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3. SPAZI E TEMPI
Michel Foucault si è occupato delle dinamiche dell’organizzazione del potere e delle molteplici
strategie con cui quest’ultimo assoggetta l’individuo e i gruppi. Nel volume sorvegliare e punire il
filosofo francese illustra come, a partire dal 700, la disposizione degli ambienti di alcune istituzioni
sia stata concepita al fine di esercitare sempre un maggiore controllo sociale. L'organizzazione
degli spazi dei tempi è funzionale a meccanismi di controllo sociale messa in atto da particolari
istituzioni (prigioni, scuole, caserme ecc.) che hanno il compito di “plasmare” il comportamento
degli individui in maniera in diretta al fine di mantenere l'ordine sociale le relazioni di potere in
atto. Foucault parla al proposito di “microfisica del potere” mostrando come l'organizzazione
spaziale e temporale di istituzioni quali prigioni, fabbriche, ospedali, collegi, scuole si configuri
come dispositivo disciplinare. Le osservazioni di Foucault illustrano come certe istituzioni utilizzino
l'organizzazione dello spazio e l'impiego del tempo per creare e mantenere rapporti sperequati di
potere tra individui; Alla luce di ciò, possiamo avviare la nostra riflessione sull’allestimento di un
ambiente finalizzato non a manipolare e sottomettere i fruitori, bensì a promuovere relazioni
sociali egualitarie e cooperative.
Bernstein ne parlava come di una pedagogia invisibile che può produrre degli effetti non voluti,
diversi da quelli intenzionalmente perseguiti. Occorre che tale pedagogia esca dall’invisibilità in
modo che l’organizzazione ambientale non sia, da parte degli insegnanti, subita, passivamente
accettata, ma diventi oggetto di una progettualità educativa autentica. Secondo Bettelheim la
pedagogia sottesa all'organizzazione degli spazi è anche indizio di un certo modo di concepire il
bambino, il suo sviluppo e la relazione educativa.
L’organizzazione dello spazio ai fini disciplinari e di controllo è correlata a una gestione del tempo
finalizzata alla produttività, che nella scuola significa apprendimento. Non ci devono essere tempi
morti; non sono Connesse divagazioni né fughe di attenzione. Anche lo svago è temporalmente
delimitato e definito; tutto ciò che non ha a che fare con l'istruzione è regolarmente bandito.
L'organizzazione del tempo finalizzata all’efficacia didattica si accompagna per lo più a un impiego
impersonale del tempo. È il tempo dell’orologio che scandisce, con il suono della campanella,
L’inizio e la fine del “tempo scuola” e il passaggio da una lezione a un'altra secondo un ritmo
istituzionale e collettivo. Il tempo scuola si configura per tradizione e per esigenze organizzative
come un tempo collettivo, tendenzialmente impersonale, istituzionalizzato. Gli Effetti del
dell'organizzazione del tempo a scuola sui vissuti psicologici vanno dunque tenuti in
considerazione, osservati e valutati, poiché, analogamente a quelli dell'organizzazione spaziale,
pur non essendo sempre consapevolmente definiti e scelti, condizionano talora pesantemente la
partecipazione fruttuosa dei bambini alla vita della scuola.
Due testi di Piaget sono Fondamentali per comprendere come nel bambino si costruiscono
evolutivamente i concetti di spazio e di tempo così come adulti li conosciamo. Il bambino alla
nascita non è in grado di distinguere il mondo esterno da quello interno e totalmente
autocentrato, non conosce né spazio né casualità E non ha neppure la nozione di oggetto come
qualcosa di permanente. Non esiste per lui uno spazio unitario. quando le cose scompaiono alla
vista è come se se ne andassero per sempre: il bambino non cerca in alcun modo di ritrovarle; La
ricomparsa di un oggetto è una sorta di resurrezione punto solo progressivamente il mondo
acquisisce una certa consistenza e si costituisce un'organizzazione spaziale: il bambino si rende
conto del rapporto tra gli oggetti, compaiono le prime rappresentazioni mentali. Lo spazio risulta
essere il tipo senso motorio, legato allo spa allo sviluppo della percezione e alla motricità ponte,
solo successivamente, con l'avvento del linguaggio lo spazio diventa rappresentativo.
Parallelamente alla conquista delle relazioni spaziali, il bambino scopre anche il tempo non è
legato alla sua attività ma è proprio di tutti gli elementi che compongono l'universo esterno per la
prima volta si rivela capace di ordinare nel tempo gli avvenimenti esterni percepiti direttamente. A
questo punto, quando riesce ad evocare un'immagine mentalmente, il “prima” e il “poi” non sono
più ristretti all’azione propria, ma riguardano tutti gli eventi che il bambino prevede e ricorda. Il
bambino passa da un tempo locale eterogeneo, egocentrico e irreversibile a un tempo omogeneo
continuo e reversibile. L'importanza della capacità rappresentativa nelle elaborazioni della realtà
esterna è segnalata in particolare da Vygotskij, il quale considera un momento cruciale dello
sviluppo quello in cui il bambino non dipende più per le sue azioni dalle proprietà materiali e
percettivi degli oggetti, ma delle loro rappresentazioni mentali. Solo quando il bambino distingue
l'oggetto del suo significato può agire indipendentemente dalle proprietà percepite dell'oggetto e
spiegare quest'ultimo alla propria volontà immaginativa (es. bastone usato come cavalo). A questo
proposito risultano particolarmente significativi le osservazioni di Anna Freud nel testo normalità
e patologia dell'età infantile. il vissuto temporale del bambino non è identico a quello dell'adulto.
Il bambino molto piccolo non accetta dilazioni rispetto al soddisfacimento pulsionale: piange e si
dispera se l’adulto non accorre subito, si sente totalmente abbandonato. È sotto l'egida del
“principio di piacere”; Il suo Io è molto debole e perciò anche la sua capacità di sopportare la
frustrazione e l'attesa. Nell’età dai tre ai sei anni il bambino oscilla ancora tra quelli che A.Freud
definisce “tempo dell’Es” e tempo “dell’Io”. L’Es Vuole tutto e subito. Posticipazione dell'azione,
attraverso la mediazione del pensiero, e capacità di attesa sono invece caratteristiche dell'Io.
Questo significa che <<il mondo con cui un bambino sperimenta un dato periodo di tempo non
dipende dalla sua durata reale, misurato oggettivamente dall' adulto in giorni e ore ma dalle
soggettive relazioni interne del dominio dell'Es o dell’Io sul suo funzionamento>>.
Il tempo ha a che fare con una delle più importanti acquisizioni del bambino piccolo: la capacità di
attendere. Questa facoltà dipende fortemente dalle esperienze che il bambino ha vissuto nella
relazione con le figure di attaccamento.
L’attesa fiduciosa come la descrive Margaret Mahler Contraddistingue il bambino che ha esperito
cure e affetti regolari e coerenti. Se la relazione è stata positiva, il bambino crede nella realtà come
fonte di benessere, è fiducioso e sviluppa la capacità di attendere; Il saper attendere e il senso di
realtà solo acquisizione complementari e parallele. Il vissuto temporale del bambino molto piccolo
e dunque connesso, secondo Anna Freud, al suo tipico funzionamento psichico oscillante.
Due esigenze sono sottese a questo tipo di comportamento: il mantenere vivo l’interesse del
bambino (variazione) e l’importanza dell’ordine e della ripetitività. Occorre anche una notevole
sensibilità da parte dell'adulto, perché tali forme di interazione hanno come scopo quello di
<<regolare il livello di eccitazione>> del bambino in modo da fornire una <<stimolazione
ottimale>>: l’adulto non deve sovraeccitatare il bambino, ma aiutarlo ad autoregolarsi. Anche i
comportamenti quotidiani legati alle cure possono essere espressi nella forma del tema con
variazioni: comportamenti esagerati, ripetuti con variazioni appropriate, stereotipati.
Fattori emotivi e relazionali intervengono fortemente a colorare tali esperienze, che non hanno
una connotazione esclusivamente cognitiva: angoscia da abbandono o fiducia nelle figure di
attaccamento, sensazione di inadeguatezza o di capacità di influenzare la realtà circostante,
volontà di isolamento o piacere di condividere situazioni sociali con adulti e con pari sono aspetti
che contribuiscono a creare e consolidare nel bambino un’idea di spazio e di tempo condivisa e
sociale. Tali fattori, che nel nido e nella scuola dell'infanzia vanno accuratamente considerati, non
solo influenzano lo spazio psicologico e il vissuto temporale, ma contribuiscono anche allo sviluppo
dell'autonomia e al consolidamento dell'identità personale nei bambini.
3.3 la qualità pedagogica di spazi e tempi nei servizi per l'infanzia 0 6: alcuni indicatori
Da quanto detto fin qui è possibile derivare una serie di considerazioni per allestire ambienti “a
misura di bambini” dal punto di vista spaziale temporale .
Alcune considerazioni:
1) Non è possibile sconnettere l’organizzazione degli spazi e dei tempi dalla complessiva
organizzazione dell’ambiente, che comprende un’ampia gamma di aspetti. Fra i quali: le attività
che i bambini possono svolgere -il modo con cui gli adulti consentono loro di svolgerle- le modalità
della relazione educativa, cioè gli atteggiamenti e i modi con cui gli adulti si rivolgono al singolo
bambino e al gruppo nei diversi contesti quotidiani.
2) L’organizzazione degli spazi e dei tempi dipende dal vissuto infantile e allo stesso tempo lo
influenza. Gli aspetti emotivo-affettivi dipendono dalla percezione spazio-temporale ma al
contempo la condizionano: interesse, coinvolgimento, benessere così come noia, distanziamento,
disagio da una parte sono sintomatici del mondo con cui i bambini vivono il nido e la scuola
dell'infanzia come luoghi di vita, dall’altra influenzano il loro modo di percepire e concepire lo
spazio e il tempo vissuto fuori dalla casa.
4) L’organizzazione dello spazio e del tempo influenza anche le dinamiche tra pari, In quanto può
incentivare o, al contrario, disincentivare interazioni positive, non conflittuali, di amicizia e
collaborazione.
1. Gli spazi della scuola, le aule, gli spazi comuni: saloni, corridoi e scale. Questi elementi ci
forniscono un'immagine dei ruoli del bambino e dell’educatore\insegnante, delle norme di
comportamento e delle regole d'uso, delle strategie di insegnamento, dei rapporti sociali
ecc. Dovremmo pensare allo spazio allo stesso modo con cui pensiamo alle attività che
proponiamo, alle consegne che diamo ai bambini, ai metodi che utilizziamo e cioè come
strumenti di apprendimento e socializzazione.
2. La qualità dell’esperienza educativa nel nido e nella scuola dell’infanzia è data anche dal
modo con cui i diversi episodi si dispongono nel corso della giornata, dalla loro successione,
dalla loro durata, dal loro ripetersi ciclico e ritmico.
Come abbiamo visto Piajet Parla riferendosi al bambino piccolo, di un tempo “locale”, cioè di un
tempo proprio a ciascun evento e della mancanza di un senso del tempo più ampio e dilatato.
Pertanto l'organizzazione della giornata infantile, soprattutto al nido ma anche alla scuola
dell’infanzia, così come a casa, i suoi ritmi, scansioni, alterazione, ripetizioni sono importanti
perché l'esperienza infantile possa strutturarsi in eventi riconoscibili dotate di significato, secondo
di “prima”, dei “dopo” ed egli "ancora”. Il ritmo è un aspetto pregnante del senso di continuità. Le
modalità di organizzazione e collocazione delle routine che scandiscono la giornata sono
importanti ma non sufficienti. Occorre prestare attenzione agli aspetti temporali presenti in ogni
situazione che fanno sì che essa possa essere vissuta dal bambino come momento di attesa
fiduciosa o minaccia, come un evento Riconoscibile e prevedibili all'interno di un disegno o come
caotico succedersi di sensazioni sconnesse. Elementi di coerenza, continua, ritmo, forma sono
fattori essenziali per fare del nido e della scuola dell'infanzia un contesto educativo.
Gli indicatori proposti che possono migliorare l'utilizzo e l'organizzazione di un ambiente educativo
deve essere:
A) A misura dei bambini e orientato alla loro crescita, in cui i piccoli possano sentirsi a casa
loro.
B) Generoso, nel quale i bambini abbiano la possibilità di trovare ampie possibilità di gioco,
attività ed esplorazione.
C) Attivo, che susciti cioè il desiderio di fare, manipolare, agire concretamente sugli oggetti
per esplorarli, conoscerli e trasformarli.
D) Conviviale e sociale che favorisca gli scambi orizzontali e le relazioni tra pari in un clima di
affettività positiva e di responsabilizzazione sociale.
Progettazione
Lo spazio va progettato. Ciò significa da un lato che il modo di organizzare gli spazi va condiviso dal
gruppo di lavoro dall'altro che tale organizzazione, relativa sia gli spazi delle sezioni sia quelli
comuni, deve avere una valenza educativa, essere cioè pensata per offrire ai bambini le migliori
possibilità di crescita e agli adulti le condizioni migliori per svolgere il proprio lavoro. La
progettazione degli spazi si interseca con le idee di bambino, di relazione educativa e di finalità
educative che abbiamo in mente. L’atto del progettare comporta la definizione di un problema e
un’ipotesi di soluzione.
La progettazione comporta operazioni di rilevazione e verifica, che richiedono l’utilizzo
dell’osservazione come strumento procedurale. La rilevazione, cioè l’osservazione del
comportamento dei bambini nello spazio, è importante perché permette di immaginare soluzioni
adatte alla particolarità dei bambini del proprio gruppo, sempre avendo presenti certi fini in
mente; la verifica comporta invece l’utilizzo dell’osservazione per accertare se l’allestimento
spaziale realizzato produca davvero gli effetti sperati o se debba essere ripensato.
Articolazione e destinazione d'uso degli spazi della scuola
questo indicatore punta l'attenzione sia sulla dimensione fisica dell'ambiente scuola sia sulla
dimensione funzionale. Gli spazi della scuola dovrebbero essere articolati in modo tale da
assolvere funzioni diverse. Nel nido o nella scuola dell’infanzia dovrebbero essere previsti: spazi
per il riposo, spazi per il pranzo e le merende, servizi igienici, spazi attrezzati per gruppi stabili,
spazi comuni, attrezzature per l’attività motoria, spazi con funzioni educative specifiche. Accanto a
spazi specializzati, il nido/la scuola possono prevedere luoghi di aggregazione che promuovano la
dimensione sociale e collettiva: la “piazza” dove possono incontrarsi bambini di diverse sezioni o
dove si svolgono momenti assemblati.
questo criterio considera se e quanto gli spazi della scuola diversi da quelli della sezione, attrezzate
per sollecitare specifiche esperienze, siano effettivamente accessibili e costituiscono una risorsa
abituale. Per valutare ciò occorre chiedersi in quale misura ciascun bambino abbia la possibilità di
fruire degli spazi extrasezione dedicati aspecifiche attività. Con questo criterio è possibile valutare
anche la capacità di organizzare pedagogicamente il lavoro tra le sezioni o le classi pensando a un
uso collettivo e non privatistico delle risorse della scuola.
Lo spazio della sezione nella quale i bambini passano buona parte del tempo della quotidianità
dovrebbe essere articolato in zone dotate di materiale ad hoc, così da suggerire una varia tipologia
di giochi e attività. L'articolazione in zone, pur suggerendo ai bambini particolari attività, lascia loro
ampia libertà di scelta e, al tempo stesso, consente l'aggregazione dei bambini in piccoli gruppi,
favorendo l'instaurarsi di una socialità positiva.
l'ambiente della scuola deve poter essere per ciascun bambino un ambiente di vita, non un luogo
anonimo impersonale ma accogliente e amico. Perché il bambino li frequenta volentieri perché
possa godere le risorse ludiche e di apprendimento che propongono, è necessario che sente di
appartenervi, di essere a “casa”. Lo spazio dovrebbe sottolineare l'importanza della singolarità,
oltre che della collettività. Uno spazio personalizzato riconosce infatti al bambino il bisogno di
godere ogni tanto di “spazi per sé”, non importa se piccoli “angolini appartati” per allontanarsi da
situazioni faticose e da una socialità troppo stressante.
sia gli spazi extra sezione sia quelli deputati a ciascuna sezione hanno necessariamente una
valenza sociale. Nel nido e nella scuola dell'infanzia, la cui finalità di socializzazione e preminente,
l'organizzazione dello spazio dovrebbe: incentivare la collaborazione tra bambini; Consentire ai
bambini di sperimentare diverse modalità di aggregazione prevedendo una disposizione degli
arredi flessibile e luoghi deputati ; Consentire ai bambini modificazioni degli spazi, concordate con
gli insegnanti, per venire incontro alle loro esigenze e interessi maturati nel tempo si tratta si
tratta di contrassegnare lo spazio in modo da rimarcare il significato sociale promuovere un senso
di appartenenza.
Lo spazio è lo sviluppo dell'autonomia
l'uso progressivamente autonomo degli spazi della scuola va di pari passo con la familiarizzazione
del bambino rispetto all'ambiente nido/scuola dell’infanzia, ma è anche frutto di scelte
pedagogiche orientate a sollecitare l'esplorazione, la negoziazione di regole. Di comportamento
adatte ai diversi ambienti, la responsabilizzazione dei bambini. L'autonomia viene favorita anche
da un’organizzazione dello spazio che consenta il libero accesso ai materiali disponibili ma anche,
nel caso dei bambini più grandi virgola che li responsabilizzi. Al contrario, spazi nei quali i bambini
hanno poca libertà di movimento e non possono esprimere la propria iniziativa non promuovono,
secondo tale criterio, l'autonomia.
Lo spazio e la corporeità
l'acquisizione di un senso di padronanza nell’uso del corpo, lo sviluppo della motricità globale,
l'unità psicofisica dipende per buona parte, Soprattutto nei soggetti in età evolutiva, dalle
caratteristiche degli spazi in cui ci si muove; Non solo fisiche ma anche psicologiche e sociali.
Questo indicatore pone l'attenzione su quanto gli spazi interni del nido e della scuola dell'infanzia
consentono ai bambini attività di di libero movimento che impegnano e sollecitano la motricità
globale.
La qualità percettiva tattile e cromatica dell'ambiente e dei materiali in esso contenuti non
contribuiscono soltanto a rendere lo spazio della scuola confortevole, ma si configura anche come
una forma in diretta di esercizio del gusto e della fruizione estetica. La qualità estetica dello spazio
non è infatti un puro elemento di contorno, poiché, l'educazione del gusto passa attraverso il
godimento e l’apprezzamento del bello. “Bello” è ciò che ci trasmette un senso di ordine, polizia,
funzionalità, armonia. Nido e scuola dell'infanzia devono essere esteticamente gradevoli e
soddisfacenti.
la scuola è un ambiente di vita sia per i bambini sia per gli adulti. Anche questi ultimi hanno
bisogno di trovare nella scuola segni di appartenenza, luoghi di incontro confortevoli. Lo spazio
dell'accoglienza all'entrata e all'uscita è una sorta di carta d'identità del nido e della scuola
dell'infanzia che può dimostrare che i genitori sono compartecipi della vita del servizio o viceversa.
E inoltre importante che le l’équipe di lavoro posso avere un luogo nel quale svolgere attività di
programmazione e discussione collegiale, e nel quale sia possibile riporre le proprie cose; nel
medesimo spazio tutto ciò che può rendere più agevole il lavoro degli educatori con i bambini
luoghi/arredi ove riporre i materiali il consumo, sedie a misura di adulto rende gli spazi “abitabili”
e confortevoli anche per gli adulti.
nella maggior parte dei casi i nidi e le scuole dell'infanzia hanno a disposizione uno spazio esterno
che può variare ampiamente quanta superficie E attrezzature, generalmente utilizzato per attività
all'aperto. In primo luogo, lo spazio all'aperto dovrebbe offrire garanzie di sicurezza. In secondo
luogo, dovrebbe presentare semplici attrezzature che incoraggiano il gioco motorio e la messa alla
prova delle proprie capacità fisiche, in buono stato e non pericolosi. In terzo luogo, lo spazio
esterno, oltre che per le attività di movimento dovrebbe essere attrezzato per attività significative
che possono essere svolte all’aperto mettendo a disposizione materiali ad hoc. Va infine ricordato
che le attività all'aperto possono essere svolte anche fuori dalla scuola con passeggiate, gite,
escursioni ecc.
Materiali e giocattoli
Come l'organizzazione degli spazi anche l'organizzazione del tempo al nido e alla scuola
dell'infanzia ha una notevole incidenza sulla vita quotidiana e sulla crescita dei bambini e può
essere più o meno proficua in relazione alle finalità educative che ci si propone. Come
l'organizzazione degli spazi anche l’organizzazione dei tempi richiede una progettazione collegiale
e deve essere considerata un problema dar risolvere tenendo presenti sia le esigenze dei bambini
sia gli effetti che una certa organizzazione temporale può avere su di loro.
La giornata al nido e nella scuola dell’infanzia deve essere prevedibile, scandita in momenti
riconoscibili che si ripetono giorno dopo giorno, ma, al tempo stesso, sufficientemente flessibile,
per venire incontro alle esigenze che i bambini quotidianamente manifestano. La scansione dei
tempi da dedicare alle diverse attività e routine deve inoltre prevedere transizioni dolci tra una
situazione e l’altra, perché i bambini possano lasciare con agio un’attività e prepararsi alla
successiva. Le situazioni della quotidianità devono infine essere coinvolgenti e non prevedere
tempi troppo prolungati di attesa, Per far sì che il tempo al nido e alla scuola dell'infanzia si vissuta
dai bambini come un tempo di benessere, ricco di opportunità positive. Occorre che il ritmo
temporale quotidiano venga monitorato e periodicamente rivisto alla luce di un’osservazione
attenta alle condotte dei bambini, chiedendosi se tutti si dimostrano interessati nelle diverse
situazioni quotidiane e risultano beneficiare delle alternanze proposte. L'idea è che un buon nido e
una buona scuola dell'infanzia siano quelli in cui bambini, secondo un disegno consapevole
dell'adulto, possono godere di una gamma molteplice di attività e di situazioni sociali modo che,
giorno dopo giorno, possono fare esperienza metterci alla prova in situazioni di conoscibili ma
molteplici e differenti.
La continuità dell'esperienza
Il nido e la scuola dell’infanzia richiedono nella misura in cui la cura è rivolta non solo il singolo ma
un gruppo, richiedono un certo adattamento del bambino ai tempi e ai ritmi collettivi, che non può
e non deve essere richiesto a priori né imposto. La personalizzazione del tempo, cioè il tener conto
delle esigenze del singolo bambino è un aspetto necessario. L’organizzazione temporale di un
servizio educativo per l’infanzia non deve essere tropo vincolata ad esigenze istituzionali. La
personalizzazione del tempo mostra il bambino che le sue esigenze sono rispettate tenendo conto
delle sue effettive capacità delle sue possibilità evolutive. La personalizzazione del tempo deve
però non essere accompagnata don disegno e la giornata non caotico virgola in modo che il
bambino possa riconoscerne il disegno e in tal modo strutturare un senso del tempo condiviso.
Una delle principali conquiste del bambino e la progressiva capacità di elaborare un senso del
tempo condiviso. Si parla di tempo condiviso quando il tempo non è più sentito in riferimento
esclusivo all’esperienza propria, ma tiene conto dell’esperienza I delle esigenze delle altre
persone. il passaggio da un vissuto temporale autocentrato a un vissuto sociale non è connesso,
come abitualmente si crede, all’adattamento progressivo ai tempi istituzionali dovuto
all’abitudine, bensì al riconoscimento che lo stare e fare insieme agli altri, sentito come piacevole
e fruttuoso, richiede al bambino una restrizione delle proprie esigenze individuali. Occorre dunque
prestare attenzione al vissuto temporale di ciascun bambino nelle diverse situazioni quotidiane,
permettendogli anche di stare in solitudine, senza sforare o imporre i tempi della collettività.
L’autonomia nell’uso del tempo è una conquista evolutiva importante che non è affatto promossa
dalla coercizione o dalla pura abitudine; al contrario, l’esercizio della negoziazione tra adulto e
bambini circa l’uso del tempo e la possibilità che viene data ai bambini di gestirlo anche
autonomamente sono condizioni favorevoli.
4. IL GIOCO
L’attività ludica non è semplicemente una condotta attraverso cui il bambino può apprendere e
svilupparsi, ma rappresenta il suo modo peculiare di stare al mondo, di rapportarsi alla realtà e di
esprimere il suo punto di vista su di essa. Si può dire che il gioco è la “voce” stessa del bambino.
Per illustrare perché e come opportuno che è un contesto educativo per l'infanzia da 0 6 si
rapporti al gioco, occorre innanzitutto chiarire la peculiare natura della realtà ludica, Si considera
prima di tutto articolata descrizione data da Caillois Delle caratteristiche che individuano il gioco
come tale si metterà in evidenza quindi sulla base della proposta di questo autore, gioco ed
educazione possono sembrare realtà quasi incomprensibili , ma anche che il rapporto controverso
tra queste due alta può essere risolto positivamente se si considera il gioco dal punto di vista del
bambino; si cercherà quindi di approfondire cosa rappresenta l'attività ludica per il bambino e
virgola su queste basi si presenteranno gli aspetti che caratterizzano un buon contesto educativo
0-6 per il gioco.
Roger Coillois Il suo libro i giochi e gli uomini sviluppa la definizione di gioco data dallo storico
olandese Huizinga Individuando con una certa precisione gli aspetti che caratterizzano la realtà
ludica e la differenziano da quella non ludica: il gioco è libero, separato, incerto, improduttivo,
regolato, fittizio.
Libero → chi gioca decide di farlo spontaneamente e in modo del tutto volontario, per il solo
piacere di farlo, così come è del tutto libero di scegliere quando uscire dal gioco. In questo senso
non si può imporre a qualcuno di giocare, perché chi gioca sotto costrizione non sta davvero
giocando. Chiedere a qualcuno di giocare è quindi come chiedere a qualcuno di amarci, o di essere
spontaneo.
Separato → il gioco è un universo separato dal resto dell’esistenza e chiuso alle interferenze del
mondo che sta fuori. Qualsiasi gioco ha un suo spazio fisico e virtuale, che segna i confini con ciò
che gioco non è. Anche il tempo del gioco è delimitato e separato. Nel caso del gioco libero dei più
piccoli, la durata non è stabilita a priori, ma è molto chiaro a chi partecipa quando qualcuno
termina di giocare e rientra nel tempo della realtà non ludica.
Incerto→ per qualsiasi gioco non è possibile prevedere né il suo svolgimento né il suo esito. Ciò
vale sia per i giochi con regole predeterminate che per quelli liberi.
Improduttivo → si gioca per giocare, per il piacere di farlo. Perciò si può dire che il gioco non crei
nulla di nuovo al di fuori di sé stesso, e in ciò si differenzia totalmente da un’attività svolta con un
obiettivo esterno, per ostruire o ottenere qualcosa.
Autoregolato → pur essendo un’attività libera, il gioco è sempre caratterizzato da regole. Anche il
gioco cosiddetto libero è regolato. Nel caso del gioco simbolico vale la regola che tutto quello che
si fa è per finta, consiste cioè nella rappresentazione fittizia della realtà. Nel gioco di esplorazione
dei materiali, o in quello libero motorio, sono le regole fisiche della realtà concreta a ritmare e
vincolare la pur presente libertà d’iniziativa del giocatore.
Fittizio→ chi gioca è sempre accompagnato dalla consapevolezza di trovarsi in una dimensione di
realtà diversa, di estraniarsi temporaneamente dalla vita ordinaria, tale per cui sa in ogni
momento con chiarezza di star agendo per gioco.
Gioco e educazione sembrano configurarsi come due realtà opposte e incompatibili. Alla
spontaneità e piacevolezza del gioco di contrappone l’intenzione educativa di proporre e anche di
imporre esperienze, conoscenze, condotte che il bambino è tenuto in maniera più o meno
costrittiva ad accettare, acquisire, adottare. Se il gioco appartiene a una dimensione del reale
separata e straordinaria rispetto alla vita consueta, l’educazione è una parte consistente della vita
quotidiana dei bambini. All’incertezza del gioco, si contrappone l’intenzione di certezza di chi
educa. Infatti, chi ha un ruolo educativo definisce in genere a priori sia gli obiettivi che intende
raggiungere in termini di apprendimento e di crescita nei bambini, sia le strategie e i percorsi con
cui perseguirli. L’improduttività del gioco ha come contropartita la vocazione produttiva
dell’educazione. Le regole che caratterizzano qualsiasi gioco hanno la particolarità di essere
spontaneamente assunte dal giocatore. Che scegliendo liberamente di giocare sceglie anche di
stare dentro alle regole del suo gioco. Come il gioco anche l'educazione è una realtà regolata,
tanto più quanto più gli obiettivi e percorsi per raggiungerli sono interpretati rigidamente e
imposti, piuttosto che concordati con i bambini. A differenza del gioco però, le regole
dell'educazione non sono liberamente assunte dal bambino, sia perché non può decidere se e
quando farlo sia perché difficilmente a modo di esprimersi rispetto ad esse. Infine, al chiaro senso
di “irrealtà straordinaria” che accompagna chi gioca si contrappone il vissuto di realtà ordinaria del
bambino nella situazione educativa, la chiarezza che ciò che sta facendo lo fa per davvero e sul
serio. Da una parte la ricerca psico-pedagogica ha ampiamente riconosciuto il significato evolutivo
del gioco, e perciò avverte gli educatori che non possono svolgere il proprio compito senza
attribuire un posto importante all’attività ludica del bambino nella propria prospettiva e pratica
educativa. D’altra parte, però l’educatore riconosce le qualità particolari e complesse del gioco. Il
gioco è delicato e per essere davvero gioco, deve essere lasciato a sé, in quanto qualsiasi
intervento rischia di rovinare la spontaneità e di deviarne i percorsi facendo vacillare la sua fragile
struttura. Questo rischio è particolarmente presente nel caso dell’intervento educativo. Questa
ambivalenza può portare l’educatore a risolvere il disagio attivando due possibili atteggiamenti:
Da una parte è possibile che prevalga l’intenzione di tenere il gioco dentro l’azione educativa,
arrivando a utilizzarlo come cattura didattica per invogliare il bambino a dedicarsi ad attività che
mirano a sostenere competenze e conoscenze; D’altra parte, vi è la possibilità che abbia il
sopravvento la tutela del gioco interpretata in modo assoluto, tanto da portare l’educatore ad
astenersi da qualsiasi intervento. Il superamento di questa presunta incompatibilità tra gioco e
educazione richiede un cambiamento di prospettiva: si tratta di non guardare più il gioco in
funzione solo di competenze ma piuttosto chiedendosi che significato ha per il bambino.
4.2 Il gioco dal punto di vista del bambino
Poiché il nostro riferimento è il bambino da zero a sei anni, è necessario prima di tutto precisare a
quale tipologia di gioco dobbiamo far riferimento. su queste basi, sarà possibile provare a chiarire
cosa rappresenta il gioco dal punto di vista del bambino di questa età.
Piaget concepisce il gioco come un’attività che si esercita al di fuori dei processi di adattamento e
che evolve come conseguenza dello sviluppo delle strutture intellettive. Il gioco è assimilazione
pura, ovvero consiste nell’attivare a vuoto gli schemi, le abilità e le condotte acquisite, per il puro
piacere di esercitarli, al di fuori di qualsiasi finalità; non produce cioè l’avanzamento cognitivo. In
questo senso il gioco è anche egocentrismo puro, in quanto il bambino giocando, piega la realtà
dal suo punto di vista e interesse. 1)
Il gioco di esercizio (da o a 2 anni) è agganciato all’intelligenza senso-motoria. È di tipo
essenzialmente sensoriale e motorio e comprende forme di esercizio semplice, di combinazione
senza scopo, di combinazione con scopo. 2) Il gioco di finzione (da 18
mesi a 7 anni) compare con il passaggio dall’intelligenza motoria all’intelligenza rappresentativa. Il
gioco simbolico evolve diventando sempre meno egocentrico e tendendo, nelle sue forme più
mature e sociali, a riprodurre situazioni reali e a scivolare nel gioco di regole.
3) Il gioco di regole (da 4 a 7 anni) rappresenta il ponte tra l’attività ludica vera e propria e i
comportamenti che implicano un adattamento alla realtà. Si mantiene anche nell’età adulta.
Fuori da queste 3 categorie principali Piaget colloca il gioco di costruzione, il quale, come il gioco di
regole, pur ponendosi tra il gioco puro e la condotta latta, si manifesta in modo trasversale.
Comprendere il significato che assume il gioco dal punto di vista infantile non è cosa immediata.
Specie nella prima infanzia, il bambino si esprime sostanzialmente attraverso il gioco.
<< L’importanza del gioco risiede innanzitutto nel godimento immediato e diretto che il bambino
ne trae, e che si estende traducendosi in godimento per il fatto di essere vivo.>> (Bettelheim)
Winnicot Si spinge ancora più in là nel tracciare il rapporto tra giocare e vivere quando,
considerando il gioco come prototipo dell’esperienza creativa afferma <<E la percezione creativa,
più di ogni altra cosa virgola che fa sì che l'individuo abbia impressione che la vita valga la pena di
essere vissuta >>.
Nel gioco il bambino, soprattutto nella prima infanzia, il corpo ha un ruolo primario Piaget pone in
evidenza come si tratti di un attività soprattutto senso motoria, centrata cioè sulla ripetizione a
vuoto di schemi d'azione già acquisiti al solo scopo di consolidarli e per il piacere funzionale che ne
deriva. Anche il gioco simbolico è molto corporeo: è attraverso i movimenti e i gesti che il bambino
mette in scena le sue trame ludiche. Questo tipo di gioco è soprattutto l’espressione delle prime
forme di pensiero rappresentativo, cioè della capacità di immaginare ciò che si vuole
indipendentemente dal mondo concreto che viene percepito.
Il gioco è espressione e modulazione dell'affettività
il rapporto tra gioco e vita affettiva del bambino è approfondito nell'ambito delle teorie
psicoanalitiche. Il punto di vista psicoanalitico sul gioco può sinteticamente ritrovare nelle seguenti
affermazioni di Bettelheim. Bettelheim afferma che <<tutti i bambini anche i più normali e abili,
incontrano quotidianamente difficoltà che ai loro occhi si presentano come insormontabili
problemi di vita. Agendolì nel gioco, un aspetto per volta, a modo suo, secondo i suoi ritmi, il
bambino può riuscire a far fronte passo per passo ha problemi di grande complessità. >> Questa
visione fu proposta per la prima volta da Freud sulla base dell’osservazione del gioco di suo nipote
Ernst (18 mesi). Con il gioco Ernst, in modo simbolico e inconsapevole, mette in scena la
separazione dalla madre e i sentimenti dolorosi con cui la vive. Ciò gli permette:
Winnicot mette in evidenza il significato del gioco in relazione ai processi di pensiero creativo, cioè
alla capacità di reinterpretare i modi tipici di rapportarsi e concepire il mondo per delinearne di
inediti. Secondo winnicot il bambino quando gioca, sospende il faticoso lavoro che caratterizza il
suo rapporto usuale con la realtà. Questa sospensione avviene attraverso l’attivazione di un’area
transizionale tra l’interno e l’esterno, -ciò che si desidera- e l’esterno -ciò che è possibile- cioè
l’area ludica. Proprio la compenetrazione tra la dimensione soggettiva e quella oggettiva è il
processo che sta alla base dell’atto creativo, in quanto consiste appunto nell’espressione di parti
interne del soggetto -vissuti, fantasie e pensieri- attraverso la realtà esterna, trasformando
quest’ultima in modo tale che non è più possibile distinguere tra le due componenti. Secondo
Winnicott il gioco è prototipo di qualsiasi atto creativo e dunque e per il bambino la prima
esperienza di creatività, grazie a cui il mondo interno non solo trova espressione in quello esterno,
ma lo verifica.
Vygotskij condivide l’idea della stretta relazione tra gioco simbolico e pensiero rappresentativo,
ma considera questo genere di attività ludica non come una conseguenza della comparsa delle
prime forme di pensiero rappresentativo, bensì come un motore del suo sviluppo. Dal punto di
vista del bambino giocare a fare finta è prima di tutto possibilità di immaginare, di sganciarsi dalle
pastoie (intralci) imposte dal mondo percettivo e quindi di sperimentare una nuova libertà
mentale.
Vygotskij mette in evidenza il significato del gioco simbolico in relazione all’esplorazione di ruoli,
regole, habitus sociali. Lo studioso riporta l’esempio di due sorelle che giocano a fare finta di
essere sorelle, commentando che in questo modo le bambine esplorano cosa significhi essere
sorelle, che tipo di relazioni e regole competono a questo ruolo nel contesto socio-culturale cui
appartengono. Anche il gioco prototipico, cioè quello in cui il bambino usa gli oggetti per quello
che sono ma in una situazione fittizia, è già una forma di gioco simbolico, in quanto gli oggetti
vengono utilizzati per quello che rappresentano nel contesto socio-culturale di appartenenza,
dunque appunto per il loro significato sociale. Sembra in definitiva di poter dire che per il bambino
dedicarsi a questo tipo di gioco rappresenti l'importante esordio nel mondo dei significati, con la
esaltante e del tutto inedita esperienza dei processi attraverso cui è possibile manipolarli
mentalmente.
Il gioco socio-drammatico richiede uno sforzo di decentramento non da poco per bambini in
un’età ancora fortemente caratterizzata da egocentrismo: la spinta per affrontare questo sforzo è
data dalla motivazione a giocare con gli altri, dal valore aggiunto connesso alla possibilità di
condividere con i compagni mondi affettivi, creativi e immaginativi personali. Per il bambino il
gioco sociale è sforzo di comprendere i compagni e farsi comprendere. Perché sulla sua riuscita si
fonda la possibilità di giocare insieme e quindi di realizzare uno scambio relazionale.
Il gioco simbolico è uno dei mezzi di espressione delle culture dei pari. Dal punto di vista dei
bambini, il gioco simbolico sociale ha anche il significato di contribuire a costruire ed esprimere
una propria cultura di gruppo.
La complessità del gioco simbolico viene ripresa e puntualizzata nella SVALSI, uno strumento per
l’osservazione e l’analisi delle abilità ludico-simboliche. La SVALSI, individua 5 competenze
principali che le attraverserebbero:
4.3 Servizi per l'infanzia 0-6 di qualità per il gioco: alcuni indicatori
La chiave per sciogliere l’apparente incompatibilità tra educazione e gioco è proporre come finalità
educativa l’attività ludica. Sviluppando questa proposta, un buon contesto educativo per il gioco
poggia sui seguenti presupposti di fondo:
4.3.1Progettazione monitoraggio
Un servizio educativo 0-6 di qualità per il gioco attribuisce esplicitamente alla realtà ludica un
ruolo centrale nei documenti in cui dichiara la sua identità educativa. In questi documenti viene
affermato l'importanza del gioco per il benessere la crescita infantile virgola e si dichiara che
spazzi, materiali, tempi, gruppi ed esperienze educative vengono pensati anche per sostenerlo
nella varietà delle sue manifestazioni. Il gioco viene riconosciuto come “voce” del bambino, quindi
come un riferimento imprescindibile per realizzare la sua partecipazione alla costruzione del
percorso di crescita. L’osservazione delle condotte ludiche infantili, e soprattutto l’analisi di
quanto osservato per comprendere quali sono gli interessi e i bisogni del bambino, sono indicate
come base sia per progettare interventi di promozione del gioco, sia per strutturare la proposta
educativa.
4.3.2 Spazi
Nelle singole sezioni ma anche negli spazi comuni, l’ambiente deve essere strutturato in modo da
prevedere un certo numero di angoli raccolti e protetti, tematicamente differenziati. È importante
che sia presente anche uno spazio aperto e sgombro, eventualmente attrezzato con strutture ad
hoc, in modo che anche i giochi motori possano essere svolti liberamente. L’articolazione degli
spazi in angoli di gioco deve essere pensata nell’insieme, cioè tenendo conto sia degli spazi sezione
sia di quelli comuni interni ed esterni, in modo da potenziare al massimo l’offerta di angoli gioco,
differenziandoli o viceversa duplicandoli in base anche alle esigenze osservate nei bambini stessi.
L'articolazione degli angoli deve essere flessibile, cioè non deve rimanere fissa per periodi troppo
lunghi ma essere modificata principalmente in base ad esigenze ludiche via via emergenti dei
bambini. Un altro aspetto che qualifica fortemente in senso ludico gli spazi in servizi educativi 0-6
è il loro essere aperti alla libertà di esplorazione da parte dei bambini. Dall'altra parte per
consentire a tutti i bambini del servizio di usufruire delle varie possibilità offerte dagli angoli ludici,
con particolare riferimento a quelli in comune tra sezioni, dovrebbe essere programmato anche un
utilizzo a rotazione, che va proposto senza forzature.
4.3.3 Materiali
Per enfatizzare l’intreccio tra invito a giocare e apertura alla scelta del tipo di gioco, i materiali
dovrebbero essere selezionati a partire dia seguenti criteri. Il raggruppamento tematico dovrebbe
presentare sia oggetti tematicamente definiti sia materiale non strutturato. Inoltre, il materiale a
disposizione nei diversi angoli dovrebbe essere di quantità sufficiente e non eccessiva, così come
dovrebbe essere di qualità varia, ma non troppo. Due criteri che dovrebbero guidare la scelta dei
materiali sono da una parte gli interessi e i bisogni rilevati nei bambini attraverso l’osservazione
dei loro giochi, dall’altra i convincimenti educativi del gruppo di lavoro. La progettazione dei
materiali da mettere a disposizione, la sua valutazione e il suo monitoraggio nel tempo devono
essere realizzati dal gruppo di lavoro in modo condiviso.
4.3.4 Tempi
Per sottolineare la rilevanza del gioco dovrebbe essergli dedicato un momento da “esperienza di
apprendimento”, cioè dovrebbe essere proposto almeno una volta alla settimana nel periodo
centrale della mattinata, quello solitamente occupato da attività educative mirate. Il tempo per il
gioco deve essere un tempo rilassato e il meno possibile interrotto o frammentato.
Per sostenere il gioco e la sua rilevanza in un contesto educativo 0-6, occorre progettare,
realizzare e monitorare nel tempo anche situazioni di aggregazioni tra bambini che siano
favorevoli per l’attività ludica. In primo luogo, ai bambini dovrebbero essere garantiti momenti
quotidiani di libera aggregazione. Accanto a ciò dovrebbe essere prevista l’organizzazione regolare
di gruppi di gioco diversificati.La partecipazione a gruppi di gioco organizzati dovrebbe essere
proposta ai bambini senza forzature, in modo che sia sempre sorretta da un’autentica
motivazione. Dovrebbe anche essere garantita la possibilità di giocare da soli e fuori dallo sguardo
dell’adulto quando questo risponde a un’esigenza del bambino rilevata tramite l’osservazione,
compatibilmente con esigenze di sicurezza.