto centrale dello sviluppo è il Complesso di Edipo che si instaura tra i 3 e
i 4 anni di età e riteneva che in genere le relazioni oggettuali si stabilissero soltanto nella fase
falica.
Che tipo di relazione c’è tra bambino e oggetto nella teoria di Freud?
Freud è pur vero che afferma che il primo oggetto delle pulsioni è il seno, ma egli sostiene che il
lattante se ne stacca e si rivolge al proprio corpo nell’autoerotismo e nel narcisismo.
Quindi egli descrive gli stadi pregenitali dello sviluppo , tanto importanti per la Klein, in termini di
autoerotismo e di narcisismo. Per il soddisfacimento di una pulsione è indipendente dalla ricerca
di un oggetto.
La Klein invece ritenne importante la ricerca dell’oggetto e considerò l’autoerotismo ed il
narcisismo come i risultati di esperienze negative delle relazioni oggettuali.
Freud ha scoperto l’esistenza del mondo interno ma nel descriverlo lo incentra su un solo oggetto
interno: il Super-io.
La Klein ha allargato la visione di Freud e ha studiato la vita fantasmatica , ricca di complesse
relazioni oggettuali interne che si sviluppano sin dalla primissima infanzia.
Freud presenta le sue teorie secondo tre schemi concettuali: topico, economico o dinamico e
strutturale. La Klein invece proponendo le sue due posizioni, schizoparanoide e depressiva, attua
un’estensione della teoria strutturale freudiana: Io e super-io sono stati studiati in termini
strutturali.
L’influenza della Klein sulla tecnica psicoanalitica è iniziata con l’analisi infantile ed ha introdotto la
tecnica del gioco. Quando si parla di seduta psicoanalitica e di tecniche psicoanalitiche entra però
in gioco anche il concetto di transfert, che Freud teorizzò come il processo secondo cui il paziente
riattiva impulsi rimossi, li rielabora e li trasferisce sull’analista, rivivendo così sensazioni ed
emozioni che non ha potuto scaricare in passato: è senz’altro molto più importante del semplice
‘ricordare eventi passati’ , non c’è un mero ricordo , è un modo di rivivere il passato e gli affetti ad
esso legati.
Klein dà molto peso alla traslazione, contrariamente agli psicologi del tempo che credevano non
potesse esistere traslazione nei bambini: ella avendo dato molta attenzione alle relazioni
oggettuali primitive e al ruolo della fantasia inconscia, aveva capito che ciò che veniva traslato
nell’analista non erano ricordi e affetti passati realmente accaduti, ma RELAZIONI OGGETTUALI
FANTASMATICHE! ( era fondamentale la traslazione negativa per mettere a nudo tutte le angosce )
Freud aveva capito che l’adulto trasferisce sull’analista gli affetti sepolti di quando era bambino; la
Klein scoprì i sottostanti affetti, fantasie, e meccanismi del lattante e quindi dal suo punto di vista
la traslazione è basata su proiezioni e introiezioni.
Nella tecnica classica, inoltre, si teneva a non considerare parte del processo psicoanalitico le
comunicazioni del paziente riguardanti gli eventi reali esterni: riguardavano la realtà e quindi non
andavano interpretati.
La Klein, invece, vede realtà e fantasie intimamente intrecciati: anche se l’evento riferito è ‘reale’ ,
esso va considerato nella sua interazione con la vita fantasmatica del paziente, per far vedere
come la fantasia inconscia influenzi e colori il suo modo di recepire la realtà, e come a sua volta la
realtà possa modificare la sua fantasia: allora l’interpretazione della traslazione sembra senz’altro
importantissima e anzi fondamentale.
Secondo la Klein, le relazioni con gli oggetti interni si riflettono in tutte le attività e le influenzano.
Quindi il rapporto con l’analista , che a volte rappresenta tutti questi oggetti, incide tantissimo per
la comprensione e la risoluzione del trattamento.
La tecnica della Klein ha anche adottato un altro modo per affrontare le difese :
nell’analisi classica si preferiva analizzare prima le difese e soltanto dopo si trattavano i conflitti e
le angosce contro cui erano state mobilitate le difese; ne consegue che fosse pericoloso analizzare
i pazienti psicotici perché una volta analizzate le difese , i pazienti sarebbero stati sommersi dagli
impulsi e dalle fantasie e sarebbero crollati nella psicosi.
Nel modo di analizzare della Klein, l’analista interpreta la fantasia inconscia che include le difese e
le angosce sottostanti: lo scopo dell’analista è ridurre l’angoscia interpretando
contemporaneamente angosce e difese!
Da un approccio del genere, deriva che i tempi e i livelli dell’interpretazione sono diversi:
nell’analisi classica si procedeva dalla superficie al profondo, dal genitale al pregenitale.
La Klein invece interpreta in un livello in cui l’angoscia è attiva e in cui il paziente opera tale
angoscia e le difese. Non è più dalla superficie al profondo è come se già si fosse nel profondo.
Le idee della Klein hanno trovato tantissime applicazioni ma nel contempo ha trovato anche tante
critiche, una delle quali molto comune: il fatto che ella ha assegnato alla vita psichica dell’infante,
nei primi due anni di vita, troppa complessità e attività.