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EDUCARE L’IFANZIA – TEMI CHIAVE PER I SERVIZI 0-6.

Verso un sistema integrato 0-6.


Il tema dell’educazione infantile, in riferimento ai servizi educativi rivolti ai bambini tra 0 e 6 anni,
è di grande attualità e urgenza. Il decreto legislativo 13.04.17, n°65 stabilisce l’istituzione del
sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a 6 anni: un passo che impone di
guardare ai servizi educativi 0-6 con una prospettiva unitaria, come a un sistema in cui le diverse
parti, pur mantenendo le proprie peculiarità, trovano integrazione facendo riferimento a principi
comuni. Leggendo tra le righe il testo normativo sancisce la necessità di costruire una coerenza
educativa tra i servizi 0-6, intendendo con ciò la definizione di una prospettiva pedagogica che si
fondi su valori, idee, ma differenziate. Il passo normativo rappresenta una svolta culturale,
recependo l’orientamento chiaramente espresso a livello di documenti di indirizzo europeo già da
alcuni anni. Il più recente tra questi, il Proposal For Key Principles Of A Quality Framework For Early
Childhood Education And Care, si riferisce ai servizi educativi 0-6 appunto in termini di Early
Childhood Education And Care, considerandoli cioè in maniera unitaria e proponendo orientamenti
pedagogici comuni che vengono precisati in 10 principi di qualità trasversali, cioè validi per tutti i
servizi 0-6. L’urgenza di affrontare a livello nazionale il tema dei riferimenti pedagogici comuni per
il sistema educativo 0-6 è determinata dal fatto che i servizi educativi per l’infanzia italiani sono
stati caratterizzati fin dalla loro nascita come Split System. I servizi 0-3 e quelli 3-6 risultano
separati in primo luogo, in quanto fanno riferimento a enti gestori differenti: da una parte, per i
nidi e i servizi integrativi, la gestione è demandata a comuni, province e regioni; dall’altra, per la
scuola dell’infanzia, l’ente gestore è lo stato o il privato sociale paritario. A questa differenziazione
gestionale corrispondono documenti d’indirizzo elaborati da soggetti diversi in momenti diversi. A
conferma della separatezza tra servizi educativi 0-3 e 3-6 si pongono le esperienze di continuità tra
nido e scuola dell’infanzia sono state e vengono ancora sviluppate per accompagnare il passaggio
del bambino da una realtà all’altra: un accompagnamento che si basa sul riconoscimento
dell’esistenza di uno scarto, e sull’esigenza di ammorbidirlo per non compromettere il benessere e
la buona crescita del bambino. Si tratta di esperienze che consistono in strategie, volte a rendere il
nuovo contesto (scuola dell’infanzia) più familiare ai bambini “grandi” del nido prima che inizino a
frequentarlo. In questi casi la ricaduta in termini di costruzione di coerenza educativa tra i servizi
interessati rischia di essere minima, se non vi è l’attivazione di percorsi di progettazione,
riflessione e lavoro comune tra educatrici del nido e insegnanti della scuola dell’infanzia. La
conseguenza dell’insieme di questi aspetti è spesso una conoscenza superficiale tra i due principali
attori del sistema 0-6, che si traduce in diffidenza reciproca sulla base della percezione di
possedere due identità educative davvero distanti. In questo caso, si può affermare che il richiamo
del decreto legislativo 65/2017 alla costruzione di una prospettiva educativa 0-6, non solo ha
poche risorse a cui attingere nel panorama italiano, ma forse deve anche affrontare qualche
ostacolo.
La specificità di un’educazione infantile.
Nel quadro appena esposto, emerge la necessità di una riflessione pedagogica sull’educazione
infantile nei servizi dedicati ai bambini prima del loro ingresso nella scuola primaria. Occorre
chiedersi, in primo luogo se, e in che termini, si possa parlare di un’educazione pensata per
l’infanzia 0-6; in secondo luogo, se sia possibile individuare principi e pratiche valide
trasversalmente. Le proposte contenute nel presente volume sottendono un’idea di bambino
come soggetto peculiare, per la particolare da cui vede e si rapporta al mondo, con la quale
l’adulto è tenuto a sintonizzarsi e a dialogare; come soggetto attivo, desideroso di interagire e
conoscere, come attore sociale e soggetto di diritti capace di deliberazione e azione, cui prestare
attenzione e dare voce. Si tratta di un’immagine di infanzia che è rintracciabile sia nelle proposte
più aggiornate della pedagogia dell’infanzia, sia nei più recenti documenti di indirizzo relativi
all’educazione e alle politiche per l’infanzia a livello europeo e nazionale. A tale idea, si
accompagna una scelta di campo relativa ai valori che dovrebbero orientare i percorsi educativi
nei servizi per i bambini da 0 a 6 anni, in particolare quello della cittadinanza democratica, che
nelle prime età, si sostanzia nella promozione di atteggiamenti di socialità positiva, di apertura
verso l’altro, di confronto collaborativo; nel sostegno offerto allo sviluppo della capacità di utilizzo
della mente per risolvere problemi in maniera consapevole e intelligente; nell’aiuto fornito alla
costruzione in un’identità percepita come salda e di valore. Dai concetti sopra illustrati
conseguono modi peculiari di concepire l’educazione per i bambini da 0 a 6 anni: un’educazione
che veda gli adulti e i bambini come co-attori di percorsi nei quali le esperienze significative e
coinvolgenti di per se, risultino al tempo stesso dal punto di vista sociale, affettivo e cognitivo;
un’educazione “non trasmissiva” che, a partire dalle disposizioni e dagli interessi dei bambini, sia
capace di “far fiorire” capacità, potenzialità, virtù intellettuali e sociali; un’educazione che tenga
conto della specificità dell’età infantile, ma risponda alle particolarità di ciascuno.
Temi chiave per percorsi educativi da 0 a 6 anni.
1. Il curricolo -utilizza volutamente un termine che non fa parte del lessico degli educatori dei
servizi per l’infanzia, in quanto rimanda a modi di impostare il lavoro educativo fondati sulla
realizzazione di programmi, che hanno caratterizzato il “fare scuola”. A nostro avviso permane
l’opportunità di pensare il percorso educativo in termini curricolari laddove si intenda per curricolo
un percorso internazionale, frutto di una progettazione collegiale. Entro questo quadro si
propongono i tratti che caratterizzano i curricoli per l’infanzia 0-6: l’inscindibilità di cura ed
educazione; il carattere olistico delle esperienze alla cui realizzazione concorrono: intelligenza,
corporeità, affetti e relazioni; la centratura sul bambino, sui suoi interessi, inclinazioni,
potenzialità; l’adulto come facilitatore dei processi di crescita, che si caratterizza
professionalmente per la capacità di “promuovere dall’interno”; l’attenzione all’esperienza sociale
come cifra dei contesti educativi extradomestici; il convincimento che il periodo dell’infanzia sia da
vivere con pienezza e non solo in vista del futuro. Una concezione di curricolo per l’infanzia 0-6 un
approfondimento di ulteriori aspetti, in primo luogo quello delle “relazioni”.
2. Un curricolo 0-6 che considera i bambini come attori sociali, capaci fin da subito di condividere
esperienze è finalizzato a sostenere questa capacità nella sua dimensione affettiva, intellettuale e
sociale. L’adulto si pone come facilitatore degli scambi tra bambini, consapevole che il gruppo dei
pari è portatore di una propria cultura elaborata nell’interazione con i compagni e che l’esperienza
di ciascuno si arricchisce attraverso il contributo del gruppo. Inoltre, l’adulto si rapporta ai bambini
adottando modalità comunicative basate sull’ascolto attivo, così da creare un clima di fiducia e di
rispetto e sostenere il processo di crescita “dall’interno” agendo, attraverso strategie di scaffolding
nell’“area prossimale di sviluppo” dei bambini.
3. Un curricolo interattivo non si delinea nel vuoto, ma a partire da un ambiente, spaziotemporale
definito, che dà luogo a esperienze soddisfacenti, coinvolgenti e arricchenti. L’ambiente costituisce
una sorta di “basso continuo” che sorregge e dà forma al percorso educativo nel suo farsi.
L’ambiente è visto come un suscitatore di esperienze: da qui la necessità dell’organizzazione degli
spazi: un ambiente affettivamente caldo, che solleciti relazioni e scambi, che offra occasione di
messa alla prova delle capacità infantili di esplorazione, che promuova il “fare” del bambino
attraverso una molteplicità di approcci a cose e persone.
4. I tre aspetti illustrativi: -curricolo, relazioni, ambiente-, che nel volume sono trattati
separatamente si intrecciano continuamente nella realizzazione concreta dei percorsi educativi nel
nido e nella scuola dell’infanzia. L’ambiente è costituito anche da un certo clima relazionale e
sociale, ed è allestito in modo tale da favorire la crescita a tutto campo dei bambini; l’ambiente è
anche un tramite, un mezzo che dà forma alle relazioni, che sollecita i percorsi di apprendimento e
che pertanto, va verificato nella sua funzionalità rispetto all’intenzionalità espressa nel progetto
curricolare, modificato e rimodulato.
5. L’ultimo dei temi-chiave –il gioco- è anch’esso da collegare ai precedenti temi, di cui costituisce
un filo portante. Modalità tipica con cui i bambini si esprimono e interagiscono, il gioco è il punto
di partenza e il cuore di un curricolo per l’infanzia, tratto saliente della modalità relazionale tra
pari perché è luogo elettivo del rapporto con la realtà fisica e sociale e, quindi,
dell’apprendimento, ma soprattutto perché rappresenta la prospettiva infantile di guardare al
mondo e di appropriarsene.
CAPITOLO 1: UN CURRICOLO PER LO 0-6?
Tutta la tradizione della pedagogia dell’infanzia intende la formazione dei bambini come un
sostegno alla crescita di tipo olistico, che integra gli aspetti emotivi, cognitivi e sociali dello
sviluppo attraverso esperienze significative, guidate e promosse da adulti capaci di tenere conto
della peculiarità dell’età infantile. L’utilizzo del termine ‘curricolo’ si è diffuso negli ultimi decenni
nella letteratura scientifica e di ricerca relativa ai servizi per l’infanzia, con riferimenti a una
concezione di curricolo più ampia e articolata di quella “tradizionale”. Secondo Scurati, il curricolo
è sia “il complesso integrato dell’esperienza scolastica compiuta dallo studente in quanto
intenzionalmente rivolta a conseguire il fine della sua formazione”, sia “l’organizzazione delle
possibilità offerte dalla situazione scolastica in quanto ordinata allo sviluppo emotivo dell’alunno”.
Ancora più articolata è la visione di Pontecorvo e Fusè, secondo cui la nozione di curricolo
comprende la fitta trama di interazioni in cui si articola l’insegnamento, vale a dire l’individuazione
degli obiettivi educativi e didattici, l’articolazione dei metodi e delle procedure, la selezione dei
materiali, dei testi, dei sussidi più adeguati; i dati sulle condizioni di partenza degli allievi relativi a
conoscenze, atteggiamenti, interessi; l’organizzazione didattica generale e la dimensione psico-
sociale dell’istituzione formativa, norme, valori e attese degli insegnanti rispetto all’insegnamento,
alla valutazione, all’innovazione; modalità interne ed esterne di verifica dei risultati conseguiti e
possibili meccanismi di feedback su cui agisce, il contesto socio-culturale esterno. Ciò che viene
messo in luce in questa definizione è che il curricolo è un percorso intenzionale che si fonda su
scelte valoriali, procede da conoscenze, tiene conto del contesto socioculturale in cui ha luogo, si
realizza attraverso modalità didattiche specifiche, si avvale di procedure che verificano il
progredire degli allievi verso traguardi auspicati ed è attento ai feedback che riceve nel corso della
sua realizzazione. È a partire da una concezione di questo tipo che si è iniziato a parlare di
approccio curricolare anche in riferimento alle istituzioni educative per l’infanzia, le quali hanno
una tradizione pedagogica peculiare, caratterizzata da uno stretto intreccio di cura ed educazione.
Il termine si è diffuso soprattutto attraverso i documenti redatti dalla Commissione europea a
partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, ed è ormai diventato d’uso corrente a livello
internazionale nei documenti programmatici relativi alle linee guida dei servizi per i bambini 0-6
anni.
L’intreccio tra maturazione e ambiente: la natura culturale dello sviluppo.
La letteratura psicopedagogica ci informa che l’età che va da 0 a 6 anni è un periodo nel quale
vengono messe in campo enormi potenzialità evolutive dai punti di vista affettivo, sociale e
cognitivo. Solo se sorretto da un ambiente relazionale supportante il bambino conquista la
capacità di esprimersi; impara progressivamente a governare i propri impulsi; instaura legami
affettivi con una pluralità di persone; elabora una propria identità; si fa membro attivo della
comunità; esercita la sua intelligenza, affina la sua mente. Sostenere la crescita è un compito
ineludibile poiché lo sviluppo affettivo, sociale, cognitivo ha luogo per il tramite di ambienti
favorevoli che lo sostengono e lo promuovono. Stabilire quali siano le competenze che vengono
ritenute significative per il raggiungimento dell’età adulta è una questione valoriale e politica.
L’educazione infantile è orientata da idee e valori che dipendono strettamente dai contesti
culturali in cui essa ha luogo. Gli studi condotti da Erikson sulla costruzione della personalità in
diverse culture mostrano chiaramente come metodi differenti di allevamento tendano a formare
individui con caratteristiche apprezzate da tali società. Bruner, studiando lo sviluppo cognitivo nei
bambini wolof, evidenzia chiaramente come i modi di utilizzo dell’intelligenza e la formazione della
mente siano influenzati dall’ambiente: nelle società tradizionali a orientamento cooperativo non si
notano nei bambini quei fenomeni di “animismo” e di “realismo” tipici del carattere egocentrico
del pensiero infantile; secondo Piaget, in tali culture “questa distinzione non ha mai luogo”, in
quanto “il mondo poggia su un solo livello di realtà” e “questo livello è più ‘realistico’ che
‘animistico’. Posizione già profilata da Susan Isaacs. Nel testo “Lo sviluppo intellettuale dei
bambini” l’autrice dimostra che i bambini manifestano capacità logiche e sociali che Piaget non
aveva riscontrato nel corso dei suoi studi.
Il bambino e il curricolo secondo Dewey.
Dewey definisce il curricolo come l’insieme dei “saperi” propri della nostra cultura, che si
presentano suddivisi in discipline specifiche e si caratterizzano per astrattezza e lontananza dalla
realtà quotidiana, Dewey ritiene che sia controproducente suddividere ogni argomento in
discipline; ogni disciplina in lezioni; ciascuna lezione in fatti specifici e formule e lasciare che il
bambino proceda passo per passo a dominare ciascuna di queste parti separate. Il bambino
apprende in maniera olistica: l’esperienza che il bambino fa del mondo intorno a lui è sempre
sollecitata da interessi e curiosità, nasce dal “fare” (learning by doing). Solo un’esperienza
personale e vitale può costituire l’avvio verso qualsiasi forma di apprendimento autentico. Un
sapere formale e sconnesso dall’esperienza non produce un reale apprendimento ed è carente sul
piano della motivazione, in quanto non nasce da desiderio o necessità. Il filosofo americano
propone una contrapposizione tra le due scuole di pensiero, quella che vede il primato dei saperi
disciplinari e quella che considera il bambino come “il punto d’inizio, il centro e la meta finale”. Nel
primo caso le materie rappresentano il fine e determinano il metodo. Il compito del bambino è
quello di ricevere e accettare. Nel secondo caso, tutte le discipline sono sottomesse alla crescita
del bambino. La personalità e il carattere sono più importanti della materia di studio: sono
strumenti che hanno valore in relazione ai bisogni della crescita. La personalità, il carattere sono
più importanti della materia di studio. L’obiettivo è l’autorealizzazione, non la conoscenza o
l’informazione”. Dewey non accetta la dicotomia e ritiene che il bambino e le conoscenze siano
due limiti che definiscono l’intero processo. Il punto di partenza è l’esperienza del bambino, ma
essa va interpretata alla luce dell’esperienza sistematizzata dalla mente adulta e sorretta in modo
che conduca a un arricchimento. Ciò pone il problema del ‘fine’, degli obiettivi prefissati
dall’adulto che sostiene la crescita infantile e sa riconoscere le potenzialità conoscitive insite nelle
loro prime esperienze. Il concetto di “continuum sperimentale” è l’idea guida di questo processo.
L’adulto intravede nell’esperienza del bambino l’avvio di un processo conoscitivo, da sostenere
scegliendo quel tipo di esperienze che vivranno creativamente nelle esperienze che seguiranno.
Saranno i “fini in mente” (gli scopi educativi) a guidare il processo e a rendere le esperienze coese,
articolate e arricchite. Un buon esempio è offerto dalla documentazione che Susan Isaacs
produsse a Cambridge negli anni venti: l’adulto non propone un’attività, ma prende spunto da
Scaricato da alcune osservazioni dei bambini per suggerire un’attività che costituisce una sfida alle
loro capacità manuali e intellettuali e che consente di apprendere nozioni importanti come quella
di “prospettiva” e di “scala”. Sintetizzando il pensiero di Dewey circa il bambino e il curricolo, si
può parlare di curricoli per l’infanzia solo se non li si fa coincidere con discipline, contenuti e
nozioni, con l’esercizio di una gamma ristretta di abilità; sarebbe meglio parlare di percorsi che
sostengano gli spontanei processi di apprendimento verso mete significative e propedeutiche a più
articolate esperienze.
La proposta educativa come ipotesi da verificare.
Un altro testo deweyano risulta significativo per impostare correttamente il rapporto bambino-
educazione: si tratta di “Come pensiamo”, nel quale il filosofo propone una riflessione sulla ricerca
intesa come processo ipotetico-deduttivo. La ricerca è un processo intenzionale finalizzato alla
soluzione di problemi: attraverso l’osservazione dei fatti del caso la difficoltà viene precisata e
localizzata in modo da giungere alla definizione di un problema che si chiarirà progressivamente.
In seguito a un processo nel quale le stesse idee di soluzione vengono vagliate alla luce di ulteriori
osservazioni, si giunge alla formazione di ipotesi, cioè di proposizioni “se-allora” che evidenziano il
nesso tra i mezzi che si intendono utilizzare per risolvere il problema (se) e le conseguenze che si
immagina ne sortiranno (allora). L’ipotesi va poi messa alla prova nella fase della verifica.
Seguendo questa prospettiva è possibile immaginare l’educazione come un processo di soluzione
di problemi e l’insegnante come un ricercatore che progetta e realizza contesti educativi
verificandone l’efficacia secondo una modalità ricorsiva e continua che consente innovazioni
ragionate e soluzioni pensate. Questa modalità ricorsiva, costituita da osservazione,
progettazione, realizzazione del progetto, verifica della sua efficacia, riprogettazione, ecc.,
configura un percorso che può essere definito di “ricerca autentica”, ovvero un percorso che
consente:
• Innovazioni ragionate
• Acquisizione di conoscenze
• Adattamento sempre più attento alle caratteristiche, alle potenzialità, alle esigenze di uno
specifico degli intenti e degli obiettivi da perseguire.
Secondo questa concezione, l’esperienza educativa è un processo dinamico al quale
contribuiscono l’adulto e i bambini: l’adulto con i suoi intenti, la sua capacità di cogliere e
stimolare gli interessi e le potenzialità infantili, la predisposizione dell’ambiente, le modalità del
suo intervento; i bambini con le loro iniziative, le loro reazioni, i loro rimandi.
La specificità dell’età infantile.
In primo luogo è riconosciuto che verso i 6/7 anni avviene una svolta evolutiva, con il passaggio a
quella fase dello sviluppo che Freud chiamò “periodo di latenza”. Si tratta di una fase bonaccia
emotiva nella quale i conflitti e le angosce che il bambino ha dovuto affrontare nel periodo
precedente si attenuano, una fase contrassegnata da uno stato di tranquillità emotiva che
consente al bambino di impegnarsi in compiti intellettuali e dedicarsi con continuità
all’apprendimento formale. La medesima letteratura segnala che il periodo che va dai primi mesi
ai sei anni ha un’importanza evolutiva enorme; il modo con cui i bambini hanno affrontato i
problemi e le esigenze della propria infanzia ha forti ricadute sul periodo successivo, anche per
quanto riguarda il successo scolastico. Ma non in maniera diretta. L’educazione da 0 a 6 anni può
contribuire in maniera positiva alle acquisizioni future del bambino non anticipando alcuni
apprendimenti, bensì riconoscendo la specificità dell’età infantile, le caratteristiche proprie del
bambino piccolo, i suoi bisogni specifici. È per questo motivo che va affermata l’unitarietà del
percorso educativo del bambino da 0 a 6 anni. In primo luogo, il bambino fa del mondo
un’esperienza olistica (non separa azioni, percezioni, affetti) e prevalentemente corporea: un
insieme variegato di contatti, sensazioni, emozioni. Il bambino apprende principalmente
attraverso l’azione e la percezione, guidato dall’ “impulso epistemofilico” di cui ci parla la
psicoanalisi. La curiosità e il desiderio di esplorare sono le molle che spingono il bambino al
contatto diretto con le cose, ad agire su di esse, a esplorarle e a conoscerle. Lo sganciamento della
concretezza si avvia però precocemente attraverso il gioco simbolico: è nel gioco che il bambino
inizia ad esplorare i significati delle cose. Il gioco è la modalità espressiva tipica; un gioco che egli
condivide con i coetanei impegnando le sue capacità sociali e avviandosi al superamento
dell’egocentrismo, che secondo Piaget caratterizza l’età infantile. Nell’età dell’infanzia avvengono
processi fondamentali per la costruzione della personalità: si acquisisce un’identità di genere, si
consolida l’unità psico-fisica, le tendenze individuali cominciano a manifestarsi attraverso
predisposizioni e inclinazioni.
Quali riferimenti per un curricolo 0-6?
Esistono dei documenti importanti a questo proposito: i due documenti della Rete per l’infanzia
della Commissione Europea e il cosiddetto Quality Framework. Il documento dichiara riguardo alle
caratteristiche di un curricolo 0-6:
• Ogni bambino è unicum e come tale va sostenuto nel suo percorso di crescita;
• Percorsi educativi omologanti e standardizzati vanno banditi;
• I bambini sono soggetti competenti, attivi, dotati di risorse e hanno solo bisogno di essere
incoraggiati e sostenuti nella loro ricerca di “dare senso” all’esperienza;
• Interazione con coetanei e adulti di co-costruire apprendimenti significativi;
• L’infanzia è un tempo da vivere con pienezza;
• I bambini hanno vari diritti, tra cui: educazione, autoespressione.
I servizi per l’infanzia dovrebbero essere:
• luoghi di vita, caratterizzati da una prospettiva olistica orientata ad assicurare il benessere e la
crescita dei bambini in senso globale;
• luoghi nei quali cura ed educazione costituiscono un tutto unico e in cui vengono promossi gli
apprendimenti.
A partire da questo quadro, il Quality Framework si dichiara favorevole a un’impostazione
curricolare dei servizi per l’infanzia. La cornice curricolare si configura come supporto per una
progettazione che tenga conto delle diversità e delle risorse che caratterizzano l’ambiente che li
circonda, così come dei diversi contesti socioculturali da cui provengono i bambini e le rispettive
famiglie. Il documento prospetta le caratteristiche che essi devono assumere quando vengono
declinati in relazione all’infanzia. Si tratta di privilegiare un approccio nel quale “cura, educazione e
socializzazione sono aspetti inseparabili nella crescita del bambino”.
Cura = aspetto imprescindibile per 2 ragioni:
1. il modo con cui vengono gestiti i momenti di cura ha una ricaduta educativa: riguardano la
percezione che il bimbo ha del proprio corpo e interessano situazioni di scambi affettivo con il
proprio caregiver e di interazione sociale con i pari.
2. la dimensione della cura intesa come capacità di ascolto e di relazione sensibile e supportabile è
condizione indispensabile affinché il bambino possa dedicarsi con agio e sicurezza all’esplorazione
dell’ambiente e far uso della sua mentre per comprendere il mondo
-> = presupposto fondamentale per favorire la motivazione e il coinvolgimento nei processi di
apprendimento, contribuendo a creare un contesto emotivo rassicurante dove i bambini
acquisiscono fiducia nelle loro capacità.
Educazione = ha una connotazione più ampia rispetto a quella prevalentemente istruttiva adottata
dalla scuola dell’obbligo. Un approccio olistico che sostiene lo sviluppo globale dei bambini è più
proficuo, in quanto sostiene e valorizza le strategie di apprendimento tipiche dell’età infantile.
L’approccio curricolare dovrebbe assumere caratteristiche che richiamano il costruttivismo sociale,
in cui si cerca di creare situazioni che sostengono l’elaborazione di costrutti di pensiero condiviso,
attraverso scambi comunicativi autentici in cui l’adulto accoglie, valorizza e rilancia in modo
responsivo le proposte dei bambini. Le pratiche educative efficaci sono quelle che prevedono un
coinvolgimento reciproco nella relazione da parte dei bambini e dell’adulto, un progetto di
co-costruzione. Di fondamentale importanza sono considerate le interazioni tra pari e gioco =
strumento potente per costruire strutture cognitive che stanno alla base dei processi di
apprendimento formale. Incoraggia prendere decisioni e a risolvere problemi in modo autonomo,
promuovendone l’indipendenza. Curricoli devono essere in grado di:
- Allestire ambiente accogliente e sicuro in grado di suscitare curiosità e coinvolgere in attività
interessanti
- Annotare e considerare gli interessi dei bambini
- Sostenere gli interessi attraverso esperienze che possano soddisfarli ed estenderli
- Verificare se le esperienze realizzate richiedono di essere arricchite o modificate
- Allestire nuove esperienze
 È aperto, non predefinisce i contenuti delle esperienze ma non è dispersivo e inefficace, poiché
viene ricalibrato alla luce dei progressi dei bambini e delle loro sempre nuove iniziative. In sintesi,
il documento delinea con chiarezza che risultano fondanti specifici per la fascia di età 0-6:
• il richiamo a principi e valori dichiarati che riconoscano i diritti dei bambini ad essere considerati
soggetti competenti e il diritto dei genitori ad essere rispettati come educatori dei propri figli;
• una cornice pedagogica di ampio respiro, i cui principi orientino pratiche educative capaci di
sostenere la crescita dei bambini a partire dai loro bisogni, dalle loro potenzialità e dai loro
interessi;
• finalità generali che esplicitino come promuovere lo sviluppo globale dei bambini nelle varie aree
che lo contraddistinguono e come perseguire un equilibrio adeguato tra apprendimento e
benessere;
• Un’attenzione particolare rivolta agli aspetti che riguardano la comunicazione, l’interazione e il
dialogo;
• La promozione di pratiche di lavoro collegiale che incoraggino la riflessione costante sull’agito
educativo e sul suo miglioramento;
• La collaborazione con le famiglie e la promozione di valori democratici condivisi all’interno di una
cornice che valorizza le diversità socioculturali.
Il ciclo progettazione, osservazione, verifica-valutazione.
Un curricolo esige da parte degli insegnanti la pratica di alcune attività che richiedono competenze
professionali specifiche: progettare, osservare, documentare, verificare e valutare.
1. Progettare: comporta:
• anticipare mentalmente gli effetti che si vorrebbero produrre;
• immaginare come una certa organizzazione dell’ambiente e delle relazioni possa produrre tali
effetti. La progettazione può riguardare:
• il curricolo nel suo complesso
• un segmento limitato di tempo
• un’esperienza particolare e mirata.
In ogni caso, ogni progetto ha un carattere di intenzionalità e di pura possibilità. Va tenuto
presente che la progettazione va realizzata insieme da tutti coloro che hanno responsabilità nei
confronti di un certo gruppo di bambini. La progettazione può avvalersi di documenti
programmatici che si collocano a diversi livelli, come le Indicazioni Nazionali per quanto riguarda la
storia dell’infanzia o le linee guida nazionali, regionali, provinciali o comunali per quanto riguarda
l’asilo nido. Il carattere di intenzionalità del progetto non lo rende di per sé rigido poiché nella fase
della verifica potranno emergere elementi inaspettati di cui sarà necessario tenere conto. Il
curricolo che proponiamo per l’infanzia 0-6 è aperto, questo significa che la progettazione è
continua e ricorsiva: alla luce di quanto manifestato dai bambini (in termini di interesse o di
disagio) la proposta educativa andrà ‘aggiustata’ o modificata. Si tratta di un curricolo aperto
anche perché sono le domande e i comportamenti dei bambini a fare da guida per riorientare nel
tempo la progettazione.
2. Osservare: per osservazione intendiamo sia un “prestare attenzione” sia un “prendere nota” di
ciò che avviene nel contesto educativo, con un’attitudine descrittiva. Le osservazioni dovranno
avere un carattere di sistematicità ed essere sottoposte ad analisi.
• Osservare per cogliere gli interessi e le iniziative del bambino allo scopo di realizzare esperienze
che ne tengano conto e possano espanderli nelle direzioni auspicate.
• Osservare per cogliere le risposte dei bambini alle offerte dell’adulto, riprogettare la proposta
educativa e verificarne l’efficacia. Una volta allestito quanto progettato, è bene prendere un
periodo di osservazione durante il quale i bambini siano liberi di muoversi nello spazio e di
accostarsi ai materiali e agli angoli gioco offerti. L’osservazione è mirata a cogliere e descrivere le
risposte dei bambini in relazione all’ambiente predisposto, nei diversi momenti di quotidianità.
• Osservare/documentare per rilevare e valutare i progressi dei bambini: una richiesta sempre più
pressante riguarda la valutazione dei progressi dei bambini, spesso confusa con la valutazione del
bambino.
3. Valutare: il diario di bordo è uno strumento che consente di riflettere sul processo di crescita
dei singoli bambini e del gruppo, mettendo in stretta relazione i comportamenti infantili con
l’organizzazione dell’ambiente e l’intervento dell’adulto. Secondo questa prospettiva, rilevare i
progressi dei bambini comporta necessariamente porli in relazione con l’offerta educativa nel suo
complesso. La rilevazione dei progressi dei bambini risulta essere anche un utile strumento per la
verifica del progetto educativo e per la sua riprogettazione. Ritornando all’idea di curricolo come
ipotesi da verificare, le osservazioni riportate nel diario di bordo possono consentire di valutare se
gli ambienti predisposti, le esperienze realizzate, le modalità di relazione e intervento degli adulti
abbiano sostenuto e promosso la crescita dei bambini nelle direzioni auspicate o se risultino
necessari cambiamenti e innovazioni. Strumenti per l’osservazione e la documentazione: si è tanto
insistito sul diario di bordo perché si tratta di uno strumento agile e di facile compilazione che può
risultare produttivo se presenta in maniera descrittiva l’intreccio tra setting (spazi, materiali,
regole) e il comportamento dei bambini e se viene utilizzato per avviare una riflessione sulle
pratiche educative e per rendere visibili i progressi dei bambini.
La qualità del curricolo.
Curricolo olistico: in primo luogo indica che il percorso educativo non può essere orientato
esclusivamente allo sviluppo di una particolare dimensione dell’esperienza, ma tutte le aree
evolutive devono essere tenute in conto e non deve esserci uno squilibrio tra le une e le altre.
Concretamente significa che, nell’allestire qualsiasi situazione di esperienza con i bambini,
occorrerà pensare in anticipo se e quanto quell’esperienza promuoverà sia le capacità intellettuali,
sia le relazioni sociali dei bambini. Nella verifica dell’esperienza si considererà se, quanto e come le
diverse dimensioni siano state realmente tenute in conto e promosse. Una visione olistica delle
esperienze esclude l’offerta ai bambini di attività monodimensionali, con obiettivi di respiro
ristretto, che non tengono conto della pluralità di dimensioni dell’esperienza. Essa esclude anche il
concepimento dei “campi di esperienza” come ambiti disciplinari da sviluppare separatamente in
tempi e spazi ad hoc e per il raggiungimento di obiettivi ristretti e specifici. Tuttavia, il carattere
olistico del curricolo non comporta che non possano essere previste attività dedicate, bensì che
nel predisporre e nello svolgere tali attività si considerino tutte le possibili ricadute sulle altre
dimensioni dell’esperienza “non dedicate”, tenendo conto delle finalità generali del curricolo. Un
altro aspetto importante della caratterizzazione olistica del curricolo riguarda l’intreccio tra cura
ed educazione. In primo luogo, la cura è parte integrante dell’educazione: ciò vuol dire che un
servizio deve tenere presente tale nesso in qualsiasi momento della giornata e dell’anno. La cura è
spesso messa in relazione con l’aiuto che deve essere dato ai bambini nella soddisfazione dei
bisogni primari e anche con il riconoscimento e l’appagamento di quei bisogni affettivi di sicurezza
e benessere indispensabili per una crescita sana. La cura è educazione. Dunque, gli educatori e gli
insegnanti non possono esimersi dal provvedere alle cure, né possono pretendere dalle famiglie
che bambini che si avviano a frequentare la sezione Primavera o la scuola dell’infanzia abbiano
raggiunto un grado di autonomia tale da rendere poco impegnative le cure corporee.
Un curricolo emergente: è centrato sul bambino, muove dai suoi interessi e curiosità. A partire
dalla predisposizione di un ambiente che si ritiene favorevole, l’adulto è attento a rilevare interessi
e potenzialità e a offrire supporto per far sì che possano dipanarsi per i bambini esperienze
motivanti. Un curricolo emergente è aperto “che si costruisce mentre si fa”, di cui non si
conoscono i contenuti didattici; ciò non toglie che esso risulti “finalizzato”, cioè sorretto dai valori
di riferimento e direzionato dalle finalità dichiarate. Un curricolo emergente esclude che lo si
possa considerare principalmente dal punto di vista del “prodotto”, valutando la sua bontà ed
efficacia sulla base di “esiti di apprendimento” misurati a partire da obiettivi predefiniti. Un’altra
caratteristica di un curricolo emergente sta nell’interazione continua tra bambini e adulto: l’adulto
è attento alle esigenze e agli interessi manifestati dai bambini e ne tiene conto nello svolgimento
delle attività; i bambini offrono il loro contributo, cui l’adulto presta attenzione e di cui tiene conto
interagendo con loro e rilanciando le loro iniziative. Adulti e bambini risultano così co-attori del
processo educativo.
Un curricolo interattivo: si basa sull’idea che l’apprendimento e lo sviluppo avvengano sempre
all’interno di relazioni. Il processo educativo e di apprendimento si fonda sull’interazione tra
adulto/bambino, dei bambini tra loro e dei bambini con il mondo. La conoscenza e
l’apprendimento si acquisiscono attraverso un percorso attraverso il quale il bambino elabora dei
significati interagendo con altre persone e con la realtà esterna. L’insegnante è un facilitatore di
queste dinamiche, capace di agire nell’area di sviluppo prossimale attraverso strategie indirette di
scaffolding dell’esperienza.
Un curricolo identitario: pur nel rispetto dei principi sopra elencati, ogni percorso educativo
dovrebbe mostrare qualità distintive. L’elaborazione di un curricolo identitario richiede che il team
educativo condivida convincimenti e valori; che si configuri come un vero e proprio “gruppo di
lavoro”; che apra un dialogo con le famiglie; che sia in collegamento e in cooperazione con il
territorio. Un curricolo identitario tiene conto delle peculiarità di ogni singolo bambino ed è
calibrato sulle sue esigenze, i suoi bisogni, le sue risorse. Ciò significa che il percorso debba essere
sufficientemente aperto e flessibile da far sì che ciascuno possa trovarvi modo di scoprire e
realizzare le proprie specifiche potenzialità.
Un curricolo ludico: la centralità del gioco al nido e nella scuola dell’infanzia va dunque
riconosciuta e sostenuta. Innanzitutto, il gioco occupa una parte consistente della giornata al nido
e alla scuola dell’infanzia, con la partecipazione di un adulto capace di giocare con i bambini
promuovendo il gioco “dall’interno”. In secondo luogo, il gioco è un ambito nel quale è possibile
rilevare gli interessi dei bambini ed elaborare e realizzare percorsi sempre centrati sul
protagonismo del bambino, ma anche finalizzati allo sviluppo degli apprendimenti. Si vuole
soltanto mettere in evidenza come percorsi di apprendimento che nascono dal gioco sono
sicuramente più motivanti di quelli proposti dall’educatore come compiti da svolgere o lezioni da
ascoltare. Fondamentale è che l’adulto partecipi all’attività con la medesima postura con cui è
chiamato a far parte del gioco, cioè facendosi guidare dai bambini e accettando le loro iniziative;
raccogliendole ed espandendole per modificare/arricchire l’attività; favorendo lo scambio tra
compagni. In terzo luogo, qualsiasi attività che coinvolge i bambini dovrebbe essere svolta
all’insegna dello “spirito di gioco” e cioè possedere alcune caratteristiche da gioco. Parlare di
attività svolte in forma ludica significa che, pur non trattandosi di attività scelte autonomamente
dai bambini, possono essere proposte dall’adulto, che le ritiene significative per quei particolari
bambini di cui è responsabile, secondo la modalità della promozione dall’interno. Tale modalità
prevede che l’educatore:
1. ammetta la possibilità che i bambini possano non aderirvi;
2. non strutturi la proposta di attività e la consegna tanto da non consentire ai bambini ampia
libertà di scelta nell’esecuzione;
3. si ponga in un atteggiamento di attesa della risposta dei bambini rispetto alla proposta;
4. si assicuri che i bambini si dimostrino attenti, concentrati e coinvolti nell’attività.
Potremmo chiamare questo tipo di attività “ludiformi” nella misura in cui mantengono tratti
propriamente ludici: partecipazione libera e coinvolta, protagonismo dei bambini, preminenza del
processo rispetto agli esiti o ai prodotti, tempi non affrettati, valorizzazione della “divergenza”
rispetto a soluzioni stereotipate o ad acquisizioni predefinite, carattere sociale e gruppale.
Diverse espressioni di curricolo nel discorso didattico:
• CURRICOLO VERTICALE: Il riferimento è all’insieme delle conoscenze, abilità e competenze che si
intendono raggiungere in una prospettiva temporale di lungo periodo.
• CURRICOLO ORIZZONTALE: Il riferimento è alla individuazione e valorizzazione di tutte le risorse
di contesto che possono contribuire a realizzare e arricchire il curricolo e definire i tratti distintivi.
• CURRICOLO FORMALE: Il riferimento è a ciò che viene scritto, dichiarato e reso pubblico: ciò che
il nido/scuola si impegna a fare in un periodo di tempo determinato.
• CURRICOLO REALE: Il riferimento è a ciò che viene praticato realmente e svolto in sezioni o in
classe con i bambini.
• CURRICOLO IMPLICITO: Il riferimento è al valore educativo che ha l’organizzazione degli spazi e
dei tempi di un nido scuola. Il bambino impara a vivere spazi organizzati.
Le esperienze educative.
Tutti i momenti della quotidianità al nido e alla scuola dell’infanzia possono assumere un
significato educativo se intenzionalmente realizzati dagli educatori alla luce dei valori di cui si è
parlato nel capitolo. Basti pensare a come:
1. il modo di comunicare dell’adulto con il bambino e con il gruppo abbia influenza sullo sviluppo
linguistico e cognitivo infantile;
2. il modo con cui un’educatrice di nido svolge il momento del “cambio” possa influenzare il senso
di fiducia e di sicurezza del bambino e il rapporto con il proprio corpo;
3. la gestione dell’accoglienza possa favorire o ostacolare il processo di apertura del bambino
verso una realtà sociale più estesa di quella famigliare;
4. il contatto con i compagni possa essere una potente molla dello sviluppo sociale.
Si potrebbe dire che l’ambiente del nido e della scuola dell’infanzia sia educativo. Per fare
dell’asilo nido e della scuola dell’infanzia un luogo di educazione non c’è dunque bisogno di
predisporre percorsi didattici predefiniti. Va però evitato che si contribuisca un tale valore
all’ambiente nei suoi aspetti di concretezza. C’è inoltre un altro pericolo, connesso alle peculiarità
che vengono attribuite al servizio 0- 3 rispetto a quello 3-6, ovvero quello di incentrare
l’educazione al nido prevalentemente sulla dimensione socioaffettiva, trascurando di promuovere
quella intellettuale. Queste “tradizioni” non contribuiscono affatto a conferire specificità all’uno e
all’altro servizio; all’opposto contraddicono il principio di fondo dell’integrazione dei servizi, che
dal punto di vista pedagogico significa riferirsi a un approccio olistico sia per la scuola dell’infanzia
sia per il nido. Le esperienze educative dovrebbero essere misurate in funzione delle competenze
che ci si attende che i bambini abbiano acquisito. Al termine del percorso triennale della scuola
dell’infanzia, è ragionevole attendersi che ogni bambino abbia sviluppato alcune competenze di
base, tra cui:
- riconoscimento delle emozioni e degli stati d’animo (anche altrui);
- ha fiducia in sé, riconosce le proprie risorse e i propri limiti;
- manifesta curiosità, interagisce con l’ambiente, le cose e le persone, percependone i
cambiamenti;
- si pone domande etiche e morali, coglie diversi punti di vista, utilizza gli errori come conoscenza;
- condivide esperienze e giochi, affronta i conflitti, racconta episodi accaduti e descrive situazioni
passate con una pluralità di linguaggio;
- dimostra abilità di tipo logico, interiorizza le coordinate spazio-temporali;
- formula ipotesi, cerca soluzioni ai problemi della vita quotidiana;
- è attento alle consegne, porta a termine il lavoro, si esprime in modo personale.
Esperienze per il benessere e lo sviluppo psico-fisico: Tale sviluppo deve avvenire dando ai
bambini la possibilità di muoversi e di agire in un ambiente che proponga sfide alle loro capacità
emergenti, per il bambino muoversi, agire, manipolare, conoscere sono la stessa cosa; per il
bambino la conoscenza e la padronanza del proprio corpo costituiscono la base dell’autostima, la
padronanza del proprio corpo è un aspetto pregnante dell’autonomia che il bambino via via
acquisisce, le abilità fisiche non dipendono dall’esercizio, che a volte può essere
controproducente. Da ciò deriva:
- l’importanza dell’allestimento di un ambiente favorevole che verrà variato via via che il bambino
cresce e si modificano le sue esigenze corporee. Anche attrezzature e giocattoli ad hoc potranno
arricchire e mettere alla prova via via le capacità motorie, dagli activity centers nelle culle agli
angoli morbidi, dai giochi trainabili ai castelli per arrampicarsi e scivolare;
- l’importanza dell’atteggiamento dell’adulto nei confronti del corpo del bambino e delle sue
modalità espressive: un atteggiamento che deriva dalla conoscenza del profondo significato
emotivo-affettivo delle manifestazioni corporee infantili e dalla considerazione della loro
naturalità;
- l’importanza dell’atteggiamento e dell’intervento dell’adulto nei confronti delle attività motorie
infantili. L’adulto presta attenzione alle capacità emergenti infantili e incoraggia l’espressione
motoria in tutti i momenti della quotidianità, privilegiandone l’aspetto ludico e canalizzandola in
attività che impegnano la motricità globale e fine. Anche nello spazio interno, ai bambini deve
essere data la possibilità di muoversi liberamente e di impegnarsi in una varietà di attività motorie.
L’adulto anima il gioco di movimento valorizzando e rilanciando le iniziative infantili;
- l’importanza delle cosiddette “routine” che costituiscono momenti della quotidianità dalla forte
valenza educativa. La loro organizzazione andrebbe accuratamente progettata in modo da
garantire tempi distesi, possibilità di positive interazioni sociali, sostegno all’autonomia, atmosfera
serena.
Esperienze espressive: I principi che presiedono questo tipo di esperienze sono:
• delle attività come disegno e pittura, va tenuto in conto l’aspetto “espressivo”, cioè la possibilità
che esse offrono di manifestare vissuti ed elaborare emozioni
• le medesime attività verranno proposte per la loro valenza “estetica”, costituiscono l’avvio
all’apprezzamento dell’esperienza artistica in tutte le sue svariate forme
• l’aspetto di “divergenza” proprio di queste attività va salvaguardato. Esse hanno a che fare con
l’immaginazione e con la “messa in forma” di vissuti interiori
• esse presentano sia un versante fruitivo, sia uno produttivo e ambedue vanno valorizzati
• si tratta di attività che si manifestano spontaneamente e che vanno promosse in forma ludica.
Da ciò derivano gli aspetti che seguono:
- è importante l’allestimento di un ambiente favorevole, ben organizzato, riconoscibile, nel quale i
bambini possano trovare occasioni per esperienze: pittura, disegno, giochi sonori. I materiali
dovrebbero essere accessibili ai bambini e utilizzabili nel corso della giornata. Un angolo libri
dovrebbe essere disponibile anche per i più piccoli, a uso sia libero sia sostenuto dall’educatore.
Tutto l’ambiente dovrebbe essere curato dal punto di vista estetico, anche sonoro. Nel caso siano
presenti atelier attrezzati, occorre che ciascun bambino li possa frequentare regolarmente
secondo una pianificazione concordata l’accompagnamento dell’adulto risulta essenziale per
promuovere questo tipo di esperienze. Parlare con i bambini dei loro scarabocchi e disegni,
conservarli ed esporli, raccontare storie, fornire stimoli, proporre situazioni particolari, suggerire
temi, suscitare problemi sono tutti modi attraverso i quali l’espressione possono essere utilizzate
per altre finalità, ad esempio a fini costruttivi e di rappresentazione simbolica.
Esperienze di esplorazione e “scientifiche”: alcuni principi:
• I bambini possiedono un’innata curiosità che scaturisce dal rapporto con il mondo esterno. Fin
dai primi mesi di vita il bambino svolge un’intensa attività di esplorazione. Progressivamente le
curiosità si manifestano nella forma di domande, pur continuando a persistere la modalità attiva
come fonte primaria di conoscenza. Esplorazione e gioco non sono la stessa cosa. Il gioco
presupporne una conoscenza di base degli oggetti con cui ha a che fare il bambino;
nell’esplorazione non c’è conoscenza dell’oggetto, si manipola proprio per vedere come si
comporta. L’atteggiamento è diverso, anche se è difficile, dall’osservazione del comportamento
rilevarne la differenza. Giocando con gli oggetti la domanda che il bambino si pone è: “cosa posso
fare io con questi oggetti?”
• Osservare ed esplorare sono le prime attività infantili rivolte alla conoscenza del mondo, cui
precocemente e progressivamente si accostano procedimenti mentali che potenziano le possibilità
di comprensione: fare ipotesi, ragionare, misurare, comparare, classificare. Spiegazioni fantasiose
o animistiche dei fenomeni naturali sono controproducenti, in quanto inducono in confusione la
mente infantile.
• È fondamentale che le esperienze di esplorazione dell’ambiente e “scientifiche” prendano avvio
da autentiche curiosità infantili e che il compito dell’adulto sia offrire un supporto nella
formulazione e nella soluzione di problemi, il nozionismo va bandito.
• Le esperienze di esplorazione e “scientifiche” avviano a sviluppare un atteggiamento “razionale”
nei confronti dei fenomeni del mondo biologico, fisico e sociale e a fare uso di procedimenti
mentali atti alla soluzione di problemi.
Da ciò derivano gli aspetti che seguono:
- è importante l’allestimento di un ambiente favorevole che consenta di esplorare liberamente
fenomeni naturali e fisici, nonché di conoscere una realtà sociale esterna alla scuola
- l’osservazione del mondo animale è una fonte inesauribile di curiosità per i bambini.
L’attrezzatura dello spazio esterno è importante affinché i bambini possano avere occasioni di
esplorazione e osservazione
- l’atteggiamento e il ruolo dell’adulto sono fondamentali per promuovere le attività di
esplorazione e per far sì che le curiosità e gli interessi vengano coltivati.
Linguaggio e comunicazione: alcuni principi
• lo sviluppo del linguaggio è strettamente connesso al desiderio di comunicare e alla presenza di
un ambiente linguistico attorno al bambino; parlare al bambino, ascoltare i suoi tentativi di
comunicazione, interagire con lui verbalmente nel corso dei giochi e delle attività quotidiane è la
condizione sine qua non affinché il piccolo possa sviluppare abilità linguistiche
• va tenuto presente che il linguaggio può essere utilizzato per una pluralità di funzioni e che lo
sviluppo linguistico è dato dalla capacità di servirsi della comunicazione verbale per una varietà di
usi
• lo sviluppo linguistico ha a che fare sia con la comprensione sia con la produzione. Il bambino va
incoraggiato ad esprimersi verbalmente e le sue capacità vanno sostenute e rafforzate attraverso
modalità comunicative quali la ripetizione in forma corretta di quanto il bambino ha appena detto
• la dimensione sociale dell’esperienza linguistica è fondamentale e il clima comunicativo
altrettanto importante. Va ricordato che il gioco sociale è il luogo principe nel quale i bambini
comunicano tra loro
• il linguaggio è un potente strumento di descrizione, rappresentazione, spiegazione, narrazione;
costituisce un supporto essenziale alle esperienze precedentemente descritte e va utilizzato
• i bambini vengono precocemente in contatto con il linguaggio scritto. Presto comprendono la
funzione dello scritto di “tenere memoria”.
Una simbologia spontanea, che imita i segni convenzionali o li riproduce, è generalmente diffusa
tra i bambini più grandi. Da ciò deriva che:
- la comunicazione tra adulti e bambini deve essere un tratto distintivo della vita quotidiana nei
servizi per l’infanzia, una comunicazione rispettosa, attenta, accogliente e di supporto
all’espressione verbale infantile
- la comunicazione tra bambini andrebbe incoraggiata favorendo il gioco, soprattutto quello
simbolico e le discussioni tra pari
- il racconto è un’esperienza sempre coinvolgente, se sostenuto dall’empatia dell’adulto verso i
vissuti che suscita nei bambini
- il tono di voce dell’adulto dovrebbe trasmettere accoglienza e serenità
- le molteplici situazioni della quotidianità costituiscono occasioni per utilizzare il linguaggio per
una pluralità di funzioni, fungendo da modeling per il bambino; i bambini andrebbero aiutati a
“rivivere” attraverso il racconto situazioni vissute e a “tenerne memoria” attraverso forme di
comunicazione orale che l’adulto può trasformare in scrittura
- le prime rappresentazioni simboliche spontanee andrebbero incoraggiate e utilizzate nel corso
delle attività quotidiane
- l’utilizzo dei libri andrebbe incoraggiato precocemente sia attraverso la lettura con l’adulto, sia
attraverso l’uso autonomo, sia attraverso forme di prestito
- l’apprendimento di un lessico e di alcune espressioni di una lingua diversa dalla propria non è di
per sé qualificante un servizio per l’infanzia 0-6.
CAPITOLO 2: LE RELAZIONI.
L’educazione passa sempre attraverso una relazione tra chi si propone di educare e chi viene
educato. Dalla seconda metà del ‘900 nell’infanzia il bambino = soggetto di diritti, come
espressione e partecipazione alla vita comune, stabilisce una relazione paritaria con l’adulto. È
protagonista attivo della costruzione del suo percorso di crescita. L’educatore propone esperienze
a sostegno della crescita del bambino, ma si pone anche in ascolto del suo punto di vista rispetto a
quanto proposto e accolga i suoi interessi e percorsi di esplorazione con la disponibilità autentica e
promuovere l’approfondimento -> ATTIVISMO PEDAGOGICO.
Comporta due conseguenze:
1. Positiva: bambino posto al centro risulta rilevante nello scambio relazionale, quindi porta ad una
costruzione di un’immagine di sé valorizzata, ciò dipende dal giudizio che gli altri hanno di noi.
2. Meno positiva: parità di posizione tra adulto e bambino è complessa, poiché prima dei 6 anni si
rapporta al mondo in modo concreto privilegiando azione e la percezione attraverso il canale non
verbale ->
- Comunicazione infantile è indiretta ed è difficile da decifrare, facile fraintendere
- La relazione educativa passa attraverso il rapporto diretto tra i corpi e dell’educatore e del
bambino, la voce del bambino rischia di non trovare ascolto, anzi di essere cacciata indietro da un
adulto disattento. Il rischio maggiore si ha nei momenti della cura del corpo e dei bisogni primari.
La relazione adulto-bambino.
Il modo in cui l’adulto si rapporta al bambino è importante perché incide sul raggiungimento degli
obbiettivi di crescita e apprendimento. Alcune teorie sulle dimensioni relazionali:
La relazione come rispecchiamento e conferma: la teoria di Carl Rogers offre un approccio
relazionale “non direttivo” dove alla base c’è l’idea che ogni persona non solo abbia valore e
dignità propri e vada rispettata nella sua individualità, ma possieda in sé la capacità e il diritto di
autoregolarsi positivamente verso l’autorealizzazione. Rogers propone una visione dell’uomo
come essere animato da un naturale, positivo e costruttivo impulso all’autorealizzazione, a
diventare quello che è. Questa tendenza, che l’autore definisce attualizzante è un diritto da
salvaguardare e ha un’importanza fondamentale l’ambiente in cui l’individuo vive e dove sviluppa
le sue relazioni. In primo luogo, chi attiva la relazione che aiuta a crescere deve porre al centro
l’esperienza dell’altro e l’elemento fondamentale è il suo punto di vista su di sé e sul mondo.
Questo punto di vista deve essere accolto da chi si propone di educare in maniera aperta. La non
direttività si esprime con comunicazioni verbali e non; l’altra persona ha modo di vedersi da un
punto di vista esterno e di comprendersi meglio. La proposta rogersiana con la postura relazionale
mette al centro la comunicazione del bambino e con i suoi effetti evolutivi in termini di sostegno
alla costruzione di un sé valorizzato; inoltre l’autore offre dei riferimenti chiari rispetto a come
questa postura può essere attivata: occorre credere nel diritto e nella capacità del bimbo di
esprimersi, decentrarsi dal proprio punto di vista per permettere a quello infantile di emergere,
assumere un atteggiamento di piena ed empatica accoglienza delle sue espressioni rispecchiando
verbalmente e non le sue comunicazioni.
La relazione come “contenimento”: Bion parla del processo attraverso cui si produce la
conoscenza, cioè del processo di apprendimento in termini di “legame K”, riferendosi in
particolare al momento in cui il soggetto sta cercando di conoscere qualcosa di nuovo, e
sottolineando come questo momento sia permeato dal dubbio. Solo se è in grado di tollerare il
dolore provocato dalla frustrazione insita nel dubbio, il soggetto può affrontare l’incontro con ciò
che non conosce come un problema da risolvere e portare a compimento il processo conoscitivo in
cui consiste l’apprendimento. Salzberger-Wittenber, Polacco e Osborne, rifacendosi alla teoria
bioniana, affrontano da vicino la relazione di insegnamento/apprendimento delineando le
dinamiche che la attraversano e che possono intralciarla o favorirla. Bisogna considerare che la
relazione tra chi apprende e chi insegna è sempre attraversata da vissuti emotivi di grande
intensità e che il modo in cui questi vissuti vengono affrontati determina la bontà o meno di tale
relazione. Un bimbo piccolo posto di fronte a una situazione di apprendimento sarà pervaso dai
sentimenti negativi connaturati al processo conoscitivo, cioè ansia, confusione e impotenza
rispetto a ciò che non conosce e alle sue capacità di farvi fronte; per sbarazzarsene proietterà tali
vissuti nell’educatore/insegnante attraverso comportamenti disturbanti. Le risposte relazionali da
parte dell’educatore/insegnante possono essere sostanzialmente 2:
1. Consiste nel tentativo di sfuggire allo stato emotivo di disagio, senza soffermarsi a riflettere su
ciò che accade nel bimbo e, di conseguenza, dentro di sé, proiettando i sentimenti dolorosi
indietro verso il bimbo e alimentando in questo modo un circolo vizioso del tutto negativo per i
processi di educazione/apprendimento; l’educatore/insegnante potrà così reagire con un
atteggiamento rigido e autoritario facendo sentire il bimbo ancora più impotente e inadeguato
2. Consiste nel tollerare questo stato doloroso, entrando in contatto con esso e con le proprie
reazioni ad esso per riflettere su cosa sta avvenendo nel bimbo, dentro di sé e nella relazione. In
questo caso l’educatore/insegnante esercita una funzione di “reverie” e “contenimento”: i
sentimenti del bimbo vengono accolti, compresi ed elaborati, attribuendo loro un nome che
permette di differenziarli e chiarirli, quindi restituirli al bimbo stesso bonificati. In tal senso il
bimbo fa esperienza di una mente capace di contenere i sentimenti, di riflettere su di essi, sulla
propria esperienza interiore e ha quindi la possibilità di introiettare tale capacità.
I 3 autori elaborano i tratti di una buona relazione educativa:
• Osservazione e attenzione sensibile rispetto a tutto ciò che avviene nella relazione
• Apertura e ricettività per tutto ciò che viene dalla relazione
• Disponibilità a vivere esperienze emotive
• Disponibilità a riflettere sull’esperienza relazionale
• Disponibilità ad agire e comunicare sulla base di ciò che si comprende della relazione.
La relazione come “impalcatura”: in una prospettiva vygotskiana la descrizione della relazione
educativa è radicata nel concetto di “zona prossimale di sviluppo” con cui si intende la distanza tra
ciò che il bimbo, di fronte a un problema da risolvere, è in grado di fare autonomamente,
attivando le competenze pienamente possedute e ciò che riesce a fare se aiutato da partner più
competenti, in quanto questo aiuto permette di pensare/agire a livello delle competenze non
ancora pienamente consolidate. In questa prospettiva occorre che l’educatore/insegnante si
ponga nella relazione educativa con un atteggiamento di osservazione e grande attenzione, per
poter definire i confini della “zona”, cioè il livello di abilità tanto attuali quanto potenziali. Si può
dire con Bruner che l’educatore, con la consapevolezza di dove il bimbo può e vuole arrivare,
svolga nei suoi confronti una funzione di “coscienza vicaria”; questa coscienza vicaria sta alla base
della proposta sviluppata da Wood, Bruner e Ross per identificare le funzioni attraverso cui è
possibile attivare la zona, cioè la relazione educativa e sostenere l’apprendimento. Attraverso una
ricerca empirica analizzano una situazione di problem solving proposta al bambino all’interno di
una relazione di tutoring che gli autori precisano in termini di scaffolding, vale a dire di
un’impalcatura fornita dall’adulto non solo per risolvere il problema, ma soprattutto per sostenere
competenze relative alla comprensione della struttura stessa del problema; lo scaffolding
attiverebbe la zona attraverso l’esercizio delle seguenti funzioni:
1. Il reclutamento del bimbo al compito, la sollecitazione del suo interesse
2. La riduzione dei gradi di libertà, cioè la semplificazione del compito tramite la limitazione delle
alternative possibili per la risoluzione
3. Il mantenimento della direzione cioè del suo interesse per il compito
4. L’evidenziazione degli aspetti cruciali del compito
5. Il controllo della frustrazione generata dal fatto di sbagliare
6. L’offerta dei modelli da imitare.
Ciò che l’adulto educatore fornisce è un’impalcatura riguarda competenze quali: l’osservazione nel
tentativo di trovare i modi giusti per risolvere il problema, la perseveranza nel perseguimento
dell’obiettivo, la capacità di fare i conti con le emozioni negative connesse ai fallimenti, la capacità
di fronteggiare tali vissuti facendo leva sulla curiosità e interesse suscitati da intuizioni di soluzioni
impreviste. Per una buona relazione con il bimbo nei servizi per l’infanzia 0-6, alcuni indicatori:
• Il bimbo viene riconosciuto come portatore di un suo peculiare punto di vista; si ritiene che sia
capace di esprimerlo e abbia il diritto di essere ascoltato
• Il bimbo, prima dei 6 anni, ha una modalità non solo attiva ma anche concreta di rapportarsi al
mondo; il suo punto di vista, in senso cognitivo quanto emotivo/affettivo, può essere colto
specialmente attraverso il suo fare, osservare, atteggiarsi fisicamente
• L’intervento verbale dell’educatore/insegnante accompagna le interazioni e mira a sostenere lo
sviluppo della competenza verbale, in quanto strumento che espande le possibilità di espressione
del sé, di socializzazione
• Tutto ciò che avviene tra educatore/insegnante e bimbo è relazione educativa; ciò significa che
cura ed educazione sono strettamente intrecciate.
I tratti del rapporto adulto-bambino.
I tratti che dovrebbero caratterizzare la relazione adulto-bimbo vengono delineati nell’approccio
della promozione dall’interno sviluppato da Bondioli e da Savio; l’adulto è personalmente
coinvolto nello scambio relazionale con il bimbo, anche sul piano corporale: si pone alla sua
altezza, lo tocca, lo guarda negli occhi, gli parla in modo pacato con frasi brevi; in questi scambi
l’adulto è prima di tutto in una posizione di ascolto per quanto viene dal bimbo e si tratta di un
ascolto che nel suo lato interiore, si sostanzia in una riflessione su 2 versanti: su quanto il bimbo
comunica, anche a livello emotivo, per coglierne il significato e restituirglielo; su quanto questa
comunicazione suscita nell’adulto, per riconoscere quei vissuti che mettono a rischio la possibilità
di comprendere quanto il bimbo comunica, modulandoli nel modo più utile il suo benessere e alla
sua crescita relazionale educativa. Quindi l’adulto deve:
• Lasciare spazio all’iniziativa del bimbo
• Coglierne il significato
• Rispecchiarlo come proposta di comprensione, verbalmente e non.
Ci sono 3 soluzioni concrete:
1) in un momento di routine: es) lavarsi le mani, adulto stimola curiosità e rapporto con acqua tra
le mani
2) durante un’attività predisposta ad hoc: per sollecitare interesse ed esplorazione conoscitiva del
mondo. L’adulto aspetta che si manifesti l’iniziativa del bambino, se non arriva la sollecita; quando
l’iniziativa arriva lo asseconda anche se contraddice le sue aspettative sull’uso del materiale
proposto es) manipolazione della creta con vari utensili
3) in una circostanza imprevista; es) ritrovamento di una mosca morta per terra, l’adulto accoglie il
tentativo del bambino di toccarla con una matita.
L’adulto non si ferma all’ascolto del bambino, rilancia le proposte per espandere la sua iniziativa,
propone:
- un ragionamento
- un approfondimento sul senso dell’iniziativa
- un approfondimento per sostenere l’interesse
- riprende iniziative abbozzate dal bambino per portarle a compimento mostrando come si fa.
Ci sono 3 soluzioni concrete:
1) in momento di routine (lavarsi le mani), l’adulto propone azioni per apprendere caratteristiche
fisiche dell’acqua oppure fa domande per stimolare interesse
2) durante attività ad hoc, l’adulto stimola ragionamento per imparare cose nuove
3) in circostanza imprevista l’adulto stimola un ragionamento partendo dalle azioni che il bimbo
abbozza -> gli interventi di espansione dell’iniziativa del bambino da parte dell’adulto devono
sempre essere proposte, è il bambino che valuta se accoglierle, riprenderle, proseguirle,
sviluppando così quel dialogo educativo con l’adulto che gli permette di essere un co-costruttore
dei suoi percorsi di crescita. Occorre che i tratti relazionali siano oggetto di osservazione e
monitoraggio per evitare che vengano disattesi o dismessi. Devono essere messe in campo le
seguenti strategie:
• partecipazione attiva del bambino alla costruzione del proprio percorso educativo
• elaborato documento di progettazione educativa mirato e condiviso dal gruppo di lavoro
• formazione regolare su tema adulto-bambino
• qualità della relazione adulto bambino viene verificata sulla base di osservazioni mirate e
progettate.
Spazi e tempi. Questo tipo di relazione richiede spazio mentale e fisico, tempo e lentezza per
cogliere le comunicazioni dei bimbi e attivare il dialogo secondo le modalità che abbiamo
proposto.
Per quanto riguarda lo spazio e il suo allestimento, si dovrebbero prevedere:
• Nelle sezioni la possibilità per i bimbi di disporsi in piccoli gruppi e/o di appartarsi in modo che
possano gestirsi autonomamente e l’educatore/insegnante possa dedicarsi in momenti diversi a
gruppetti diversi con relazioni personalizzate
• Materiali ricchi nella varietà di stimoli che propongono, messi sempre a disposizione Per quanto
riguarda i tempi è importante che vengano progettati e gestiti in modo tale da prevedere
rallentamenti, posticipazioni o anticipazioni, per dare modo alla voce infantile di esprimersi; ciò
significa:
• Prevedere la possibilità per i bimbi di avere i propri ritmi
• Nel caso in cui l’attività debba essere interrotta bisogna prevedere momenti per riproporla.
Le relazioni tra pari.
Secondo Stern il bambino è predisposto all’attività sociale fin dalla nascita, già nelle prime
interazioni con la madre si propone in modo attivo e competente, sollecitando e cogliendo quelle
risposte relazionali che gli permettono di sviluppare il proprio emergente verso il se. Questa
precoce competenza sociale verrebbe confermata dai recenti studi sui neuroni specchio, dai quali
risulta che già i neonati attivano processi di simulazione incarnata, cioè di riproduzione automatica
degli stati mentali altrui, che avrebbero un ruolo basilare nella possibilità di scambio
intersoggettivo. Piaget afferma che il superamento dell’egocentrismo, cioè dell’incapacità di
comprendere il punto di vista dell’altro, è favorito nella prima infanzia dallo scambio con i
coetanei: questi manifestano incomprensioni e conflitti che lo costringono a fare i conti con un
punto di vista diverso dal proprio, quindi a sforzarsi di comprenderlo e di farsi comprendere per
proseguire la relazione. La prospettiva piagetiana viene sviluppata dagli studi sugli effetti del
conflitto socio-cognitivo, cioè da confronto interattivo con punti di vista diversi dal proprio. Nella
prima infanzia, una tra le situazioni più fortemente caratterizzate dalla motivazione a raggiungere
un punto di vista condiviso è il gioco sociale, in particolare quello simbolico: se si vuole giocare
insieme e mettere insieme una trama ludica è necessario intendersi, spiegarsi e trovare accordi su
come giocare, quali ruoli e situazioni attivare. Il gioco comune viene costruito attraverso 3
processi:
1. L’imitazione da parte dei bimbi più piccoli che ampliano e ristrutturano la propria attività
ispirandosi a quanto vedono fare dai compagni più grandi
2. La cooperazione attraverso proposte, argomentazioni che vengono principalmente sostenute
dai bimbi più grandi
3. L’aiuto tutoriale messo in atto dai bimbi più grandi nei confronti dei più piccoli con azioni
dimostrative e direttive.
Se si considera il significato socio-affettivo della situazione studiata si può evidenziare come le
dinamiche descritte possono incidere positivamente sulla costruzione di un’immagine valorizzata
del sé, semplificando ciò che è complesso, si può dire che, per quanto riguarda i primi, il fatto che i
bimbi più grandi ci tengano a coinvolgerli, siano attenti alle loro attività e li aiutino a integrali con
le proprie comunica loro che sono “preziosi”; per quanto riguarda i secondi, il fatto che i bimbi più
piccoli si lascino guidare comunica che anche loro sono “preziosi”. Alla fine del secondo anno i
bimbi sono capaci di co-costruire strutture interattive complesse, basate su diversi registri
comunicativi, stabilendo accordi impliciti su come regolare gli scambi e organizzare la
partecipazione. La sociologia dell’infanzia riconosce il gioco tra pari come una realtà
estremamente significativa in relazione alla possibilità dei bimbi di co-costruire una propria
cultura; in questo caso l’accento è posto sui processi di definizione di contenuti culturali comuni. I
bambini produrrebbero delle proprie culture locali, le “culture dei pari”, che riprenderebbero i
contenuti della cultura del mondo adulto in cui sono immersi quindi al bimbo viene riconosciuto il
ruolo di attore sociale attivo. Isaacs mette a fuoco il comportamento sociale dei bimbi in un
gruppo misto per età (dai 2 anni e 3 mesi ai 10 anni e 5 mesi), di dimensione medio-grandi in una
situazione in cui si favorisce la libera esplorazione all’interno di un ambiente ricco di stimoli e si
promuove l’atteggiamento scientifico. Gli esiti rivelano che i comportamenti cooperativi non sono
diffusi e scontati, al contrario i bimbi manifestano atteggiamenti ostili e conflittuali. Con una
focalizzazione sui bimbi in età prescolare altri studi confermano la fragilità della socializzazione
positiva tra pari e individuano l’oscillazione tra 2 polarità:
1. Attività sociali coesive: condivisione
2. Attività sociali dispersive: competitività, disgregazione del gruppo.
La stessa Isaacs indica alcune condizioni che favorirebbero il dispiegarsi delle competenze sociali
del bimbo; in primo luogo è importante la stabilità della frequentazione del gruppo, una seconda
condizione è un’ambiente ricco di stimoli e aperto alla libera esplorazione; infine una condizione
fondamentale è il ruolo giocato dall’adulto: occorre che quest’ultimo attivi una funzione di
regolazione sociale nei confronti del gruppo infantile comunicando fiducia e orientando verso
scopi costruttivi. Retha De Vries sostiene che per promuovere la socialità positiva tra pari è
fondamentale che la relazione con l’adulto sia basata sul rispetto reciproco; in questo modo
l’adulto in prima persona si proporrebbe come esempio di socialità positiva favorendo l’instaurarsi
nel gruppo di un’atmosfera socio-morale incentrata sulla cooperazione e rispetto reciproco.
Baumgartner e Bombi pongono l’accento sui contesti prescolari sottolineando l’opportunità che la
socialità dei bimbi sia oggetto di progettazione educativa e andrebbero progettate situazioni per
sostenere lo sviluppo di dinamiche sociali positive nella direzione dell’acquisizione di regole per la
convivenza, decentramento socio-cognitivo ed emotivo. Secondo Dewey gli educatori/insegnanti
dovrebbero proporre un contesto educativo che permetta di fare esperienza autentica di vita
sociale democratica; caratterizzare gli scambi sociali secondo una modalità di comunicazione
decentrata; sostenere la capacità di farsi carico di sé, di assumersi la responsabilità di scegliere;
sostenere l’habitus del ricercatore e la modalità del pensiero riflessivo. Indicatori a cui fare
riferimento per costruire ed analizzare la relazione tra pari:
• il ruolo dell’adulto; 2 versanti verso cui orientare l’azione:
1. promozione di contesti cooperativi e di confronto diffuso
2. sostegno per realizzazione delle prime esperienze di cittadinanza.
Deve rapportarsi ai bambini in gruppo secondo le seguenti modalità:
- stando un passo indietro in una posizione di ascolto per permettere ai bimbi di interagire
liberamente
- deve fare da ponte sociale nelle interazioni tra bimbi, ovvero:
• sollecita gli scambi in modo non direttivo o rispecchia quanto sta avvenendo nello scambio
(traduce l’un l’altro)
• pone domande di chiarimento per sollecitare l’esplicitazione dei punti di vista e favorire la
reciproca comprensione
• inserire elementi nuovi ma congrui all’attività in corso
• riprendere iniziative abbozzate dai bambini per creare spunti per nuovi interessi.
È importante la modalità con cui adulto gestisce i conflitti tra i bambini; deve fare un passo
indietro per permettere di provare a negoziare accordi e soluzioni in autonomia. Solo in caso di
conflittualità irrisolte interviene seguendo le seguenti modalità:
- comprendendo e contenendo l’emotività che si manifesta nel conflitto
- sostenendo forme di pensiero riflessivo per capire il problema, individuare ipotesi di soluzione e
verificare tali ipotesi
- proponendosi come arbitro super partes esempio di giustizia
- sostenere l’esperienza di prendere accordi sociali riconoscendo i punti di vista altrui e dandosi
delle regole
- prevedere momenti i cui si definiscono regole esplicitamente con i bimbi
- prevedendo momenti di vita insieme che permettono ai bimbi di sentirsi parte di un gruppo.
• Progettazione e monitoraggio; vanno indicati obiettivi e modalità di raggiungimento. La
progettazione educativa deve prevedere:
- possibilità di trascorrere tempo in gruppi per sviluppare scambi interattivi significativi e personali
- appartenere ad un gruppo permette di sviluppare conoscenza, intesa, senso di appartenenza,
fiducia
- gruppo di riferimento = base sicura, è necessario però sperimentare una varietà di situazioni
sociali.
Il monitoraggio deve essere sistematico con verifiche regolari basate su osservazione del
comportamento sociale del bimbo e degli adulti. Le osservazioni vanno analizzate in gruppo con la
supervisione di esperti.
• Spazi e tempi. Riguardo agli spazi:
- Nelle sezioni si dovrebbe prevedere l’allestimento degli angoli di interesse in modo che i bimbi
possano distribuirsi in piccoli gruppi, aggregandosi autonomamente per interessi comuni
- Deve essere messo a disposizione materiale ricco e vario in modo tale da favorirne il libero e
autonomo utilizzo da parte dei bimbi Riguardo ai tempi:
- Prevedere un agio nella gestione dei ritmi quotidiani, non interrompere bruscamente le attività
- Momenti quotidiani in cui, come gruppi di riferimento, ci si ritrovi e ci si riconosca
- Momenti per progettare con il gruppo di riferimento attività da condividere nei quali l’adulto,
sulla base anche di quanto rilevato nelle attività dei bimbi, proponga esperienze
- Momenti cadenzati periodicamente.
Le relazioni tra adulti.
Con “gruppo di lavoro” ci si riferisce generalmente al team educativo, cioè agli educatori/insegnati
che condividono la responsabilità educativa di un nido/scuola dell’infanzia. Nel caso dei servizi 0-6
la dimensione del lavorare insieme è particolarmente forte e coesa; anche altre figure
professionali contribuiscono, su diversi livelli, alla riuscita dell’impresa educativa: il coordinatore
pedagogico ha un ruolo cruciale nel sostenere la possibilità che il team funzioni come un buon
gruppo di lavoro; gli operatori ausiliari contribuiscono in modo sostanziale alla riuscita quotidiana,
ma non solo, della vita educativa ed è dunque importante che rientrino nella rete dei rapporti
collaborativi del team educativo. Con “identità educativa” si intende l’intreccio dei principi, teorie,
convincimenti e buone pratiche cui fa riferimento chi educa, è la base dove poggia un buon team
educativo e che si costruisca attorno a quest’identità comune e che quest’ultima abbia tra i suoi
principi di riferimento quello della partecipazione con un particolare accento sul bimbo visto come
soggetto attivo, concreto, ma soprattutto portatore del diritto di espressione. Ma possono esistere
degli aspetti dell’identità educativa che restano impliciti, cioè delle pedagogie latenti; perciò è
necessario presidiare l’identità educativa di un certo nido/scuola tenendo sempre attivi percorsi di
riflessione che mettano a fuoco il rapporto tra i principi fondamentali, le buone pratiche cui ci si
vuole riferire e il proprio fare effettivo per orientarsi fattivamente secondo quell’identità
collegialmente definita. Se l’identità educativa condivisa è la base per lo sviluppo di relazioni
positive nel team di un servizio 0- 6, queste relazioni dovrebbero rispondere alle caratteristiche del
gruppo di lavoro razionale descritto da Bion:
• Un approccio razionale-scientifico al compito, cioè individuando obiettivi educativi sulla base dei
principi delle finalità generali condivise
• Un’idea di sviluppo come conseguenza dell’apprendere dall’esperienza
• Un processo di cooperazione che produce l’organizzazione e la struttura del gruppo, definendo
in maniera condivisa i ruoli, funzioni e compiti.
Esistono due ordini di difficoltà che riguardano i singoli dentro al gruppo:
1. È data dall’ambivalenza vissuta nel sentire da una parte il bisogno di appartenenza, che l’essere
in gruppo soddisfa, dall’altra il pericolo di perdere in quello stesso gruppo la propria individualità
2. Vi è quella connessa al dover imparare a stare nel gruppo.
Per fronteggiare tali difficoltà il team può trovare una risposta nel coordinatore pedagogico in
quanto può riconoscere le eventuali difficoltà, le spinte centripete che minacciano la coesione del
gruppo di lavoro e contenerle nel senso di esserne consapevole per mettere in atto strategie volte
a superarle. Per un buon team educativo, alcuni indicatori
• Educatori/insegnanti condividono in maniera esplicita una stessa identità educativa assumendo
tra i propri riferimenti il principio partecipativo; quest’identità viene dichiarata nei documenti
deputati alla presentazione del servizio e declinata nelle sue conseguenze pedagogiche
• Obiettivi e progetti educativi si sviluppano a partire dalla dichiarata identità educativa del
servizio; poiché tra i principi di riferimento vi è la partecipazione del bimbo, la finalità comune e
trasversale dei progetti educativi è tenere conto di quanto il bimbo esprime, monitorando le
proposte dell’adulto di conseguenza.
• Il team si dà una struttura organizzativa coerente con gli obiettivi e i progetti educativi
concordati, equilibrata nei carichi di lavoro
• Il team è attivo nell’affermare il principio partecipativo sia all’interno che all’esterno del servizio.
All’interno sono previsti regolarmente momenti per discutere obiettivi e progetti con il personale
ausiliario, all’esterno gli interlocutori fondamentali sono i genitori con i quali si ritiene di dover
stringere un patto educativo per la buona crescita dei bimbi
• È presente un coordinamento pedagogico che sostiene il team nei suoi compiti educativi
promuovendo una programmazione precisa dei tempi e modi per confrontarsi su obiettivi,
progetti ecc.., una definizione chiara ed equa dei carichi di lavoro, dei ruoli e dei compiti.

3. SPAZI E TEMPI

Nella pedagogia dell’infanzia l’ambiente ha un forte dispositivo educativo: un dispositivo


pedagogico, non solo uno spazio-tempo in cui collocare l’esperienza della quotidianità. Nei nidi e
nelle scuole dell’infanzia l’organizzazione dello spazio e la gestione del tempo vengono
considerate come elementi base per il buon funzionamento della vita quotidiana e per lo
svolgimento delle attività con i bambini. Nell’organizzazione degli spazi e dei tempi, aspetti di
materialità e vincoli istituzionali si intrecciano con elementi simbolici e relazionali che influiscono
fortemente sul modo con cui lo spazio e il tempo vengono vissuti da chi ne fa esperienza, adulti e
bambini. Il primo contributo che deve essere menzionato è quello di Kurt Lewin e degli studi
ecologici. Lewin mette in evidenza due aspetti dello spazio: da un lato quello materiale e dall’altro
quello psicologico. Se si considera l’ambiente in quanto ambiente psicologico, il comportamento di
un individuo dipende sia dalle sue caratteristiche personali sia da quelle dell’ambiente. Il
comportamento è influenzato sia dalla rappresentazione psicologica che la persona ha
dell’ambiente sia dall’ambiente per come oggettivamente si presenta. Più il bambino è piccolo, più
gli elementi dell’ambiente possono irrompere facilmente nella zona interna della sua persona,
determinando disagio e disorganizzazione. Il vissuto psicologico è il fuoco principale di attenzione.
Marc Augé pone l’attenzione sulla dimensione identitaria o impersonale degli spazi costruiti,
abitati e attraversati dagli uomini. Augé distingue tra:
Luoghi → ambienti caratterizzati da una storia, riconosciuti da coloro che li abitano come spazi di
appartenenza. Nei luoghi anche gli oggetti hanno una storia e una valenza simbolica.
Non luoghi → spazi nei quali colui che li attraversa non può leggere nulla, né della sua identità né
dei suoi rapporti con gli altri né della sua storia comune. Essi sono spazi di transito, senza storia e
senza identità, senza segni di appartenenza, ma anche luoghi fittizi creati ad hoc per simulare altri
spazi (Es. Disneyland).
Le considerazioni di Augé ci aiutano a riflettere su due diversi significati che lo spazio può
assumere: da un lato lo spazio come luogo in cui gli individui si possano sentire a casa; dall’altra lo
spazio impersonale e asettico, puramente funzionale, senza storia senza identità.
Sulla scia della psicologia ecologica lewiniana, ma con una differente focalizzazione, la sociologia di
Goffman pone l’accento sulla valenza sociale e simbolica degli spazi nei quali hanno luogo gli
incontri tra individui. Le occasioni sociali più formalizzate prevedono una precisa organizzazione
dello spazio che definisce i ruoli, funzioni sociali, comportamenti consoni secondo regole esplicite
e implicite. L’organizzazione spaziale corrisponde a una certa organizzazione sociale e la
determina. Le occasioni sociali comportano l’utilizzo di luoghi specifici, di spazi deputati la cui
organizzazione e i cui riferimenti sollecitano modalità di comportamento tipiche e consone
all’occasione sociale stessa (chiesa, teatro, tribunale). In ciascuno dei casi citati il comportamento
degli individui è per così dire “modellato” non solo dall’organizzazione fisica dello spazio, ma
anche delle regole implicite che l'organizzazione spaziale sembra imporre. Goffman parla di
“fabbricazione” dell’individuo mediante modalità indirette di imposizione che contribuiscono a
mantenere l’ordine e il consenso sociali. Non ottemperare alle regole che lo spazio impone
significa “devianza” e “anomalia”. L'educazione delle cosiddette “buone maniere” passa attraverso
l'uso consono dello spazio e delle sue articolazioni. Gli spazi parlano anche se non sono abitati. Ci
dicono che cosa vi può accadere, quali rapporti vi si possono instaurare, quali ruoli vi vengono
rappresentati. Non solo i ruoli, ma anche i gesti e le posture saranno più o meno influenzati
dall’assetto ambientale. Gli studi di Goffman ci aiutano dunque a riflettere su come
l'organizzazione spaziale, mediata dalle regole dai rituali ad essa connessi, giunga proporre a
definire ruoli e rapporti interpersonali.

Michel Foucault si è occupato delle dinamiche dell’organizzazione del potere e delle molteplici
strategie con cui quest’ultimo assoggetta l’individuo e i gruppi. Nel volume sorvegliare e punire il
filosofo francese illustra come, a partire dal 700, la disposizione degli ambienti di alcune istituzioni
sia stata concepita al fine di esercitare sempre un maggiore controllo sociale. L'organizzazione
degli spazi dei tempi è funzionale a meccanismi di controllo sociale messa in atto da particolari
istituzioni (prigioni, scuole, caserme ecc.) che hanno il compito di “plasmare” il comportamento
degli individui in maniera in diretta al fine di mantenere l'ordine sociale le relazioni di potere in
atto. Foucault parla al proposito di “microfisica del potere” mostrando come l'organizzazione
spaziale e temporale di istituzioni quali prigioni, fabbriche, ospedali, collegi, scuole si configuri
come dispositivo disciplinare. Le osservazioni di Foucault illustrano come certe istituzioni utilizzino
l'organizzazione dello spazio e l'impiego del tempo per creare e mantenere rapporti sperequati di
potere tra individui; Alla luce di ciò, possiamo avviare la nostra riflessione sull’allestimento di un
ambiente finalizzato non a manipolare e sottomettere i fruitori, bensì a promuovere relazioni
sociali egualitarie e cooperative.

3.1.2. l’Aula e l'impiego del tempo nelle istituzioni educative

Lo spazio non è un contorno ma un medium educativo o un congegno pedagogico in quanto


suscita vissuti, configura ruoli e relazioni, predispone ad habitus di comportamento, sottolinea
l’appartenenza e l’identità o spersonalizza.
Lo spazio, per come lo si è progettato e allestito e per come si presenta, configura una pedagogia
che può assumere valenze molto diverse: autoritaria o democratica, individualistica o
partecipativa, anonima e impersonale o identitaria e inclusiva.
La pedagogia latente è una pedagogia iscritta nella disposizione degli ambienti, degli arredi, nella
modalità di gestione degli incontri e delle attività, nelle norme che regolano la vita collettiva, nelle
pratiche di cura, nelle routine, negli eventi e negli Eventi e nelle situazioni che ritmano e
scandiscono la quotidianità della vita infantile, che non solo ha ricadute sulla vita e sulla crescita
dei bambini ma anche contraddistingue in maniera peculiare, idiosincratica, ciascun contesto
educativo.

Bernstein ne parlava come di una pedagogia invisibile che può produrre degli effetti non voluti,
diversi da quelli intenzionalmente perseguiti. Occorre che tale pedagogia esca dall’invisibilità in
modo che l’organizzazione ambientale non sia, da parte degli insegnanti, subita, passivamente
accettata, ma diventi oggetto di una progettualità educativa autentica. Secondo Bettelheim la
pedagogia sottesa all'organizzazione degli spazi è anche indizio di un certo modo di concepire il
bambino, il suo sviluppo e la relazione educativa.

L’organizzazione dello spazio ai fini disciplinari e di controllo è correlata a una gestione del tempo
finalizzata alla produttività, che nella scuola significa apprendimento. Non ci devono essere tempi
morti; non sono Connesse divagazioni né fughe di attenzione. Anche lo svago è temporalmente
delimitato e definito; tutto ciò che non ha a che fare con l'istruzione è regolarmente bandito.
L'organizzazione del tempo finalizzata all’efficacia didattica si accompagna per lo più a un impiego
impersonale del tempo. È il tempo dell’orologio che scandisce, con il suono della campanella,
L’inizio e la fine del “tempo scuola” e il passaggio da una lezione a un'altra secondo un ritmo
istituzionale e collettivo. Il tempo scuola si configura per tradizione e per esigenze organizzative
come un tempo collettivo, tendenzialmente impersonale, istituzionalizzato. Gli Effetti del
dell'organizzazione del tempo a scuola sui vissuti psicologici vanno dunque tenuti in
considerazione, osservati e valutati, poiché, analogamente a quelli dell'organizzazione spaziale,
pur non essendo sempre consapevolmente definiti e scelti, condizionano talora pesantemente la
partecipazione fruttuosa dei bambini alla vita della scuola.

3.2 Spazio e tempo dal punto di vista dei bambini

Due testi di Piaget sono Fondamentali per comprendere come nel bambino si costruiscono
evolutivamente i concetti di spazio e di tempo così come adulti li conosciamo. Il bambino alla
nascita non è in grado di distinguere il mondo esterno da quello interno e totalmente
autocentrato, non conosce né spazio né casualità E non ha neppure la nozione di oggetto come
qualcosa di permanente. Non esiste per lui uno spazio unitario. quando le cose scompaiono alla
vista è come se se ne andassero per sempre: il bambino non cerca in alcun modo di ritrovarle; La
ricomparsa di un oggetto è una sorta di resurrezione punto solo progressivamente il mondo
acquisisce una certa consistenza e si costituisce un'organizzazione spaziale: il bambino si rende
conto del rapporto tra gli oggetti, compaiono le prime rappresentazioni mentali. Lo spazio risulta
essere il tipo senso motorio, legato allo spa allo sviluppo della percezione e alla motricità ponte,
solo successivamente, con l'avvento del linguaggio lo spazio diventa rappresentativo.
Parallelamente alla conquista delle relazioni spaziali, il bambino scopre anche il tempo non è
legato alla sua attività ma è proprio di tutti gli elementi che compongono l'universo esterno per la
prima volta si rivela capace di ordinare nel tempo gli avvenimenti esterni percepiti direttamente. A
questo punto, quando riesce ad evocare un'immagine mentalmente, il “prima” e il “poi” non sono
più ristretti all’azione propria, ma riguardano tutti gli eventi che il bambino prevede e ricorda. Il
bambino passa da un tempo locale eterogeneo, egocentrico e irreversibile a un tempo omogeneo
continuo e reversibile. L'importanza della capacità rappresentativa nelle elaborazioni della realtà
esterna è segnalata in particolare da Vygotskij, il quale considera un momento cruciale dello
sviluppo quello in cui il bambino non dipende più per le sue azioni dalle proprietà materiali e
percettivi degli oggetti, ma delle loro rappresentazioni mentali. Solo quando il bambino distingue
l'oggetto del suo significato può agire indipendentemente dalle proprietà percepite dell'oggetto e
spiegare quest'ultimo alla propria volontà immaginativa (es. bastone usato come cavalo). A questo
proposito risultano particolarmente significativi le osservazioni di Anna Freud nel testo normalità
e patologia dell'età infantile. il vissuto temporale del bambino non è identico a quello dell'adulto.
Il bambino molto piccolo non accetta dilazioni rispetto al soddisfacimento pulsionale: piange e si
dispera se l’adulto non accorre subito, si sente totalmente abbandonato. È sotto l'egida del
“principio di piacere”; Il suo Io è molto debole e perciò anche la sua capacità di sopportare la
frustrazione e l'attesa. Nell’età dai tre ai sei anni il bambino oscilla ancora tra quelli che A.Freud
definisce “tempo dell’Es” e tempo “dell’Io”. L’Es Vuole tutto e subito. Posticipazione dell'azione,
attraverso la mediazione del pensiero, e capacità di attesa sono invece caratteristiche dell'Io.
Questo significa che <<il mondo con cui un bambino sperimenta un dato periodo di tempo non
dipende dalla sua durata reale, misurato oggettivamente dall' adulto in giorni e ore ma dalle
soggettive relazioni interne del dominio dell'Es o dell’Io sul suo funzionamento>>.
Il tempo ha a che fare con una delle più importanti acquisizioni del bambino piccolo: la capacità di
attendere. Questa facoltà dipende fortemente dalle esperienze che il bambino ha vissuto nella
relazione con le figure di attaccamento.

L’attesa fiduciosa come la descrive Margaret Mahler Contraddistingue il bambino che ha esperito
cure e affetti regolari e coerenti. Se la relazione è stata positiva, il bambino crede nella realtà come
fonte di benessere, è fiducioso e sviluppa la capacità di attendere; Il saper attendere e il senso di
realtà solo acquisizione complementari e parallele. Il vissuto temporale del bambino molto piccolo
e dunque connesso, secondo Anna Freud, al suo tipico funzionamento psichico oscillante.

Secondo Stern il senso del tempo è strettamente correlato all’elaborazione di un <<senso


organizzato del Sé>>, un Sé nucleare, responsabile della possibilità di <<fare esperienza degli
eventi>>. Tale senso del Sé è legato a una serie di esperienze:

A) La sensazione di essere un Sé agente. (Il bambino deve avere la sensazione di essere


l'autore delle proprie azioni e prevederne le conseguenze).
B) La sensazione di essere dotato di coesione. (Il bambino deve sentire di essere un'entità
fisica intera virgola non frammentata, provvista i confini).
C) Un Sé affettivo, che sperimenta stati intimi con qualità affettive.
D) Un Sé storico, provvisto di un senso della durata, di una continuità con il proprio passato,
che fa sì che “si continui ad essere” e si possa cambiare pur rimanendo Sé stessi.

Esistono occasioni favorevoli all’elaborazione di un senso del Sé nucleare. In primo luogo,


troviamo un certo comportamento degli adulti nell’interazione sociale con il bambino, che Stern
chiama <<tema con variazioni>>.

Due esigenze sono sottese a questo tipo di comportamento: il mantenere vivo l’interesse del
bambino (variazione) e l’importanza dell’ordine e della ripetitività. Occorre anche una notevole
sensibilità da parte dell'adulto, perché tali forme di interazione hanno come scopo quello di
<<regolare il livello di eccitazione>> del bambino in modo da fornire una <<stimolazione
ottimale>>: l’adulto non deve sovraeccitatare il bambino, ma aiutarlo ad autoregolarsi. Anche i
comportamenti quotidiani legati alle cure possono essere espressi nella forma del tema con
variazioni: comportamenti esagerati, ripetuti con variazioni appropriate, stereotipati.

Fattori emotivi e relazionali intervengono fortemente a colorare tali esperienze, che non hanno
una connotazione esclusivamente cognitiva: angoscia da abbandono o fiducia nelle figure di
attaccamento, sensazione di inadeguatezza o di capacità di influenzare la realtà circostante,
volontà di isolamento o piacere di condividere situazioni sociali con adulti e con pari sono aspetti
che contribuiscono a creare e consolidare nel bambino un’idea di spazio e di tempo condivisa e
sociale. Tali fattori, che nel nido e nella scuola dell'infanzia vanno accuratamente considerati, non
solo influenzano lo spazio psicologico e il vissuto temporale, ma contribuiscono anche allo sviluppo
dell'autonomia e al consolidamento dell'identità personale nei bambini.

3.3 la qualità pedagogica di spazi e tempi nei servizi per l'infanzia 0 6: alcuni indicatori

Da quanto detto fin qui è possibile derivare una serie di considerazioni per allestire ambienti “a
misura di bambini” dal punto di vista spaziale temporale .

Alcune considerazioni:

1) Non è possibile sconnettere l’organizzazione degli spazi e dei tempi dalla complessiva
organizzazione dell’ambiente, che comprende un’ampia gamma di aspetti. Fra i quali: le attività
che i bambini possono svolgere -il modo con cui gli adulti consentono loro di svolgerle- le modalità
della relazione educativa, cioè gli atteggiamenti e i modi con cui gli adulti si rivolgono al singolo
bambino e al gruppo nei diversi contesti quotidiani.

2) L’organizzazione degli spazi e dei tempi dipende dal vissuto infantile e allo stesso tempo lo
influenza. Gli aspetti emotivo-affettivi dipendono dalla percezione spazio-temporale ma al
contempo la condizionano: interesse, coinvolgimento, benessere così come noia, distanziamento,
disagio da una parte sono sintomatici del mondo con cui i bambini vivono il nido e la scuola
dell'infanzia come luoghi di vita, dall’altra influenzano il loro modo di percepire e concepire lo
spazio e il tempo vissuto fuori dalla casa.

3) Le acquisizioni cognitive ma anche quelle fisiche ed emotivo-affettive, connesse alla fiducia,


all’elaborazione di un senso di realtà, alla capacità di dilazionare il soddisfacimento immediato,
dipendono dal modo con cui l’ambiente le promuove ma anche dalle capacità del bambino, spesso
connesse all’età.

4) L’organizzazione dello spazio e del tempo influenza anche le dinamiche tra pari, In quanto può
incentivare o, al contrario, disincentivare interazioni positive, non conflittuali, di amicizia e
collaborazione.

Osservazioni più specifiche circa l'organizzazione di spazi e tempi.

1. Gli spazi della scuola, le aule, gli spazi comuni: saloni, corridoi e scale. Questi elementi ci
forniscono un'immagine dei ruoli del bambino e dell’educatore\insegnante, delle norme di
comportamento e delle regole d'uso, delle strategie di insegnamento, dei rapporti sociali
ecc. Dovremmo pensare allo spazio allo stesso modo con cui pensiamo alle attività che
proponiamo, alle consegne che diamo ai bambini, ai metodi che utilizziamo e cioè come
strumenti di apprendimento e socializzazione.
2. La qualità dell’esperienza educativa nel nido e nella scuola dell’infanzia è data anche dal
modo con cui i diversi episodi si dispongono nel corso della giornata, dalla loro successione,
dalla loro durata, dal loro ripetersi ciclico e ritmico.

Come abbiamo visto Piajet Parla riferendosi al bambino piccolo, di un tempo “locale”, cioè di un
tempo proprio a ciascun evento e della mancanza di un senso del tempo più ampio e dilatato.
Pertanto l'organizzazione della giornata infantile, soprattutto al nido ma anche alla scuola
dell’infanzia, così come a casa, i suoi ritmi, scansioni, alterazione, ripetizioni sono importanti
perché l'esperienza infantile possa strutturarsi in eventi riconoscibili dotate di significato, secondo
di “prima”, dei “dopo” ed egli "ancora”. Il ritmo è un aspetto pregnante del senso di continuità. Le
modalità di organizzazione e collocazione delle routine che scandiscono la giornata sono
importanti ma non sufficienti. Occorre prestare attenzione agli aspetti temporali presenti in ogni
situazione che fanno sì che essa possa essere vissuta dal bambino come momento di attesa
fiduciosa o minaccia, come un evento Riconoscibile e prevedibili all'interno di un disegno o come
caotico succedersi di sensazioni sconnesse. Elementi di coerenza, continua, ritmo, forma sono
fattori essenziali per fare del nido e della scuola dell'infanzia un contesto educativo.

Gli indicatori proposti che possono migliorare l'utilizzo e l'organizzazione di un ambiente educativo
deve essere:

A) A misura dei bambini e orientato alla loro crescita, in cui i piccoli possano sentirsi a casa
loro.
B) Generoso, nel quale i bambini abbiano la possibilità di trovare ampie possibilità di gioco,
attività ed esplorazione.
C) Attivo, che susciti cioè il desiderio di fare, manipolare, agire concretamente sugli oggetti
per esplorarli, conoscerli e trasformarli.
D) Conviviale e sociale che favorisca gli scambi orizzontali e le relazioni tra pari in un clima di
affettività positiva e di responsabilizzazione sociale.

Progettazione

Lo spazio va progettato. Ciò significa da un lato che il modo di organizzare gli spazi va condiviso dal
gruppo di lavoro dall'altro che tale organizzazione, relativa sia gli spazi delle sezioni sia quelli
comuni, deve avere una valenza educativa, essere cioè pensata per offrire ai bambini le migliori
possibilità di crescita e agli adulti le condizioni migliori per svolgere il proprio lavoro. La
progettazione degli spazi si interseca con le idee di bambino, di relazione educativa e di finalità
educative che abbiamo in mente. L’atto del progettare comporta la definizione di un problema e
un’ipotesi di soluzione.
La progettazione comporta operazioni di rilevazione e verifica, che richiedono l’utilizzo
dell’osservazione come strumento procedurale. La rilevazione, cioè l’osservazione del
comportamento dei bambini nello spazio, è importante perché permette di immaginare soluzioni
adatte alla particolarità dei bambini del proprio gruppo, sempre avendo presenti certi fini in
mente; la verifica comporta invece l’utilizzo dell’osservazione per accertare se l’allestimento
spaziale realizzato produca davvero gli effetti sperati o se debba essere ripensato.
Articolazione e destinazione d'uso degli spazi della scuola

questo indicatore punta l'attenzione sia sulla dimensione fisica dell'ambiente scuola sia sulla
dimensione funzionale. Gli spazi della scuola dovrebbero essere articolati in modo tale da
assolvere funzioni diverse. Nel nido o nella scuola dell’infanzia dovrebbero essere previsti: spazi
per il riposo, spazi per il pranzo e le merende, servizi igienici, spazi attrezzati per gruppi stabili,
spazi comuni, attrezzature per l’attività motoria, spazi con funzioni educative specifiche. Accanto a
spazi specializzati, il nido/la scuola possono prevedere luoghi di aggregazione che promuovano la
dimensione sociale e collettiva: la “piazza” dove possono incontrarsi bambini di diverse sezioni o
dove si svolgono momenti assemblati.

Fruibilità degli spazi extrasezione

questo criterio considera se e quanto gli spazi della scuola diversi da quelli della sezione, attrezzate
per sollecitare specifiche esperienze, siano effettivamente accessibili e costituiscono una risorsa
abituale. Per valutare ciò occorre chiedersi in quale misura ciascun bambino abbia la possibilità di
fruire degli spazi extrasezione dedicati aspecifiche attività. Con questo criterio è possibile valutare
anche la capacità di organizzare pedagogicamente il lavoro tra le sezioni o le classi pensando a un
uso collettivo e non privatistico delle risorse della scuola.

Articolazione interna dell’aula/sezione

Lo spazio della sezione nella quale i bambini passano buona parte del tempo della quotidianità
dovrebbe essere articolato in zone dotate di materiale ad hoc, così da suggerire una varia tipologia
di giochi e attività. L'articolazione in zone, pur suggerendo ai bambini particolari attività, lascia loro
ampia libertà di scelta e, al tempo stesso, consente l'aggregazione dei bambini in piccoli gruppi,
favorendo l'instaurarsi di una socialità positiva.

La personalizzazione degli spazi

l'ambiente della scuola deve poter essere per ciascun bambino un ambiente di vita, non un luogo
anonimo impersonale ma accogliente e amico. Perché il bambino li frequenta volentieri perché
possa godere le risorse ludiche e di apprendimento che propongono, è necessario che sente di
appartenervi, di essere a “casa”. Lo spazio dovrebbe sottolineare l'importanza della singolarità,
oltre che della collettività. Uno spazio personalizzato riconosce infatti al bambino il bisogno di
godere ogni tanto di “spazi per sé”, non importa se piccoli “angolini appartati” per allontanarsi da
situazioni faticose e da una socialità troppo stressante.

La valenza sociale dello spazio

sia gli spazi extra sezione sia quelli deputati a ciascuna sezione hanno necessariamente una
valenza sociale. Nel nido e nella scuola dell'infanzia, la cui finalità di socializzazione e preminente,
l'organizzazione dello spazio dovrebbe: incentivare la collaborazione tra bambini; Consentire ai
bambini di sperimentare diverse modalità di aggregazione prevedendo una disposizione degli
arredi flessibile e luoghi deputati ; Consentire ai bambini modificazioni degli spazi, concordate con
gli insegnanti, per venire incontro alle loro esigenze e interessi maturati nel tempo si tratta si
tratta di contrassegnare lo spazio in modo da rimarcare il significato sociale promuovere un senso
di appartenenza.
Lo spazio è lo sviluppo dell'autonomia

l'uso progressivamente autonomo degli spazi della scuola va di pari passo con la familiarizzazione
del bambino rispetto all'ambiente nido/scuola dell’infanzia, ma è anche frutto di scelte
pedagogiche orientate a sollecitare l'esplorazione, la negoziazione di regole. Di comportamento
adatte ai diversi ambienti, la responsabilizzazione dei bambini. L'autonomia viene favorita anche
da un’organizzazione dello spazio che consenta il libero accesso ai materiali disponibili ma anche,
nel caso dei bambini più grandi virgola che li responsabilizzi. Al contrario, spazi nei quali i bambini
hanno poca libertà di movimento e non possono esprimere la propria iniziativa non promuovono,
secondo tale criterio, l'autonomia.

Lo spazio e la corporeità

l'acquisizione di un senso di padronanza nell’uso del corpo, lo sviluppo della motricità globale,
l'unità psicofisica dipende per buona parte, Soprattutto nei soggetti in età evolutiva, dalle
caratteristiche degli spazi in cui ci si muove; Non solo fisiche ma anche psicologiche e sociali.
Questo indicatore pone l'attenzione su quanto gli spazi interni del nido e della scuola dell'infanzia
consentono ai bambini attività di di libero movimento che impegnano e sollecitano la motricità
globale.

la qualità estetica dello spazio

La qualità percettiva tattile e cromatica dell'ambiente e dei materiali in esso contenuti non
contribuiscono soltanto a rendere lo spazio della scuola confortevole, ma si configura anche come
una forma in diretta di esercizio del gusto e della fruizione estetica. La qualità estetica dello spazio
non è infatti un puro elemento di contorno, poiché, l'educazione del gusto passa attraverso il
godimento e l’apprezzamento del bello. “Bello” è ciò che ci trasmette un senso di ordine, polizia,
funzionalità, armonia. Nido e scuola dell'infanzia devono essere esteticamente gradevoli e
soddisfacenti.

Attenzione degli adulti

la scuola è un ambiente di vita sia per i bambini sia per gli adulti. Anche questi ultimi hanno
bisogno di trovare nella scuola segni di appartenenza, luoghi di incontro confortevoli. Lo spazio
dell'accoglienza all'entrata e all'uscita è una sorta di carta d'identità del nido e della scuola
dell'infanzia che può dimostrare che i genitori sono compartecipi della vita del servizio o viceversa.
E inoltre importante che le l’équipe di lavoro posso avere un luogo nel quale svolgere attività di
programmazione e discussione collegiale, e nel quale sia possibile riporre le proprie cose; nel
medesimo spazio tutto ciò che può rendere più agevole il lavoro degli educatori con i bambini
luoghi/arredi ove riporre i materiali il consumo, sedie a misura di adulto rende gli spazi “abitabili”
e confortevoli anche per gli adulti.

L'utilizzo pedagogico dello spazio esterno

nella maggior parte dei casi i nidi e le scuole dell'infanzia hanno a disposizione uno spazio esterno
che può variare ampiamente quanta superficie E attrezzature, generalmente utilizzato per attività
all'aperto. In primo luogo, lo spazio all'aperto dovrebbe offrire garanzie di sicurezza. In secondo
luogo, dovrebbe presentare semplici attrezzature che incoraggiano il gioco motorio e la messa alla
prova delle proprie capacità fisiche, in buono stato e non pericolosi. In terzo luogo, lo spazio
esterno, oltre che per le attività di movimento dovrebbe essere attrezzato per attività significative
che possono essere svolte all’aperto mettendo a disposizione materiali ad hoc. Va infine ricordato
che le attività all'aperto possono essere svolte anche fuori dalla scuola con passeggiate, gite,
escursioni ecc.

Materiali e giocattoli

In generale i materiali da offrire ai bambini dovrebbero presentarsi in buono stato,


sufficientemente sicuri, in quantità sufficiente da poter essere utilizzati da un certo numero di
bambini senza suscitare troppi conflitti; dovrebbero avere qualità estetiche, sollecitare cioè la
percezione tattile, visiva e sonora. Meglio, dunque, giocattoli in legno anziché in plastica robusti e
di buona fattura, gradevoli al tatto e funzionali. Vanno inoltre previsti materiali strutturati, di
recupero e non che possano sollecitare un uso creativo e libero da parte dei bambini. I materiali
dovrebbero essere scelti in funzione delle attività e del tipo di gioco verso cui si vorrebbe orientare
i bambini tenendo conto, al tempo stesso, delle loro preferenze; dovrebbero essere collocati nello
spazio in maniera ordinata, in modo che i bambini possano facilmente individuarli e disposti in
modo da presentare centri di interesse. Buona parte dei materiali dovrebbe essere liberamente
accessibile ai bambini in modo da incoraggiarne e promuoverne l’agentività.

3.3.2 Gli indicatori temporali

La progettazione del tempo

Come l'organizzazione degli spazi anche l'organizzazione del tempo al nido e alla scuola
dell'infanzia ha una notevole incidenza sulla vita quotidiana e sulla crescita dei bambini e può
essere più o meno proficua in relazione alle finalità educative che ci si propone. Come
l'organizzazione degli spazi anche l’organizzazione dei tempi richiede una progettazione collegiale
e deve essere considerata un problema dar risolvere tenendo presenti sia le esigenze dei bambini
sia gli effetti che una certa organizzazione temporale può avere su di loro.

La giornata educativa ritmo, transazioni e scansioni

La giornata al nido e nella scuola dell’infanzia deve essere prevedibile, scandita in momenti
riconoscibili che si ripetono giorno dopo giorno, ma, al tempo stesso, sufficientemente flessibile,
per venire incontro alle esigenze che i bambini quotidianamente manifestano. La scansione dei
tempi da dedicare alle diverse attività e routine deve inoltre prevedere transizioni dolci tra una
situazione e l’altra, perché i bambini possano lasciare con agio un’attività e prepararsi alla
successiva. Le situazioni della quotidianità devono infine essere coinvolgenti e non prevedere
tempi troppo prolungati di attesa, Per far sì che il tempo al nido e alla scuola dell'infanzia si vissuta
dai bambini come un tempo di benessere, ricco di opportunità positive. Occorre che il ritmo
temporale quotidiano venga monitorato e periodicamente rivisto alla luce di un’osservazione
attenta alle condotte dei bambini, chiedendosi se tutti si dimostrano interessati nelle diverse
situazioni quotidiane e risultano beneficiare delle alternanze proposte. L'idea è che un buon nido e
una buona scuola dell'infanzia siano quelli in cui bambini, secondo un disegno consapevole
dell'adulto, possono godere di una gamma molteplice di attività e di situazioni sociali modo che,
giorno dopo giorno, possono fare esperienza metterci alla prova in situazioni di conoscibili ma
molteplici e differenti.
La continuità dell'esperienza

La percezione della continuità dell’esperienze o al contrario della sua frammentazione, ha una


notevole influenza sulla possibilità di apprendimento, poiché quest’ultimo è strettamente
connesso alla possibilità di integrare le esperienze passate con quelle presenti. Secondo Dewey
Un’esperienza è educativa se da essa si sarà tratto un significato che potrà essere speso
successivamente per affrontare nuove esperienze, Ovvero non sarà fine a sé stessa ma avrà modo
di articolarsi e arricchirsi nel tempo. La progettazione pedagogica considera un tempo più dilatato
rispetto alla singola giornata, tenendo conto della successione ed eventuali variazioni di attività di
routine in relazione A nuove esigenze e ai progressi dei bambini.

La personalizzazione del tempo collettivo

Il nido e la scuola dell’infanzia richiedono nella misura in cui la cura è rivolta non solo il singolo ma
un gruppo, richiedono un certo adattamento del bambino ai tempi e ai ritmi collettivi, che non può
e non deve essere richiesto a priori né imposto. La personalizzazione del tempo, cioè il tener conto
delle esigenze del singolo bambino è un aspetto necessario. L’organizzazione temporale di un
servizio educativo per l’infanzia non deve essere tropo vincolata ad esigenze istituzionali. La
personalizzazione del tempo mostra il bambino che le sue esigenze sono rispettate tenendo conto
delle sue effettive capacità delle sue possibilità evolutive. La personalizzazione del tempo deve
però non essere accompagnata don disegno e la giornata non caotico virgola in modo che il
bambino possa riconoscerne il disegno e in tal modo strutturare un senso del tempo condiviso.

Il tempo condiviso: l'autonomia e l'uso sociale del tempo

Una delle principali conquiste del bambino e la progressiva capacità di elaborare un senso del
tempo condiviso. Si parla di tempo condiviso quando il tempo non è più sentito in riferimento
esclusivo all’esperienza propria, ma tiene conto dell’esperienza I delle esigenze delle altre
persone. il passaggio da un vissuto temporale autocentrato a un vissuto sociale non è connesso,
come abitualmente si crede, all’adattamento progressivo ai tempi istituzionali dovuto
all’abitudine, bensì al riconoscimento che lo stare e fare insieme agli altri, sentito come piacevole
e fruttuoso, richiede al bambino una restrizione delle proprie esigenze individuali. Occorre dunque
prestare attenzione al vissuto temporale di ciascun bambino nelle diverse situazioni quotidiane,
permettendogli anche di stare in solitudine, senza sforare o imporre i tempi della collettività.
L’autonomia nell’uso del tempo è una conquista evolutiva importante che non è affatto promossa
dalla coercizione o dalla pura abitudine; al contrario, l’esercizio della negoziazione tra adulto e
bambini circa l’uso del tempo e la possibilità che viene data ai bambini di gestirlo anche
autonomamente sono condizioni favorevoli.

Il tempo e la costruzione dell'identità

La costruzione dell’identità personale è strettamente connessa al percepire la propria esperienza


in una linea temporale di continuità tra passato, presente e futuro. Diverse possono essere le
strategie da introdurre per rafforzare l’identità di ciascun bambino e la continuità dell’esperienza
personale. È opportuno segnalare l’importanza del racconto, che consente di dare significato
all’esperienza vissuta, collocando temporalmente e consequenzialmente gli avvenimenti personali
e sociali. Documentare la storia del bambino mediante immagini e racconti, coinvolgere in questo
anche i genitori, ripercorrere insieme ai bambini ciò che è successo durante la giornata o nel corso
di eventi particolari, sono tutti esempi di come sia possibile sostenere nel nido e nella scuola
dell’infanzia l’elaborazione di un senso di identità nell’infanzia.

4. IL GIOCO

L’attività ludica non è semplicemente una condotta attraverso cui il bambino può apprendere e
svilupparsi, ma rappresenta il suo modo peculiare di stare al mondo, di rapportarsi alla realtà e di
esprimere il suo punto di vista su di essa. Si può dire che il gioco è la “voce” stessa del bambino.

4.1 Gioco ed educazione

Per illustrare perché e come opportuno che è un contesto educativo per l'infanzia da 0 6 si
rapporti al gioco, occorre innanzitutto chiarire la peculiare natura della realtà ludica, Si considera
prima di tutto articolata descrizione data da Caillois Delle caratteristiche che individuano il gioco
come tale si metterà in evidenza quindi sulla base della proposta di questo autore, gioco ed
educazione possono sembrare realtà quasi incomprensibili , ma anche che il rapporto controverso
tra queste due alta può essere risolto positivamente se si considera il gioco dal punto di vista del
bambino; si cercherà quindi di approfondire cosa rappresenta l'attività ludica per il bambino e
virgola su queste basi si presenteranno gli aspetti che caratterizzano un buon contesto educativo
0-6 per il gioco.

4.1.1 La natura del gioco

Roger Coillois Il suo libro i giochi e gli uomini sviluppa la definizione di gioco data dallo storico
olandese Huizinga Individuando con una certa precisione gli aspetti che caratterizzano la realtà
ludica e la differenziano da quella non ludica: il gioco è libero, separato, incerto, improduttivo,
regolato, fittizio.

Libero → chi gioca decide di farlo spontaneamente e in modo del tutto volontario, per il solo
piacere di farlo, così come è del tutto libero di scegliere quando uscire dal gioco. In questo senso
non si può imporre a qualcuno di giocare, perché chi gioca sotto costrizione non sta davvero
giocando. Chiedere a qualcuno di giocare è quindi come chiedere a qualcuno di amarci, o di essere
spontaneo.

Separato → il gioco è un universo separato dal resto dell’esistenza e chiuso alle interferenze del
mondo che sta fuori. Qualsiasi gioco ha un suo spazio fisico e virtuale, che segna i confini con ciò
che gioco non è. Anche il tempo del gioco è delimitato e separato. Nel caso del gioco libero dei più
piccoli, la durata non è stabilita a priori, ma è molto chiaro a chi partecipa quando qualcuno
termina di giocare e rientra nel tempo della realtà non ludica.

Incerto→ per qualsiasi gioco non è possibile prevedere né il suo svolgimento né il suo esito. Ciò
vale sia per i giochi con regole predeterminate che per quelli liberi.

Improduttivo → si gioca per giocare, per il piacere di farlo. Perciò si può dire che il gioco non crei
nulla di nuovo al di fuori di sé stesso, e in ciò si differenzia totalmente da un’attività svolta con un
obiettivo esterno, per ostruire o ottenere qualcosa.

Autoregolato → pur essendo un’attività libera, il gioco è sempre caratterizzato da regole. Anche il
gioco cosiddetto libero è regolato. Nel caso del gioco simbolico vale la regola che tutto quello che
si fa è per finta, consiste cioè nella rappresentazione fittizia della realtà. Nel gioco di esplorazione
dei materiali, o in quello libero motorio, sono le regole fisiche della realtà concreta a ritmare e
vincolare la pur presente libertà d’iniziativa del giocatore.

Fittizio→ chi gioca è sempre accompagnato dalla consapevolezza di trovarsi in una dimensione di
realtà diversa, di estraniarsi temporaneamente dalla vita ordinaria, tale per cui sa in ogni
momento con chiarezza di star agendo per gioco.

4.1.2 Educazione e gioco, un rapporto complesso

Gioco e educazione sembrano configurarsi come due realtà opposte e incompatibili. Alla
spontaneità e piacevolezza del gioco di contrappone l’intenzione educativa di proporre e anche di
imporre esperienze, conoscenze, condotte che il bambino è tenuto in maniera più o meno
costrittiva ad accettare, acquisire, adottare. Se il gioco appartiene a una dimensione del reale
separata e straordinaria rispetto alla vita consueta, l’educazione è una parte consistente della vita
quotidiana dei bambini. All’incertezza del gioco, si contrappone l’intenzione di certezza di chi
educa. Infatti, chi ha un ruolo educativo definisce in genere a priori sia gli obiettivi che intende
raggiungere in termini di apprendimento e di crescita nei bambini, sia le strategie e i percorsi con
cui perseguirli. L’improduttività del gioco ha come contropartita la vocazione produttiva
dell’educazione. Le regole che caratterizzano qualsiasi gioco hanno la particolarità di essere
spontaneamente assunte dal giocatore. Che scegliendo liberamente di giocare sceglie anche di
stare dentro alle regole del suo gioco. Come il gioco anche l'educazione è una realtà regolata,
tanto più quanto più gli obiettivi e percorsi per raggiungerli sono interpretati rigidamente e
imposti, piuttosto che concordati con i bambini. A differenza del gioco però, le regole
dell'educazione non sono liberamente assunte dal bambino, sia perché non può decidere se e
quando farlo sia perché difficilmente a modo di esprimersi rispetto ad esse. Infine, al chiaro senso
di “irrealtà straordinaria” che accompagna chi gioca si contrappone il vissuto di realtà ordinaria del
bambino nella situazione educativa, la chiarezza che ciò che sta facendo lo fa per davvero e sul
serio. Da una parte la ricerca psico-pedagogica ha ampiamente riconosciuto il significato evolutivo
del gioco, e perciò avverte gli educatori che non possono svolgere il proprio compito senza
attribuire un posto importante all’attività ludica del bambino nella propria prospettiva e pratica
educativa. D’altra parte, però l’educatore riconosce le qualità particolari e complesse del gioco. Il
gioco è delicato e per essere davvero gioco, deve essere lasciato a sé, in quanto qualsiasi
intervento rischia di rovinare la spontaneità e di deviarne i percorsi facendo vacillare la sua fragile
struttura. Questo rischio è particolarmente presente nel caso dell’intervento educativo. Questa
ambivalenza può portare l’educatore a risolvere il disagio attivando due possibili atteggiamenti:
Da una parte è possibile che prevalga l’intenzione di tenere il gioco dentro l’azione educativa,
arrivando a utilizzarlo come cattura didattica per invogliare il bambino a dedicarsi ad attività che
mirano a sostenere competenze e conoscenze; D’altra parte, vi è la possibilità che abbia il
sopravvento la tutela del gioco interpretata in modo assoluto, tanto da portare l’educatore ad
astenersi da qualsiasi intervento. Il superamento di questa presunta incompatibilità tra gioco e
educazione richiede un cambiamento di prospettiva: si tratta di non guardare più il gioco in
funzione solo di competenze ma piuttosto chiedendosi che significato ha per il bambino.
4.2 Il gioco dal punto di vista del bambino

Poiché il nostro riferimento è il bambino da zero a sei anni, è necessario prima di tutto precisare a
quale tipologia di gioco dobbiamo far riferimento. su queste basi, sarà possibile provare a chiarire
cosa rappresenta il gioco dal punto di vista del bambino di questa età.

4.2.1Il gioco del bambino piccolo

Piaget concepisce il gioco come un’attività che si esercita al di fuori dei processi di adattamento e
che evolve come conseguenza dello sviluppo delle strutture intellettive. Il gioco è assimilazione
pura, ovvero consiste nell’attivare a vuoto gli schemi, le abilità e le condotte acquisite, per il puro
piacere di esercitarli, al di fuori di qualsiasi finalità; non produce cioè l’avanzamento cognitivo. In
questo senso il gioco è anche egocentrismo puro, in quanto il bambino giocando, piega la realtà
dal suo punto di vista e interesse. 1)
Il gioco di esercizio (da o a 2 anni) è agganciato all’intelligenza senso-motoria. È di tipo
essenzialmente sensoriale e motorio e comprende forme di esercizio semplice, di combinazione
senza scopo, di combinazione con scopo. 2) Il gioco di finzione (da 18
mesi a 7 anni) compare con il passaggio dall’intelligenza motoria all’intelligenza rappresentativa. Il
gioco simbolico evolve diventando sempre meno egocentrico e tendendo, nelle sue forme più
mature e sociali, a riprodurre situazioni reali e a scivolare nel gioco di regole.
3) Il gioco di regole (da 4 a 7 anni) rappresenta il ponte tra l’attività ludica vera e propria e i
comportamenti che implicano un adattamento alla realtà. Si mantiene anche nell’età adulta.
Fuori da queste 3 categorie principali Piaget colloca il gioco di costruzione, il quale, come il gioco di
regole, pur ponendosi tra il gioco puro e la condotta latta, si manifesta in modo trasversale.

4.2.2 Il significato del gioco per il bambino

Comprendere il significato che assume il gioco dal punto di vista infantile non è cosa immediata.
Specie nella prima infanzia, il bambino si esprime sostanzialmente attraverso il gioco.

Il gioco esprime piacere di vivere e restituisce il senso dell'essere

<< L’importanza del gioco risiede innanzitutto nel godimento immediato e diretto che il bambino
ne trae, e che si estende traducendosi in godimento per il fatto di essere vivo.>> (Bettelheim)
Winnicot Si spinge ancora più in là nel tracciare il rapporto tra giocare e vivere quando,
considerando il gioco come prototipo dell’esperienza creativa afferma <<E la percezione creativa,
più di ogni altra cosa virgola che fa sì che l'individuo abbia impressione che la vita valga la pena di
essere vissuta >>.

Il gioco esprime senso di efficacia e di padronanza della mente del corpo

Nel gioco il bambino, soprattutto nella prima infanzia, il corpo ha un ruolo primario Piaget pone in
evidenza come si tratti di un attività soprattutto senso motoria, centrata cioè sulla ripetizione a
vuoto di schemi d'azione già acquisiti al solo scopo di consolidarli e per il piacere funzionale che ne
deriva. Anche il gioco simbolico è molto corporeo: è attraverso i movimenti e i gesti che il bambino
mette in scena le sue trame ludiche. Questo tipo di gioco è soprattutto l’espressione delle prime
forme di pensiero rappresentativo, cioè della capacità di immaginare ciò che si vuole
indipendentemente dal mondo concreto che viene percepito.
Il gioco è espressione e modulazione dell'affettività

il rapporto tra gioco e vita affettiva del bambino è approfondito nell'ambito delle teorie
psicoanalitiche. Il punto di vista psicoanalitico sul gioco può sinteticamente ritrovare nelle seguenti
affermazioni di Bettelheim. Bettelheim afferma che <<tutti i bambini anche i più normali e abili,
incontrano quotidianamente difficoltà che ai loro occhi si presentano come insormontabili
problemi di vita. Agendolì nel gioco, un aspetto per volta, a modo suo, secondo i suoi ritmi, il
bambino può riuscire a far fronte passo per passo ha problemi di grande complessità. >> Questa
visione fu proposta per la prima volta da Freud sulla base dell’osservazione del gioco di suo nipote
Ernst (18 mesi). Con il gioco Ernst, in modo simbolico e inconsapevole, mette in scena la
separazione dalla madre e i sentimenti dolorosi con cui la vive. Ciò gli permette:

1) Di esserne “padrone” In quanto è lui che decide i tempi e le modalità;


2) Di soddisfare i suoi desideri inconsci, ad esempio quello di punire la madre in via del tutto
simbolica e inconsapevole;
3) Di rassicurarsi, confermando a sé stesso che alla separazione segue sempre il
ricongiungimento;
4) Di esplorare i propri vissuti dolorosi stando “al sicuro”, per arrivare a tollerarli e integrarli
nella propria storia.

Il gioco e pensiero creativo

Winnicot mette in evidenza il significato del gioco in relazione ai processi di pensiero creativo, cioè
alla capacità di reinterpretare i modi tipici di rapportarsi e concepire il mondo per delinearne di
inediti. Secondo winnicot il bambino quando gioca, sospende il faticoso lavoro che caratterizza il
suo rapporto usuale con la realtà. Questa sospensione avviene attraverso l’attivazione di un’area
transizionale tra l’interno e l’esterno, -ciò che si desidera- e l’esterno -ciò che è possibile- cioè
l’area ludica. Proprio la compenetrazione tra la dimensione soggettiva e quella oggettiva è il
processo che sta alla base dell’atto creativo, in quanto consiste appunto nell’espressione di parti
interne del soggetto -vissuti, fantasie e pensieri- attraverso la realtà esterna, trasformando
quest’ultima in modo tale che non è più possibile distinguere tra le due componenti. Secondo
Winnicott il gioco è prototipo di qualsiasi atto creativo e dunque e per il bambino la prima
esperienza di creatività, grazie a cui il mondo interno non solo trova espressione in quello esterno,
ma lo verifica.

Il gioco simbolico e la prima possibilità di pensiero rappresentativo

Vygotskij condivide l’idea della stretta relazione tra gioco simbolico e pensiero rappresentativo,
ma considera questo genere di attività ludica non come una conseguenza della comparsa delle
prime forme di pensiero rappresentativo, bensì come un motore del suo sviluppo. Dal punto di
vista del bambino giocare a fare finta è prima di tutto possibilità di immaginare, di sganciarsi dalle
pastoie (intralci) imposte dal mondo percettivo e quindi di sperimentare una nuova libertà
mentale.

Il gioco simbolico è esplorazione

Vygotskij mette in evidenza il significato del gioco simbolico in relazione all’esplorazione di ruoli,
regole, habitus sociali. Lo studioso riporta l’esempio di due sorelle che giocano a fare finta di
essere sorelle, commentando che in questo modo le bambine esplorano cosa significhi essere
sorelle, che tipo di relazioni e regole competono a questo ruolo nel contesto socio-culturale cui
appartengono. Anche il gioco prototipico, cioè quello in cui il bambino usa gli oggetti per quello
che sono ma in una situazione fittizia, è già una forma di gioco simbolico, in quanto gli oggetti
vengono utilizzati per quello che rappresentano nel contesto socio-culturale di appartenenza,
dunque appunto per il loro significato sociale. Sembra in definitiva di poter dire che per il bambino
dedicarsi a questo tipo di gioco rappresenti l'importante esordio nel mondo dei significati, con la
esaltante e del tutto inedita esperienza dei processi attraverso cui è possibile manipolarli
mentalmente.

Il gioco simbolico tra pari è sforzo di decentramento

Il gioco socio-drammatico richiede uno sforzo di decentramento non da poco per bambini in
un’età ancora fortemente caratterizzata da egocentrismo: la spinta per affrontare questo sforzo è
data dalla motivazione a giocare con gli altri, dal valore aggiunto connesso alla possibilità di
condividere con i compagni mondi affettivi, creativi e immaginativi personali. Per il bambino il
gioco sociale è sforzo di comprendere i compagni e farsi comprendere. Perché sulla sua riuscita si
fonda la possibilità di giocare insieme e quindi di realizzare uno scambio relazionale.

Il gioco in particolare quello simbolico è espressione della cultura dei pari

Il gioco simbolico è uno dei mezzi di espressione delle culture dei pari. Dal punto di vista dei
bambini, il gioco simbolico sociale ha anche il significato di contribuire a costruire ed esprimere
una propria cultura di gruppo.

Il gioco simbolico e un intreccio di competenze

La complessità del gioco simbolico viene ripresa e puntualizzata nella SVALSI, uno strumento per
l’osservazione e l’analisi delle abilità ludico-simboliche. La SVALSI, individua 5 competenze
principali che le attraverserebbero:

1) La decontestualizzazione, Cioè la capacità di comportarsi indipendentemente dal contesto


percepito;
2) Il decentramento, cioè la capacità di tenere conto dei punti di vista altrui;
3) L’integrazione, cioè la capacità di coordinare più elementi in modo coerente;
4) Il controllo dell’esecuzione, cioè la capacità di utilizzare le verbalizzazioni per dirigere i
comportamenti;
5) La competenza sociale, cioè La capacità di condividere azioni, proposte, progetti con i
compagni di gioco;

4.3 Servizi per l'infanzia 0-6 di qualità per il gioco: alcuni indicatori

La chiave per sciogliere l’apparente incompatibilità tra educazione e gioco è proporre come finalità
educativa l’attività ludica. Sviluppando questa proposta, un buon contesto educativo per il gioco
poggia sui seguenti presupposti di fondo:

1) Il gioco viene riconosciuto come condotta vitale per il bambino;


2) Ciò comporta , dal punto di vista educativo, sostenere il gioco per se stesso, vendo come
obiettivo la sua promozione e non quella dei processi/competenze/apprendimenti che lo
attraversano;
3) Il gioco ha quindi un posto centrale nella definizione della proposta pedagogica rispetto a
tutte le sue dimensioni, che devono essere pensate e realizzate avendo tra le finalità di
fondo la promozione del gioco stesso;
4) il gioco è la ”voce” del bambino, perciò deve essere “ascoltato” con attenzione e
considerato come un interlocutore privilegiato nel dialogo attraverso cui la proposta
educativa viene definita, verificata e valutata.

4.3.1Progettazione monitoraggio

Un servizio educativo 0-6 di qualità per il gioco attribuisce esplicitamente alla realtà ludica un
ruolo centrale nei documenti in cui dichiara la sua identità educativa. In questi documenti viene
affermato l'importanza del gioco per il benessere la crescita infantile virgola e si dichiara che
spazzi, materiali, tempi, gruppi ed esperienze educative vengono pensati anche per sostenerlo
nella varietà delle sue manifestazioni. Il gioco viene riconosciuto come “voce” del bambino, quindi
come un riferimento imprescindibile per realizzare la sua partecipazione alla costruzione del
percorso di crescita. L’osservazione delle condotte ludiche infantili, e soprattutto l’analisi di
quanto osservato per comprendere quali sono gli interessi e i bisogni del bambino, sono indicate
come base sia per progettare interventi di promozione del gioco, sia per strutturare la proposta
educativa.

4.3.2 Spazi

Nelle singole sezioni ma anche negli spazi comuni, l’ambiente deve essere strutturato in modo da
prevedere un certo numero di angoli raccolti e protetti, tematicamente differenziati. È importante
che sia presente anche uno spazio aperto e sgombro, eventualmente attrezzato con strutture ad
hoc, in modo che anche i giochi motori possano essere svolti liberamente. L’articolazione degli
spazi in angoli di gioco deve essere pensata nell’insieme, cioè tenendo conto sia degli spazi sezione
sia di quelli comuni interni ed esterni, in modo da potenziare al massimo l’offerta di angoli gioco,
differenziandoli o viceversa duplicandoli in base anche alle esigenze osservate nei bambini stessi.
L'articolazione degli angoli deve essere flessibile, cioè non deve rimanere fissa per periodi troppo
lunghi ma essere modificata principalmente in base ad esigenze ludiche via via emergenti dei
bambini. Un altro aspetto che qualifica fortemente in senso ludico gli spazi in servizi educativi 0-6
è il loro essere aperti alla libertà di esplorazione da parte dei bambini. Dall'altra parte per
consentire a tutti i bambini del servizio di usufruire delle varie possibilità offerte dagli angoli ludici,
con particolare riferimento a quelli in comune tra sezioni, dovrebbe essere programmato anche un
utilizzo a rotazione, che va proposto senza forzature.

4.3.3 Materiali

Per enfatizzare l’intreccio tra invito a giocare e apertura alla scelta del tipo di gioco, i materiali
dovrebbero essere selezionati a partire dia seguenti criteri. Il raggruppamento tematico dovrebbe
presentare sia oggetti tematicamente definiti sia materiale non strutturato. Inoltre, il materiale a
disposizione nei diversi angoli dovrebbe essere di quantità sufficiente e non eccessiva, così come
dovrebbe essere di qualità varia, ma non troppo. Due criteri che dovrebbero guidare la scelta dei
materiali sono da una parte gli interessi e i bisogni rilevati nei bambini attraverso l’osservazione
dei loro giochi, dall’altra i convincimenti educativi del gruppo di lavoro. La progettazione dei
materiali da mettere a disposizione, la sua valutazione e il suo monitoraggio nel tempo devono
essere realizzati dal gruppo di lavoro in modo condiviso.
4.3.4 Tempi

Per sottolineare la rilevanza del gioco dovrebbe essergli dedicato un momento da “esperienza di
apprendimento”, cioè dovrebbe essere proposto almeno una volta alla settimana nel periodo
centrale della mattinata, quello solitamente occupato da attività educative mirate. Il tempo per il
gioco deve essere un tempo rilassato e il meno possibile interrotto o frammentato.

4.3.5 Gruppo di bambini

Per sostenere il gioco e la sua rilevanza in un contesto educativo 0-6, occorre progettare,
realizzare e monitorare nel tempo anche situazioni di aggregazioni tra bambini che siano
favorevoli per l’attività ludica. In primo luogo, ai bambini dovrebbero essere garantiti momenti
quotidiani di libera aggregazione. Accanto a ciò dovrebbe essere prevista l’organizzazione regolare
di gruppi di gioco diversificati.La partecipazione a gruppi di gioco organizzati dovrebbe essere
proposta ai bambini senza forzature, in modo che sia sempre sorretta da un’autentica
motivazione. Dovrebbe anche essere garantita la possibilità di giocare da soli e fuori dallo sguardo
dell’adulto quando questo risponde a un’esigenza del bambino rilevata tramite l’osservazione,
compatibilmente con esigenze di sicurezza.

4.3.6 Il ruolo dell’adulto

Bettelheim è molto chiaro nell’affermare il ruolo fondamentale che ha per il bambino la


possibilità di giocare con i genitori, vale a dire con adulti significativi dal punto di vista relazionale e
educativo. Bondioli e Savio parlano di promozione dall’interno per delineare le modalità con cui
l’operatore educativo può rapportarsi al gioco dei bambini senza snaturarlo, anzi rispettandolo e
promuovendolo, in un servizio educativo 0-6. Per promuovere il gioco dall’interno l’educatore
dovrebbe:

1) Mettersi a disposizione dei bambini, rispondendo alle loro richieste di partecipazione


oppure proponendosi come compagno di giochi e accettando anche un loro eventuale
rifiuto;
2) Sollecitare l’iniziativa ludica dei bambini quando non si manifesta, ma in modo aperto,
dirigendola il meno possibile;
3) Lasciarsi coinvolgere dal gioco dei bambini quando non si manifesta, ma in modo aperto,
dirigendola il meno possibile;
4) Farsi guidare dai bambini accettando tutte le loro iniziative di gioco, con il solo limite del
rispetto dell’ambiente e del benessere dei partecipanti;
5) Provare a espandere le iniziative ludiche dei bambini con proposte congruenti ad esse e
mai deviandole su percorsi diversi decisi dall’adulto;
6) Modulare il tono emotivo del gioco attraverso le sue proposte, facendo in modo che il
coinvolgimento sia sempre intenso ma non troppo, non così tanto da determinare la
rottura del gioco stesso.
7) Suggerire condotte ludiche appena più evolute rispetto a quelle attivate dai bambini;
8) Favorire il gioco tra i bambini;
9) Proporsi come custode della memoria del gioco, ricordando gli spunti, i percorsi e le
trame fin lì attivati;
10) Offrirsi come garante del gioco deciso insieme e delle regole che lo riguardano;
11) Rispettare sempre, quali che siano la sua proposta e l’intento del suo intervento, il volere
ludico del bambino,
Risulta evidente che la promozione del gioco all'interno consiste in un insieme di strategie
complesse, perciò, dovrebbe essere prevista per gli operatori educativi una formazione in servizio
regolarmente rinnovata. accettando di lasciare cadere la propria iniziativa se coglie segni di rifiuto
insofferenza da parte da del bambino stesso. Oltre impegno degli operatori educativi nelle loro
relazioni con il gioco dei bambini, Dovrebbero essere previste dal gruppo di lavoro forme di
coinvolgimento allargato per il riconoscimento dell’importanza del gioco, rivolte a tutti gli adulti
che partecipano al servizio educativo e sono in relazione con i bambini. Infine, anche in questo
caso, il significato della partecipazione dell’adulto il gioco del bambino nonché la sua
progettazione, valutazione e monitoraggio sulla base dell'osservazione devono essere attivamente
condivisi dal gruppo di lavoro con la divisione dei carichi di responsabilità e di lavoro che ciò
comporta.

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