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CAPITOLO 11 E 12

CRIMINOLOGIA.
CAPITOLO 11: “LA VITTIMOLOGIA”.
Per la scuola classica di diretto penale la vittima rimaneva fuori da qualsiasi
attenzione, essendo considerato il reato sostanzialmente come un evento contro la
società; per la scuola positiva l’interesse alla persona e al suo recupero imponevano di
trascurare la vittima del reato. Soltanto alcuni criminologi positivisti (Lombroso,
Garofalo e Ferri) intuirono l’importanza che la vittima e il suo comportamento
venissero studiati come parte integrante del discorso criminologico.
Vittimologia: scienza empirica applicata allo studio delle vittime di reati.
Von Hentig (the criminal and his victim) fu il primo autore a studiare la vittima in
tutte le sue implicazioni personologiche, sociali, di relazione con il soggetto agente.
G. Gulotta propose di applicare alla vittimologia, quale branca delle scienze sociali, i
principi elaborati dalla Teoria Generale dei Sistemi, ricercando nuovi modelli
interpretativi, i sistemi (aperti come quelli sociali, e chiusi come le entità della fisica
tradizionale), che risulterebbero più idonei a descrivere i fenomeni complessi, e a
studiarne l’ interazione dinamica delle parti in gioco.
Tripartizione degli studi sulle vittime (H. Von Hentig):
- Criminale - vittima
- Vittima - latente
- Vittima – causa
Esiste una maggiore predisposizione vittimogena di alcuni soggetti.
Tre tipologie specifiche predisponenti alla vittimizzazione (E.A.Fattah):
- Biopsicologiche
- Sociali
- Psicologiche
Tre diverse relazioni autore/vittima (H.F.Ellenberger):
- Nevrotica pura
- Psicobiologica
- Genobiologica
Una graduazione dei ruoli di “co-responsabilità” della vittima nel reato è stata
proposta da B.Mendelsohn:
- Vittima del tutto innocente (es. bambini o anziani)
- Vittima con colpa lieve (es. concorso colposo in reato colposo)
- Vittima volontaria (es. suicidio collettivo o nella roulette russa)
- Vittima maggiormente colpevole del delinquente (es. il caso di provocazione)
- Vittima come una colpevole (es. caso di legittima difesa)
Modalità attraverso le quali un soggetto può agevolare la propria vittimizzazione
(R.F.Sparks):
- Precipitazione;
- Facilitazione;
- Vulnerabilità;
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- Opportunità;
- Attrattività.
In Italia G.Ponti ha distinto le vittime attive (vittima che aggredisce, provocatrice
anche inconsciamente) dalle vittime passive (vittima accidentale, preferenziale,
simbolica).
Modello teorico lifestyle / exposure model of victimization:
Lo stile di vita di una persona, dalle sue attività in ambito lavorativo al tempo libero, ai
comportamenti sociali, risulta determinante nella valutazione del rischio di
vittimizzazione.
Maggiore è l’esposizione a luoghi, circostanze e momenti a rischio, maggiore è la
frequenza o la vicinanza a soggetti più o meno dediti alla commissione di reati, più alta
è la percentuale di essere vittima di un reato.
Schema teorico/pratico del routine activity approach (L.E.Cohen e M.Felson):
i cambiamenti nelle attività quotidiane, nel senso di una maggiore esposizione,
influiscono in modo diretto sul rischio di diventare vittima di un reato.
Il merito di queste impostazioni teoriche è stato quello di spostare l’interesse sulle
dinamiche dell’azione e sui comportamenti sociali, limitando però la propria prospettiva
di studio solo al reato e al soggetto agente.
Con il termine danno primario, da un punto di vista criminologico, si intende
ricomprendere tutte quelle conseguenze di diversa natura direttamente e
consequenzialmente connesse con il fatto reato.
Il danno secondario, invece , rappresenta una sorta di seconda e ulteriore
vittimizzazione che il soggetto subisce in via diretta o mediata dalle cosiddette
agenzie di controllo informale (famiglia, amici, colleghi….) e da quelle formali (organi di
pubblica sicurezza, stampa…).
Vittimizzazione secondaria: la vittima si spoglia delle sue facoltà di farsi giustizia da
sé per delegarle allo Stato che agirà secondo le sue leggi e con i suoi strumenti.
Catalogazione sui costi del delitto:
1. spese derivanti dal danno alla proprietà o conseguenti alle cure mediche a
seguito di violenze subite;
2. danni da mancato guadagno dovuto alla perdita di ore lavorative e alla minore
produttività;
3. cure di tipo psicologico o psichiatrico soprattutto in relazione ai traumi derivati
da reati violenti;
4. il peggioramento della qualità della vita in conseguenza al reato.
CATEGORIE MAGGIORMENTE A RISCHIO:
 L’attenzione criminologica sui minori quali vittime di reati, è
relativamente recente. Si deve ricomprendere nel concetto di
maltrattamento: violenze fisiche, incuria nell’alimentazione, nell’ igiene e
nelle cure mediche dei figli, abusi sessuali, sfruttamento lavorativo,
rifiuto affettivo, violenze psicologiche e la “sindrome di Munchhausen”
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(patologia inventata o provocata nel figlio al fine di ottenere l’attenzione


e le cure del medico). Le cause più frequenti dei maltrattamenti sono la
carenza di mezzi economici, la disgregazione familiare, la presenza di
situazioni di alcoolismo o tossicodipendenza, la precarietà abitativa e
lavorativa. L’interiorizzazione anche a livello inconscio fin da bambini di
modelli comportamentali violenti può con frequenza generare futuri
adulti e genitori a loro volta violenti. Molto spesso questi delitti non
vengono denunciati per timore da parte dei familiari stessi di subire
ritorsioni dall’aggressore, o per timore di disgregare l’unità familiare, o
anche per l’incapacità delle piccole vittime di riferire gli abusi subiti.
Quanto all’ abuso sessuale, spesso correlato all’abuso psicologico, sono
stati individuati alcuni fattori: ritardo o arresto nella crescita, lesioni
traumatiche dell’apparato genitale o anale, disturbi dell’apparato
gastroenterico, disturbi del sonno con incubi notturni, disturbi
dell’alimentazione, aggressività o passività,crisi d’ansia, ipocondria,
difficoltà di concentrazione, giochi sessuali, conoscenza sessuale
inadeguata all’età, problemi di adattamento scolastico.
 Ancora più recenti sono gli studi sulle violenze subite dalle donne. In
questo caso le motivazioni per la mancata denuncia del reato subito
potrebbero essere basso grado di autostima, tendenza all’auto-
assunzione di responsabilità,dipendenza economica dal marito, idea di
dover a tutti i costi salvaguardare il matrimonio, timore dio dover subire
altre e più gravi reati. Per violenza si deve intendere ogni abuso sia fisico
che psicologico. Il luogo in cui in percentuale assoluta si consuma il
maggior numero di reati a danno della donna, dalle percosse fino ad
arrivare all’omicidio, è la casa. E gli autori per lo più sono soggetti legati
da un vincolo matrimoniale o di fatto, o da qualche legame parentale. Le
conseguenze sulla donna maltrattata possono essere disturbi del sonno,
dell’alimentazione, dell’alterazione delle funzioni cognitive, del senso di
inadeguatezza e di colpevolezza, di depressione e di negazione della
violenza.
 Per quanto riguarda gli anziani l’abuso fisico rappresenta il maggior
fattore di vittimizzazione. Le motivazioni scatenanti possono essere: la
pesantezza e lo stress del compito assistenziale dei familiari dovuto alla
dipendenza psicofisica dell’anziano, l’interesse economico ad
impossessarsi del patrimonio dell’anziano, presenza di problemi
d’alcoolismo e/o tossicodipendenza nei familiari, l’atteggiamento
aggressivo e prepotente dell’anziano dovuto ad un deterioramento
psichico,la mancanza di aiuti validi dai servizi socio-assistenziali.
 Categorie di vittime “collettive”.
In occasione di un reato gli interventi messi in atto possono essere di tre tipologie:
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a) Nell’immediatezza del reato, programmi di sostegno psicologico o medico per


aiutarla vittima a ritrovare una stabilità emotiva o per ridurne il trauma;
b) Nella fase del processo penale, programmi volti a soddisfare le esigenze sia di
carattere pratico che emotivo;
c) Successivamente alla commissione del reato e durante o dopo il processo,
programmi volti a risarcire la vittima.
Nel nostro ordinamento la persona offesa dal reato è soggetto processuale ma non
parte in senso sostanziale.
Gli enti esponenziali sono soggetti accessori ed eventuali del processo,che devono
possedere determinati requisiti giuridici per intervenire in esso a favore della parte
offesa.
Nel nostro processo penale sono diverse le situazioni in cui la parte offesa ha il diritto
di essere informata sull’evoluzione del procedimento o di prenderne parte anche se nn
in modo attivo.
Molte meno sono le possibilità di incidere direttamente sulla condizione del processo.

CAPITOLO 12: “OPINIONE PUBBLICA E PERCEZIONE DEL


FENOMENO CRIMINALE”.
T.Sellin e M.E.Wolfgang nel 1964 condussero uno studio per elaborare una scala di
gravità dei comportamenti delinquenziali adoperando due tipi di misurazione:
- Una scala ad intervalli (category scale) in base alla quale gli intervistati
dovevano associare al comportamento deviante un punteggio;
- Una scala di rapporti (magnitude scale) in base alla quale gli intervistati
dovevano valutare la gravità dei comportamenti descritti attribuendo un
punteggio multiplo.
I due studiosi arrivarono così ad elaborare il Primary Index Scale che consentiva una
buona valutazione della scala di gravità dei reati: dall’omicidio, alla rapina a mano
armata, alla violenza sessuale fino ad arrivare ai rumori molesti o alla frequentazione
di spacci illegali di liquori.
La paura del crimine ha sempre rappresentato un problema sociale di dimensioni più o
meno vaste. Distinguiamo tra paura astratta (preoccupazione generica che riguarda
un fenomeno della società) e paura concreta (timori derivanti da pericoli della vita
quotidiana).
La paura del crimine è stata anche definita come vittimizzazione indiretta in quanto
può colpire anche, come spesso accade, chi non è mai stato vittima di reato.
Da una importante ricerca condotta in Francia nel 2002 dal Cesdip è emerso che il
sentimento di insicurezza non è strettamente correlato con l’essere stati vittimizzati
o meno.
I mass-media amplificano,in modo sempre più spesso esagerato il fenomeno
delinquenziale, fornendo all’utente un’immagine ingigantita e distorta. Non viene

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fornito alla collettività un utile servizio di informazione, ma si va quasi a mode di


reati, a seconda del fatto di cronaca più o meno eclatante e/o emotivo.
Sotto il profilo individuale si possono avere conseguenze di tipo psichico con
insorgenza di particolari stati emotivi di disagio, insicurezza, ansietà, insoddisfazione,
diffidenza (panico morale).
L’inserimento di elementi di “rassicurazione” quali pattuglie di polizia a piedi nei
quartieri si è dimostrato poter incidere in modo benefico sul sentimento di protezione
e sicurezza, con correlativa diminuzione della criminalità.
I giudizi che l’opinione pubblica ha del sistema della giustizia, del suo funzionamento e
della sua efficacia sono piuttosto desolanti:
- Il meccanismo della giustizia è talmente complicato da indurre le vittime a
rinunciare a priori ad esercitare l’azione penale;
- Lentezza dei processi;
- Sensazione che una sentenza sia già stata emessa ancor prima di incominciare il
processo vero e proprio;
- Leggi non al passo con i tempi;
- Discriminazione tra ruoli sociali ed economici;
- Sentenze dei Giudici spesso troppo indulgenti.
La richiesta ai giudici di maggiore severità potrebbe celare soltanto l’esigenza di
sicurezza.
In molti paesi tra cui anche l’Italia, la partecipazione popolare ai problemi della
giustizia è pressoché nulla, ciò contribuisce ad incrementare il clima di sfiducia, di
diffidenza e di insicurezza del cittadino che viene portato ad esprimere giudizi
pesanti su tutto il sistema.
Con l’espressione fenomeno Cogne (dal nome della località valdostana in cui si è
tristemente consumato l’omicidio di un bambino di tre anni) si intende il riferimento a
tutti quei casi di dinamiche etero-distruttive o auto-distruttive che, per le modalità
cruenti e ripugnanti alla comune morale, diventano un fenomeno mediatico di ampiezza
e rilevanza tali da incidere sul vissuto collettivo di un’intera comunità.
Compito del criminologo o psichiatra che sia è quello di tentare di far comprendere
anche all’uomo di strada che il crimine è un fatto unico e complesso, ed è necessario
studiare il sistema delle azioni, relazioni, livello psicologico, sociale e normativo, al di
fuori di semplici riduzionismi o di facili sillogismi logici. Tutto ciò può essere fatto
solo su mandato istituzionale (o difensivo) nelle more di un giudizio; fuori da questi
casi il criminologo dovrebbe astenersi da qualsiasi giudizio o interpretazione fino alla
conclusione della vicenda.

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