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I GRANDI NEL MONDO DEI PICCOLI

La relazione tra educatori e genitori nei servizi per la prima infanzia


Capitolo primo
Le motivazioni: non è scontato che un servizio per la prima infanzia cerchi di sviluppare concretamente il
rapporto con i genitori, sebbene a livello teorico tutti sappiamo che è importante essere co-educatori,
educatori insieme, ciascuno con i proprio ruoli e le proprie competenze.
1. La relazione nido-famiglia: l’educazione storico-culturale
Le diverse tipologie dei servizi per la prima infanzia hanno rispecchiato fedelmente i differenti contesti
sociali e culturali in cui si sono inserite.
Legge n. 6972 del 1890 e nel relativo Regolamento: nell’ambito del sistema di beneficenza pubblica, si
forniscono disposizioni per la costruzione dei luoghi deputati all’accoglienza di bambini molto piccoli, i
cosiddetti “presepi” (rivoluzione industriale);
 Legge n. 2277ndel 1925, l’Opera Nazionale per la protezione della Maternità e dell’Infanzia (OMNI) in
pieno regime fascista;
Queste istituzioni restavano sotto il controllo del Ministero della Sanità, le operatrici erano prive di qualsiasi
formazione specifica. L’organizzazione non si basava su alcuna programmazione di attività. Inoltre, i piccoli
erano fin da subito spinti verso l’autonomia. In questo periodo storico la relazione con i genitori era
pressoché inesistente.
 Legge n. 1044 del 1971, svolta importante per la prima volta in Italia, lo Stato si assume un impegno di
responsabilità verso i servizi per la prima infanzia, campo in cui fino a quel momento si era occupata la
beneficenza pubblica. In questo momento storico si assiste ad una riqualificazione dell’istituzione chiamata
a garantire non solo l’assistenza sanitaria, ma anche un intervento di carattere pedagogico sul bambino.
(1° fase di costruzione del rapporto nido-famiglia)
Negli anni 80, si crea una determinata consapevolezza dell’importanza rivestita dalle relazioni tra i diversi
contesti di crescita per lo sviluppo del bambino. Vengono organizzati momenti in cui le educatrici mostrano
ai genitori all’interno del nido le diverse attività strutturate che vengono proposte. La relazione tra
educatrici e genitori non è alla pari, in quanto il nido si pone nei confronti della famiglia con atteggiamento
critico.
1.1 Il nido come scelta culturale
Negli anni 90, ci furono dei cambiamenti sociali che stimolano un ripensamento dell’istituzione del nido
affinché questa diventi un vero e proprio luogo di relazioni. Il nido diventa una vera e propria scelta
culturale, come un’opportunità di crescita per tutti i bambini, indipendentemente dalle urgenze della
famiglia. Il nido ha iniziato a proporre spazi dedicati ad un rapporto individualizzato e personalizzato con le
famiglie, attraverso i colloqui.

Nel panorama attuale, i servizi dovrebbero essere in grado anche di rispondere non solo ai bisogni
organizzati della famiglia “a doppia carriera”, ma ai bisogni di socializzazione e sostegno di tutte le famiglie
per permettere loro una integrazione con la comunità in cui vivono e contribuite al rafforzamento delle
competenze educative dei genitori al fine di migliorare la qualità della relazione genitore-figli. Oggi i servizi
per la prima infanzia di pongono come contesti di educazione familiare, a rassicurarli e riqualificare il loro
ruolo sociale. Tale processo può avere esiti positivi solo se i genitori si renderanno attivi interlocutori.
2. Perché incontrare i genitori?
I contesti educativi sono differenti, ma si lavora su un soggetto comune, il bambino, quindi l’unitarietà del
bambino rende necessaria la relazione tra educatrici e famiglia. Entrare in relazione significa di fatto
condividere gli obiettivi educativi. La motivazione di collaborazione con la famiglia: la condivisione della
crescita del bambino e l’essere co-educatori. Perché ci sia condivisione è necessaria la disponibilità, da
parte di ciascuno, a conoscere l’altro, ad aprirsi in maniera non giudicante ai pensieri e alle emozioni altrui,
ad avere fiducia nelle reciproche capacità. Il primo passo utile è quello di accettare la famiglia del bambino
per quella che è. In secondo luogo, è fondamentale poter parlare con le famiglie del obiettivi educativi.
Informarsi su come si comporta il bambino a casa, non significa “impicciarsi” a giudicare gli affari altrui, ma
semplicemente è un condividere per sostenere al meglio il piccolo nella crescita.
3.1 Condividere gli obiettivi
Le intenzioni tra famiglia e nido possono essere lette a diversi livelli, dove ciò che si dice con le parole è solo
la parte più esterna e spesso quella che veicola meno significati. Alla base del modo di essere e di porsi nei
confronti dell’altro ci sono le motivazioni.
3.1 Perché quel genitore di comporta così?
il genitore non ha mai l’intenzione di mettere il bastone fra le ruote alle educatrici, né di sminuire il servizio
offerto, anche se alcuni comportamenti possono far pensare il contrario. A volte le reazioni dei genitori
sono vissute solamente come giudizi positivi o negativi verso il servizio e l’operato delle educatrici. Può
essere utile riconoscere che sotto a tutte queste reazioni stanno diverse questioni, non sempre facile da
cogliere.
Il genitore, interessandosi della giornata del piccolo, può sentire il bisogno di dimostrare alle educatrici
quanto sia bravo e amorevole verso il figlio, o confrontandosi su spetti di gestione del piccolo, quanto sia in
linea con la prospettiva educativa del servizio, perché teme di non essere un genitore presente e
competente per il figlio;
la mamma che tutte le mattine, agli occhi delle educatrici, sembra voler “far piangere” il figlio durante
l’accoglienza, può essere in realtà terrorizzata dall’idea che il bambino possa voler più bene alla sua
educatrice piuttosto che a lei, si sente in colpa nell’”abbandonarlo” lì.
Appare evidente come i comportamenti della famiglia verso il servizio a cui affidano i loro figli sono per lo
più mossi da vissuti personali, che poco hanno a che fare direttamente con la persona reale dell’educatrice.
Il genitore si presenta per quello che è, e se gli chiudiamo la porta solo perché ci sentiamo attaccati, senza
cogliere che sono presenti altre motivazioni personali sottostanti ai suoi comportamenti, non gli daremo
mai la possibilità di essere realmente co-educatori insieme al nido.
3.2 Mando mio figlio al nido, così impara le regole
il compito educativo di un servizio per la prima infanzia non è il semplice far imparare la convivenza sociale
e le regole; a volte l’essere autorevoli e porre limiti ai piccoli “sovrani” è spesso vissuto in contrasto (e non
in continuità come dovrebbe essere) con gli aspetti educativi più affettivi (coccole) della relazione. Tra i
genitori c’è chi ha il coraggio di dire dei “NO”. A chi tocca il compito di porre limiti al bambino? Accendendo
la televisione, sembra che questo compito sia stato assunto dalle tate, che vanno nelle famiglie a “rimettere
ordine” attraverso delle regole. Oggi è cambiato il fulcro centrale della famiglia, prima il coniuge era un
elemento fondamentale, oggi è quasi un accessorio secondario, mentre elemento fondamentale e fondante
è il figlio. Il figlio è colui che rende stabile la famiglia, perché una madre non smetterà mai di essere madre e
un padre non smetterà mai di essere padre, anche se madre e padre hanno smesso di essere marito e
moglie. Questa situazione però sta portando a una perdita della capacità educativa genitoriale. Il genitore
fatica a dare regole, e dire dei “NO”, perché l’imposizione di un limite genera contrarietà nel bambino, una
contrarietà che fa paura, dal momento che mette in pericolo il proprio sentirsi genitori amati e amabili e la
stabilità dell’asse genitore-figlio.
3.3 Stiamo “GIOCANDO” insieme in questa relazione
Pare proprio che la famiglia, e la società, abbia domandato al nido il ruolo di “tata” che dà le regole. E
abbiamo l’impressione che il nido, che è parte integrante della società assuma collusivamente tale ruolo.
Forse essere dalla parte del “chi dice no” è funzionale al fatto di ritagliarsi un ruolo e assumere un’identità,
come nido e come singole educatrici che lavorano al suo interno. Non è, perciò, solo colpa dei genitori che
scarico sul nido, ma in tutto questo ha un ruolo anche il nido che accetta di fare questo gioco. Le reazioni a
queste richieste (“insegna tu le regole a mio figlio”), che avvengono a volte esplicitamente con le parole,
ma più spesso implicitamente con i comportamenti sono di 2 tipi:
1) l’educatrice specialmente quando è alle prime armi, può sentirsi contento e orgoglioso di poter
consigliare il genitore, di poterlo guidare verso le nuove tappe di sviluppo del figlio, sentendo la fiducia che
la famiglia pone nella sua professionalità.
2) al contrario, l’educatrice può anche sentirsi imbrigliato in responsabilità che dovrebbe assumersi prima di
tutto la famiglia, perché se da un lao è bello poter essere una persona a cui il genitore può riferirsi,
dall’altro lato si rischia di ritrovarsi con incombenze sempre maggiori e si è esposti al rischio di ritrovarsi con
incombenze sempre maggiori e si è esposti al rischio di critica e colpe in caso di fallimento.
nelle 2 reazioni descritte ciò che appare evidente è la presenza, in realtà, di un solo soggetto nella
relazione: ci sono io educatrice che ti guido o ci sei tu genitore che devi riprenderti le responsabilità. Solo
uscendo da questa logica mono-personale ed entrando in una logica bi-personale (incontro tra soggetti),
realmente ci si può muovere come co-educatori.
3.4 Ti fidi di me?
a volte accade inconsapevolmente che si agisca con gli altri per affermare il proprio ruolo, la propria
identità e il proprio valore e così facendo eliminiamo, di fatto, l’altro soggetto dalla relazione, perdendo
l’importante contributo che l’altro, per quanto incompetente o folle possa sembrarci, può darci. Nei corsi
di formazione proponiamo solitamente un breve e divertente role-playing, in cui si mette in scena relazione
tra educatrice e genitore. Chi osserva dall’esterno può cogliere chiaramente come, al di là delle parole
dette, ciascun soggetto sia spinto da motivazioni proprie che vanno oltre alla condivisione di informazioni
sul bambino e sul contesto in cui sta crescendo. Se partiamo dal presupposto che ci si può fidare sia del
genitore sia del proprio operato, le difficoltà relazionali con le famiglie si ridurranno di molto e si potrà
essere insieme nell’educazione dei bambini.
Capitolo secondo
Chi? I protagonisti
1. Un punto di vista
l’uomo è per definizione un essere complesso, il suo sviluppo è influenzato da molti fattori che
interagiscono tra loro. L’educatrice viene a ricoprire una posizione importante tra le varie “complessità” del
nido e gli è richiesto di sapersi confrontare con ciascuna di esse e, spesso, di saper mediare tra tutte le
persone coinvolte. Avere a che fare con la complessità è una sfida arricchente, dove è in gioco la creatività
di ciascuno. I concetti fin qui illustrati rientrano nella più vasta concezione della Teoria Generale dei Sistemi
che può essere definita come una teoria del cambiamento, poiché ci permette di avere uno sguardo attento
non tanto e non solo su com’è una persona nel qui e ora, ma anche e soprattutto sui possibili sviluppi di
persone e relazioni, in altre parole sulla dimensione processuale della vita. Tale approccio parte dalla
convinzione che un evento è frutto della relazione tra le parti che lo compongono e tra queste e altri eventi
esterni. Il sistema umano ha le caratteristiche di essere dinamico, aperto, in equilibrio, in grado di regolarsi
autonomamente.
1.1 Il cambiamento
parlare di cambiamento non implica teorizzare un passaggio da uno stato negativo ad uno più positivo,
infatti quando si cambia si raggiunge un nuovo livello di adattamento nel sistema, non perché il precedente
era negativo, ma semplicemente perché non andava più bene al sistema. I cambiamenti non potrebbero
avvenire se i singoli sistemi non fossero attivi essi stessi nel cambiamento. Secondo la TEORIA GENERALE
DEI SISTEMI il cambiamento non è, quindi, qualcosa che proviene dall’esterno, ma ogni soggetto è sempre
protagonista del suo modo di funzionare. La relazione nido-famiglia ha il compito di creare un contesto
favorevole all’emergere di nuovi livelli di coerenza del sistema, ponendosi quindi come contesto che
sostiene il cambiamento non solo del bambino, ma anche dell’educatrice, del genitore e del nido stesso.
1.2 il sistema diadico genitori-educatrici
in questo determinato sistema educatrice-genitore può essere utile focalizzarsi in alcuni punti:
la rappresentazione che l’educatrice ha di questo specifico sistema diadico di cui fa parte e del
funzionamento dei singoli soggetti:
le credenze circa i ruoli educativi di ciascuno dei soggetti coinvolti e le modalità di relazione tra educatrici
e genitori;
le ricadute del funzionamento del sistema educatrice-genitore sia sullo sviluppo del bambino che
sull’organizzazione delle attività al nido, oltre che sui soggetti della diade.
Non sono gli scontri con i genitori, le difficoltà di relazione, l’assenza p l’eccessivo coinvolgimento del
genitore alla vita del nido a creare problemi nella totalità del sistema-nido e nei sistemi-soggetto. Anzi,
difficoltà, scontri e mancati incontri, se non persistono nel tempo, sono delle possibilità che il sistema ha
per crescere, per creare qualcosa di nuovo, per accedere a un nuovo funzionamento sempre più adattivo.
Un passo verso la flessibilità è quello di “guardarsi con onestà” cioè riuscire a cogliere alcuni aspetti di sé.
2 Cosa pensano le educatrice dei genitori?
le idee sui genitori che si fanno le educatrici sono rappresentazioni importanti e valide, se si sta attenti che
non diventino idee assolute, perché in tal caso rischierebbero di chiudere, piuttosto che di rendere
comprensibile, il rapporto con le famiglie, dandosi la possibilità di cambiamento. Il pensiero che si ha dei
genitori bisogna tirarli fuori per poi rifletterci su con calma, piuttosto che lasciarli relegati nel profondo di
noi stessi, rischiando così che emergono in maniera involontaria nelle modalità comunicative che adottiamo
con i genitori. In un’indagine sulle rappresentazioni che le educatrici dei servizi per la prima infanzia hanno
del loro lavoro, abbiamo potuto constatare come spesso i genitori siano sentiti più un ostacolo che una
risorsa per le educatrici. Nelle relazioni si è sempre coinvolti in più soggetti, per cui se le cose funzionano o
non funzionano certamente stiamo contribuendo anche noi nel far andare in quel modo il rapporto.
3. Siamo diversi, evviva!
Bisogna prendere atto e accettare che la singolarità di ciascuna persona coinvolta nel nido non potrà mai
essere conosciuta e compresa fino in fondo. In realtà, ciò che facciamo non è conoscere ciò che l’altro
pensa e prova o le sue intenzioni ma è crearci una nostra rappresentazione di “chi è” l’altro o di come
vorremmo che fosse; questa rappresentazione è inevitabile il frutto di ciò che noi siamo, delle nostre
esperienze e conoscenze. È anche e soprattutto attraverso la conoscenza di noi stessi che si ha la possibilità
di svolgere al meglio la professione educativa.
ciò che l’educatrice può fare è accettare la diversità del genitore, le sue emozioni e i suoi comportamenti,
senza imprigionare l’altro in ciò che si vorrebbe che fosse. Ogni relazione educativa è unica, nessuno
sostituisce nessun altro, ad esempio non si fa da “mamma” al bambino, la relazione educatrice-bambino è
una nuova relazione, che diventa contesto di sostegno per la crescita. L’educatrice affianca il genitore, e
attraverso l’accettazione dell’altro, può certamente sostenerne le competenze educative. È la diversità
dell’altro, il fatto che un genitore si comporti in maniera differente da quella che desidereremmo, che ci
pone interrogativi, diventando così non un limite, ma una risorsa. La diversità porta ad essere creativi e
flessibili, ad ampliare le proprie vedute, a stupirsi scoprendo aspetti di noi e dell’altro che non avevamo
ancora considerato.
4. Quali ruoli e per chi?
Non sempre la definizione del ruolo è chiara e questa situazione rischia di avere forti ripercussioni sulle
educatrici stesse, che talvolta tendono a sentirsi svalutate e non comprese da quegli stessi genitori che
affidano loro i figli per buona parte della giornata. Sia il genitore che le educatrici, nella prima infanzia
hanno molto in comune, entrambi si prendono cura del bambino da ogni punto di vista; sia la relazione con
il genitore sia quella con l’educatrice sono asimmetriche, ossia c’è un responsabile (adulto) e c’è un
soggetto che necessita di protezione e accudimento (bambino). L’educatrice è una professionista con
specifiche competenze, il genitore non lo è. Le competenze dell’educatrice e la sua capacità di metterle in
atto in modo consapevole, “pensato”, costruito con l’esperienza e il confronto, sempre con un obiettivo in
mente. Non tutte le mamme hanno gli strumenti, la possibilità, la motivazione di cercare soluzioni
alternative e questo può spiazzarle di fronte a un’educatrice che, applicando metodi per lei incomprensibili,
ottiene ai suoi occhi risultati migliori. Questo può incuriosirla, ma anche preoccuparla e farla sentire
inadeguata. L’educatrice in quanto professionista ha un bagaglio di conoscenze e di esperienze che le
permette di conoscere e applicare più modalità di lavoro, ha avuto il tempo per consolidare un “fare”
educativo specifico, ha avuto continui confronti con colleghe e coordinatori.

4.1 Tempo per le famiglie


negli ultimi anni molte leggi regionali hanno promosso il potenziamento dei servizi integrativi rivolti alla
prima infanzia. Questo ha permesso ai nidi pubblici, ma anche ai privati, di affiancare al classico servizio del
nido progetti di carattere educativo più innovativi, in un’ottica che prevede il sostegno alla genitorialità.
il bambino piccolo da individuo in completa simbiosi con la figura materna è oggi considerato un soggetto
competente, in grado di instaurare relazioni significative fin dalle fasi di vita più precoci. Il “Tempo per le
famiglie” è sostanzialmente uno spazio che accoglie coppie adulto-bambino in presenza di un’educatrice,
che è impegnata a sostenere e facilitare la relazione e l’interazione tra i due membri della diade. Tali servizi,
condividono una duplice finalità:
1) quella di costituire una nuova modalità di sostegno e supporto alla relazione adulto-bambino in uno
spazio protetto e in un tempo completamente dedicato al rapporto.
2) consiste nella proposta di percorsi che favoriscono l’acquisizione di maggior sicurezza da parte del
genitore attraverso il riconoscimento e il confronto con gli altri adulti. Il poter parlare in modo spontaneo e
l’essere ascoltati da altri che hanno lo stesso tipo di esperienza fanno apparire i problemi sotto una luce
diversa e l’esternazione dei propri vissuti esorcizza le emozioni negative. A queste 2 principali finalità si
aggiunge poi la socializzazione del bambino con gli altri pari, in un ambiente educativo che favorisce la
sperimentazione di esperienze plurime e diversificate rispetto a quelle vissute nell’ambiente familiare. In
questi casi l’educatrice riveste un ruolo di mediatore della relazione genitore-bambino con modalità molto
diverse rispetto nido. Ciò implica che per tutta la durata del tempo passato insieme, l’educatrice deve avere
in mente la coppia adulto-bambino, pensando al loro benessere e al loro bisogno e piacere di stare in
contatto. A livello organizzativo, all’educatrice spetta l’allestimento dello spazio e la scelta dei materiali per
accogliere sia gli adulti che bambini. L’organizzazione spaziale deve essere tale da permettere separazioni e
ricongiungimenti facili, attuabili in qualsiasi momento l’adulto o il bambino lo desiderino.
5. I nonni, i genitori e il nido
capita che non siano soltanto mamme e papà a prendersi cura del piccolo all’interno delle mura
domestiche, ma che vi siano altre figure importanti come ad esempio i nonni che sono ormai diventati un
appoggio fondamentale a molti genitori per quanto riguarda non solo la gestione della casa, ma anche del
bambino e della sua educazione. Nei primi anni di vita i bambini possono sviluppare più relazioni
significative contemporaneamente, traendone un “vantaggio evolutivo”: se la figura di riferimento
principale, ad esempio la mamma, non può badare a lui, il bambino avrà comunque la certezza che ci sarà
sempre qualcuno che se ne occupa. Ma è bene ricordare che i nonni non hanno il ruolo dei genitori, così
come i genitori non sono nonni, ognuno ha il proprio specifico ruolo. Sono i genitori che decidono, ai
genitori spettano le regole. È essenziale che le educatrici tengono sempre presente che oggigiorno la
famiglia normale è una “FAMIGLIA MULTIGENERAZIONALE” non è inusuale che nelle famiglie ci siano
membri appartenenti a 3-4 diverse generazioni. Le comunicazioni su eventuali difficoltà con il bambino è
preferibile rivolgerle direttamente ai genitori, riconoscendo così il loro ruolo primario di riferimento per la
crescita del piccolo.
Capitolo terzo
Gli strumenti
1. Comunicare con i genitori
Conoscere i genitori dei nuovi arrivati significa imparare qualcosa su di loro, sulle loro abitudini, su ciò che
amano e odiano, sulle reazioni che manifestano nelle situazioni nuove. Il colloquio diventa un momento per
imparare qualcosa sul genitore stesso, su come egli sa gestire le proprie emozioni, ma anche sulle sue
strategie educative, le sue convinzioni, il suo mood di stare insieme al bambino. La comunicazione tra
l’educatrice e il genitore diventa un momento importante per quest’ultimo, che può vivere nello spazio del
nido un luogo di accoglienza non soltanto per il figlio, ma anche per sé. I genitori non sono professionisti
dell’educazione e anche per loro il nido è un’esperienza nuova e, come tale, possibile fonte dii
preoccupazione. L’altro aspetto da tenere in considerazione è legato alle emozioni con le quali un genitore
si appresta all’esperienza del nido, che possono essere sia positive sia negative. Affiancare i genitori nel loro
ruolo educativo, supportarli nei momenti difficili e contenere le loro ansie è parte integrante del lavoro
dell’educatrice, poiché tali compiti permettono di costruire una buona relazione con le mamme e i papà,
portando, quindi, notevoli vantaggi al bambino e al suo percorso nel nido.
1.1 L’obiettivo
comunicare con i genitori è spesso una necessità: è importante ricevere informazioni rispetto al bambino,
soprattutto quando non lo si conosce bene. La vera finalità, però, è quella di stabilire una collaborazione
fondata su un consapevole reciproco impegno nell’educazione del bambino, della quale devono essere
condivisi principi e metodologie affinché il piccolo sia facilitato nella sua crescita.
2. La comunicazione
affinché tale ambizioso obiettivo possa essere raggiunto occorre che la comunicazione sia caratterizzata da
EMPATIA, SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO, e CONCRETEZZA.
Per empatia si intende “mettersi nei panni dell’altro”, cioè di entrare in risonanza emotiva con l’altro,
riuscendo a percepire le sue emozioni, pur mantenendo da lui una giusta distanza.
Tale atteggiamento si completa grazie alla sospensione del giudizio, ossia la capacità dell’educatrice di
accettare e rispettare quanto detto dal genitore senza giudicare né le sue parole, né le sue competenze
genitoriali. L’educatrice deve necessariamente sospendere il proprio giudizio e deve accettare i genitori per
ciò che sono, cercando di comprendere i valori dei quali sono portatori e i limiti che essi prestano nel
modificare determinati atteggiamenti.
mantenere una comunicazione empatica e non giudicante è più semplice e costruttivo se questa si basa
sulla concretezza, ossia prende in considerazione eventi realmente accaduti e pratici dei quali può parlare
con il genitore.
2.1 la comunicazione non verbale
Ogni interazione umana è caratterizzata da modalità comunicative non verbali, ovvero on legate ai
significati trasmessi attraverso il linguaggio, ma relative a componenti o vocali non verbali, o
comportamentali.
Gli aspetti di comunicazione vocale non verbale non sono completamente lasciati all’interpretazione
personale, alcuni di essi sono codificati all’interno di una specifica cultura.
 In relazione agli aspetti comportamentali non verbali della comunicazione, essi riguardano tutti i gesti
del corpo e i movimenti del volto, volontari e non volontari.
Impostare una conversazione con il genitore significa anche imparare a comunicare efficacemente con i
gesti, essere accoglienti con tutti il proprio corpo, comunicare empatia e comprensione attraverso il viso e
gli occhi.
2.2 L’ascolto
Anche la capacità di ascolto fa parte della comunicazione non verbale: ascoltare non è semplice come
sembra, soprattutto in situazioni già di per sé caotiche, come può essere il nido nel momento dell’ingresso
dei bambini.
ASCOLTO ATTIVO: si intende un metodo che prevede di fornire un feedback (informazione di ritorno) su
quello che si è appena ascoltato, nel quale l’ascoltatore risponde a chi parla basandosi su quanto ha
compreso del messaggio inviatogli. L’ascolto attivo si compone di 5 punti fondamentali:
1) ascoltare il contenuto;
2) capire le finalità;
3)valutare la comunicazione non verbale dell’interlocutore;
4)ascoltare con partecipazione e senza giudicare;
5)controllare la propria comunicazione non verbale.

3. Stimo parlando dello stesso bambino?


Il soggetto della comunicazione  il bambino
Ascoltare quanto i genitori dicono del bambino può fornire indicazioni anche rispetto a come mamme e
papà pensano ai propri bambini, come li considerano, quanto riescono a mettersi sulla loro “lunghezza
d’onda” e a coglierne emozioni e pensieri.
Educatrici e genitori possono vedere i bambini in modo diverso, e se queste differenze diventano oggetto di
conversazione rappresentano sicuramente un arricchimento sia per l’educatrice sia per il genitore, poiché
permettono di evidenziare aspetti del bambino che non erano ancora emersi e di conoscere il suo
comportamento nei diversi contesti di vita.
L’ascolto attivo prevede non solo di ascoltare, ma anche di porre domande all’interlocutore per
approfondire la propria comprensione:
domande aperte, che lasciano la possibilità a chi parla di raccogliere liberamente la propria esperienza;
domande perché, che chiariscono le idee e le motivazioni di chi parla;
domande affettive, questioni riguardanti le emozioni del parlante;
domande induttive, non lasciano spazio alle riflessioni personali e a eventuali critiche;
domande multiple, caratteristiche di chi rende a porre più domande insieme senza attendere una
risposta.
Capitolo quattro
Camminando insieme…
La collaborazione e la condivisione si pongono come elementi essenziali per il benessere del bambino al
nido, ma sono risorse molto importanti anche per i genitori e le educatrici. È fondamentale che il sistema
nido pensi e realizzi delle occasioni di incontro tra le educatrici e la famiglia volte ad approfondire la
conoscenza reciproca. In questo contesto possiamo distinguere diversi momenti di incontro, quali il primo
colloquio, le riunioni familiari, e a documentazione che, pur utilizzando strumenti diversi, concorrono tutti
alla co-costruzione della relazione tra nido e famiglia.
1. Il primo colloquio
Il primo colloquio con i genitori si inserisce in quegli appuntamenti di incontro tra nido e famiglia a
carattere formale e individualizzato che vengono fissati prima dell’inserimento del bambino.
Si può dire che l’obiettivo generale è quello di dare avvio ad una relazione personalizzata tra l’educatrice di
riferimento e i genitori. Altri obiettivi raggiungibili attraverso questo momento di scambio sono:
-l’educatrice può “sfruttare” al meglio questa conversazione per farsi un’idea del bambino;
-per raccogliere possibili elementi sulla cui base allestire l’ambientamento e promuovere il benessere del
piccolo;
-a livello più profondo, l’educatrice può cogliere dalle parole, ma anche dalla comunicazione non verbale
dei genitori, le motivazioni che li hanno spinti a intraprendere l’esperienza del nido, le loro aspettative e
soprattutto le possibili ansie e preoccupazioni che dovranno essere contenute ed elaborate in fase di
inserimento.
l’educatrice può ricordare ai genitori alcune utili informazioni anche di carattere organizzativo al fine di
rendere partecipi i genitori di tutti gli aspetti che riguardano la vita del nido.
è molto difficile stabilire la durata del colloquio, in quanto l’importanza è data ai contenuti e in ogni
incontro essi son diversi. Quando i genitori sono restii a parlare, è raccomandabile non insistere, ma
mostrarsi disponibili e accoglienti, perché comunque ci saranno altre occasioni per confrontarsi. È bene che
l’educatrice espliciti chiaramente quali sono le finalità generali del colloquio, in modo che tutti ne siano
consapevoli. È bene utilizzare una modalità comunicativa non direttiva, basata su una narrazione libera che
consente al genitore di sottolineare e di domandare ciò che ritiene più importante. L’educatrice deve stare
attenta a non fornire troppe regole e informazioni che potrebbero disorientare la famiglia, dando
l’impressione di un ambiente eccessivamente strutturato.
1.1 Le riunioni manteniamo i contatti!
le riunioni con i genitori sono momenti collettivi in cui l’équipe educativa al completo affronta tematiche
inerenti soprattutto l’andamento del nido. Questi momenti devono essere adeguatamente preparati nei
loro aspetti tecnici e contenutistici nonché comunicati per tempo alle famiglie. Una delle riunioni più
importanti è quella dell’inizio anno, in cui viene ufficialmente presentato il sevizio. Un momento della
riunione è solitamente dedicato alla presentazione di tutti il personale del servizio. Durante questi incontri
il principio è quello di mirare alla creazione di un clima rilassato e disteso, dove tutti di sentano legittimati a
intervenire per porre domande o per condividere considerazioni e riflessioni.
1.2 La documentazione: storie di bambini, genitori ed educatori
La documentazione rappresenta una vera e propria esigenza educativa che contribuisce a creare il livello di
qualità del servizio. Documentare significa costruire la storia del nido sia dal punto di vista individuale che
collettivo. Si pone oggi come un importante strumento anche a livello formativo per l’équipe educativa. La
documentazione assume una rilevanza centrale anche per la creazione della relazione nido-famiglia. Foto di
bimbi impegnati in giochi, disegni e pitture appese alle pareti, lavagne con le attività del giorno, sono tutte
forme di documentazione a chiara valenza relazionale, che permettono di rendere il nido uno spazio
“parlante”, personalizzato, non anonimo.
l’informazione che passa attraverso questi canali offre la possibilità al genitore di valutarne la qualità del
nido e il grado di congruenza tra gli obiettivi del progetto educativo e l’adeguatezza delle esperienze
proposte in un clima di trasparenza e lealtà. È importante che l’educatrice sia formata all’impiego e quindi
sappia non solo avvalersi dei diversi strumenti, da quelli più tipici ai più tecnologici per documentare, ma
che disponga anche delle competenze per poter “raccogliere” i processi educativi e renderli datati di senso
anche a chi non era presente. Attraverso la logica dal “fare per mostrare”, l’adulto svela il suo desiderio di
onnipotenza, la sua superiorità nei confronti del piccolo, riducendolo appunto a un semplice esecutore
delle proposte calata dall’altro. I fini, allora non sono più il benessere del bambino al nido, il gioco e il
divertimento, ma il prodotto, la buona riuscita, la prestazione.
2. Progettare con i genitori
Accanto alle attività di carattere più formale, come i colloqui individuali e le riunioni, dei quali abbiamo già
parlato, si pongono iniziative di stampo più informale volte a far vivere ai genitori il nido in maniera più
spontanea e meno strutturata. Molte educatrici e coordinatori si sono lamentati di una mancata
partecipazione dei genitori. Un primo passo fondamentale per evitare di provocare tali atteggiamenti nella
famiglia è quello di una buona progettazione, in particolare non solo analizzare i bisogni dei genitori, ma
anche esplicitare nel modo più chiaro possibile alle famiglie quali siano gli obiettivi delle nostre proposte.
2.1 le fasi della progettazione
prima di tutto è necessario analizzare i bisogni dei genitori, quando la partecipazione è facoltativa i genitori,
così assorbiti dai loro impegni, spesso rinunciano agli altri incontri proposti. Offrir alle famiglie un ventaglio
di possibilità multisfaccettate per permettere a ognuno di partecipare a proprio modo nella vita del nido.
Si passa alla fase dell’ideazione dove l’équipe educativa si concentra sulla valutazione delle diverse
modalità possibili con cui rispondere alle richieste delle famiglie. Entrando nella fase vera e propria della
progettazione sono previsti vari passi:
 la scelta degli obiettivi già specifici: cosa ci prefissiamo di raggiungere precisamente?
gli obiettivi dovrebbero essere sempre ben collegati sia ai bisogni che intendiamo soddisfare, sia alle attività
che poi andremo a proporre.
 L’analisi delle risorse di diverso tipo: umane, dove si possono proporre attività che prevedono la
partecipazione dei genitori soli o insieme ai bambini, finanziarie intese come le spese economiche da
affrontare per svolgere il progetto e infine quelle strumentali che si riferiscono alle attrezzature, al
materiale e agli spazi necessari.
le attività proposte, dopo che si sono decisi gli obbiettivi ed esaminate le risorse, è possibile concentrarsi
sulla decisione delle attività.
 Gli spazi e i tempi, i primi possono interni, ma anche esterni, mentre i tempi in cui coinvolgere i genitori
devono essere pensati sia rispetto all’intero anno scolastico sia rispetto alla giornata. Inoltre, possiamo fare
progetti che durano un giorno oppure che si articolano in più incontri a cadenza fissa o variabile. Non ci
sono tempi giusti, ma solo tempi che funzionano per i genitori dei bambini che frequentano quello specifico
servizio.
Modalità di comunicazione del progetto, se avvisiamo le famiglie con troppo poco anticipo il rischio è
quello che non si riescano ad organizzare per partecipare. Altro errore potrebbe essere quello di limitarsi a
mettere un cartello in bacheca, spesso i genitori sono di fretta e non prestano attenzione agli avvisi. Per
cercare di comunicare in maniera efficace il progetto sarebbe meglio utilizzare più metodi
contemporaneamente. L’avviso in bacheca potrebbe essere accompagnato da un invito personale per
ciascuna famiglia; inoltre l’asilo potrebbe contattare a pochi giorni dalla realizzazione dell’evento le famiglie
telefonicamente. La terza fase della progettazione è la realizzazione vera e propria del progetto, cioè il
momento in cui esso si concretizza, e prende forma. Ma a completamento del nostro percorso c’è l’attività
di valutazione, condotta sia sul progetto stesso che sui risultati.
gli aspetti più importanti da analizzare nella fasi di valutazione sono:
-l’impatto cioè se il progetto ha avuto un buon riscontro e ha goduto di una buona accoglienza da parte dei
genitori;
-l’efficacia, cioè il grado in cui le attività svolte hanno risposto ai bisogni individuati e hanno consentito di
raggiungere gli obiettivi prefissati;
-l’efficienza, intesa quale rapporto tra le risorse utilizzate sia di tipo umano, economico e strumentale, la
qualità e quantità di attività realizzate e i loro risultati.

Per procedere alla valutazione del progetto, le educatrici hanno a disposizione diversi strumenti:
1) questionario di gradimento, composto da poche domande, ben mirate, in cui si chiede se il progetto ha
risposto alle aspettative e si rileva di gradimento;
2) un altro metodo, meno formale, è quello di chiedere ai genitori di lasciare un loro messaggio riguardante
il progetto in una cassettina della posta.
Alla fine di ogni progetto dovrebbe essere prevista una riunione d’équipe, in cui fare il “punto della
situazione”, confrontarsi sulle impressioni avute, su ciò che ha funzionato e sugli aspetti, invece, che
andrebbero migliorati e in cui, soprattutto, esaminate i questionari.

La cura di un rapporto coltivato con attenzione fin dall’inizio contribuisce ad alimentare nei genitori quel
sentimento di co-responsabilità, che li porta a desiderare una reale condivisione di obiettivi, progetti e
prospettive.
3. Il processo di coping nelle relazioni nido-famiglia
La mancanza di collaborazione, il non sentirsi comprese nelle richieste, la sensazione di non aver
conquistato stima e fiducia sono vissuti comuni al lavoro educativo, che rendono più difficoltoso e
impegnativo il lavoro.
Le difficoltà di relazione, ostacolano una comunicazione libera ed efficace tra i diversi partner, hanno
ripercussioni negative sia sulla famiglia, sia sul nido stesso che percepisce la propria fatica a trovare le
modalità adatte per acquisire la fiducia e per coinvolgere mamma e papà, sia, infine, sul benessere del
bambino.
i problemi relazionali rappresentano per le educatrici una fonte di stress che con il tempo può rendere
scarsa la qualità professionale e può allentare le motivazioni stesse che hanno portato alla scelta del lavoro
educativo.
3.1 Affrontare le difficoltà
le strategie di coping sono delle modalità che ciascuno mette in atto sia i termini cognitivi, sia
comportamentali per cercare di affrontare situazioni che sono percepite dal soggetto come
esageratamente gravose e che eccedono le risorse personali, configurandosi quali veri e propri eventi
stressanti. Applicare il concetto di coping, può essere utile nel lavoro educativo per diversi aspetti:
-da una parte conoscere che cos’è il coping e quali sono le strategie più utilizzate;
-utile chiave di lettura della relazione;
-stimolare una riflessione più consapevole su di sé e sul proprio ruolo al fine di rendere le strategie
utilizzate sempre più efficaci.

Ci sono varie fasi del processo che porta alla scelta della strategia da utilizzare, prendendo il modello
transizionale formulato da Lazurus e Folkman agli inizi degli anni 90:
1) valutazione cognitiva primaria, (che cosa succede?), capire se l’evento in questione possa avere effetti
positivi, irrilevanti o stressanti:
2) valutazione cognitiva secondaria, (che cosa posso fare?), ci guida nella considerazione delle risorse
disponibili e ci accompagna nella scelta della strategia di coping da adottare.
3) valutazione cognitiva terziaria, la quale si basa su eventuali cambiamenti contestuali o personali, cioè si
tratta di un’ultima riconsiderazione dei pensieri e delle azioni messe in atto e dei loro effetti.
4) Al di là dell’evento oggettivo, poi, ognuno di noi compie una valutazione cognitiva dell’evento,
attribuendogli un particolare significato.
circa le risorse a disposizione, esse fanno riferimento ai mezzi a cui possiamo fare appello per fronteggiare
l’evento. Tali risorse possono essere di vario tipo: personali, come il sapere teorico rispetto allo sviluppo del
bambino, sociali si possono rintracciare l’appoggio dei colleghi e dei propri familiari e infine quelle
strumentali come l’accesso ai libri, a informazioni e a corsi di aggiornamento.

Una strategia si può definire efficace quando promuove l’adattamento dell’individuo alla situazione di
stress, apportando maggior benessere, non solo nell’immediato ma anche nel lungo periodo.
alcune tra le più utilizzate strategie di coping sono: il problem solving, il rapporto sociale e l’evitamento.
3.2 Il problem solving
nel lavoro educativo con i bambini, la ricerca di soluzioni ai problemi quotidiani è una strategia di coping
molto utilizzata dalle educatrici. L’educatrice sente come compito che gli spetta quello di far funzionare al
meglio la relazione e ricercare gli interventi più efficaci per il benessere del bambino. Essa si basa sul
ricercare attivamente le soluzioni, sul fare progetti, sul programmare l’intervento. Questa modalità di far
fronte ai problemi è utilizzata maggiormente se l’individuo ha un buon controllo della situazione; questo di
solito si verifica quando è riuscito a regolare le proprie reazioni emotive. Il controllo della situazione è
anche indicatore di una buona consapevolezza di sé e si acquisisce grazie all’esperienza.
il problem solving permette dal punto di vista cognitivo di focalizzarsi sul problema e di pensare ad una
soluzione vagliando tra le diverse opzioni disponibili e, dal punto di vista comportamentale, di mettere in
pratica la soluzione trovata, pianificando le azioni da intraprendere.
Questa riflessione ha stretti legami con un’altra dimensione del problem solving e cioè la capacità del
soggetto di compiere una ristrutturazione positiva dell’evento stressante. Ristrutturare un problema vuol
dire non concentrarsi solo sugli aspetti negativi, bensì cercare di attribuire anche un significato positivo alla
situazione.
3.3 Il rapporto sociale
le risorse sociali appaiono fondamentali nel processo di fronteggiamento del problema e il ricercare
supporto sociale all’interno delle nostre relazioni nei momenti di difficoltà è stata riconosciuta come una
delle strategie più efficaci in ambito personale e lavorativo sia nel breve che nel lungo periodo. Il supporto
sociale ha, infatti, un effetto tampone nella gestione dello stress, in quanto le persone che godono di
elevato sostegno solitamente valutano un evento come meno stressante rispetto alle persone con basso
sostegno.
La ricerca di supporto sociale, può avere obiettivi diversi come:
-richiedere un aiuto strumentale
-ricevere consigli su come affrontare la situazione, condividere con altri i vissuti emotivi, raccogliere
informazioni utili o avere un sostegno morale.
La finalità è avere a disposizione punti di vista diversi dal proprio, talvolta più obiettivi, perché
maggiormente distaccati.

3.4 L’evitamento
i rapporti di incomprensione delle educatrici con le famiglie mettono in discussione il ruolo educativo e
generano vissuti emotivi difficili da gestire. In questi casi la relazione è la voglia di “abbandonare il campo”,
di fuggire dal pericolo, per mettersi in salvo. Ha proprio questo scopo la strategia dell’evitamento, che
consiste nell’ignorare completamente il problema, nella speranza che la situazione si risolva da sé. Questa
modalità spessa fa ristagnare la situazione e non apporta alcun tipo di cambiamento. Talvolta, anzi, il clima
relazionale si complica ulteriormente, si allungano le distanze relazionali tra nido e famiglia.
3.5 La ruminazione
il lavoro di educatrice assorbe molte energie e spesso pensieri, progetti, programmi, preparazione dei
materiali tengono compagnia anche durante le serate e i fine settimana. Soprattutto quando succede
qualcosa di imprevisto o che crea preoccupazione ed ansia, si fa fatica “a chiudere la porta” e si continua a
pensare a ciò che è accaduto. Le persone tendono ad auto-colpevolizzarsi e ad accrescere un’immagine
negativa di sé e delle proprie competenze. La ruminazione può infatti, contribuire a un abbassamento dei
livelli di autostima, perché la persona pur riconoscendo il problema, si rende conto di non sapere/volere
attivarsi per risolverlo. Nella ruminazione infatti non è contemplata né la riflessione né il problem solving.

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