1.1 La relazione tra famiglie e istituzioni educative è denominata in vari modi
"coinvolgimento genitoriale", partnership, partecipazione, alleanza educativa, corresponsabilità educativa, coeducazione ,spesso usati come sinonimi mentre altre volte se ne sottolinea la specificità come : -coinvolgimento genitoriale= comportamento reattivo e non proattivo , tipico di un rapporto asimmetrico sbilanciato a favore degli educatori -partnership= ci si riferisce a ruoli paritari tra servizi educativi e famiglia Tali termini sono multidimensionali: ad esempio il coinvolgimento genitoriale comprende almeno 2 macroaree, distinti in base al contesto in cui si svolgono: coinvolgimento entro l'organizzazione scolastica/educativa e coinvolgimento entro il contesto domestico. Il modello Epstein (egli individuò sei tipi diversi di coinvolgimento) sostiene che ambiente famigliare e scolastico possono essere rappresentati su un piano geometrico come "sfere" separate che presentano gradi più o meno ampi di sovrapposizione: 1. parenting= livello più basso del coinvolgimento, riguarda le responsabilità della famiglia a favorire le condizioni di base a supporto della scolarità del figlio (riposo, nutrizione, materialo per la scuola) 2. communicating= attività per l'organizzazione e il mantenimento di canali di comunicazione casa-scuola(colloqui, materiale informativo) 3. volunteering= impegno genitoriale in attività non retribuite gestire da figure appartenenti all'istituzione scolastica 4. leraning at home= supporto per le attività di apprendimento da svolgere a casa e valorizzazione dei genitori del percorso scolastico 5. decision making= coinvolgimento delle famiglie nei processi decisionali dell'organizzazione riguardo la scuola 6. collaborating with the community= è il livello maggiore di sovrapposizione tra ambito scolastico e domestico, e riguarda la partecipazione genitoriale nel coordinamento dei servizi offerti alla comunità Famiglia e istituzione educativa sono partner nel momento in cui condividono conoscenze, compiti e responsabilità per la realizzare uno scopo comune. 1.2 Fin dagli anni settanta i servizi educativi sono stati caratterizzati da una gestione sociale in compartecipazione con le famiglie. Ad oggi la competenza professionale richiesta agli educatori non riguarda solo i bambini ma anche la relazione con gli adulti, quindi quando ci si prende cura di un bambino significa prendersi cura della sua famiglia, cioè i servizi non agiscono solo sui bambini ma influenzano anche i contesti famigliari in cui sono inseriti. In linea con la teoria di Bronfenbrenner è possibile affermare che lo sviluppo è influenzato non solo dal rapporto bambini- contesti ambientali di riferimento, ma anche dalle interazioni che hanno luogo tra questi diversi contesti , all'interno di ciò che egli definisce "mesosistema". La teoria ecologica di Brofenbrenner: considerare lo sviluppo del bambino all'interno del suo ambiente di sviluppo : una sequenza ordinata di strutture concentriche definite con i termini di microsistema: 1. microsistema= è l'ambiente in cui avvengono interazioni dirette, faccia a faccia (asilo nido, scuola, casa ,il gruppo di pari) 2. mesositema= è un insieme di microsistemi: interrelazioni tra due o più situazioni ambientali dove l'individuo partecipa attivamente, ad esmpio le relazioni tra casa-scuola, genitori- gruppo di amici, e si formano quando il soggetto entra in un nuovo contesto 3. ecosistema= una o più situazioni ambientali dove l'individuo non è più partecipante attivo a meno che non si verifichino eventi determinanti o che determinano qualcosa che accade nella sfera ambientale che comprende l'individuo 4. macrosistema= include tutti gli altri contesti ambientali e riguarda il background socioculturale che dà forma all'ambiente ecologico di ogni gruppo(religione, etnia, cultura) I contesti ambientali del bambino vanno interpretati come interdipendenti in line con la teoria sistemica, i cui principi -casualità circolare, nonsommatività, equifinalità e multifinalità- sono applicabili al campo istituzioni educative e famiglia. Con casualità circolare s'intende che possibili cambiamenti negli individui e nei contesti si influenzano reciprocamente. Difficoltà che nascono nell'ambiente famigliare si riverberano sul bambino e nel contesto extra famigliare ,influenzando l'attività professionale dell'educatore. Il principio della non-sommattività riguarda come il sistema scuola-famiglia può raggiungere obiettivi più ampi e significativi rispetto al sistema genitori-insegnati da soli. L'equifinalità =lo stesso risultato può essere raggiunto anche partendo da configurazioni iniziali e percorsi diversi. Il principio multifinalità =punti di partenza simili non garantiscono risultati altrettanto simili. In conclusione, la prospettiva sistemica riguarda che quello che il bambino fa a casa e nel contesto educativo non devono essere considerati a sé stanti e che il raggiungimento dei traguardi evolutivi dipende dall'interazione tra i diversi sistemi che coinvolgono il bambino: né la famiglia o i servizi educativi sono responsabili da soli del raggiungimento degli esiti di sviluppo. Non è possibile pensare di lavorare nell'interesse del bambino senza considerare il contesto in cui è inserito. 1.3 Per poter essere definiti "servizi di qualità" è indispensabile costruire una buona relazione tra famiglie e servizi. Tale relazione ,caregiver professionali e genitori, è uno degli strumenti per valutare la qualità dei servizi educativi prescolastici. L'apporto con le famiglie e da considerarsi anche con una seconda accezione: le famiglie sono chiamate a valutare dei servizi a cui partecipano. Qualità dei servizi e alleanza delle famiglie: alcuni strumenti di valutazione: SVANI per il nido e SOVASI per la scuola dell'infanzia includono i "bisogni degli adulti" come iniziative per i genitori; coinvolgimento delle famiglie nei processi decisionali; alla costante informazione sull'andamento delle attività proposte, ASEI per il nido e scuola dell'infanzia :include sezione per sulla partecipazione delle famiglie e sul rapporto con le famiglie TRA 0-6 include: sostegno alla partecipazione dei genitori, la partecipazione delle famiglie all'elaborazione del progetto educativo, 1.4 Una relazione proficua tra servizio e famiglia influenza positivamente il comportamento del bambino ; ciò consente di attivare un circolo virtuoso , che a sua volta favorisce la relazione bambino- caregiver, aumentando la qualità delle cure in entrambi i contesti. La comunicazione genitori-insegnanti aiuta tutti gli adulti a comprendere meglio i bisogni, le risorse e le difficoltà del bambino, favorisce lo sviluppo cognitivo ,emotivo e sociale, l'aumento del benessere : autostima, motivazione e rendimento; aiuta ad adottare una visione globale ed articolata della traiettoria di sviluppo dei singoli soggetti. 1.5 La relazione insegnanti e genitori che collaborano per il benessere del bambino viene chiamato cocaring , per identificare l'alleanza educativa tra caregiver professionale e caregiver professionale, in analogia con il termine coparenting che indica l'alleanza tra madre e padre. E' importante valutare e monitorare il cocaring fin dal suo primo sviluppo in quanto condiziona la traiettoria dei rapporti tra scuola e famiglia. 1.6 Educatori e insegnanti non si relazionano con le famiglie solo come singoli individui ma anche in qualità di rappresentanti dell'istituzione di cui sono parte. L'equipe educativa deve dunque collaborare nel portare avanti una linea comune nei confronti delle famiglie e dei bambini. La collaborazione deve essere intesa non solo come condivisione dei compiti ma anche come del labor, che indica gli aspetti emotivi del lavoro, come il dubbio, ansia e il conflitto. Un'efficace comunicazione interna tra colleghi è un'efficace ,a sua volta, comunicazione rivolta alle famiglie. "se noi per primi come educatori non condividiamo alcuni punti fermi, come possiamo presentarci ai genitori in modo coerente?". esempio disfunzionale di cocaring: madre che per placare il figlio irrequieto lo sgrido dicendogli che lo porterà a scuola anche la domenica opure che chiamerà la maestra e ci penserà lei a metterlo in castigo. Se uno dei partner(madre) delegittima l'altro (insegnante) nella sua funzione educativa , attribuendoli caratteristiche negative danneggia il rapporto con il bambino, infatti quest'ultimo fa la peste a scuola perché gli viene dipinta come una punizione. 1.7 Variabili/fattori che influenzano la comunicazione e l'alleanza tra adulti, che includono le caratteristiche del bambino, della famiglia e del contesto educativo extra-famigliare. Caratteristiche del bambino: età e comportamento. Nel caso di bambino sotto i 3 anni la comunicazione famiglie-servizi è più frequente e sistematica , con l'innalzarsi dei livelli scolastici essi si allontanano. Comunicare, però, di più non equivale necessariamente a comunicare meglio. Riguardo il comportamento: se il bambino è sociale ed ha un'emozionalità positiva la comunicazione è più fluida ,più proficua. Le caratteristiche famigliari :il livello socioculturale e le credenze familiari. Alcun dati sostengono ->alto livello socioculturale =maggior grado di coinvolgimento nei servizi educativi. Mentre altri dimostrano effetto opposto e assenza di effetti. Alcuni ricercatori ->Credenze educative maggiormente tradizionali=allontanarsi dai dai modelli attualmente presenti nei servizi educativi. Molti studi evidenziano il coinvolgimento genitoriale è indicatore di qualità e nello stesso tempo servizi di qualità tendono a promuovere maggiormente il coinvolgimento genitoriale. Anche il basso rapporto numerico bambini-adulto incide in modo positivo sulla relazione con le famiglie ed è elemento di qualità per i servizi educativi. Maggior numero di ore di frequenza del servizio da parte dei bambini si correla a difficoltà nel comunicare con le famiglie. I bambini che frequentano full time risultano avere livelli di stress più elevati e possono essere più inclini a richiedere l'attenzione esclusiva degli adulti, limitando le possibilità di genitori -insegnati di avere uno spazio di confronto e dialogo. Caratteristiche degli educatori: il sistema di credenze e rappresentazioni e le competenze emotive. Per esempio alcuni autori hanno notato che alto senso di autoefficacia dei caregiver professionali =facilità di relazionarsi coi genitori. (Bandura e il costrutto dell'autoefficacia. Secondo egli gli individui sono agenti attivi e capaci di autodeterminazione. Introduce il costrutto di autoefficacia che concerne le convinzioni sulle proprie capacità di organizzare e eseguire le azioni necessarie per realizzare determinanti risultati. Alta autoefficacia=sentirsi in grado di gestire situazioni difficili e ha impatto sul benessere personale, diminuendo la vulnerabilità allo stress e alla depressione. Consapevolezza delle proprie capacità e padroneggiarle=essere in grado di.) Anche le competenze emotive dei caregiver professionali ,ossia discernere gli stati emotivi propri e altrui ,comprenderli e regolarli= facilità nel comunicare coi genitori. I modelli infantili, impliciti, le credenze e le rappresentazioni mentali di genitori e insegnanti=condizionano potentemente la relazione. 1.8 In molte ricerche si sottolinea che ,sebbene educatori e genitori sino concordi nel riconoscere l'importanza di una buona relazione, spesso si rivelino ambivalenti. Esiste infatti una gap tra la retorica e la pratica, con forti resistenza da ambe le parti a costruire un'efficace alleanza. Insegnanti ed educatori spesso si aspettano che le relazione con le famiglie siano stressanti e costruiscono delle vere e proprie barriere, legate ad esempio divergenze degli obiettivi educativi, alla carenza di formazione rispetto ai metodi per aumentare il coinvolgimento familiare,: identificare e comprendere tali barrire potrebbe rendere più semplice riuscire a superarle. Inoltre, sempre di più le famiglie rappresentano una realtà complessa : varie le tipologie di famiglie, vari i bisogni, molteplici le richieste e spesso aspettative alte verso i servizi. La costruzione della partnership famiglie-servizi è un obiettivo prioritario manca l'interpretazione condivisa su come intenderla nella pratica e su quali passi siano necessari per garantirla. Cap 2 La relazione con i bambini è centrale e costituisce il punto catalizzatore attorno a cui si costruisce la connessione tra i due caregiver, quello principale(il genitore) e quello secondario(il professionista). I genitori riescono a fidarsi dei caregiver professionali solo se questi hanno a cuore il loro bambino, che gli "vogliono bene". Nell'affrontare quest'alleanza famiglie-servizio, si procederà partendo da un focus sulla relazione bambino-insegnate ,secondo la prospettiva dell'attacamento di John Bowlby e Mary Ainsworth: il legame alla madre è dovuto a una motivazione primaria e innata ,basata sulla necessità del bambino di stabilire uno stretto contatto con questa figura. Il legame di attaccamento è concepito da Bowlby come una relazione affettiva, emotivamente significante e continuativa nel tempo, non sostituibile, da cui il soggetto trae sicurezza e protezione. Il caregiver ha la funzione di base sicura: trampolino per la curiosità e l'esplorazione del bambino ,che lo nutre sul piano fisico ed emotivo, confortato se triste, rassicurato se spaventato. Il legame di attaccamento ha un valore adattivo rintracciabile nella protezione garantita al piccolo dalla figura accudente. La figura dell'insegnate è dunque una figura di attaccamento secondario per il bambino. Tale evidenza scientifica si colloca all'interno degli attaccamenti multipli =il bambino può avere più legami di attaccamento contemporaneamente o in momenti diversi del suo sviluppo. E' necessario che l'educatore non coltivi solo il rapporto con il bambino ,ma si adoperi anche per sostenere i legami di attaccamento già esistenti nei confronti dei genitori. Costruire un attaccamento sicuro nel contesto educativo Per stabilire una relazione di attaccamento è necessario che i caregiver seguano alcuni criteri: prendersi cura dei bisogni fisici ed emotivi del bambino, essere presente in modo continuo e costante, investire emotivamente sul bambino. Stili di attaccamento: -sicuro: il bambino conta su una figura disponibile e responsiva , in grado di comprendere e accogliere i suoi segnali emotivi. Il bambino se lasciato per un paio di minuti solo con l'educatore per conoscere l'asilo nido, al momento della separazione riesce a superare il disagio poggiando interesse sull'ambiente e con il supporto emotivo del caregiver -insicuro evitante: il bambino al momento della separazione è apparentemente indifferente, all'arrivo della madre non cerca il contatto o la evita. Il genitore stimola la padronanza e l'autonomia del bambino ma è riluttante alle richieste di conforto, cosi il bambino per non essere rifiutato dalla madre attua un meccanismo difensivo minimizzando il sistema di attaccamento -insicuro ambivalente: non esplora l'ambiente rimane in prossimità della madre ; durante la sua assenza appare inconsolabile ; al suo arrivo ricerca il contatto ma non ne viene rassicurato e mostra rabbia nei suoi confronti -disorganizzato (stile tipico di bambini maltrattati o con genitori con traumi irrisolti): comportamenti contradittori: il bambino ha paura sia della situazione stressante sia del genitore stesso ,che si dimostra spaventato(ha vissuto traumi) e spaventante(in quanto fa paura al bimbo) Un attaccamento sicuro all'educatore costituisce un fattore protettivo per il benessere e lo sviluppo : maggiori competenze socio-emotive :sociali verso i pari, meno aggressivi e meno tendenti al ritiro sociale; avvantaggiati sul piano cognitivo: presentano minore vulnerabilità nel contesto scolastico, livello alto di motivazione e miglior rendimento. Attaccamento al genitore e attaccamento all'educatore: quale associazione? L'attaccamento all'educatore è compensatorio e può costituire un'alternativa, poiché l'attaccamento al caregiver professionale è indipendente da quello che il bambino ha con la figura primaria. L'attaccamento non è bambino-specifico ma relazione- specifico, ossia dipende dalla storia relazionale con quello specifico adulto. L'individuo, a partire dalla propria storia affettiva con il caregiver primario(genitore) ,costruisce delle rappresentazioni mentali, che comprendono un modello del se e un modello speculare della figura di attaccamento, che orientano le aspettative relazionali nei confronti degli altri significativi. I partner di attaccamento vengono internalizzati fino a rappresentare un aspetto del bambino, con una marcata tendenza alla stabilità. Tali rappresentazioni sono I modelli operativi interni (MOI) ,fungono da filtro nell'interpretazione delle informazioni sociali, influenzando la costruzione di nuove esperienze, poiché portano l'individuo a cercare relazioni che corrispondono alle proprie aspettative affettive: la qualità dell'attaccamento modifica ciò che percepisce l'individuo sul mondo che lo circonda. Bowlby afferma che alla fine del primo anno di vita l'attaccamento comincia a essere mediato dai modelli operativi interni ,con cui il soggetto percepisce gli eventi, prevede il futuro e costruisce i propri programmi. Un bambino sicuro= che può fare affidamento su una base sicura, sviluppo un modello del sé positivo, dimostrandosi amabile e competente, e un modello dell'Altro come disponibile e supportivo. Un bambino evitante, che ha affrontato vari rifiuti dalla figura di riferimento, costruisce un modello dell'altro negativo, inteso come inaccessibile e impara a fare affidamento solo su stesso, costruendo per compensare un modello di se come competente. Un bambino con attaccamento ambivalente con risposte incostanti e imprevedibile dal caregiver, costruisce modello di se negativo=poco amabile, e un modello dell'altro positivo ricercando insistentemente le attenzioni del nuovo adulto di riferimento ,anche se inaffidabile ;soluzione "trovare strategie comportamentali che possono aiutare il bambino a mettere in discussione eventuali aspettative distorte". Un bambino con attaccamento disorganizzato che percepisce la sua base sicura come minaccia, costruisce un modello di se e dell'altro negativo , frammentari e incoerenti, perché va incontro a uno scompenso per la regolazione della sua emotività. I MOI non sono deterministici ma si possono modificare nel corso della vita ,perché sottoposti a riorganizzazioni a seguito dello sviluppo personale, quindi un partner insicuro può essere reversibile: se, durante la sua vita, ha fatto incontri relazionali significativi dove l'individuo sperimenta risposte adeguate e sollecite ai propri bisogni. Il professionista ,in riguardo al legame di attaccamento , deve sempre penare alla propria azione in funzione di ciò che ritiene utile per il bambino in quanto parte di un ecosistema. Egli ha una duplice responsabilità, sia diretta sia relazionale: lavorare per costruire legame sicuro per il bambino e alimentare le relazioni di quest'ultimo con il mondo. Deve prottegegre e rafforzare i legami che il bambino ha con i caregiver primari nel contesto familiare e non solo volta a costruire legame sicuro con il bimbo. Il ruolo della sensibilità Quali fattori promuovano un legame sicuro nel contesto educativo? La sensibilità del caregiver professionale. Tale termine nasce dalla teoria di attaccamento per indicare figura materna fondamentale per garantire un attaccamento sicuro. si può definire come capacità di cogliere i degnali del bambini, comprenderli, interpretarli e risponderli in maniera adeguata. Ad esempio caregiver sensibile e responsivo , risponde in modo appropriato e in tempi ragionevoli al disagio del bambino, cosi che si possa costruire un'aspettativa di contingenza tra il proprio bisogno e la disponibilità materna, incrementa le probabilità di prestazioni migliori. Sensibilità <sufficientemente buona> e non eccessiva ,se no rischio di ostacolare la sua regolazione dell'emotivita autonoma. In un gruppo grande con altro rapporto numerico ,la sensibilità del bambino si orienta più che a una sensibilità verso il singolo , ad una orientata verso il gruppo. Il caregiver professionale dovrebbe avere adeguate e sistematiche opportunità di formazione e supervisione per potenziare la propria sensibilità. Essi tramite idonei strumenti osservativi possono allenarsi a valutare la propria sensibilità ,che mirano a una rilettura dei MOI , a potenziarla. Formazione, confronto in equipe e supervisione: strumenti per imparare e maneggiare consapevolmente il proprio mondo interno, cosi da non farsi sopprafare dalle proprie emozioni nella relazione educativa. Sostenere la relazione di attaccamento tra genitore e figlio A partire dalla grande molle di studi , ci è possibile concludere che la frequenza di un servizio educativo non provoca difficoltà di attaccamento con il genitore, se entrambi i contesti(casa e nido) offrono condizioni minime di sicurezza, ossia se il bambino vi può trovare un accudimento che sia sufficientemente buono, da parte di caregiver sensibili e responsivi. Ponendo attenzione e accorgimenti che garantiscono la gradualità del distacco e accompagnino la fatica di< perdersi e ritrovarsi>, per non mettere a rischio il legame genitore-figlio. Ciò è particolarmente importante nell'inserimento. Cap 3 Il primo ingresso nel servizio educativo. L'inserimento come transizione ecologica Il momento del primo ingresso in un servizio educativo si può considerare, secondo l'ottica di Bonfenbrenner, una <transizione ecologica> = il collegamento diretto più critico tra 2 situazioni ambientali, e che istituisce fin dall'inizio un mesosistema. Tale transizione, ossia l'inserimento di un individuo in un nuovo ambiente, può promuovere lo sviluppo del bambino e si verifica solo a 2 condizioni: l'accompagnatore da parte delle figure di riferimento affettivo e la collaborazione tra i diversi sistemi a cui il bambino appartiene. L'inserimento, noto anche come ambientamento, è una considerata una fase critica ,in quanto un momento di grande intensità, non solo per i bambini ma anche per famiglie e gli stessi professionisti. E' importante <esplicitare la componente emozionale intensa e complessa che marca il rapporto tra famiglia-istituzione educativa nel loro primo incontri e nel loro condividere le responsabilità di allevamento, questo è il primo passo verso un'alleanza, un patto, che ha come scopo la considerazione del bambino e i suoi bisogni sociali, cognitivi ed emotivi, ma anche della soggettività e delle emozioni degli adulti coinvolti. Bisogna pensare ad un buon inserimento di tutto il nucleo famigliare , accogliere un bambino=accogliere la sua famiglia. L'inserimento e i timori reciproci Nel progettare l'inserimento ,assumere una prospettiva triadica= non considerare solo la separazione genitore-bambino ma aggiungere anche l'educatore al quadro, secondo il processo svincolo-affidamento-accoglienza-coinvolgimento individuato da Fruggeri, Il distacco assume una connotazione specifica sulla base dell'accoglienza offerta dal professionista ,che si pone come figura di riferimento, un facilitatore della separazione, che garantisca ai bambini il diritto di una relazione affettuosa con una persona che si occupi di loro in particolare, ponendosi come rifermento anche per il nucleo famigliare. Il servizio educativo può diventare un luogo di ansie e timori, se gli educatori non colgono nel genitore il suo bisogno di rassicurazione o non vi rispondono, ed è probabile che la madre ostacoli inconsciamente l'inserimento, ad esempio portando subito via il biimbo appena piange dimostrando di non fidarsi degli educatori e della capacità di adattamento del bambino. "E' quindi necessario fare uno sforzo per distinguere difficoltà del bambino e difficoltà del genitore a costruire autonomia e ad accettare separazione". E' importante che l'educatore sottolinei le risorse del bambino, che anche se ha difficoltà nel gestire ed elaborare la separazione, presenta le potenzialità per adattarsi positivamente e costruttivamente alla situazione. Un genitore può avere un'immagine stereotipata e riduttiva del bambino, che vede vulnerabile, dipendente, incapace di tollerare stress e socializzare, vedendo però le risorse e le potenzialità può ridefinire la sua prospettiva o in modo diretto o vicario: diretto=il genitore osserva direttamente comportamenti inediti per il bambino; vicario= nei momenti in cui è assente il genitore, è l'educatore che fa da specchio mostrandogli ad esempio immagini del bambino composite e ricche, senza tacere sulle difficoltà ,valorizzava le risorse e le potenzialità di crescita. L'inserimento nella prospettiva della teoria dell'attaccamento L'inserimento al nido è stato paragonato alla Stange situasion(studio sella teoria dell'attaccamento, inquadrato i diversi tipi), in quanto condivide alcuni elementi: il bambino introdotto in un contesto extra-familiari dove sono presenti persone estranee; il genitore che lo accompagna può fungere da base sicura per l'esplorazione dell'ambiente; la diade genitore-bambino è sottoposta a un'esperienza di separazione-ricongiungimento. La situazione, che produce nel bambino uno stress moderato, comporta l'attivazione del comportamento di attaccamento del bambino: Per questo motivo ,l'educatore può usare le strategie della Strage situation per decodificarne i comportamenti, senza dimenticare che il focus deve includere il comportamento del genitore e dell'estraneo(l'educatore stesso). Il significato del pianto durante l'inserimento Il pianto può venir interpretato come un fallimento, come colpa mettendo in dubbio che l'inserimento sia per il bene del figlio. Però come dimostrato dalla teoria dell'attaccamento ,significa che è una fisiologica e sana reazione alla minaccia di separazione, ed è funzionale all'adattamento, dimostra che la relazione col genitore è per lui fondamentale e insostituibile. Il professionista deve esplicitare il significato del pianto, chiarendo che si tratto di un modo di segnalare la forza del legame . Poiché avvenga ciò è necessario che il pianto o mandi in crisi anche l'educatore, in quanto molto faticoso da gestire ,cosa molta frequente nelle prime fasi dell'inserimento quando ancora l'educatore non è diventato una figura di riferimento di cui il bimbi riesce ad affidarsi. Il pianto è un diritto del bambino, deve essere accolto, ascoltato, non messo a tacere o spazzato via ,con l'obbiettivo di ripristinare una condizione di spensieratezza più funzionale all'apprendimento, cosi che il bimbo non fuga dalla sofferenza. Se l'educatore è in grado di esprimere ,comprendere e regolare le proprie emozioni , gli sarà più facile riconoscere ed accogliere le emozioni del bambino, fungendo da socializzatore emotivo. L'inserimento è la prima fase per ragionare sulle emozioni del bambino, soprattutto quelle negative, l'educatore diventa un mediatore emozionale tra il bambino- genitore, sostenendo il genitore nel decodificare e comprendere le emozioni del figlio, cosi che non fugga dall'emozione del bambino perché incapace di gestirlo , ad esempio quando l'inserimento, al momento del distacco vedendolo distratto si allontana subito per evitare la sua reazione di pianto. L'educatore come socializzatore emotivo= aiuta il bambino a dare un nome alle emozioni, dandogli significato , connettendole a motivazioni e comportamenti. Diversi stili di risposta alle emozioni: coaching= buoni allenatori emotivi, riconoscere le emozioni, accettarle e regolarle; dismissing= bassa consapevolezza delle emozioni dei bambini, con tendenza a ignorarle. "Occorre avere cura di sé ,del proprio mondo interiore , per poter avere cura dell'altro in modo autentico". L'educatore come mediatore emozionale= aiuta il genitore a interpretare l'emozione del bambino, facilitando il ricongiungimento ,ad esempio se la madre va via senza dire niente al bimbo per fuggire dal suo pianto il bimbo si può sentire tradito e avrà difficoltà a fidarsi delle situazioni nuove. Il professionista come facilitatore del distacco Quali strumenti può usare l'educatore per facilitare il distacco? Usare le stesse modalità comunicative e relazionali della madre per una ritualità prevedibile e rassicurare il bimbo. L'educatore deve chiarire il significato delle sue azioni cosi che il genitore non capisca che lo voglia sostituire, ad esempio chiedendo l'aiuto del genitore per rapportarsi col figlio. Un altro strumento è rendergli evidente che la separazione è temporanea ,impegnandosi a tenere connessi il contesto extradomestico e quello famigliare ,con un abile lavoro di <tessitura emotiva>. A questo scopo, è importante che l'educatore riprenda attività quotidiane dei genitori ad esempio "anche tua mamma fa le zucchine cosi?". L'educatore non deve avere paura di richiamare il genitore alla mente del bambino cosi da non provocare nostalgia e disagio, in quanto cosi gli permette di portare un <pezzo della mamma> con sé, ciò lo rende più sicuro nelle sue esplorazioni in quanto facilitato nell'accedere all'immagine introiettata della sua base sicura. Gradualità e stabilità: due parole chiave per l'inserimento L'inserimento dovrebbe avere il carattere di gradualità <di permanenza ,di distacco dai genitori, di passaggio dai compiti di cura familiare all'insegnate di riferimento>, ma anche di di <stabilità degli spazi, sei ritmi, ma soprattutto dei riferimenti relazionali, per quanto riguarda sia gli adulti sia i bambini>. Stabilità=la necessità da parte della famiglia nel Avere punti di riferimento rassicuranti, di ritrovare nell'educatrice uno sguardo attento, che riconosca il bambino come persona e restituisca al genitore un'immagine del bimbo composita e accurata , tessendo i fili che garantiscono continuità tra contesto famigliare-extrafamigliare. La gradualità= costruzione fiducia reciproca, processo continuo e progressivo ; questo vale sia per i bambini che gradualmente si affidano alle figure di attaccamento secondarie, sia per gli adulti ,che gradualmente imparano a conoscersi e a fidarsi gli uni con gli altri. Fiducia: prescritta o costruita? La fiducia delle famiglie nei confronti del servizio non dovrebbe essere inteso come un prerequisito necessario per un buon inserimento. La fiducia si acquista lentamente, nel quotidiano con azioni prevedibili, comprensibili, trasparenti, dimostrando coerenza tra ciò che si dichiara di fare e ciò che effettivamente il genitore vede attuato nella realtà.La fiducia è uno degli obiettivi il cui raggiungimento non è da dare per scontato. Curioso però, come la fiducia sia solo unidirezionale: l'idea che anche gli educatori devono avere fiducia nei genitori è pressoché assente, in entrambi gli interlocutori (genitori-insegnanti). L'inserimento: una prima volta , ma non una volta per tutte L'inserimento non è un evento puntiforme, superato il quale la relazione(educatori- bambini, educatori-famiglia) può considerarsi stabilita e la comunicazione consolidata. Rappresenta un amplificatore di emozioni, relazioni e stato d'animo complessi, che continueranno a presentarsi e rincorrersi nella vita quotidiana del servizio, richiedendo all'educatore di mettere in gioco le sue capacità osservative e riflessive nella quotidianità. Cap 4 L'alleanza difronte alle sfide quotidiane. Microtransizioni quotidiane I momenti di accoglienza e di commiato quotidiani ,aspetti della(macro)transizione ecologica, sono situazioni particolari in cui il bambino deve adattarsi e riorganizzarsi: deve infatti attraversare una soglia che delimita il passaggio tra diversi contesti di cura. Criticità da considerare : è importante durante l'accoglienza mattutina, particolarmente stressante, che ci sia un ategiamento responsivo e sensibile da parte dei caregiver genitoriale e professionale e dalla messa in atto di un rituale di saluto che prevede la separazione e sia rassicurante per il bambino sul ritorno del genitore. Per facilitare il momento dell'accoglienza, è necessario abbandonare la prospettiva che si usa di solito che interpreta tale transizione solo dal punto di vista diadico(tra 2 enti) , per assumere una prospettiva sistemica che concepisca la triade come unità minima di analisi e che interpreti il momento di accoglienza come una microtransizione-> cambiamenti localizzati, che avvengono in processi interattivi del qui e del ora e che coinvolgono più soggetti in un attività congiunta, ponendo attenzione su come tali soggetti si muovono da un tipo di configurazione ad un'altra. Transizione delicata= caratterizzata da maggiore sensibilità ad esempio il genitore che ha stabilito un contatto con l'educatore e poi saluta il bimbo, transizione fluida non portata all'esclusione precoce e forzata del genitore. Educatore serve per accompagnare la separazione in modo più funzionale(ibidem). Doppio legame=forma di comunicazione all'interno di una reazione emotivamente significante, dove un individuo si trova intrappolato di fronte a messaggi di due ordini diversi, in cui l'uno nega l'altro ad esempio una mamma che dicendogli al bimbo di andare tranquillamente dai suoi amici contemporaneamente gli stringe forte la mano ,il bimbo si ritrova in una situazione in cui sorridere e correre dai suoi amici diventa una risposta incongruente con il messaggio non verbale del genitore, ma restare accanto risulta inappropriato rispetto al messaggio verbale. Gli oggetti come ponte nelle transizioni Un elemento che facilita l'ingresso del bambino è la presenza di un oggetto-ponte, o transizionale, che rappresenti una continuità tra famiglia e contesto extra- famigliare. Consentire al bambino di portare con se un oggetto famigliare da casa (pezzo di stoffa, peluche,..),lo rassicura e comunica implicitamente che il passaggio da un ambiente all'altro non comporta perdite o cesure, è una sorta di conforto che a di casa. Un oggetto concreto che rimanda simbolicamente alla madre per la sua morbidezza ,odore e calore. Non solo il portare dentro qualcosa ma anche portale fuori qualcosa dal nido può essere fonte di rassicurazione e appagamento, ad esempio si possono consegnare i lavoretti svolti nel nido, un libro letto a scuola, senza andare contro le regole del servizio. Cioè evitare che nel servizio entrino oggetti pericolosi e viceversa evitare che i bambini portino fuori dal nido oggetti non consentiti. Tali oggetti sono importanti nei momenti: inserimento/ambientamento, addormentamento, l'accoglienza/ingresso nel servizio. Mediare i ricongiungimenti Nei momenti di ricongiungimento, l'educatore deve fare da mediatore relazionale= confermare l'identità genitoriale e sottolineare la forza del legame, accompagnare la transizione verso una configurazione triadica che includa anche il genitore: mettere in parole le emozioni del bambino rassicurando il genitore. Il momento dell'uscita è necessario saper progettarla accuratamente, ossia che per esempio non ci sia solo un educatore che si deve occupare dei genitori che arrivano ,in quanto dopo tante ore al nido i bimbi saranno stanchi e richiederanno più attenzioni ostacolando il dialogo col genitore e il professionista non svolgerà efficacemente le sue funzioni. Anche la riservatezza ,durante il momento d'uscita, è importante in quanto ci sono anche i bambini che possono ascoltare e non è sempre opportuno. L'ascolto del genitore ,che necessita di tutte le attenzioni dell'educatore, deve essere ricollocato in altri tempi e spazi, in un colloquio pianificato. Comunicare nella quotidianità I dialoghi quotidiani tra genitori-insegnati, al momento dell'entrata e uscita, facilita la conoscenza reciproca e la costruzione della partnership. Nel caso di bambini molto piccoli, al momento dell'uscita le informazioni possono essere limitate riguardo i bisogni primari ,ma cosi si avvalla l'idea che il servizio abbia una funzione assistenzialistica e custodialistica piuttosto che educativa. E' importante per la madre chiedere se per esempio il bimbo ha mangiato o dormito, se ha fatto la cacca, in quanto lo associa inconsciamente a una cosa positiva; questo perché il cibo viene considerato come mediatore di relazioni e affettività nel rapporto bambino-adulto, se mangia ->positivo se rifiuta -> è come se rifiutasse tale rapporto. Con il rischio che i genitori focalizzino ogni interesse sul cibo, la riprova per il benessere psicologico e fisico è come se il nido o la scuola d'infanzia costituiscono simbolicamente un buon nutrimento per il bimbo. Le comunicazioni al genitore devono riguardare non solo su cosa ha fatto il bambino ma anche su come ha svolto tale attività, evidenziando emozioni, interessi e relazioni. Evitare di trasmettere informazioni uguali per tutti o che tendono a ripetersi ogni giorno, può bastare un'<istantanea> del bambino tramite un episodio o un breve aneddoto , per far capire che il bambino è visto e pensato e riconosciuto nella sua unicità. Questo è molto utile per le famiglie che attribuiscono a tali servizi solo un ruolo di supporto alla conciliazione casa-lavoro, e non di educazione. Spesso si creano dei circoli viziosi che bloccano il dialogo con quelle famiglie non interessate a quanto succede nella struttura. Circolo vizioso= ciascun interlocutore ritiene di comportarsi in un certo modo come reazione al comportamento dell'altro, non rendendosi conto del circolo creato ,ossia l'educatore vedendo il genitore disinteressato trasmetterà le informazioni assolutamente necessarie sbrigativamente e il genitore giudicando l'educatore frettoloso e disinteressato non farà domande sul bambino. Assenza di domande sul bambino ,non vuol dire che è disintetressato ma può anche dipendere da un'impostazione culturale e valoriale, ad esempio una madre che non chiede se il bambino ha mangiato, o dormito,.. in quanto per lei lo farà quando vorrà , parlare di cibo per la sua cultura è una vergogna. Non essere pregiudizievoli e stigmatizzati. Sguardi diversi sul bambino La comunicazione educatore-adulto, permette a quest'ultimo di confrontarsi con chi osserva il bambino in un contesto diverso e scoprire con altre o più complesse sfaccettature del bambino. A volte può esserci un disallineamento tra le percezioni: un genitore pensa che il figlio sia in un modo estroverso e chiacchierone , l'educatore la pensa diversamente inibito e timido. Questo perché il bambino trovandosi in ambienti diversi risponde a stimoli, sfide e difficoltà che richiedono atteggiamenti e comportamenti specifici. Individuare difficoltà comportamentali nei bambini può essere difficile e mettere in disaccordo genitori-educatori in quanto è probabile che essi valutino diversamente i comportamenti in base a diversi parametri ,ad esempio un'educatore si baserà più sul parametro di come apprende il bambino mentre il genitore sono connessi alla sfera affettiva come la gelosia, le attenzioni. Osservare il bambino: ruoli e meccanismi difensivi in gioco Modi diversi di vedere e descrivere il bambino possono dipendere anche dalle diverse aspetattive. Lo sguardo del genitore è particolaristico = perché centrato sulla tutela e sui bisogni dei figli ; mentre quello dell'insegnate è universalistico= centrato in maniera imparziale su tutto il gruppo dei bambini. Il genitore non deve tendere a crearsi già da quando il bambino non è nato un'immagine di quello che sarà ponendogli dopo la gravidanza delle pressioni, per le aspettative che ha a riguardo(stern a questo proposito parla di bambino immaginario). Bisogna assumere una prospettiva diversa del bambino che comporta una sorta di refraiming , un cambiamento di cornice ,che non è sempre facile quando per esempio l'educatore mette in luce comportamenti del bambino che il genitore non è pronto a riconoscere. In casi in cui l'insegnate deve segnalare una difficoltà comportamentale o una difficoltà di sviluppo, si deve limitare a riportare quanto osservato quotidianamente, orientando la famiglia verso uno specialista e offrendo supporto senza fare diagnosi dato che esula dal loro ruolo. Comunicare ciò richiede delicatezza, attenzione e progettazione, sempre valorizzando le risorse del bambino per far fronte al bambino, tali notizie andrebbero pianificate all'interno del gruppo. I rischi nell'osservazione e i fenomeni dell'ettichettamento Come il genitore ,anche il professionista, nel guardare il bambino ,ha delle aspettative e schemi naturali. L'osservazione non è mai priva di soggettività. Le aspettative dell'osservatore possono portarlo a osservare solo i fenomeni che si aspetta di osservare, rimanendo cieco di fronte a quelli inattesi o a rilevare comportamenti che in realtà non si verificano, pur di confermare le sue aspettative. Ad esempio può accadere che l'educatore valuti il bambino sotto l'effetto alone= quando si basa su un'impressione generale e su poche caratteristiche ritenute rilevanti. Tale effetto si connette al fenomeno dell' etichettamento =si stabilisce un etichetta al bambino ,sulla base di un aspetto del suo comportamento, che poi tende a stabilizzarsi. Una volta che subentra l'etichettamento ,un comportamento transitorio tende a stabilizzarsi, il soggetto sarà portato a soddisfare le aspettative che gli altri hanno nei suoi confronti , assumendo l'identità a cui corrisponde l'etichetta attribuita. Le forme dell'etichettamento inconsapevolmente hanno effetti non solo sul bambino "bersaglio" ma anche su quello dei pari, che anch'essi inconsapevolmente lo vedranno allo stesso modo, rinforzando il circolo vizioso e potenziando gli effetti deleteri sul bambino. Raccontare il bambino concreto E' importare ,nel comunicare coi genitori, che parlino di episodi concreti e specifici cosi che possono essere messi in relazione tra loro, ai fini di una comparazione. Quindi non basarsi su descrizioni generiche, seggette a interpretazioni soggettive e non usare termini come "sempre" o "mai" in quanto categorie assolute e immodificabili. I modi in cui genitori e educatori hanno di vedere il bambino può portare a conflitto , e molto importante usare non una definizione generale ma una descrizione dettagliata del comportamento specifico. L'educatore nel descrivere il bambino deve tener conto anche delle caratteristiche specifiche del contesto educativo(a casa il bimbo è sociale, a scuola no). E' più facile del genitore se il problema viene connotato come modificabile ; viceversa di fonte a un'etichetta subentra una sensazione di impotenza e immobilità. E' ancor più pericoloso se le definizioni etichettanti e stereotipiche convergono. Etichettamenti convergenti= L'aderenza agli stessi modelli e stereotipi culturali si tramuta in uniformità di sguardi sul bambino, ossia verrà visto da tutti allo stesso modo. Attenzione quindi a far si che le descrizioni siano imparziali sui comportamenti, evitando interpretazioni stigmatizzate. La descrizione di situazioni concrete facilita il confronto e la condivisione di diversi punti di vista, passando dalla soggettività all'intersoggettività. Anche l'osservazione condivisa/congiunta aiuta a vedere aspetti del comportamento che erano rimasti nell'ombra , impossibili da vedere ,perché non coerenti con le proprie rappresentazioni mentali. Co-costruzione delle immagini del bambino Il cambiamento di prospettiva generativo, supportato dal confronto dei caregiver professionali-genitoriali ,è più evidente in prossimità dei cosiddetti touchpoint, ovvero secondo Brazelton, fasi di temporanea disorganizzazione, tipici dei primi anni di vita , che precedono un salto nello sviluppo motorio, cognitivo o emotivo del bambino e anticipano l'acquisizione di nuove abilità. I touchpoint marcano una discontinuità nello sviluppo del bambino In quanto il comportamento del bambino mostra delle crepe ,mettendo a dura prova l'equilibrio relazionare familiare. Il servizio educativo può dunque diventare un ambiente protettivo per il bambino , quando in accordo con i genitori si sostiene che egli deve fare esperienza della discontinuità dello sviluppo passando cosi da una visione ideale della crescita a una coerente con i bisogni irrinunciabili dei bambini. La riorganizzazione cognitiva è quando si mettono insieme i diversi sguardi sul bambino riconfigurando il quadro d'insieme, favorendo un nuovo modo di acortarsi ai problemi. Una visione completa e complessa = il confronto tra più punti di vista ,che permette il riconoscimento che esistono diverse prospettive bel vedere e comprendere la realtà. La realtà non è mai oggettiva, ma soggettivamente costruita. Il nostro modo di vedere è condizionato da schemi mentali, necessari per categorizzare e interpretare la realtà. Per relazionarsi con l'altro che ha quindi un altro modo di vedere, è necessario diventare consapevoli dei propri schemi mentali impliciti, riconoscendo la loro relatività e limitatezza. Cap 5 Aspettative ,schemi mentali e giudizi nell'incontro con l'altro Sistemi di premesse La percezione della realtà non è mai essente da soggettività, possiamo osservare l'altro solo attraverso delle "lenti" che filtrano il nostro modo di vedere e sentire. Queste lenti possono essere considerate i nostri sistemi di premesse, costituiti da valori culturali e personali, idee, preconcetti ,conoscenze, con il valore simbolico di mappe che ci permettono di orientarci, restituendoci però una <monovisione>. La metafora dell'iceberg->pensando a come funzionino tali sistemi di premesse possiamo ricorrere a tale metafora, in cui la parte emersa, l'unica visibile, costituisce solo una piccola porzione di ciò che veramente implicato nella relazione , mentre la parte sommersa, ben più consistente ,rappresenta elementi al di fuori della consapevolezza ,condizionano il nostro comportamento. Bravi genitori e bravi maestri :aspettative irrealizzabili o incontro possibile? Nella comunicazione insegnante-genitore, un ruolo fondamentale sono anche le rappresentazioni reciproche in merito al ruolo dell'altro. Problemi comunicative e conflitti nascono da conflitti dovuti a aspettative disilluse: <come dovrebbe essere> e come invece <è>, creano barriere difficili da colmare se non si è consapevoli delle proprie attese e idealizzazioni. L'educatrice deve riflette sulle proprie rappresentazioni di famiglia e chiedersi se queste siano funzionali all'incontro con le famiglie. Modelli impliciti di famiglia nel lavoro dei professionisti Gli studi di Fruggeri sulla relazione tra famiglie -servizi, introduco un altro focus sulle teorie e modelli impliciti che guidano il comportamento dei professionisti ,spesso al di fuori della loro consapevolezza. Nel modello della famiglia assente prevale una rappresentazione individualistica ,in cui il professionista considera la relazione tra il soggetto e la famiglia irrilevante. Tale modello ,inteso come forma mentis , è ormai superato dai servizi educativi, ma può ripresentarsi nel caso in cui gli educatori sono sotto stress e il servizio non riesca a supportarli. In queste situazioni il malessere personale e organizzativo può concentrarsi solo sul bambino ,in un'ottica individualistica. Inoltre, possono presentarsi casi in cui l'assente è solo un membro della famiglia: genitori separati, un genitore all'estero, ..la rappresentazioni mentali dei professionisti a riguardo sono parziali e spesso vengono estromessi dalle loro rappresentazioni. L'are con le famiglie è la prima a venir trascurata e dimenticata nel caso in cui le risorse fisiche ed emotive dei professionisti siano ridotte. Nel modello della contiguità separata = il professionista considera se stesso e la famiglia come due soggetti separati ognuno dei quali intrattiene relazioni significative con l'utente in ambiti diversi e paralleli, senza considerare le connessioni tra i due ambiti. La famiglia, rispetto al modello precedente è considerata significativa per il soggetto e l'intervento del professionista col bambino è considerato aggiuntivo o giustapposto rispetto a quello famigliare, ad esempio quando la linea educativa della famiglia è diversa da quella del nido e diventa quindi parallela ad essa senza incrociarsi. Eventuali "sconfinamenti" da parte del genitore sono considerati ostacolanti , ad esempio genitori troppo colti e preparati che vogliono sapere per filo e per segno il metodo dei professionisti. Esempio contiguità separata: madre che arriva a ritirare la bimba che grazie ai servizi educativi mangiava di tutto rispetto a prima che era molto limitata, ciò ha fatto sentire la madre non competente in quanto non vi è stata una co-progettazione coi genitore. Le interazioni famiglie-servizi in tale modello sono limitate a informazioni in cui rimane implicita l'idea dell'indipendenza dei contesti di azione: gli educatori senza interpellare i genitori programmano attività . In questo caso, un obiettivo educativo del servizio può essere osteggiato dalla famiglia ,fino a ottenere un effetto paradosso, per cui il raggiungimento del traguardo significa la rottura del legame. Il modello della collaborazione unilaterale : la famiglia ha un influenza importante sull'azione educativa del professionista ,ed è in grado di facilitarla o ostacolarla, ma si considera la famiglia una risorsa da sfruttare ,invece che un alleato con cui confrontarsi e e con cui tessere relazioni reciproche e simmetriche. Si adotta una prospettiva istruttiva , in cui la famiglia deve seguire consigli e disposizioni dell'esperto con una prospettiva top-down, dove il flusso delle comunicazioni è unidirezionale, nel senso che i genitori ad esempio chiedono aiuto e consigli ma poi a casa fanno come gli pare. Gli obiettivi educativi non sono condivisi e co-costruiti con le famiglie. Il coinvolgimento delle famiglie è funzionale agli scopi del servizio senza considerare i loro scopi che potrebbero essere diversi. Come nel modello della contiguità separata, non si riflette sulle implicaizoni che la propria azione potrebbe avere sulla famiglia. Nel modello della sostituzione , la famiglia è intesa come importante per il bambino ma inadeguata ,problematica o comunque carente di risorse utili per l'azione educativa. La famiglia viene giudicata negativamente e colpevolizza per gli eventuali problemi manifestati dal bambino. L'educatore si sente un sostituto "buono " che può compensare la famiglia , senza considerare che questo può creare una frattura nella relazione che lega il bambino con la famiglia. Inoltre la famiglia percependo ciò, quindi il pregiudizio, la stigmatizzazione tenderà ad allontanarsi dal servizio. Alcuni studi : quando l'educatore si considera più competente, una <seconda madre>, ne risente l'addatamento del bambino : se l'educatore svilisce il genitore mettendo in atto una dinamica di sostituzione , nel contesto educativo i bambini mostrano problemi comportamentali. Nel modello della coevoluzione, il professionista progetta la propria azione sulla base di ciò che ritiene evolutivo per il soggetto come membro di un sistema familiare. Tale modello è quello più coerente rispetto all'idea di corresponsabilità educativa e di cocaring, dove famiglie-educatori sono co-attori nel processo educativo. La prospettiva di Fruggeri ci aiuta a capire che le rappresentazioni mentali del professionista hanno un impatto essenziale sulla sua azione e sull'idea che si costruisce di ciascun famiglia con cui viene a contatto. Ad esempio un educatore con un modello di contiguità o di collaborazione unilaterale giudicare l'atteggiamento di un genitore attivo e presente come invadente e inopportuno mentre un educatore con un modello co-evoluzione lo giudicherà attento e presente. Il giudizio sugli altri è quindi permeato da un alto grado di soggettività ad esempio, individuando persone con caratteristiche positive che si ritengono simili a sé. La questione del giudizio: agito o sospeso? Quando ci si relaziona con le famiglie è necessario un atteggiamento di non- giudizio. Renzo Carli afferma che ogni nuovo evento che l'individuo incontra viene codificato entro classi emozionali, più nello specifico entro lo schema amico-nemico: il nemico evoca emozioni di paura, rabbia, angoscia, impotenza ,bisogno di sfida e competizione; l'amico ->bisogno di affiliazione, coesione, fusione. Tale schema è fondamentale per la sopravvivenza, poiché consente velocemente di elicitare le reazioni adeguate di fronte a un pericolo, di attacco e fuga, nel caso di uno schema nemico, e di avvicinamento/accoppiamento-fusione , nel caso di uno schema amico. Tali risposte comportamentali fanno parte del nostro repertorio per l'adattamento. E' fondamentale aumentare la consapevolezza dei meccanismi automatici di classificazione e giudizio , per poter riflettere su di essi, e trasformali in materiale maneggiabile e trasformabile. Rigidità delle aspettative e resistenza al cambiamento I nostri sistemi di classificazione della realtà strutturano aspettative spesso rigide che ci rendono ciechi di fronte a quanto non è previsto, tendiamo a misconoscere ciò che non rientra nei nostri quadri concettuale. A questo proposito si parla di resistenza al cambiamento per evitare di perdere le proprie certezze che fanno parte della propria identità, in questo modo si continua ad avere il pieno controllo di tutto , perché si creano le condizioni perché accada solo ciò che ci si aspetta. Sarebbe necessario percorrere nuove strade uscendo dalla confort zone. Non una, ma tante realtà Il professionista deve diventare consapevole dei propri schemi interpretativi e dalle proprie aspettative , riflettendo cosi su come le proprie letture della realtà influenzano la realtà stessa e attenuare le difficoltà comunicative di solito insite in ogni interazione. Educatore deve auto-osservarsi e confrontarsi con i colleghi , con la disponibilità ad avere nuove rappresentazioni e aspettative nei confronti della famiglia, ovvero <altri occhiali>, <mappe>, altri modi di <vedere>. Schemi mentali e influenza della cultura I nostri schemi mentali, interpretativi, i nostri sistemi di premesse che orientano il nostro modo di vedere, non dipendono solo dalla nostra storia ma anche dal macrosistema di cui facciamo parte. L'individuo è imbracato nella cultura di appartenenza, dando per scontato che la propria visione sia l'unica possibile. Venire a contatto con culture diverse può provocar uno shock culturale , mettere in discussione i propri riferimenti, sentirsi disorientati, per evitare l'immobilismo e la rigidità, è necessaria una buona flessibilità. Tale competenza è necessaria per educatori-insegnanti che si trovano a contatto con famiglie culturalmente diverse. In alcune culture si enfatizza il valore dell'interdipendenza e la coesione sociale, il rispetto, la conformità alle regole , la responsabilità verso la comunità e la cooperazione ; in altre si stimola l'indipendenza, l'autonomia, la realizzazione personale e la competizione: nel primo caso si parla di culture collettivistiche e nel secondo caso di culture individualistiche. Culture individualistiche-> il singolo è più importante del gruppo, valore dell'autonomia importante; Culture collettivistiche-> importante l'appartenenza al gruppo e la fedeltà ai suoi membri. Anche gli aggettivi scelti dai genitori per descrivere i figli, possono variare nei diversi contesti culturali, riflettendo modi diversi di concepire le competenze auspicabili :gli americani usano attributi come intelligente e curioso mentre gli kenioti usano attributi come rispettoso e di buon cuore. La cultura di appartenenza influenza gli obiettivi educativi considerati auspicabili per i bambini perché per una cultura può avere un significato per un'altra un altro significato: intelligenza intesa in alcuni casi intesa come proprietà cognitiva, in altri come responsabilità sociale, rispetto per gli altri. Tali considerazioni rendono conto che nei processi educativi occorre attivare un processo continuo e sistematico di confronto e condivisione con le famiglie , in cui si lascia spazio all'ascolto dell'altro , abbandonando l'idea che la propria idea sia compresa e approvata. Per un'educatore accogliere le differenze ,nel rispetto dell'unicità di ciascuno, implica anche accettare l'idea che possa esserci una <discontinuità> tra le proprie linee e prassi educative e quelle delle famiglie . Cap 6 Ripensare con la continuità. Confrontarsi con la somiglianza e la differenza, la vicinanza e la distanza. Ridisegnare i confini Nei servizi 0-6 la dimensione dell'educazione e dello stimolo all'autonomia sono strettamente legate con quella della cura, più manifesta nel nido che nella scuola di infanzia. Ed è proprio la cura che accumuna le madri e le educatrici, è l'elemento principale di somiglianza. Questa percezione di essere simili comporta una sensazione di affinità, vicinanza e coesione , ma implica anche il rischio di appiattire e azzerare la specificità dei due ruoli. Due diversi approcci alla cura del bambino La madre e l'educatrice instaurano una relazione empatica con lo stesso bambino , ma lo fanno partendo da posizioni diverse: la madre entra in relazione col bimbo già prima della sua nascita, le azioni e i gesti sono intrisi fin da subito di un 'intensa affettività; l'educatrice costruisce la relazione dopo che inizia ad accudire il bimbo , a partire dai gesti di cura che compie quotidianamente su di lui e con lui. Una relazione di cura implica tre momenti : "sentire con", "fare con", "essere con": la madre prima è sente il bambino, quindi fa lui(cura il suo bimbo perché ha un legame con lui): l'educatrice prima fa, poi sente e passa all'essere. Un'altra differenza tra i due approcci è che quello con la madre è un rapporto che dura tutta la vita, mentre quello con l'educatrice è temporaneo, "a termine". Maternage in ambio professionale implica un qualcosa dell'ambito affettivo, ma non spontaneo ,viene elaborato criticamente, incrociato cioè con altri elementi fino a produrre abilità tecniche e conoscenza. E quando l'insegante è anche genitore? Sfera personale e professionale in parte si sovrappongono, all'interno di un sistema dinamico che si influenzano reciprocamente. Il punto centrale è come questa osmosi viene monitorata, compresa e gestita: l'educatrici che si trovano ad essere anche madri possono arricchire la propria conoscenza dei bambini, fondendo la capacità di cura materna con la professionalità educativa e assumendo una prospettiva duplice, più ampia e più complessa ,ovvero quella "visione periferica". Non sempre tale prospettiva è priva di problemi ,a volte, per esempio non sempre la visione della "me-mamma " e della "me-insegnate" corrispondono. Il continuum tra continuità e discontinuità Le idee genitoriali sono collocabili lungo un continuum, dove, da una parte ritroviamo un orientamento alla continuità(dove c'è l'idea che ci debbano essere identici ruoli e funzioni. per cui l'educatrice diventa un prolungamento, un sostituto della figura genitoriale), dall'altra parte l'orientamento è a favore della discontinuità( l'idea che ci debbano essere sfere separate ,con responsabilità e ruoli distinti). La continuità tra servizio famiglia ed extra famigliare è fondamentale per lo sviluppo e il benessere del bambino, ma è necessario anche una certa discontinuità per stimolare la crescita del bambino; il bambino apprende di più se gli è concesso fare esperienze diversificate in contesti differenti. Continuità significa accompagnare le transizioni , garantendo al bambino ritrovare un po' di casa nel contesto extra famigliare e viceversa. Troppo simili e troppo vicini: identificazione del contagio emotivo Il sentirsi simili va di pari passo col sentirsi vicini. Tanto più ci si sente vicino all'altro ,che si avverte come simile, tanto più è probabile sintonizzarsi con lui, anche a livello empatico. Il livello di vicinanza deve essere bilanciata/moderata mantenendo un'adeguata distanza, necessaria per riuscire a vedere l'emozione dal di fuori. Per provare empatia bisogna sperimentare un certo grado di fusione con l'altra persona ,mantenendo una chiara differenziazione, se no si arriva a un'eccessiva identificazione che porta a sentirsi immersi nell'esperienza altrui senza più vedere il proprio punto di vista, e l'empatia si trasforma in contagio emotivo. L'eccessiva vicinanza all'altro è pericolosa al professionista. Soluzione: adeguata supervisione= attivare la risorsa del gruppo d'equipe ,con funzione di sostegno e contenimento, anche grazie alla supervisione di un esperto esterno. Se non si riesce a gestire le richieste emotive efficacemente ->burnout. Le abilità comunicative possono incrementare il benessere del professionista e diminuire i rischi da burnout. Rimodulare le distanze: alleanza o amicizia? Genitori -insegnati non necessariamente devono stringere rapporti di amicizia coi genitori, poiché la vicinanza reciproca non è un valore in se ,ma è al servizio del bambino. E' importante salvaguardare il giusto confine , consente una tutela del se intimo e personale, sia per professionisti che per le famiglie. Ad esempio se l'educatore fa una domanda innopportuna per conoscere la situazione famigliare del bambino violando la privacy. E' importante modulare le distanze relazionali. Un linguaggio formale o confidenziale? Dare del "tu" fin da subito per alcuni può essere rassicurante per altri un'invasione, indica un'intenzione di vicinanza ,bisogna tener conto delle differenze culturali nel ridurre o mantenere le distanze sul piano interpersonale. La "giusta "distanza relazionale: il ruolo dello stile di attaccamento Il tema della giusta distanza chiama in causa quelle variabili personali che condizionano il modo in cui ognuno si relaziona, tra cui il proprio stile di attaccamento. L'attaccamento non riguarda nei servizi educativi solo il tema educatore-bambino ma anche i rapporti tra adulti. L'attaccamento adulto si suddivide in: -sicuro/autonomo(corrisponde all'attaccamento sicuro del bambino)=bambino con fiducia nei genitori, che hanno saputo riconoscere e accogliere le sue emozioni, ponendosi come base sicura, alternando la vicinanza con l'allontanamento esplorativo. Da adulto sarà competente socialmente, buona autostima e relazioni affettive stabili ,facilita a relazionarsi ,rapporti basati sul reciproco rispetto, modula efficacemente autonomia e dipendenza, senza timore della solitudine né evitamento dell'altro. -attaccamento distanziante(corrisponde all'attaccamento evitante del bambino)= modello di se positivo e dell'altro negativo; genitore che non ha saputo accogliere le sue emozioni , è stato una figura inaccessibile, non manifestare il bisogno di vicinanza diventa il modo migliore per non farla allontanare. Da adulto meccanismo difensivo mettendo un confine emotivo tra se e gli altri e non tollera il punto di vista altrui, percepito come minaccia perché può svalutare i suoi sentimenti. Affidamento solo su se stesso, evita relazioni intime, si mantiene troppo distante dall'altro; sottolinea l'importanza dell'indipendenza e libertà ed è poco coinvolto nelle relazioni interpersonali -attaccamento preoccupato/invischiato(attaccamento ambivalente)=modello di se negativo e dell'altro positivo. Il soggetto ha avuto caregiver incostante e incoerente nella risposta ai suoi bisogni affettivi, comportando confusione dei propri bisogni e emozioni, e sensibile sulle relazioni degli altri. Da adulto poca fiducia in sé ,bassa autostima, necessità di costante approvazione; "troppa vicinanza" all'altro, percepito come mezzo per costruire la propria sicurezza -attaccamento disorganizzato/con traumi irrisolti= modello del se e dell'altro negativo; bambino che è stato maltrattato o ha vissuto una mancanza di affettività, con un caregiver che a sua volta ha subito traumi non risolti. Da adulto scarsa fiducia in sé e negli altri; si sente inadeguato nel relazionarsi, percepisce gli altri inaffidabili, tende ad oscillare tra il troppo vicino e il troppo distante , perché da una parte evita le relazioni dall'altra se coinvolto diventa emotivamente dipendente dall'altro e sperimenta ansia di separazione Quindi insegante sicuro=facilita a relazionarsi ; preoccupato= timore del giudizio dei genitori, assecconda tutte le loro riichieste; distanziante=difficoltà a gestire il confronto con le famiglie, si mette in discussione sui punti di vista differenti dal proprio, ignorare o screditare sentendo di non potersi fidare dell'altro; irrisolto= oscilla tra il desiderio di relazione e paura dell'intimità, alterna l'adesione emotiva all'altro, il conflitto e il ritiro sociale. Lo stile di attaccamento ha impatto anche nelle relazioni tra adulti, influenzando rapporti di coppia, le amicizie e le relazioni sul luogo del lavoro: è stato evidenziato una connessione tra attaccamento insicuri, burnout e soddisfazione professionale e difficoltà relazionali nel contesto lavorativo(ecco perché incide sulla relazione che instaura con le famiglie; gli educatori si diversificano in base allo stile di attaccamento che hanno avuto da bambini). I modelli operativi interni di educatori e inseganti influenzano non solo il legame col bambino ma anche con gli altri adulti significativi. E' importante che ciascun professionista acquisisca consapevolezza delle proprie modalità relazionali e aspettative affettive in modo da limitare le proprie zone d'ombra, che sfuggono al controllo consapevole e al monitoraggio cognitivo, e che sono responsabili di agiti poco controllabili. Soluzione: l'educatore deve essere disposto a lavorare su di sé e che l'organizzazione di cui fa parte sia disposta a investire in formazione e supervisione, in modo da "prendersi cura di chi cura". La formazione di tipo riflessivo potrebbe stimolare la capacità ,da parte dei caregiver professionali, di rileggere le proprie esperienze relazionali e di aumentare la consapevolezza della connessione tra vissuti infantili, schemi relazionali e azione quotidiana nel contesto educativo. Cap 7 Dinamiche attorno al potere Un rapporto alla pari? (Dis)equilibri e (a)simmetrie relazionali Il concetto di coinvolgimento dei genitori nei servizi educativi ha molte sfaccettature: i servizi devono scegliere il giusto approccio da adottare, senza che sia in contrasto con quello dei genitori con determinate aspettative e desideri. Approccio deficient perenting= collaborazione unilaterale , sottolineando l'importanza dei genitori di seguire le direttive le linee guida degli insegnati e adottino comportamenti stabiliti dai professionisti; sono intesi come preparatori alla scolarizzazione, come risorse per raggiungere gli obbiettivi. Approccio democratico= professionisti-genitori co-costruiscono e valutano curricula e progetti di fronte a un'idea in cui è incorporata la prospettiva della famiglie. Approccio intermediario=la partecipazione delle famiglie è un mezzo per garantire un miglior apprendimento dei bambini, in ottica strumentale, e come un obiettivo chiave in sé, in ottica partecipata; partecipazione limitata a come realizzare gli obiettivi di apprendimento stabiliti però dai professionisti. Per esempio per l'educatore la partecipazione genitoriale sta nel facilitare l'apprendimento al bambino invece per i genitori l'apprendimento può riguardare solo la scuola e il loro compito riguarda solo il far star bene il bambino mentre apprende. Consigli ? No grazie La pratica di dare consigli da parte degli educatori, se intesa come unica modalità di sostegno alla genitorialità ,presenta rischi: quello di rinforzare il timore del genitore di non essere abbastanza competente ,confermando la necessità di avere risposte da qualcuno più competente di lui, non porta a sostenere una genitorialità consapevole, ma a avvalorare una richiesta di delega passiva e deresponsabilizzante all'esperto. Non si promuove quindi un cambiamento di tipo generativo, dove il genitore è il protagonista delle sue scelte, ma si adotta una modalità ortopedica al cambiamento, la cui direzione è guidata dall'esterno. Onnipotenze educative dei professionisti: pensarsi e rendersi indispensabili Per un professionista non è facile rinunciare alla posizione di chi sa di più e spogliarsi del ruolo di dispensatore di consigli e aiuto. Scegliere la professione di educatore/insegnate presuppone un bisogno inconscio di prendersi cura di qualcuno ,che sia a sua volta bisognoso di cure, come un bambino piccolo e indifeso. L'educatore dunque potrebbe inconsciamente assimilare anche i genitori a bambini piccoli e indifesi ,da accudire e sostenere. Ad esempio come una madre impedisce al figlio di essere autonomo per essere indispensabile, cosi può fare anche questo tipo di educatore in cui impedisce al genitore di sentirsi competente, per poter continuare ad essere l'unico esperto in grado di guidare il genitore <piccolo e indifeso> come un bambino. Se il genitore si percepisce come inadeguato potrebbe delegare l'educatore a sostituirlo ,se egli accetta implicitamente conferma la visione che il genitore ha di se stesso; si assiste dunque a una <amplificazione delle differenze > dove le differenze si giocano su un piano asimmetrico e sbilanciato di potere (educatore superiore al genitore)invece che su un piano di confronto reciproco evolutivo e costruttivo. In questo caso si prospetta una disfunzionale <costruzione della dipendenza> all'interno di una relazione che l'autore W. definisce di tipo complementare. Cioè Il senso di inadeguatezza del genitore viene ampiamente alimentato nella relazione coi servizi: gli operatori confermano rappresentazioni mentali pregne di insicurezza e vulnerabilità. Alimentare l'autoefficacia genitoriale: il processo di empowerment Nel costruire un'alleanza con le famiglie, i servizi dovrebbero avere tra i propri obiettivi quello di sostenere l'autoefficacia genitoriale, ovvero la convinzione di essere capace di alleviare ed educare i figli. Per incidere sul benessere socio emotivo del bambini, gli operatori dovrebbero riconoscere e valorizzare i loro caregiver primari. L'intervento dell'educatore nei confronti delle famiglie va collocato nell'ottica dell'empowerment ,processo che si riferisce allo sviluppo in età adulta e ha l'obiettivo di rendere individui e gruppi consapevoli delle proprie risorse e capaci di mettersi in gioco e raggiungere obiettivi sia personali che sociali. L'empowerment tradotto sarebbe <sviluppo di potenzialità> : è un potere con l'altro e non sull'altro, un potere positivo che mira a riconoscere le risorse proprie e altrui e a valorizzarle. L'empowerment nei servizi educativi riguarda non solo garantire relazioni armoniose, ma ha anche l'obiettivo di potenziare le collaborazioni e di co-costruire expertise, mettendo insieme competenze parallele considerate ugualmente. Bisogna uscire da una relazione gerarchica e asimmetrica per adottare un modello orizzontale ,basato sulla valorizzazione dei saperi e dei ruoli di tutti gli attori coinvolti. Tocca ai professionisti alimentare ulteriormente l'empowerment favorendo la creazione di reti, generando occasioni e opportunità di socializzazione e susidarietà orizzontale. Il processo di empowerment è conneso alla partecipazione, in quanto c'è un nesso tra la percezione delle competenze personali e la volontà di agire all'internbi della comunità. L'ultimo tassello mancante di se: l'immagine di se del professionista Per poter stimolare nelle famiglie il processo di empowerment ,il professionista deve anche credere in se stesso, se no ostacola la relazione. Per coltivare una buona immagine di se ,è importante il supporto dei colleghi: una risorsa fondamentale dei professionisti è il supporto percepito all'interno dello staff educativo. Nell'ambito di contesti lavorativi, l'autoefficacia personale e connessa a quella collettiva dell'organizzazione. E' chiaro che le relazioni intragruppo(tra colleghi) e intergruppo(tra insegnati-genitori) sono interdipendenti. Autoefficacia genitoriale=E' importante che i servizi educativi alimentano le convinzioni di efficacia dei genitori. Ovvero quelle che concernano le autovalutazioni sulla propria competenza, quella di riuscire ad allevare ed educare opportunamente i propri figli; l'autoefficacia genitoriale è un fattore di protezione rispetto allo stress genitoriale. I genitori con elevato senso di autoefficacia genitoriali sono sensibili e responsivi nei confronti dei figli e ne promuovono il benessere e l'adattamento. Cap 8 La circolarità della comunicazione Comunicare le radici del significato Un abile comunicatore deve garantire il coinvolgimento degli interlocutori, facendo un uso costruttivo e costante dei feedback che provengono dagli interlocutori. In tal senso, comunicare=mettere al servizio degli altri le proprie conoscenze, e cioè essere disposti a rinunciare a una posizione di supremazia ,in quanto chi sa di più ha una posizione di potere di chi sa di meno. La stretta connessione di comunicazione è sottolineato da Lawrence Lightfoot , che definisce il contesto prescolastico un microcosmo sociale, dove è possibile mettere in comune saperi, idee, progetti e significati. La comunicazione nella prospettiva sistemica La comunicazione è un flusso continuo e ininterrotto di scambi, di <andata e ritorno>, secondo il principio di retroazione. Tale concetto indica il feedback che dal ricevente della comunicazione giunge di ritorno all'emittente: un sistema aperto dove A influenza B che a sua volta influenza A. Watzlawick e la scuola di Palo Alto : W. ha considerato la comunicazione da un punto di vista relazionale, inspirandosi alle teorie della cibernetica. La cibernetica, infatti ,assume che ogni individuo è in grado di influenzare gli altri attraverso il proprio comportamento e, allo stesso tempo, è influenzato dal comportamento altrui. Studiando la comunicazione, secondo degli studi, è possibile individuare quelle patologie della comunicazione che appunto producono interazioni patologiche. La pragmatica della comunicazione e i suoi assiomi Si può studiare la comunicazione da tre prospettive: quello della sintesi (che riguarda struttura comunicazione a livello di trasmissione dell'informazione); quello della semantica(riguarda il significato della comunicazione); quello della pragmatica. Occuparsi della comunicazione pragmatica umana significa indagare sugli effetti della comunicazione sul comportamento. Sono stati individuati 5 assiomi, da Watzlwick, ovvero proprietà della comunicazione che hanno importanti implicazioni interpersonali. Gli assiomi spiegano il funzionamento del processo comunicativo e gli errori che portano al fallimento. 1. assioma= "non si può non comunicare" Qualsiasi comportamento in una situazione di interazione è un messaggio e influenza le persone che non sono presenti. Anche se non parliamo il nostro corpo dirà sempre qualcosa. Lo sguardo, la postura, l’espressione del volto e del corpo sono modi per manifestare il nostro pensiero. Il silenzio o la quiete sono anch’essi modi di comunicare un messaggio. Alla luce di ciò, possiamo dire che la comunicazione è insita nell’essere umano 2. <ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione, in modo che il secondo classifica il primo, ed è quindi metacomunicazione > (che cosa dici e come lo dici)il contenuto del messaggio va interpretato alla luce della relazione esistente tra i soggetti che interagiscono: significa che in ogni tipo di comunicazione ci sono 2 livelli: il contenuto o la "notizia, che riguarda la trasmissione dei dati, e il comando, che indica il modo in cui si deve assumere tale comunicazione e che dipende dal tipo di relazione che intercorre tra i partecipanti. Esempio un capo d'ufficio se dice ad un dipendente <fammi subito quel lavoro>, implicitamente disegna una relazione di potere , sottomissione ,che a sua volta l'interlocutore può decidere o meno ;se dice <vorrei che mi facessi subito questo lavoro perché ... delinea invece una relazione di partecipazione-collaborazione(stesso contenuto ma relazioni diverse). Il modo in cui viene detto cambia il significato del contenuto(relazione significa=il contesto che da senso anche al contenuto). Metacomunicazione(una comunicazione sulla comunicazione)= una comunicazione di secondo livello relativa alla comunicazione stessa,concerne tutte le specificazioni che servono per interpretare il messaggio, può essere utile per prevenire incomprensioni ,sciogliere fraintendimenti; esempio: come mai hai usato quel tono cosi tagliente? si obbliga l'interlocutore a prendere coscienza del suo atteggiamento e a chiarificarlo, prima di andare avanti con l'interazione. 3. <la natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti> : la punteggiatura delle sequenze degli eventi definisce la relazione; gli scambi comunicativi non sono casuali, una sequenza ininterrotta di scambi viene organizzata introducendo la punteggiatura. Per esempio ogni comunicante inserisce parti di informazioni in base al proprio punto di vista cosi se abbiamo ad esempio due persone che litigano avremmo due mondi completamente diversi in base a come punteggiato il loro punto di vista. I modi di punteggiare una sequenza di eventi sono soggettivi e possono generare dei circoli viziosi che si possono interrompere solo se la comunicazione stessa diventa l'oggetto della comunicazione, cioè si mette in atto una meta comunicazione 4. <gli essere umani comunicano sia con il modulo numerico che antologico> : Il linguaggio numerico si riferisce alle parole ,quello antologico alla comunicazione non verbale. Il linguaggio nr è più privilegiato per trasmettere contenuti, idee complesse, ma più difficile da info sulle relazioni ed emozioni; il linguaggio antologico comprende gesti, espressioni facciali e vocali, aspetti che riguardano la relazione tra i partecipanti. Anche se i due dovrebbero coesistere ed essere complementari, a volte sono incoerenti tra loro: con le parole possiamo dire una cosa e con la comunicazione non verbale un'altra ("para ti ascolto" mentre l'altro digita sullo smartphone). 5. <tutti gli scambi comunicativi sono simmetrici o complementari ,a seconda che siano basati sull'uguaglianza o sulle differenze> : interazione simmetrica=interlocutori che si considerano sullo stesso piano (marito e moglie, compagni di classe,..), invece, una relazione complementare= quando si hanno una posizione superiore e una inferiore( genitore-figlio, insegnate- allievo). Gestire il conflitto, comunicare nei conflitti