CAPITOLO 2: FREUD
CRITICA DELLA TEORIA FREUDIANA (Sbobinature: da pagina 8 a pagina 11)
La SANITA’ DELL’IO sta nella capacità di tollerare ed elaborare il CONFLITTO: il conflitto può emergere
combattendo contro 3 tiranni, Es, Super-io, mondo esterno, ed il superamento del conflitto si ha solo se l’Io
risulta essere un buon mediatore.
Hartamann ha dimostrato che gli psicoanalisti utilizzano la PROSPETTIVA EVOLUTIVA in un modo spesso
troppo semplicistico e riduttivo: il concetto di CAMBIAMENTO DI FUNZIONE esemplifica perfettamente
questo assunto. Egli ha messo in rilievo il fatto che il comportamento originato in un determinato momento
dello sviluppo può assolvere a una funzione completamente differente in un altro momento dello sviluppo.
Per esempio, nel BAMBINO, il comportamento di pulizia ed ordine eccessivi, deriva dal lavoro della
formazione reattiva (meccanismo di difesa), il cui scopo è quello di trasformare il desiderio anale di
disordine e sporcizia (origine pulsionale) nel suo contrario. Lo stesso comportamento, nell’ADULTO, può
avere un’origine completamente diversa e quindi assolvere ad una funzione completamente diversa
(indipendente dalla pulsione originaria): esso raggiunge un’AUTONOMIA SECONDARIA e ciò significa che il
comportamento adulto non è riducibile ad un’origine istintuale o ad una ripetizione delle prime relazioni
con la madre.
Il mancato riconoscimento di questo stato di cose è stato definito FALLACIA GENETICA. Anche detto
ERRORE GENETICO, è un errore argomentativo adottato per screditare un’affermazione basandosi su di un
suo presunto DIFETTO DI ORIGINE. Si ha sempre errore genetico quando la veridicità di un’affermazione
viene comprovata solamente facendo riferimento alla SUA ORIGINE.
L’utilizzo della prospettiva evolutiva in un modo riduttivo è visibile anche se facciamo riferimento alla
“formazione” dei GRAVI DITURBI DI PERSONALITA’. Le modalità primitive di funzionamento mentale di
questi disturbi come si formano? Da cosa derivano?
Secondo Freud, queste modalità di pensiero derivano da FISSAZIONI e REGRESSIONI a fasi precedenti dello
sviluppo, in cui persistono, appunto, modi di pensare primari (scissione, identificazione, proiezione, ecc.) ed
esperienze patogene primarie.
Secondo Hartmann, invece, queste modalità di pensiero derivano da TRAUMI SUCCESSIVI O RIPETUTI e non
necessariamente da periodi critici dello sviluppo.
Tuttavia, Hartmann, quando concettualizza uno SVILUPPO SANO DELLA PERSONALITA’, tiene conto sia delle
INFLUENZE MATURATIVE che delle INFLUENZE AMBIENTALI.
Abbiamo detto che:
-L’IO, grazie alle sue funzioni, diviene l’organo specifico dell’adattamento. Il sistema all’interno del quale
sono integrate le funzioni adattive dell’Io è la FUNZIONE SINTETICA DELL’IO (non si tratta di qualcosa che
deriva semplicemente dall’Es, bensì di una capacità adattiva organizzata, che assicura un funzionamento
sano);
-L’ADATTAMENTO è inteso come l’insieme dei processi che permettono di dominare la realtà.
L’adattamento, però, può avvenire SOLO SE il bambino si trova a vivere in un AMBIENTE SANO E
GRATIFICANTE, quello che Hartmann definisce AMBIENTE MEDIO PREVEDIBILE: con questo termine si
intende non solo un buon ambiente biologico, ma anche sociale e relazionale.
In questo aspetto della sua teoria, quindi, si nota una maggiore attenzione per la realtà e le relazioni
oggettuali, vale a dire, le relazioni che il bambino intrattiene con i genitori reali.
Ciò che permette l’adattamento, allora, è il bagaglio innato di cui l’Io dispone e un ambiente
equilibrato\gratificante che sia in grado di far sviluppare queste funzioni dell’Io: in questi termini,
l’adattamento risulta essere ATTIVO (non passivo) e TRANSGENERAZIONALE (non individuale).
TUTTAVIA, SECONDO HARTMANN, IL RIVOLGERSI DELL’IO ALLA REALTA’ ESTERNA NON DIPENDE DA UNA
FRUSTRAZIONE INTERNA (come per Freud) MA DALLA NATURA STESSA DELL’IO.
Il riconoscimento di un’AUTONOMIA PRIMARIA non ha comportato il ripudio del legame fra le pulsioni e la
strutturazione dell’Io: gli psicologi dell’Io ritengono che le pulsioni giochino un ruolo secondario cruciale. Le
pulsioni esistono ma vengono ELIMINATE, TRASFERITE, PORTATE IN UN’ALTRA DIMENSIONE in modo tale
da raggiungere la cosiddetta AUTONOMIA SECONDARIA.
In altre parole, secondo Hartmann, l’individuo, inconsapevolmente, elimina la parte conflittuale, affettiva,
emotiva, di un evento mettendo in atto un PROCESSO DI NEUTRALIZZAZIONE: in situazioni di angoscia
(quando si confronta con dimensioni conflittuali) l’individuo mette in atto (inconsciamente) comportamenti
che NEUTRALIZZANO gli aspetti pulsionali dell’evento, modificandone la natura di base e collocandola tra le
altre funzioni della sfera libera da conflitti.
In realtà, la “neutralizzazione” è un mero trasferimento di evento da una zona (conflittuale) all’altra (libera
da conflitti) e in questo trasferimento si perde la parte conflittuale: Hartmann non ci parla di meccanismi di
difesa (lo farà Anna Freud) ma ci dice che esiste un unico processo inconsapevole detto processo di
neutralizzazione che elimina la parte emotivo-affettiva e conflittuale di un aspetto trasferendo
quell’aspetto nella parte dell’Io che egli chiama “sfera libera da conflitti” in cui vi sono le dimensioni
cognitive e nella quale non esiste la dimensione conflittuale.
TUTTE LE FORME PSICOPATOLOGICHE SONO IL FALLIMENTO DELLA NEUTRALIZZAZIONE!
Hartmann, ad esempio, ha affermato che gli impulsi aggressivi mirano alla distruzione dell’oggetto e sono
perciò pericolosi; di conseguenza, la loro neutralizzazione risulta essere vitale. Se la neutralizzazione
dell’aggressività non va a buon fine, ne risulteranno difficoltà: danni all’organismo (disturbi psicosomatici),
relazioni oggettuali impossibili e disturbi psicotici.
DAVID RAPAPORT
Ha fornito l’esposizione forse più chiara e più coerente del modello classico della mente secondo la
psicologia dell’Io. Egli ha immaginato l’Es come un dato costituzionale mentre l’Io come una “personalità
creata”. Ha asserito che la qualità del funzionamento sano dell’Io, il suo adattamento alla realtà, è
semplicemente una funzione del suo grado di indipendenza dall’Es.
Se l’Io non raggiunge l’indipendenza, non sarà in grado di adattarsi alle richieste della realtà.
Il punto di vista di Rapaport ha rappresentato un progresso, perché la sua concettualizzazione affranca
effettivamente la teoria psicoanalitica dalle sue origini libidiche: ad esempio, ai fini di una valutazione
psicopatologica il contenuto del conflitto intrapsichico è poco rilevante, in quanto, i medesimi conflitti
hanno luogo sia in personalità sane che in personalità disturbate. Ciò che è importante, ai fini di una
valutazione psicopatologica, invece, è capire se l’Io ha potuto crescere in modo sano e se ha raggiunto
l’autonomia dall’Es, solo in questo modo l’Io è maggiormente in grado di affrontare il conflitto senza un
esito disastroso.
ERIKSON
Erik Erikson ha ampliato il modello pulsionale mostrando un interesse verso l’interazione fra NORME
SOCIALI e PULSIONI BIOLOGICHE nel generare un COERENTE CONCETTO DI SE’ e un’IDENTITA’. Secondo
l’autore, un coerente concetto di Sé si genera nel momento in cui, nell’intero percorso evolutivo, si trova
sempre un giusto equilibrio tra PULSIONI e ADATTAMENTO SOCIALE.
A partire dalle fasi di sviluppo psico-sessuali di Freud, Erikson individua OTTO STADI DI SVILUPPO
PSICOSOCIALE, ciascuno caratterizzato da una precisa crisi psicosociale (mancanza di equilibrio tra pulsioni
e norme sociali). Il passaggio da uno stadio a quello successivo avviene ogni volta che l’individuo riesce a
superare una CRISI EVOLUTIVA. Se una crisi non è sufficientemente superata può compromettere gli stadi
evolutivi successivi e soprattutto può generare delle patologie: si può sviluppare ad esempio un concetto di
sé non coerente.
Secondo Erikson, lo sviluppo inizia dalla nascita e finisce con la morte, e cioè comprende l’INTERO CICLO
DELLA VITA; ogni individuo ha il suo specifico ritmo di sviluppo e le fasi precedenti non vengono mai
abbandonate ma vengono tutte integrate andando a formare ciò che egli definisce un INSIEME
FUNZIONANTE.
Erikson, estendendo questa idea, fa rientrare il concetto di ZONA EROGENA in un concetto più ampio, che è
quello di MODALITA’ ORGANICA: Freud pensava che l’attività associata allo specifico piacere di ogni zona
costituisse la base per modalità psicologiche (es. dipendenza o aggressività); mentre, Erikson, teorizzando
un’interazione continua tra la maturazione psicofisica dell’organismo e la struttura della società in cui esso
vive, crede che la base per modalità psicologiche sia un MUTUO ADATTAMENTO tra individuo (esigenze
biologiche) e ambiente (disponibilità a soddisfare queste esigenze). ERIKSON HA ESTESO LA FUNZIONE
PSICHICA DELLA FISSAZIONE CORPOREA: PASSA DA UN’ “ESPRESSIONE PULSIONALE” SPECIFICA DI UNO
STADIO (es. gratificazione dei bisogni orali\anali\fallici) AD UNA “MODALITA’ DI FUNZIONAMENTO”
GENERICA DI UNO STADIO (es. approccio alla vita in termini di fiducia\sfiducia).
Pur avendo elaborato un cammino “a tappe”, come molti psicoanalisti contemporanei, Erikson è riuscito a
distinguersi da tutti in quanto ha esteso il modello evolutivo a tutte le fasi della vita ed ha anche posto
l’attenzione sugli ASPETTI SOCIOCULTURALI, INTERAZIONALI, PSICOSOCIALI dello sviluppo e sulla potenza
della loro influenza. La sua concettualizzazione è stata una delle prime a spostare l’accento da una visione
meccanicistica della teoria pulsionale alla natura intrinsecamente interpersonale della diade bambino-
caregiver.
Gli stadi evolutivi sono:
Primo stadio: fiducia o sfiducia di base
Questo stadio, che parte dalla nascita ai diciotto mesi circa e corrisponde alla fase orale freudiana, è
essenziale per la costruzione del sentimento di fiducia di base del bambino nella vita. Grazie a una madre
attenta e premurosa, esaudiente e non eccessivamente frustrante, il bambino può conciliarsi con
l’ambiente dopo l’esperienza della nascita (impatto con il mondo post-uterino). Potendo contare sulla
figura materna il bambino apprende a fidarsi sia del mondo che delle sue capacità, tra tutte quella di
tollerare le momentanee assenze del caregiver o il differimento del nutrimento. Diversamente, mancando
queste condizioni il bambino svilupperà sfiducia sia in se stesso che nelle capacità dell’ambiente di
provvedere ai suoi bisogni e gli verrà a mancare un basilare sentimento di sicurezza nella vita.
Secondo stadio: autonomia opposta a vergogna-dubbio
Questo stadio corrisponde alla fase anale freudiana e va dai diciotto mesi ai tre anni circa. In esso il
bambino compie i suoi primi passi di distanziamento, aiutato da una madre-guida che non sanziona, né
scoraggia eccessivamente i tentativi (inizialmente maldestri) del bambino, di rendersi progressivamente
autonomo. L’autonomia inizia con il controllo sfinterico e prosegue con quello motorio e prensile ed è,
inoltre, fondamentale che in questo periodo il bambino sperimenti un fisiologico livello di vergogna o di
dubbio sulle sue autonome capacità, che gli consenta di confinare la sua onnipotenza. Se la mamma non è
invece in grado di fungere da guida, perché poco presente o perché non incentiva o non sostiene i tentativi
di autonomia del bambino, anzi li colpevolizza oppure li deride, o si sostituisce a lui, questi sperimenterà
eccessivi sentimenti vergogna e inadeguatezza e insormontabili dubbi su di sé. Il timore di sbagliare o
deludere può condurlo a bloccarsi e interrompere l’esplorazione del mondo esterno e il processo di
distanziamento, in favore di comportamenti eccessivamente cauti, rinunciatari, deleganti o addirittura
ripetitivi.
Terzo stadio: spirito d’iniziativa-efficienza-identificazione opposta a senso di colpa
Corrispondente alla fase freudiana genitale-edipica, questo stadio parte dai tre fino ai cinque anni circa. In
esso il bambino, animato dalla volontà di fare e affermarsi, inizia ad “occupare” gli spazi che sono degli
adulti, suscitando simpatia, oppure invidia e gelosia. In questo stadio dello sviluppo, in analogia con la
teoria freudiana, il maschio si sente “castrato” dal padre, di cui non può prendere il posto, mentre la
femmina tende a rivaleggiare con la madre, a imitare le sue attività e a invidiare il “superiore mondo dei
maschi”. In questa fase, il bambino ha il compito di reprimere e sanzionare i suoi stessi impulsi
apprendendo a controllarli e limitando le condotte oppositive e negative nei confronti dei genitori, poiché
le stesse gli procurano profondi sensi di colpa e timori di ritorsione. Egli è in grado di fare progetti, è
disposto alla crescita, vuole sentirsi efficiente e desidera compiacere i grandi, inoltre si identifica nel
genitore dello stesso sesso, rinunciando all’idea che i suoi oggetti d’amore possano essere a suo esclusivo
appannaggio.
Quarto stadio: operosità opposta a senso di inferiorità
Corrispondente alla fase freudiana di latenza, in questo stadio eriksoniano che va dai cinque ai dodici anni
circa, emerge pienamente il desiderio di operosità e di efficienza del bambino. In questo periodo egli inizia
ad impegnare le proprie energie in compiti più maturi rispetto a quelli esclusivamente giocosi dello stadio
precedente e impara a dominare le proprie reazioni emotive in presenza degli altri e a regolare impulsi e
affetti in modo più coerente con quelle che sono le necessità dell’intero gruppo familiare ed extra-familiare
(gruppo dei pari, gruppo-classe), costruendosi una personalità più sociale. Istinti e forze vitali del periodo
precedente vengono pertanto convogliati dal bambino nelle attività scolastiche, sportive e artistiche, a
dimostrazione delle sue accresciute capacità di adattamento alle richieste degli adulti. In cambio
dell’adesione alle sue prime responsabilità egli potrà riscuotere alcune importanti gratificazioni ed encomi
per la sua operosità sociale. Questa fase corrisponde a un momento piuttosto delicato nello sviluppo, in cui
la sicurezza e la padronanza delle proprie capacità operative risulta essere premessa per il futuro sviluppo
di una riconosciuta competenza produttiva. Problematiche non risolte in questa fase possono produrre
sentimenti di inferiorità unitamente a sensazioni di impotenza e di non inclusione.
Quinto stadio: l’adolescenza, età dell’identità o della dispersione (diffusione) dei ruoli
Erikson colloca questa fase tra i dodici-quattordici e i diciotto-diciannove. Fondamentale per l’adolescente è
l’acquisizione di un senso di identità che sia più stabile ed integrato rispetto alle epoche precedenti della
vita, poiché l’identità è ancora “dispersa” (diffusa). Il ragazzo inizia a prendere consapevolezza dei tratti
della propria individualità, delle proprie preferenze, dei propri obiettivi e desideri, delle proprie potenzialità
ma anche dei propri limiti. Questo processo è reso possibile grazie all'identificazione con i propri pari e con
le figure adulte significative della sua vita che egli decide di investire di un’autorità positiva e affidabile che
possa esser presa a modello. La transizione dall'infanzia all’adolescenza è un momento difficoltoso che
vede la coesistenza di due opposte tendenze: una prima che spinge verso il ruolo dell’adulto, in buona
parte sconosciuto e per alcuni versi inquietante, ed un'altra dominata dalla riluttanza a lasciare un mondo
sicuro e garantito, come quello dell'infanzia, con il suo ruolo di bambino. La crisi di identità di cui parla
Erikson nascerebbe dal tentativo messo in atto dall'adolescente di superare la confusione e l'ambivalenza
tipica del periodo per lasciare infine spazio pieno alla propria identità, con le sue peculiari caratteristiche di
stabilità, coerenza e individuazione.
Sesto stadio: giovane età adulta, intimità e solidarietà oppure isolamento
Detto periodo inizia per Erikson circa intorno ai venti anni e termina verso i trenta. Mentre nell'infanzia e
nell'adolescenza l'amore corrisponde a un bisogno ancora indifferenziato, nella prima età adulta la ricerca
di legami amorosi e di relazioni amicali è di tipo più maturo. In questa fase, infatti, le relazioni sono
caratterizzate dalla scelta di legare la propria individualità e il proprio futuro a quella di un'altra persona,
con cui intraprendere un percorso di profonda intimità esistenziale, sovente caratterizzato dal pensiero
“ora e per sempre”. E' la capacità di amare e di investire in legami più stabili e maturi, raggiunta a questo
punto del proprio percorso di sviluppo, a condurre a un maggior impegno nelle relazioni, ovvero a generare
una tendenza affiliativa e solidale intesa come compartecipazione a più attività contemporanee, quali
l’amore di coppia, l'amicizia, il lavoro e le partnership professionali. La tendenza opposta, quella
dell’isolamento sociale e relazionale, è la conseguenza dei fallimenti delle precedenti fasi evolutive: il
progetto esistenziale non sta procedendo e il giovane adulto tende a isolarsi e ritirarsi, allontanando da sé
le naturali spinte solidali e di intimità relazionale tipiche del periodo.
Settimo stadio: generatività oppure stagnazione/auto-assorbimento
E' in questa lunga fase che dura circa dai venticinque ai sessanta anni, che si esplica la capacità produttiva e
creativa di ogni individuo. Tale facoltà procreativa si manifesta parallelamente nel campo lavorativo,
dell'impegno sociale e della famiglia, includendo la nascita dei figli, ed sostenuta dal vivo desiderio di
lasciare una traccia di sé nel mondo (generatività). E' la sollecitudine la virtù emergente in questa fase,
definita da Erikson come "la dilatante preoccupazione per ciò che è stato generato dall'amore, dalla
necessità o dal caso” e intesa anche come la tendenza ad occuparsi, con sentimenti di piacevolezza e
realizzazione, del proprio simile (cura, assistenza, allevamento dei figli, trasmissione della cultura, ecc.), Nel
caso in cui le capacità generative vengano inibite in alcuni di questi ambiti, l’adulto corre il rischio che la sua
identità regredisca, emergendo un senso di vuoto e di impoverimento, compensato con l’auto-
assorbimento nelle poche aree di successo (ad es. nel lavoro, nel ruolo di mamma a tempo pieno), che
impedisce ulteriori e diversificati investimenti. In tal caso si può assistere alla perdita della “messa in gioco”
(caratteristica invece costante nell’adolescenza), per il timore di nuovi fallimenti, con conseguente ristagno
delle prerogative creative e procreative.
Ottavo stadio: dalla maturità alla vecchiaia: integrità oppure disperazione
In seguito all'essersi occupati delle persone amate e dopo aver portato a termine i diversi compiti
esistenziali arriva, dai 60 anni in poi, il momento della riflessione e del bilancio sulla propria vita. E' questo il
periodo dell'affermazione della propria individualità e del proprio stile esistenziale: moderatamente
esperto e sicuro di sé, l’individuo ha raggiunto una capacità di essere se stesso, senza eccessivi
condizionamenti esterni. Sono infatti la diversità, intesa come unicità, ed il senso di compiutezza i fattori
costituenti il patrimonio di ogni individuo in quest'ultima fase dell’esistenza. Anche la disperazione rispetto
alla propria esistenza e di fronte alla realtà della morte, può entrare a far parte di questa fase. Infatti il
bilancio effettuato può essere costellato di sentimenti di nostalgia non risolti, oppure di rimpianti o di
evidenze fallimentari. Affinché questa fase non degeneri in un sentimento di decadimento per tutto ciò che
non si è potuto realizzare, è importante che la persona sappia valorizzare ciò che ha comunque
capitalizzato, sforzandosi di incorporare tra le sue virtù la saggezza, ovvero la capacità di vedere il presente
attraverso l’esperienza del passato e per tale via prevedere anche una parte del futuro di chi è arrivato
dopo. Per Erikson la saggezza è "...interesse distaccato per la vita in sé, al cospetto della morte”, sentimento
che può rendere la vecchiaia più gioiosa e serena. Un aspetto negativo che si contrappone alla saggezza di
questo tempo è per Erikson “la supponenza, ovvero la convinzione, poco saggia, di essere davvero saggi”.
SPITZ
René Spitz è stato uno dei primi EMPIRISTI della tradizione psicoanalitica, in quanto, ha dedotto la sua
teoria a partire dall’OSSERVAZIONE DIRETTI DI BAMBINI (usa il metodo sperimentale: ipotesi-prova-teoria)
DEPRIVATI (diversi dai bambini PRIVATI), ossia bambini che nelle primissime fasi dello sviluppo sono stati a
contatto con i propri genitori e solo in un secondo momento ne hanno sperimentato la perdita.
La perdita, in termini di allontanamento della madre, porta allo sviluppo di una serie di SINTOMATOLOGIE
che spingono verso una DIREZIONE PSICOPATOLOGICA (Spitz è stato uno dei primi a rilevare la presenza
della depressione in bambini piccoli, una DEPRESSIONE ANALITICA, in un periodo in cui la maggior parte
degli psicoanalisti riteneva che questi ultimi non avessero la capacità psicologica di provare e disperazione
prolungate): se non c’è una dimensione emotiva d’appoggio (la madre) il bambino non ha alcuna possibilità
di strutturare la propria mente, di sviluppare le proprie potenzialità, fino ad arrivare ad un blocco
psicofisico. E’ quindi assolutamente necessario che ci sia una dimensione sostitutiva (un altro caregiver) che
possa compensare questa carenza di legame.
Il MODELLO DI SVILUPPO di Spitz consiste in una serie di STADI\TAPPE che sono caratterizzati dalla
presenza di un elemento detto “ORGANIZZATORE”. L’organizzatore è qualcosa di fisico, tangibile e
concretamente valutabile, e affinché ci sia uno SVILUPPO SANO, è opportuno che ogni organizzatore
compaia nella rispettiva tappa. Questi ORGANIZZATORI PSICHICI riflettono il sottostante progresso nella
FORMAZIONE DELLA STRUTTURA MENTALE (strutturano le FUNZIONI DELL’IO) e ciascuno di essi
rappresenta l’integrazione di comportamenti precedenti in una nuova fase.
Nel caso in cui non vengano sviluppati adeguatamente, siamo di fronte ad UN’ALTERAZIONE DELLO
SVILUPPO e quindi alla comparsa della PSICOPATOLOGIA.
Gli stadi sono:
1. STADIO PRE-OGGETTUALE (NASCITA- 3 MESI): lo sviluppo del bambino parte da uno STADIO DI
INDIFFERENZIAZIONE tra mondo interno ed esterno, psiche e soma, pulsione ed oggetto, cioè uno stadio in
cui il bambino c’è ma non c’è. Qui non c’è nessun organizzatore che non permette alcuna differenziazione.
Spitz non spiega cosa accade in questo stadio lasciando un vuoto teorico.
2. STADIO DELL’OGGETTO PRECURSORE (3 MESI- 8 MESI): compare il primo organizzatore psichico ossia LA
RISPOSTA DEL SORRISO. Il sorriso è fondamentale perché comporta RICONOSCERE, ATTRIBUIRE
SIGNIFICATO, SAPERE CHE UNA DETERMINATA SITUAZIONE COMPORTA PIACERE. Il sorriso è una
manifestazione emotiva ed è un modo efficace per stabilire un contatto.
Questo organizzatore segna UN’INIZIALE DIFFERENZIAZIONE TRA SE’ E OGGETTO.
3. STADIO DELL’OGGETTO LIBIDICO (8 MESI-15 MESI): compare il secondo organizzatore psichico ossia la
REAZIONE DI PAURA causata dall’angoscia che provoca l’estraneo (angoscia dell’ottavo mese). Da questo
momento il bambino vive la separazione dalla madre, la quale è in assoluto l’unico porto sicuro. Se la
mamma va via e subentra un’altra persona al suo posto, il piccolo percepisce questa persona in modo
totalmente differente dalla madre, infatti non risulta essere un punto di riferimento stabile e quindi
comincia a valutare l’altro come potenzialmente pericoloso (anche se è una persona che fino a quel
momento è stata nella sua sfera di relazioni: persone che vede poco).
Questo organizzatore indica la DIFFERENZIAZIONE FRA GLI OGGETTI, in particolare L’OGGETTO LIBIDICO
ADEGUATO (la madre).
4. PERIODO DELLA COMUNICAZIONE SEMANTICA (16 MESI- IN POI): compare il terzo organizzatore psichico
ossia la RISPOSTA “NO”. Un bambino che in questa fase da spesso questa risposta, non è un bambino
dispettoso, è semplicemente un bambino che PONE LA PROPRIA INDIVIDUALITA’, LA PROPRIA
SOGGETTIVITA’ rispetto ad un’imposizione che proviene dall’esterno.
Questo organizzatore indica la POSSIBILITA’ DEL SE’ DI AFFERMARSI ed una facoltà di giudizio che segna
sviluppo di una più complessa organizzazione psichica.
Spitz è stato uno dei primi a spostarsi da un MODELLO STRUTTURALE PULSIONALE ad un MODELLO
STRUTTURALE RELAZIONALE, in quanto egli ha attribuito un’importanza fondamentale non specificamente
alle pulsioni ma al ruolo della madre e all’interazione madre-bambino. Ha considerato il genitore come
“ACCELERATORE” dello sviluppo delle abilità innate del bambino e come “MEDIATORE” di tutte le sue
percezioni, comportamenti, conoscenze.
LOEWALD
Hans Loewald era uno psicoanalista e teorico tedesco-americano, considerato, da un lato, un seguace
freudiano e, dall’altro, un revisionista freudiano: LOEWALD E’ UN IBRIDO.
E’ stato uno dei primi a sostenere che la PSICOLOGIA DELL’IO era diventata RIDUTTIVA, OSSESSIVA e
MECCANICISTICA, lontana dall’esperienza umana, e che aveva fallito nell’occuparsi dello sviluppo dell’Io
che andasse oltre il conflitto e la difesa. Egli fece ritorno alla PSICOLOGIA DELL’ES tentando, però, di
integrare pulsioni e realtà: nel suo modello pulsione, oggetto, pensiero, azione e mente sono INDIVISIBILI.
La sua idea fondamentale è che TUTTA L’ATTIVITA’ MENTALE E’ RELAZIONALE (interattiva e
intersoggettiva).
Molti concetti classici della psicoanalisi vengono riformulati sulla base di questa ESPERIENZA INTEGRATIVA,
tra cui:
1. Il modello evolutivo non contiene STRUTTURE REIFICATE (es, io, super-io), piuttosto, Loewald
rappresenta le strutture tipicamente freudiane come dei PROCESSI. Desideri, pensieri, emozioni, contatto
con la realtà non sono trattati in differenti strutture di riferimento. Tutto è CODETERMINATO e la mente
lavora in una rete di relazioni;
2. L’esperienza edipica porta a far emergere nel bambino la capacità di AUTORIFLESSIONE –
AUTOCONSAPEVOLEZZA RIFLESSIVA: il bambino edipico è il prodotto della crescente consapevolezza di Sé e
degli altri. Il concetto di “nucleo emergente” si riferisce alla capacità del bambino di essere “separato”, alla
capacità di essere responsabile di una esperienza personale, alla capacità di immaginarsi e sentirsi come un
individuo con una propria sorte.
Gli strutturalisti, in generale, ritengono che i sintomi psicotici sono intesi come regressioni a funzionamenti
molto precoci, oppure, sono intesi come gravi danni dell’Io causati da alcuni difetti nella costruzione delle
strutture psichiche durante le prime tappe evolutive.
In generale gli strutturalisti parlano di un Io incapace di controllare gli impulsi, di un Super-io assente o
patologico, di un disquilibrio tra Ideali dell’Io e Super-io, di disturbi pulsionali e di funzioni dell’Io mal
ridotte.
CRITICA E VALUTAZIONE
CAPITOLO 4: MODIFICAZIONI E SVILUPPI DEL MODELLO STRUTTURALE
IL MODELLO EVOLUTIVO DI ANNA FREUD
Anna Freud nel 1936 pubblica il volume “L’IO E I MECCANISMI DI DIFESA” (nello stesso anno la KLEIN
teorizza le due posizioni e FAIRBAIN teorizza la scissione come fenomeno universale) in cui scrive una frase
che diventerà il MANIFESTO DELLA PSICOLOGIA DELL’IO:
“il campo appropriato della nostra osservazione è sempre l’io, che rappresenta, per così dire, il mezzo
attraverso il quale noi cerchiamo di avere un quadro delle altre due istanze”
In queste righe Anna Freud, rispetto all’enfasi posta da Freud sul ruolo dell’ES, assegna all’IO il privilegio di
diventare l’oggetto dell’indagine psicoanalitica, considerando l’analisi del padre troppo restrittiva: ella
analizza non tanto il versante conscio dell’IO, esattamente come aveva fatto Hartmann, ma analizza,
piuttosto, il versante inconscio dell’IO, ossia quel versante che attiva i MECCANISMI DI DIFESA ad ogni
segnale di angoscia.
Anna Freud propone un MODELLO DI SVILUPPO DELLE LINEE EVOLUTIVE in cui le varie fasi dello sviluppo di
un individuo sono rappresentate metaforicamente, appunto, da LINEE EVOLUTIVE per mettere in rilievo la
CONTINUITA’ E IL CARATTERE CUMULATIVO ED EPIGENETICO dello sviluppo. In ciascuna linea evolutiva è
necessario che ci sia una corrispondenza armonica tra ESIGENZE DEL BAMBINO (sviluppi pulsionali) e
OFFERTA DELL’AMBIENTE (influenze ambientali): interdipendenza tra determinanti maturative e ambientali
negli step evolutivi.
Il modello di Anna Freud è sovrapponibile a quello del padre (TEORIA DEL CONFLITTO), anche se fa
eccezione per l’attenzione rivolta all’ADATTAMENTO DELL’IO, a COME L’IO FRONTEGGIA LE SITUAZIONI CHE
DERIVANO DALL’ESTERNO, all’IMPORTANZA DI ANALIZZARE I PROBLEMI CHE DERIVANO DALLE RICHIESTE
DEL MONDO ESTERNO, DELL’ES E DEL SUPER-IO.
Così come più volte sottolinea Sigmund Freud, anche Anna Freud crede che “L’UOMO E’ IN LOTTA”, ma , in
questo caso, si tratta di una lotta attivata nel momento in cui vi è disarmonia tra esigenze di autonomia
dell’individuo e l’offerta dell’ambiente. E’ necessario che ci sia perfetta corrispondenza affinché uno
sviluppo possa essere considerato sano, o quanto meno, nel caso in cui ci sia una mancanza di
corrispondenza, è necessario che l’individuo ricerchi la giusta modalità di risoluzione del conflitto, un
concetto a cui Anna Freud fa capo con il termine di RESILIENZA (un elemento insito nell’individuo).
La presenza di conflitto e l’angoscia generata da quest’ultimo fanno sì che l’IO PRODUCA DELLE DIFESE ed è
questo uno dei punti cruciali della teoria di Anna Freud: mentre ella riconosce che qualunque capacità
esistente può essere usata in modo difensivo (in questo caso si tratta di MISURE DIFENSIVE e non di
MECCANISMI DI DIFESA), ha anche affermato che le DIFESE POSSONO ESSERE RAGGRUPPATE A SECONDA
DELLA MATURITA’ EVOLUTIVA.
La nozione di linee evolutive, quando ci si rivolge al disturbo infantile, è importante per due ragioni:
1. Fornisce un modo per valutare la MATURITA’ O L’IMMATURITA’ emotiva del bambino insieme ai
SINTOMI PSICHIATRICI (potrebbe essere considerata come parte dell’ ASSE I della diagnosi infantile).
L’attenzione del clinico durante la valutazione è indirizzata verso gli esiti evolutivi appropriati ad una fase, il
significato del comportamento in una fase, l’adattamento mostrato dal bambino in una fase;
2. Ha un’importanza eziologica, in quanto, il problema del bambino può essere compreso nei termini di un
ARRESTO o di una REGRESSIONE ad una particolare linea di sviluppo.
YORKE E COLLABORATORI hanno proposto un MODELLO EVOLUTIVO DELL’ANGOSCIA che offre una buona
esemplificazione dell’approccio di Anna Freud: essi ritengono, in generale, che l’angoscia si sviluppi da
un’eccitazione e che ,prima di manifestarsi in modo pervasivo, mandi un segnale d’angoscia all’individuo
(esattamente come la seconda teoria dell’angoscia di Freud); ma l’angoscia ha uno sviluppo differente a
seconda della fase in cui il bambino si trova.
Nella fase in cui il bambino non ha contenuti mentali ed è visto come una parte indifferenziata della madre,
si presume che i percorsi fra PSICHE e SOMA rimangano aperti, pertanto la tensione viene direttamente
scaricata a livello somatico: queste sono le precoci forme di angoscia.
Nella fase in cui si costituisce la mentalizzazione, ma la capacità dell’Io di regolare gli affetti è ancora
limitata, la tensione dà origine a esperienze di panico psichico o di ANGOSCIA AUTOMATICA: il bambino
grida e si mostra disorientato e impotente poiché non è ancora in grado di esprimere se stesso
adeguatamente o di comprendere la propria esperienza.
Nella fase in cui sviluppa il pensiero ed il linguaggio, l’IO acquisisce la capacità di usare un “affetto di prova”
ovvero un SEGNALE D’ANGOSCIA. Tuttavia un siffatto segnale è rivolto all’esterno e non a se stesso (perché
il bambino non è ancora autonomo) , per cui l’angoscia può essere alleviata solo dall’intervento esterno di
un IO AUSILIARIO (il caregiver).
Nella fase in cui si sviluppa un Io autonomo, esso si attiva per ridurre l’angoscia attraverso meccanismi di
difesa immaturi, come il DINIEGO e la PROIEZIONE.
Nella fase di latenza, l’angoscia diventa un segnale per l’individuo stesso che può prevenire l’attivazione di
un’angoscia pervasiva con l’uso di difese sempre più mature, come la RAZIONALIZZAZIONE,
L’INTELLETTUALIZZAZIONE, IL SENSO DELL’UMORISMO.
Nella fase di maturazione biologica data dalla pubertà, si può andare incontro al riemergere di forme di
angoscia primitive, pervasive ed automatiche.
VALUTAZIONE
IL MODELLO EVOLUTIVO DI MARGARET MAHLER
Margaret Mahler è famosissima perché il suo orientamento viene seguito da molti autori, come nel caso di
Kernberg che, seguendo le sue idee, teorizza la “teoria del conflitto” come ipotesi eziopatologica del
disturbo borderline. Il contributo della Mahler si colloca, come quello di Spitz, in una posizione intermedia e
di giuntura tra la PSICOANALISI DELL’IO E LA PSICOANALISI DELLE RELAZIONI OGGETTUALI, anche se,
quando parliamo della Mahler, noi ci riferiamo alla PSICOLOGIA DELL’IO VERA E PROPRIO, poiché è lei che
la rappresenta in pieno.
La Mahler pur riconoscendo nelle primissime esperienze le basi per la costruzione della personalità, ritiene
che la NASCITA PSICOLOGICA NON COINCIDA MA SEGUA LA NASCITA BIOLOGICA: la nascita psicologica è
successiva alla nascita biologica. Per ampliare questo discorso è necessario fare riferimento al modello dello
sviluppo da lei teorizzato, il quale procede attraverso 3 tappe fondamentali, e dove ogni tappa è influenzata
dalla natura dell’interazione madre-bambino, in particolare da fattori quali la GRATIFICAZIONE SIMBIOTICA
PRIMARIA e la DISPONIBILITA’ AFFETTIVA DELLA MADRE:
1. FASE DELL’AUTISMO NORMALE (nascita-2 mesi) – in questa fase il bambino è una realtà fisiologica, “una
massa di carne”, una dimensione indifferenziata, e psicologicamente non è ancora nato. Il neonato è
affetto da un autismo normale ovvero è protetto dalle stimolazioni eccessive da una “barriera quasi-
compatta contro lo stimolo” , da un “guscio autistico che tiene fuori gli stimoli esterni”, in una situazione
che è analoga a quella prenatale, per cui vive come se le stimolazioni proveniente dall’esterno non avessero
possibilità di insinuarsi all’interno del cervello: in questa fase il cervello non capta i segnali e ciò vuol dire
che questa struttura non cresce psichicamente ma cresce solo biologicamente (crescono unicamente i
neuroni).
I bambini con autismo non sviluppano la teoria della mente e soprattutto non sviluppano la capacità di
attribuire stati mentali ad una persona esterna e a se stessi: così come l’autismo patologico è una
disposizione difensiva (non-differenziazione e deanimazione), allo stesso modo, i cosiddetti sintomi negativi
della SCHIZOFRENIA, come il ritiro e l’appiattimento dell’affettività sono altrettanto difensivi. Secondo la
Mahler questa condizione di autismo è ciò che caratterizza il bambino nella primissima fase dello sviluppo.
N.B. Il bambino di WINNICOTT , proprio da 0 a 2 mesi, comincia a sviluppare la teoria della mente e quindi a
strutturare una psiche consapevole, questo perché c’è una mente pensante (la madre) che interviene per
dare significato all’esperienza fisiologica del bambino;
2. FASE SIMBIOTICA (2 mesi- 4 mesi) – questo è un momento dello sviluppo che rappresenta il prototipo
delle future relazioni umane e che corrisponde allo stadio pre-oggettuale di SPITZ. In questa fase vi è la
FUSIONE ALLUCINATORIA (FUSIONE ALLUCINATORIA SOMATO-PSICHICA ONNIPOTENTE) che la Mahler
definisce MEMBRANA SIMBIOTICA, che è caratterizzata dall’indifferenziazione e dall’onnipotenza del
bambino, ovvero da quella sensazione secondo cui “ogni volta che io bambino desidero qualcosa mi si
presenta davanti perché io l’ho creata”: io bambino voglio il latte, mamma mi dà il latte, io non comprendo
che la persona che mi dà il latte è mamma, ma credo sia stato io a creare il latte. E’ una simbiosi in cui la
madre agisce empaticamente (è necessario che la madre sia empatica perché è questa stessa empatia che
lo porterà all’indipendenza) e il bambino pensa di aver agito da solo.
In questo momento dello sviluppo tali esperienze sono assolutamente normali; se, però, iniziano a
strutturarsi in maniera pervasiva e in maniera tale da non permettere più all’individuo di entrare in una
relazione sana con l’ambiente, questa forma è definita gravemente patologica. Infatti, una fase simbiotica
gravemente compromessa, lascia segni caratteriologici permanenti, sotto forma di frammentazioni
dell’identità, irragionevole ricerca del piacere, ritardo cognitivo, aggressività distruttiva, globale mancanza
di sensibilità affettiva.
Al contrario, la Mahler ritiene che uno sviluppo soddisfacente della fase simbiotica produca sentimenti
benevoli riguardo al sé e riguardo l’oggetto.
3. FASE DELLA SEPARAZIONE-INDIVIDUAZIONE (4 mesi\5 mesi- fino ai 3 anni) – questa fase porta al
completamento dello sviluppo dell’individuo perché dalla relazione simbiotica evolve progressivamente in
relazione oggettuale. In questa fase c’è il distacco vero e proprio del bambino dalla madre e ciò porta
all’acquisizione dell’identità. Prevede 4 sotto-fasi:
- DIFFERENZIAZIONE (PROCESSO DI EMERGENZA), solo se la gratificazione simbiotica è stata soddisfatta, il
bambino comincia a differenziare fisicamente il proprio corpo da quello della madre e , attraverso il sistema
percettivo conscio, esplora l’esterno ed in particolare il volto della madre. E’ fondamentale che la madre sia
in grado di orientare lo sguardo, di rispondere espressivamente, e di trasmettere esperienze emotive. Dalla
disponibilità della madre dipenderà l’autonomia che il bambino cercherà di conquistare. Inoltre, questa
differenziazione presenta sicuramente un’evoluzione di quella che è la dimensione della teoria della mente
del bambino;
- SPERIMENTAZIONE, oltre allo sviluppo degli apparati autonomi dell’IO (Hartmann), in questa fase è
centrale il processo attraverso il quale il bambino si espone verso l’ambiente esterno (sta imparando a
camminare): questo significa che il bambino deve provare a sperimentare l’ambiente con la consapevolezza
che non gli accadrà nulla di male , perché laddove la situazione si può considerare pericolosa, la madre
prontamente deve intervenire per sostenere il bambino. Pertanto, anche se il bambino esplora il mondo,
tiene sempre come punto di riferimento la madre e torna da lei ogni volta che ha bisogno di “rifornimento
affettivo”. Sperimentazioni pericolose e dannose per il bambino, che non siano alleviate e sostenute dalla
madre, possono creare traumi che il bambino può portarsi dietro come situazione psicopatologica della
personalità: è vero che il bambino ha un alto grado di resilienza (capacità di far fronte allo stress: lo dice
Anna Freud), però, per dirla con le parole di BALINT “ la ferita si rimargina ma la cicatrice resta lì”, vale a
dire che il trauma persiste.
Studi recenti hanno dimostrato che persone traumatizzate, alle quali sono state fatte delle valutazioni
strumentali (risonanze, tac..), hanno l’AMIGDALA (preposta al contenimento della memoria affettiva) PIU’
GROSSA e l’IPPOCAMPO (preposta al contenimento della memoria episodica) SOTTOSVILUPPATA rispetto
alle persone che non hanno subito traumi : questo spiegherebbe perché le persone rimuovono il trauma
(ippocampo sottosviluppato) ma resta l’affetto (amigdala ipersviluppata).
N.B. PARENS sottolinea che l’aggressività inizia ad emergere in questa sottofase e questo quindi comporta
l’abbandono dell’assunto freudiano di aggressività innata;
- RIAVVICINAMENTO, si verifica un’ambivalenza in quanto il bambino da un lato si allontana dalla madre e
dall’altro si riavvicina alla madre: la Mahler descrive il comportamento del bambino che segue la madre
come un’ombra e , allo stesso tempo, fugge da lei, e dà a tutto questo il nome di AMBITENDENZA.
Questa ambivalenza è del tutto normale ed anzi ha un valore critico per il futuro sviluppo del bambino,
infatti porterà alla stabilizzazione delle relazioni, allo sviluppo del linguaggio, all’espressione simbolica, alla
formazione del Super-io: la madre deve unire disponibilità affettiva e una spinta leggera verso
l’indipendenza. Se l’equilibrio di disponibilità e spinta all’indipendenza pende troppo da una delle due parti,
il bambino può diventare accanitamente dipendente, adesivo, manifestare difficoltà nel provare piacere e
interesse, e poco fiducioso nel proprio funzionamento.
Una cosa importante è che IL FALLIMENTO DELLA SPERIMENTAZIONE E DEL RIAVVICINAMENTO PERMETTE
DI INDIVIDUARE L’EZIOPATOGENESI DEL DISTURBO BORDERLINE E PIU’ IN GENERALE DEI DISTURBI DI
PERSONALITA’;
- CONSOLIDAMENTO DELL’INDIVIDUALITA’ E ACQUISIZIONE DELLA COSTANZA OGGETTUALE, lo sviluppo
delle funzioni dell’io si accompagna al consolidamento della costanza d’oggetto e dell’identità personale
(individualità): io saluto mamma, mi allontano da quest’ultima, ma so che mamma resta lì. L’assunzione
della costanza d’oggetto e tutte le capacità assunte nelle fasi precedenti, hanno permesso al bambino di
arrivare a questo momento dello sviluppo e a sapersi differenziare e separare dalla madre: il bambino per
sperimentare il mondo non ha più bisogno della madre.
SEPARAZIONE-INDIVIDUAZIONE E PSICOPATOLOGIA
La Mahler, come Spitz, propone un modello alternativo di psicopatologia basato sugli squilibri evolutivi
nell’infanzia.
Dai suoi studi osservazionali, la Mahler ha sviluppato l’idea che le PERSONALITA’ NARCISISTICHE manchino
di “libido narcisistica” (sana autostima). Ella ha ipotizzato che ciò accade perché:
1. Durante la FASE SIMBIOTICA l’accudimento tranquillizzante della madre è deficitaria;
2. Durante la SOTTOFASE DI SPERIMENTAZIONE la madre non concede il rifornimento affettivo;
3. Durante la SOTTOFASE DI RIAVVICINAMENTO la madre non è capace di fornire un supporto empatico e
mette così in pericolo la rinuncia all’onnipotenza;
Tali individui non avranno una chiara immagine di se stessi e dei loro oggetti: possono desiderare di evitare
o di controllare gli oggetti, ricercare la simbiosi con un oggetto perfetto, tollerare le critiche e i
contrattempi con difficoltà.
Secondi i Mahleriani, la sottofase di RIAVVICINAMENTO è vista come IL PERIODO CRITICO DELLA
FORMAZIONE DEL CARATTERE: i suoi conflitti cruciali tra separatezza e vicinanza, fra autonomia e
dipendenza, si ripresentano durante tutto lo sviluppo, in particolare nei periodi che si associano a malattia,
a stati indotti da sostanze, ecc.
Questa parte della teoria della Mahler è stata utilizzata da coloro che lavorano con soggetti affetti da
DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITA’: Mahler e collaboratori hanno osservato che alcune madri, nella
SOTTOFASE DI RIAVVICINAMENTO, rispondevano al ritorno dei loro bambini con aggressività o ritiro, e che
il comportamento di questi bambini era simile a quello dei PAZIENTI BORDERLINE; infatti, residui dei
conflitti relativi alla sottofase di riavvicinamento sono evidenti nei borderline sotto la forma di persistente
desiderio\timore di fusione con la madre e scissioni delle rappresentazioni del sé e dell’oggetto che
impediscono lo stabilizzarsi della costanza d’oggetto e dell’identità.
MASTERSON ha sviluppato le idee della Mahler a proposito della patologia borderline, arricchendole con i
contributi sia di BOWLY sia di KERNBERG: egli ha suggerito che la madre dell’individuo borderline era
probabilmente essa stessa borderline e, per questo, incoraggiava l’aggrapparsi simbiotico quando il
bambino si sforzava di raggiungere l’indipendenza. Il padre non svolgeva il proprio ruolo, che consiste
nell’indirizzare la consapevolezza del bambino verso la realtà. Masterson ritiene che i pazienti borderline
sperimentino un profondo conflitto fra il desiderio di indipendenza e il terrore di perdere l’amore e così
ricerchino un legame adesivo con un sostituto della madre. Tale legame garantirà provvisoriamente una
sensazione di sicurezza, ma qualsiasi desiderio di autoaffermazione sarà accompagnato dal terrore
dell’abbandono. Si stabilirà così un circolo vizioso, lungo tutta la vita, di brevi unioni felici, rotture, senso di
vuoto e depressione.
Egli considera la DEPRESSIONE ABBANDONICA come la conseguenza della ricerca, da parte del bambino
borderline, della separazione dall’oggetto materno aggressivo e che a sua volta, per cause patologiche sue
proprie, desidera mantenere il bambino in una relazione simbiotica: il bambino sviluppa così la paura che la
sua esistenza dipende fondamentalmente dalla presenza di altri che soddisfino i suoi bisogni.
Le drammatiche reazioni degli individui borderline alla separazione reale possono perciò essere spiegate
nei termini di un’incompleta separazione dagli oggetti.
BURLAND, rifacendosi alla teoria della Mahler e basandosi su studi di bambini emarginati gravemente
deprivati, ha descritto un DISTURBO AUTISTICO DEL CARATTERE, che assomiglia alla PERSONALITA’
SCHIZOIDE: egli ha suggerito che precoci, prolungate e gravi deprivazioni, si traducano in un’incompleta
nascita psicologica del bambino dalla fase autistica normale. Dato che la fase simbiotica non ha luogo, il
bambino non riesce a stabilire un oggetto libidico e le successive sottofasi di separazione-individuazione ne
risultano compromesse. Questo arresto evolutivo si manifesta nella povertà degli affetti e delle relazioni,
nella frammentazione dell’identità, e in un’irragionevole ricerca del piacere.
La metafora di Sandler collega il mondo rappresentazionale alla teoria strutturale e per chiarire molti
concetti “ostici” della psicoanalisi:
“L’Io è il teatro e le rappresentazioni sono i personaggi sul palcoscenico. Noi siamo consapevoli dei
personaggi che recitano il dramma (rappresentazioni), ma trascuriamo il modo in cui funziona il teatro (Io) e
viene messa in scena lo spettacolo (modo in cui l’Io organizza le rappresentazioni)”.
Sulla base di questa metafora, i concetti che rivede sono:
1. Processo di introiezione – duplica le rappresentazioni genitoriali ma non comporta un cambiamento nella
rappresentazione del Sé;
2. Processo di incorporazione – implica un cambiamento nella rappresentazione del Sé, per somigliare
all’oggetto percepito;
3. Processo di identificazione – una fusione momentanea delle rappresentazioni del Sé e dell’oggetto, che
preserva i loro confini e la loro separatezza;
4. Desiderio istintuale – una temporanea modificazione nella rappresentazione del Sé o dell’oggetto;
5. Conflitto – può produrre l’esclusione delle rappresentazioni dalla coscienza;
6. Difese – riorganizzano i contenuti del mondo rappresentazionale;
7. Narcisismo primario – costituisce l’investimento libidico sulla rappresentazione del Sé e l’OGGETTO
D’AMORE è il trasferimento di questo investimento alla rappresentazione dell’oggetto;
8. Narcisismo secondario – è il ritiro dell’investimento libidico dalla rappresentazione dell’oggetto alla
rappresentazione del Sé.
Sandler, rivedendo la tradizionale concettualizzazione del narcisismo, ha messo al centro della teoria
psicoanalitica gli stati affettivi piuttosto che l’energia psichica. Questa enfasi nei confronti degli stati
affettivi è riuscita a creare un ponte teorico importantissimo tra la classica teoria delle pulsioni e la teoria
delle relazioni oggettuali.
Sandler ha discusso l’appropriatezza della teoria della libido come spiegazione del narcisismo:
egli ha proposto come cornice di riferimento alternativa alla teoria della libido, la teoria
rappresentazionale, con focus sulla rappresentazione degli stati affettivi e dei valori.
Seguendo questa linea, egli ha suggerito che i DISTURBI NARCISISTICI scaturiscono dal dolore mentale
associato alla discrepanza fra le rappresentazioni mentali del Sé reale e le rappresentazioni mentali del Sé
ideale; i problemi di autostima derivano dal dolore provato a causa di questa discrepanza (i sentimenti
influenzano i valori legati alle rappresentazioni mentali: alcuni sono sopportabili e altri meno). Il dolore è
costantemente presente ma può essere reso più sopportabile da tecniche psichiche quali, la ricerca di
rifornimenti narcisistici, le iper-compensazioni nella fantasia, l’identificazione con figure
idealizzate\onnipotenti. Se queste manovre adattive falliscono, si può sviluppare una REAZIONE
DEPRESSIVA.
Sandler introduce il concetto di BACKGROUND DI SICUREZZA (sfondo di sicurezza), un concetto
“rivoluzionario” che assegna all’Io il compito fondamentale di massimizzare il senso di sicurezza e di
protezione piuttosto che di evitare l’angoscia: egli ha cercato di dimostrare che la ricerca della
sicurezza\bisogno impellente di pervenire a sentimenti di benessere è un costrutto sovraordinato e deve
essere più forte della gratificazione istintuale, al fine di mantenere il controllo su quest’ultima, quando la
sua espressione comporta pericolo: la sicurezza è il più chiaro esempio del lavoro di ripensamento, svolto
da Sandler, sulla teoria della motivazione in termini di stati affettivi invece che di pulsioni.
Sandler non si sbarazza “degli istinti”, piuttosto, ha dimostrato che le pulsioni hanno un ruolo importante
nel determinare il comportamento dell’individuo , ma, sono in grado di esercitare il loro effetto solo
attraverso cambiamenti nei sentimenti.
Per quanto riguarda i concetti di “fantasia” e di “relazioni oggettuali interne”, nello specifico, egli afferma
che:
le WISHFUL FANTASIES (fantasie di desiderio) sono rappresentazioni di interazioni tra il Sé e l’oggetto, il cui
scopo principale è quello di fornire uno stato affettivo primario di benessere prendendo (uno stato emotivo
buono), allo stesso tempo, le distanze da uno stato di dispiacere (uno stato emotivo cattivo). Quindi, le
relazioni oggettuali non sono solo l’appagamento di un desiderio istintuale, ma anche l’appagamento dei
bisogni di sicurezza, rassicurazione ed affermazione: questi bisogni spingono verso l’ATTUALIZZAZIONE di
una relazione desiderata che non è stata attuata durante l’infanzia.
LE RELAZIONI MANIFESTE SONO DERIVATI DI SOTTOSTANTI RELAZIONI DI RUOLO CONNESSE A FANTASIE DI
DESIDERIO: quando queste rappresentazioni sottostanti sono rafforzate durante il corso dello sviluppo, si
forma la PERSONALITA’ e l’individuo diventa SEMPRE PIU’ INFLESSIBILE nei ruoli richiesti al Sé e agli altri:
Fantasia inconscia (desideri di benessere) Rappresentazione della relazione desiderata (vorrei
attualizzarla) Risonanza di ruolo (attualizzo la rappresentazione) Tratti del carattere (personalità).
Sandler, infine, ha proposto un quadro teorico di riferimento che permette di distinguere vari aspetti del
funzionamento inconscio, ossia, il THREE-BOX MODEL. Il modello “a tre scatole” prevede tre contenitori o
meglio tre livelli di analisi:
1. PRIMA SCATOLA – in questa scatola, l'inconscio ha un contenuto orientato soltanto al passato e
rappresenta il bambino dentro l'adulto. Esso è primitivo in termini di struttura mentale, ma non si limita
alle pulsioni. Consiste di fantasie inconsce, con aspetti difensivi, di rassicurazione, di desideri, di soluzione di
problemi. In questa scatola le rappresentazioni sono meno elaborate\complesse, mai accessibili alla
coscienza e sostanzialmente immutabili. Una prima censura, tra prima e seconda scatola, è concepita come
analoga alla barriera repressiva di Freud (rimozione);
2. SECONDA SCATOLA – in questa scatola, l'inconscio ha un contenuto orientato al presente. Contiene
anch'essa fantasie inconsce, con aspetti difensivi, di rassicurazione, di desideri, di soluzione di problemi, ma
tali fantasie qui sono sotto l'influenza delle richieste del presente, non più solo nell'ottica esclusiva del
passato. Questo inconscio equivale all’”Io inconscio di Freud”, pertanto, i compromessi destinati a risolvere
i conflitti sono elaborati all’interno di questo sistema (proprio come fa l’Io inconscio di Freud): si possono
modificare rappresentazioni delle interazioni del Sé e dell’oggetto che risultano troppo “dirompenti”.
Le rappresentazioni presenti in questa scatola, principalmente rappresentazioni della realtà quotidiana,
possono essere più o meno soggette alla censura: la censura è essenzialmente diretta ad evitare sentimenti
di vergogna, imbarazzo o umiliazione;
3. TERZA SCATOLA – è rappresentata dalla coscienza che si situa e si apre nel mondo esterno, rendendo i
propri confini permeabili. Questo sistema è irrazionale solo quel tanto che può essere autorizzato dalle
convenzioni sociali.
Negli scritti sulla DEPRESSIONE, Sandler descrive la regressione come una risposta alla frustrazione e alla
sofferenza che scaturiscono dalla necessità di abbandonare i primi stadi magici e onnipotenti, in favore
della triste e cupa realtà.
Solo in un secondo momento riconsidera la DEPRESSIONE seconda la prospettiva del mondo
rappresentazionale. Con lo sviluppo il bambino si allontana dalle esperienze magiche ed onnipotenti
(rappresentazioni di Sé e dell’oggetto positive) e si indirizza verso la realtà esterna; questo allontanamento
è vissuto come una perdita di uno stato del Sé sicuro, protetto, benefico, che procura dolore. Pertanto, le
risposte depressive possono verificarsi quando l’individuo fallisce nel rispondere adeguatamente a questo
DOLORE PSICHICO: la giusta “risposta adattiva” è l’INDIVIDUAZIONE, ossia un processo di elaborazione che
comporta l’abbandono del perseguimento di stati ideali perduti e l’adozione di nuovi stati che si adattino
alla realtà e agli stati interni.
LA RISPOSTA DEPRESSIVA (la capitolazione di fronte al dolore) E’ L’OPPOSTO DELL’INDIVIDUAZIONE: essa è
disadattiva perché, anche se l’inibizione può alleviare il dolore psichico, NON E’ MIRATA ALLA GUARIGIONE.
Sandler ha riconsiderato anche il concetto di TRAUMA: egli ha specificato che l’impatto patologico del
trauma non dipende, nel bambino, dall’esperienza iniziale di impotenza di fronte all’evento, bensì alla
condizione post-traumatica in cui egli viene a trovarsi. Sandler ha suggerito che ciò che può condurre alla
TRAUMATIZZAZIONE è la tensione esercitata continuamente sull’Io, e determinata soprattutto dal livello
del conflitto interno successivo al trauma, che paralizza la crescita della personalità e conduce allo sviluppo
di una PATOLOGIA BORDERLINE, ANTISOCIALE O PSICOTICA.
CRITICA E VALUTAZIONE
CAPITOLO 5: INTRODUZIONE ALLA TEORIA DELLE RELAZIONI OGGETTUALI
DEFINIZIONE DELLA TEORIA DELLE RELAZIONI OGGETTUALI
La teoria delle relazioni oggettuali è di gran lunga troppo composita per avere un’unica definizione
consensuale. Il termine, infatti, è stato usato per designare vari concetti di diversa natura.
Autori come Greenberg e Mitchell, Jacobson, Mahler, Sandler, Freud, non escludono la teoria pulsionale
nelle loro definizioni di “relazione oggettuale” , anzi, restano molto fedeli ad un quadro di riferimento
teorico di tipo strutturale.
Kernberg, invece, identifica tre modi in cui può essere usato il termine:
1. Per descrivere i tentativi di comprendere le relazioni interpersonali presenti alla luce di quelle passate e
ciò implica riattivare le interiorizzazioni primarie del momento di fissazione;
2. Per descrivere la costruzione di rappresentazioni mentali delle relazioni diadiche “Sé” e “Oggetto”, che
sono radicate nella relazione originaria del bambino con la madre, e descrivere il successivo sviluppo di
questa relazione in altre relazioni interpersonali (interne, esterne, diadiche, multiple, ecc.): questa
definizione è quella che più si adatta alla teoria di Kernberg;
3. Per descrivere gli approcci specifici delle relazioni oggettuali, ossia la SCUOLA KLENIANA, la SCUOLA
BRITANNICA DEGLI PSICOANALISTI INDIPENDENTI, quegli studiosi che hanno cercato di INTEGRARE I
CONCETTI DI QUESTE SCUOLE all’interno di un’unica teoria.
In generale, con l’immissione della teoria delle relazioni oggettuali nel panorama psicodinamico, vi è un
allontanamento dallo studio del conflitto pulsionale e dalle influenze complementari di fattori biologici ed
esperienziali sullo sviluppo: la psicoanalisi sembra essersi diretta verso una prospettiva fondata
sull’esperienza, enfatizzando l’esperienza individuale di se stessi con gli altri (i pazienti in trattamento
esprimono se stessi in termini di relazioni), laddove, l’importanza attribuita all’esperienza allontana la
teoria da un MODELLO STRUTTURALE MECCANICISTICO e la indirizza vero quello che Mitchell definisce
TEORIA RELAZIONALE. In un certo senso, verrebbe da dire che la teoria delle relazioni oggettuali acquista
significato in quanto categoria di asserzioni psicoanalitiche che si contrappongono alla teoria classica
freudiana e alle sue successive elaborazioni: esse divergono in particolare dall’assunto freudiano relativo
all’evoluzione della struttura psichica come processo intrapsichico indipendente dalle relazioni infantili.
L’idea di Freud che la mente evolve unicamente come conseguenza delle frustrazioni delle pulsioni infantili
viene del tutto stravolta! Le teorie delle relazioni oggettuali presumono che LA MENTE DEL BAMBINO
prenda forma da TUTTE LE ESPERIENZE PRECOCI CON IL CAREGIVER.
Le teorie delle relazioni oggettuali differiscono anche in base al rigore con cui affrontano il problema stesso
delle relazioni, infatti, Friedman, differenzia tra:
1. Le teorie delle relazioni oggettuali SOFT, tra cui quelle di Balint, Winnicott, Kohut, che si occupano di
amore, innocenza, bisogni di crescita, realizzazione di sé;
2. Le teorie delle relazioni oggettuali HARD, tra cui quelle di Melanie Klein, Fairbairn, Kernberg, che
considerano l’odio, l’ira, la distruttività e si soffermano sugli ostacoli, la malattia, lo scontro.
Inoltre, Akhtar, descrive due approcci alla teoria delle relazioni oggettuali fra loro contrapposti, basando la
propria distinzione sul MODELLO DI STRENGER che include una visione classica dell’uomo e una visione
romantica dell’uomo:
1. VISIONE CLASSICA (Kant), sostiene che l’uomo deve lottare per la sua autonomia, e la vera autonomia
coincide con il regno della ragione. L’uomo razionale sottomette la sua parte più soggettiva alla voce della
ragione. Questa visione corrisponde alle teorie di Anna Freud, Melanie Klein, gli psicologi americani dell’IO,
Horowitz, e alcuni esponenti della tradizione britannica.
Questo approccio interpreta la PSICOPATOLOGIA in termini di CONFLITTO: la visione classica è più
pessimistica, in quanto il conflitto è insito nel normale sviluppo e quindi non c’è scampo all’aggressività e
alla potenza distruttiva, LA VITA E’ UNA COSTANTE LOTTA CONTRO LA RIATTIVAZIONE DEI CONFLITTI
INFANTILI.
2. VISIONE ROMANTICA (Rousseau e Goethe), sostiene che il valore supremo dell’individuo consiste nello
sviluppare una peculiare e personale prospettiva sul mondo. L’uomo pienamente sviluppato è
caratterizzato da autenticità, spontaneità ed una ricchezza di esperienze soggettive. Questa visione
corrisponde alle teorie di Ferenczi, Balint, Winnicott, Guntrip nel Regno Uniti, Modell e Adler negli Stati
Uniti.
Questo approccio interpreta la PSICOPATOLOGIA in termini di DEFICIT: la visione romantica è più
ottimistica, in quanto attribuisce all’uomo grandi potenzialità e al bambino la capacità di realizzare il
proprio destino.
N.B. ci sono approcci che integrano la visione romantica e quella classica, come nel caso di Kohut e
Kernberg, i quali propongono modelli di sviluppo che non rappresentano in modo netto né l’una né l’altra
tradizione.
Green, inoltre, ha descritto in che modo la LIBERA ASSOCIAZIONE dà accesso ad una struttura temporale
complessa che sfida e distrugge l’apparente linearità del discorso: ciò che è stato detto in precedenza può
sia cambiare il proprio significato alla luce del momento presente per effetto della RIVERBERAZIONE
RETROATTIVA; sia operare verso il futuro per effetto della ANTICIPAZIONE ANNUNCIATORIA, indicando il
una sequenza che risulta chiaramente legata a ciò che aveva detto in precedenza.
La causazione psichica, è, perciò, non soltanto regressiva, vale a dire che i malesseri e problemi del soggetto
non sono necessariamente e unicamente radicati nel passato, dal momento che la temporalità è sia
regressiva sia progressiva: essa assume una struttura ad albero che comprende sia potenzialità inespresse
sia potenzialità che agiscono retrospettivamente.
IL TRAUMA NON E’ COLLOCABILE NEL PASSATO IN SENSO STATICO, AL CONTRARIO, ESSO PUO’ ESSERE NEL
PRESENTE IN INTERAZIONE CON IL PASSATO.
Un altro concetto importante proposto da Green è quello di CATENA EROTICA con l’intento di riformulare la
teoria delle pulsioni e avvicinarla alle idee della teoria delle relazioni oggettuali.
Le pulsioni non devono essere intese semplicemente come la forza contenuta entro l’Es del modello
strutturale (gli psicoanalisti francesi tendono a chiamarla “seconda topografica”). Piuttosto, Green
suggerisce che le pulsioni (la sessualità) si rivelano attraverso una serie di formazioni (una successione di
fasi):
1. Le pulsioni seguono il processo primario e cercano il soddisfacimento immediato;
2. Le pulsioni proseguono con le azioni di scarica, a cui seguono le esperienze di piacere o dispiacere, a
seconda se ci sia stato soddisfacimento o meno;
3. All’esperienza di piacere\dispiacere segue uno stadio in cui si elabora un DESIDERIO espresso in termini
di uno stato di attesa o di uno stato di ricerca: a questo stadio le RAPPRESENTAZIONI CONSCE E INCONSCE
possono nutrire il desiderio;
4. Un ulteriore stadio è la creazione di FANTASIE CONSCE E INCONSCE che organizzano che organizzano la
realizzazione di desideri;
5. Alla fine, il linguaggio delle sublimazioni crea l’erotico e l’amoroso che definisce la sessualità adulta.
Il modello di Green differisce da quello di Freud, in quanto suddivide il processo di funzionamento mentale
in molteplici livelli di sistemi rappresentazionali o significanti.
Egli critica sia i TEORICI DELLE RELAZIONI OGGETTUALI, sia i TEORICI CLASSICI DELLE PULSIONI perché
tentano di ridurre la sessualità ad un unico punto centrale di questa catena: i Kleniani si focalizzano solo
sulla parte delle fantasie inconsce della catena e i Freudiani si focalizzano solo sulla parte delle pulsioni
della catena.
Le idee di Green sono diventate popolari anche in virtù della loro rilevanza clinica.
Egli ha descritto IL LAVORO DEL NEGATIVO, soprattutto in relazione alla PATOLOGIA BORDERLINE: ha
osservato che le espressioni negativistiche di un paziente, per esempio, “Non so”, “Non ricordo”, “Non
riesco a sentire quello che stai dicendo”, quando sono ripetitive e prolungate, acquisiscono il potere di
uccidere le rappresentazioni. In questi casi, la qualità dell’elaborazione o la produzione di idee nelle libere
associazioni è perduta; egli sostiene che questo uso del linguaggio indica che si è installato, nei sistemi
rappresentazionali che sottendono la comunicazione, un tipo di funzionamento FOBICO EVITANTE.
Egli suggerisce che gravi problemi psicologici si presentano in situazioni in cui molteplici traumi entrano in
relazione gli uni con gli altri. Qui, di nuovo, si registra una significativa differenza rispetto a molte
prospettive “tradizionali” che tendono a ridurre il trauma più recente ad un’esperienza pregressa
(fissazione e regressione). Per Green, ciò che conta è L’ASSOMMARSI DEI TRAUMI successivi o ripetuti.
Green descrive come “POSIZIONE FOBICA CENTRALE” l’evitamento di questi pensieri traumatici attraverso
la negatività implicita nella distruzione del sistema rappresentazionale.
Probabilmente, il lavoro più autorevole pubblicato da Green è “La madre morta” , nel quale ha descritto un
particolare fenomeno clinico, che è la conseguenza di una vicenda primaria nella quale il bambino ha
scoperto di aver perduto l’attenzione e l’investimento della madre, la quale si è ritirata in uno stato di
depressione e di insensibilità emotiva, descritto come LUTTO BIANCO. Il bambino, nel caso in cui anche il
padre sia poco coinvolto, si identifica con la madre che lo ha disinvestito: una “madre morta”. A questo
segue una “ricerca del significato perduto” che può produrre una fantasia o un pensiero compulsivi.
CRITICA E VALUTAZIONE
CAPITOLO 6: IL MODELLO KLEIN-BION
IL MODELLO EVOLUTIVO KLENIANO
Melanie Klein, insieme a Winnicott e Bion, è una degli esponenti principali di un orientamento che nasce in
Gran Bretagna negli anni 30: LA TEORIA DELLE RELAZIONI OGGETTUALI.
La convinzione di fondo dei teorici delle relazioni oggettuali riguarda il fatto che le relazioni rappresentano
un aspetto fondamentale per lo sviluppo dell’esperienza psichica del bambino.
Questa, ovviamente, è una novità rispetto al pensiero di Freud, il quale aveva invece attribuito importanza
solamente al mondo pulsionale del bambino, quindi al mondo interno e non alla relazione con l’altro.
Compare allora il concetto di RELAZIONE CON L’OGGETTO: precisiamo che l’oggetto in ambito
psicoanalitico può avere due accezioni. Può essere un OGGETTO ESTERNO (ad esempio la madre reale)
oppure un OGGETTO INTERNO (la rappresentazione mentale dell’oggetto reale intero, come la madre,
oppure, la rappresentazione mentale dell’oggetto reale parziale, come i pezzi della madre, ossia il seno, il
volto, ecc.).
La Klein afferma che, a suo avviso, la PRIMA REALTA’ del bambino è TOTALMENTE FANTASTICA: ella parla
infatti di FANTASIA INCONSCIA (phantasy).
In questo senso lei si distacca dai suoi colleghi della teoria delle relazioni oggettuali, perché, appunto, pensa
e teorizza che per i PRIMI MESI DI VITA il rapporto che il bambino ha con l’oggetto è solo un RAPPORTO DI
FANTASIA: si rapporta con oggetti interni. Secondo la Klein nei primi mesi di vita (fino ai 4-5 mesi), LA
MADRE REALE NON E’ PERCEPITA dal bambino, il bambino percepisce la madre solo nelle sue
FANTASTICHERIE.
In realtà il modello kleiniano costituisce un PONTE TRA FREUD (TEORIE STRUTTURALI) E LE TEORIE DELLE
RELAZIONI OGGETTUALI (MODELLO EVOLUTIVO INTERPERSONALE), in quanto si focalizza sia sugli OGGETTI
INTERNI che sugli OGGETTI ESTERNI:
-da una parte si centra sulle relazioni del bambino con oggetti a livello di FANTASIE, quindi sono OGGETTI
INTERNI. Viaggia sull’idea che più che il livello di realtà, sia la vita pulsionale a guidare l’IO primitivo del
bambino verso gli oggetti;
-dall’altra parte però attribuisce una certa importanza anche all’AMBIENTE: la madre reale in particolare.
Essendo la prima realtà psichica rivolta verso oggetti interni, la Klein fa delle IPOTESI SULLA NASCITA DI
QUESTI OGGETTI INTERNI (che vedremo essere o pezzi della madre o l’immagine intera della madre).
Questi oggetti sarebbero creati dal bambino per contenere degli ISTINTI, che sono L’ISTINTO DI MORTE (la
cui energia è la DESTRUDO) e L’ISTINTO DI VITA (la cui energia è la LIBIDO) con cui il bambino nasce:
secondo la Klein il bambino nasce con un IO che però è un IO IMMATURO, DISORGANIZZATO, MOLTO
LABILE, che deve tendere quindi all’integrazione. Questo IO nasce FRAMMENTATO, SCISSO, DIVISO, e
sarebbe costituito da due istinti che sono, appunto, l’istinto di vita e l’istinto di morte.
La presenza di questo IO, anche se immaturo e disorganizzato, è sufficiente per sperimentare un’angoscia:
secondo la Klein, il bambino nasce con una FORTE ANGOSCIA DI ANNICHILIMENTO\ ANGOSCIA PRIMARIA.
Perché? Perché l’istinto di morte di cui è costituito, tende al SADISMO, alla DISTRUZIONE,
all’ANNIENTAMENTO. E’ una carica pulsionale aggressiva interna al bambino che tende a DISTRUGGERLO: il
bambino prova angoscia perché ha paura che questo istinto di morte lo uccida.
Ella segue Freud nel pensare che questo sia il risultato inevitabile del desiderio dell’organismo di sbarazzarsi
di tutti gli stimoli e di raggiungere lo stato ultimo del Nirvana.
Succede che nella prima fase di sviluppo della vita del bambino che la Klein colloca tra i 3-4 mesi di vita e
che chiama POSIZIONE PARANOIDE (che modificherà in SCHIZOPARANOIDE, quando, nel 1936, FAIRBAIRN
teorizza la “scissione come fenomeno universale”: il termine SCHIZOPARANOIDE riprende la parola SCHIZO
che vuol dire scisso, separato, diviso, perché l’io è diviso in due istinti, quello di vita e quello di morte; e
riprende la parola PARANOIDE perché c’è un’angoscia paranoide, cioè una paura di essere annientato
prima da se stesso e poi dagli oggetti persecutori) ci sarebbe questa scissione dell’IO caratterizzata dalla
presenza dei due istinti. Ma il bambino deve LIBERARSI DA QUESTA ANGOSCIA, creando così un
PERSECUTORE ESTERNO. Cioè che cosa succede? Mette in atto un meccanismo di difesa, la SCISSIONE:
scinde questo istinto di morte e tenta di liberarsene PROIETTANDOLO ALL’ESTERNO (TUTTO QUESTO
AVVIENE NELLE FANTASTICHERIE DL BAMBINO), in particolare sul SENO MATERNO e quindi crea un SENO
CATTIVO, crea un OGGETTO PERSECUTORIO, da cui doversi difendere. Per cui, adesso, il bambino non ha
più paura di essere annientato da se stesso ma ha paura di essere distrutto dal seno cattivo.
Cercando un modo per distruggere il seno cattivo, scinde l’istinto di vita e lo PROIETTA ALL’ESTERNO, un
istinto che tende all’AMORE, alla CONSERVAZIONE, all’INTEGRAZIONE, in particolare sul SENO MATERNO e
quindi crea un SENO BUONO, che assume le sembianze di un OGGETTO IDEALE.
NELLA POSIZIONE SCHIZOPARANOIDE IL BAMBINO ANCORA NON PERCEPISCE LA MADRE REALE,
PERCEPISCE SOLO DEGLI OGGETTI PARZIALI (PEZZI DI MADRE) CHE LUI STESSO CREA IN FANTASIA.
Adesso il bambino si deve difendere da UN’ANGOSCIA PARANOIDE provocata dalla paura che il persecutore
esterno lo distrugga: si deve difendere dal seno cattivo (cerca di distruggerlo con l’aggressività derivata
dalle pulsioni sadico-orali e mettendo in atto meccanismi di difesa come scissione ossessiva, idealizzazione
eccessiva, diniego, identificazione proiettiva) e deve cercare di identificarsi con il seno buono.
La seconda fase dello sviluppo, che per la Klein prende il nome di POSIZIONE DEPRESSIVA e inizia dai 4-5
mesi (fino agli 8 mesi). In questa posizione dovrebbero diminuire i meccanismi di scissione e proiezione e
dovrebbe invece aumentare l’INTROIEZIONE e l’IDENTIFICAZIONE con il seno buono.
Come fanno a diminuire questi meccanismi di scissione e proiezione?
Diminuiscono se la madre ha soddisfatto le esigenze del bambino e se le esperienze gratificanti sono
maggiori di quelle negative, e quindi se diminuisce l’angoscia paranoide.
NELLA POSIZIONE DEPRESSIVA IL BAMBINO INIZIA A PERCEPIRE E A VEDERE CHE ESISTE UNA MADRE REALE,
CHE NON E’ PIU’ UN SENO CON CUI HA UN RAPPORTO, MA E’ UN ESSERE UMANO REALE: GLI OGGETTI
PARZIALI VENGONO INTEGRATI CREANDO UN UNICO OGGETTO INTERO.
Ma perché si chiama posizione depressiva?
Perché non c’è più un’angoscia paranoide pervasiva (l’angoscia paranoide non si annulla mai, anzi è sempre
presente, e si alterna continuamente con quella depressiva) ma compare un’ANGOSCIA DEPRESSIVA, legata
al fatto che il bambino nella posizione precedente aveva tentato di distruggere il seno cattivo e adesso si
rende conto che quello che lui aveva di distruggere era in realtà UN PEZZO DELLA MADRE, UNA PARTE
DELLA MADRE REALE. Si sente in colpa per aver tentato di distruggere l’OGGETTO D’AMORE CHE E’ LA
MADRE: il bambino si riempie di SENSI DI COLPA e di sentimenti di PENA, PERDITA e SCONFORTO.
Deve allora in qualche modo riparare quest’angoscia, deve superare questi sensi di colpa, e lo fa attuando
un RESTAURO o una RIPARAZIONE dell’oggetto che stava distruggendo completamente: il bambino deve
cercare, sempre nelle sue fantasticherie, di riparare l’oggetto che ha tentato di distruggere (DESIDERIO DI
REINTEGRAZIONE: deve riuscire ad inserire nell’IO un oggetto interno totale, buono, integro, saldo,
attraverso l’IDENTIFICAZIONE. Quando il bambino riconosce la madre come OGGETTO TOTALE ED AMATO,
cerca di identificarsi affinché possa TROVARE SOLLIEVO DALLE PAURE DI PERSECUZIONE, affinché possa
PROTEGGERLO. ATTENZIONE: la madre non è solo amata ma è anche odiata a causa dei sentimenti edipici,
per cui si ha una condizione di AMBIVALENZA). Ma come fa a riparare\restaurare?
Attraverso il gioco, l’arte, la creatività, che servono per riparare o per creare delle cose che prima non
c’erano o sono state distrutte.
La Klein ci racconta che ha osservato bambini che tentavano di riparare l’oggetto distrutto attraverso il
GIOCO: giocando con delle bambole, ad esempio, facevano morire la madre e poi però le ridavano la vita.
Oppure lei dice che ha osservato pazienti adulti: la riparazione veniva fatta attraverso la creazione di un
quadro, una scultura, una qualsiasi forma artistica. La riparazione avviene inizialmente in FANTASIA e
successivamente, nello sviluppo normale, prende la forma di AZIONI PIU’ ADERENTI ALLA REALTA’.
I KLENIANI DI LONDRA
Il gruppo dei “Kleiniani di Londra contemporanei”, pur continuando a sostenere la tradizionale distinzione
Kleiniana fra posizione schizoparanoide e posizione depressiva, e un oscillare tra angoscia persecutoria ed
angoscia depressiva, QUESTE POSIZIONI NON SONO PIU’ CONSIDERATE COME FASI EVOLUTIVE, ma
rispettivamente come PROTOTIPI DI FOLLIA e PROTOTIPI DI RAPPORTI CON GLI OGGETTI, che devono
essere analizzati nella relazione con l’analista.
L’INDIVIDUO SANO esperisce una NORMALE OSCILLAZIONE tra la posizione schizoparanoide e la posizione
depressiva e, affinché questa oscillazione costante possa esserci nell’età adulta, è necessario che l’individuo
abbia vissuto, esperito, superato nell’età infantile il passaggio dalla prima alla seconda: solo questo
comporta la possibilità poi dell’individuo sano di esperire la vita oscillando tra le posizioni.
BION
Mentre Fonagy e Target collocano Bion con Melanie Klein, Greenberg e Mitchell lo collocano nei relazionali.
In realtà, in Bion, se da un lato esiste una dimensione pulsionale-conflittuale (processo di fantasia che è
quella onnipotenza del bambino), dall’altro, esiste anche una dimensione relazionale (scambio relazionale
tra madre e bambino). Bion rappresenta UN’ECCEZIONE in quanto parte dall’osservazione della patologia
per poi studiare i modelli di normalità (DI SOLITO E’ IL CONTRARIO): egli , dopo la prima guerra mondiale,
osservando le manifestazioni della “nevrosi da guerra” (oggi definito DPTS), deduce i meccanismi di
funzionamento della psiche infantile nel rapporto con la madre e quindi deduce i MODELLI DI SVILUPPO
DELLA NORMALITA’.
Facendo riferimento al concetto di identificazione proiettiva, Bion suggerisce una distinzione tra :
1. IDENTIFICAZIONE PROIETTIVA NORMALE, nella quale sono esternalizzati aspetti meno patologici del sé e
che può sottendere la normale empatia e la comprensione;
2. IDENTIFICAZIONE PROIETTIVA PIU’ PATOLOGICA, nella quale sono esternalizzati aspetti più patologici del
sé ed è collegata all’assenza sia dell’empatia che della comprensione.
Una straordinaria intuizione di Bion è il riconoscimento che l’IDENTIFICAZIONE PROIETTIVA NON E’ UNA
DIFESA O UNA FANTASIA, come ha ritenuto la Klein, bensì un PROCESSO INTERPERSONALE: il sé si libera di
sentimenti penosi evocandoli in un altro sé; l’altra persona deve avere un’esperienza psicologica che il sé
non può permettersi di avere.
Bion, inoltre, ha evidenziato il BISOGNO DI IDENTIFICAZIONE PROIETTIVA NELL’INFANZIA, un periodo in cui
il bambino è incapace di assorbire tutte le proprie esperienze intense. Proiettando gli elementi non
elaborati in un’altra mente umana (la madre che è considerata come un contenitore) che può accettarli e
trasformarli in elementi elaborati e con un significato (assorbe la sua tensione e ne rielabora il significato),
la mente del bambino può farvi fronte: il bambino, in questo modo, può interiorizzare la madre come un
oggetto capace di tollerare l’angoscia originaria.
L’ASSENZA DI UN CONTENITORE ADEGUATO RENDE L’IDENTIFICAZIONE PROIETTIVA UN PROCESSO
PATOGENO DI EVACUAZIONE: il bambino è abbandonato a livelli di angoscia che lo sopraffanno ed si trova
obbligato a negare la realtà che è estremamente brutta, diventando persino psicotico.
Bion ha sottolineato la necessità che la MADRE CONTENGA MENTALMENTE IL BAMBINO e gli risponda
emotivamente e fisicamente in modo da MODULARE I SUOI SENTIMENTI INCONTROLLABILI. Ella rifletterà al
bambino la propria comprensione sia dei suoi sentimenti sia della causa di essi: questo va oltre al concetto
di RISPECCHIAMENTO, dal momento che la madre non solo riflette lo stato emotivo del bambino, ma anche
la propria capacità di occuparsi di lui senza essere sopraffatta e di fargli comprendere che l’affetto da lui
esperito è sotto controllo. ASPETTO CENTRALE DEL CONCETTO BIONIANO DI CONTENIMENTO, e si può
anche pensare che il CONCETTO FREUDIANO della madre come IO AUSILIARIO implichi questi processi di
contenimento.
Per quanto riguarda il TRATTAMENTO, riferendosi allo PSICOTICO, Bion ci dirà che esiste una persona che
può metabolizzare il suo pensiero e restituirglielo rielaborato, ovvero lo PSICOTERAPEUTA. Lo psicotico ha
la possibilità di recuperare parte della sua patologia attraverso un’esperienza correttiva emotiva che si basa
sulle relazioni e in particolare attraverso l’utilizzo della psiche sana dell’altra persona.
Secondo Bion il terapeuta, così come la madre fa con il bambino, accoglie, rielabora e restituisce al
paziente.
BION E WINNICOTT
Il modello di Bion è assolutamente confrontabile con il modello di Winnicott, in quanto hanno una
MATRICE ACCOMUNANTE: in entrambi, infatti, vi è l’idea di questa madre che si sostituisce al bambino
nella rielaborazione del pensiero e nonostante usino due termini differenti, i concetti sono totalmente
sovrapponibili e sono la stessa cosa:
- BION parla di REVERIE MATERA \ FUNZIONE ALFA TRASFORMATRICE;
- WINNICOTT parla di HOLDING.
Gli Indipendenti attribuiscono grande importanza al ruolo degli oggetti reali e quindi ai fattori ambientali:
ritengono che, durante lo sviluppo infantile, le influenze ambientali facilitano o disturbano il percorso del
bambino dall’iniziale dipendenza assoluta alla completa indipendenza.
Non hanno mai abbandonato il metodo di esplorazione dell’inconscio inaugurato da Freud (modello
strutturale), ma, prendendo spunto dalla teoria oggettuale della Klein, l’hanno arricchito ed orientato
diversamente: hanno assegnato alla qualità degli oggetti un peso sostanziale nella costituzione
dell’inconscio della realtà psichica e del pensiero. Si sono orientati verso una TEORIA SE’-OGGETTO.
Obiettivo della loro indagine sono dunque diventate le RELAZIONI ASSIMILATE E NON ASSIMILATE,
piuttosto che i contenuti astorici dell’inconscio o i modi in cui il paziente creerebbe il mondo a partire da
pulsioni innate.
Seguendo questa linea, l’AMBIENTE , secondo gli Indipendenti, non è un fattore che modifica spinte e
fantasie, ma è un FATTORE FONDANTE che le crea, le induce e le attiva oltre che, genericamente, le
influenza. L’ambiente corrisponde alle funzioni genitoriali, in particolare la trasmissione della significatività:
i genitori sono coloro che offrono significati, modelli cognitivi, che trasmettono segnali complessi,
selezionandoli e modificandoli in modo da favorire alcuni livelli dell’esperienza anziché altri.
Diversamente da quanto affermato da Freud, Balint sostiene che viene prima il DESIDERIO DI ESSERE
AMATO (investimento sull’oggetto esterno) poiché esso E’ INNATO: il bambino crede che l’oggetto esista in
quanto parte indifferenziata del Sé destinata ad amarlo.
Si tratta di una MANCATA DIFFERENZIAZIONE DEI PRIMI OGGETTI: il bambino crede che questi oggetti
esterni esistano PER LUI e che non abbiano una propria ragione d’essere. L’Io ha un atteggiamento di
ONNIPOTENZA nei loro confronti ed esercita un controllo su di loro.
Il verificarsi di un GRAVE TRAUMA prima che si sia stabilita la DIFFERENZIAZIONE fra il Sé e l’oggetto genera
un DIFETTO FONDAMENTALE, anche detto DIFETTO DI BASE, nella struttura della psiche del bambino e
questo ha un impatto nello sviluppo della personalità dell’individuo: un grave trauma può essere quello
della DEPRIVAZIONE PRECOCE (che avevamo visto anche con SPITZ).
Quando il bambino è in grado di differenziare gli oggetti, cerca di gestire l’angoscia provocata dal difetto di
base attraverso DUE MECCANISMI DIFENSIVI, DUE TIPOLOGIE CARATTERIALI, DUE TIPI DI
COMPORTAMENTO (che rappresentano i termini attraverso cui egli ha concepito il concetto di
psicopatologia: rappresentano due alterazioni del Sé).
1. OCNOFILIA (DIPENDENTE) – è una parola che deriva dal greco e significa “tirarsi indietro, aggrapparsi,
appoggiarsi”. Il soggetto Ocnofilo tende ad istaurare legami con l’oggetto improntati sulla TOTALE
DIPENDENZA e vive nell’illusione di essere al sicuro solamente quando è in contatto con gli oggetti che gli
danno sicurezza. Questa persona iper-investe in rapporti oggettuali in cui è convinto che l’altra persona
possa proteggerlo, tutelarlo, preservarlo rispetto ai rischi che pensa di poter riscontrare all’interno di un
ambiente in cui gli altri oggetti sono sentiti come ostili e pericolosi.
IL DIPENDENTE HA BISOGNO DI UN OGGETTO CHE POSSA SVUOTARLO.
2. FILOBATISMO (NARCISISTA) – è una parola che deriva dal greco e significa “chi cammina in punta di piedi,
l’acrobata”. Il soggetto Filobate riesce a provare piacere solo nelle SITUAZIONI DI BRIVIDO, egli non ha
limite, non ha regole, non ha paura. Paradossalmente, però, questo soggetto evita ogni contatto con gli
oggetti sentiti come inaffidabili; questo accade quando il filobate sente l’altro come pericoloso perché può
intaccare il suo finto e precario equilibrio che si è creato: il narcisista, se viene intaccata la coesione
dell’immagine del proprio sé, si sgretola, crolla, cade, perché non ha una struttura solida e il sentimento
depressivo può andare nella direzione del suicidio.
Inoltre, il mondo del filobate, è fatto di spazi-amici, ovvero di spazi in cui egli può vivere solo a condizione
che sia evitata ogni relazione e in cui possa avere il completo controllo della situazione per essere vincente.
Questa persona iper-investe le proprie funzioni egoiche contando solo SU SE STESSO: pensa di poter fare
tutto da solo e di non aver bisogno degli altri. Si ritira dalle relazioni sociali e si concentra sul proprio sé.
IL NARCISISTA HA BISOGNO DI UN OGGETTO DA SVUOTARE.
N.B. In realtà il filobate è profondamente dipendente, anzi, è più dipendente del dipendente puro.
FAIRBAIRN
Fairbairn è stato il più esplicito dei teorici delle relazioni oggettuali. Egli ci segnala un capovolgimento
fondamentale: se per i TEORICI PULSIONALI la libido era RICERCA DI PIACERE, per lui la libido è RICERCA
D’OGGETTO (cercare l’altro nella relazione) che consiste nell’entrare in una RECIPROCA RELAZIONALITA’
CON L’ALTRO.
Secondo Fairbairn, solo dopo essere entrati in relazione con un altro oggetto subentra il piacere. Pertanto,
IL PIACERE E’ UN ASPETTO SECONDARIO CHE DERIVA DALLA RELAZIONE CON UN OGGETTO: ecco allora che
il bambino cessa di piangere non quando comincia a poppare (scarica di energia e soddisfacimento della
pulsione) ma quando vede o sente l’odore del seno (aspetti dell’oggetto con cui si relaziona).
Fairbairn ci dice che la ricerca d’oggetto, che permette al bambino di entrare in una relazione con la madre,
va a creare uno scambio tra due parti. Laddove questo scambio non è equilibrato e, di conseguenza,
laddove questa relazione è frustrante, il bambino va a strutturare degli OGGETTI COMPENSATORI
INTERIORIZZATI che gli permettono di avere un’ESPERIENZA ALLUCINATORIA GRATIFICANTE DI
COMPENSAZIONE rispetto all’esperienza reale frustrante. La presenza di oggetti compensatori è indicativa
del FALLIMENTO DELLE RELAZIONI e quindi della PSICOPATOLOGIA: se il bambino crea un’esperienza
allucinatoria gratificante per compensare la relazione non equilibrata e scadente con la madre, egli, in fasi
di sviluppo successive, andrà ad utilizzare lo schema di questa finta relazione (l’oggetto compensatore
interiorizzato) con altre persone, con altri legami, con altre relazioni.
WINNICOTT
Winnicott è un relazionale che si configura storicamente come PRIMO INDIPENDENTE, non aderendo né al
modello di Anna Freud né a quello di Melanie Klein, e proiettandosi verso la PSICOANALISI DEL SE’ E DELLE
RELAZIONI.
Egli rivolge la sua attenzione alla RELAZIONALITA’ VERA E PROPRIA e soprattutto alla DIADE MADRE-
BAMBINO.
Nella sua teoria possiamo individuare 4 concetti fondamentali che non sono svincolati l’uno dall’altro, anzi,
quasi sempre, in ogni esperienza , sono presenti tutti in contemporanea:
1. PASSAGGIO DALL’ILLUSIONE ALLA DISILLUSIONE
ILLUSIONE
Il “mondo” che si presenta la bambino determina la nascita della “zona di illusione”: sono io bambino che
permetto che il mondo si presenti a me.
L’illusione, o il suo sinonimo onnipotenza, è quel momento dell’esperienza dell’individuo (fin dalla nascita)
in cui il neonato si illude di creare ciò che desidera, laddove, “creare ciò che desidera” equivale a dire che
l’infante è onnipotente e può ottenere ciò che vuole: l’onnipotenza è una fase fondamentale per lo
SVILUPPO SANO DEL SE’.
Siccome la madre, nei 3-4 mesi successivi alla nascita del bambino, risponde immediatamente con il seno e
con il latte ogni volta che il bambino ha fame, determina la comparsa della cosiddetta “zona d’illusione”
all’interno della quale il bambino, in maniera onnipotente, si crea l’illusione di creare egli stesso l’oggetto
che desidera e che si configura come OGGETTO SOGGETTIVO ( io bambino desidero il latte e mi illudo di
creare il seno che mi allatta): è quell’oggetto creato dal bambino onnipotente e che risponde
immediatamente alla sua esigenza.
Ma in che modo il bambino crea questo oggetto? Winnicott ci dice che il bambino mette in atto dei GESTI
CREATIVI O IMPULSIVI (es. pianto) in grado di creare e controllare l’oggetto.
In questo processo di soddisfacimento allucinatorio ha un ruolo fondamentale la MADRE; è necessario che
quest’ultima sia SANA e sia soprattutto SUFFICIENTEMENTE BUONA, cioè deve essere totalmente devota al
bambino, deve riconoscere le sue esigenze e deve offrire l’oggetto richiesto, un oggetto che nella mente del
bambino si configurerà come OGGETTO SOGGETTIVO che ha creato lui: in questo contesto si inserisce
perfettamente il concetto di PREOCCUPAZIONE MATERNA PRIMARIA, ossia un ritiro della madre da tutto
ciò che non sia il figlio ed una condizione di elevata sensibilità rispetto ai bisogni del piccolo.
Winnicott dice che le madri, sin dal 7-8 mese della gravidanza, sono contraddistinte da SANA FOLLIA in
quanto creano un rapporto esclusivo e selettivo con il proprio bambino, portando avanti questa modalità di
relazione almeno fino al 3 mese di vita del bambino.
La forza dell’Io del bambino dipende dalla capacità del caregiver di percepire i suoi bisogni e di soddisfarli in
maniera appropriata: deve rispondere alla sua dipendenza inizialmente totale.
Winnicott ritiene che la stabilità e la forza dell’Io del bambino, prima che avvenga la separazione della
madre dal Sé, siano direttamente riconducibili alla funzione riflessiva della madre.
Le persone che restano ferme su questa dimensione di “soddisfacimento allucinatorio”, in realtà, sono
quelle persone che non acquisiscono il contatto con la realtà, che hanno un’alterazione dell’esame di realtà
e che non percepiscono la distanza esistente tra il Sé e gli altri: queste persone sono PSICOTICHE.
LA DISILLUSIONE
Dopo questo periodo di 3-4 mesi dalla nascita del bambino, la madre comincia a riappropriarsi dei propri
spazi e comincia a sentire quelle che sono le proprie esigenze, per cui la sua risposta nei confronti dei
bisogni del bambino non sarà più repentina. Quando la madre comincia nuovamente a riportare
l’attenzione su di sé accade un processo altrettanto “normale” che prende il nome di DISILLUSIONE: il
bambino comincerà a sperimentare la FRUSTRAZIONE DELL’ATTESA, comincerà a sperimentare il
FALLIMENTO DELLA CREAZIONE, comincerà ad accorgersi che non è lui che crea il latte quando lo desidera
ma che è la mamma che glielo da e questa cosa fa acquisire al bambino la consapevolezza sulla distanza
esistente tra lui e la mamma.
DIPENDENZA
Di pari passo all’esperienza che va dall’illusione alla disillusione, c’è il concetto di DIPENDENZA:
1. DALL’ILLUSIONE E DALLA DIPENDENZA ASSOLUTA TOTALE – il bambino nella fase dell’illusione è
onnipotente e vive un’esperienza nella dipendenza assoluta dalla madre;
2. ALLA DISILLUSIONE E ALLE “INDIPENDENZE” – quando il bambino, nella fase della disillusione, comincia a
vivere l’esperienza della frustrazione, molto lentamente passerà per una dimensione che chiamiamo di
PASSAGGIO TRANSIZIONALE e quindi da una INDIPENDENZA RELATIVA ad una INDIPENDENZA ASSOLUTA.
Il bambino, in altre parole, acquisirà la capacità di essere indipendente anche in un rapporto relazionale,
cioè “di essere solo anche in presenza di qualcun altro” e di costruire il VERO SE’ in questa esperienza: a
seguito di questa primissima esperienza, saranno condizionate tutte le esperienze successive.
In questa accezione, quindi, per Winnicott la SANITA’ è l’ADEGUATA COSTRUZIONE DEL NUCLEO DI VERO
SE’ che comporta la capacità di essere soli anche in presenza di qualcun altro:
“ la separazione, che non è una separazione, ma una forma di unione”.
2. L’OGGETTO TRANSAZIONALE
L’oggetto transazionale si colloca tra il periodo dell’onnipotenza allucinatoria del bambino (mondo
interno), quindi della dipendenza assoluta, e il periodo in cui avviene il riconoscimento della realtà obiettiva
(mondo esterno), quindi dell’indipendenza assoluta. La relazione privilegiata con l’oggetto transazionale
(es. peluche), si ha precisamente nel periodo dell’indipendenza relativa (dal 3-6 mese di vita fino alla
scolarizzazione). Il periodo dell’INDIPENDENZA RELATIVA è quello in cui il bambino, a seguito delle prime
frustrazioni, inizia a sperimentare l’esistenza della “distanza fisica” tra lui e la mamma.
DIPENDENZA ASSOLUTA
INDIPENDENZA RELATIVA: qui si colloca l’oggetto transazionale
INDIPENDENZA ASSOLUTA
In questa fase evolutiva, situata tra la dipendenza assoluta e l’indipendenza assoluta, avviene lo
spostamento dall’OGGETTO SOGGETTIVO all’OGGETTO TRANSAZIONALE:
-OGGETTO SOGGETTIVO: nel periodo della dipendenza assoluta, l’oggetto soggettivo è dotato di un
significato che viene dato dal bambino in maniera onnipotente e soprattutto non c’è
separazione\differenziazione tra questo oggetto e il bambino (Oggetto-Sé);
-OGGETTO TRANSAZIONALE: nel periodo dell’indipendenza relativa , la distanza fisica tra il bambino e la
mamma viene colmata con l’oggetto transazionale che si configura come un oggetto fisico, concreto e
oggettivo (distaccato dal proprio sé: un orsacchiotto, una copertina, un ciucciotto, ecc.) che appartiene al
mondo reale\esterno ed è investito emotivamente di un significato simbolico soggettivo: questo oggetto
rappresenta il PROLUNGAMENTO MATERNO.
Questo oggetto diventa l’oggetto preferito del bambino perché rappresenta simbolicamente un SOSTITUTO
che compensa l’assenza fisica della madre: è la continuità della madre anche quando essa non c’è.
La mamma deve far vivere al bambino un’esperienza significativa con l’oggetto transazionale in modo tale
che egli possa spostare simbolicamente la madre in questo oggetto e che possa usare l’oggetto quando lei è
fisicamente assente: solo così il bambino acquisirà la COSTANZA OGGETTUALE (se io vado a scuola so che
mamma torna a riprendermi) e riuscirà a colmare la distanza tra il Sé e il non Sé (la madre).
Una mamma che, invece, non permette al bambino l’utilizzo dell’oggetto transazionale crea un bambino
patologicamente “folle”.
IL VERO SE’
Hartmann, nel tentativo di differenziare il “sé” dall’ ”io”, aveva definito il SE’ come un “contenitore al cui
interno possiamo trovare una serie di altri aspetti” e l’IO come “una struttura che è contenuta nel sé” e
quindi nel contenitore.
Per Winnicott il sé, quindi questo contenitore, rappresenta l’UNICITA’ DELLA PERSONA ed è una
DIMENSIONE CHE SI STRUTTURA NEL TEMPO: le parti del sé inizialmente immature e disgregate, maturano
e si aggregano durante tutto il corso dello sviluppo dall’interno all’esterno, attraverso il contatto con
l’ambiente e attraverso la percezione di differenziazione tra il Sé e il non-Sé (il bambino è distinto dagli
altri). Ciò significa che una RELAZIONE MADRE-BAMBINO OTTIMALE permette alle parti che sono
inizialmente disgregate di aggregarsi fino al punto che il bambino, interiorizzando le esperienze della
relazione con la madre, costruisce un NUCLEO CENTRALE che prende il nome di VERO SE’ e che costituisce
la SANITA’ MENTALE DELL’INDIVIDUO.
ESEMPIO: il bambino ha un’esigenza interna alla quale non sa attribuire un’etichetta (fame) e la fa
emergere all’esterno, nello SPAZIO RELAZIONALE, attraverso un gesto\segnale (pianto). La madre
riconosce l’esigenza del bambino e gli attribuisce significato dandogli l’oggetto soggettivo (il latte). In
seguito il bambino impara a riconoscere che quel malessere che provava, in realtà, ha un nome (fame) e
che ne consegue un’azione (allattamento), per cui interiorizza tale esperienza nel nucleo centrale che è
quello del vero sé.
Pertanto, il VERO SE’ è la parte rispondente al bisogno reale del bambino e al gesto spontaneo della madre
(quel gesto che viene dotato di significato dalla madre).
IL FALSO SE’
Per Winnicott non esistono più le pulsioni, la libido, il conflitto intrapsichico, ma esiste una nuova forma
psicopatologica che prende il nome di FALSO SE’ e che rappresenta una perdita di contatto con i propri
bisogni e con le cose reali.
Il FALSO SE’ si struttura sulla COMPIACENZA: quando, nella fase di totale dipendenza, si verifica un trauma,
il Sé può sviluppare una difesa sotto forma di un SE’ GUARDIANO. Se la madre non riesce a comprendere il
bambino attraverso i suoi gesti creativi e non risponde nel modo giusto alle sue esigenze (pessimo rapporto
diadico), egli sarà obbligato all’accondiscendenza, estranea al suo vero sé. In altre parole, il bambino, pur di
dare continuità al proprio sé, diventa compiacente rispetto a ciò che gli viene offerto, laddove, quello che
gli viene offerto non corrisponde a ciò che realmente vuole (la madre offre qualcosa che non soddisfa la
reale esigenza). Il bambino in questo modo ha solo l’illusione di un’esistenza personale: se i gesti della
madre non forniscono un significato alle reazioni del figlio, non si può affermare che tra i due si sia
sviluppata una comunicazione simbolica in grado di far crescere il bambino. Il neonato finge di avere
relazioni interpersonali, ma si tratta di incontri con un falso sé il quale serve a nascondere il vero sé e quelle
che sono le vere esigenze personali.
Nell’atto di nascondere il vero Sé, in realtà, il falso sé lo protegge: quest’ultimo è LA MASCHERA che
permette al bambino di rapportarsi con gli altri e di non soffrire per l’insoddisfazione delle sue reali
esigenze.
Alla base della struttura del falso sé c’è l’IMMAGINE CHE LA MADRE HA DEL BAMBINO: se la mamma vede il
suo bambino come un “bambino malato”, il bambino in maniera accondiscendente estremizza questa
percezione materna e diventa effettivamente un individuo malato.
La presenza del falso sé patologico comporta:
1. Che esso nasconda il vero sé, pur comportandosi come se fosse un vero sé: è un vero sé vuoto;
2. L’anticipazione delle relazioni ambientali - nel senso che se il bambino si aspetta di essere vissuto
dall’altro in un determinato modo (mamma mi vede come un bambino malato), allora agirà sempre nello
stesso modo con tutti non cambiando mai il suo schema comportamentale (mi comporto in modo
accondiscendente come un bambino malato), o quanto meno, va alla ricerca di relazioni che diano
continuità a questa esperienza di accondiscendenza .
ESEMPIO: il bambino sarà aggressivo con tutti perché si aspetta che tutti gli altri l’attacchino;
3. La separazione tra gli aspetti cognitivi e gli aspetti emotivi – crea una scissione tra queste due dimensioni
(meccanismo di difesa più comune neu disturbi di personalità).
Nel modello di Kohut, nella relazione gli ALTRI prendono il nome di OGGETTI-SE’ (selfobject). Gli Oggetti-Sé,
inizialmente, sono rappresentati dalle figure genitoriali (è il primo autore che ci parla esplicitamente della
MADRE e del PADRE) che per il bambino non sono ancora differenziate dal sé e che vengono percepite
come fonte di gratificazione narcisistica: un oggetto-sé è una persona dell’ambiente che svolge per il Sé del
bambino particolari funzioni e queste funzioni permettono di vivere l’esperienza dell’individualità.
Tale RELAZIONE DI GRATIFICAZIONE NARCISISTICA del bambino con gli oggetti-sé è assolutamente SANA e
FUNZIONALE ALLO SVILUPPO. Le funzioni svolte dagli oggetti-sé affinché la relazione sia effettivamente
sana sono due:
1. ESPERIENZA SE’ GRANDIOSO (veicolata dalla madre) – la madre fa sperimentare al bambino
l’ONNIPOTENZA e la GRANDIOSITA’ del proprio sé. Tale esperienza infantile, nel corso dello sviluppo sano,
darà vita a relazioni sane in cui il soggetto avrà IMMAGINI GRANDIOSE DEL SE’ che vengono legate agli
OGGETTI-SE’-RIFLETTENTI: mamma mi fa sentire grandioso, io sono sicuro di essere grandioso, tu ammiri la
mia grandiosità.
2. IMAGO PARENTALE IDEALIZZATA (veicolata dal padre) – il bambino idealizza il padre e acquisisce una
personalità con valori e ideali sani e ben saldi. Tale esperienza infantile, nel corso dello sviluppo sano, darà
vita a relazioni sane in cui il soggetto avrà IMMAGINI ATTENUATE DEL SE’ che vengono legate agli OGGETTI-
SE’-IDEALIZZATI: papà è il mio ideale, io voglio fondermi con lui, io sono parte di lui.
Quindi, modello di sviluppo di Kohut, affinché l’individuo possa essere un individuo sano, è assolutamente
fondamentale che il bambino viva l’ESPERIENZA DEL NARCISISMO PRIMARIO veicolata sia dalla relazione
con la madre e sia dalla relazione con il padre.
Tuttavia, uno sviluppo effettivamente sano della personalità dell’individuo, si ha quando il bambino inizia a
percepire una FRUSTRAZIONE OTTIMALE (momento in cui abbandona il narcisismo primario). La
frustrazione è dovuta ad un “fallimento non patologico” da parte dell’Oggetto-Sé nel rispondere
immediatamente alle necessità del Sé non ancora coeso ed integrato. Mediante le frustrazioni ottimali, gli
Oggetti-sé perdono il loro investimento narcisistico (Sé grandioso e Imago parentale idealizzato) che,
attraverso il processo di INTERIORIZZAZIONE TRASMUTANTE messo in atto dal bambino, viene introiettato
e utilizzato nella costruzione delle strutture psichiche del Sé: autostima, fiducia in se stesso, ideali,
aspirazioni, obiettivi idealizzati, Super-io; tutti elementi che costituiscono il SE’ NUCLEARE!
Il Sé nucleare è per sua natura BIPOLARE, ossia è formato dal POLO DELLE AMBIZIONI DI POTERE\SUCCESSO
e dal POLO DEGLI SCOPI IDEALIZZATI\VALORI.
N.B. L’autore, inoltre, non delinea chiaramente le scansioni temporali del suo modello evolutivo,
nonostante sostenga che la grandiosità si muta in ambizione fra il secondo e il quarto anno di vita e gli
obiettivi idealizzati fanno la loro comparsa dal quarto al sesto anno di vita La sua tabella di sviluppo in
questo è più vicina a quella della Mahler che a quella di Winnicott.
Kohut, basa tutto il suo modello sulle RISPOSTE EMPATICHE DEGLI OGGETTI-SE’ (i genitori). Attraverso il
processo empatico, la madre e il padre permettono al bambino di rendere solida una struttura del sé che è
rudimentale: se gli Oggetti-Sé non enfatizzano in maniera empatica l’esigenza del bambino di essere
onnipotente e di idealizzare l’altro, in realtà, il bambino NON SI SVILUPPERA’ IN MANIERA SANA.
Secondo la teorizzazione di Kohut, la FORMAZIONE DEL SE’ ha un inizio PREPSICOLOGICO, semplicemente
perché il cargiver empatico tratta il bambino come se fosse un Sé (SE’ VIRTUALE: l’immagine del bambino
che è già presente nella mente dei genitori). La funzione psicologica di sostentamento esercitata
dall’oggetto è il riconoscimento, grazie all’empatia, del SE’ IN STATU NASCENDI: la madre che si rapporta al
figlio come se questi avesse un Sé, permette l’avvio del processo di formazione del Sé stesso!
SECONDO KOHUT LA CONQUISTA EVOLUTIVA PIU’ IMPORTANTE PER OGNI INDIVIDUO E’ IL
CONSEGUIMENTO DI SE’ COESO: la ricerca di una coesione del Sé è la motivazione primaria del
comportamento umano e nasce dall’inevitabile incrinarsi della grandiosità e dei bisogni esibizionistici.
Kohut ha tentato di ridefinire in termini di coesione del Sé un certo numero di concetti della teoria
psicoanalitica strutturale:
1. ANGOSCIA – ha distinto fra l’angoscia relativa a situazioni pericolose e l’angoscia dovuta alla paura di
disintegrazione, di mancanza di coesione, di mancanza di continuità del Sé;
2. COMPLESSO EDIPICO – egli ha interpretato il complesso edipico come la reazione del bambino al fatto
che il genitore non riesca a godere e a partecipare, con empatia, alla crescita del figlio o se le loro risposte
sono eccessivamente frustranti o stimolanti. Pertanto, i conflitti edipici sono il risultato di un Sé vulnerabile
e difettoso. Negli utili scritti, infatti, Kohut ha cominciato a concepire il complesso edipico come una
costellazione altamente patologica, sostanzialmente, come il tentativo di difendersi dall’angoscia di
disintegrazione attraverso l’isolamento delle pulsioni: nel bambino Kohuttiano l’angoscia di castrazione è il
sintomo di un Sé spaventato, non l’origine di tutti i problemi; la paura di perdere il pene lo difende dalla
paura ancor più terribile di perdere l’integrità del Sé.
PSICOPATOLOGIA
Quando la madre e il padre non permettono al bambino di sperimentare il narcisismo, danno il via alla
strutturazione della patologia che si configura come “PERSONALITA’ NARCISISTICA”: quando vi è una
carenza nelle prime esperienze del bambino legata alla relazione con gli oggetti-sé, i quali non hanno
saputo GRATIFICARE L’ONNIPOTENZA e L’IDEALIZZAZIONE del bambino, quest’ultimo compenserà
l’esperienza negativa andando a strutturare una forma patologica di “personalità narcisistica” che prevede
un ripiegamento ed un iper-investimento libidico sul proprio sé e un’impossibilità di investire la libido sugli
oggetti del mondo esterno con conseguente compromissione dell’esame di realtà.
Questa forma patologica corrisponde esattamente alla forma patologica teorizzata da Freud, ovvero il
NARCISISMO SECONDARIO, secondo cui la libido disinveste l’oggetto e reinveste l’Io: questo processo era
stato illustrato da Abraham, il quale sosteneva che il “delirio di grandezza” è la riconversione sull’io della
libido ritirata dagli oggetti, e ciò determina la sopravvalutazione del sé.
Precisamente, viene chiamata con il termine “narcisismo secondario” la situazione che designa alcuni stati
di GRAVE REGRESSIONE AL NARCISISMO PRIMARIO (investimento sul sé) come la psicosi e l’ipocondria:
questi stati presuppongono il reinvestimento della libido oggettuale sul sé, una volta ritirata dagli oggetti, e
l’attuarsi di una condizione che Freud chiama RITIRO NARCISISTICO in cui si riattivano alcune caratteristiche
narcisistiche infantili, quali l’ONNIPOTENZA DEI PENSIERI e l’EGOCENTRISMO.
Pertanto, l’individuo narcisista (che ritroviamo anche nel filobate di Balint) resta chiuso nel proprio
involucro senza entrare realmente in contatto con l’altro.
Kohut e Wolf hanno descritto 4 tipi di patologia del Sé, considerando sempre che, la patologia a carico del
Sé in generale, è parte integrante di tutte le forme di disturbo:
1. SE’ IPOSTIMOLATO - durante lo sviluppo, riceve risposte inadeguate dall’Oggetto-Sé , è assalito dalla noia
e dall’apatia e cerca l’eccitazione attraverso situazioni patologiche (es. promiscuità, dipendenze,
perversione);
2. SE’ FRAMMENTATO – durante lo sviluppo, la mancanza di risposte da parte dell’Oggetto-Sé può dare
origine ad un Sé frammentato, che ha scarso contatto con lo spazio, con il tempo e con la realtà in generale;
3. SE’ IPERSTIMOLATO – l’assoluta mancanza di empatia o risposte dell’Oggetto-Sé inadeguate portano alla
formazione di questo Sé, che non riceve alcuna gioia dal successo a causa delle fantasie di grandezza che
danneggiano il rendimento;
4. SE’ ANGOSCIATO – l’incapacità degli Oggetti-Sé infantili di permettere l’integrazione inibisce
l’interiorizzazione trasmutante e questo produce la sensazione di essere sovraccaricati dall’angoscia e da
percezioni degli altri negative e paranoidi.
Kohut comunque concepisce la personalità narcisistica come una forma di arresto evolutivo: il fallimento
parentale provoca un arresto nel passaggio dal Sé grandioso\esibizionistico ad un’ambizione realistica, e
dall’idealizzazione dell’imago parentale all’ideale dell’Io: non c’è l’interiorizzazione trasmutante che porta
allo sviluppo del Sé (il vero Sé Winnicottiano) e l’individuo avrà accesso solo ad un senso di Sé
frammentato. Dalla ferita narcisistica si originano meccanismi come la scissione e la rimozione, PER
PROTEGGERE IL SE’, e le fantasie estreme di grandiosità, PER MASCHERARNE LA VULNERABILITA’.
INVECE CHE DIMINUIRE GRADUALMENTE, COME ACCADE NEL NORMALE PROCESSO EVOLUTIVO, IL
NARCISISMO INFANTILE SI INCREMENTA!
A seconda che prevalga la scissione o la rimozione, l’incremento del narcisismo ha due possibili esiti:
1. LA RIMOZIONE DEL SE’ GRANDIOSO porta ad un impoverimento generale contrassegnato da bassa
autostima, una vaga depressione e mancanza di iniziativa;
2. LA SCISSIONE DEL SE’ GRANDIOSO porta a vanagloria, orgoglio, arroganza, atteggiamenti altezzosi, scarso
contatto con la realtà, mancata autostima.
Quindi, che la GRANDIOSITA’ VENGA SCISSA O RIMOSSA, L’AUTOSTIMA SARA’ SEMPRE SCARSA (a causa
dell’esaurimento della libido che è stata investita narcisisticamente): la sensibilità alle critiche, la rabbia
difensiva, una profonda vergogna, la propensione all’insicurezza, l’ipocondria, sono eccessivi, laddove, ogni
limitazione viene vissuta come potenziale disvelamento dell’enorme inadeguatezza del Sé.
Inoltre, l’individuo continuerà ad avvertire il bisogno di rispecchiarsi in qualcun altro che supporti la fragilità
del Sé nucleare.
ALTRI DISTURBI
NEVROSI STRUTTURALE
Kohut, a differenza di molti psicologi del Sé che sono venuti dopo, non ha respinto il concetto di NEVROSI
STRUTTURALE. Sia il narcisismo patologico sia la nevrosi possono essere considerati come il risultato di una
funzione deficitaria dell’Oggetto-Sé e dei conseguenti difetti del Sé. La differenza fondamentale sta nello
stadio evolutivo in cui si verifica l’anomalia:
- se la funzione dell’Oggetto-Sé è difettosa nella primissima infanzia, il Sé nucleare risulta a sua volta
indebolito e disarmonico e l’esito è quello di un narcisismo patologico;
- anche nella nevrosi strutturale possiamo trovarci di fronte ad un Sé nucleare indebolito e disarmonico, ma
questo è il risultato del mancato rispecchiamento operato dagli Oggetti-Sé nella fase edipica.
Per esempio, la paziente che soffre di AGORAFOBIA non riesce a lasciare la propria casa senza che vi sia una
figura materna a calmarla; il sintomo nevrotico può essere interpretato come il tentativo di nascondersi o
proteggersi dall’angoscia di disintegrazione.
COMPORTAMENTO ANTISOCIALE
Una ferita arrecata al Sé può condurre a bassa autostima tipica dei disturbi narcisistici e il paziente cerca di
colmare questa mancanza con azioni patologiche. Alcune azioni messe in atto dall’individuo affinché la
debolezza del Sé non venga mai sperimentata sono:
-COMPORTAMENTO DELINQUENZIALE\VIOLENZA, nasce dall’esigenza di danneggiare la persona che ha
causato la ferita narcisistica.
-LE DIPENDENZE PATOLOGICHE come la TOSSICODIPENDENZA e i DISTURBI ALIMENTARI, rispettivamente,
la droga serve a colmare e il vuoto che l’assenza dell’oggetto ha lasciato nel Sé e il mangiare troppo è un
tentativo di sperimentare un sentimento di completezza senza dover contare su un contesto umano
fallimentare o inaffidabile;
-LE PERVERSIONI, sono collegate a prolungati fallimenti empatici nell’ambiente dell’Oggetto-Sé.
Esibizionismo, voyeurismo, feticismo, sono tutte conseguenze del crollo dell’autoaffermazione o di una
sana ammirazione.
Questi sono tutti casi patologici basati su un incompleto sviluppo del Sé: un aspetto del comportamento
umano che Kohut definisce UOMO TRAGICO.
BORDERLINE
Kohut ha proposto un modello TRAUMA-ARRESTO che ha molte componenti rilevanti per la patologia
borderline. Nonostante egli abbia dichiarato di non avere esperienza con questi pazienti e li abbia messi
assieme agli psicotici, alcuni nordamericani hanno sviluppato le sue teorie in rapporto alla patologia
borderline.
Ad esempio, ADLER si riferisce alla patologia del Sé dei pazienti borderline nei termini di una
disconnessione del pensiero, di vissuti di perdita di integrità di parti del corpo, della sensazione di non
avere più il controllo funzionale del Sé, della paura di disintegrazione, della sensazione di irrealtà, di
torpore, di esaurimento e di vuoto. Egli, inoltre, ci dice che quando la prospettiva di una separazione o
pone a repentaglio le intense relazioni del paziente borderline, il soggetto sperimenta una condizione di
“PANICO ANNICHILENTE”, che a sua volta scatena un’enorme rabbia, isolamento, perdita di contatto con gli
altri, a difesa del Sé.
Questa teoria, come tutti i modelli evolutivi della psicopatologia che si rifanno a Kohut, è essenzialmente
una teoria della carenza: la carenza delle indispensabili esperienze facilitanti che conduce ad un deficit
psichico primario e a un senso del Sé non sviluppato a sufficienza.
IL PAZIENTE E IL TERAPEUTA
Per Kohut, il paziente con personalità narcisistica è quell’individuo che, nella primissima infanzia, ha
sofferto la mancanza di empatia e ha subito un mancato riconoscimento di aspetti indispensabili per la
strutturazione di un Sé coeso (onnipotenza e idealizzazione), e ha per questi motivi sviluppato un SE’ IPER-
NARCISISTICO.
Tale alterazione relazionale, però, con un buon percorso di psicoterapia può risolversi: il terapeuta di Kohut
è empatico e, attraverso delle forme di transfert, permette al paziente il recupero delle relazioni oggetto-sè
fallite. L’analista funziona in modo simile a quello in cui avrebbero dovuto funzionare gli Oggetti-Sé
parentali, e la misura in cui egli riesce ad espletare questo difficile compito determina il successo del
trattamento.
Kohut ha considerato la PSICOANALISI CLINICA come uno strumento per aiutare il Sé bloccato a completare
il proprio sviluppo. Questo processo richiede:
1. La mobilitazione terapeutica del Sé bloccato;
2. L’uso dell’analista come Oggetto-sé;
3. L’interiorizzazione trasmutante di questo nuovo oggetto-Sé in una nuova struttura psicologica: il venir
meno gradualmente dell’empatia nelle sedute può essere di aiuto perché permette l’interiorizzazione
trasmutante del nuovo Oggetto-Sé. NON CI SI AVVALE DELL’INTERPRETAZIONE PER RENDERE CONSCIO
L’INCOSCIO, COME NEL CASO DEGLI PSICOLOGI STRUTTURALI O DEGLI PSICOLOGI DELL’IO, MA PER
FORNIRE LA FRUSTRAZIONE OTTIMALE NECESSARIA AL RIPRISTINO DELL’INTERIORIZZAZIONE
TRASMUTANTE.
L’atteggiamento analitico non è quello di stringere un’alleanza con la parte sana della personalità del
paziente contro le parti autodistruttive che si oppongono al processo di cambiamento; l’analista, piuttosto,
mira ad essere empatico nei confronti del paziente, in modo che la posizione difensiva di quest’ultimo non
sia più necessaria.
Probabilmente Kohut è più vicino a Winnicott quando sostiene che gli analisti devono “farsi usare” a
seconda dei bisogni evolutivi che il paziente presenta in quel momento: L’ANALISI E’ IL COMPLETAMENTO
DEL SE’ NON L’INDAGINE DELL’INCONSCIO.
Lo spostamento è dall’insight e dall’interpretazione verso gli aspetti relazioni esperenziali; il ruolo
dell’analista è quello di espletare le funzioni di Oggetto-Sé, non di fornire un insight.
Il modello di Kernberg del primo sviluppo si basa sulle ricostruzioni operate a partire dal trattamento di
adulti gravemente disturbati. Egli propone una teoria evolutiva a 5 stadi:
1. Nel primo stadio (prime settimane di vita) il bambino non possiede delle vere e proprie pulsioni
organizzate, piuttosto, egli possiede degli STATI AFFETTIVI che possono essere di natura piacevole o
spiacevole e che rappresentano il sistema motivazionale primario. Nel corso del tempo queste correnti
affettive formano le pulsioni, laddove, per Kernberg la pulsione nasce dalla relazione del bambino con le
figure significative:
-PULSIONE LIBIDICA nasce da un’interazione gratificante con gli altri;
-PULSIONE AGGRESSIVA nasce da un’interazione non gratificante con gli altri;
Tuttavia, in questa fase, il bambino non riesce a distinguere il sé dall’oggetto, per cui, non percepisce la
madre come persona separata, ma si sente fuso ad essa: le rappresentazioni Sé-oggetto sono indistinte;
2. Nel secondo stadio (6 mesi) la fusione lascia il posto alla differenziazione del sé del bambino
dall’immagine della madre che fornisce le cure. Il bambino in questa fase utilizza come meccanismo di
difesa la SCISSIONE: avviene la differenziazione della “rappresentazione del sé” e della “rappresentazione
dell’oggetto” percepite come buone o cattive in base alle esperienze piacevoli o spiacevoli che sono state
vissute: se il bambino fallisce in questa differenziazione rischia, in futuro, di incorrere in stati psicotici;
3. Nel terzo stadio (12-36 mesi), con il superamento della scissione, il bambino inizia ad integrare le
rappresentazioni polarizzate buone e cattive, formando così “rappresentazioni dell’oggetto totale” e
“rappresentazioni del sé totale” e ciò fa sì che le pulsioni libidiche e aggressive si fondano per dar luogo ad
AFFETTI PIU’ TEMPERATI: le immagini del Sé e le immagini dell’oggetto cominciano a differenziarsi sempre
di più. Combinazioni di una rappresentazione del Sé, di una rappresentazione dell’oggetto e dello stato
affettivo che collega l’una all’altra, sono le unità fondamentali della struttura psichica.
Il passaggio dalla SCISSIONE all’INTEGRAZIONE del Sé e dell’oggetto consente di sostituire la RIMOZIONE
alla SCISSIONE come principale meccanismo di difesa: se la rimozione prende il posto della scissione,
l’individuo non corre il rischio di ammalarsi di una grave patologia del carattere L’origine della grave
patologia del carattere non va rintracciata nel mancato raggiungimento dell’integrazione dell’Io
(integrazione di parti buone e cattive delle rappresentazioni del Sé e dell’oggetto);
4. Nel quarto stadio (periodo edipico) Kernberg, pur adottando il punto di vista freudiano del conflitto
pulsionale, cambia concezione riguardo al concetto stesso di pulsione, spostando l’attenzione dal corpo
all’interazione:
-Per FREUD la pulsione è il “rappresentante psichico di forze organiche” ed è costituito da una spinta (la
carica energica che spinge l’organismo verso una meta), una meta (la meta in questione verso cui spinge la
carica è il soddisfacimento), una fonte (lo stimolo, che trova poi una rappresentazione nello psichismo
come desiderio, prende origine da una zona erogena), un oggetto (il mezzo attraverso cui lo stimolo
raggiunge il suo soddisfacimento). Allora la pulsione ha la sua fonte in una zona somatica, che viene
avvertita a livello psichico come un desiderio\bisogno, il quale deve essere soddisfatto arrivando ad una
meta attraverso un oggetto: la pulsione non è solo eccitamento somatico, ma è la traduzione psichica di
questo eccitamento;
-Per KERNBERG sono gli affetti ad organizzarsi in pulsioni libidiche ed aggressive per mezzo delle interazioni
con un oggetto umano (vedi primo stadio). Per dirla in un altro modo, Kernberg tratta le pulsioni come
costrutti ipotetici che si manifestano nelle rappresentazioni mentali e negli affetti: si tratta di
rappresentazioni del Sé e rappresentazioni dell’oggetto legate da qualche stato affettivo.
L’oggetto non è semplicemente un veicolo per il soddisfacimento pulsionale, e le strutture psichiche (Es, Io,
Super-Io) sono interiorizzazioni delle rappresentazioni oggettuali e delle relazioni con l’oggetto-sé, che
hanno luogo sotto l’influenza di vari stati emotivi: le caratteristiche dell’interiorizzazione dipendono dagli
affetti che agiscono in quel momento.
In questo stadio le immagini del Sé vengono investite di energia libidica e aggressiva ritrovandosi insieme in
un SISTEMA COERENTE DEL SE’ ed è solo in questo momento che il MODELLO TRIPARTITO prende corpo: in
questa fase viene strutturata l’identità dell’Io e le immagini del Sé e le immagini dell’oggetto vengono
integrate per pervenire ad una RAPPRESENTAZIONE IDEALE DEL SE’ ed una RAPPRESENTAZIONE IDEALE
DELL’OGGETTO. L’integrazione di queste strutture ideali permette la formazione del Super-io;
5. Nel quinto stadio viene raggiunta l’integrazione di Io e Super-Io: con la graduale incorporazione del
Super-Io all’interno della personalità si forma l’identità dell’Io. Interazioni efficaci con gli altri aiutano a
consolidare questo processo e le relazioni oggettuali interiorizzate spianeranno la strada alle interazioni con
il mondo sociale, che, secondo Kernberg, favoriscono ulteriormente il consolidamento di queste
rappresentazioni.
La STRUTTURA PSICOLOGICA implicita in questo modello evolutivo ha un certo numero di aspetti
fondamentali:
1. Il bambino nasce con disposizioni affettive che inizialmente si raggruppano in due classi: il piacere e il
dispiacere. Lo sviluppo cognitivo, poi, produce stati affettivi sempre più complessi;
2. L’affetto è sempre radicato in una relazione fra immagini del Sé e immagini dell’oggetto: è l’ambiente ad
innescare l’affetto;
3. Le “unità” di relazioni oggettuali, composte dalla triade Sé-oggetto-affetto, vengono immagazzinate in
una MEMORIA AFETTIVA e si trasformano in pulsioni nella diade madre-figlio. Sviluppandosi, il piacere si
trasforma in libido e il dispiacere si trasforma in aggressività;
4. Nel modello della mente di Kernberg, le pulsioni non sono alla “ricerca dell’oggetto”, come per Fairbairn,
ma mantengono il loro status originario di motore primo e il loro posto non viene preso dalle relazioni
oggettuali: le relazioni creano le pulsioni, non sono le pulsioni a cercare le relazioni;
5. Lo sviluppo consiste nell’interiorizzazione di unità di relazioni oggettuali e nella creazione di difese contro
di esse. Le unità di relazioni oggettuali determinano la struttura dell’Io che, a sua volta, determina
l’organizzazione delle pulsioni. I processi di interiorizzazione sono 3:
-INTROIEZIONE, si colloca alla base del processo di interiorizzazione. Essa comporta nella primissima
infanzia (primi stadi di interazione) l’assimilazione nella psiche delle interazioni con l’ambiente: vengono
riprodotte nella mente immagini indifferenziate\indistinguibili del Sé\oggetto e lo stato affettivo
sottostante.
-IDENTIFICAZIONE, è il secondo processo di interiorizzazione. Presume la capacità cognitiva del bambino di
riconoscere la varietà dei ruoli che di manifestano nelle interazioni con gli altri: differenzia le immagini del
Sé dalle immagini dell’altro. L’identificazione, fortemente influenzata dall’affettività, consiste nella capacità
del Sé di modellarsi sull’oggetto, ad esempio, imita la madre percepita come buona e gratificante ( le
esperienze del bambino di gratificazione\frustrazione hanno ripercussioni sugli stati affettivi e determinano
la misura in cui la rappresentazione del Sé sarà flessibile, autentica, complessa, vera.
-IDENTITA’ DELL’IO, è l’ultimo processo di interiorizzazione. E’ un termine preso a prestito da Erikson per
indicare “l’organizzazione complessiva delle identificazioni e introiezioni sotto il principio guida della
funzione sintetica dell’Io”.
6. L’inconscio, la parte rimossa della mente, è costituito è costituito da unità di relazioni oggettuali dalle
quali il bambino tenta di proteggersi utilizzando difese più o meno mature.
PATOLOGIA
Kernberg si differenzia dagli altri teorici delle relazioni oggettuali come la Klein, Fairbairn o la Mahler,
poiché indirizza l’attenzione non tanto al periodo che ha visto la nascita dei principali sintomi patogeni e
dell’organizzazione della personalità patogena, quanto alla comprensione dello stato attuale del
funzionamento del pensiero del paziente: egli sostiene che sia lo sviluppo successivo a fondare una
corrispondenza biunivoca tra la condizione attuale e i rischi del passato.
Egli inoltre, a differenza dei suoi contemporanei, distingue 3 gruppi di STRUTTURE PATOLOGICHE (per
struttura si intende un grosso settore all’interno del quale l’individuo può mettere in atto manifestazioni
diverse) accessibili ad uno specifico trattamento psicologico (per i contemporanei il trattamento non è
guidato dalla classificazione degli individui in gruppi di disturbi psichici): secondo Kernberg, ad esempio, un
tipo di trattamento può giovare a chi soffre di disturbi nevrotici ma non a chi soffre di disturbi psicotici.
Kernberg considera le dinamiche sottese alle configurazioni delle 3 strutture come un continuum lungo il
quale si vanno manifestando una serie di aspetti che nella loro modulazione, quindi attraverso
cambiamenti qualitativi e quantitativi, fanno la differenza tra un INDIVIDUO SANO ed un INDIVIDUO
PATOLOGICO.
Sulla base dell’ipotesi centrale del continuum tra le 3 STRUTTURE PATOLOGICHE, Kernberg individua, per
differenziarle le une dalle altre, 3 CRITERI DISTINTIVI DI BASE:
1. Funzionamento dell’esame di realtà;
2. Presenza di un’identità diffusa che riflette una mancata integrazione fra le rappresentazioni
affettive\cognitive del Sé e dell’Oggetto;
3. Utilizzo prevalente di difese primitive (scissione, identificazione proiettiva, negazione, onnipotenza, ecc.)
o difese avanzate (rimozione, proiezione, spostamento, razionalizzazione, formazione reattiva, ecc.).
Le 3 strutture di personalità patologica sono:
1. STRUTTURA NEVROTICA
-immagini positive e negative del Sé e immagini positive e negative degli altri sono ben integrate;
-rappresentazioni del Sé sono ben differenziate dalle rappresentazioni degli oggetti;
-l’esame di realtà è conservato;
-il meccanismo difensivo dominante è la rimozione, pur essendoci altre difese di alto livello;
In questi casi la patologia nasce dal conflitto fra la struttura dell’IO e quella del SUPER-IO.
2. STRUTTURA BORDERLINE
In questa struttura rientrano tutti i 10 disturbi di personalità compreso il NARCISISMO che, in Kernberg,
prende il nome di “organizzazione borderline di personalità”: i pazienti narcisisti sono molto gravi in quanto
si trovano al limite con i disturbi psicotici e quindi possono avere, in parte, una compromissione dell’esame
di realtà. In questa struttura:
-immagini positive e negative del Sé e immagini positive e negative degli altri non sono ben integrate o
sono addirittura tenute del tutto separate (come gli psicotici);
-l’esame di realtà è in parte conservato;
-il meccanismo difensivo dominante è lo splitting\scissione, pur essendoci altre difese di basso livello e più
arcaiche (idealizzazione, identificazione, negazione, ecc.).
In un GRUPPO INTERMEDIO tra la patologia nevrotica e la patologia del carattere più grave, la scissione
coesiste con la rimozione;
N.B. DIATRIBA KERNBERG-KOHUT SUI PAZIENTI NARCISISTICI!
3. STRUTTURA PSICOTICA
-immagini positive e negative del Sé e immagini positive e negative degli altri non sono ben integrate o
sono addirittura tenute separate (come i borderline);
-rappresentazioni del Sé non sono ben differenziate dalle rappresentazioni degli oggetti, ovvero vi è
un’identità delirante (al limite con i borderline);
-l’esame di realtà è compromesso;
-il meccanismo di difesa dominante è lo splitting\scissione, pur essendoci altre difese di basso livello e più
arcaiche (idealizzazione, identificazione, negazione, ecc.).
Una delle principali innovazioni dell’approccio interpersonale-relazionale consiste nella sostituzione del
modello classico dell’analista come “osservatore” con un modello dell’analista come “partecipante” in
un’attività condivisa. Gli interpersonalisti integrano o sostituiscono la nozione di verità oggettiva con quella
di soggettività; l’intersoggettivo prende il posto dell’intrapsichico; la fantasia cede il passo alla pragmatica;
si passa dall’attenzione al contenuto delle interpretazioni analitiche all’osservazione del processo analitico;
i concetti di verità\distorsione vengono integrati con il prospettivismo (tutte le intuizioni e le idee nascono
da una particolare prospettiva: relativismo); il controtransfert-come-sentimento è sostituito dal
controtransfert-come-enactment.
Nel frattempo, una corrente psicoanalitica nordamericana, faceva propria una psicologia pienamente
BIPERSONALE, che sottolineava la reciproca partecipazione e accentuava fortemente la soggettività del
transfert nell’HIC ET NUNC (qui ed ora).
Per decenni, gli psicoanalisti interpersonali sono stati considerati assolutamente estranei alla psicoanalisi.
Solo negli ultimi vent’anni, con la quasi scomparsa della psicoanalisi classica negli Stati Uniti, i contributi
della tradizione interpersonale cominciano ad essere riconosciuti: lo psicoanalista ideale non è più un
osservatore neutrale, ma un collaboratore del paziente, impegnato in una continua negoziazione sulla
verità. QUESTO DIALOGO E’ L’UNICO MODO PER SFUGGIRE AI PRECONCETTI.
Il modello di sviluppo dell’individuo, per Sullivan, si fonda sul cambiamento della dimensione relazionale
interpersonale nell’arco della vita (non si esaurisce nell’infanzia, ma va oltre, arrivando all’età adulta,
esattamente come Erikson), in altre parole, si basa sull’EVOLUZIONE DELLE CAPACITA’ DI RELAZIONE.
L’attività psichica dell’individuo, nel corso dello sviluppo, non è orientata alla soddisfazione della libido e
delle pulsioni, ma alla soddisfazione del BISOGNO DI CONTATTO E SICUREZZA, e quindi, pur concentrandosi
sulle determinanti inter-relazionali, non nega l’influenza dei fattori costituzionali nello sviluppo della
personalità. Egli ci dice che:
1. Il bambino nei primi momenti di vita è in relazione con i genitori ed il carattere primario dei bisogni di
contatto e sicurezza si rende evidente in questo rapporto, in particolare, nel rapporto madre-bambino. In
questo rapporto al bisogno del piccolo di essere nutrito e protetto corrisponde il bisogno complementare
della madre di accudire e nutrire. Vi è, cioè, una SINCRONIZZAZIONE tra desiderio e risposta materna che si
fonda sulla capacità della madre di comprendere EMPATICAMENTE gli stati interni del bambino e che ha un
fondamento genetico: in riferimento a tale sincronia Sullivan propone un “TEOREMA DELLA TENEREZZA” in
base al quale “il comportamento del bambino (pianto e vocalizzi) dovuto alla tensione generata dai suoi
bisogni induce tensione nella madre: questa tensione viene vissuta come tenerezza e impulso ad attività che
soddisfino i bisogni del bambino”. Ma ciò che l’autore vuole maggiormente evidenziare è che il bisogno di
essere nutrito e quello complementare di offrire nutrimento acquistano sin dall’inizio un SIGNIFICATO
INTERPERSONALE E INTERATTIVO, infatti, il bambino con il suo pianto non reclama soltanto il cibo ma
anche la presenza della madre e delle sue amorevoli cure, ossia un nutrimento oltre che organico anche
psicologico e relazionale.
2. La natura del bisogno interpersonale subisce, con l’età, delle modifiche. Questo muta, tra il quinto e
l’ottavo anno, in bisogno di imparare a competere e di relazionalità all’interno del gruppo di pari;
3. Successivamente, nella pubertà, diventa bisogno di avere un amico esclusivo dello stesso sesso;
4. Infine, dall’adolescenza all’età adulta, il bisogno è quello di cercare un’intimità;
All’interno di questo processo vitale, fatto di cambiamenti relazionali, l’individuo andrà strutturando la
propria psiche: in base alle modalità relazionali, in un primo momento trasmesse dall’altro e in un secondo
momento messe in atto per interagire con l’altro, la psiche dell’individuo si strutturerà in un certo modo
anziché in un altro.
La strutturazione della psiche, in termini di sviluppo di una personalità integrata, dipende, in particolare, dal
livello di “tenerezza della madre” e dal modo in cui ella risponde al bambino, identificando queste risposte
con il nome di “apprezzamenti riflessi”: Sullivan, al pari dei teorici delle relazioni oggettuali “inglesi”
(Kleiniani) e “britannici” (scuola indipendente), ha notato la tendenza del bambino a classificare tutte le
esperienze con il caregiver (esperienze in termini di “apprensioni”) come esperienze di “madre buona” (non
ansiosa e tenera) o “madre cattiva” (piena d’ansia e non tenera).
La psiche del bambino, secondo l’autore, può articolarsi secondo 3 livelli di strutturazione:
1. BUON ME – se la persona che si prende cura del bambino è a proprio agio nel rapporto che ha con lui, e
quindi è una persona che sa manipolarlo, sa riconoscergli una mente, sa attribuirgli delle competenze , non
è eccessivamente preoccupata di ciò che potrebbe accadergli (empatia materna), il bambino svilupperà il
cosiddetto “BUON ME”: il buon me è la RISPOSTA PSICHICA CONSCIA del bambino che è in relazione con un
adulto (la madre) che è a proprio agio LA RELAZIONE PRIMARIA DETERMINA UNA TENDENZA VERSO
L’INTEGRAZIONE DELLA PERSONALITA’;
2. CATTIVO ME – se la persona che si prende cura del bambino non è a proprio agio nel rapporto che ha con
lui, e quindi è una persona che principalmente prova ansia, il bambino, percependo tale modalità ansiogena
attraverso i comportamenti, gli sguardi, le reazioni della persona, comincerà ad auto-attribuirsi la
responsabilità del disagio della madre ed inizierà ad evitare di mettere in atto quei comportamenti che
attivano lo stato ansiogeno nell’altro. Tutto ciò che il bambino ritiene essere causa del disagio dell’adulto, e
che quindi eviterà di mettere nuovamente in atto, va collocato in un ASPETTO PSICHICO CONSCIO che viene
chiamato “CATTIVO ME” LA RELAZIONE PRIMARIA DETERMINA UNA TENDENZA VERSO LA
DISINTEGRAZIONE DELLA PERSONALITA’;
3. NON ME – conducono alla formazione del “NON ME”, tutte quelle esperienze traumatiche che,
procurando una forte angoscia, prevedono l’attivazione di meccanismi di difesa e in particolare del
meccanismo di DISSOCIAZIONE. Per Sullivan qualsiasi dissonanza tra il bisogno del bambino e la
disponibilità dell’ambiente viene da questi sperimentata come angosciosa, e spesso la madre risponde a
tale angoscia con la sua angoscia che viene inevitabilmente trasmessa al bambino che si angoscia ancora di
più, instaurando così un circolo vizioso definito “EFFETTO VALANGA”. Il “NON ME” quindi deriva da una
RIMOZIONE potente di esperienze ECCESSIVAMENTE ANGOSCIANTI e intollerabile nel rapporto con la
madre: il materiale è rimosso, tabuizzato, rilegato nell’inconscio. Pertanto, i bambini che appartengono a
questa categoria hanno maggiori probabilità di manifestare, in futuro, disturbi psicologici.
Va sottolineato che il bambino sperimenterà sempre l’esperienza del “NON ME”, ma questa esperienza
cambia per quantità e qualità:
- se nell’individuo ci sono tutte esperienze “non me” il soggetto sarà PSICOTICO, cioè distaccato dalla realtà
e con compromissione dell’esame di realtà;
- se nell’individuo c’è una sola esperienza “non me” il soggetto sarà SANAMENTE NEVROTICO;
- se nell’individuo ci sono un bel po' di esperienze “non me” il soggetto avrà ALTERAZIONI PIU’ O MENO
DIVERSIFICATE.
In generale, comunque, la psicopatologia si manifesta quando l’angoscia impedisce il soddisfacimento dei
bisogni interpersonali.
Una caratteristica singolare del lavoro di Sullivan è che egli sembra sentirsi in dovere di creare una cornice
di riferimento che faccia da alternativa a quella psicoanalitica: il tentativo è quello di costruire una teoria
dinamica, scevra da riferimenti all’inconscio, alle pulsioni o alle rappresentazioni oggettuali interne.
In linea con questo desiderio di creare una disciplina separata, cambia anche la concezione dell’obiettivo
della TERAPIA, la quale mira ad un miglioramento dell’adattamento interpersonale, e del TERAPEUTA, il
quale si dedica ad uno sforzo intellettuale di “OSSERVAZIONE PARTECIPANTE”.
Sullivan intendeva, in questo modo, lanciare una SFIDA ALL’ASSUNTO PIU’ TRADIZIONALE DELLA
PSICOANALISI, secondo cui il terapeuta raccoglie e analizza i dati del paziente da una posizione più o meno
oggettiva. Il lavoro del terapeuta sulliviano, invece, consiste in un’indagine attiva ed effettuata in
collaborazione con il paziente stesso: ricava informazioni dal paziente (separa il passato dal presente e
l’illusorio dal reale) e controlla di continuo i dati.
Come procede il terapeuta nel trattamento?
In vesti di osservatore partecipante, l’analista “contrasta” la percezione del paziente piuttosto che
“interpretarla”. Il terapeuta utilizza TECNICHE ATTIVE per dimostrare al paziente che le esperienze che egli
ha vissuto come vergognose e ansiogene non sono da lui esperite ed interpretate allo stesso modo:
l’obiettivo è quello di aiutare i pazienti a divenire essi stessi consapevoli degli schemi relazionali patologici.
Il fulcro della sua teoria sta nella NATURA INTERPERSONALE della SOGGETTIVITA’ INDIVIDUALE, egli, infatti,
promuove l’idea che la realtà psichica è una MATRICE RELAZIONALE.
Stolorow e Arwood illustrano con chiarezza questo concetto, affermando che: “l’idea di una mente
individuale isolata è una finzione teorica o un mito che reifica l’esperienza soggettiva. Questa esperienza
richiede una relazionalità intersoggettiva che incoraggi il processo di delineazione del Sé lungo tutto il ciclo
di vita”.
Quella di Mitchell è una prospettiva che:
-contrasta totalmente con le teorizzazioni FREUDIANE, la cui concezione della mente è definita da Mitchell
“MONADICA” e “BIOLOGICA”, cioè relativa ad un unico individuo e basata su pulsioni interne;
-considera il relazionale il nucleo della psicoanalisi, laddove, il relazionale comprende l’individualità, la
soggettività e l’intersoggettività (è il relazionale che realizza l’individualità e che rende significativa
l’esperienza personale);
-polemizza con gli PSICOLOGI DEL SE’ perché la loro unità di analisi (il Sé nucleare) è intrapsichica;
-critica i teorici delle RELAZIONI OGGETTUALI (Winnicott) perché concepiscono la patologia in termini di
arresto evolutivo sminuendo in questo modo la natura relazionale dello sviluppo;
-ha a che fare con idee decostruttivistiche postmoderne anziché con idee di integrazione cervello-
comportamento: è in disaccordo con il riduzionismo biologico;
-si sviluppa a partire dall’approccio interpersonale di Sullivan.
Si noti che la maggior parte di coloro che si riconoscono nella tradizione interpersonale non concorda sul
fatto che il lavoro di Mitchell rappresenti le idee di Sullivan o i principi basilari di quell’approccio.
Una questione critica che separa il MODELLO RELAZIONALE dal MODELLO INTERPERSONALE riguarda le
ipotesi sulla natura e le origini della psiche rispetto alla realtà fisica:
1. SULLIVAN – ha sempre dimostrato interesse per il comportamento osservabile. Non era un
comportamentista, ma coltivava un interesse metodico nei confronti di ciò che accade davvero fra le
persone. Per Sullivan, si tratta di una “indagine dettagliata”, per scoprire esattamente chi ha detto che cosa
a chi. Di conseguenza, molti analisti interpersonali mostrano una netta riluttanza a privilegiare la fantasia
rispetto alla relatà;
2. MITCHELL – nel suo approccio, fantasia e realtà, non sono necessariamente una alternativa all’altra, anzi,
si compenetrano e si arricchiscono reciprocamente. A sostegno di questo concetto ci sono le idee di
LOEWALD, il quale sosteneva che affinché la vita abbia un significato, la fantasia e la realtà non devono
essere separate troppo profondamente l’una dall’altra, poiché la realtà senza fantasia è vuota e
insignificante, e la fantasia, se è separata in modo netto dalla realtà, non solo perde importanza ma si fa
anche potenzialmente minacciosa.
Dal punto di vista evolutivo, Mitchell immagina che SCOPRIAMO NOI STESSI nel contesto di una MATRICE
SOCIALE, LINGUISTICA, RELAZIONALE. Nella sua prospettiva, la mente umana è un fenomeno interattivo
(una mente umana individuale è una contraddizione in termini) e la soggettività è radicata
nell’intersoggettività. Si ritiene che gli SPAZI SOGGETTIVI comincino come “microcosmi del campo
relazionale”: per esempio, le esperienze interpersonali sono interiorizzate e trasformate in un’esperienza
personale.
Mitchell ha classificato 4 MODI DI BASE in cui si opera la relazionalità:
1. COMPORTAMENTO NON RIFLESSIVO-PRESIMBOLICO, ossia ciò che le persone realmente fanno l’una
all’altra;
2. PERMEABILITA’ AFFETTIVA, ossia l’esperienza condivisa di intensi affetti;
3. CONFIGURAZIONI SE’-ALTRO, ossia l’esperienza organizzata secondo tali configurazioni;
4. INTERSOGGETTIVITA’, ossia il riconoscimento reciproco di persone che agiscono in modo autoriflessivo.
E’ NECESSARIO SOTTOLINEARE CHE MITCHELL NON HA PROPOSTO QUESTO SCHEMA COME UN AUTENTICO
MODELLO EVOLUTIVO: egli ha chiaramente delimitato la portata di questi quattro modi di organizzazione
relazionale a uno “SCHEMA CONCETTUALE DI PROCUSTE” (lo si può utilizzare per entrare per far rientrare
in una griglia i più importanti concetti teorici psicoanalitici: es. MODO 3 – FAIRBAIRN e KERNBERG).
In generale, secondo Sullivan, diverse forme patologie derivano da un’assenza di funzioni genitoriali nella
prima relazionalità con il bambino:
-se alla richiesta di tenerezza avanzata dal bambino, la madre risponde con negatività, ansia, ostilità, avrà
luogo una TRASFORMAZIONE MALEVOLA e cioè il bambino non solo inibirà il bisogno di tenerezza, ma
impedirà a chiunque di agire teneramente verso di lui comportandosi in modo aggressivo\scontroso.
Questa trasformazione (forma più debilitante di rabbia) ci fa comprendere che la rabbia e l’aggressività
NON SONO INNATE, ma derivano da mancate risposte materne ai bisogni interpersonali;
-le madri ansiose trasmettono in qualche modo le loro paure al bambino e queste paure infantili sono la
radice delle paure presenti negli EPISODI SCHIZOFRENICI ACUTI.
Sullivan, quindi, in entrambi i casi, incolpa inequivocabilmente la madre affermando che, l’estrema povertà
di occasioni favorevoli offerta dalla madre, hanno precluso al bambino la possibilità di fabbricarsi un
sistema dell’Io che avesse probabilità di successo: egli è stato considerato quasi un “essere subumano” ed
ha sviluppato patologie.
FROMM-REICHMANN
Un’altra inter-personalista di spicco, Fromm-Reichmann, ha coniato il termine MADRE
SCHIZOFRENOGENICA” per l’accudimento materno rifiutante ricevuto, a suo parere, dai SOGGETTI
PSICOTICI: le esperienze psicotiche di ansia e disperazione e la sensazione di sentirsi pazzi e disumani, non
sono altro che comunicazioni di esperienze infantili che il soggetto ha realmente subito con la figura di
accudimento.
MITCHELL
Mitchell e, in genere, i teorici relazionali, sono critici nei confronti del modello di psicopatologia basato sul
concetto di ARRESTO EVOLUTIVO che viene proposto dagli PSICOLOGI DEL SE’ e dai teorici delle RELAZIONI
OGGETTUALI. Mitchell, per esempio, non condivide l’idea che nell’età adulta si celi un bambino che ha
subito un arresto nello sviluppo infantile: il Sé infantile, non è un Sé che è stato bloccato o conflittuale, ha
solo bisogno di essere riconosciuto e rispecchiato in maniera adeguata.
Siccome i bisogni interpersonali variano in ogni fase dello sviluppo, il concetto di arresto evolutivo rischia di
privilegiare i bisogni del primo periodo della vita e, in questo modo, di trascurare i bisogni relazionali del
presente.
La PSICOPATOLOGIA allora, per i teorici relazionali, nasce dalla RIGIDITA’ e dall’OSTINAZIONE con la quale
l’individuo resta aggrappato a specifiche configurazioni relazionali che non sono necessariamente quelle
della primissima infanzia. Secondo Mitchell, gli individui si aggrappano a pattern relazionali patologici
perché evidentemente sono le uniche relazioni che conoscono: si aderisce a certi schemi perché essi si sono
rilevati efficaci nella lotta contro l’ansia e se questi schemi, successivamente, vengono minacciati l’individuo
teme la perdita di Sé; nel caso in cui sorga un conflitto fra configurazioni relazionali specifiche e pattern
relazionali predominanti in un ambiente, le prime trovano forme celate di espressione che hanno come
esito la NEVROSI e DISTURBI DI PERSONALITA’ (disturbo narcisistico).
Secondo Mitchell l’obiettivo della terapia è quello di aiutare il paziente a costruire un Sé più adattabile,
cercando di entrare nel suo mondo soggettivo, di divenire parte del suo mondo relazionale: con
l’analizzando ci si interroga sui motivi per i quali il suo modo di relazionarsi sembra l’unica modalità con la
quale egli riesce a costruire una relazione con l’analista, e si cerca di espandere la struttura del suo mondo
relazionale al di là dei ristretti confini che sono stati imposti.
ESEMPIO: nel caso di un disturbo narcisistico, Mitchell sostiene che si deve ingaggiare la grandiosità del
paziente, e al tempo stesso cercare di capire perché essa sembra l’unico modo di cui questi dispone per
relazionarsi con gli altri, analista incluso.
La forza della TERAPIA non consiste nell’interpretazione, perché la percezione che l’analista ha della realtà
non gode di uno status di “verità assoluta”. Piuttosto, paziente e analista, insieme formano una realtà
interpersonale nella quale nessuno dei due può essere arbitro della verità, ed entrambi finiscono
inevitabilmente per essere coinvolti in un ENACTMENT: un esempio può essere l’enactment di una
relazione sadomasochista, in cui, se l’analista fa notare che il paziente è sensibile, e il paziente, di rimando,
comincia a piangere, il paziente sta facendo la parte del masochista e l’analista sta agendo (enacting) un
ruolo sadico.
Il cambiamento, allora, non si compie attraverso l’interpretazione, ma grazie alla partecipazione allargata
dell’analista al mondo esperienziale del paziente, e tramite una “RISONANZA INTERPERSONALE” che
produce nel paziente un’esperienza di “RICONFIGURAZIONE”.
Nella teoria interpersonale si sostiene che, poiché il mondo esperienziale del paziente viene arricchito
dall’impegno AUTENTICO dell’analista all’intero di esso, il paziente rinuncia al desiderio di non cambiare a
favore del desiderio di esprimere il proprio Sé autentico.
L’ANALISI INTERPERSONALE non è la cura attuata mediante lo scambio verbale (talking cure), bensì
mediante l’esperienza (experience cure); l’impegno dell’analista non è rivolto alla realtà psichica del
paziente, ma al mondo reale di quest’ultimo; l’accento non è posto sull’interpretazione né sull’attenzione e
sul soddisfacimento dei bisogni infantili del paziente, bensì sul coinvolgimento autentico con lui.
Per la scuola interpersonale-relazionale rimane centrale la questione dell’AUTENTICITA’: l’autenticità
dell’analista non è una “tecnica” ma un modo per opporsi ad un’analisi tradizionale “meccanica” e
“profondamente falsa”. L’analista, nella sua soggettività e nel suo ruolo di osservatore partecipante, è
libero di agire in modo autentico e non ha più l’obbligo di riconoscere, attraverso il suo intervento, una
“realtà”: non è oppresso dal mito della “giusta interpretazione”, anzi, osserva i dati offerti dal paziente e
cerca, assieme a lui, il modo “giusto modo per affrontare i dati”.
Bowlby non era convinto della correttezza delle opinioni dominanti, nella prima metà del XX secolo, a
proposito delle origini dei LEGAMI AFFETTIVI. Sia la teoria psicoanalitica classica sia la teoria
dell’apprendimento sostenevano, con convinzione, che il legame emotivo con il caregiver è basato ed
instaurato sulla base del soddisfacimento del bisogno fisico, come, ad esempio, il bisogno di nutrirsi.
IL BISOGNO PRIMARIO ERA LA FAME E IL BISOGNO SECONDARIO ERA IL TIPO DI LEGAME CHE EGLI
ANDAVA AD INSTAURARE CON LA MADRE.
Eppure, erano già disponibili dati che dimostravano che, almeno nel regno animale, i piccoli delle diverse
specie sviluppavano un attaccamento nei confronti di adulti da cui non venivano nutriti: Lorenz, uno dei
fondatori dell’etologia (studio del comportamento animale nel suo ambiente naturale), elaborò il concetto
di IMPRINTING, intendendolo come “un processo di fissazione, cioè di impronta, di un istinto innato su un
determinato oggetto”. Eseguendo degli studi su un gruppo di anatroccoli, egli si accorse che, la figura con
cui i piccoli cuccioli interagiscono entro le prime 48 dalla nascita, a prescindere dal fatto che sia
l’anatroccolo che li ha messi al mondo, un animale differente o un essere umano, genera un imprinting; essi
imparano a riconoscere, in questa “finestra temporale” molto precoce, quella figura come la MADRE.
Con queste osservazioni, Lorenz dimostra che il cervello degli esseri viventi è GENTICAMENTE PREDISPOSTO
a riconoscere gli altri esseri viventi che incontra come “figure di riferimento” e, quindi, a stabilire con esse
un legame di attaccamento.
Seguendo la scia di Lorenz, Bowlby, è stato uno fra i primi a riconoscere che il PICCOLO DELL’UOMO fa il
proprio ingresso nel mondo essendo già predisposto a partecipare all’interazione sociale: il legame che
unisce madre e bambino si basa su una PREDISPOSIZIONE INNATA di un BISOGNO PRIMARIO DI
ATTACCAMENTO.
Un siffatto attaccamento ha due principali funzioni:
1. BIOLOGICA – l’attaccamento ha una funzione di PROTEZIONE\PROSSIMITA’ che permette la
sopravvivenza del piccolo;
2. PSICOLOGICA - l’attaccamento ha una funzione di SICUREZZA\VICINANZA che permette la tutela del
piccolo.
QUALI SONO LE CARATTERISTICHE DELL’ATTACCAMENTO?
L’attaccamento ha 4 principali caratteristiche:
1. E’ selettivo e “specie-specifico”, ciò significa che l’attaccamento tra 2 persone in relazione è
esclusivamente legato a quella determinata relazione (ed. il bambino con la babysitter non svilupperà lo
stesso tipo di legame che ha con la madre);
2. Implica la “ricerca della vicinanza fisica”, attraverso l’attaccamento sia il bambino che il caregiver vanno
alla ricerca di contatto di vicinanza fisica che è basata sullo scambio di calore. Attraverso la vicinanza fisica
con quella particolare persona, l’attaccamento fornisce benessere e sicurezza al bambino;
3. Fornisce una “base sicura”, che consiste nella possibilità del bambino di allontanarsi dal caregiver per
esplorare e conoscere il mondo e successivamente farvi ritorno con la consapevolezza che quella persona, il
suo “porto sicuro”, è lì ad aspettarlo (tipica dell’attaccamento sicuro);
4. Se l’attaccamento, e quindi il legame di interazione tra bambino e caregiver, viene brutalmente
interrotto, nel bambino si sviluppa un trauma che sviluppa un’ANGOSCIA DA SEPARAZIONE.
Bowlby ha ritenuto che il bambino che non poteva disporre di un ininterrotto (sicuro) attaccamento
precoce alla madre, fosse incline, a mostrare segni di DEPRIVAZIONE PARZIALE, vale a dire un eccessivo
bisogno di amore o di vendetta, un grossolano senso di colpa e depressione; oppure di DEPRIVAZIONE
TOTALE, vale a dire abulia, mutacismo, ritardo nello sviluppo, e, successivamente, a segni di superficialità,
assenza di veri sentimenti, mancanza di concentrazione, tendenza all’inganno e al furto compulsivo.
Più tardi Bowlby ha collocato queste reazioni in un’unica cornice di “REAZIONI ALLA SEPARAZIONE”:
1. PROTESTA – inizia quando il bambino percepisce una minaccia di separazione ed è caratterizzata da
pianto, rabbia, tentativi di fuga, ricerca del genitore. Dura circa una settimana e si intensifica durante la
notte;
2. DISPERAZIONE – l’attività fisica diminuisce, il pianto diventa intermittente, il bambino appare triste, si
ritira dal contatto, si dimostra ostile nei confronti degli altri bambini o dei suoi oggetti preferiti, e dà
l’impressione di entrare in una “fase di lutto” per la perdita della figura di attaccamento;
3. DISTACCO – è caratterizzato da un più o meno completo ritorno della socialità, non vengono più respinti i
tentativi, da parte di altri adulti, di offrire cure, ma il bambino che raggiunge questo stadio si comporterà in
modo marcatamente anomalo al ritorno del caregiver.
Possiamo notare, quindi, che la teoria dell’attaccamento di Bowlby ha un focus biologico, in cui, però,
l’attaccamento non viene ridotto a “pulsioni” ma a “comportamenti del bambino” (somiglianza e differenza
con Freud): il sorriso, la vocalizzazione, il pianto (segnale di disagio che sollecita comportamenti di
accudimento), sono tutti comportamenti che attirano l’attenzione del caregiver e lo inducono ad avvicinarsi
al bambino.
Bowlby ha sottolineato il VALORE DI SOPRAVVIVENZA DELL’ATTACCAMENTO: i comportamenti di
attaccamento sono stati considerati parte di un SISTEMA COMPORTAMENTALE (un termine che Bowlby ha
preso a prestito dall’etologia) il quale implica una MOTIVAZIONE INTRINSECA (non una pulsione) ad
interagire con il mondo.
Vi è una sottile ma importante differenza tra Bowlby e i TEORICI DELLE RELAZIONI OGGETTUALI: lo scopo
del bambino non è l’oggetto (madre) ma è la prossimità all’oggetto (avere la madre accanto a lui).
Dal momento che lo scopo non consiste in un oggetto ma in uno stato\sentimento, il contesto in cui vive il
bambino, cioè la risposta del caregiver, influenzerà fortemente il sistema di attaccamento, il quale, a sua
volta, influenzerà il sistema dei comportamenti.
Uno degli esempi lampanti è il SISTEMA COMPORTAMENTALE ESPLORATIVO. Esso è connesso con
l’attaccamento, poiché è la figura di attaccamento a fornire la base sicura fondamentale per l’esplorazione.
Il comportamento esplorativo del bambino subisce un brusco arresto quando il bambino scopre che il
caregiver è temporaneamente assente.
ALLORA UN ATTACCAMENTO SICURO PUO’ ESSERE CONSIDERATO UTILE PER LO SVILUPPO DI UNA GAMMA
DI CAPACITA’ COGNITIVE E SOCIALI.
Un altro esempio importante è il SISTEMA DELLA PAURA. Quando questo sistema è attivato da ciò che
Bowlby chiama indizi “naturali” di pericolo (mancanza di familiarità di una situazione, un rumore
improvviso, l’isolamento), il bambino cerca immediatamente una fonte di protezione e di sicurezza (attiva il
sistema di attaccamento), la figura di attaccamento. La disponibilità o meno del caregiver riduce o aumenta
la reattività del bambino a stimoli che altrimenti sarebbero percepiti come pericolosi.
Questi 3 SISTEMI DI COMPORTAMENTO che abbiamo citato, attaccamento, esplorazione e paura, regolano
l’ADATTAMENTO evolutivo del bambino: la loro combinazione fornisce al piccolo il mezzo per apprendere e
svilupparsi senza allontanarsi troppo.
Bowlby, inoltre, ha stabilito come scopo prefissato del sistema di attaccamento, il mantenimento
dell’accessibilità e della responsività del caregiver e ha fatto rientrare questi aspetti sotto il termine unico di
DISPONIBILITA’: significa l’aspettativa fiduciosa, ricavata da una RAPPRESENTAZIONE DELL’ESPERIENZA nel
corso di un significativo periodo di tempo, che la figura di attaccamento sarà disponibile.
Il sistema comportamentale dell’attaccamento viene così ad essere sostenuto da una serie di MECCANISMI
COGNITIVI, discussi da Bowlby come MODELLI OPERATIVI INTERNI.
In virtù del tipo di legame (adeguato o patologico), e quindi in base alla natura dell’attaccamento e alle
dinamiche dell’ambiente genitoriale a cui è esposto il bambino, quest’ultimo andrà strutturando i propri
“modelli operativi interni”. Essi sono una traccia mnestica, un’interiorizzazione, in parte conscia e in parte
inconscia, delle esperienze relazionali che, una volta incorporate, orienteranno tutte le forme di legame che
l’individuo andrà strutturando in seguito. Un bambino con un attaccamento:
1. SICURO – immagazzina un modello operativo interno di una persona che si prende cura di lui, armoniosa,
affidabile;
2. INSICURO – immagazzina un modello operativo interno di una persona che non si prende cura di lui e
può vedere il mondo come un posto pericoloso nel quale le persone devono essere trattate in modo
cattivo.
Quando il modello operativo è ben radicato e interiorizzato nell’individuo (di solito dal terzo anno di vita in
poi), esso opererà al di fuori del livello di consapevolezza: ciò significa che una volta che abbiamo
interiorizzato un determinato modello, quel modello si attiverà automaticamente (a prescindere dalla
nostra volontà) e orienterà tutte le relazioni che si andranno a strutturare in altri momenti della vita.
In questa concettualizzazione, Bowlby è stato influenzato dalla psicologia cognitiva e in particolare dal
modello dell’INFORMATION PROCESSING del funzionamento neuronale e cognitivo: proprio come gli
psicologi cognitivi, che hanno definito i modelli rappresentazionali in termini di accesso a particolari tipi di
informazioni e dati, Bowlby ha suggerito che differenti pattern di attaccamento riflettono differenze
individuali rispetto all’accesso a taluni tipi di pensieri, sentimenti e memorie (es. un attaccamento insicuro
permettono l’accesso soltanto a pensieri distorti e negativi).
Nonostante i modelli operativi interni siano così stabili, vi sono 4 CAUSE in grado di MODIFICARLI:
1. ADOLESCENZA – per il confronto con i pari, per la proiezione verso l’età adulta, per la rilettura del
rapporto che si ha con i genitori;
2. ESPERIENZE TRAUMATICHE POSITIVE – in cui l’individuo fa emergere risorse che andranno a condizionare
la modalità di vita dell’individuo;
3. PRIMA GRAVIDANZA
4. PSICOTERAPIA
MARY AINSWORTH
La teorizzazione di Bowlby trova conferma empirica negli studi eseguiti dalla Ainsworth che, attraverso la
nota procedura di laboratorio della STRANGE SITUATION, osserva i modelli operativi interni del bambino
nel loro effettivo manifestarsi.
Ella notò che quando i bambini sono brevemente separati dal caregiver, in una situazione a loro
sconosciuta, subiscono un “micro-trauma” che si traduce in angoscia da separazione. Da questa
osservazione emersero 4 stili di attaccamento madre-bambino:
BAMBINO
1. SICURO – con l’allontanamento del caregiver, il bambino piangerà, sarà turbato e ricercherà (senza
eccessiva urgenza) la madre (angoscia da separazione); quando la madre si riavvicinerà al bambino,
quest’ultimo sarà contento e si lascerà consolare;
2. INSICURO\EVITANTE – con l’allontanamento del caregiver, il bambino sarà indifferente e ricercherà poco
la madre; quando la madre si riavvicinerà al bambino, quest’ultimo eviterà il contatto e sarà contraddistinto
da freddezza emotiva;
3. INSICURO\AMBIVALENTE (RESITENTE) – con l’allontanamento del caregiver, il bambino piangerà in modo
smisurato, si dispererà, sarà molto turbato e ricercherà costantemente la madre; quando la madre si
riavvicinerà al bambino, quest’ultimo sarà difficilmente consolabile e rifiuterà il contatto;
4. INSICURO\DISORGANIZZATO (DISORIENTATO) – è colui che manifesta spesso il “freezing”, ossia,
completa immobilizzazione, un congelamento della postura, della mobilità e della voce (al contrario sono
iperattivi); il bambino disorganizzato è colui che ha vissuto un maltrattamento\abuso o che assimila
un’esperienza traumatica della madre, per esempio, i bambini insicuri\disorganizzati possono essere quelli
che vivono con una madre che sta vivendo un’esperienza di lutto, e questa esperienza viene trasmessa al
bambino, restando irrisolta perché difficile da affrontare.
MADRE
1. DEL BAMBINO SICURO – è disponibile e affettuosa, recepisce i segnali del bambino e risponde
prontamente e in maniera adeguata;
2. DEL BAMBINO INSICURO\EVITANTE – mostra poca disponibilità ad interagire, trascura il bambino, e non
coglie i suoi segnali (es. il bambino piange e si dispera ma la mamma non corre);
3. DEL BAMBINO INSICURO\RESISTENTE (AMBIVALENTE) – è incostante in quanto a volte risponde
positivamente ed altre volte lo ignora;
4. DEL BAMBINO INSICURO\DISORGANIZZATO (DISORIENTATO) – è una madre con esperienze “irrisolta”,
con un trauma, e che trasferisce la sua negatività interiore al bambino. La disorganizzazione
nell’attaccamento è alla base di una serie di PSICOPATOLOGIE ed è, in particolare, alla base del DISTURBO
BORDERLINE DI PERSONALITA’. Quindi, la presenza del trauma nella madre, spiega grossa parte dei disturbi
di personalità e di disturbi clinici più gravi.
ATTACCAMENTO E PSICOPATOLOGIA
Alcuni studi suggeriscono che l’ATTACCAMENTO DISORGANIZZATO precoce è un fattore di vulnerabilità per
un successivo disturbo psicologico in combinazione con altri fattori di rischio: questi soggetti, in un secondo
momento dello sviluppo, hanno maggiori probabilità di sviluppare EXTERNALIZING BEHAVIOR, ossia,
problemi come l’aggressività, l’impulsività, l’abuso di sostanze, comportamento criminale e, in generale,
problemi con il mondo esterno.
Vi è un accordo, in generale, sul fatto che la SICUREZZA DELL’ATTACCAMENTO può servire come fattore
protettivo contro la psicopatologia in età adulta, e che essa è associata ad un’ampia gamma di variabili
relative alle personalità più sane , quali un minore livello di ansia, minore ostilità, più grande capacità di
resilienza dell’Io, e maggiore capacità di regolazione affettiva nei rapporti interpersonali.
L’attaccamento insicuro sembra essere un fattore di rischio ed è associato a caratteristiche quali, un più
alto livello di depressione, ansia, ostilità, malattie psicosomatiche, e minore capacità di resilienza.
Alcuni studi hanno individuato dimostrato che particolari STATI MENTALI di un individuo (dovuti a
particolari tipi di attaccamento vissuti) sono predittivi di ALCUNI DISTURBI:
1. STATI DELLA MENTE INSICURI o NON RISOLTI – sono spesso associati con disturbi psichiatrici;
2. STATI DELLA MENTE NON RISOLTI – sono associati al comportamento criminale e all’uso di droghe;
3. STATI DELLA MENTE DISTANZIANTI – sono associati a disturbo antisociale di personalità, disturbo
alimentare, abuso di sostanze e dipendenza;
4. STATI DELLA MENTE PREOCCUPATI – sono associati a disturbi che implicano l’assorbimento nei propri
sentimenti quali, depressione, ansia, disturbo borderline di personalità.
Tuttavia, i problemi relativi a questo genere di studi sono numerosi. Uno dei problemi più rilevanti è
l’elevata COMORBILITA’ DEI DISTURBI: questa preclude l’individuazione di qualsiasi legame UNIVOCO fra la
classificazione dell’attaccamento ed una singola forma di morbilità psichica.
Attualmente, non disponiamo di studi estremamente validi ed affidabili necessari per stabilire un
collegamento preciso tra la categorizzazione dell’attaccamento e la categorizzazione della psicopatologia.
LA DISORGANIZZAZIONE DELL’ATTACCAMENTO
L’attaccamento disorganizzato\disorientato è caratterizzato dalla manifestazione di pattern di
comportamento contraddittori, in sequenza o in simultaneità: movimenti indiretti, incompleti o interrotti,
posture stereotipate o anomale, freezing, paura del genitore o vagabondare disorientato.
Il comportamento disorganizzato del bambino, è il comportamento di chi non ha potuto trovare una
soluzione al paradosso di temere le figure dalle quali desideravano conforto, un caregiver spaventato (e di
conseguenza spaventante) che si approccia con estrema invadenza, atteggiamenti minacciosi,
comportamenti dissociati, e stati simili alla trance.
Non si sa molto riguardo alle cause dell’attaccamento disorganizzato.
La prevalenza della disorganizzazione dell’attaccamento è fortemente associata a fattori familiari di rischio,
quali il maltrattamento e il disturbo depressivo maggiore, oppure a problemi non risolti della figura di
attaccamento, quali il lutto o l’abuso: le incoerenze narrative della figura di attaccamento riguardo ad un
trauma passato, rilevate dalla AAI, sono associate al comportamento bizzarro del bambino, rilevato dalla
Strange Situation.
Von Bertalanffy affermando che “Il tutto è più della somma delle parti” si pone in contrapposizione con il
paradigma Cartesiano secondo cui “tutto può essere studiato spiegando le proprietà delle singole parti”: la
mente non può essere spiegata semplicemente facendo riferimento alle sue singole parti; essendo la mente
un sistema dinamico, aperto, permeabile alle influenze e ai cambiamenti provenienti dal mondo interno
(intrapsichico) e dal mondo esterno (interpsichico), necessita una spiegazione TOTALIZZANTE.
La ragione a favore dell’adozione di questo modello consiste, quindi, nel contrastare una insistente
“reificazione” e un costante “antropomorfismo” delle tradizionali concettualizzazioni psicoanalitiche e nelle
contraddizioni logiche in cui inevitabilmente queste ultime cadevano.
Le concettualizzazioni evolutive della teoria dei sistemi postulano che i processi di sviluppo coinvolgano
molteplici componenti i quali agiscono contemporaneamente in tanti livelli: la TEORIA
DELL’ATTACCAMENTO DI BOWLBY è una esauriente applicazione della teoria generale dei sistemi e della
sua concettualizzazione evolutiva.
Molti autori, ispirandosi alla TEORIA GENERALE DEI SISTEMI, hanno elaborato la cosiddetta TEORIA DEGLI
SCHEMI secondo cui uno “schema” è un modello prefissato, interiorizzato e che si ripete sempre uguale. Gli
schemi si strutturano grazie alle primissime interazioni diadiche e sono relativamente stabili nel corso della
vita anche se possono essere in parte modificabili con esperienze emotive correttive, con la gravidanza, con
un trauma positivo, con l’adolescenza, ecc.
I 3 autori che fanno capo alla teoria dei sistemi e quindi in maniera indiretta anche alla teoria degli schemi
sono: Horowitz, Stern e Ryle.
Horowitz afferma che l’individuo, a partire da schemi primordiali, individuali e sensoriali, elabora in
molteplici schemi del Sé e dell’altro, in due possibili forme:
1. SCHEMI PERSONA: sono schemi del Sé che gradualmente si combinano in modo gerarchico in schemi più
complessi del Sé-in-relazione-con-l’altro. Gli schemi del Sé integrano le esperienze del soggetto e
dovrebbero offrire un’immagine stabile del Sé.
2. ROLE-RELATIONSHIP MODELS- RRM (modelli della relazione di ruolo): sono schemi di relazione con l’altro
e, come i modelli operativi interni, hanno la funzione di “copioni teatrali” (riprodurre sempre gli stessi
schemi interiorizzati) influendo le interazioni reali del soggetto verso l’altro in termini di aspettative,
desideri e valutazioni.
Gli RRM sono organizzati in configurazioni (RRMC) gerarchiche e sono caratterizzate da:
-DESIDERI (RRMC desiderate), contengono i desideri più forti;
-TIMORI (RRMC temute), contengono le paure più forti;
-DIFESE (RRMC di compromesso), contengono operazioni difensive (attenuano l’impatto affettivo) e
possono essere ADATTIVI (se le difese hanno successo) o DISADATTIVI (se le difese non hanno successo).
Come funziona allora lo schema?
ESEMPIO: vorrei andare alla facoltà di psicologia (RRMC desiderato) ma temo di non riuscire a superare i
test (RRMC temuto), allora non ci vado e cerco lavoro (RRMC di compromesso adattivo).
PATOLOGIA
Il modello di Horowitz si distingue fra tutte le concettualizzazioni psicoanalitiche in quanto offre una
cornice teorica globale per una grande varietà di disturbi psichiatrici.
Horowitz, in generale, ritiene che l’ANGOSCIA derivi da un collegamento scorretto tra gli schemi e
l’informazione in entrata: l’angoscia nasce quando l’informazione in entrata viene interpretata come se
richiamasse uno SCHEMA TEMUTO (RRMC temuto). Per far fronte a quest’angoscia, l’individuo mette in
atto dei PROCESSI DI CONTROLLO, anche se, in casi estremi, questi possono essere tanto rigidi da provocare
DISTURBI DI PERSONALITA’ (il più delle volte di tipo schizoide o paranoide).
PERSONALITA’ ISTRIONICHE
Queste personalità sono caratterizzate da distorsioni degli stimoli in entrata, da una valutazione rapida e
superficiale dei significati, dall’utilizzo di un numero limitato di categorie e da una limitata capacità di
memoria. Questi soggetti organizzano le informazioni che li riguardano in termini di passività,
inadeguatezza e immaturità.
Secondo il modello di Horowitz, il trattamento è effettuato in tante sedute (di solito 12) ed è finalizzato al
RIALLINEAMENTO DEGLI RRM.
L’APPROCCIO DI STERN
Daniel Stern, autore del noto libro del 1985 “Il mondo interpersonale del bambino”, è tra i più conosciuti
esponenti della cosiddetta infant research in psicoanalisi, che utilizza metodi sperimentali, cioè di
laboratorio, per studiare lo sviluppo precoce del bambino e quindi per revisionare la teoria psicoanalitica
dello sviluppo e della motivazione. Stern ad esempio ha dimostrato che esiste una precocissima capacità
del bambino a relazionarsi con la madre, invalidando quindi la precedente concezione della Mahler,
secondo la quale nel bambino vi era una prima fase autistica, di non relazione (coerente col concetto
freudiano di "narcisismo primario"), prima di entrare in rapporto con il mondo oggettuale attraverso le
successive fasi della separazione-individuazione. Il bambino che emerge dalle ricerche sperimentali di Stern
invece si può dire che abbia un compito opposto nella vita, non tanto quello di riuscire a separarsi dalla
madre, dall'oggetto, quanto quello imparare ad "unirsi" ad esso.
Stern affronta in modo dettagliato il problema dell’origine e dell’evoluzione del Sé: delinea un’ampia
descrizione dello sviluppo del SENSO DEL SE’ (un’organizzazione psichica globale e complessa) nei bambini
piccoli sin dai primissimi giorni di vita.
Egli non condivide i presupposti da cui muovono le tradizionali teorie dello sviluppo psicologico che
individuano l’emergere di un senso Sé soltanto nel momento in cui diventa possibile riflettere o parlare con
il bambino; piuttosto, Stern afferma che esistono almeno QUATTRO SENSI DEL SE’, ognuno dei quali prende
vita da una specifica esperienza soggettiva, da uno specifico rapporto sociale e da un preciso momento
evolutivo. Secondo questa visione, è possibile affermare che il SE’ SI SVILUPPA DA UNA MATRICE
RELAZIONALE.
I quattro sensi del Sé sono:
1. SENSO DEL SE’ EMERGENTE (nascita-2 mesi) - si sviluppa nel periodo compreso tra la nascita e i due mesi
di vita ed è caratterizzato da un modello psichico presociale, precognitivo e preorganizzato, impiegato nella
formazione della percezione del mondo esterno (sperimenta i dati sensoriali);
2. SENSO DEL SE’ NUCLEARE (2 mesi-8 mesi) - si sviluppa tra il secondo ed il settimo mese di vita, quando la
precedente esperienza di un senso del Sé emergente garantisce ai bambini di poter realmente
sperimentare se stessi come entità separate dagli altri. Affinché si possa individuare effettivamente
un senso del Sé nucleare, risultano necessari almeno quattro elementi: il senso di un Sé agente (agency:
nucleo centrale della volontà), capace cioè di azione autonoma e volizione; il senso di un Sé coeso avente
confini propri; il senso di una continuità nel tempo che, adottando un linguaggio winnicottiano, diventa una
“continuità ad esistere”; il senso di possedere una propria affettività (controllo dell’esperienza emotiva);
3. SENSO DEL SE’ SOGGETTIVO (9 mesi-18 mesi) – si sviluppa intorno ai nove mesi, quando il bambino
compie un “salto evolutivo”. Il cambiamento evolutivo investe in modo efficace quasi tutti i precedenti
parametri (le capacità motorie, la percezione, la memoria) e, in più, il bambino sembra scoprire ciò che è
descrivibile come “teoria della mente”. Su tale base teorica, il bambino è in grado di condividere
consciamente la propria mente con un “altro diverso da Sé” (esperienza del Sé con l’altro); inoltre, sempre
su tale base teorica, il bambino è in grado di prendere coscienza delle emozioni dell’altro e di attuare una
condivisione emotiva tra Sé e il caregiver. In aggiunta, il piccolo comprende le intenzioni e i motivi degli altri
perché sembra che non solo controlli dove una persona sta guardando e ma anche come la persona STA
VALUTANDO ciò che vede: tale comunicazione emotiva può essere promossa attraverso le espressioni del
volto o il di voce della persona in questione;
4. SENSO DEL SE’ NARRATIVO (dai 18 mesi) – in questo periodo il bambino sviluppa quella discreta capacità
di “autoriflessione” che consente l’emergere di un senso verbale del Sé. Questa attitudine si svela
attraverso l’utilizzazione dei simboli\linguaggio e la possibilità di “oggettivare” se stessi rispetto agli altri
elementi del mondo esterno (per esempio quando, guardandosi allo specchio, il bambino punta il dito sulla
propria immagine riflessa, quando usa i pronomi “me” ed “io” e quando accede al gioco simbolico).
Tutti questi momenti evolutivi emergenti nello sviluppo diventano delle RAPPRESENTAZIONI
SCHEMATICHE, cioè diventano SCHEMI che esercitano la propria influenza durante il corso di tutta la vita.
Queste rappresentazioni schematiche sono di diversi tipi: rappresentazioni di eventi o copioni\scripts (sono
i “copioni teatrali” di Horowitz), rappresentazioni semantiche o schemi concettuali, schemi percettivi,
rappresentazioni senso-motorie, rappresentazioni delle “forme del sentimento” e rappresentazioni degli
“involucri proto-narrativi”. L’insieme di questi schemi formano una rete che l’autore chiama SCHEMI-DI-
ESSERE-CON. Gli schemi-di-essere-con sono “schemi relazionali”, vale a dire, rappresentazioni, dal punto di
vista soggettivo del bambino, dell’interazione tra quest’ultimo ed il caregiver: uno schema del genere è
composto da un agente (se stesso\il caregiver), un’azione, degli strumenti per compiere l’azione e un
contesto (tutti elementi necessari per comprendere il comportamento umano).
Concependo gli schemi-di-essere-con come RETI, Stern collega il proprio modello a quello dominante nella
SCIENZA COGNITIVA dei PROCESSI PARALLELI DISTRIBUITI (Parallel Distributed Processing: PDP) che fa capo
alla prospettiva del CONNESSIONISMO, ossia, un approccio che tenta di spiegare il funzionamento della
mente usando RETI NEURALI ARTIFICIALI (simulazioni al pc).
Stern e i suoi collaboratori hanno proposto una spiegazione evolutiva radicalmente innovativa del
TRATTAMENTO PSICOANALITICO. Al centro vi è il concetto di MEMORIA IMPLICITA o PROCEDURALE
(memoria multipla: memoria dichiarativa\esplicita e memoria procedurale\implicita), preso a prestito dalla
SCIENZA COGNITIVA.
L’idea principale è che una componente della personalità sia radicata negli SCHEMI NON CONSCI che
determinano il “come” invece che il “che cosa” del comportamento interpersonale: la memoria implicita-
procedurale codifica il come dell’esperienza relazionale ed emotiva passata (fin dai primissimi giorni di
vita)ed è sicuramente molto più utile in ambito psicoanalitico rispetto a quella esplicita-dichiarativa (non
sempre si esplicita la verità). La prima memoria è accessibile attraverso performance, attività pratiche,
comportamenti osservabili in una relazione, mentre, la seconda è accessibile principalmente attraverso la
parola. Date queste caratteristiche, le rappresentazioni semantiche postulate dai teorici dell’attaccamento,
dai teorici delle relazioni oggettuali, e dallo stesso Stern, sono probabilmente meglio concettualizzate in
termini di memorie procedurali, la cui funzione è di adattare il comportamento sociale a specifici contesti.
I clinici sono ormai abituati a lavorare con la memoria procedurale.
Un esempio di lavoro clinico che segue questa linea è quello di MARY MAIN: ella ritiene più appropriato
misurare la “sicurezza dell’attaccamento” nelle NARRATIVE ADULTE non in base al contenuto delle storie
dell’infanzia, ma al modo in cui queste ultime sono riportate (nei soggetti sicuri, i racconti sono coerenti,
riflessivi, equilibrati e dettagliati). Nel sistema di Mary Main, la qualità delle relazioni di attaccamento viene
valutata a partire dalle procedure utilizzate da un soggetto per creare una narrativa riguardo
all’attaccamento.
Si capisce come la SENSIBILITA’ CLINICA è principalmente sagacità nel cogliere i molteplici significati
codificati in un unico messaggio verbale, attraverso l’osservazione dell’accento, delle pause nell’eloquio,
dell’intonazione e di altre caratteristiche della pragmatica, tutte espressioni di una conoscenza cumulativa a
livello procedurale: la caratteristica innovativa a del modello di Stern dei “now moment” e “present
moment” consiste nell’importanza attribuita ai fattori interpersonali nella generazione di aspetti
procedurali del funzionamento di personalità.
Ma vediamo cosa intende Stern quando parla di “present moment” e “now moment”.
È ben nota l’importanza che assume, in un contesto psicoterapeutico (in riferimento alle recenti
teorizzazioni psicoanalitiche), l’here and now, ossia, l’hic et nunc dell’esperienza. Occorre tuttavia definire
cosa si intende per questo istante o tempo breve che prelude al cambiamento terapeutico o relazionale.
Stern definisce il “momento presente” come un’esperienza intensa ed improvvisa fra due persone (la
coppia terapeutica, ma anche il rapporto madre-bambino) di breve durata che porta alla condivisione di
determinati vissuti (assimilabile in qualche modo all’Erlebnis: una concezione attiva e dinamica della vita
che si oppone alle riduzioni positivistiche a semplice processo fisiologico e meccanico). Nel descrivere il
momento presente Stern sottolinea come l’esperienza di condivisione emotiva, la sintonizzazione affettiva,
abbia la sua origine nella sensazione e in particolare nel corpo che possiede dei suoi schemi interpretativi
del mondo in cui emozioni e pensieri sono fra loro collegati e collegabili. Il successivo passaggio ─ quello
dalla sensazione all’espressione ─ implica una compartecipazione intuitiva: senza bisogno di parlare due
persone si ritrovano insieme, hanno la sensazione di essere sempre state in una dimensione unitaria e
insieme iniziano una nuova memoria che consiste in qualche modo in una riscrittura del passato. La
riscrittura del passato non ha a che fare solo con i meccanismi di difesa o i ricordi di copertura ma con la
creazione di un nuovo campo intersoggettivo che modifica i rapporti interpersonali ed è quindi il principale
agente del cambiamento terapeutico o relazionale. Attraverso la creazione di un passato condiviso, che è in
sostanza una riscoperta di parti del sé attraverso delle sensazioni condivise (un po’ come la famosa
madeleine di Proust, anche detta “sindrome di Proust”: termine che designa una parte della vita
quotidiana, un oggetto, un gesto, un colore, un sapore, un profumo, che evocano nell’individuo ricordi del
passato), si sostiene il legame con l’altro attraverso dei costanti feedback propriocettivi.
L’espressione “now moments” è stata creata, in linea con il suddetto concetto, per descrivere quei
momenti particolari e critici all’interno di una seduta di psicoterapia o, più in generale di un rapporto
significativo, caratterizzati da un lato da una grande empatia e un forte legame e dall’altro da un
improvviso, imprevedibile e inevitabile costituirsi dell’evento in quanto tale. La costituzione dei legami
affettivi e la sorpresa rappresentano due aspetti complementari e contrastanti della relazione
interpersonali. L’espressione quadi poetica di “now moments” si caratterizza in alcune delle più note figure
retoriche come le metafore, le sinestesie e gli ossimori. Queste figure, al di là delle parole che le
costituiscono, esprimono la ricerca di un contatto significativo interpersonale o intrapersonale che implica
l’espressione e la regolazione di determinati vissuti emotivi.
In conclusione, queste due espressioni, rappresentano dei momenti di scambio intersoggettivo, a forte
pregnanza affettiva e di riconoscimento reciproco che accadono in una seduta psicoanalitica e che si
configurano, all’interno del processo terapeutico, come veri e propri motori del cambiamento, al di là
dell’interpretazione: il cuore del processo di cambiamento è l’incontro di due coscienze (il paziente e il
terapeuta) in una relazione reale, un’alleanza terapeutica, uno spazio aperto.
Nel modello evolutivo di Fonagy e Target, il bambino può acquisire la capacità di mentalizzare grazie allo
sviluppo della comprensione della natura rappresentazionale delle menti, allo sviluppo della comprensione
della regolazione affettiva (strettamente connesse), e, prima ancora, grazie all’atteggiamento del caregiver,
il quale attribuisce uno stato mentale al bambino trattandolo come un soggetto agente dotato di una
propria mente (come se avesse già un SE’ VIRTUALE):
1. NATURA RAPPRESENTAZIONALE DELLE MENTI – i bambini imparano nei primi mesi di vita che loro (e gli
altri) sono agenti fisici e sociali. Successivamente, intorno ai 9 mesi, adottando una cornice di riferimento
TELEOLOGICA, si aspettano che le azioni degli agenti siano razionali e dirette ad uno scopo: in questa
modalità conoscitiva del mondo pre-mentalistico espressa dall’atteggiamento “ci credo solo se lo vedo”
(modalità che può riaffiorare in alcuni stati legati al DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITA’), le azioni
degli altri vengono interpretate in termini di scopi osservabili anziché di stati mentali.
Durante il secondo anno di vita, i bambini cominciano ad interpretare le azioni degli agenti come derivanti
da desideri, bisogni e intenzioni, hanno una comprensione implicita delle vere e delle false credenze, e
iniziano ad acquisire un linguaggio utile a rappresentare gli stati interni. Tuttavia, in questa fase, i bambini
non sono ancora in grado di separare completamente gli stati mentali dalla realtà esterna (la distinzione tra
interno ed esterno è nebulosa) e ciò determina una certa mancanza di flessibilità definita EQUIVALENZA
PSICHICA, secondo cui, appunto, gli stati mentali sono equiparati alla realtà (associazione).
L’equivalenza psichica, come modalità di esperire il mondo interno, può causare intenso diagio perché
poiché l’idea che una fantasia possa essere reale può essere terrificante (es. se il bambino viene maltrattato
avrò la sensazione di averlo meritato perché è cattivo: ciò che esiste nella mente deve esistere là fuori e ciò
che esiste là fuori deve anche esistere nella mente).
Quando il bambino iniziare a giocare con un genitore o un bambino più grande, sperimenta una nuova
modalità, quella del FAR FINTA, che è il complemento evolutivo della modalità dell’equivalenza psichica
(aiuta il bambino a imparare che i sentimenti non si espandono inevitabilmente nel mondo). Il bambino,
non ancora capace di concepire l’esperienza interna come mentale, sepra drammaticamente le proprie
fantasie dal mondo esterno: il mondo interno è dissociato da quello esterno.
Il bambino, nel gioco, può far finta che i vincoli della realtà semplicemente non esistano e, in età adulta, si
può osservare la ricomparsa di questa modalità di finzione nelle ESPERIENZE DISSOCIATIVE (PSICOSI).
Nella modalità dissociativa niente può essere legato ad alcunché e nessun pensiero ha implicazioni sulla
realtà; la ricerca compulsiva di significato (MENTALIZZAZIONE IPERATTIVA), in cui ci “si sforza di pensare
fino a diventare matto”, costituisce una reazione contro il senso di vuoto e di disconnessione generato da
questa modalità.
Infine, nello sviluppo normale, a partire dai 4 anni, il bambino integra queste modalità per arrivare ad una
MODALITA’ RIFLESSIVA\MENTALIZZAZIONE: si fa strada la capacità di prendere in considerazione,
implicitamente o esplicitamente, la relazione tra realtà interna e esterna.
2. REGOLAZIONE AFFETTIVA – la scoperta degli affetti e la conseguente capacità di modulare gli stati
emotivi, giocano un ruolo fondamentale nel disvelamento di un senso di Sé e di un senso di agency.
I genitori possono contenere gli affetti dei bambini comunicando loro, attraverso manifestazioni facciali,
vocali, fisiche (di cura fisica), che capiscono la causa del loro affetto e il suo impatto emotivo e che possono
sopportare, contenere, talvolta alleviare l’affetto.
Fonagy osserva che i genitori capaci di una buona sintonia emotiva, trasmettono la loro empatia, attraverso
un RISPECCHIAMENTO che è allo stesso tempo CONTIGENTE e CARATTERIZZATO: solo questo tipo di
rispecchiamento affettivo serve come base dello sviluppo di una struttura rappresentazionale dei primi
affetti del bambino. La madre deve comunicare che i sentimenti che sta manifestando, in risposta alle
manifestazioni emotive del bambino, corrispondono agli affetti del piccolo (contingente) ma non sono “per
davvero”, ossia non costituiscono un’indicazione del modo in cui ella si sente effettivamente
(caratterizzato): il genitore comprende l’esperienza emotiva del bambino ma, per fargliela interiorizzare nel
modo più “sano” possibile e per non farla percepire come uno “stato d’animo del genitore”, non la esprime
allo stesso modo; un’espressione esattamente congruente con lo stato del bambino (che manca quindi di
caratterizzazione) può sopraffarlo poiché essa viene percepita come una reale emozione del genitore, e fa
sì che la sua esperienza sembri contagiosa, universale, pervasiva e per questo motivo pericolosa.
Il bambino che si trova in difficoltà (esperisce un’emozione negativa) cerca, nella risposta del genitore, una
rappresentazione del proprio stato mentale che egli possa interiorizzare ed usare come una strategia di
regolazione affettiva di ordine superiore: solo un caregiver che eserciti una funzione “tranquillizzante” e di
reale “contenimento” può assecondare questa esigenza.
Questo modo di intendere la SENSIBILITA’ ha molto in comune con il concetto BIONIANO di capacità della
madre di “contenere” mentalmente lo stato affettivo che percepisce intollerabile per il bambino, e
rispondere in una modalità che riconosce lo stato mentale di quest’ultimo ma che lo moduli in modo da
trasformalo in un affetto pensabile e gestibile.
Fonagy sostiene che alcune forme di psicopatologia possono essere associate a particolari modalità di
fallimento nella sintonizzazione e nel rispecchiamento affettivo all’interno della relazione caregiver-
bambino:
1. RISPECCHIAMENTO NON CARATTERIZZATO – può portare il bambino a sentirsi sopraffatto dalla natura
contagiosa della propria angoscia perché il suo sentimento negativo sembra provocare nel genitore
un’emozione identica. Esposizioni ripetute a un rispecchiamento non caratterizzato potrebbero quindi
rinforzare la modalità dell’equivalenza psichica perché l’esperienza interna del bambino sembra riprodursi
regolarmente nell’esperienza esterna dando la sensazione che non ci sia via di scampo;
2. RISPECCHIAMENTO NON CONTINGENTE – può portare al risultato di un senso di vuoto interno e allo
strutturarsi di un FALSO SE’, perché ciò che il bambino è invitato ad interiorizzare è il Sé emotivo del
genitore e non il proprio Sé emotivo. Questo tipo di rispecchiamento rinforza l’uso della mosalità del far
finta, sviluppando una vulnerabilità alla PATOLOGIA NARCISISTICA nella quale una grandiosità immaginata
funziona come medicamento per un Sé vuoto.
Il programma ventennale di ricerca condotto da Fonagy ha prodotto un insieme di ipotesi e di risultati che
pongono i concetti di mentalizzazione e attaccamento al centro di un modello di sviluppo, della
psicopatologia e della psicoterapia. In altre parole, la capacità di mentalizzazione del genitore è
determinante nel favorire l’attaccamento sicuro del bambino e, a sua volta, l’attaccamento sicuro fornisce il
contesto determinante per attivare il potenziale mentalizzante proprio del bambino.
La psicopatologia (es. personalità borderline) può essere considerata, in buona parte, il riflesso di
un’inibizione della mentalizzazione o di un fallimento originario del suo sviluppo, dovuto, a sua volta ad un
attaccamento non sicuro e ad una relazione madre-bambino non rispecchiante (non si tratta di un arresto,
una fissazione, una regressione ad uno stadio precedente): lo sviluppo del Sé e della capacità di
mentalizzare avviene solo all’interno delle relazioni di “sano” attaccamento.
Per questo motivo, Fonagy ha osservato che la DISORGANIZZAZIONE DELL’ATTACCAMENTO coincide con
una DISORGANIZZAZIONE DELLA STRUTTURA DEL SE’ e ad un’indebolita capacità di mentalizzare.
Abbiamo già parlato dell’importanza del rispecchiamento nella relazione genitore-bambino: se le risposte di
rispecchiamento che il bambino riceve dal caregiver non riflettono la sua esperienza in modo accurato, il Sé
sarà incline alla disorganizzazione, all’incoerenza, e alla frammentazione, poiché sarà costretto ad
organizzare le restituzioni incongrue che riceve dal caregiver per organizzare i propri stati interni. Il
bambino finirà così per interiorizzare rappresentazioni dello stato dei genitori anziché dei propri, il che
genera un’ESPERIENZA ALIENA ALL’INTERNO DEL SE’.
Il SE’ ALIENO contiene la rappresentazione della cattiveria dell’oggetto (stato mentale sofferente e violento
del genitore) e anche la rappresentazione del tentativo del Sé di farvi fronte attraverso un meccanismo
d’identificazione con l’aggressore (stato mentale sofferente e violento del bambino): il bambino cerca di
gestire e controllare questa parte abusante e aliena di Sé attraverso l’IDENTIFICAZIONE PROIETTIVA.
Dal momento che un parziale fallimento del rispecchiamento avviene nella maggior parte di noi, tutti
abbiamo parti aliene nel Sé, ma queste possono essere integrate e attenuate grazie alle nostre capacità di
mentalizzazione. Nei bambini con attaccamento disorganizzato, invece, a causa del comportamento ostile,
minaccioso e spaventoso del caregiver, le parti aliene del Sé sono più estese e, dal momento che la capacità
di mentalizzare è compromessa, queste parti non possono essere integrate e sarà difficile creare un senso
di coerenza e agency nel Sé.
Già all’età di 4 o 5 anni, i bambini con attaccamento disorganizzato, per ristabilire la coerenza del proprio
Sé, sono costretti ad adottare strategie di controllo e\o di manipolazione gei genitori che si esprimono
attraverso atteggiamenti puntivi o comportamenti di accudimento inappropriati per l’età.
I bambini disorganizzati, inoltre, sono ipervigili nei riguardi del comportamento del caregiver e utilizzano
tutti gli indizi disponibili per formulare delle previsioni circa il suo comportamento: essi osservano
attentamente non la rappresentazione dei propri stati mentali all’interno dell’altro, ma gli stati dell’altro
che minacciano il loro senso del Sé. In questi casi, la capacità di mentalizzare può essere presente, ma non
svolge la funzione positiva di organizzazione del Sé.
L’organizzazione difettosa del Sé che deriva da un attaccamento disorganizzato rappresenta, quindi, un
fattore di vulnerabilità, e i bambini con attaccamento disorganizzato sono più sensibili di quelli sicuri a
successivi traumi. La parte aliena interiorizzata assume infatti un carattere persecutorio, e deve essere
espulsa ed esternalizzata mediante la PROIEZIONE DIFENSIVA SULL’ALTRO, garantendo un temporaneo e
illusorio senso di controllo e un sentimento di sicurezza ma al prezzo di interazioni disfunzionali: trovare
altri che possano fungere da contenitore per l’esteriorizzazione di questo Sé torturante da controllare o
eliminare può diventare di vitale importanza per mantenere una qualche coerenza nella propria identità e
nella propria vita. LO SVILUPPO NORMALE VA DA UN FRAZIONAMENTO AD UN’INTEGRAZIONE, MENTRE,
LO SVILUPPO PATOLOGICO VA DA UN FRAZIONAMENTO AD UNA FALSA INTEGRAZIONE.