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La prima guerra mondiale, iniziata nel 1914 e terminata nel 1918, è denominata la grande guerra
per l’elevato numero di morti che provocò. Fu devastante e massacrante, tanto che venne definita
una guerra di logoramento. Fu terribile soprattutto per coloro che la vissero in prima persona,
ovvero i soldati, che per quattro anni furono costretti a vivere nelle trincee. Quest’ultime, che
simboleggiano l’orrore e l’insensatezza della guerra, segnavano i confini di guerra ed erano gallerie
scavate nella terra, lunghe centinaia di km, che servivano per proteggersi dagli attacchi dei nemici
e terminavano con la terra di nessuno, ovvero la parte fra le due trincee, che era molto pericolosa,
poiché spesso vi erano ostacoli e ordigni. I soldati potevano rimanere in trincea per giorni, al sole
cocente o al gelo, a seconda delle stagioni, sotto il fuoco delle mitragliatrici, in condizioni igieniche
disastrose, dormendo poco e male e uscendo solo quando veniva dato l’ordine di attaccare, che il
più delle volte segnava la morte di molti soldati. La trincea divenne una sorta di nuova comunità,
dove chi l’abitava poteva manifestare sentimenti diversi come il patriottismo, l’esaltazione, il senso
del dovere, l’amicizia e lo spirito di gruppo, ma tutti vivevano tra l’ansia e la sofferenza, mescolate
a rari momenti di serenità.
Le trincee rendevano tutti uguali, quindi non c’erano distinzioni tra i soldati semplici, per lo più
contadini, che venivano reclutati a forza e non sapevano nemmeno per cosa combattevano, ma lo
facevano per vincere e tornare a casa, e soldati borghesi, che erano imbevuti di ideali patriottici e
futuristici. Inoltre credevano che questa guerra sarebbe stata come quelle dell’Ottocento, dunque
un conflitto rapido, dove in poco tempo si sarebbe decretato il vincitore. Non fu così, fu una guerra
totalmente diversa da quella che tutti si aspettavano, sia per le nuove armi usate e sia perché le
potenze in gioco erano quasi tutte alla pari, quindi risultava impossibile sfondare le linee nemiche
e avanzare. Durante questa terribile situazione nacque un grande senso di fratellanza tra i soldati,
che spesso si aiutavano a vicenda, rischiando anche la vita per recuperare coloro che erano stati
feriti fuori dalla trincea. Nelle trincee si assiste anche a episodi davvero drammatici come suicidi
prima dell’attacco o episodi di automutilazione, attraverso i quali i soldati potevano evitare di
andare a combattere, potevano tornare a casa o in alcuni casi potevano prendere l’infermità
mentale e, dunque, non tornavano più a combattere al fronte. Non sempre, però, accadeva ciò,
poiché chi si auto-mutilava o si rifiutava di combattere poteva essere condannato a morte dal
generale per codardia o per essere considerato un disertore. Quindi un altro aspetto atroce della
guerra è, sicuramente, la crudeltà umana. Infatti, per esempio, il generale dell’esercito italiano,
Luigi Cadorna, fino alla disfatta di Caporetto del 1917, fu molto duro nei confronti dei soldati.
Difatti, se qualche battaglia finiva male, veniva data la colpa a quest’ultimi, accusandoli di mancare
di coraggio, e punendoli con punizioni severissime.
Quello che noi sappiamo sulla guerra e sulla vita in trincea è anche grazie ad alcuni fonti, come
diari o appunti scritti dai soldati che annotavano ciò che succedeva e le loro emozioni, oppure
lettere che i soldati scambiavano con i propri familiari e amici, o grazie alle memorie, che venivano
scritte dai soldati dopo la guerra per lasciare testimonianza ai propri cari, o anche per merito di
fotografie, che venivano scattate solitamente dagli ufficiali. Ed è proprio grazie a tutte queste fonti
che possiamo conoscere lo stato d’animo di molti soldati. Tra di loro c’è chi subiva la guerra come
un orrore a cui era obbligato a partecipare, e chi invece partecipava con entusiasmo, fra questi vi è
Giosuè Borsi, un poeta livornese, che in una lettera ad un amico afferma che l’idea della guerra lo
esaltava e che era felice di andare a combattere, tanto che ancora gli sembrava un sogno. Per lui
non c’è niente di più bello che schierarsi contro “questi orribili barbari”, come lui stesso li
definisce, e ridurli all’impotenza. Egli combatteva per la libertà e la giustizia. Nonostante chi la
pensasse come Borsi, durante la guerra si assiste a episodi davvero orribili, come quello raccontato
nella poesia “Veglia” di Giuseppe Ungaretti, nella quale descrive una notte passata vicino ad un
compagno morto massacrato, con la bocca digrignata e le mani violacee per il freddo. Dunque
possiamo notare quanto fosse terribile e dura la guerra, ma anche la vita in trincea, fatta
principalmente di sofferenza e paura.