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Lezione di Pedagogia della relazione d’aiuto 28.04.

2022 – TFA VI Ciclo

Le competenze relazionali
Le competenze relazionali che la psicologia1 giudica irrinunciabili a questo fine sono: la mutualità,
l’oblatività, la responsabilità e l’inclusività, perché la famiglia mutua e conserva tali patterns
comportamentali, potenziandoli e rinnovandoli.
Ciascuna delle competenze appena richiamate ha un suo preciso significato che è opportuno
chiarire, al fine di comprendere perché la compresenza di questi elementi ed il loro continuo combinarsi,
favorisce la costruzione di un modello familiare efficace e idoneo a promuovere il valore della cura e la
sua intrinseca capacità di replicarsi nei molteplici campi dell’esistere.
Mutualità
Quando si parla di mutualità, infatti, ci si riferisce all’importanza che i due componenti della coppia
sappiano costruire una microsocietà solidale e simmetrica, capace di rinegoziare continuamente il
concetto di “ruolo”, non più rigidamente prefissato in quello di “marito” o “moglie”, come accadeva
nelle vecchie dinamiche relazionali che si sono imposte in taluni periodi della storia, ma fluido e
intercambiabile, in base alle esigenze che si presentano alla coppia di volta in volta.
La plasticità dei ruoli è indissolubilmente connessa ai mutamenti socio-culturali, che hanno
gradualmente favorito l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro.
Il dato è assai significativo ed ha imposto un totale ripensamento dei vecchi ruoli della coppia: se
entrambi i coniugi sono impegnati in attività lavorative, talora anche di pari livello e con responsabilità
analoghe, non è possibile non rimodulare la relazione di coppia tenendo conto delle esigenze di
entrambi.
Da questo postulato prende le mosse l’importante profilo della mutualità, in cui le attitudini di ruolo
non si sovrappongono alle persone in modo severo, intransigente, quasi come una seconda pelle, ma, al
contrario, trovano vie di espressione spontanee che convergono anche verso la conquista dell’autenticità
di ciascuno.
Oblatività
Passando poi all’esame dell’oblatività, v’è da dirsi che essa è tra tutti l’elemento di maggiore
impatto pedagogico, perché pertiene alla capacità di ciascun componente della famiglia di comunicare il
proprio affetto agli altri nella totale gratuità.
Le ragioni dello stare insieme risiedono esclusivamente nel sentimento d’affetto che ogni
componente nutre verso gli altri. Non vi è convenienza o opportunità, ma amore, sicché la relazione
affettiva costituisce lo spazio mentale ed emotivo per la costruzione delle identità di tutti, specie dei
nuovi nati.
L’oblatività risulta totalmente assente in alcuni contesti culturali, verosimilmente più presenti nel
Mezzogiorno d’Italia, dove ancora una malintesa idea di gratitudine spinge i genitori ad obbligare i figli
a scelte che altrimenti non avrebbero fatto. Il continuo richiamo al sacrificio della propria vita a
beneficio del figlio, a cui segue la coercizione dello stesso in nome di una gratitudine, che in queste
relazioni non dovrebbe trovare alcun posto, annienta l’oblatività, e con essa le scelte d’amore e di
autenticità che naturalmente ne seguono.
Non appaia superfluo o ridondante il richiamo alla Teresita di Alvaro2, a cui il padre, sin da piccola,
aveva imposto di andare tutte le mattine a bussare alla sua porta, ad attendere con pazienza che questi si
svegliasse, così da testimoniargli attraverso il sacrificio dell’attesa la gratitudine filiale e il doveroso
affetto. La pretesa del padre, perdurata anche dopo il matrimonio di Teresita, le imponeva di continuare
a recarsi tutte le mattine presso la casa paterna per eseguire il suo rituale.
Non rinunciò neanche la mattina dopo aver partorito. Però quel giorno il padre, nella narcisistica
verifica dell’affetto di sua figlia, misurato attraverso la capacità di sacrificio di quest’ultima, prolungò i
tempi dell’attesa, la lasciò bussare alla sua porta troppo a lungo e la donna, spossata per la fatica e tutta
fradicia per la pioggia, morì esangue pur di non violare il patto scellerato di gratitudine filiale.

1
Cfr. G. Battaglia, (psicologo, psicoterapeuta, giudice onorario del Tribunale per i minorenni di Venezia), Alcune riflessioni
sulla fragilità della famiglia e sull’alienazione parentale, in Minori e Giustizia, 3/2007, p. 23.
2
C. Alvaro, Gente in Aspromonte, IX ed., Garzanti, 2000. Il riferimento è alla novella intitolata Teresita.
La poetica vibrante del grande scrittore calabrese chiarisce il significato reale dell’oblatività, intesa
come amore assoluto, incapace di attendersi risposte di gratitudine dagli altri membri del nucleo
familiare, specie dai figli, ai quali deve arrivare un messaggio inequivocabile: l’amore può generare solo
amore e per sua natura questo sentimento non tollera imposizioni, estorsioni affettive o pretese; esso è
ontologicamente oblativo, perché scevro da interessi egoistici, donato in modo maturo e senza ricerca di
compenso.
Così l’oblatività si fa competenza sociale, capacità di condividere spazi, pensieri, idee, sogni
attraverso l’apertura generosa e consapevole del sé verso il mondo esterno.
Responsabilità
Con riguardo poi all’elemento della responsabilità deve osservarsi come esso implichi
contestualmente concetti di tipo giuridico (l’obbligo di accudimento, mantenimento, educazione ed
istruzione verso la prole), concetti di tipo più squisitamente pedagogico (la scelta dei modelli educativi
idonei a fornire al bambino adeguati strumenti di crescita) e concetti di matrice psicologica (evocativi
dell’importanza di comportamenti responsivi da parte dei genitori, capaci di consentire la strutturazione di
corretti legami di attaccamento).
La responsabilità, vista anche la sua capacità di diramarsi in maniera capillare nei vari settori
nevralgici che studiano la relazione adulto-bambino, richiede una riflessione che certamente non trascuri
di chiarire in che cosa essa consista, ma che sia soprattutto capace di mettere in luce gli aspetti di
maggiore criticità che si riscontrano nella genitorialità contemporanea.
In passato essere genitori comportava una funzione materna o paterna più centrata sui valori
tradizionali o su una continuità generazionale, all’interno della quale erano relativamente poco
importanti le variazioni del contesto sociale di appartenenza.
Mentre oggi, come già si è osservato argomentando sul requisito della mutualità, ci si trova di
fronte ad una trasformazione costante della funzione adattativa del comportamento materno e soprattutto
paterno.
Le pratiche di allevamento e accudimento mostrano una significativa riduzione dei tempi dedicati al
contatto fisico madre-bambino, accompagnati anche ad una diminuzione dell’allattamento al seno,
ritenuto troppo vincolante per la libertà di movimento della madre, nonostante arrivino dalla pediatria
indicazioni di segno contrario, tese a promuovere l’allattamento naturale, sia per favorire un migliore
attaccamento madre-figlio, sia per garantire al piccolo le irrinunciabili difese che solo il latte materno
può donare al suo sistema immunitario.
Tuttavia, si deve prendere atto che lo stile materno si è modificato per rispondere alle esigenze di
nuovi modelli sociali che incentivano una maggiore e giustissima indipendenza della donna, andando
nella direzione di una inevitabile precoce socializzazione del bambino, affidato alle cure di figure adulte
vicarianti e/o a istituzioni educative.
Stando così le cose, i ruoli parentali sono mutati in relazione al momento storico, che vede oggi il
padre coinvolto in un più stretto contatto emotivo con il figlio, sia nel periodo prenatale che dopo la
nascita. Ciò accade non solo perché i ritmi della società attuale impongono a fortiori un impegno diretto
del padre nel processo di crescita dei figli, ma anche perché le maggiori conoscenze di tipo psicologico
inducono sempre più i padri a fornire alle loro compagne un adeguato sostegno materiale ed emotivo,
caratterizzato anche da una congrua serie di scambi interattivi con il figlio, di attività psico-fisiche tese
alla trasmissione di competenze specifiche, che hanno la duplice capacità di strutturare un legame
precoce tra padre e figlio e di rassicurare la madre rispetto alla possibilità di essere adeguatamente
sostituita nei momenti della giornata in cui deve allontanarsi dal suo piccolo.
Anche nel fornire cure fisiche al bambino, infatti, il padre appare in grado di sostituire la madre,
determinando una trasformazione profonda della funzione paterna, che non può non riverberarsi anche
sul piano della valutazione del giudizio di adeguatezza rispetto al ruolo genitoriale.
Diventare genitori oggi non è più o meno faticoso del passato: è solo profondamente diverso.
Perciò, nel considerare in cosa consista la responsabilità nella nostra realtà non può non tenersi conto ad
esempio delle modifiche subite dalla figura paterna: il padre di trent’anni fa era ritenuto un ottimo genitore
per il sol fatto che destinasse tutti i proventi della propria attività professionale alla famiglia; nel contesto
attuale, il padre che si limiti a provvedere al mero sostentamento del proprio nucleo sarebbe comunque
ritenuto inadeguato sotto il profilo della responsabilità, la quale non si esaurisce più nel provvedere ai soli
bisogni materiali del nucleo, ma va molto oltre, essendosi modificato radicalmente anche il concetto
stesso di bisogno materiale. Oggi è un bisogno materiale anche quello della moglie che deve sapere di
poter contare sul coniuge per svolgere il suo ruolo di lavoratrice. E sottrarsi a questo compito
rappresenta una forma di irresponsabilità genitoriale e familiare.
Quanto alla madre, la responsabilità che su di essa incombe, essendosi ridotti molto i tempi
dell’accudimento, ma non essendo affatto diminuito il naturale bisogno del piccolo di essere accudito, è
anzitutto quella di una gestione del proprio tempo che sappia conciliare il lavoro e la famiglia.
Se è giusto che ogni donna completi il proprio progetto professionale, è altrettanto giusto riempire
di significato anche il proprio progetto familiare, oggi più che mai frutto di una scelta che deve essere
consapevole e matura. I figli hanno bisogno di tempo, di ascolto, di attenzione. E il genitore
contemporaneo, spesso sopraffatto dagli impegni di lavoro e da quelli derivanti dalla vita di relazione,
corre il rischio di delegare troppo ad altre agenzie educative o a figure vicarianti un compito che è
principalmente suo: l’educazione del proprio figlio.
Il poco tempo a disposizione ed il pericoloso sistema delle deleghe finiscono per far entrare, in
particolare le madri, in un vortice di ingestibili sensi di colpa, che spesso si trasformano in una sorta di
indulgenzialismo senza significato, capace solo di disorientare il piccolo, di ingenerargli la terribile
consapevolezza di potersi insinuare nella fragilità del genitore ed alzare così sempre più il livello della
pretesa.
Educare con amore non vuol dire assecondare sempre e comunque, vuol dire esserci per poter
spiegare le ragioni degli eventuali no, di cui pure i nostri figli hanno bisogno per crescere. Bisogna
trovare il tempo per legittimare divieti e convalidare condotte che rientrano in un sistema di regole
condivise, accettate, assimilate, respirate ogni giorno.
Questa è la responsabilità che incombe sui genitori di oggi, a cui è richiesto con urgenza di non
confondere la cultura del rispetto del bambino (per il quale si ha spesso poco tempo) con un pericoloso
lassismo capace di alimentare solo egoismi, prospettive anguste, cultura dell’hic et nunc e della
consumazione rapida dell’esistere.
Inclusività
Da ultimo deve porsi mente all’importante elemento dell’inclusività, la quale, più che un requisito
per la corretta instaurazione dei legami familiari si presenta come una vera e propria cultura.
Quello dell’inclusività è il profilo che permette alla famiglia di strutturarsi nel senso di non avere timore
dell’esterno, di non coltivare la preoccupazione che l’altro sia sempre sul punto di sottrarre qualcosa a sé o ai
propri cari, di non vedere nel prossimo un diverso, un possibile nemico o avversario da annientare in favore
della protezione degli interessi propri e del proprio strettissimo nucleo familiare.
L’inclusività è la cultura che apre alla diversità quale preziosa categoria dell’esistenza. Non c’è
uguaglianza senza cultura della diversità: solo chi è aperto al molteplice è in grado di realizzare
l’inveramento dell’uguaglianza, perché accoglie, comprende, si proietta nell’altro e, così, include.

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