La scelta di vita
Nel 1904, dopo aver letto un bollettino della Società missionaria di Parigi
che lamentava la mancanza di personale specializzato per svolgere il
lavoro di una missione in Gabon, zona settentrionale dell'allora Congo,
Albert sentì che era giunto il momento di dare il proprio contributo e, un
anno dopo, all'età di trent'anni, si iscrisse a Medicina, ottenendo nel 1911
(a trentotto anni) la sua seconda laurea, in medicina con specializzazione
in malattie tropicali.
Egli, che sin da piccolo aveva mostrato una spiccata sensibilità nei
confronti di ogni forma vivente, sentì come irresistibile il richiamo-
vocazione a spendere la sua vita a servizio dell'umanità più debole. Non fu
tuttavia facile, per l'organista e insegnante Schweitzer rinunciare a quella
che era stata la sua vita fino a quel momento: la musica e gli studi
filosofici e teologici. Schweitzer sapeva però di dover realizzare quanto si
era prefissato da vari anni. Scrive nel suo Aus meinem Leben und Denken
("La mia vita e il mio pensiero"):
«Il progetto che stavo per mettere in atto lo portavo in me già da
lungo tempo. La sua origine rimontava ai miei anni di studentato. Mi
riusciva incomprensibile che io potessi vivere una vita fortunata,
mentre vedevo intorno a me così tanti uomini afflitti da ansie e dolori
[...] Mi aggrediva il pensiero che questa fortuna non fosse una cosa
ovvia, ma che dovessi dare qualcosa in cambio [...] Quando mi
annunciai come studente al professor Fehling, allora decano della
Facoltà di Medicina, egli avrebbe preferito spedirmi dai suoi colleghi
di psichiatria.»
Schweitzer aveva le idee chiare anche sulla sua destinazione una volta
ottenuta la laurea in medicina: Lambaréné, una città del Gabon occidentale
in quella che era allora una provincia dell'Africa Equatoriale Francese. In
una lettera scritta al direttore della Società missionaria di Parigi, Alfred
Boegner – di cui l'anno prima aveva letto un articolo sulla drammatica
situazione delle popolazioni africane afflitte da lebbra e malattia del sonno,
bisognose di un'assistenza medica – Schweitzer spiegò la sua scelta:
«Qui molti mi possono sostituire anche meglio, laggiù gli uomini
mancano. Non posso più aprire i giornali missionari senza essere
preso da rimorsi. Questa sera ho pensato ancora a lungo, mi sono
esaminato sino al profondo del cuore e affermo che la mia decisione è
irrevocabile»
Il ritorno in Africa
Il 14 febbraio 1924 Albert lasciò Strasburgo per raggiungere di nuovo
l'agognata missione di Adendè il 19 aprile. Dell'ospedale non era rimasta
che una baracca: tutte le altre costruzioni avevano ceduto col passare degli
anni o erano completamente crollate. Organizzandosi per fare il medico di
mattina e l'architetto nel pomeriggio, Albert dedicò i mesi successivi alla
ricostruzione, tanto che nell'autunno del 1925 l'ospedale poté già
accogliere 150 malati e i loro accompagnatori. Alla fine dell'anno
l'ospedale operava a pieno ritmo, ma un'epidemia di dissenteria obbligò il
suo fondatore a trasferirlo in una zona più ampia, tanto da doverlo
costruire per la terza volta.
Il 21 gennaio del 1927 gli ammalati furono trasferiti nel nuovo complesso.
Albert racconterà così la commozione della prima sera nel nuovo ospedale:
«Per la prima volta da quando sono in Africa, gli ammalati sono
alloggiati come si conviene per degli uomini. È per questo che levo il mio
sguardo riconoscente a Dio, che mi ha permesso di provare questa gioia.»
Premio Nobel
Nel 1952 fu insignito del Premio Nobel per la Pace con il cui ricavato fece
costruire il villaggio dei lebbrosi inaugurato l'anno successivo con il nome
di Village de la lumière (villaggio della luce). Nei pochi momenti liberi
che aveva, lavorando fino a tarda ora, si dedicava alla lettura e allo
scrivere, ma anche questi avevano come scopo finale il mantenimento del
suo ospedale a Lambaréné.
La morte
Schweitzer non volle più ritornare a vivere nella sua terra natale,
preferendo morire nella foresta vergine vicino alla gente a cui aveva
dedicato tutto se stesso. Ed il 4 settembre 1965 morì, ormai novantenne,
poco dopo sua moglie, nel suo amato villaggio africano di Lambaréné, e lì
fu sepolto. Migliaia di canoe attraversarono il fiume per portare l'ultimo
saluto al loro benefattore, che sarà seppellito presso l'ansa del fiume. I
giornali occidentali ne annunciarono la morte: «Schweitzer, uno dei più
grandi figli della Terra, si è spento nella foresta.»
Il posto di Schweitzer sarà preso dal successore da lui designato, Walter
Munz, un medico svizzero che a soli ventinove anni, nel 1962, aveva
abbandonato una vita tranquilla e agiata in Europa per dare una mano a
Lambaréné.
Dagli indigeni con cui visse fu denominato «Oganga» Schweitzer, lo
«Stregone Bianco Schweitzer»
Il pensiero filosofico
« Riflettere sull'etica dell'amore per tutte le creature in tutti i suoi dettagli:
questo è il difficile compito assegnato al tempo in cui viviamo »
(Albert Schweitzer)
Il rispetto per la vita
Tutta la vita e tutte le azioni di Albert Schweitzer sono fondate sulla sua
filosofia e in particolare sul principio intorno al quale essa ruota: il rispetto
per la vita. Fu durante il primo soggiorno in Africa (1913-1917) che egli
individuò ed elaborò questo principio in quanto, nonostante avesse
coltivato sin da giovane l'interesse per la filosofia, fu solo durante la
permanenza in Africa che Schweitzer si interessò del problema dello
sviluppo della civiltà e della cultura, e del suo legame con il modo di
pensare dei popoli e le loro religioni.
Il suo primo intento era quello di scrivere un libro che fosse solo una
critica alla civiltà moderna e alla sua decadenza spirituale causata dalla
perdita di fiducia nei confronti del pensiero. Egli riteneva a tal proposito
che una civiltà di tipo occidentale nasceva e prosperava quando a suo
fondamento si trovava l'affermazione etica del mondo e della vita, che, per
andare di pari passo, dovevano essere fondate sul pensiero. Schweitzer
riteneva che la decadenza del mondo moderno fosse data dal fatto che al
progresso materiale non corrispondesse il progresso morale. Quest'ultimo
non si era realizzato perché fondato su credenze – quelle religiose del
cristianesimo – e non su un pensiero profondo: il progresso morale non
poneva le sue basi sulla meditazione rivolta all'essenza delle cose.
Passando in rassegna tutte le etiche del passato, egli riscontrò che erano
tutte in qualche modo limitate, o perché troppo lontane e astratte dalla
realtà o perché relativistiche, mentre per lui un'etica, per essere tale,
doveva essere assoluta: ciò che a tutte mancava era un fondamento vero e
indiscutibile.
Trovò la soluzione del suo problema nel 1915 durante un viaggio
intrapreso lungo il fiume Ogoouè, per andare a curare dei malati: «La sera
del terzo giorno, al tramonto, proprio mentre passavamo in mezzo a un
branco di ippopotami, mi balzò d'improvviso in mente, senza che me
l'aspettassi, l'espressione “rispetto per la vita”. Avevo rintracciato l'idea
in cui erano contenute insieme l'affermazione della vita e l'etica.» (A.
Schweitzer)
Elaborò a partire da questo momento un'etica che non si limitava al
rapporto dell'uomo con i suoi simili, ma che si rivolgeva a ogni forma di
vita; un'etica completa perché totalmente integrata e armonizzata in un
rapporto spirituale con l'Universo.
Queste idee non verranno pubblicate che nel 1923, inizialmente in due
volumi successivamente riuniti sotto il titolo di Kultur und Ethik (Cultura
ed etica).
Il concetto di etica
L'etica non può essere considerata una scienza, in quanto non ha a
fondamento fenomeni che seguono leggi, ma il comportamento umano, il
quale è caratterizzato in primo luogo dall'imprevedibilità. Esso è infatti
legato al pensiero e alla creatività d'ogni essere umano, nel quale non
possiamo mai immedesimarci completamente. Afferma lo stesso
Schweitzer in Cosa dovremmo fare?: «Tu credi di conoscere l'altro, ma
non lo conosci, perché non sai dove vacilli, o se scelga per l'essere o per il
non essere.»
Poiché le persone possiedono concezioni divergenti del bene e del male,
l'etica non può essere costruita su delle regole fisse e incontrovertibili.
Ogni individuo, pensando autonomamente, giunge a conclusioni
strettamente soggettive sulla rettitudine dei comportamenti morali degli
esseri umani. Dunque non potrà mai esistere una scienza dell'etica finché
gli uomini penseranno in modo indipendente e non si lasceranno modellare
come delle macchine. La sua riflessione sull'etica finisce col diventare una
riflessione nell'etica, nel senso che ogni singola persona deve riflettere
sulle proprie azioni e costruirsi attraverso il proprio pensiero dei principi
da seguire e da mettere in pratica nella condotta di vita.
Il pensiero elementare
Il pensiero è il punto di partenza per qualsiasi attività umana consapevole,
sia che si tratti di etica, religione o semplicemente dell'azione svolta
all'interno della vita quotidiana. Schweitzer considera in tal proposito di
primaria importanza il «pensiero elementare»: «Elementare è il pensiero
che muove dagli interrogativi fondamentali del rapporto dell'uomo con il
mondo, del senso della vita e dell'essenza del bene. Esso è direttamente
legato al pensiero che si agita in ogni essere umano. Gli si rivolge, lo
amplia, lo approfondisce.» (A. Schweitzer, La mia vita e il mio pensiero)
Questo tipo di pensiero conduce l'individuo a riflettere sulla propria
esistenza e a interrogarsi sul significato della vita. Schweitzer inoltre
ritiene che sia caratteristica indispensabile del pensiero l'essere
strettamente connesso alla realtà: l'uomo deve ricordarsi della sua esistenza
terrena, materiale, del suo essere all'interno di un mondo concreto in cui si
incontrano gioie e dolori; egli deve disporre le proprie capacità riflessive
verso la comprensione del proprio sé, intesa come atto di autocoscienza:
«Il pensiero è colui che concilia la volontà e la conoscenza che si trovano
in me […] rinunciare a pensare significa dichiarare bancarotta spirituale.»
(A. Schweitzer, Cultura ed etica) Senza il pensiero l'uomo rinuncia a
sviluppare la propria personalità e soprattutto i propri ideali; abbandona
spontaneamente la possibilità di avere un'opinione personale e di decidere
in prima persona della propria vita, contribuendo inoltre al decadimento
della civiltà.
Schweitzer è convinto che si possa ovviare al relativismo e
all'inconsistenza delle etiche passate, recuperando il pensiero elementare
che si occupa del rapporto dell'uomo con l'universo, del significato della
vita e del bene. Egli ritiene che la riflessione possa farci riscoprire quei
principi normativi che l'individuo ha sempre avuto sotto gli occhi ma che
non è mai riuscito a cogliere veramente, perché ha sempre cercato di
fondare l'etica sulla sola ragione. L'uomo non è soltanto un essere
razionale ma anche senziente, che si avvale sia della ragione quanto dei
sentimenti. Dunque, l'uomo attraverso la ragione deve scoprire quei
sentimenti innati che ha per tutti gli esseri viventi e constatare che la
morale è fondata su una condivisione razionalmente consapevole della
propria essenza.
I precetti che l'uomo deve riscoprire possono essere definiti «precetti della
ragione guidati dal cuore» e pur identificandosi con quelli cristiani del
Vangelo (quelli dell'amore fraterno attraverso il quale ogni uomo riconosce
nell'altro se stesso in tutta la sua complessità), possono trovarsi anche a
fondamento di etiche non cristiane. Tali principi possono essere validi per
l'uomo in generale in quanto essere pensante che, a differenza degli
animali, possiede il cuore e la mente non solo per sopravvivere ma per
vivere coscientemente e soprattutto con-vivere con i suoi simili e il resto
dell'universo. Lo statuto dell'etica deve quindi essere ricercato nella
profondità dell'uomo, nel suo appartenere alla vita, nell'essere
contemporaneamente creatura pensante e sensibile, che interagisce con gli
altri esseri e con la realtà delle cose, delle istituzioni e dei pensieri. Tutto il
suo agire e interagire non è altro che il vivere e da ciò consegue
naturalmente che a fondamento della sua etica non può che esserci la vita.
Opere
Albert Schweitzer fu, oltre che medico e filosofo, un abilissimo musicista.
L'amore per l'organo, che suonò in maniera magistrale per tutta la vita, lo
portò, naturalmente, ad amare Bach. Questa passione lo portò nel 1905 alla
pubblicazione del suo primo libro, J. S. Bach, il musicista poeta, in cui,
dopo aver descritto la storia della musica del compositore e dei suoi
predecessori, analizzò le sue opere più importanti.
La sua opera teologica più importante fu, certamente, la Storia della
ricerca sulla vita di Gesù (1906) in cui interpretò il Nuovo Testamento alla
luce del pensiero escatologico di Cristo. Non meno importante fu, però,
l'altra opera teologica, pubblicata postuma nel 1967 con il titolo Il regno di
Dio e la cristianità delle origini.
Ad Albert Schweitzer si devono, inoltre, i due volumi della Filosofia della
civiltà (1923) e l'autobiografia La mia vita e il mio pensiero (1931).
Ad Albert Schweitzer è stata intitolata una scuola romana, e la scuola
primaria a (Cuceglio) (Torino)
Onorificenze
Cavaliere dell'Ordine Pour le Mérite (Repubblica
Federale Tedesca)
— 1954
Membro dell'Ordine al Merito del Regno Unito
(Regno Unito)
— 25 febbraio 1955
Bibliografia
Opere su Schweitzer
• Joseph Gollomb, Albert Schweitzer, il genio della giungla, Milano,
Martello, 1954.
• Luigi Grisoni, Albert Schweitzer e il Rispetto per la Vita, Gorle,
Velar, 1995.
• Walter Munz, Albert Schweitzer dans la mèmoire des Africains,
Études Schweitzeriennes, Vol. 5, Strasburgo, Oderlin, 1994.
• Victor Nessmann, Avec Albert Schweitzer de 1924 à 1926 - Lettres
de Lambrenè, Études Schweitzeriennes, Vol. 6, Strasburgo, Oderlin,
1994.
• Edouard Nies-Berger, Albert Schweitzer m'a dit, Mémoire d'Alsace,
Éditions La Nuée Bleue, Strasburgo, 1995.
• Gilbert Cesbron, È mezzanotte dottor Schweitzer, Rizzoli, Milano,
1993.
.
« Lo studio critico della vita di Gesù è stato per la teologia una scuola di
onestà. Il mondo non ha mai assistito prima, e non assisterà mai
successivamente, a una lotta per la verità così piena di sofferenze e
rinunce, come quella di cui le "Vite di Gesù" degli ultimi cento anni
racchiudono la criptica testimonianza. Albert Schweitzer, The Quest of
the Historical Jesus p. 6) »
« Coloro che sono appassionati di discutere sulla negatività della teologia,
possono qui trovare le loro motivazioni. Non c'è nulla di più negativo che
il risultato di uno studio critico sulla Vita di Gesù. Il Gesù di Nazareth che
comparve come il Messia, che predicò l'etica del Regno di Dio, che fondò
il Regno dei Cieli e morì per dare al Suo lavoro la sua consacrazione
definitiva, non ebbe mai esistenza. Si tratta di una immagine tracciata dal
razionalismo, provvista di vita dal liberalismo e che la moderna teologia
ha rivestito storicamente.
(...) Gesù significa qualcosa per il nostro mondo, perché emana una
potente forza spirituale che scorre anche attraverso il nostro tempo.
Questo fatto non può essere né scosso né confermato da alcuna scoperta
storica. È il solido fondamento del cristianesimo. Albert Schweitzer, The
Quest of the Historical Jesus p. 705 e 707) »
li uomini che meglio di Schweitzer hanno saputo ciò che significa
essere a contatto dell’umanità sofferente e indigente. Ma perché
Schweitzer si è deciso a diventare medico nella foresta vergine? La
Medicina per Albert Schweitzer non fu una vocazione della gioventù ,
ma piuttosto degli anni maturi; fu una scelta compiuta dopo essersi
lungamente dedicato allo studio della Musica, della Filosofia, della
Teologia, ed aver ottenuto il successo in ognuno di quei campi. La
spinta interiore lo porta ad un filantropico trasporto verso gli altri, ad
un amore rivolto ai sofferenti nel senso di condivisione con chi, in
qualunque parte del mondo, sia in condizione di indigenza e povertà .
Il filosofo alsaziano spiegava: “Avevo letto della miseria corporale degli
indigeni nella foresta vergine, ne avevo anche sentito parlare dai
missionari. Quanto più ci riflettevo tanto più mi era inspiegabile il fatto
che noi europei ci occupassimo così poco del grande compito umanitario
che laggiù ci aspettava”. Un mattino dell’autunno del 1904, sulla sua
scrivania al seminario di St. Thomas trova un fascicolo della Società
missionaria di Parigi. La sua attenzione si posa su un articolo intitolato
“I bisogni della Missione del Congo”, del missionario alsaziano Alfred
Boegner (direttore della Società missionaria), il quale deprecava che
alla missione mancassero persone disposte a svolgere opera
umanitaria in Gabon, la regione settentrionale della colonia del Congo.
Era conscio che, mentre molte persone intorno a lui
lottavano col dolore e con la preoccupazione, lui poteva
condurre una vita serena ed agiata… Anche quando era
all’università , rifletteva sulla sua fortuna di poter
studiare e svolgere un’attività scientifica ed artistica, e
che a molti altri non era consentito per ragioni materiali
o di salute. Per un certo periodo si dedica ai vagabondi e agli ex
carcerati, come già fece da studente: appartenendo ad un’associazione
studentesca svolgeva attività assistenziale.
Va precisato che Schweitzer propendeva per un’attività rigorosamente
personale e autonoma, e benché fosse disposto a mettersi a
disposizione di un’organizzazione, non abbandonò mai la speranza di
trovare alla fine un’attività a cui dedicarsi come individuo libero.
Considerò sempre la concretizzazione di questo forte desiderio come
una grande grazia che, come si vedrà , si realizzò totalmente…
Qualche mese dopo, al compimento del trentesimo compleanno Albert
Schweitzer decide di realizzare il suo progetto: il 13 ottobre 1905 il
giovane Albert comunica ai genitori ed agli amici più intimi che si
sarebbe iscritto a Medicina, con il proposito di diventare medico e di
andare nell’Africa equatoriale per mettersi al servizio puramente
umano. “Con la conoscenza della medicina – sosteneva – potevo
realizzare il mio progetto nel migliore dei modi, qualunque fosse il
luogo verso cui il sentiero della professione mi avrebbe condotto”.
Nonostante questa determinazione non mancarono tentativi di
dissuasione da parte di parenti ed amici, ai quali replicava senza
esitare, perché sentiva di rispondere all’obbedienza e al comando
d’amore di Gesù . Si rendeva conto che affrontare una via ignota era a
dir poco rischioso, che tuttavia pensava di potercela fare: riteneva di
possedere salute, nervi saldi, energia, spirito pratico, tenacia,
accortezza e quant’altro.
Ciò che sorprendeva gli amici era il fatto che egli voleva andare in
Africa non come missionario, bensì come medico. Aveva scelto l’Africa
perché là c’era maggiormente bisogno di medici e perché voleva
riparare, nel continente nero, almeno in parte, al male che i bianchi vi
avevano compiuto. L’Africa, quindi, in realtà non ha significato per
Schweitzer una fuga dalla vita o lo scopo della sua vita, ma piuttosto
un simbolo della sua vita. Andare in quel Continente per lui non c’era
nulla di eroico: si trattava semplicemente di adempiere un dovere.
L’Africa è stata il simbolo della sua esistenza; il significato ne è il
rispetto per la vita.
In merito a questa scelta sosteneva: “Solo chi sa trovare
un valore in ogni attività consacrandosi ad essa con
piena coscienza del dovere, ha l’intimo diritto di
prefiggersi un’opera fuori del normale invece di quella
che gli tocca naturalmente dalla sorte. Solo chi
concepisce il suo proposito come qualcosa di ovvio, non
di straordinario, e non conosce l’atteggiamento eroico,
ma esclusivamente il dovere assunto con pacato
entusiasmo, ha la capacità di essere un avventuriero spirituale. Non ci
sono eroi dell’azione, ma soltanto eroi della rinuncia e della sofferenza.
Pochi di essi sono conosciuti, non dalla folla, ma da una piccola cerchia
di persone… Colui che è stato risparmiato dal dolore deve sentirsi
chiamato a contribuire a lenire il dolore degli altri. Tutti, infatti,
dobbiamo portare il fardello di sofferenze che pesa sul mondo… Chi dà la
propria vita per gli altri la conserva per l’eternità. Chi si propone di
agire per il bene, non deve aspettarsi che la gente per questo gli tolga gli
ostacoli dal cammino, ma rassegnarsi che, quasi inevitabilmente, gliene
metta qualcun altro in mezzo”.
Queste sue affermazioni richiamano il concetto di etica, ossia la
scienza della condotta morale di ogni uomo. L’etica ha in sé l’idea che è
necessario diventare attivi per il bene degli altri ed è uomo “etico”
colui che si dedica agli altri. “L’uomo è veramente etico – secondo la sua
concezione – solo quando ubbidisce al dovere di aiutare ogni essere
vivente che gli sta attorno e si guarda bene dal recar danno a qualche
cosa di vivo. Non si domanda quanto interesse merita questa o quella
vita e nemmeno se e quanta sensibilità essa possegga. La vita in quanto
tale gli è santa. Etica è responsabilità senza limiti verso tutto ciò che
vive ”.
Un chiaro richiamo al pensiero di Goethe che affermava: “Sia nobile
l’uomo, pronto ad aiutare e buono”.
La preparazione medica avrebbe favorito il perseguimento di questo
scopo nella maniera migliore e più completa. Una scelta decisamente
opportuna perché dove voleva andare, secondo i rapporti dei
missionari, la presenza di un medico era la più urgente delle necessità .
Prima di iscriversi alla Facoltà di Medicina ebbe tutti contro: accusato
di presunzione, originalità . Lui rispondeva: “Voglio diventare medico
per poter lavorare senza parlare…; mi pare la più urgente necessità, in
Africa ”. Soltanto a suo padre confidò : “Ho riflettuto a lungo su ogni
aspetto della cosa. Ho salute, nervi saldi, energia, spirito pratico,
tenacia, accortezza, non ho molti bisogni e… se farò fiasco, pazienza, mi
rassegnerò ad aver sbagliato ”.
A questo proposito va sottolineato che sin da giovane talvolta nasceva
in Albert, anche se con garbo e discrezione, l’amore per la polemica.
Come quella volta che un’amica di sua madre gli disse: “Eh, caro Albert,
adesso sei tutto entusiasmo, hai la testa piena di ideali, ma purtroppo la
vita è diversa; ti accorgerai ben presto che la maggior parte di ciò che in
questo momento ti esalta altro non è che illusione”. Albert, sbottando,
rispose: ”Ecco il vostro errore, signori adulti! Vi piace preparare i
giovani alla vita, dicendo loro che debbono rinunciare ai loro ideali.
Nossignori. Vostro preciso compito dev’essere quello di aiutare la
gioventù a conservare ben saldi i suoi ideali e i pensieri che la
entusiasmano, perché costituiscono una ricchezza immensa. Non dite
mai: “Ci penserà la realtà a spegnere i tuoi ideali ”. Ditegli invece: “
Rafforza al massimo i tuoi ideali perché la vita non riesca a sradicarli ”.
Gli ideali, i pensieri, le idee sono come gocce d’acqua. Apparentemente
senza forza. In una goccia d’acqua non si scorge potenza, ma se essa
penetra in un crepaccio e diventa ghiaccio, fa saltare la roccia; se si
trasforma in vapore mette in moto una macchina. Gli ideali, i pensieri
stanno dentro di noi, apparentemente inerti e inutili. Ma diverranno
potenti se ci sforzeremo di diventare più semplici, più sinceri, più puri,
più mansueti, più pietosi, più amorevoli. Solo con questo lavorio, il molle
ferro dell’idealismo giovanile diventerà acciaio ”. “Hai ragione figliolo -
concluse il padre, vicario Ludwig -. Dove vi è una forza, vi è anche
l’effetto della forza. Nessun raggio di sole va perduto. Ma non
dimenticare che la verzura che il sole stimola chiede del tempo per
germogliare e la sorte non concede sempre a chi ha seminato di
partecipare al raccolto”.
Con gioia aveva esercitato la professione di insegnante di teologia e di
predicatore. Non poteva però concepire la nuova attività come una
semplice predicazione della religione, bensì soltanto come una
genuina attuazione. La preparazione medica avrebbe favorito il
perseguimento di questo scopo nella maniera migliore e più completa,
dovunque lo avesse portato il cammino.
L’ospedale di Lambaréné non è da intendersi
nient’altro che il concetto del rispetto per la
vita, realizzato e concretizzato ben più che
un comune nosocomio ai margini della
foresta vergine, ne è un asilo sicuro per chi è
visitato dalla sofferenza, un luogo di rifugio
per uomini e animali. È altresì un simbolo di
fratellanza internazionale perché da tutte le parti del mondo arrivano
medicine, mezzi di sussistenza e messaggi di simpatia e di
approvazione. Sin dall’inizio il tam-tam aveva già fatto sentire la sua
voce e in poco tempo si trova assediato da molti ammalati, che
provenivano in piroga da distanze di 200-300 Km., scendendo o
risalendo il fiume Ogouè e i suoi affluenti. I malati non arrivavano soli,
ma accompagnati dall’intera famiglia e dagli animali domestici.
Bisognava ospitare tutti, fra posto a tutti, sfamare tutti, uomini e
bestie, malati e sani. Altrimenti rifiutavano di restare, risalivano sulla
piroga e ripartivano con tutto il seguito per i villaggi da cui erano
venuti.
EB
Bibliografia
“ Il dottor Albert Schweitzer ”; Ed. Della Volpe, 1965
“ Albert Schweitzer – La mia vita e il mio pensiero ”; Ed. Comunità, 1965
“ 75° anniversario della fondazione dell’ospedale di Albert Schweitzer ”, catalogo e
mostra a cura di Adriano M. Sancin, 1988
“ Albert Schweitzer – Vita – Sermoni –Documenti- Pensieri ”, di Luigi Grisoni; Ed.
Velar, 1993
“ Albert Schweitzer – Rispetto per la vita ” – Ed. Claudiana, 1994
“ Albert Schweitzer e il rispetto per la vita ”, di Luigi Grisoni; Ed. Velar, 1995
“ Albert Schweitzer – Le Medicin ”, conferenza di Adriano M. Sancin per la
Celebrazione di Albert Schweitzer all’Accademia di Medicina di Torino; 11/10/1995
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