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IL TRAUMA CUMULATIVO IN INFANZIA E

ADOLESCENZA: SISTEMI IN RETE PER LA CURA E


L’ORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI
ROMA, 7-8 ottobre 2019

Prima sessione
“I servizi dedicati al trauma in infanzia e adolescenza”

“Regione Lazio: Servizi Pubblici dedicati agli abusi e ai


maltrattamenti in infanzia e adolescenza”
Florido Falcioni *
* Si ringrazia per il prezioso contributo la dr.ssa Susan French
La condanna di Goya
Acquaforte n. 25 serie Los
Caprichos dal titolo: «Si
quebrò el càntaro» («Ho
rotto solo la brocca»), 1799
Un bambino con le natiche
scoperte viene picchiato da
una vecchia con una
scarpa.
La «nascita» dell’abuso infantile e
la «consapevolezza istituzionale»
«L’espressione «abuso infantile» come modo per descrivere e classificare
azioni e comportamenti venne adottata durante le discussioni e le
osservazioni che ebbero luogo a Denver, in Colorado, intorno al 1960,
1960 e
divenne per la prima volta di dominio pubblico al meeting dell’American
Medical Association nel 1961. […]
L’abuso infantile emerse come una delle prime cause sociopolitiche negli
anni sessanta, sebbene divenne veramente radicale solo alla fine del
decennio. […] La prima formale organizzazione rivolta a combattere la
crudeltà sui bambini fu la New York Society for the Prevention of Cruelty
to Children, istituita nel 1874, come affiliata alla Humane Society, il cui
compito era di prevenire la crudeltà verso gli animali» (Ian Hacking, La
natura della scienza. Riflessioni sul costruzionismo, 2000).
Nasce un’organizzazione internazionale
Il primo giornale professionale
dedicato all’abuso infantile, il «Child
Abuse and Neglect», venne fondato
nel 1977 a Ginevra.
Da qual momento si organizzarono
convegni in tutto il mondo: nel 1986
in Australia, nel 1988 in Brasile.
OMS: violenza e abuso….
L’OMS ha definito la violenza all’infanzia come “uso intenzionale
della forza fisica o del potere, minacciato o effettivo, sui bambini
da parte di un individuo o di un gruppo, che abbia conseguenze o
grandi probabilità di avere conseguenze dannose, potenziali o
effettive, sulla salute, la vita, lo sviluppo o la dignità dei bambini”
(World Report on Violence and Health, 2002).
Secondo tale definizione si configura una condizione di abuso e
di maltrattamento allorché genitori, tutori o persone incaricate
della vigilanza e custodia di un bambino approfittino della loro
condizione di privilegio e si comportino in contrasto con quanto
previsto dalla Convenzione ONU di New York sui Diritti del
Fanciullo del 1989.
“Preventing Child Maltreatment: a guide to taking action and
generatine evidence”, World Health Organisation, 2006
“Preventing Child Maltreatment: a guide to taking action and
generatine evidence” World Health Organisation 2006
Il «Modello ecologico» descrive 4 livelli di fattori di rischio che possono
influenzare comportamenti di abuso e maltrattamento verso i minori:
1) la società (le condizioni di base come le norme sociali che incoraggiano
severe punizioni corporali per i minori, le disuguaglianze economiche e
l’assenza di reti di sicurezza sociale);
2) la comunità (contesti in cui le relazioni sociali hanno luogo, come il
vicinato, i posti di lavoro e le scuole e le particolari caratteristiche di questi
contesti che possono contribuire a creare le condizioni di comportamenti
di abuso/maltrattamento;
3) le relazioni sociali (famiglia, amici, ecc.) che possono influenzare il
rischio per l’individuo sia di commettere che di subire maltrattamenti;
4) l’individuo (variabili biologiche come età e sesso, associate a fattori della
storia personale che possono renderlo più suscettibile a subire abusi).
Fattori di rischio
Relativi alla società
• politiche economiche, sociali sanitarie ed educative che danno luogo a disuguaglianze o instabilità
socioeconomiche ;
• norme sociali e culturali che promuovono o esaltano la violenza verso gli altri, compresa la punizione
corporale, così come presentata da alcuni media, videogiochi, ecc;
• norme sociali e culturali che richiedono ruoli di genere rigidi per gli uomini e per le donne;
• norme sociali e culturali che sminuiscono lo status del minore nella relazione padre-figlio;
• esistenza di casi di pornografia infantile, di prostituzione e lavoro minorile.

Relativi alla comunità


Le caratteristiche degli ambienti di comunità che sono associati ad un maggiore rischio di maltrattamento
sui minori includono:
• tollerabilità della violenza;
• disuguaglianze di genere e sociali nella comunità;
• povertà (mancanza di un alloggio o alloggio inadeguato, alti livelli di disoccupazione, ecc.);
• mancanza di servizi che supportino la famiglia e le istituzioni e che rispondano a bisogni particolari;
• livelli pericolosi di piombo o altre tossine nell’ambiente;
• vicinato che cambia sovente;
• facile reperibilità di alcool;
• commercio locale di droga;
• politiche e programmi inadeguati.
Fattori di rischio
Relativi alla famiglia, amici, partner e pari

• Mancanza della relazione padre-figlio e impossibilità ad instaurare un legame;


• problemi fisici, dello sviluppo o mentali di un membro della famiglia;
• separazioni, come problemi legati a un matrimonio o a una relazione intima,
che sfociano in disturbi mentali del bambino o dell’adulto, tristezza, solitudine,
tensione o controversie in ordine alla custodia del figlio;
• violenza nella famiglia tra genitori, tra bambini o tra genitori e bambini;
• ruoli di genere e ruoli nelle relazioni intime, come il matrimonio, non rispettose della dignità di una o più persone
all’interno dalla famiglia;
• isolamento nella comunità;
• mancanza di una rete di supporto che sia d’aiuto nelle situazioni difficili o di
stress che si possono verificare in una relazione;
• mancanza di sostegno per l’educazione dei figli da parte della famiglia estesa;
• discriminazione della famiglia in ragione dell’etnia, della religione, del genere,
dell’età, dell’orientamento sessuale, della disabilità o dello stile di vita;
• coinvolgimento in attività violente o criminali nella comunità.
Fattori di rischio
Relativi ai genitori e a chi si prende cura del bambino

Un maggiore rischio di maltrattamento sui minori è associato alla presenza di alcuni fattori di rischio nei genitori o in
altri membri della famiglia (caregivers) quali:
• difficoltà a costruire il legame affettivo con il neonato, conseguentemente, per esempio ad un aborto, una
gravidanza difficile, a complicazioni alla nascita o a un senso di delusione nei confronti del bambino;
• maltrattamenti subiti da bambini;
• mancanza di consapevolezza delle tappe dello sviluppo del bambino o che hanno aspettative irrealistiche che
impediscono la comprensione dei bisogni e dei comportamenti del bambino per esempio, interpretando il
comportamento scorretto del bambino come intenzionale invece che come uno stadio del suo sviluppo;
• risposte inappropriate, eccessive o violente a un comportamento ritenuto scorretto;
• soffrono di problemi fisici e/o psicologici e/o sono affetti da disabilità cognitive che interferiscono con la loro
capacità di crescere i figli;
• evidenziano una mancanza di auto controllo quando sono tristi o arrabbiati;
• abusano di alcool e droga, anche durante la gravidanza, il che incide negativamente sulla capacità di accudire i figli;
• sono coinvolti in attività criminali che danneggiano la relazione genitori e figli;
• sono socialmente isolati;
• sono depressi o evidenziano sentimenti di bassa stima di sé o inadeguatezza, sentimenti che possono essere acuiti
dal non essere in grado di rispondere completamente ai bisogni del bambino e della famiglia;
• dimostrano scarse competenze educative legate alla giovane età o alla mancanza di educazione;
• hanno vissuto difficoltà economiche.
Fattori di protezione
«Sfortunatamente sono state condotte pochissime ricerche sistematiche su questi fattori di protezione
e non sono state ben comprese. La ricerca si è concentrata maggiormente sui fattori di resilienza) che
diminuiscono l’impatto del maltrattamento sulla vittima). Fattori che sembrano facilitare la resilienza
includono:
• attaccamento stabile del minore ai membri adulti della famiglia;
• alti livelli di «attenzione» da parte del padre durante l’infanzia;
• non avere rapporti con pari che delinquono o che abusano di sostanze;
• una relazione affettuosa e di sostegno con un genitore.
Vivere in una comunità con una forte coesione sociale può avere un effetto di protezione e può ridurre
il rischio di violenza, anche quando altri fattori di rischio sono presenti.
Una buon livello di istruzione dei figli, un forte attaccamento tra genitori e minori, tecniche non
corporali positive di disciplina, sono verosimilmente fattori di protezione. Questi elementi
apparentemente protettivi dovrebbero essere incoraggiati, specialmente nelle comunità con livelli di
coesione sociale bassi».
Prevenzione della violenza
Una volta che sia stato identificato un ente di riferimento, il passo successivo è quello di coinvolgere attivamente gli
esperti in materia, provenienti da una vasta gamma di settori, competenti nel campo dei fattori di rischio specifici. I
dibattiti dovrebbero coinvolgere i gruppi della società civile, molti dei quali sono attivi nel campo del maltrattamento e
della protezione minorile. Sforzi particolari dovrebbero inoltre essere profusi per introdurre enti e gruppi della
comunità non tradizionalmente considerati legati al maltrattamento sui minori, ma le cui attività possono avere un
impatto significativo sui fattori di rischio come:
• enti per l’ edilizia agevolata;
• servizi assistenziali per l’infanzia;
• servizi territoriali per la comunità;
• servizi per la pianificazione familiare e la riproduzione umana;
• programmi di prevenzione dell’HIV;
• enti di controllo per le dipendenze da alcool e droga;
• programmi dedicati al contrasto alla violenza contro le donne e alla violenza giovanile;
• media.
Coloro che sono coinvolti in queste istituzioni possono non avere tra gli obiettivi del proprio lavoro la prevenzione del
maltrattamento sui minori tuttavia stanno probabilmente lavorando su politiche e programmi che influenzano i fattori
di rischio alla base del maltrattamento sui minori.
La prevenzione del maltrattamento sui minori beneficia di un programma con un altro obiettivo come ad esempio la
prevenzione dell’abuso di alcool e sostanze.
Prevenzione della violenza:
i programmi di visite domiciliari
Progettare programmi di visite domiciliari
I programmi di visite domiciliari consentono di far pervenire le risorse della
comunità alle famiglie, nelle loro case e sono di comprovata efficacia nella
prevenzione del maltrattamento sui minori.
Un revisione sistematica recente di studi di valutazione (principalmente
americani) mostra una riduzione media del 40% nel maltrattamento sui
minori perpetrato da genitori e altri membri della famiglia che partecipano ai
programmi di visite domiciliari.
Questi programmi sembrano essere promettenti anche nella prevenzione
della violenza giovanile. Durante le visite domiciliari vengono offerte
informazioni e supporto così come altri servizi con lo scopo di migliorare la
vita della famiglia.
Fonte: Centers for Disease Control and Prevention. First reports evaluating the effectiveness of strategies for preventing violence:
early childhood home visitation. Findings from the Task Force on Community Preventive Services. Morbidity and Mortality
Weekly Report, 2003, 52:1–9. Disponibile al sito: <http://www.cdc.gov/mmwr/preview/mmwrhtml/rr5214a1.htm>
Normativa di riferimento nazionale
DPCM 12 gennaio 2017 “Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di
assistenza, di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502 dove è prevista al Capo IV articolo 24 l’“Assistenza sociosanitaria
ai minori, alle donne, alle coppie, alle famiglie” che prevede espressamente
che: “1. Nell’ambito dell'assistenza distrettuale, domiciliare e territoriale ad
accesso diretto, il Servizio sanitario nazionale garantisce alle donne, ai minori,
alle coppie e alle famiglie, le prestazioni, anche domiciliari, mediche
specialistiche, diagnostiche e terapeutiche, ostetriche, psicologiche e
psicoterapeutiche […] necessarie ed appropriate nei seguenti ambiti di
attività:
•Comma 1 […] lettera m) prevenzione, valutazione, assistenza e supporto
psicologico ai minori in situazione di disagio, in stato di abbandono o vittime
di maltrattamenti e abusi e lettera n) psicoterapia (individuale, di coppia,
familiare, di gruppo).
Normativa di riferimento nazionale
Decreto del Ministero della Salute del 3 aprile 2017 “Linee guida per la programmazione
degli interventi di assistenza e riabilitazione nonché per il trattamento dei disturbi psichici dei
titolari dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria che hanno subito
torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale” (Accordo Stato
Regioni e PA n. CSR 43 del 30 marzo 2017): nel suddetto documento è previsto, tra l’altro,
che durante gli interventi sanitari dovrà essere garantita la presenza di un mediatore
linguistico-culturale, adeguatamente formato (recepito con D.G.R. n. 590/2018 recante
“Approvazione del documento concernente “Indicazioni e procedure per l’accoglienza e la
tutela sanitaria dei richiedenti protezione internazionale” che recepisce il suddetto Decreto)

Legge 7 aprile 2017, n. 47 “Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori


stranieri non accompagnati”
Normativa di riferimento regionale
D.G.R. n. 3846 del 13/7/1999 recante “Linee
Guida per la prevenzione e cura di violenze e
abuso sui minori” nella quale vengono anche
identificati per i casi di violenza e/o abuso in
danno di minori i Centri di riferimento presso
strutture ospedaliere dotate di Pronto Soccorso
o di D.E.A.
Regione Lazio
Decreto del Commissario ad Acta n. 165 del 15
maggio 2019
«Potenziamento della Rete regionale in materia
di contrasto all’abuso, al maltrattamento e al
bullismo ai danni di minori – Linee guida per
l’attività delle Équipe Specialistiche di 2° livello
dei Servizi TSMREE”: approvazione documento».
Il documento tecnico prevede…
Dai servizi TSMREE “viene assicurata una presa in carico globale integrata, attraverso équipes
multidisciplinari, del soggetto in età evolutiva […] ma anche della sua famiglia e viene, altresì, assicurata
l’integrazione con i servizi sociali, educativi e scolastici, il raccordo con l’autorità giudiziaria, nonché, il
coordinamento con i Centri di Riabilitazione”.

La necessità che la presa in carico e la valutazione del minore e/o della famiglia per i casi che rientrano nei
sospetti abusi e/o maltrattamenti durante le indagini giudiziarie sia chiaramente differenziata, dal punto di
vista clinico e organizzativo all’interno del Servizi TSMREE, dal ruolo degli operatori che effettuano il
trattamento psicologico e, in particolare, la psicoterapia con il minore o i minori.

L’istituzione in ogni ASL n. 1 Équipe Specialistiche di 2° livello all’interno dei Servizi TSMREE e che tali équipe
saranno composte da un modulo organizzativo di base che prevede n. 1 psicologo/psicoterapeuta esperto
con almeno 10 anni di esperienza documentata in campo di abusi e maltrattamenti sui minori (con funzioni
di coordinamento dell’equipe e di supervisore) e da operatori psicologi/psicoterapeuti specializzati e con
almeno 5 anni di esperienza documentata in campo di abusi e maltrattamenti sui minori presenti per
almeno 60 ore settimanali, preferibilmente articolate in massimo 20 ore settimanali per operatore.
Il modello
L’équipe specialistica per il contrasto agli abusi, maltrattamenti e al bullismo è
un’articolazione organizzativa e funzionale di secondo livello dello stesso
Servizio TSMREE.

Tale “Équipe per il contrasto agli abusi” sarà un’organizzazione funzionale in


grado di supportare il Servizio TSMREE nell’attività di valutazione dei sospetti
casi di abuso, nella presa in carico terapeutica e nell’integrazione con i Servizi
Territoriali di Zona, con il Servizio Sociale Professionale e con il Tribunale dei
Minorenni, favorendo la condivisione progettuale, decisionale, metodologica
ed operativa a beneficio dei minori sottoposti a situazioni interpersonali
potenzialmente traumatiche e delle loro famiglie.
Équipe specialistica: composizione e collocazione
territorialeesperto
- n. 1 psicologo/psicoterapeuta dell’équipe
con almeno specialistica
10 anni di esperienza in campo di
abusi e maltrattamenti sui minori (con funzioni di coordinamento dell’equipe e di
supervisore);
- operatori psicologi/psicoterapeuti specializzati e con almeno 5 anni di esperienza in
campo di abusi e maltrattamenti sui minori.
L’equipe minima deve essere composta dal supervisore e da un numero di operatori
psicologi/psicoterapeuti presenti per almeno 60 ore settimanali preferibilmente
articolate in massimo 20 ore settimanali per operatore.
Sul territorio della Regione Lazio sarà dislocata una équipe specialistica per ogni ASL in
modo tale da consentire la completa copertura di tutto il territorio regionale, tenendo
conto della numerosità del bacino di utenza e della composizione sociale del territorio.
Dovrà essere garantito lo svolgimento delle attività dell’equipe in locali idonei, anche in
orari extrascolastici, garantendo massima riservatezza e tranquillità ed evitando al
minore e alla famiglia inutili tempi di attesa.

Équipe specialistica: condizioni per l’intervento
Nel merito le équipe specialistiche offriranno il loro contributo tenendo conto
che il danno ad un minore è tanto maggiore quanto più:
•Il maltrattamento resta sommerso e non viene individuato;
•Il maltrattamento è ripetuto nel tempo ed effettuato con violenza e
coercizione;
•La risposta di protezione alla vittima nel suo contesto familiare o sociale
ritarda;
•Il vissuto traumatico resta non espresso o non elaborato;
•La dipendenza fisica e/o psicologica e/o sessuale tra la vittima e il soggetto
maltrattante è forte;
•Il legame tra la vittima e il soggetto maltrattante è di tipo familiare;
•Lo stadio di sviluppo ed i fattori di rischio presenti nella vittima favoriscono
una evoluzione negativa.
Équipe specialistica: attività
Ogni équipe specialistica assume la competenza, per il territorio aziendale o
interaziendale, della valutazione e l’eventuale presa in carico delle situazioni
di minori vittime di abuso sessuale, di grave maltrattamento/maltrattamento,
di violenza assistita e di minori autori di reato di abuso
sessuale/maltrattamenti, costituendosi quindi come servizio di secondo
livello a disposizione dei servizi territoriali aziendali.
Dovrà quindi assicurare le seguenti attività:
• Erogazione di consulenze specialistiche a seguito di esplicita richiesta agli
operatori dei Servizi territoriali, con la funzione di decodificare la domanda e
offrire indicazioni in merito alla gestione del minore favorendone la corretta
valutazione diagnostica specialistica e presa in carico terapeutica in caso di
abuso sessuale e/o grave maltrattamento;
•Presa in carico terapeutica in caso di abuso sessuale e/o grave
maltrattamento;
•Raccordo con i servizi sociali.
Équipe specialistica: Modalità di accesso

Il Servizio TSMREE è il servizio aziendale preposto alla raccolta delle


segnalazioni in tema di maltrattamento e di abusi sui minori. Tali segnalazioni
possono provenire, tra l’altro, dai servizi sociali del territorio, dalle scuole, dal
Tribunale per i Minorenni, dai pronto soccorso, dalle famiglie. L’accesso alle
équipe specialistiche avviene tramite richiesta di consulenza da parte degli
operatori dei servizi territoriali, anche telefonica, anche in situazione
conclamata con caratteristiche di urgenza.
Se è necessario procedere con un approfondimento della situazione, gli
operatori dell’équipe daranno indicazioni di inviare formale richiesta alla
Direzione TSMREE di appartenenza dell’équipe specialistica che valuterà la
pertinenza rispetto al mandato istituzionale dell’équipe stessa.
Équipe specialistica:
modalità di erogazione della consulenza

La consulenza dell’équipe specialistica potrà essere erogata secondo due diverse


modalità:

•Supporto telefonico: viene garantita una risposta tempestiva ed efficace per


ottimizzare le azioni di intervento sull’utenza e per supportare i Servizi nella loro
operatività.

•Consulenza de visu: incontro con il Servizio Inviante per la raccolta della


richiesta.
Obiettivi dell’intervento

Nell’ambito dell’intervento si dovrà comprendere e valutare:


- il quadro complessivo della situazione traumatica ipoteticamente subita o
agita dal minore nei suoi aspetti individuali, relazionali e sociali;
- gli effetti determinati dalla situazione traumatica sul minore vittima o sul
minore autore;
- i fattori individuali, relazionali e socioculturali che hanno determinato
l’insorgere delle condotte pregiudizievoli a danno del minore o da parte del
minore autore;
- il grado di assunzione di responsabilità da parte degli adulti/caregivers
coinvolti e le possibilità di cambiamento.
Fasi della consulenza
La consulenza sarà articolata in quattro fasi:
1) Analisi della richiesta in termini di pertinenza e individuazione delle criticità
cliniche e gestionali;
2) Presa visione o richiesta di documenti rilevanti dal punto di vista giuridico e
clinico;
3) Individuazione e condivisione di strategie di gestione delle esigenze di
salute del minore e della sua famiglia a breve e a lungo termine;
4) Ascolto del minore.

Al termine del processo l’equipe specialistica ha acquisito le informazioni


necessarie per la valutazione in rete con i servizi interessati.
La valutazione di rete
Il processo di valutazione si svolge tramite riunione di gruppo di lavoro convocate dal
servizio titolare del caso che provvederà a individuarne i partecipanti.
La valutazione prevede le seguenti fasi:
• Applicazione dei criteri di pertinenza;
•Presa visione (da parte dell’équipe specialistica) di documenti clinicamente e
giuridicamente rilevanti;
•Rilevazione delle esigenze di salute del minore (rilevazione indicatori abuso sessuale,
anticipazioni sull’assetto famigliare, scolastico, sociale in cui in minore vive) e
individuazione delle criticità cliniche e gestionali;
•Condivisione di strategie di gestione delle esigenze di salute del minore e della sua
famiglia a breve e a lungo termine;
•Pianificazione delle azioni di intervento del Servizio Territoriale e dell’équipe
specialistica;
•Stesura report degli esiti della valutazione;
•Monitoraggio degli accordi consulenziali condivisi.
La valutazione di rete
La valutazione può concludersi con tre possibili evoluzioni:

1) Chiusura della consulenza da parte dell’équipe specialistica, il servizio


titolare mantiene il progetto di intervento sul caso, secondo le proprie
competenze;
2) L’ équipe specialistica e servizio titolare concordano un progetto che
prevede interventi del servizio e un confronto periodico tra servizio stesso e
l’équipe specialistica per valutare ulteriori elementi emersi e/o l’evoluzione
del caso in modo tale da instaurare un rapporto finalizzato al monitoraggio;
3) Formulazione di un progetto per la presa in carico diagnostica/terapeutica
da parte dell’équipe specialistica, con scheda progetto firmata da tutti i servizi
presenti all’incontro.

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