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Condividere responsabilità e cura

1.1 La relazione tra famiglie e istituzioni educative è denominata in vari modi


"coinvolgimento genitoriale", partnership, partecipazione, alleanza educativa,
corresponsabilità educativa, coeducazione ,spesso usati come sinonimi mentre altre
volte se ne sottolinea la specificità come :
-coinvolgimento genitoriale= comportamento reattivo e non proattivo , tipico di un
rapporto asimmetrico sbilanciato a favore degli educatori
-partnership= ci si riferisce a ruoli paritari tra servizi educativi e famiglia
Tali termini sono multidimensionali: ad esempio il coinvolgimento genitoriale
comprende almeno 2 macroaree, distinti in base al contesto in cui si svolgono:
coinvolgimento entro l'organizzazione scolastica/educativa e coinvolgimento entro il
contesto domestico. Il modello Epstein (egli individuò sei tipi diversi di
coinvolgimento) sostiene che ambiente famigliare e scolastico possono essere
rappresentati su un piano geometrico come "sfere" separate che presentano gradi
più o meno ampi di sovrapposizione:
1. parenting= livello più basso del coinvolgimento, riguarda le responsabilità
della famiglia a favorire le condizioni di base a supporto della scolarità del
figlio (riposo, nutrizione, materialo per la scuola)
2. communicating= attività per l'organizzazione e il mantenimento di canali di
comunicazione casa-scuola(colloqui, materiale informativo)
3. volunteering= impegno genitoriale in attività non retribuite gestire da figure
appartenenti all'istituzione scolastica
4. leraning at home= supporto per le attività di apprendimento da svolgere a
casa e valorizzazione dei genitori del percorso scolastico
5. decision making= coinvolgimento delle famiglie nei processi decisionali
dell'organizzazione riguardo la scuola
6. collaborating with the community= è il livello maggiore di sovrapposizione tra
ambito scolastico e domestico, e riguarda la partecipazione genitoriale nel
coordinamento dei servizi offerti alla comunità
Famiglia e istituzione educativa sono partner nel momento in cui condividono
conoscenze, compiti e responsabilità per la realizzare uno scopo comune.
1.2 Fin dagli anni settanta i servizi educativi sono stati caratterizzati da una gestione
sociale in compartecipazione con le famiglie. Ad oggi la competenza professionale
richiesta agli educatori non riguarda solo i bambini ma anche la relazione con gli
adulti, quindi quando ci si prende cura di un bambino significa prendersi cura della
sua famiglia, cioè i servizi non agiscono solo sui bambini ma influenzano anche i
contesti famigliari in cui sono inseriti. In linea con la teoria di Bronfenbrenner è
possibile affermare che lo sviluppo è influenzato non solo dal rapporto bambini-
contesti ambientali di riferimento, ma anche dalle interazioni che hanno luogo tra
questi diversi contesti , all'interno di ciò che egli definisce "mesosistema". La teoria
ecologica di Brofenbrenner: considerare lo sviluppo del bambino all'interno del suo
ambiente di sviluppo : una sequenza ordinata di strutture concentriche definite con i
termini di microsistema:
1. microsistema= è l'ambiente in cui avvengono interazioni dirette, faccia a faccia
(asilo nido, scuola, casa ,il gruppo di pari)
2. mesositema= è un insieme di microsistemi: interrelazioni tra due o più
situazioni ambientali dove l'individuo partecipa attivamente, ad esmpio le
relazioni tra casa-scuola, genitori- gruppo di amici, e si formano quando il
soggetto entra in un nuovo contesto
3. ecosistema= una o più situazioni ambientali dove l'individuo non è più
partecipante attivo a meno che non si verifichino eventi determinanti o che
determinano qualcosa che accade nella sfera ambientale che comprende
l'individuo
4. macrosistema= include tutti gli altri contesti ambientali e riguarda il
background socioculturale che dà forma all'ambiente ecologico di ogni
gruppo(religione, etnia, cultura)
I contesti ambientali del bambino vanno interpretati come interdipendenti in line
con la teoria sistemica, i cui principi -casualità circolare, nonsommatività, equifinalità
e multifinalità- sono applicabili al campo istituzioni educative e famiglia. Con
casualità circolare s'intende che possibili cambiamenti negli individui e nei contesti si
influenzano reciprocamente. Difficoltà che nascono nell'ambiente famigliare si
riverberano sul bambino e nel contesto extra famigliare ,influenzando l'attività
professionale dell'educatore.
Il principio della non-sommattività riguarda come il sistema scuola-famiglia può
raggiungere obiettivi più ampi e significativi rispetto al sistema genitori-insegnati da
soli.
L'equifinalità =lo stesso risultato può essere raggiunto anche partendo da
configurazioni iniziali e percorsi diversi. Il principio multifinalità =punti di partenza
simili non garantiscono risultati altrettanto simili. In conclusione, la prospettiva
sistemica riguarda che quello che il bambino fa a casa e nel contesto educativo non
devono essere considerati a sé stanti e che il raggiungimento dei traguardi evolutivi
dipende dall'interazione tra i diversi sistemi che coinvolgono il bambino: né la
famiglia o i servizi educativi sono responsabili da soli del raggiungimento degli esiti
di sviluppo. Non è possibile pensare di lavorare nell'interesse del bambino senza
considerare il contesto in cui è inserito.
1.3 Per poter essere definiti "servizi di qualità" è indispensabile costruire una buona
relazione tra famiglie e servizi. Tale relazione ,caregiver professionali e genitori, è
uno degli strumenti per valutare la qualità dei servizi educativi prescolastici.
L'apporto con le famiglie e da considerarsi anche con una seconda accezione: le
famiglie sono chiamate a valutare dei servizi a cui partecipano. Qualità dei servizi e
alleanza delle famiglie: alcuni strumenti di valutazione:
SVANI per il nido e SOVASI per la scuola dell'infanzia includono i "bisogni degli
adulti" come iniziative per i genitori; coinvolgimento delle famiglie nei processi
decisionali; alla costante informazione sull'andamento delle attività proposte,
ASEI per il nido e scuola dell'infanzia :include sezione per sulla partecipazione
delle famiglie e sul rapporto con le famiglie
TRA 0-6 include: sostegno alla partecipazione dei genitori, la partecipazione
delle famiglie all'elaborazione del progetto educativo,
1.4 Una relazione proficua tra servizio e famiglia influenza positivamente il
comportamento del bambino ; ciò consente di attivare un circolo virtuoso , che a sua
volta favorisce la relazione bambino- caregiver, aumentando la qualità delle cure in
entrambi i contesti. La comunicazione genitori-insegnanti aiuta tutti gli adulti a
comprendere meglio i bisogni, le risorse e le difficoltà del bambino, favorisce lo
sviluppo cognitivo ,emotivo e sociale, l'aumento del benessere : autostima,
motivazione e rendimento; aiuta ad adottare una visione globale ed articolata della
traiettoria di sviluppo dei singoli soggetti.
1.5 La relazione insegnanti e genitori che collaborano per il benessere del bambino
viene chiamato cocaring , per identificare l'alleanza educativa tra caregiver
professionale e caregiver professionale, in analogia con il termine coparenting che
indica l'alleanza tra madre e padre. E' importante valutare e monitorare il cocaring
fin dal suo primo sviluppo in quanto condiziona la traiettoria dei rapporti tra scuola
e famiglia.
1.6 Educatori e insegnanti non si relazionano con le famiglie solo come singoli
individui ma anche in qualità di rappresentanti dell'istituzione di cui sono parte.
L'equipe educativa deve dunque collaborare nel portare avanti una linea comune nei
confronti delle famiglie e dei bambini. La collaborazione deve essere intesa non solo
come condivisione dei compiti ma anche come del labor, che indica gli aspetti
emotivi del lavoro, come il dubbio, ansia e il conflitto. Un'efficace comunicazione
interna tra colleghi è un'efficace ,a sua volta, comunicazione rivolta alle famiglie. "se
noi per primi come educatori non condividiamo alcuni punti fermi, come possiamo
presentarci ai genitori in modo coerente?".
esempio disfunzionale di cocaring: madre che per placare il figlio irrequieto lo sgrido
dicendogli che lo porterà a scuola anche la domenica opure che chiamerà la maestra
e ci penserà lei a metterlo in castigo. Se uno dei partner(madre) delegittima l'altro
(insegnante) nella sua funzione educativa , attribuendoli caratteristiche negative
danneggia il rapporto con il bambino, infatti quest'ultimo fa la peste a scuola perché
gli viene dipinta come una punizione.
1.7 Variabili/fattori che influenzano la comunicazione e l'alleanza tra adulti, che
includono le caratteristiche del bambino, della famiglia e del contesto educativo
extra-famigliare. Caratteristiche del bambino: età e comportamento. Nel caso di
bambino sotto i 3 anni la comunicazione famiglie-servizi è più frequente e
sistematica , con l'innalzarsi dei livelli scolastici essi si allontanano. Comunicare, però,
di più non equivale necessariamente a comunicare meglio. Riguardo il
comportamento: se il bambino è sociale ed ha un'emozionalità positiva la
comunicazione è più fluida ,più proficua. Le caratteristiche famigliari :il livello
socioculturale e le credenze familiari. Alcun dati sostengono ->alto livello
socioculturale =maggior grado di coinvolgimento nei servizi educativi. Mentre altri
dimostrano effetto opposto e assenza di effetti. Alcuni ricercatori ->Credenze
educative maggiormente tradizionali=allontanarsi dai dai modelli attualmente
presenti nei servizi educativi. Molti studi evidenziano il coinvolgimento genitoriale è
indicatore di qualità e nello stesso tempo servizi di qualità tendono a promuovere
maggiormente il coinvolgimento genitoriale. Anche il basso rapporto numerico
bambini-adulto incide in modo positivo sulla relazione con le famiglie ed è elemento
di qualità per i servizi educativi. Maggior numero di ore di frequenza del servizio da
parte dei bambini si correla a difficoltà nel comunicare con le famiglie. I bambini che
frequentano full time risultano avere livelli di stress più elevati e possono essere più
inclini a richiedere l'attenzione esclusiva degli adulti, limitando le possibilità di
genitori -insegnati di avere uno spazio di confronto e dialogo. Caratteristiche degli
educatori: il sistema di credenze e rappresentazioni e le competenze emotive. Per
esempio alcuni autori hanno notato che alto senso di autoefficacia dei caregiver
professionali =facilità di relazionarsi coi genitori.
(Bandura e il costrutto dell'autoefficacia. Secondo egli gli individui sono agenti attivi
e capaci di autodeterminazione. Introduce il costrutto di autoefficacia che concerne
le convinzioni sulle proprie capacità di organizzare e eseguire le azioni necessarie
per realizzare determinanti risultati. Alta autoefficacia=sentirsi in grado di gestire
situazioni difficili e ha impatto sul benessere personale, diminuendo la vulnerabilità
allo stress e alla depressione. Consapevolezza delle proprie capacità e
padroneggiarle=essere in grado di.)
Anche le competenze emotive dei caregiver professionali ,ossia discernere gli stati
emotivi propri e altrui ,comprenderli e regolarli= facilità nel comunicare coi genitori.
I modelli infantili, impliciti, le credenze e le rappresentazioni mentali di genitori e
insegnanti=condizionano potentemente la relazione.
1.8 In molte ricerche si sottolinea che ,sebbene educatori e genitori sino concordi
nel riconoscere l'importanza di una buona relazione, spesso si rivelino ambivalenti.
Esiste infatti una gap tra la retorica e la pratica, con forti resistenza da ambe le parti
a costruire un'efficace alleanza. Insegnanti ed educatori spesso si aspettano che le
relazione con le famiglie siano stressanti e costruiscono delle vere e proprie barriere,
legate ad esempio divergenze degli obiettivi educativi, alla carenza di formazione
rispetto ai metodi per aumentare il coinvolgimento familiare,: identificare e
comprendere tali barrire potrebbe rendere più semplice riuscire a superarle. Inoltre,
sempre di più le famiglie rappresentano una realtà complessa : varie le tipologie di
famiglie, vari i bisogni, molteplici le richieste e spesso aspettative alte verso i servizi.
La costruzione della partnership famiglie-servizi è un obiettivo prioritario manca
l'interpretazione condivisa su come intenderla nella pratica e su quali passi siano
necessari per garantirla.
Cap 2 La relazione con i bambini è centrale e costituisce il punto catalizzatore
attorno a cui si costruisce la connessione tra i due caregiver, quello principale(il
genitore) e quello secondario(il professionista). I genitori riescono a fidarsi dei
caregiver professionali solo se questi hanno a cuore il loro bambino, che gli
"vogliono bene". Nell'affrontare quest'alleanza famiglie-servizio, si procederà
partendo da un focus sulla relazione bambino-insegnate ,secondo la prospettiva
dell'attacamento di John Bowlby e Mary Ainsworth: il legame alla madre è dovuto a
una motivazione primaria e innata ,basata sulla necessità del bambino di stabilire
uno stretto contatto con questa figura. Il legame di attaccamento è concepito da
Bowlby come una relazione affettiva, emotivamente significante e continuativa nel
tempo, non sostituibile, da cui il soggetto trae sicurezza e protezione. Il caregiver ha
la funzione di base sicura: trampolino per la curiosità e l'esplorazione del bambino
,che lo nutre sul piano fisico ed emotivo, confortato se triste, rassicurato se
spaventato. Il legame di attaccamento ha un valore adattivo rintracciabile nella
protezione garantita al piccolo dalla figura accudente.
La figura dell'insegnate è dunque una figura di attaccamento secondario per il
bambino. Tale evidenza scientifica si colloca all'interno degli attaccamenti multipli =il
bambino può avere più legami di attaccamento contemporaneamente o in momenti
diversi del suo sviluppo. E' necessario che l'educatore non coltivi solo il rapporto con
il bambino ,ma si adoperi anche per sostenere i legami di attaccamento già esistenti
nei confronti dei genitori. 
Costruire un attaccamento sicuro  nel contesto educativo
Per stabilire una relazione di attaccamento è necessario che i caregiver seguano
alcuni criteri: prendersi cura dei bisogni fisici ed emotivi del bambino, essere
presente in modo continuo e costante, investire emotivamente sul bambino. Stili di
attaccamento:
-sicuro: il bambino conta su una figura disponibile e responsiva , in grado di
comprendere e accogliere i suoi segnali emotivi. Il bambino se lasciato per un paio
di minuti solo con l'educatore per conoscere l'asilo nido, al momento della
separazione riesce a superare il disagio poggiando interesse sull'ambiente e con il
supporto emotivo del caregiver
-insicuro evitante: il bambino al momento della separazione è apparentemente
indifferente, all'arrivo della madre non cerca il contatto o la evita. Il genitore stimola
la padronanza e l'autonomia del bambino ma è riluttante alle richieste di conforto,
cosi il bambino per non essere rifiutato dalla madre attua un meccanismo difensivo
minimizzando il sistema di attaccamento
-insicuro ambivalente: non esplora l'ambiente rimane in prossimità della madre ;
durante la sua assenza appare inconsolabile ; al suo arrivo ricerca il contatto ma non
ne viene rassicurato e mostra rabbia nei suoi confronti
-disorganizzato (stile tipico di bambini maltrattati o con genitori con traumi irrisolti):
comportamenti contradittori: il bambino ha paura sia della situazione stressante sia
del genitore stesso ,che si dimostra spaventato(ha vissuto traumi) e spaventante(in
quanto fa paura al bimbo)
Un attaccamento sicuro all'educatore costituisce un fattore protettivo per il
benessere e lo sviluppo : maggiori competenze socio-emotive :sociali verso i pari,
meno aggressivi e meno tendenti al ritiro sociale; avvantaggiati sul piano cognitivo:
presentano minore vulnerabilità nel contesto scolastico, livello alto di motivazione e
miglior rendimento.
Attaccamento al genitore e attaccamento all'educatore: quale associazione?
L'attaccamento all'educatore è compensatorio e può costituire un'alternativa, poiché
l'attaccamento al caregiver professionale è indipendente da quello che il bambino
ha con la figura primaria. L'attaccamento non è bambino-specifico ma relazione-
specifico, ossia dipende dalla storia relazionale con quello specifico adulto.
L'individuo, a partire dalla propria storia affettiva con il caregiver primario(genitore)
,costruisce delle rappresentazioni mentali, che comprendono un modello del se e un
modello speculare della figura di attaccamento, che orientano le aspettative
relazionali nei confronti degli altri significativi. I partner di attaccamento vengono
internalizzati fino a rappresentare un aspetto del bambino, con una marcata
tendenza alla stabilità. Tali rappresentazioni sono I modelli operativi interni (MOI)
,fungono da filtro nell'interpretazione delle informazioni sociali, influenzando la
costruzione di nuove esperienze, poiché portano l'individuo a cercare relazioni che
corrispondono alle proprie aspettative affettive: la qualità dell'attaccamento
modifica ciò che percepisce l'individuo sul mondo che lo circonda. Bowlby afferma
che alla fine del primo anno di vita l'attaccamento comincia a essere mediato dai
modelli operativi interni ,con cui il soggetto percepisce gli eventi, prevede il futuro e
costruisce i propri programmi. Un bambino sicuro= che può fare affidamento su una
base sicura, sviluppo un modello del sé positivo, dimostrandosi amabile e
competente, e un modello dell'Altro come disponibile e supportivo. Un bambino
evitante, che ha affrontato vari rifiuti dalla figura di riferimento, costruisce un
modello dell'altro negativo, inteso come inaccessibile e impara a fare affidamento
solo su stesso, costruendo per compensare un modello di se come competente. Un
bambino con attaccamento ambivalente con risposte incostanti e imprevedibile dal
caregiver, costruisce modello di se negativo=poco amabile, e un modello dell'altro
positivo ricercando insistentemente le attenzioni del nuovo adulto di riferimento
,anche se inaffidabile ;soluzione "trovare strategie comportamentali che possono
aiutare il bambino a mettere in discussione eventuali aspettative distorte". Un
bambino con attaccamento disorganizzato che percepisce la sua base sicura come
minaccia, costruisce un modello di se e dell'altro negativo , frammentari e incoerenti,
perché va incontro a uno scompenso per la regolazione della sua emotività. I MOI
non sono deterministici ma si possono modificare nel corso della vita ,perché
sottoposti a riorganizzazioni a seguito dello sviluppo personale, quindi un partner
insicuro può essere reversibile: se, durante la sua vita,  ha fatto incontri relazionali
significativi dove l'individuo sperimenta risposte adeguate e sollecite ai propri
bisogni.
Il professionista ,in riguardo al legame di attaccamento , deve sempre penare alla
propria azione in funzione di ciò che ritiene utile per il bambino in quanto parte di
un ecosistema. Egli ha una duplice responsabilità, sia diretta sia relazionale: lavorare
per costruire legame sicuro per il bambino e alimentare le relazioni di quest'ultimo
con il mondo. Deve prottegegre e rafforzare i legami che il bambino ha con i
caregiver primari nel contesto familiare e non solo volta a costruire legame sicuro
con il bimbo.
Il ruolo della sensibilità
Quali fattori promuovano un legame sicuro nel contesto educativo? La sensibilità del
caregiver professionale. Tale termine nasce dalla teoria di attaccamento per indicare
figura materna fondamentale per garantire un attaccamento sicuro. si può definire
come capacità di cogliere i degnali del bambini, comprenderli, interpretarli e
risponderli in maniera adeguata. Ad esempio caregiver sensibile e responsivo ,
risponde in modo appropriato e in tempi ragionevoli al disagio del bambino, cosi
che si possa costruire un'aspettativa di contingenza tra il proprio bisogno e la
disponibilità materna, incrementa le probabilità di prestazioni migliori. Sensibilità
<sufficientemente buona> e non eccessiva ,se no rischio di ostacolare la sua
regolazione dell'emotivita autonoma. In un gruppo grande con altro rapporto
numerico ,la sensibilità del bambino si orienta più che a una sensibilità verso il
singolo , ad una orientata verso il gruppo. Il caregiver professionale dovrebbe avere
adeguate e sistematiche opportunità di formazione e supervisione per potenziare la
propria sensibilità. Essi tramite idonei strumenti osservativi possono allenarsi a
valutare la propria sensibilità ,che mirano a una rilettura dei MOI , a potenziarla.
Formazione, confronto in equipe e supervisione: strumenti per imparare e
maneggiare consapevolmente il proprio mondo interno, cosi da non farsi sopprafare
dalle proprie emozioni nella relazione educativa.
Sostenere la relazione di attaccamento tra genitore e figlio
A partire dalla grande molle di studi , ci è possibile concludere che la frequenza di
un servizio educativo non provoca difficoltà di attaccamento con il genitore, se
entrambi i contesti(casa e nido) offrono condizioni minime di sicurezza, ossia se il
bambino vi può trovare un accudimento che sia sufficientemente buono, da parte di
caregiver sensibili e responsivi. Ponendo attenzione e accorgimenti che garantiscono
la gradualità del distacco e accompagnino la fatica di< perdersi e ritrovarsi>, per
non mettere a rischio il legame genitore-figlio. Ciò è particolarmente importante
nell'inserimento.
Cap 3 Il primo ingresso nel servizio educativo. L'inserimento come transizione
ecologica
Il momento del primo ingresso in un servizio educativo si può considerare, secondo
l'ottica di Bonfenbrenner, una <transizione ecologica> =  il collegamento diretto più
critico tra 2 situazioni ambientali, e che istituisce fin dall'inizio un mesosistema. Tale
transizione, ossia l'inserimento di un individuo in un nuovo ambiente, può
promuovere lo sviluppo del bambino e si verifica solo a 2 condizioni:
l'accompagnatore da parte delle figure di riferimento affettivo e la collaborazione tra
i diversi sistemi a cui il bambino appartiene. L'inserimento, noto anche come
ambientamento, è una considerata una fase critica ,in quanto un momento di
grande intensità, non solo per i bambini ma anche per famiglie e gli stessi
professionisti. E' importante <esplicitare la componente emozionale intensa e
complessa che marca il rapporto tra famiglia-istituzione educativa nel loro primo
incontri e nel loro condividere le responsabilità di allevamento, questo è il primo
passo verso un'alleanza, un patto, che ha come scopo la considerazione del
bambino e i suoi bisogni sociali, cognitivi ed emotivi, ma anche della soggettività e
delle emozioni degli adulti coinvolti. Bisogna pensare ad un buon inserimento di
tutto il nucleo famigliare , accogliere un bambino=accogliere la sua famiglia.
L'inserimento e i timori reciproci
Nel progettare l'inserimento ,assumere una prospettiva triadica= non considerare
solo la separazione genitore-bambino ma aggiungere anche l'educatore al quadro,
secondo il processo svincolo-affidamento-accoglienza-coinvolgimento individuato
da Fruggeri, Il distacco assume una connotazione specifica sulla base
dell'accoglienza offerta dal professionista ,che si pone come figura di riferimento, un
facilitatore della separazione, che garantisca ai bambini il diritto di una relazione
affettuosa con una persona che si occupi di loro in particolare, ponendosi come
rifermento anche per il nucleo famigliare. Il servizio educativo può diventare un
luogo di ansie e timori, se gli educatori non colgono nel genitore il suo  bisogno di
rassicurazione o non vi rispondono, ed è probabile che la madre ostacoli
inconsciamente l'inserimento, ad esempio portando subito via il biimbo appena
piange dimostrando di non fidarsi degli educatori e della capacità di adattamento
del bambino. "E' quindi necessario fare uno sforzo per distinguere difficoltà del
bambino e difficoltà del genitore a costruire autonomia e ad accettare separazione".
E' importante che l'educatore sottolinei le risorse del bambino, che anche se ha
difficoltà nel gestire ed elaborare la separazione, presenta le potenzialità per
adattarsi positivamente e costruttivamente alla situazione. Un genitore può avere
un'immagine stereotipata e riduttiva del bambino, che vede vulnerabile, dipendente,
incapace di tollerare stress e socializzare, vedendo però le risorse  e le potenzialità
può ridefinire la sua prospettiva o in modo diretto o vicario: diretto=il genitore
osserva direttamente comportamenti inediti per il bambino; vicario= nei momenti in
cui è assente il genitore, è l'educatore che fa da specchio mostrandogli ad esempio
immagini del bambino composite e ricche, senza tacere sulle difficoltà ,valorizzava le
risorse e le potenzialità di crescita.
L'inserimento nella prospettiva della teoria dell'attaccamento
L'inserimento al nido è stato paragonato alla Stange situasion(studio sella teoria
dell'attaccamento, inquadrato i diversi tipi), in quanto condivide alcuni elementi: il
bambino introdotto in un contesto extra-familiari dove sono presenti persone
estranee; il genitore che lo accompagna può fungere da base sicura per
l'esplorazione dell'ambiente; la diade genitore-bambino è sottoposta a
un'esperienza di separazione-ricongiungimento. La situazione, che produce nel
bambino uno stress moderato, comporta l'attivazione del comportamento di
attaccamento del bambino: Per questo motivo ,l'educatore può usare le strategie
della Strage situation per decodificarne i comportamenti, senza dimenticare che il
focus deve includere il comportamento del genitore e dell'estraneo(l'educatore
stesso).
Il significato del pianto durante l'inserimento
Il pianto può venir interpretato come un fallimento, come colpa mettendo in dubbio
che l'inserimento sia per il bene del figlio. Però come dimostrato dalla teoria
dell'attaccamento ,significa che è una fisiologica e sana reazione alla minaccia di
separazione, ed è funzionale all'adattamento, dimostra che la relazione col genitore
è per lui fondamentale e insostituibile. Il professionista deve esplicitare il significato
del pianto, chiarendo che si tratto di un modo di segnalare la forza del legame .
Poiché avvenga ciò è necessario che il pianto o mandi in crisi anche l'educatore, in
quanto molto faticoso da gestire ,cosa molta frequente nelle prime fasi
dell'inserimento quando ancora l'educatore non è diventato una figura di
riferimento di cui il bimbi riesce ad affidarsi. Il pianto è un diritto del bambino, deve
essere accolto, ascoltato, non messo a tacere o spazzato via ,con l'obbiettivo di
ripristinare una condizione di spensieratezza più funzionale all'apprendimento, cosi
che il bimbo non fuga dalla sofferenza. Se l'educatore è in grado di esprimere
,comprendere e regolare le proprie emozioni , gli sarà più facile riconoscere ed
accogliere le emozioni del bambino, fungendo da socializzatore emotivo.
L'inserimento è la prima fase per ragionare sulle emozioni del bambino, soprattutto
quelle negative, l'educatore diventa un mediatore emozionale tra il bambino-
genitore, sostenendo il genitore nel decodificare e comprendere le emozioni del
figlio, cosi che non fugga dall'emozione del bambino perché incapace di gestirlo , ad
esempio quando l'inserimento, al momento del distacco vedendolo distratto si
allontana subito per evitare la sua reazione di pianto. L'educatore come
socializzatore emotivo= aiuta il bambino a dare un nome alle emozioni, dandogli
significato , connettendole a motivazioni e comportamenti. Diversi stili di risposta
alle emozioni: coaching= buoni allenatori emotivi, riconoscere le emozioni,
accettarle e regolarle; dismissing= bassa consapevolezza delle emozioni dei
bambini, con tendenza a ignorarle. "Occorre avere cura di sé ,del proprio mondo
interiore , per poter avere cura dell'altro in modo autentico". L'educatore come
mediatore emozionale= aiuta il genitore a interpretare l'emozione del bambino,
facilitando il ricongiungimento ,ad esempio se la madre va via senza dire niente al
bimbo per fuggire dal suo pianto il bimbo si può sentire tradito e avrà difficoltà a
fidarsi delle situazioni nuove.
Il professionista come facilitatore del distacco
Quali strumenti può usare l'educatore per facilitare il distacco? Usare le stesse
modalità comunicative e relazionali della madre per una ritualità prevedibile e
rassicurare il bimbo. L'educatore deve chiarire il significato delle sue azioni cosi che il
genitore non capisca che lo voglia sostituire, ad esempio chiedendo l'aiuto del
genitore per rapportarsi col figlio. Un altro strumento è rendergli evidente che la
separazione è temporanea ,impegnandosi a tenere connessi il contesto
extradomestico e quello famigliare ,con un abile lavoro di <tessitura emotiva>. A
questo scopo, è importante che l'educatore riprenda attività quotidiane dei genitori
ad esempio "anche tua mamma fa le zucchine cosi?". L'educatore non deve avere
paura di richiamare il genitore alla mente del bambino cosi da non provocare
nostalgia e disagio, in quanto cosi gli permette di portare un <pezzo della mamma>
con sé, ciò lo rende più sicuro nelle sue esplorazioni in quanto facilitato
nell'accedere all'immagine introiettata della sua base sicura.
Gradualità e stabilità: due parole chiave per l'inserimento
L'inserimento dovrebbe avere il carattere di gradualità <di permanenza ,di distacco
dai genitori, di passaggio dai compiti di cura familiare all'insegnate di riferimento>,
ma anche di di <stabilità degli spazi, sei ritmi, ma soprattutto dei riferimenti
relazionali, per quanto riguarda sia gli adulti sia i bambini>. Stabilità=la necessità da
parte della famiglia nel Avere punti di riferimento rassicuranti, di ritrovare
nell'educatrice uno sguardo attento, che riconosca il bambino come persona e
restituisca al genitore un'immagine del bimbo composita e accurata , tessendo i fili
che garantiscono continuità tra contesto famigliare-extrafamigliare. La gradualità=
costruzione fiducia reciproca, processo continuo e progressivo ; questo vale sia per i
bambini che gradualmente si affidano alle figure di attaccamento secondarie, sia per
gli adulti ,che gradualmente imparano a conoscersi e a fidarsi gli uni con gli altri.
Fiducia: prescritta o costruita?
La fiducia delle famiglie nei confronti del servizio non dovrebbe essere inteso come
un prerequisito necessario per un buon inserimento. La fiducia si acquista
lentamente, nel quotidiano con azioni prevedibili, comprensibili, trasparenti,
dimostrando coerenza tra ciò che si dichiara di fare e ciò che effettivamente il
genitore vede attuato nella realtà.La fiducia è uno degli obiettivi il cui
raggiungimento non è da dare per scontato. Curioso però, come la fiducia sia solo
unidirezionale: l'idea che anche gli educatori devono avere fiducia nei genitori è
pressoché assente, in entrambi gli interlocutori (genitori-insegnanti).
L'inserimento: una prima volta , ma non una volta per tutte
L'inserimento non è un evento puntiforme, superato il quale la relazione(educatori-
bambini, educatori-famiglia) può considerarsi stabilita e la comunicazione
consolidata. Rappresenta un amplificatore di emozioni, relazioni e stato d'animo
complessi, che continueranno a presentarsi e rincorrersi nella vita quotidiana del
servizio, richiedendo all'educatore di mettere in gioco le sue capacità osservative e
riflessive nella quotidianità.
Cap 4 L'alleanza difronte alle sfide quotidiane. Microtransizioni quotidiane
I momenti di accoglienza e di commiato quotidiani ,aspetti della(macro)transizione
ecologica, sono situazioni particolari in cui il bambino deve adattarsi e riorganizzarsi:
deve infatti attraversare una soglia che delimita il passaggio tra diversi contesti di
cura. Criticità da considerare : è importante durante l'accoglienza mattutina,
particolarmente stressante, che ci sia un ategiamento responsivo e sensibile da parte
dei caregiver genitoriale e professionale e dalla messa in atto di un rituale di saluto
che prevede la separazione e sia rassicurante per il bambino sul ritorno del genitore.
Per facilitare il momento dell'accoglienza, è necessario abbandonare la prospettiva
che si usa di solito che interpreta tale transizione solo dal punto di vista diadico(tra 2
enti) , per assumere una prospettiva sistemica che concepisca la triade come unità
minima di analisi e che interpreti il momento di accoglienza come una
microtransizione-> cambiamenti localizzati, che avvengono in processi interattivi del
qui e del ora e che coinvolgono più soggetti in un attività congiunta, ponendo
attenzione su come tali soggetti si muovono da un tipo di configurazione ad
un'altra. Transizione delicata= caratterizzata da maggiore sensibilità ad esempio il
genitore che ha stabilito un contatto con l'educatore e poi saluta il bimbo,
transizione fluida non portata all'esclusione precoce e forzata del genitore.
Educatore serve per accompagnare la separazione in modo più funzionale(ibidem).
Doppio legame=forma di comunicazione all'interno di una reazione emotivamente
significante, dove un individuo si trova intrappolato di fronte a messaggi di due
ordini diversi, in cui l'uno nega l'altro ad esempio una mamma che dicendogli al
bimbo di andare tranquillamente dai suoi amici contemporaneamente gli stringe
forte la mano ,il bimbo si ritrova in una situazione in cui sorridere e  correre dai suoi
amici diventa una risposta incongruente con il messaggio non verbale del genitore,
ma restare accanto risulta inappropriato rispetto al messaggio verbale.
Gli oggetti come ponte nelle transizioni
Un elemento che facilita l'ingresso del bambino è la presenza di un oggetto-ponte,
o transizionale, che rappresenti una continuità tra famiglia e contesto extra-
famigliare. Consentire al bambino di portare con se un oggetto famigliare da casa
(pezzo di stoffa, peluche,..),lo rassicura e comunica implicitamente che il passaggio
da un ambiente all'altro non comporta perdite o cesure, è una sorta di conforto che
a di casa.  Un oggetto concreto che rimanda simbolicamente alla madre per la sua
morbidezza ,odore e calore. Non solo il portare dentro qualcosa ma anche portale
fuori qualcosa dal nido può essere fonte di rassicurazione e appagamento, ad
esempio si possono consegnare i lavoretti svolti nel nido, un libro letto a scuola,
senza andare contro le regole del servizio. Cioè evitare che nel servizio entrino
oggetti pericolosi e viceversa evitare che i bambini portino fuori dal nido oggetti
non consentiti. Tali oggetti sono importanti nei momenti:
inserimento/ambientamento, addormentamento, l'accoglienza/ingresso nel servizio.
Mediare i ricongiungimenti
Nei momenti di ricongiungimento, l'educatore deve fare da mediatore relazionale=
confermare l'identità genitoriale e sottolineare la forza del legame, accompagnare la
transizione verso una configurazione triadica che includa anche il genitore: mettere
in parole le emozioni del bambino rassicurando il genitore. Il momento dell'uscita è
necessario saper progettarla accuratamente, ossia che per esempio non ci sia solo
un educatore che si deve occupare dei genitori che arrivano ,in quanto dopo tante
ore al nido i bimbi saranno stanchi e richiederanno più attenzioni ostacolando il
dialogo col genitore e il professionista non svolgerà efficacemente le sue funzioni.
Anche la riservatezza ,durante il momento d'uscita, è importante in quanto ci sono
anche i bambini che possono ascoltare e non è sempre opportuno. L'ascolto del
genitore ,che necessita di tutte le attenzioni dell'educatore, deve essere ricollocato
in altri tempi e spazi, in un colloquio pianificato.
Comunicare nella quotidianità
I dialoghi quotidiani tra genitori-insegnati, al momento dell'entrata e uscita, facilita
la conoscenza reciproca e la costruzione della partnership. Nel caso di bambini
molto piccoli, al momento dell'uscita le informazioni possono essere limitate
riguardo i bisogni primari ,ma cosi si avvalla l'idea che il servizio abbia una funzione
assistenzialistica e custodialistica piuttosto che educativa. E' importante per la madre
chiedere se per esempio il bimbo ha mangiato o dormito, se ha fatto la cacca, in
quanto lo associa  inconsciamente a una cosa positiva; questo perché il cibo viene
considerato come mediatore di relazioni e affettività nel rapporto bambino-adulto,
se mangia ->positivo se rifiuta -> è come se rifiutasse tale rapporto. Con il rischio
che i genitori focalizzino ogni interesse sul cibo, la riprova per il benessere
psicologico e fisico è come se il nido o la scuola d'infanzia costituiscono
simbolicamente un buon nutrimento per il bimbo. Le comunicazioni al genitore
devono riguardare non solo su cosa ha fatto il bambino ma anche su come ha svolto
tale attività, evidenziando emozioni, interessi e relazioni. Evitare di trasmettere
informazioni uguali per tutti o che tendono a ripetersi ogni giorno, può bastare
un'<istantanea> del bambino tramite un episodio o un breve aneddoto , per far
capire che il bambino è visto e pensato e riconosciuto nella sua unicità. Questo è
molto utile per le famiglie che attribuiscono a tali servizi solo un ruolo di supporto
alla conciliazione casa-lavoro, e non di educazione. Spesso si creano dei circoli
viziosi che bloccano il dialogo con quelle famiglie non interessate a quanto succede
nella struttura. Circolo vizioso= ciascun interlocutore ritiene di comportarsi in un
certo modo come reazione al comportamento dell'altro, non rendendosi conto del
circolo creato ,ossia l'educatore vedendo il genitore disinteressato trasmetterà le
informazioni assolutamente necessarie sbrigativamente e il genitore giudicando
l'educatore frettoloso e disinteressato non farà domande sul bambino. Assenza di
domande sul bambino ,non vuol dire che è disintetressato ma può anche dipendere
da un'impostazione culturale e valoriale, ad esempio una madre che non chiede se il
bambino ha mangiato, o dormito,.. in quanto per lei lo farà quando vorrà , parlare di
cibo per la sua cultura è una vergogna. Non essere pregiudizievoli e stigmatizzati.
Sguardi diversi sul bambino
La comunicazione educatore-adulto, permette a quest'ultimo di confrontarsi con chi
osserva il bambino in un contesto diverso e scoprire con altre o più complesse
sfaccettature del bambino. A volte può esserci un disallineamento tra le percezioni:
un genitore pensa che il figlio sia in un modo estroverso e chiacchierone ,
l'educatore la pensa diversamente inibito e timido. Questo perché il bambino
trovandosi in ambienti diversi risponde a stimoli, sfide e difficoltà che richiedono
atteggiamenti e comportamenti specifici. Individuare difficoltà comportamentali nei
bambini può essere difficile e mettere in disaccordo genitori-educatori in quanto è
probabile che essi valutino diversamente i comportamenti in base a diversi
parametri ,ad esempio un'educatore si baserà più sul parametro di come apprende il
bambino mentre il genitore sono connessi alla sfera affettiva come la gelosia, le
attenzioni.
Osservare il bambino: ruoli e meccanismi difensivi in gioco
Modi diversi di vedere e descrivere il bambino possono dipendere anche dalle
diverse aspetattive. Lo sguardo del genitore è particolaristico = perché centrato sulla
tutela e sui bisogni dei figli ; mentre quello dell'insegnate è universalistico= centrato
in maniera imparziale su tutto il gruppo dei bambini. Il genitore non deve tendere a
crearsi già da quando il bambino non è nato un'immagine di quello che sarà
ponendogli dopo la gravidanza delle pressioni, per le aspettative che ha a
riguardo(stern a questo proposito parla di bambino immaginario). Bisogna assumere
una prospettiva diversa del bambino che comporta una sorta di refraiming , un
cambiamento di cornice ,che non è sempre facile quando per esempio l'educatore
mette in luce comportamenti del bambino che il genitore non è pronto a
riconoscere. In casi in cui l'insegnate deve segnalare una difficoltà comportamentale
o una difficoltà di sviluppo, si deve limitare a riportare quanto osservato
quotidianamente, orientando la famiglia verso uno specialista e offrendo supporto
senza fare diagnosi dato che esula dal loro ruolo. Comunicare ciò richiede
delicatezza, attenzione e progettazione, sempre valorizzando le risorse del bambino
per far fronte al bambino, tali notizie andrebbero pianificate all'interno del gruppo.
I rischi nell'osservazione e i fenomeni dell'ettichettamento
Come il genitore ,anche il professionista, nel guardare il bambino ,ha delle
aspettative e schemi naturali. L'osservazione non è mai priva di soggettività. Le
aspettative dell'osservatore possono portarlo a osservare solo i fenomeni che si
aspetta di osservare, rimanendo cieco di fronte a quelli inattesi o a rilevare
comportamenti che in realtà non si verificano, pur di confermare le sue aspettative.
Ad esempio può accadere che l'educatore valuti il bambino sotto l'effetto alone=
quando si basa su un'impressione generale e su poche caratteristiche ritenute
rilevanti. Tale effetto si connette al fenomeno dell' etichettamento =si stabilisce un
etichetta al bambino ,sulla base di un aspetto del suo comportamento, che poi
tende a stabilizzarsi. Una volta che subentra l'etichettamento ,un comportamento
transitorio tende a stabilizzarsi, il soggetto sarà portato a soddisfare le aspettative
che gli altri hanno nei suoi confronti , assumendo l'identità a cui corrisponde
l'etichetta attribuita. Le forme dell'etichettamento inconsapevolmente hanno effetti
non solo sul bambino "bersaglio" ma anche su quello dei pari, che anch'essi
inconsapevolmente lo vedranno allo stesso modo, rinforzando il circolo vizioso e
potenziando gli effetti deleteri sul bambino.
Raccontare il bambino concreto
E' importare ,nel comunicare coi genitori, che parlino di episodi concreti e specifici
cosi che possono essere messi in relazione tra loro, ai fini di una comparazione.
Quindi non basarsi su descrizioni generiche, seggette a interpretazioni soggettive e
non usare termini come "sempre" o "mai" in quanto categorie assolute e
immodificabili. I modi in cui genitori e educatori hanno di vedere il bambino può
portare a conflitto , e molto importante usare non una definizione generale ma una
descrizione dettagliata del comportamento specifico. L'educatore nel descrivere il
bambino deve tener conto anche delle caratteristiche specifiche del contesto
educativo(a casa il bimbo è sociale, a scuola no). E' più facile del genitore se il
problema viene connotato come modificabile ; viceversa di fonte a un'etichetta
subentra una sensazione di impotenza e immobilità. E' ancor più pericoloso se le
definizioni etichettanti e stereotipiche convergono. Etichettamenti convergenti=
L'aderenza agli stessi modelli e stereotipi culturali si tramuta in uniformità di sguardi
sul bambino, ossia verrà visto da tutti allo stesso modo. Attenzione quindi a far si
che le descrizioni siano imparziali sui comportamenti, evitando interpretazioni
stigmatizzate. La descrizione di situazioni concrete facilita il confronto e la
condivisione di diversi punti di vista, passando dalla soggettività all'intersoggettività.
Anche l'osservazione condivisa/congiunta aiuta a vedere aspetti del comportamento
che erano rimasti nell'ombra , impossibili da vedere ,perché non coerenti con le
proprie rappresentazioni mentali.
Co-costruzione delle immagini del bambino
Il cambiamento di prospettiva generativo, supportato dal confronto dei caregiver
professionali-genitoriali ,è più evidente in prossimità dei cosiddetti touchpoint,
ovvero secondo Brazelton, fasi di temporanea disorganizzazione, tipici dei primi anni
di vita , che precedono un salto nello sviluppo motorio, cognitivo o emotivo del
bambino e anticipano l'acquisizione di nuove abilità. I touchpoint marcano una
discontinuità nello sviluppo del bambino In quanto il comportamento del bambino
mostra delle crepe ,mettendo a dura prova l'equilibrio relazionare familiare. Il
servizio educativo può dunque diventare un ambiente protettivo per il bambino ,
quando in accordo con i genitori si sostiene che egli deve fare esperienza della
discontinuità dello sviluppo passando cosi da una visione ideale della crescita a una
coerente con i bisogni irrinunciabili dei bambini. La riorganizzazione cognitiva è
quando si mettono insieme i diversi sguardi sul bambino riconfigurando il quadro
d'insieme, favorendo un nuovo modo di acortarsi ai problemi. Una visione completa
e complessa = il confronto tra più punti di vista ,che permette il riconoscimento che
esistono diverse prospettive bel vedere e comprendere la realtà. La realtà non è mai
oggettiva, ma soggettivamente costruita. Il nostro modo di vedere è condizionato
da schemi mentali, necessari per categorizzare e interpretare la realtà. Per
relazionarsi con l'altro che ha quindi un altro modo di vedere, è necessario diventare
consapevoli dei propri schemi mentali impliciti, riconoscendo la loro relatività e
limitatezza.
Cap 5 Aspettative ,schemi mentali e giudizi nell'incontro con l'altro
Sistemi di premesse
La percezione della realtà non è mai essente da soggettività, possiamo osservare
l'altro solo attraverso delle "lenti" che filtrano il nostro modo di vedere e sentire.
Queste lenti possono essere considerate i nostri sistemi di premesse, costituiti da
valori culturali e personali, idee, preconcetti ,conoscenze, con il valore simbolico di
mappe che ci permettono di orientarci, restituendoci però una <monovisione>. La
metafora dell'iceberg->pensando a come funzionino tali sistemi di premesse
possiamo ricorrere a tale metafora, in cui la parte emersa, l'unica visibile, costituisce
solo una piccola porzione di ciò che veramente implicato nella relazione , mentre la
parte sommersa, ben più consistente ,rappresenta elementi al di fuori della
consapevolezza ,condizionano il nostro comportamento.
Bravi genitori e bravi maestri :aspettative irrealizzabili o incontro possibile?
Nella comunicazione insegnante-genitore, un ruolo fondamentale sono anche le
rappresentazioni reciproche in merito al ruolo dell'altro. Problemi comunicative e
conflitti nascono da conflitti dovuti a aspettative disilluse: <come dovrebbe essere>
e come invece <è>, creano barriere difficili da colmare se non si è consapevoli delle
proprie attese e idealizzazioni. L'educatrice deve riflette sulle proprie
rappresentazioni di famiglia e chiedersi se queste siano funzionali all'incontro con le
famiglie.
Modelli impliciti di famiglia nel lavoro dei professionisti
Gli studi di Fruggeri sulla relazione tra famiglie -servizi, introduco un altro focus sulle
teorie e modelli impliciti che guidano il comportamento dei professionisti ,spesso al
di fuori della loro consapevolezza. Nel modello della famiglia assente prevale una
rappresentazione individualistica ,in cui il professionista considera la relazione tra il
soggetto e la famiglia irrilevante. Tale modello ,inteso come forma mentis , è ormai
superato dai servizi educativi, ma può ripresentarsi nel caso in cui gli educatori sono
sotto stress e il servizio non riesca a supportarli. In queste situazioni il malessere
personale e organizzativo può concentrarsi solo sul bambino ,in un'ottica
individualistica. Inoltre, possono presentarsi casi in cui l'assente è solo un membro
della famiglia: genitori separati, un genitore all'estero, ..la rappresentazioni mentali
dei professionisti a riguardo sono parziali e spesso vengono estromessi dalle loro
rappresentazioni. L'are con le famiglie  è la prima a venir trascurata  e dimenticata
nel caso in cui le risorse fisiche ed emotive dei professionisti siano ridotte.
Nel modello della contiguità separata = il professionista considera se stesso e la
famiglia come due soggetti separati ognuno dei quali  intrattiene relazioni
significative con l'utente in ambiti diversi e paralleli, senza considerare le connessioni
tra i due ambiti. La famiglia, rispetto al modello precedente è considerata
significativa per il soggetto e l'intervento del professionista col bambino è
considerato aggiuntivo o giustapposto rispetto a quello famigliare, ad esempio
quando la linea educativa della  famiglia è diversa da quella del nido e diventa
quindi parallela ad essa senza incrociarsi. Eventuali "sconfinamenti" da parte del
genitore sono considerati ostacolanti , ad esempio genitori troppo colti e preparati
che vogliono sapere per filo e per segno il metodo dei professionisti. Esempio
contiguità separata: madre che arriva a ritirare la bimba che grazie ai servizi
educativi mangiava di tutto rispetto a prima che era molto limitata, ciò ha fatto
sentire la madre non competente in quanto non vi è stata una co-progettazione coi
genitore.
Le interazioni famiglie-servizi in tale modello sono limitate a informazioni in cui
rimane implicita l'idea dell'indipendenza dei contesti di azione: gli educatori senza
interpellare i genitori programmano attività . In questo caso, un obiettivo educativo
del servizio può essere osteggiato dalla famiglia ,fino a ottenere un effetto
paradosso, per cui il raggiungimento del traguardo significa la rottura del legame.
Il modello della collaborazione unilaterale : la famiglia ha un influenza importante
sull'azione educativa del professionista ,ed è in grado di facilitarla o ostacolarla, ma
si considera la famiglia una risorsa da sfruttare ,invece che un alleato con cui
confrontarsi e e con cui tessere relazioni reciproche e simmetriche. Si adotta una
prospettiva istruttiva , in cui la famiglia deve seguire consigli e disposizioni
dell'esperto con una prospettiva top-down, dove il flusso delle comunicazioni è
unidirezionale, nel senso che i genitori ad esempio chiedono aiuto e consigli ma poi
a casa fanno come gli pare. Gli obiettivi educativi non sono condivisi e co-costruiti
con le famiglie. Il coinvolgimento delle famiglie è funzionale agli scopi del servizio
senza considerare i loro scopi che potrebbero essere diversi. Come nel modello della
contiguità separata, non si riflette sulle implicaizoni che la propria azione potrebbe
avere sulla famiglia.
Nel modello della sostituzione , la famiglia è intesa come importante per il bambino
ma inadeguata ,problematica o comunque carente di risorse utili per l'azione
educativa. La famiglia viene giudicata negativamente e colpevolizza per gli eventuali
problemi manifestati dal bambino. L'educatore si sente un sostituto "buono " che
può compensare la famiglia , senza considerare che questo può creare una frattura
nella relazione che lega il bambino con la famiglia. Inoltre la famiglia percependo
ciò, quindi il pregiudizio, la stigmatizzazione tenderà ad allontanarsi dal servizio.
Alcuni studi : quando l'educatore si considera più competente, una <seconda
madre>, ne risente l'addatamento del bambino : se l'educatore svilisce il genitore
mettendo in atto una dinamica di sostituzione , nel contesto educativo i bambini
mostrano problemi comportamentali.
Nel modello della coevoluzione, il professionista progetta la propria azione sulla
base di ciò che ritiene evolutivo per il soggetto come membro di un sistema
familiare. Tale modello è quello più coerente rispetto all'idea di corresponsabilità 
educativa e di cocaring, dove famiglie-educatori sono co-attori nel processo
educativo.
La prospettiva di Fruggeri ci aiuta a capire che le rappresentazioni mentali del
professionista hanno un impatto essenziale sulla sua azione e sull'idea che si
costruisce di ciascun famiglia con cui viene a contatto. Ad esempio un educatore
con un modello di contiguità o di collaborazione unilaterale giudicare
l'atteggiamento di un genitore attivo e presente come invadente e inopportuno
mentre un educatore con un modello co-evoluzione lo giudicherà attento e
presente. 
Il giudizio sugli altri è quindi permeato da un alto grado di soggettività ad esempio,
individuando persone con caratteristiche positive che si ritengono simili a sé.
La questione del giudizio: agito o sospeso?
Quando ci si relaziona con le famiglie è necessario un atteggiamento di non-
giudizio. Renzo Carli afferma che ogni nuovo evento che l'individuo incontra viene
codificato entro classi emozionali, più nello specifico entro lo schema amico-nemico:
il nemico evoca emozioni di paura, rabbia, angoscia, impotenza ,bisogno di sfida e
competizione; l'amico ->bisogno di affiliazione, coesione, fusione. Tale schema è
fondamentale per la sopravvivenza, poiché consente velocemente di elicitare le
reazioni adeguate di fronte a un pericolo, di attacco e fuga, nel caso di uno schema
nemico, e di avvicinamento/accoppiamento-fusione , nel caso di uno schema amico.
Tali risposte comportamentali fanno parte del nostro repertorio per l'adattamento. E'
fondamentale aumentare la consapevolezza dei meccanismi automatici di
classificazione e giudizio , per poter riflettere su di essi, e trasformali in materiale
maneggiabile e trasformabile.
Rigidità delle aspettative e resistenza al cambiamento
I nostri sistemi di classificazione della realtà strutturano aspettative spesso rigide che
ci rendono ciechi di fronte a quanto non è previsto, tendiamo a misconoscere ciò
che non rientra nei nostri quadri concettuale. A questo proposito si parla di
resistenza al cambiamento per evitare di perdere le proprie certezze che fanno parte
della propria identità, in questo modo si continua ad avere il pieno controllo di tutto
, perché si creano le condizioni perché accada solo ciò che ci si aspetta. Sarebbe
necessario percorrere nuove strade uscendo dalla confort zone.
Non una, ma tante realtà
Il professionista deve diventare consapevole dei propri schemi interpretativi e dalle
proprie aspettative , riflettendo cosi su come le proprie letture della realtà
influenzano la realtà stessa e attenuare le difficoltà comunicative di solito insite in
ogni interazione. Educatore deve auto-osservarsi e confrontarsi con i colleghi , con la
disponibilità ad avere nuove rappresentazioni e aspettative nei confronti della
famiglia, ovvero <altri occhiali>, <mappe>, altri modi di <vedere>.
Schemi mentali e influenza della cultura
I nostri schemi mentali, interpretativi, i nostri sistemi di premesse che orientano il
nostro modo di vedere, non dipendono solo dalla nostra storia ma anche dal
macrosistema di cui facciamo parte. L'individuo è imbracato nella cultura di
appartenenza, dando per scontato che la propria visione sia l'unica possibile. Venire
a contatto con culture diverse può provocar uno shock culturale , mettere in
discussione i propri riferimenti, sentirsi disorientati, per evitare  l'immobilismo e la
rigidità, è necessaria una buona flessibilità. Tale competenza è necessaria per
educatori-insegnanti che si trovano a contatto con famiglie culturalmente diverse. In
alcune culture si enfatizza il valore dell'interdipendenza e la coesione sociale, il
rispetto, la conformità alle regole , la responsabilità verso la comunità e la
cooperazione ; in altre si stimola l'indipendenza, l'autonomia, la realizzazione
personale e la competizione: nel primo caso si parla di culture collettivistiche e nel
secondo caso di culture individualistiche. Culture individualistiche-> il singolo è più
importante del gruppo, valore dell'autonomia importante; Culture collettivistiche->
importante l'appartenenza al gruppo e la fedeltà ai suoi membri. Anche gli aggettivi
scelti dai genitori per descrivere i figli, possono variare nei diversi contesti culturali,
riflettendo modi diversi di concepire le competenze auspicabili :gli americani usano
attributi come intelligente e curioso mentre gli kenioti usano attributi come
rispettoso e di buon cuore. La cultura di appartenenza influenza gli obiettivi
educativi considerati auspicabili per i bambini perché per una cultura può avere un
significato per un'altra un altro significato: intelligenza intesa in alcuni casi intesa
come proprietà cognitiva, in altri come responsabilità sociale, rispetto per gli altri.
Tali considerazioni rendono conto che nei processi educativi occorre attivare un
processo continuo e sistematico di confronto e condivisione con le famiglie , in cui si
lascia spazio all'ascolto dell'altro , abbandonando l'idea che la propria idea sia
compresa e approvata. Per un'educatore accogliere le differenze ,nel rispetto
dell'unicità di ciascuno, implica anche accettare l'idea che possa esserci una
<discontinuità> tra le proprie linee e prassi educative e quelle delle famiglie .
Cap 6 Ripensare con la continuità. Confrontarsi con la somiglianza e la
differenza, la vicinanza e la distanza.
Ridisegnare i confini
Nei servizi 0-6 la dimensione dell'educazione e dello stimolo all'autonomia sono
strettamente legate con quella della cura, più manifesta nel nido che nella scuola di
infanzia. Ed è proprio la cura che accumuna le madri e le educatrici, è l'elemento
principale di somiglianza. Questa percezione di essere simili comporta una
sensazione di affinità, vicinanza e coesione , ma implica anche il rischio di appiattire
e azzerare la specificità dei due ruoli.
Due diversi approcci alla cura del bambino
La madre e l'educatrice instaurano una relazione empatica con lo stesso bambino ,
ma lo fanno partendo da posizioni diverse: la madre entra in relazione col bimbo già
prima della sua nascita, le azioni e i gesti sono intrisi fin da subito di un 'intensa
affettività; l'educatrice costruisce la relazione dopo che inizia ad accudire il bimbo , a
partire dai gesti di cura che compie quotidianamente su di lui e con lui. Una
relazione di cura implica tre momenti : "sentire con", "fare con", "essere con": la
madre prima è sente il bambino, quindi fa lui(cura il suo bimbo perché ha un legame
con lui): l'educatrice prima fa, poi sente e passa all'essere. Un'altra differenza tra i
due approcci è che quello con la madre è un rapporto che dura tutta la vita, mentre
quello con l'educatrice è temporaneo, "a termine". Maternage in ambio
professionale implica un qualcosa dell'ambito affettivo, ma non spontaneo ,viene
elaborato criticamente, incrociato cioè con altri elementi fino a produrre abilità
tecniche e conoscenza.
E quando l'insegante è anche genitore?
Sfera personale e professionale in parte si sovrappongono, all'interno di un sistema
dinamico che si influenzano reciprocamente. Il punto centrale è come questa osmosi
viene monitorata, compresa e gestita: l'educatrici che si trovano ad essere anche
madri  possono arricchire la propria conoscenza dei bambini, fondendo la capacità
di cura materna con la professionalità educativa e assumendo una prospettiva
duplice, più ampia e più complessa ,ovvero quella "visione periferica". Non sempre
tale prospettiva è priva di problemi ,a volte, per esempio  non sempre la visione
della "me-mamma " e della "me-insegnate" corrispondono.
Il continuum tra continuità e discontinuità
Le idee genitoriali sono collocabili lungo un continuum, dove, da una parte
ritroviamo un orientamento alla continuità(dove c'è l'idea che ci debbano essere
identici ruoli e funzioni. per cui l'educatrice diventa un prolungamento, un sostituto
della figura genitoriale), dall'altra parte l'orientamento è a favore della discontinuità(
l'idea che ci debbano essere sfere separate ,con responsabilità e ruoli distinti). La
continuità tra servizio famiglia ed extra famigliare è fondamentale per lo sviluppo e il
benessere del bambino, ma è necessario anche una certa discontinuità per stimolare
la crescita del bambino; il bambino apprende di più se gli è concesso fare esperienze
diversificate in contesti differenti. Continuità significa accompagnare le transizioni ,
garantendo al bambino ritrovare un po' di casa nel contesto extra famigliare e
viceversa.
Troppo simili e troppo vicini: identificazione del contagio emotivo
Il sentirsi simili va di pari passo col sentirsi vicini. Tanto più ci si sente vicino all'altro
,che si avverte come simile, tanto più è probabile sintonizzarsi con lui, anche a livello
empatico. Il livello di vicinanza deve essere bilanciata/moderata mantenendo
un'adeguata distanza, necessaria per riuscire a vedere l'emozione dal di fuori. Per
provare empatia bisogna sperimentare un certo grado di fusione con l'altra persona
,mantenendo una chiara differenziazione, se no si arriva a un'eccessiva
identificazione che porta a sentirsi immersi nell'esperienza altrui senza più vedere il
proprio punto di vista, e l'empatia si trasforma in contagio emotivo. L'eccessiva
vicinanza all'altro è pericolosa al professionista. Soluzione: adeguata supervisione=
attivare la risorsa del gruppo d'equipe ,con funzione di sostegno e contenimento,
anche grazie alla supervisione di un esperto esterno. Se non si riesce a gestire le
richieste emotive efficacemente ->burnout. Le abilità comunicative possono
incrementare il benessere del professionista e diminuire i rischi da burnout.
Rimodulare le distanze: alleanza o amicizia?
Genitori -insegnati non necessariamente devono stringere rapporti di amicizia coi
genitori, poiché la vicinanza reciproca non è un valore in se ,ma è al servizio del
bambino. E' importante salvaguardare il giusto confine , consente una tutela del se
intimo e personale, sia per professionisti che per le famiglie. Ad esempio se
l'educatore fa una domanda innopportuna per conoscere la situazione famigliare del
bambino violando la privacy. E' importante modulare le distanze relazionali.
Un linguaggio formale o confidenziale?
Dare del "tu" fin da subito per alcuni può essere rassicurante per altri un'invasione,
indica un'intenzione di vicinanza ,bisogna tener conto delle differenze culturali nel
ridurre o mantenere le distanze sul piano interpersonale.
La "giusta "distanza  relazionale: il ruolo dello stile di attaccamento
Il tema della giusta distanza chiama in causa quelle variabili personali che
condizionano il modo in cui ognuno si relaziona, tra cui il proprio stile di
attaccamento. L'attaccamento non riguarda nei servizi educativi solo il tema
educatore-bambino ma anche i rapporti tra adulti. L'attaccamento adulto si
suddivide in:
-sicuro/autonomo(corrisponde all'attaccamento sicuro del bambino)=bambino con
fiducia nei genitori, che hanno saputo riconoscere e accogliere le sue emozioni,
ponendosi come base sicura, alternando la vicinanza con l'allontanamento
esplorativo. Da adulto sarà competente socialmente, buona autostima e relazioni
affettive stabili ,facilita a relazionarsi ,rapporti basati sul reciproco rispetto, modula
efficacemente autonomia e dipendenza, senza timore della solitudine né evitamento
dell'altro.
-attaccamento distanziante(corrisponde all'attaccamento evitante del bambino)=
modello di se positivo e dell'altro negativo; genitore che non ha saputo accogliere le
sue emozioni , è stato una figura inaccessibile, non manifestare il bisogno di
vicinanza diventa il modo migliore per non farla allontanare. Da adulto meccanismo
difensivo mettendo un confine emotivo tra se e gli altri e non tollera il punto di vista
altrui, percepito come minaccia perché può svalutare i suoi sentimenti. Affidamento
solo su se stesso, evita relazioni intime, si mantiene troppo distante dall'altro;
sottolinea l'importanza dell'indipendenza e libertà ed è poco coinvolto nelle
relazioni interpersonali
-attaccamento preoccupato/invischiato(attaccamento ambivalente)=modello di se
negativo e dell'altro positivo. Il soggetto ha avuto caregiver incostante e incoerente
nella risposta ai suoi bisogni affettivi, comportando confusione dei propri bisogni e
emozioni, e sensibile sulle relazioni degli altri. Da adulto poca fiducia in sé ,bassa
autostima, necessità di costante approvazione; "troppa vicinanza" all'altro, percepito
come mezzo per costruire la propria sicurezza
-attaccamento disorganizzato/con traumi irrisolti= modello del se e dell'altro
negativo; bambino che è stato maltrattato o ha vissuto una mancanza di affettività,
con un caregiver che a sua volta ha subito traumi non risolti. Da adulto scarsa fiducia
in sé e negli altri; si sente inadeguato nel relazionarsi, percepisce gli altri inaffidabili,
tende ad oscillare tra il troppo vicino e il troppo distante , perché da una parte evita
le relazioni dall'altra se coinvolto diventa emotivamente dipendente dall'altro e
sperimenta ansia di separazione
Quindi insegante sicuro=facilita a relazionarsi ; preoccupato= timore del giudizio dei
genitori, assecconda tutte le loro riichieste; distanziante=difficoltà a gestire il
confronto con le famiglie, si mette in discussione sui punti di vista differenti dal
proprio, ignorare o screditare sentendo di non potersi fidare dell'altro; irrisolto=
oscilla tra il desiderio di relazione e paura dell'intimità, alterna l'adesione emotiva
all'altro, il conflitto e il ritiro sociale.
Lo stile di attaccamento ha impatto anche nelle relazioni tra adulti, influenzando
rapporti di coppia, le amicizie e le relazioni sul luogo del lavoro: è stato evidenziato
una connessione tra attaccamento insicuri, burnout e soddisfazione professionale e
difficoltà relazionali nel contesto lavorativo(ecco perché incide sulla relazione che
instaura con le famiglie; gli educatori si diversificano in base allo stile di
attaccamento che hanno avuto da bambini). I modelli operativi interni di educatori e
inseganti influenzano non solo il legame col bambino ma anche con gli altri adulti
significativi. E' importante che ciascun professionista acquisisca consapevolezza delle
proprie modalità relazionali e aspettative affettive in modo da limitare le proprie
zone d'ombra, che sfuggono al controllo consapevole e al monitoraggio cognitivo, e
che sono responsabili di agiti poco controllabili. Soluzione: l'educatore deve essere
disposto a lavorare su di sé e che l'organizzazione di cui fa parte sia disposta a
investire in formazione e supervisione, in modo da "prendersi cura di chi cura". La
formazione di tipo riflessivo potrebbe stimolare la capacità ,da parte dei caregiver
professionali, di rileggere le proprie esperienze relazionali e di aumentare la
consapevolezza della connessione tra vissuti infantili, schemi relazionali e azione
quotidiana nel contesto educativo.
Cap 7 Dinamiche attorno al potere
Un rapporto alla pari? (Dis)equilibri e (a)simmetrie relazionali
Il concetto di coinvolgimento dei genitori nei servizi educativi ha molte
sfaccettature: i servizi devono scegliere il giusto approccio da adottare, senza che sia
in contrasto con quello dei  genitori con determinate aspettative e desideri.
Approccio deficient perenting= collaborazione unilaterale , sottolineando
l'importanza dei genitori di seguire le direttive le linee guida degli insegnati e
adottino comportamenti stabiliti dai professionisti; sono intesi come preparatori alla
scolarizzazione, come risorse per raggiungere gli obbiettivi. Approccio
democratico= professionisti-genitori co-costruiscono e valutano curricula e progetti
di fronte a un'idea in cui è incorporata la prospettiva della famiglie. Approccio
intermediario=la partecipazione delle famiglie è un mezzo per garantire un miglior
apprendimento dei bambini, in ottica strumentale, e come un obiettivo chiave in  sé,
in ottica partecipata; partecipazione limitata a come realizzare gli obiettivi di
apprendimento stabiliti però dai professionisti. Per esempio per l'educatore la
partecipazione genitoriale sta nel facilitare l'apprendimento al bambino invece per i
genitori l'apprendimento può riguardare solo la scuola e il loro compito riguarda
solo il far star bene il bambino mentre apprende.
Consigli ? No grazie
La pratica di dare consigli da parte degli educatori, se intesa come unica modalità di
sostegno alla genitorialità ,presenta rischi: quello di rinforzare il timore del genitore
di non essere abbastanza competente ,confermando la necessità di avere risposte da
qualcuno più competente di lui, non porta a sostenere una genitorialità
consapevole, ma a avvalorare una richiesta di delega passiva e deresponsabilizzante
all'esperto. Non si promuove quindi un cambiamento di tipo generativo, dove il
genitore è il protagonista delle sue scelte, ma si adotta una modalità ortopedica al
cambiamento, la cui direzione è guidata dall'esterno.
Onnipotenze educative dei professionisti: pensarsi e rendersi indispensabili
Per un professionista non è facile rinunciare alla posizione di chi sa di più e
spogliarsi del ruolo di dispensatore di consigli e aiuto. Scegliere la professione di
educatore/insegnate presuppone un bisogno inconscio di prendersi cura di
qualcuno ,che sia a sua volta bisognoso di cure, come un bambino piccolo e
indifeso. L'educatore dunque potrebbe inconsciamente assimilare anche i genitori a
bambini piccoli e indifesi ,da accudire e sostenere. Ad esempio come una madre
impedisce al figlio di essere autonomo per essere indispensabile, cosi può fare
anche questo tipo di educatore in cui impedisce al genitore di sentirsi competente,
per poter continuare ad essere l'unico esperto in grado di guidare il genitore
<piccolo e indifeso> come un bambino. Se il genitore si percepisce come
inadeguato potrebbe delegare l'educatore a sostituirlo ,se egli accetta
implicitamente conferma la visione che il genitore ha di se stesso; si assiste dunque
a una <amplificazione delle differenze > dove le differenze si giocano su un piano
asimmetrico e sbilanciato di potere (educatore superiore al genitore)invece che su
un piano di confronto reciproco evolutivo e costruttivo. In questo caso si prospetta
una disfunzionale <costruzione della dipendenza> all'interno di una relazione che
l'autore W. definisce di tipo complementare. Cioè Il senso di inadeguatezza del
genitore viene ampiamente alimentato nella relazione coi servizi: gli operatori
confermano rappresentazioni mentali pregne di insicurezza e vulnerabilità.
Alimentare l'autoefficacia genitoriale: il processo di empowerment
Nel costruire un'alleanza con le famiglie, i servizi dovrebbero avere tra i propri
obiettivi quello di sostenere l'autoefficacia genitoriale, ovvero la convinzione di
essere capace di alleviare ed educare i figli. Per incidere sul benessere socio emotivo
del bambini, gli operatori dovrebbero riconoscere e valorizzare i loro caregiver
primari. L'intervento dell'educatore nei confronti delle famiglie va collocato
nell'ottica dell'empowerment ,processo che si riferisce allo sviluppo in età adulta e
ha l'obiettivo di rendere individui e gruppi consapevoli delle proprie risorse e capaci
di mettersi in gioco e raggiungere obiettivi sia personali che sociali. L'empowerment
tradotto sarebbe <sviluppo di potenzialità> : è un potere con l'altro e non sull'altro,
un potere positivo che mira a riconoscere le risorse proprie e altrui e a valorizzarle.
L'empowerment nei servizi educativi riguarda non solo garantire relazioni
armoniose, ma ha anche l'obiettivo di potenziare le collaborazioni e di co-costruire
expertise, mettendo insieme competenze parallele considerate ugualmente. Bisogna
uscire da una relazione gerarchica e asimmetrica per adottare un modello
orizzontale ,basato sulla valorizzazione dei saperi e dei ruoli di tutti gli attori
coinvolti. Tocca ai professionisti alimentare ulteriormente l'empowerment favorendo
la creazione di reti, generando occasioni e opportunità di socializzazione e
susidarietà orizzontale. Il processo di empowerment è conneso alla partecipazione,
in quanto c'è un nesso tra la percezione delle competenze personali e la volontà di
agire all'internbi della comunità.
L'ultimo tassello mancante di se: l'immagine di se del professionista
Per poter stimolare nelle  famiglie il processo di empowerment ,il professionista
deve anche credere in se stesso, se no ostacola la relazione. Per coltivare una buona
immagine di se ,è importante il supporto dei colleghi: una risorsa fondamentale dei
professionisti è il supporto percepito all'interno dello staff educativo. Nell'ambito di
contesti lavorativi, l'autoefficacia personale e connessa a quella collettiva
dell'organizzazione. E' chiaro che le relazioni intragruppo(tra colleghi) e
intergruppo(tra insegnati-genitori) sono interdipendenti.
Autoefficacia genitoriale=E' importante che i servizi educativi alimentano le
convinzioni di efficacia dei genitori. Ovvero quelle che concernano le autovalutazioni
sulla propria competenza, quella di riuscire ad allevare ed educare opportunamente i
propri figli; l'autoefficacia genitoriale è un fattore di protezione rispetto allo stress
genitoriale. I genitori con elevato senso di autoefficacia genitoriali sono sensibili e
responsivi nei confronti  dei figli e ne promuovono il benessere e l'adattamento.
Cap 8 La circolarità della comunicazione
Comunicare le radici del significato
Un abile comunicatore deve garantire il coinvolgimento degli interlocutori, facendo
un uso costruttivo e costante dei feedback che provengono dagli interlocutori. In tal
senso, comunicare=mettere al servizio degli altri le proprie conoscenze, e cioè
essere disposti a rinunciare a una posizione di supremazia ,in quanto chi sa di più ha
una posizione di potere di chi sa di meno. La stretta connessione di comunicazione è
sottolineato da Lawrence Lightfoot , che definisce il contesto prescolastico un
microcosmo sociale, dove è possibile mettere in comune saperi, idee, progetti e
significati.
La comunicazione nella prospettiva sistemica
La comunicazione è un flusso continuo e ininterrotto di scambi, di <andata e
ritorno>, secondo il principio di retroazione. Tale concetto indica il feedback che dal
ricevente della comunicazione giunge di ritorno all'emittente: un sistema aperto
dove A influenza B che a sua volta influenza A.
Watzlawick e la scuola di Palo Alto : W. ha considerato la comunicazione da un
punto di vista relazionale, inspirandosi alle teorie della cibernetica. La cibernetica,
infatti ,assume che ogni individuo è in grado di influenzare gli altri attraverso il
proprio comportamento e, allo stesso tempo, è influenzato dal comportamento
altrui. Studiando la comunicazione, secondo degli studi, è possibile individuare
quelle patologie della comunicazione che appunto producono interazioni
patologiche.
La pragmatica della comunicazione e i suoi assiomi
Si può studiare la comunicazione da tre prospettive: quello della sintesi (che
riguarda struttura comunicazione a livello di trasmissione dell'informazione); quello
della semantica(riguarda il significato della comunicazione); quello della pragmatica.
Occuparsi della comunicazione pragmatica umana significa indagare sugli effetti
della comunicazione sul comportamento. Sono stati individuati 5 assiomi, da
Watzlwick, ovvero proprietà della comunicazione che hanno importanti implicazioni
interpersonali. Gli assiomi spiegano il funzionamento del processo comunicativo e
gli errori che portano al fallimento.
1. assioma= "non si può non comunicare" Qualsiasi comportamento in una
situazione di interazione è un messaggio e influenza le persone che non sono
presenti. Anche se non parliamo il nostro corpo dirà sempre qualcosa. Lo
sguardo, la postura, l’espressione del volto e del corpo sono modi per
manifestare il nostro pensiero. Il silenzio o la quiete sono anch’essi modi di
comunicare un messaggio. Alla luce di ciò, possiamo dire che la comunicazione
è insita nell’essere umano
2. <ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione, in
modo che il secondo classifica il primo, ed è quindi metacomunicazione > (che
cosa dici e come lo dici)il contenuto del messaggio va interpretato alla luce
della relazione esistente tra i soggetti che interagiscono: significa che in ogni
tipo di comunicazione ci sono 2 livelli: il contenuto o la "notizia, che riguarda la
trasmissione dei dati, e il comando, che indica il modo in cui si deve assumere
tale comunicazione e che dipende dal tipo di relazione che intercorre tra i
partecipanti. Esempio un capo d'ufficio se dice ad un dipendente <fammi
subito quel lavoro>, implicitamente disegna una relazione di potere ,
sottomissione ,che a sua volta l'interlocutore può decidere o meno ;se dice
<vorrei che mi facessi subito questo lavoro perché ... delinea invece una
relazione di partecipazione-collaborazione(stesso contenuto ma relazioni
diverse). Il modo in cui viene detto cambia il significato del
contenuto(relazione significa=il contesto che da senso anche al contenuto).
Metacomunicazione(una comunicazione sulla comunicazione)= una
comunicazione di secondo livello relativa alla comunicazione stessa,concerne
tutte le specificazioni che servono per interpretare il messaggio, può essere
utile per prevenire incomprensioni ,sciogliere fraintendimenti; esempio: come
mai hai usato quel tono cosi tagliente? si obbliga l'interlocutore a prendere
coscienza del suo atteggiamento e a chiarificarlo, prima di andare avanti con
l'interazione.
3. <la natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di
comunicazione tra i comunicanti> : la punteggiatura delle sequenze degli
eventi definisce la relazione; gli scambi comunicativi non sono casuali, una
sequenza ininterrotta di scambi viene organizzata introducendo la
punteggiatura. Per esempio ogni comunicante inserisce parti di informazioni in
base al proprio punto di vista cosi se abbiamo ad esempio due persone che
litigano avremmo due mondi completamente diversi in base a come
punteggiato il loro punto di vista. I modi di punteggiare una sequenza di
eventi sono soggettivi e possono generare dei circoli viziosi che si possono
interrompere solo se la comunicazione stessa diventa l'oggetto della
comunicazione, cioè si mette in atto una meta comunicazione
4. <gli essere umani comunicano sia con il modulo numerico che antologico> : Il
linguaggio numerico si riferisce alle parole ,quello antologico alla
comunicazione non verbale. Il linguaggio nr è più privilegiato per trasmettere
contenuti, idee complesse, ma più difficile da info sulle relazioni ed emozioni; il
linguaggio antologico comprende gesti, espressioni facciali e vocali, aspetti
che riguardano la relazione tra i partecipanti. Anche se i due dovrebbero
coesistere ed essere complementari, a volte sono incoerenti tra loro: con le
parole possiamo dire una cosa e con la comunicazione non verbale un'altra
("para ti ascolto" mentre l'altro digita sullo smartphone).
5. <tutti gli scambi comunicativi sono simmetrici o complementari ,a seconda che
siano basati sull'uguaglianza o sulle differenze> : interazione
simmetrica=interlocutori che si considerano sullo stesso piano (marito e
moglie, compagni di classe,..), invece, una relazione complementare= quando
si hanno una posizione superiore e una inferiore( genitore-figlio, insegnate-
allievo).
Gestire il conflitto, comunicare nei conflitti

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