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CORSO DI FORMAZIONE ECM

VITTIMIZZAZIONE SECONDARIA E VIOLENZA NEI


CONTESTI ISTITUZIONALI
DIPARTIMENTO SALUTE MENTALE
SERVIZIO TSMREE
SERVIZIO ASL ROMA 3 “PREVENZIONE E CURA DELL’ABUSO
E DEL MALTRATTAMENTO ALL’INFANZIA”

ROMA, 25 novembre 2022


Sessione
“VITTIMIZZAZIONE SECONDARIA E VIOLENZA
NEI CONTESTI ISTITUZIONALI: CLINICA DEL
TRAUMA, RETE DEI SERVIZI E RICERCA
SCIENTIFICA»

Florido FALCIONI - Integrazione e unitarietà dei


Servizi locali di prossimità
https://www.anpi.it/articoli/2743/grido-muto-il-
video-promosso-dal-coordinamento-donne-anpi
-per-il-25-novembre
Il processo a Artemisia Gentileschi
Nata a Roma nel 1593
era figlia di Orazio,
pittore dell’epoca e
amico di Caravaggio
….la sua vita fu segnata
da un terribile dramma,
uno stupro...

Susanna e i Vecchioni 1610


• Nel 1611 il padre decise di farla studiare
prospettiva presso un pittore vedutista suo
collaboratore Agostino Tassi soprannominato
‘lo smargiasso’.
• Una notte Tassi, che era sposato, entrò nella
camera di Artemisia e la violentò.
• Quando Orazio apprese che Agostino era in
realtà già sposato intentò un processo contro
di lui.
Poiché la sua testimonianza non era considerata
attendibile, al processo Artemisia fu sottoposta alla
tortura dei Sibilli, o la morsa della Sibilla così chiamata
perché con essa, per mezzo di un doloroso
stritolamento delle mani, ci si aspettava di ottenere la
verità.
Artemisia non essendo vergine, la sua testimonianza
non aveva valore probatorio:
solo la tortura poteva conferire valore di prova alla sua
testimonianza.
Il 27 novembre 1612 viene emessa la
sentenza
Tassi viene incarcerato per otto mesi, poi accusato di
furti, debiti, sodomia, dell’incesto con la cognata e di
essere il mandatario dell’omicidio della moglie, poi
fuggita miracolosamente.
Così Artemisia diventa la prima donna a far condannare
il proprio violentatore
Giuditta decapita
Oloferne,
1614-1620
La violenza
Per comprendere come possa avvenire una vittimizzazione
secondaria possiamo partire dal concetto di violenza …
Articolo 3 – con l’espressione “violenza nei confronti delle donne” si
intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di
discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di
violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di
provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o
economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o
la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella
vita privata [CONVENZIONE DI INSTANBUL, Convenzione del Consiglio
d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti
delle donne e la violenza domestica Istanbul, 11 maggio 2011]
Cos’è la vittimizzazione secondaria
Una condizione di ulteriore sofferenza e oltraggio sperimentata dalla
vittima in relazione ad un atteggiamento di insufficiente attenzione, o
di negligenza, da parte delle agenzie di controllo formale nella fase del
loro intervento e si manifesta nelle ulteriori conseguenze psicologiche
negative che la vittima subisce (Rossi L., L’analisi investigativa nella
psicologia criminale. Vittimologia: aspetti teorici e casi pratici, Milano,
Giuffrè, 2005, p. 417. Toni C., “Il minore abusato: parte offesa e
testimone nel processo penale. La vittimizzazione secondaria quale
fonte di danno e le nuove frontiere del risarcimento aperte dalle
Sezioni Unite 11 novembre 2008, n. 26972”, in Rivista di Criminologia,
Vittimologia e Sicurezza, 2009, vol. III, n. 1, pp. 72-86).
Secondo la Raccomandazione numero 8 del 2006
del Consiglio d’Europa significa la vittimizzazione
che si verifica attraverso la risposta di istituzioni e
individui alla vittima
La violenza semplicemente non viene riconosciuta
e confusa con il “conflitto”, riducendo il tutto ad
una mera dinamica disfunzionale.
“La vittimizzazione secondaria si manifesta come
una conseguenza aggravata e prolungata di
certe azioni criminose; essa origina da
atteggiamenti delle autorità giudiziarie di
diniego nei riguardi della vittima in una
condizione di mancanza di supporto, se non di
biasimo e/o alienazione”
Spesso si aggiunge una incapacità dei
servizi di comprendere e percepire gli esiti
devastanti che l’evento vittimizzante
produce sulla vita quotidiana della vittima
Vittimizzazione secondaria sui minori
La ricerca ha mostrato che oltre ad essere oggetto di aggressione fisica e
verbale e di esclusione sociale, la vittima di atti di bullismo è anche respinta
dai pari.
Per alcuni autori la delicata posizione del minore “conteso” tra i genitori e
l’autorità giudiziaria configura una ipotesi di vittimizzazione secondaria
«Una cospicua letteratura identifica nella partecipazione del minore vittima di
abuso sessuale alle procedure giudiziarie una circostanza di ulteriore
sofferenza, soprattutto nella fase di escussione della testimonianza. Benché
gli ordinamenti giuridici e le istituzioni siano attenti a non pregiudicare uno
stato psicologico già compromesso emergono molteplici difficoltà relative al
trattamento del minore abusato, che deve necessariamente essere oggetto di
una tutela ulteriore: da una parte, per le conseguenze traumatiche della
violenza; e, dall’altra, per l’incapacità del percorso processuale di rispettare i
tempi di ascolto della vittima»
E sulle donne
L’inadeguatezza istituzionale a fornire un appropriato
sostegno a vittime il cui stato psicologico è già gravemente
compromesso è stata osservata per esempio in
riferimento alle donne che hanno subìto violenza sessuale.
E’ necessario dedicare adeguata attenzione al percorso di
ricostruzione delle sfere di socialità al fine di prevenire gli
esiti della vittimizzazione secondaria nel lungo periodo, tra
cui i disturbi mentali e fisici, la frustrazione della
prospettiva di costruzione di una propria famiglia e di
inserimento lavorativo.
La «disabilità» e la «malattia»
come fattori di rischio
Ad esempio la diffusione dell’infezione da HIV è un
fenomeno di particolare interesse perché associato a
diverse forme di discriminazione sociale e a condizioni
di sofferenza fisica che si riproducono in diversi
meccanismi di vittimizzazione secondaria.
La persona viene vista come una «minaccia» per la
comunità.
La comunità agisce modelli culturali, linguaggi e
comportamenti connessi al fatto che «è colpa di chi ha
la malattia», «può contagiare gli altri» …

Esempi di vittimizzazione secondaria e violenza
istituzionale
Primo caso)
Marilena, un’insegnante di una scuola primaria di periferia di un grande centro
urbano, viene aggredita fisicamente da una mamma a seguito di un rimprovero
fatto al figlio. L’insegnante è nota per la sua bravura.
Viene trasferita il giorno dopo, senza essere informata, in un altro plesso della
scuola. L’insegnante molto turbata per l’aggressione subita ha bisogno di due
giorni di riposo per ritrovare la serenità. Al ritorno si ritrova a subire un nuovo
cambiamento: le vengono tolte le ore sulla classe e viene messa “a
disposizione”.
Il suo dolore è enorme quando neanche le colleghe la chiamano per offrirle
solidarietà. Il gruppo di insegnanti pensa “chissà cosa avrà fatto di male !”
La vita dell’insegnante prosegue ma i traumi vissuti per questa violenza
istituzionale hanno lasciato un segno.
Secondo caso)
Donatella è una donna separata, con una separazione voluta dal marito e un lavoro impiegatizio,
subito dopo la nascita della figlia che lei ha dovuto crescere la stessa da sola con molti sacrifici. La
ragazza risulta essere serena, ha molte amiche e ha buoni risultati a scuola. Il padre della ragazza
ha partecipato solo economicamente al mantenimento previsto in sede giudiziale e spesso ha
saltato il “mantenimento” costringendola ad affrontare grandi problemi economici. Il padre non è
mai andato a parlare con gli insegnanti e non ha seguito la figlia con cui il rapporto è rimasto
quello di qualche telegramma spedito in occasione delle feste natalizie.
Quando la ragazza si avvicina al 15° anno di età, per un’ennesima controversia su questioni
economiche, il padre chiede l’affidamento della figlia che fino a quel momento era stato esclusivo.
Inizia una terribile battaglia giudiziaria dove la madre, che si era dovuta sempre occupare da sola
della bambina, e la figlia vengono sottoposte ad una serie di indagini psicosociali da parte della
CTU nominata dal giudice.
Queste indagini si rilevano nei fatti intrusive, aggressive e abusanti. La donna tenta di chiedere
aiuto al giudice attraverso il suo avvocato ma la causa prosegue per molti mesi con indagini
intrusive anche sulla vita sessuale della donna (sei da sola? Sei lesbica?) e con minacce esplicite
(Metto tua figlia in una casa famiglia, ecc.) anche di fronte ad un altro consulente.
Le assistenti sociali non si presentano alle convocazioni.
La frustrazione e il dolore della donna sono enormi. Dopo circa 1 anno e
mezzo di ammala di un grave carcinoma al seno che affronta con grande
coraggio e determinazione perché deve continuare a prendersi cura della
figlia.
La relazione peritale è impietosa: la donna viene condannata come se fosse
colpevole ad un risarcimento economico e la figlia viene obbligata a vedere il
padre.
Ma la determinazione di Donatella è incrollabile:
inizia un percorso di preghiera, guarisce dopo vari cicli di chemioterapia
e mentre la figlia compie 18 anni, il padre continua a non cercarla, decide di
non voler vedere il padre che non l’ha mai cercata.
Quali sono le cause della vittimizzazione
secondaria e della violenza istituzionale?
Alcune cause…
1)Stereotipi e pregiudizi culturali
2)Sistema di valori di riferimento
3)Problemi organizzativi (mancanza di personale delle istituzioni, scarsità di sedi, ecc.)
4)Scarsa consapevolezza di ciò che con il proprio «comportamento istituzionale» si
genera nell’altro (frustrazione, dolore, senso di smarrimento, riedizione del trauma,
ecc.)
5)Mancata percezione di essere “punti di riferimento” per la persona/le persone che
hanno perso altre figure di riferimento (marito, padre, ecc.)
Possibili soluzioni
1) Implementare un approccio dei servizi sanitari basato sulla
umanizzazione delle cure: persone che vanno incontro alla
persona (per esempio attraverso percorsi di accoglienza attenti ai
bisogni dei pazienti, pianificando interventi di supporto e di ascolto
delle vittime, definendo procedure chiare e tempi certi, individuazione
di un case manager o di figure di riferimento stabili)
2) Migliorare l’integrazione istituzionale tra servizi
3) Comunicazione attenta tra operatori istituzionali e con i pazienti
4) Utilizzare un linguaggio attento, non discriminatorio, rispettoso
delle persone e delle differenze culturali e di genere: l’uso di un
linguaggio “improprio” è una delle forme di discriminazione più
diffuse e, allo stesso tempo, meno percepita come tale. La lingua è
uno strumento che può rafforzare ma anche mettere in crisi pregiudizi,
stereotipi e discriminazioni. Il modo in cui parliamo influisce su come
pensiamo.
Una riflessione…
Secondo voi mancano delle norme e/o delle
procedure che potrebbero favorire la riduzione
dei processi di vittimizzazione secondaria e di
violenza istituzionale ?
Compleanno – Marc
Chagall (1915)
Fattori di rischio
Relativi alla famiglia, amici, partner e pari

• Mancanza della relazione padre-figlio e impossibilità ad instaurare un legame;


• problemi fisici, dello sviluppo o mentali di un membro della famiglia;
• separazioni, come problemi legati a un matrimonio o a una relazione intima,
che sfociano in disturbi mentali del bambino o dell’adulto, tristezza, solitudine,
tensione o controversie in ordine alla custodia del figlio;
• violenza nella famiglia tra genitori, tra bambini o tra genitori e bambini;
• ruoli di genere e ruoli nelle relazioni intime, come il matrimonio, non rispettose della dignità di una o più persone
all’interno dalla famiglia;
• isolamento nella comunità;
• mancanza di una rete di supporto che sia d’aiuto nelle situazioni difficili o di
stress che si possono verificare in una relazione;
• mancanza di sostegno per l’educazione dei figli da parte della famiglia estesa;
• discriminazione della famiglia in ragione dell’etnia, della religione, del genere,
dell’età, dell’orientamento sessuale, della disabilità o dello stile di vita;
• coinvolgimento in attività violente o criminali nella comunità.
“Preventing Child Maltreatment: a guide to taking action and
generatine evidence”, World Health Organisation, 2006
“Preventing Child Maltreatment: a guide to taking action and
generatine evidence” World Health Organisation 2006
Il «Modello ecologico» descrive 4 livelli di fattori di rischio che possono
influenzare comportamenti di abuso e maltrattamento verso i minori:
1) la società (le condizioni di base come le norme sociali che incoraggiano
severe punizioni corporali per i minori, le disuguaglianze economiche e
l’assenza di reti di sicurezza sociale);
2) la comunità (contesti in cui le relazioni sociali hanno luogo, come il
vicinato, i posti di lavoro e le scuole e le particolari caratteristiche di questi
contesti che possono contribuire a creare le condizioni di comportamenti
di abuso/maltrattamento;
3) le relazioni sociali (famiglia, amici, ecc.) che possono influenzare il
rischio per l’individuo sia di commettere che di subire maltrattamenti;
4) l’individuo (variabili biologiche come età e sesso, associate a fattori della
storia personale che possono renderlo più suscettibile a subire abusi).
Fattori di rischio
Relativi alla società
• politiche economiche, sociali sanitarie ed educative che danno luogo a disuguaglianze o instabilità
socioeconomiche ;
• norme sociali e culturali che promuovono o esaltano la violenza verso gli altri, compresa la punizione
corporale, così come presentata da alcuni media, videogiochi, ecc;
• norme sociali e culturali che richiedono ruoli di genere rigidi per gli uomini e per le donne;
• norme sociali e culturali che sminuiscono lo status del minore nella relazione padre-figlio;
• esistenza di casi di pornografia infantile, di prostituzione e lavoro minorile.

Relativi alla comunità


Le caratteristiche degli ambienti di comunità che sono associati ad un maggiore rischio di maltrattamento
sui minori includono:
• tollerabilità della violenza;
• disuguaglianze di genere e sociali nella comunità;
• povertà (mancanza di un alloggio o alloggio inadeguato, alti livelli di disoccupazione, ecc.);
• mancanza di servizi che supportino la famiglia e le istituzioni e che rispondano a bisogni particolari;
• livelli pericolosi di piombo o altre tossine nell’ambiente;
• vicinato che cambia sovente;
• facile reperibilità di alcool;
• commercio locale di droga;
• politiche e programmi inadeguati.
Fattori di rischio
Relativi ai genitori e a chi si prende cura del bambino

Un maggiore rischio di maltrattamento sui minori è associato alla presenza di alcuni fattori di rischio nei genitori o in
altri membri della famiglia (caregivers) quali:
• difficoltà a costruire il legame affettivo con il neonato, conseguentemente, per esempio ad un aborto, una
gravidanza difficile, a complicazioni alla nascita o a un senso di delusione nei confronti del bambino;
• maltrattamenti subiti da bambini;
• mancanza di consapevolezza delle tappe dello sviluppo del bambino o che hanno aspettative irrealistiche che
impediscono la comprensione dei bisogni e dei comportamenti del bambino per esempio, interpretando il
comportamento scorretto del bambino come intenzionale invece che come uno stadio del suo sviluppo;
• risposte inappropriate, eccessive o violente a un comportamento ritenuto scorretto;
• soffrono di problemi fisici e/o psicologici e/o sono affetti da disabilità cognitive che interferiscono con la loro
capacità di crescere i figli;
• evidenziano una mancanza di auto controllo quando sono tristi o arrabbiati;
• abusano di alcool e droga, anche durante la gravidanza, il che incide negativamente sulla capacità di accudire i figli;
• sono coinvolti in attività criminali che danneggiano la relazione genitori e figli;
• sono socialmente isolati;
• sono depressi o evidenziano sentimenti di bassa stima di sé o inadeguatezza, sentimenti che possono essere acuiti
dal non essere in grado di rispondere completamente ai bisogni del bambino e della famiglia;
• dimostrano scarse competenze educative legate alla giovane età o alla mancanza di educazione;
• hanno vissuto difficoltà economiche.
Fattori di protezione
«Sfortunatamente sono state condotte pochissime ricerche sistematiche su questi fattori di protezione
e non sono state ben comprese. La ricerca si è concentrata maggiormente sui fattori di resilienza) che
diminuiscono l’impatto del maltrattamento sulla vittima). Fattori che sembrano facilitare la resilienza
includono:
• attaccamento stabile del minore ai membri adulti della famiglia;
• alti livelli di «attenzione» da parte del padre durante l’infanzia;
• non avere rapporti con pari che delinquono o che abusano di sostanze;
• una relazione affettuosa e di sostegno con un genitore.
Vivere in una comunità con una forte coesione sociale può avere un effetto di protezione e può ridurre
il rischio di violenza, anche quando altri fattori di rischio sono presenti.
Una buon livello di istruzione dei figli, un forte attaccamento tra genitori e minori, tecniche non
corporali positive di disciplina, sono verosimilmente fattori di protezione. Questi elementi
apparentemente protettivi dovrebbero essere incoraggiati, specialmente nelle comunità con livelli di
coesione sociale bassi».
Prevenzione della violenza
Una volta che sia stato identificato un ente di riferimento, il passo successivo è quello di coinvolgere attivamente gli
esperti in materia, provenienti da una vasta gamma di settori, competenti nel campo dei fattori di rischio specifici. I
dibattiti dovrebbero coinvolgere i gruppi della società civile, molti dei quali sono attivi nel campo del maltrattamento e
della protezione minorile. Sforzi particolari dovrebbero inoltre essere profusi per introdurre enti e gruppi della
comunità non tradizionalmente considerati legati al maltrattamento sui minori, ma le cui attività possono avere un
impatto significativo sui fattori di rischio come:
• enti per l’ edilizia agevolata;
• servizi assistenziali per l’infanzia;
• servizi territoriali per la comunità;
• servizi per la pianificazione familiare e la riproduzione umana;
• programmi di prevenzione dell’HIV;
• enti di controllo per le dipendenze da alcool e droga;
• programmi dedicati al contrasto alla violenza contro le donne e alla violenza giovanile;
• media.
Coloro che sono coinvolti in queste istituzioni possono non avere tra gli obiettivi del proprio lavoro la prevenzione del
maltrattamento sui minori tuttavia stanno probabilmente lavorando su politiche e programmi che influenzano i fattori
di rischio alla base del maltrattamento sui minori.
La prevenzione del maltrattamento sui minori beneficia di un programma con un altro obiettivo come ad esempio la
prevenzione dell’abuso di alcool e sostanze.
Prevenzione della violenza:
i programmi di visite domiciliari
Progettare programmi di visite domiciliari
I programmi di visite domiciliari consentono di far pervenire le risorse della
comunità alle famiglie, nelle loro case e sono di comprovata efficacia nella
prevenzione del maltrattamento sui minori.
Un revisione sistematica recente di studi di valutazione (principalmente
americani) mostra una riduzione media del 40% nel maltrattamento sui
minori perpetrato da genitori e altri membri della famiglia che partecipano ai
programmi di visite domiciliari.
Questi programmi sembrano essere promettenti anche nella prevenzione
della violenza giovanile. Durante le visite domiciliari vengono offerte
informazioni e supporto così come altri servizi con lo scopo di migliorare la
vita della famiglia.
Fonte: Centers for Disease Control and Prevention. First reports evaluating the effectiveness of strategies for preventing violence:
early childhood home visitation. Findings from the Task Force on Community Preventive Services. Morbidity and Mortality
Weekly Report, 2003, 52:1–9. Disponibile al sito: <http://www.cdc.gov/mmwr/preview/mmwrhtml/rr5214a1.htm>
Normativa di riferimento nazionale
DPCM 12 gennaio 2017 “Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di
assistenza, di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502 dove è prevista al Capo IV articolo 24 l’“Assistenza sociosanitaria
ai minori, alle donne, alle coppie, alle famiglie” che prevede espressamente
che: “1. Nell’ambito dell'assistenza distrettuale, domiciliare e territoriale ad
accesso diretto, il Servizio sanitario nazionale garantisce alle donne, ai minori,
alle coppie e alle famiglie, le prestazioni, anche domiciliari, mediche
specialistiche, diagnostiche e terapeutiche, ostetriche, psicologiche e
psicoterapeutiche […] necessarie ed appropriate nei seguenti ambiti di
attività:
•Comma 1 […] lettera m) prevenzione, valutazione, assistenza e supporto
psicologico ai minori in situazione di disagio, in stato di abbandono o vittime
di maltrattamenti e abusi e lettera n) psicoterapia (individuale, di coppia,
familiare, di gruppo).
Normativa di riferimento nazionale
Decreto del Ministero della Salute del 3 aprile 2017 “Linee guida per la programmazione
degli interventi di assistenza e riabilitazione nonché per il trattamento dei disturbi psichici dei
titolari dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria che hanno subito
torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale” (Accordo Stato
Regioni e PA n. CSR 43 del 30 marzo 2017): nel suddetto documento è previsto, tra l’altro,
che durante gli interventi sanitari dovrà essere garantita la presenza di un mediatore
linguistico-culturale, adeguatamente formato (recepito con D.G.R. n. 590/2018 recante
“Approvazione del documento concernente “Indicazioni e procedure per l’accoglienza e la
tutela sanitaria dei richiedenti protezione internazionale” che recepisce il suddetto Decreto)

Legge 7 aprile 2017, n. 47 “Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori


stranieri non accompagnati”
Normativa di riferimento regionale
D.G.R. n. 3846 del 13/7/1999 recante “Linee
Guida per la prevenzione e cura di violenze e
abuso sui minori” nella quale vengono anche
identificati per i casi di violenza e/o abuso in
danno di minori i Centri di riferimento presso
strutture ospedaliere dotate di Pronto Soccorso
o di D.E.A.
Regione Lazio
Decreto del Commissario ad Acta n. 165 del 15
maggio 2019
«Potenziamento della Rete regionale in materia
di contrasto all’abuso, al maltrattamento e al
bullismo ai danni di minori – Linee guida per
l’attività delle Équipe Specialistiche di 2° livello
dei Servizi TSMREE”: approvazione documento».
Il documento tecnico prevede…
Dai servizi TSMREE “viene assicurata una presa in carico globale integrata, attraverso équipes
multidisciplinari, del soggetto in età evolutiva […] ma anche della sua famiglia e viene, altresì, assicurata
l’integrazione con i servizi sociali, educativi e scolastici, il raccordo con l’autorità giudiziaria, nonché, il
coordinamento con i Centri di Riabilitazione”.

La necessità che la presa in carico e la valutazione del minore e/o della famiglia per i casi che rientrano nei
sospetti abusi e/o maltrattamenti durante le indagini giudiziarie sia chiaramente differenziata, dal punto di
vista clinico e organizzativo all’interno del Servizi TSMREE, dal ruolo degli operatori che effettuano il
trattamento psicologico e, in particolare, la psicoterapia con il minore o i minori.

L’istituzione in ogni ASL n. 1 Équipe Specialistiche di 2° livello all’interno dei Servizi TSMREE e che tali équipe
saranno composte da un modulo organizzativo di base che prevede n. 1 psicologo/psicoterapeuta esperto
con almeno 10 anni di esperienza documentata in campo di abusi e maltrattamenti sui minori (con funzioni
di coordinamento dell’equipe e di supervisore) e da operatori psicologi/psicoterapeuti specializzati e con
almeno 5 anni di esperienza documentata in campo di abusi e maltrattamenti sui minori presenti per
almeno 60 ore settimanali, preferibilmente articolate in massimo 20 ore settimanali per operatore.
Il modello
L’équipe specialistica per il contrasto agli abusi, maltrattamenti e al bullismo è
un’articolazione organizzativa e funzionale di secondo livello dello stesso
Servizio TSMREE.

Tale “Équipe per il contrasto agli abusi” sarà un’organizzazione funzionale in


grado di supportare il Servizio TSMREE nell’attività di valutazione dei sospetti
casi di abuso, nella presa in carico terapeutica e nell’integrazione con i Servizi
Territoriali di Zona, con il Servizio Sociale Professionale e con il Tribunale dei
Minorenni, favorendo la condivisione progettuale, decisionale, metodologica
ed operativa a beneficio dei minori sottoposti a situazioni interpersonali
potenzialmente traumatiche e delle loro famiglie.
Équipe specialistica: composizione e collocazione
territorialeesperto
- n. 1 psicologo/psicoterapeuta dell’équipe
con almeno specialistica
10 anni di esperienza in campo di
abusi e maltrattamenti sui minori (con funzioni di coordinamento dell’equipe e di
supervisore);
- operatori psicologi/psicoterapeuti specializzati e con almeno 5 anni di esperienza in
campo di abusi e maltrattamenti sui minori.
L’equipe minima deve essere composta dal supervisore e da un numero di operatori
psicologi/psicoterapeuti presenti per almeno 60 ore settimanali preferibilmente
articolate in massimo 20 ore settimanali per operatore.
Sul territorio della Regione Lazio sarà dislocata una équipe specialistica per ogni ASL in
modo tale da consentire la completa copertura di tutto il territorio regionale, tenendo
conto della numerosità del bacino di utenza e della composizione sociale del territorio.
Dovrà essere garantito lo svolgimento delle attività dell’equipe in locali idonei, anche in
orari extrascolastici, garantendo massima riservatezza e tranquillità ed evitando al
minore e alla famiglia inutili tempi di attesa.

Équipe specialistica: condizioni per l’intervento
Nel merito le équipe specialistiche offriranno il loro contributo tenendo conto
che il danno ad un minore è tanto maggiore quanto più:
•Il maltrattamento resta sommerso e non viene individuato;
•Il maltrattamento è ripetuto nel tempo ed effettuato con violenza e
coercizione;
•La risposta di protezione alla vittima nel suo contesto familiare o sociale
ritarda;
•Il vissuto traumatico resta non espresso o non elaborato;
•La dipendenza fisica e/o psicologica e/o sessuale tra la vittima e il soggetto
maltrattante è forte;
•Il legame tra la vittima e il soggetto maltrattante è di tipo familiare;
•Lo stadio di sviluppo ed i fattori di rischio presenti nella vittima favoriscono
una evoluzione negativa.
Équipe specialistica: attività
Ogni équipe specialistica assume la competenza, per il territorio aziendale o
interaziendale, della valutazione e l’eventuale presa in carico delle situazioni
di minori vittime di abuso sessuale, di grave maltrattamento/maltrattamento,
di violenza assistita e di minori autori di reato di abuso
sessuale/maltrattamenti, costituendosi quindi come servizio di secondo
livello a disposizione dei servizi territoriali aziendali.
Dovrà quindi assicurare le seguenti attività:
• Erogazione di consulenze specialistiche a seguito di esplicita richiesta agli
operatori dei Servizi territoriali, con la funzione di decodificare la domanda e
offrire indicazioni in merito alla gestione del minore favorendone la corretta
valutazione diagnostica specialistica e presa in carico terapeutica in caso di
abuso sessuale e/o grave maltrattamento;
•Presa in carico terapeutica in caso di abuso sessuale e/o grave
maltrattamento;
•Raccordo con i servizi sociali.
Équipe specialistica: Modalità di accesso

Il Servizio TSMREE è il servizio aziendale preposto alla raccolta delle


segnalazioni in tema di maltrattamento e di abusi sui minori. Tali segnalazioni
possono provenire, tra l’altro, dai servizi sociali del territorio, dalle scuole, dal
Tribunale per i Minorenni, dai pronto soccorso, dalle famiglie. L’accesso alle
équipe specialistiche avviene tramite richiesta di consulenza da parte degli
operatori dei servizi territoriali, anche telefonica, anche in situazione
conclamata con caratteristiche di urgenza.
Se è necessario procedere con un approfondimento della situazione, gli
operatori dell’équipe daranno indicazioni di inviare formale richiesta alla
Direzione TSMREE di appartenenza dell’équipe specialistica che valuterà la
pertinenza rispetto al mandato istituzionale dell’équipe stessa.
Équipe specialistica:
modalità di erogazione della consulenza

La consulenza dell’équipe specialistica potrà essere erogata secondo due diverse


modalità:

•Supporto telefonico: viene garantita una risposta tempestiva ed efficace per


ottimizzare le azioni di intervento sull’utenza e per supportare i Servizi nella loro
operatività.

•Consulenza de visu: incontro con il Servizio Inviante per la raccolta della


richiesta.
Obiettivi dell’intervento

Nell’ambito dell’intervento si dovrà comprendere e valutare:


- il quadro complessivo della situazione traumatica ipoteticamente subita o
agita dal minore nei suoi aspetti individuali, relazionali e sociali;
- gli effetti determinati dalla situazione traumatica sul minore vittima o sul
minore autore;
- i fattori individuali, relazionali e socioculturali che hanno determinato
l’insorgere delle condotte pregiudizievoli a danno del minore o da parte del
minore autore;
- il grado di assunzione di responsabilità da parte degli adulti/caregivers
coinvolti e le possibilità di cambiamento.
Fasi della consulenza
La consulenza sarà articolata in quattro fasi:
1) Analisi della richiesta in termini di pertinenza e individuazione delle criticità
cliniche e gestionali;
2) Presa visione o richiesta di documenti rilevanti dal punto di vista giuridico e
clinico;
3) Individuazione e condivisione di strategie di gestione delle esigenze di
salute del minore e della sua famiglia a breve e a lungo termine;
4) Ascolto del minore.

Al termine del processo l’equipe specialistica ha acquisito le informazioni


necessarie per la valutazione in rete con i servizi interessati.
La valutazione di rete
Il processo di valutazione si svolge tramite riunione di gruppo di lavoro convocate dal
servizio titolare del caso che provvederà a individuarne i partecipanti.
La valutazione prevede le seguenti fasi:
• Applicazione dei criteri di pertinenza;
•Presa visione (da parte dell’équipe specialistica) di documenti clinicamente e
giuridicamente rilevanti;
•Rilevazione delle esigenze di salute del minore (rilevazione indicatori abuso sessuale,
anticipazioni sull’assetto famigliare, scolastico, sociale in cui in minore vive) e
individuazione delle criticità cliniche e gestionali;
•Condivisione di strategie di gestione delle esigenze di salute del minore e della sua
famiglia a breve e a lungo termine;
•Pianificazione delle azioni di intervento del Servizio Territoriale e dell’équipe
specialistica;
•Stesura report degli esiti della valutazione;
•Monitoraggio degli accordi consulenziali condivisi.
La valutazione di rete
La valutazione può concludersi con tre possibili evoluzioni:

1) Chiusura della consulenza da parte dell’équipe specialistica, il servizio


titolare mantiene il progetto di intervento sul caso, secondo le proprie
competenze;
2) L’ équipe specialistica e servizio titolare concordano un progetto che
prevede interventi del servizio e un confronto periodico tra servizio stesso e
l’équipe specialistica per valutare ulteriori elementi emersi e/o l’evoluzione
del caso in modo tale da instaurare un rapporto finalizzato al monitoraggio;
3) Formulazione di un progetto per la presa in carico diagnostica/terapeutica
da parte dell’équipe specialistica, con scheda progetto firmata da tutti i servizi
presenti all’incontro.

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