Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Nel panorama attuale, i servizi dovrebbero essere in grado anche di rispondere non solo ai bisogni
organizzati della famiglia “a doppia carriera”, ma ai bisogni di socializzazione e sostegno di tutte le famiglie
per permettere loro una integrazione con la comunità in cui vivono e contribuite al rafforzamento delle
competenze educative dei genitori al fine di migliorare la qualità della relazione genitore-figli. Oggi i servizi
per la prima infanzia di pongono come contesti di educazione familiare, a rassicurarli e riqualificare il loro
ruolo sociale. Tale processo può avere esiti positivi solo se i genitori si renderanno attivi interlocutori.
2. Perché incontrare i genitori?
I contesti educativi sono differenti, ma si lavora su un soggetto comune, il bambino, quindi l’unitarietà del
bambino rende necessaria la relazione tra educatrici e famiglia. Entrare in relazione significa di fatto
condividere gli obiettivi educativi. La motivazione di collaborazione con la famiglia: la condivisione della
crescita del bambino e l’essere co-educatori. Perché ci sia condivisione è necessaria la disponibilità, da
parte di ciascuno, a conoscere l’altro, ad aprirsi in maniera non giudicante ai pensieri e alle emozioni altrui,
ad avere fiducia nelle reciproche capacità. Il primo passo utile è quello di accettare la famiglia del bambino
per quella che è. In secondo luogo, è fondamentale poter parlare con le famiglie del obiettivi educativi.
Informarsi su come si comporta il bambino a casa, non significa “impicciarsi” a giudicare gli affari altrui, ma
semplicemente è un condividere per sostenere al meglio il piccolo nella crescita.
3.1 Condividere gli obiettivi
Le intenzioni tra famiglia e nido possono essere lette a diversi livelli, dove ciò che si dice con le parole è solo
la parte più esterna e spesso quella che veicola meno significati. Alla base del modo di essere e di porsi nei
confronti dell’altro ci sono le motivazioni.
3.1 Perché quel genitore di comporta così?
il genitore non ha mai l’intenzione di mettere il bastone fra le ruote alle educatrici, né di sminuire il servizio
offerto, anche se alcuni comportamenti possono far pensare il contrario. A volte le reazioni dei genitori
sono vissute solamente come giudizi positivi o negativi verso il servizio e l’operato delle educatrici. Può
essere utile riconoscere che sotto a tutte queste reazioni stanno diverse questioni, non sempre facile da
cogliere.
Il genitore, interessandosi della giornata del piccolo, può sentire il bisogno di dimostrare alle educatrici
quanto sia bravo e amorevole verso il figlio, o confrontandosi su spetti di gestione del piccolo, quanto sia in
linea con la prospettiva educativa del servizio, perché teme di non essere un genitore presente e
competente per il figlio;
la mamma che tutte le mattine, agli occhi delle educatrici, sembra voler “far piangere” il figlio durante
l’accoglienza, può essere in realtà terrorizzata dall’idea che il bambino possa voler più bene alla sua
educatrice piuttosto che a lei, si sente in colpa nell’”abbandonarlo” lì.
Appare evidente come i comportamenti della famiglia verso il servizio a cui affidano i loro figli sono per lo
più mossi da vissuti personali, che poco hanno a che fare direttamente con la persona reale dell’educatrice.
Il genitore si presenta per quello che è, e se gli chiudiamo la porta solo perché ci sentiamo attaccati, senza
cogliere che sono presenti altre motivazioni personali sottostanti ai suoi comportamenti, non gli daremo
mai la possibilità di essere realmente co-educatori insieme al nido.
3.2 Mando mio figlio al nido, così impara le regole
il compito educativo di un servizio per la prima infanzia non è il semplice far imparare la convivenza sociale
e le regole; a volte l’essere autorevoli e porre limiti ai piccoli “sovrani” è spesso vissuto in contrasto (e non
in continuità come dovrebbe essere) con gli aspetti educativi più affettivi (coccole) della relazione. Tra i
genitori c’è chi ha il coraggio di dire dei “NO”. A chi tocca il compito di porre limiti al bambino? Accendendo
la televisione, sembra che questo compito sia stato assunto dalle tate, che vanno nelle famiglie a “rimettere
ordine” attraverso delle regole. Oggi è cambiato il fulcro centrale della famiglia, prima il coniuge era un
elemento fondamentale, oggi è quasi un accessorio secondario, mentre elemento fondamentale e fondante
è il figlio. Il figlio è colui che rende stabile la famiglia, perché una madre non smetterà mai di essere madre e
un padre non smetterà mai di essere padre, anche se madre e padre hanno smesso di essere marito e
moglie. Questa situazione però sta portando a una perdita della capacità educativa genitoriale. Il genitore
fatica a dare regole, e dire dei “NO”, perché l’imposizione di un limite genera contrarietà nel bambino, una
contrarietà che fa paura, dal momento che mette in pericolo il proprio sentirsi genitori amati e amabili e la
stabilità dell’asse genitore-figlio.
3.3 Stiamo “GIOCANDO” insieme in questa relazione
Pare proprio che la famiglia, e la società, abbia domandato al nido il ruolo di “tata” che dà le regole. E
abbiamo l’impressione che il nido, che è parte integrante della società assuma collusivamente tale ruolo.
Forse essere dalla parte del “chi dice no” è funzionale al fatto di ritagliarsi un ruolo e assumere un’identità,
come nido e come singole educatrici che lavorano al suo interno. Non è, perciò, solo colpa dei genitori che
scarico sul nido, ma in tutto questo ha un ruolo anche il nido che accetta di fare questo gioco. Le reazioni a
queste richieste (“insegna tu le regole a mio figlio”), che avvengono a volte esplicitamente con le parole,
ma più spesso implicitamente con i comportamenti sono di 2 tipi:
1) l’educatrice specialmente quando è alle prime armi, può sentirsi contento e orgoglioso di poter
consigliare il genitore, di poterlo guidare verso le nuove tappe di sviluppo del figlio, sentendo la fiducia che
la famiglia pone nella sua professionalità.
2) al contrario, l’educatrice può anche sentirsi imbrigliato in responsabilità che dovrebbe assumersi prima di
tutto la famiglia, perché se da un lao è bello poter essere una persona a cui il genitore può riferirsi,
dall’altro lato si rischia di ritrovarsi con incombenze sempre maggiori e si è esposti al rischio di ritrovarsi con
incombenze sempre maggiori e si è esposti al rischio di critica e colpe in caso di fallimento.
nelle 2 reazioni descritte ciò che appare evidente è la presenza, in realtà, di un solo soggetto nella
relazione: ci sono io educatrice che ti guido o ci sei tu genitore che devi riprenderti le responsabilità. Solo
uscendo da questa logica mono-personale ed entrando in una logica bi-personale (incontro tra soggetti),
realmente ci si può muovere come co-educatori.
3.4 Ti fidi di me?
a volte accade inconsapevolmente che si agisca con gli altri per affermare il proprio ruolo, la propria
identità e il proprio valore e così facendo eliminiamo, di fatto, l’altro soggetto dalla relazione, perdendo
l’importante contributo che l’altro, per quanto incompetente o folle possa sembrarci, può darci. Nei corsi
di formazione proponiamo solitamente un breve e divertente role-playing, in cui si mette in scena relazione
tra educatrice e genitore. Chi osserva dall’esterno può cogliere chiaramente come, al di là delle parole
dette, ciascun soggetto sia spinto da motivazioni proprie che vanno oltre alla condivisione di informazioni
sul bambino e sul contesto in cui sta crescendo. Se partiamo dal presupposto che ci si può fidare sia del
genitore sia del proprio operato, le difficoltà relazionali con le famiglie si ridurranno di molto e si potrà
essere insieme nell’educazione dei bambini.
Capitolo secondo
Chi? I protagonisti
1. Un punto di vista
l’uomo è per definizione un essere complesso, il suo sviluppo è influenzato da molti fattori che
interagiscono tra loro. L’educatrice viene a ricoprire una posizione importante tra le varie “complessità” del
nido e gli è richiesto di sapersi confrontare con ciascuna di esse e, spesso, di saper mediare tra tutte le
persone coinvolte. Avere a che fare con la complessità è una sfida arricchente, dove è in gioco la creatività
di ciascuno. I concetti fin qui illustrati rientrano nella più vasta concezione della Teoria Generale dei Sistemi
che può essere definita come una teoria del cambiamento, poiché ci permette di avere uno sguardo attento
non tanto e non solo su com’è una persona nel qui e ora, ma anche e soprattutto sui possibili sviluppi di
persone e relazioni, in altre parole sulla dimensione processuale della vita. Tale approccio parte dalla
convinzione che un evento è frutto della relazione tra le parti che lo compongono e tra queste e altri eventi
esterni. Il sistema umano ha le caratteristiche di essere dinamico, aperto, in equilibrio, in grado di regolarsi
autonomamente.
1.1 Il cambiamento
parlare di cambiamento non implica teorizzare un passaggio da uno stato negativo ad uno più positivo,
infatti quando si cambia si raggiunge un nuovo livello di adattamento nel sistema, non perché il precedente
era negativo, ma semplicemente perché non andava più bene al sistema. I cambiamenti non potrebbero
avvenire se i singoli sistemi non fossero attivi essi stessi nel cambiamento. Secondo la TEORIA GENERALE
DEI SISTEMI il cambiamento non è, quindi, qualcosa che proviene dall’esterno, ma ogni soggetto è sempre
protagonista del suo modo di funzionare. La relazione nido-famiglia ha il compito di creare un contesto
favorevole all’emergere di nuovi livelli di coerenza del sistema, ponendosi quindi come contesto che
sostiene il cambiamento non solo del bambino, ma anche dell’educatrice, del genitore e del nido stesso.
1.2 il sistema diadico genitori-educatrici
in questo determinato sistema educatrice-genitore può essere utile focalizzarsi in alcuni punti:
la rappresentazione che l’educatrice ha di questo specifico sistema diadico di cui fa parte e del
funzionamento dei singoli soggetti:
le credenze circa i ruoli educativi di ciascuno dei soggetti coinvolti e le modalità di relazione tra educatrici
e genitori;
le ricadute del funzionamento del sistema educatrice-genitore sia sullo sviluppo del bambino che
sull’organizzazione delle attività al nido, oltre che sui soggetti della diade.
Non sono gli scontri con i genitori, le difficoltà di relazione, l’assenza p l’eccessivo coinvolgimento del
genitore alla vita del nido a creare problemi nella totalità del sistema-nido e nei sistemi-soggetto. Anzi,
difficoltà, scontri e mancati incontri, se non persistono nel tempo, sono delle possibilità che il sistema ha
per crescere, per creare qualcosa di nuovo, per accedere a un nuovo funzionamento sempre più adattivo.
Un passo verso la flessibilità è quello di “guardarsi con onestà” cioè riuscire a cogliere alcuni aspetti di sé.
2 Cosa pensano le educatrice dei genitori?
le idee sui genitori che si fanno le educatrici sono rappresentazioni importanti e valide, se si sta attenti che
non diventino idee assolute, perché in tal caso rischierebbero di chiudere, piuttosto che di rendere
comprensibile, il rapporto con le famiglie, dandosi la possibilità di cambiamento. Il pensiero che si ha dei
genitori bisogna tirarli fuori per poi rifletterci su con calma, piuttosto che lasciarli relegati nel profondo di
noi stessi, rischiando così che emergono in maniera involontaria nelle modalità comunicative che adottiamo
con i genitori. In un’indagine sulle rappresentazioni che le educatrici dei servizi per la prima infanzia hanno
del loro lavoro, abbiamo potuto constatare come spesso i genitori siano sentiti più un ostacolo che una
risorsa per le educatrici. Nelle relazioni si è sempre coinvolti in più soggetti, per cui se le cose funzionano o
non funzionano certamente stiamo contribuendo anche noi nel far andare in quel modo il rapporto.
3. Siamo diversi, evviva!
Bisogna prendere atto e accettare che la singolarità di ciascuna persona coinvolta nel nido non potrà mai
essere conosciuta e compresa fino in fondo. In realtà, ciò che facciamo non è conoscere ciò che l’altro
pensa e prova o le sue intenzioni ma è crearci una nostra rappresentazione di “chi è” l’altro o di come
vorremmo che fosse; questa rappresentazione è inevitabile il frutto di ciò che noi siamo, delle nostre
esperienze e conoscenze. È anche e soprattutto attraverso la conoscenza di noi stessi che si ha la possibilità
di svolgere al meglio la professione educativa.
ciò che l’educatrice può fare è accettare la diversità del genitore, le sue emozioni e i suoi comportamenti,
senza imprigionare l’altro in ciò che si vorrebbe che fosse. Ogni relazione educativa è unica, nessuno
sostituisce nessun altro, ad esempio non si fa da “mamma” al bambino, la relazione educatrice-bambino è
una nuova relazione, che diventa contesto di sostegno per la crescita. L’educatrice affianca il genitore, e
attraverso l’accettazione dell’altro, può certamente sostenerne le competenze educative. È la diversità
dell’altro, il fatto che un genitore si comporti in maniera differente da quella che desidereremmo, che ci
pone interrogativi, diventando così non un limite, ma una risorsa. La diversità porta ad essere creativi e
flessibili, ad ampliare le proprie vedute, a stupirsi scoprendo aspetti di noi e dell’altro che non avevamo
ancora considerato.
4. Quali ruoli e per chi?
Non sempre la definizione del ruolo è chiara e questa situazione rischia di avere forti ripercussioni sulle
educatrici stesse, che talvolta tendono a sentirsi svalutate e non comprese da quegli stessi genitori che
affidano loro i figli per buona parte della giornata. Sia il genitore che le educatrici, nella prima infanzia
hanno molto in comune, entrambi si prendono cura del bambino da ogni punto di vista; sia la relazione con
il genitore sia quella con l’educatrice sono asimmetriche, ossia c’è un responsabile (adulto) e c’è un
soggetto che necessita di protezione e accudimento (bambino). L’educatrice è una professionista con
specifiche competenze, il genitore non lo è. Le competenze dell’educatrice e la sua capacità di metterle in
atto in modo consapevole, “pensato”, costruito con l’esperienza e il confronto, sempre con un obiettivo in
mente. Non tutte le mamme hanno gli strumenti, la possibilità, la motivazione di cercare soluzioni
alternative e questo può spiazzarle di fronte a un’educatrice che, applicando metodi per lei incomprensibili,
ottiene ai suoi occhi risultati migliori. Questo può incuriosirla, ma anche preoccuparla e farla sentire
inadeguata. L’educatrice in quanto professionista ha un bagaglio di conoscenze e di esperienze che le
permette di conoscere e applicare più modalità di lavoro, ha avuto il tempo per consolidare un “fare”
educativo specifico, ha avuto continui confronti con colleghe e coordinatori.
Per procedere alla valutazione del progetto, le educatrici hanno a disposizione diversi strumenti:
1) questionario di gradimento, composto da poche domande, ben mirate, in cui si chiede se il progetto ha
risposto alle aspettative e si rileva di gradimento;
2) un altro metodo, meno formale, è quello di chiedere ai genitori di lasciare un loro messaggio riguardante
il progetto in una cassettina della posta.
Alla fine di ogni progetto dovrebbe essere prevista una riunione d’équipe, in cui fare il “punto della
situazione”, confrontarsi sulle impressioni avute, su ciò che ha funzionato e sugli aspetti, invece, che
andrebbero migliorati e in cui, soprattutto, esaminate i questionari.
La cura di un rapporto coltivato con attenzione fin dall’inizio contribuisce ad alimentare nei genitori quel
sentimento di co-responsabilità, che li porta a desiderare una reale condivisione di obiettivi, progetti e
prospettive.
3. Il processo di coping nelle relazioni nido-famiglia
La mancanza di collaborazione, il non sentirsi comprese nelle richieste, la sensazione di non aver
conquistato stima e fiducia sono vissuti comuni al lavoro educativo, che rendono più difficoltoso e
impegnativo il lavoro.
Le difficoltà di relazione, ostacolano una comunicazione libera ed efficace tra i diversi partner, hanno
ripercussioni negative sia sulla famiglia, sia sul nido stesso che percepisce la propria fatica a trovare le
modalità adatte per acquisire la fiducia e per coinvolgere mamma e papà, sia, infine, sul benessere del
bambino.
i problemi relazionali rappresentano per le educatrici una fonte di stress che con il tempo può rendere
scarsa la qualità professionale e può allentare le motivazioni stesse che hanno portato alla scelta del lavoro
educativo.
3.1 Affrontare le difficoltà
le strategie di coping sono delle modalità che ciascuno mette in atto sia i termini cognitivi, sia
comportamentali per cercare di affrontare situazioni che sono percepite dal soggetto come
esageratamente gravose e che eccedono le risorse personali, configurandosi quali veri e propri eventi
stressanti. Applicare il concetto di coping, può essere utile nel lavoro educativo per diversi aspetti:
-da una parte conoscere che cos’è il coping e quali sono le strategie più utilizzate;
-utile chiave di lettura della relazione;
-stimolare una riflessione più consapevole su di sé e sul proprio ruolo al fine di rendere le strategie
utilizzate sempre più efficaci.
Ci sono varie fasi del processo che porta alla scelta della strategia da utilizzare, prendendo il modello
transizionale formulato da Lazurus e Folkman agli inizi degli anni 90:
1) valutazione cognitiva primaria, (che cosa succede?), capire se l’evento in questione possa avere effetti
positivi, irrilevanti o stressanti:
2) valutazione cognitiva secondaria, (che cosa posso fare?), ci guida nella considerazione delle risorse
disponibili e ci accompagna nella scelta della strategia di coping da adottare.
3) valutazione cognitiva terziaria, la quale si basa su eventuali cambiamenti contestuali o personali, cioè si
tratta di un’ultima riconsiderazione dei pensieri e delle azioni messe in atto e dei loro effetti.
4) Al di là dell’evento oggettivo, poi, ognuno di noi compie una valutazione cognitiva dell’evento,
attribuendogli un particolare significato.
circa le risorse a disposizione, esse fanno riferimento ai mezzi a cui possiamo fare appello per fronteggiare
l’evento. Tali risorse possono essere di vario tipo: personali, come il sapere teorico rispetto allo sviluppo del
bambino, sociali si possono rintracciare l’appoggio dei colleghi e dei propri familiari e infine quelle
strumentali come l’accesso ai libri, a informazioni e a corsi di aggiornamento.
Una strategia si può definire efficace quando promuove l’adattamento dell’individuo alla situazione di
stress, apportando maggior benessere, non solo nell’immediato ma anche nel lungo periodo.
alcune tra le più utilizzate strategie di coping sono: il problem solving, il rapporto sociale e l’evitamento.
3.2 Il problem solving
nel lavoro educativo con i bambini, la ricerca di soluzioni ai problemi quotidiani è una strategia di coping
molto utilizzata dalle educatrici. L’educatrice sente come compito che gli spetta quello di far funzionare al
meglio la relazione e ricercare gli interventi più efficaci per il benessere del bambino. Essa si basa sul
ricercare attivamente le soluzioni, sul fare progetti, sul programmare l’intervento. Questa modalità di far
fronte ai problemi è utilizzata maggiormente se l’individuo ha un buon controllo della situazione; questo di
solito si verifica quando è riuscito a regolare le proprie reazioni emotive. Il controllo della situazione è
anche indicatore di una buona consapevolezza di sé e si acquisisce grazie all’esperienza.
il problem solving permette dal punto di vista cognitivo di focalizzarsi sul problema e di pensare ad una
soluzione vagliando tra le diverse opzioni disponibili e, dal punto di vista comportamentale, di mettere in
pratica la soluzione trovata, pianificando le azioni da intraprendere.
Questa riflessione ha stretti legami con un’altra dimensione del problem solving e cioè la capacità del
soggetto di compiere una ristrutturazione positiva dell’evento stressante. Ristrutturare un problema vuol
dire non concentrarsi solo sugli aspetti negativi, bensì cercare di attribuire anche un significato positivo alla
situazione.
3.3 Il rapporto sociale
le risorse sociali appaiono fondamentali nel processo di fronteggiamento del problema e il ricercare
supporto sociale all’interno delle nostre relazioni nei momenti di difficoltà è stata riconosciuta come una
delle strategie più efficaci in ambito personale e lavorativo sia nel breve che nel lungo periodo. Il supporto
sociale ha, infatti, un effetto tampone nella gestione dello stress, in quanto le persone che godono di
elevato sostegno solitamente valutano un evento come meno stressante rispetto alle persone con basso
sostegno.
La ricerca di supporto sociale, può avere obiettivi diversi come:
-richiedere un aiuto strumentale
-ricevere consigli su come affrontare la situazione, condividere con altri i vissuti emotivi, raccogliere
informazioni utili o avere un sostegno morale.
La finalità è avere a disposizione punti di vista diversi dal proprio, talvolta più obiettivi, perché
maggiormente distaccati.
3.4 L’evitamento
i rapporti di incomprensione delle educatrici con le famiglie mettono in discussione il ruolo educativo e
generano vissuti emotivi difficili da gestire. In questi casi la relazione è la voglia di “abbandonare il campo”,
di fuggire dal pericolo, per mettersi in salvo. Ha proprio questo scopo la strategia dell’evitamento, che
consiste nell’ignorare completamente il problema, nella speranza che la situazione si risolva da sé. Questa
modalità spessa fa ristagnare la situazione e non apporta alcun tipo di cambiamento. Talvolta, anzi, il clima
relazionale si complica ulteriormente, si allungano le distanze relazionali tra nido e famiglia.
3.5 La ruminazione
il lavoro di educatrice assorbe molte energie e spesso pensieri, progetti, programmi, preparazione dei
materiali tengono compagnia anche durante le serate e i fine settimana. Soprattutto quando succede
qualcosa di imprevisto o che crea preoccupazione ed ansia, si fa fatica “a chiudere la porta” e si continua a
pensare a ciò che è accaduto. Le persone tendono ad auto-colpevolizzarsi e ad accrescere un’immagine
negativa di sé e delle proprie competenze. La ruminazione può infatti, contribuire a un abbassamento dei
livelli di autostima, perché la persona pur riconoscendo il problema, si rende conto di non sapere/volere
attivarsi per risolverlo. Nella ruminazione infatti non è contemplata né la riflessione né il problem solving.