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Attualmente negli Stati Uniti la FAMIGLIA NUCLEARE TRADIZIONALE, composta da coniugi eterosessuali con figli naturali,
costituisce meno della metà dei nuclei familiari. Un ulteriore 20% è costituito da FAMIGLIE RICOMPOSTE (blended
family), formate da genitori che si sono risposati e i cui figli crescono con un genitore acquisito e spesso anche fratelli
acquisiti. Inoltre vi sono famiglie in cui i GENITORI non si sono MAI SPOSATI; e 2 milioni di bambini hanno GENITORI
OMOSESSUALI oppure BISESSUALI. Sono in aumento anche le situazioni in cui sono i NONNI AD ALLEVARE I BAMBINI.
1 bambino statunitense su 4 fa parte di una FAMIGLIA MONOPARENTALE, ben 2 su 3 nuclei familiari monoparentali sono
classificati come a basso reddito, devono quindi affrontare difficoltà economiche reali.
Nel ventunesimo secolo, per la prima volta i bambini occidentali hanno la possibilità di crescere in un MONDO
veramente GLOBALIZZATO.
• I GENITORI AUTOREVOLI: dimostrano capacità molto elevate sia nell’offrire attenzione e sostegno sia nello stabilire limiti
e regole. Essi danno ai figli moltissimo amore e lasciano loro un RAGIONEVOLE GRADO DI LIBERTÀ, ma richiedono
chiari standard di comportamento. Tuttavia, questi genitori possono raramente fare un’eccezione, permettendo uno
strappo alla regola. Benché credano fermamente nell’ordine e nella disciplina, i genitori autorevoli comprendono che
le regole non vengono prima dei bisogni delle persone.
• I GENITORI AUTORITARI: applicano regole e disciplina in modo più inflessibile. Il loro motto per educare i figli è: «Fa’
quello che ti dico». Le REGOLE NON sono NEGOZIABILI. Amano profondamente i propri figli tuttavia usano uno stile
educativo che può apparire insensibile e freddo.
• I GENITORI PERMISSIVI: opposti ai genitori autoritari. Nell’educazione il loro mantra è: «Diamo ai figli TOTALE
LIBERTÀ e amore incondizionato». Non impongono ai bambini un orario preciso per andare a dormire ne l’obbligo di
fare i compiti a casa. Sono i bisogni dei figli a comandare.
• I GENITORI TRASCURANTI/RIFIUTANTI: offrono scarso amore e scarsa disciplina. In queste famiglie i FIGLI sono
TRASCURATI, IGNORATI e ABBANDONATI sul piano emotivo. Sono lasciati in balia di se stessi, ad autogestirsi sul piano
educativo.
I bambini resilienti
I BAMBINI RESILIENTI fanno esperienze terribili, ma nonostante ciò riescono a costruirsi una vita adulta piena di
soddisfazioni e di affetti. Gli psicologi dello sviluppo hanno rilevato che spesso i bambini resilienti hanno un talento
speciale, e sono dotati in misura superiore alla norma di abilità di regolazione delle emozioni. Dispongono inoltre di un
elevato senso di autoefficacia e di una visione ottimistica del mondo. Posseggono una fede salda o comunque una forte
percezione del senso della vita.
La resilienza dipende da risorse interiori, ovvero dal possesso di buone funzioni esecutive e di abilità intellettive e
sociali. Tuttavia, conta anche il numero di traumi subiti. Se il bambino è soggetto a una serie di tragedie è più difficile
che preservi il suo senso di efficacia o che riesca a reagire, costruendo una vita felice. L’aspetto più rilevante è che i
bambini che riescono a superare esperienze infantili terribili hanno tipicamente almeno una relazione di affetto molto stretta
con un genitore o un altro adulto. I bambini resilienti dispongono delle risorse interiori per estrarre amore da un ambiente
arido, ma non possono sopravvivere in totale assenza di esso.
Le stesse considerazioni si applicano ai BAMBINI IMMIGRATI che devono attraversare un processo di acculturazione a
una cultura differente. In questo caso, una famiglia che debba inserirsi in una nuova società incontra difficoltà evidenti.
È straordinaria la capacità di resistenza dei bambini che riescono a prosperare dopo aver percorso migliaia di chilometri
per abbandonare il proprio paese. Questi sopravvissuti dispongono di geni che promuovono la resilienza; alcuni bambini
vengono al mondo con il dono biologico di sopravvivere a sconvolgimenti di dimensioni bibliche nel corso della loro vita.
L’argomentazione secondo cui i genitori non contano
La svolta più interessante nell’argomentazione secondo cui i genitori non contano è quella offerta dalla psicologa Judith
Harris. Harris sostiene che:
• l’ambiente è la principale forza che plasma il nostro sviluppo; ma è il gruppo dei pari, e non i genitori, a socializzare l’adulto
che diventiamo.
• l’apprendimento è contesto-specifico e non possiamo usare lo stesso modello operativo interno con nostra madre e con il
bullo della classe. Per sostenere la propria posizione, Harris confuta il principio fondamentale sotteso alla teoria
dell’attaccamento, e cioè che il modello relazionale che apprendiamo attraverso i genitori si trasferisca poi alle altre
relazioni.
• Poiché viviamo immersi in un mondo sociale molto vasto e articolato, i messaggi che assorbiamo dalla cultura del nostro
tempo debbono avere maggior forza di quelli che apprendiamo all’interno della famiglia.
Un’argomentazione convincente è legata al ruolo fondamentale dei pari adulti (la comunità) nel plasmare la vita dei
bambini. Nei quartieri caratterizzati da un’elevata EFFICACIA COLLETTIVA tra vicini, i genitori diventano caregiver
migliori, e i bambini hanno maggiori probabilità di prosperare. «Ci vuole un intero villaggio per crescere un bambino e
anche un bravo genitore!».
Come suggerito dalla teoria ecologica dei sistemi di sviluppo di Bronfenbrenner, le influenze sul comportamento dei bambini
sono numerose. Importante è ad esempio l’AMBIENTE; affinché i bambini possano sviluppare a pieno il loro potenziale
genetico, i genitori devono sforzarsi costantemente di farli crescere nel migliore ambiente possibile.
(Anche all’interno delle comunità più efficaci, quando i bambini sono biologicamente vulnerabili è assolutamente
necessario uno stile genitoriale di qualità molto elevata).
Con una FIGLIA DAL TEMPERAMENTO «DIFFICILE» bisogna rinunciare a ricorrere all’affermazione del potere, cercare di
darle sempre moltissimo affetto e di esaltare i suoi punti di forza. Infatti, quando un bambino è biologicamente emotivo, un
atteggiamento sensibile può fare la differenza.
È con i BAMBINI VULNERABILI che uno stile genitoriale eccellente conta di più; quando un bambino necessita di
un’attenzione speciale, è richiesto uno stile educativo di qualità elevata.
Le sculacciate
Le PUNIZIONI CORPORALI sono tutti quei metodi per imporre la disciplina che implicano un’azione fisica.
Alcune persone credono fermamente nel principio biblico «Chi risparmia il bastone odia suo figlio»e attribuiscono la
colpa di qualsiasi problema sociale al fatto che il ricorso alle punizioni corporali sia in declino. Secondo altri, invece, è
la punizione fisica a creare quegli stessi problemi sociali. Essi ritengono che i genitori che fanno affidamento sul
«picchiare» i figli trasmettano loro implicitamente il messaggio che rispondere con la violenza sia moralmente
accettabile.
Fino alla fine del 19° secolo le punizioni corporali erano una pratica comune. Ora invece 24 nazioni hanno promulgato
leggi che vietano le punizioni corporali nei confronti dei bambini. Gli Stati Uniti costituiscono una drammatica eccezione.
Non soltanto sono una società individualista e avversa alle ingerenze dello Stato nella «libertà» genitoriale, ma molti
genitori hanno l’abitudine di sculacciare i propri figli. Ciò nonostante, poiché nei sondaggi soltanto 1 genitore su 10
ammette di «sculacciare spesso», le punizioni corporali non sono il metodo disciplinare preferito negli Stati Uniti. Ora il
tipo di punizione usata più spesso, è l’abolizione dei privilegi e, meno di frequente, confinare i figli nella loro camera.
Le punizioni corporali sono generalmente accettate all’interno della comunità afroamericana.
Gli adulti che venivano sculacciati da piccoli valutano maggiormente questo approccio nell’educazione dei bambini; invece, è
probabile che chi ritiene di aver subito da bambino punizioni corporali eccessive e incontrollate sarà fermamente intenzionato
a non colpire mai i propri figli.
La grande maggioranza degli psicologi ritiene che le sculacciate non siano mai appropriate, perché la punizione fisica
costituisce un modello per l’azione violenta. Quindi, anche se nell’immediato può produrre l’obbedienza, è una misura
disciplinare destinata col tempo a inibire nel bambino il comportamento prosociale, perché lo spinge a focalizzarsi
unicamente su se stesso. Alcuni psicologi dello sviluppo più tradizionali, come Diana Baumrind, esprimono un giudizio
leggermente diverso; loro ritengono che, eliminando del tutto la punizione corporale, vi sia il rischio che i caregiver
facciano maggiormente ricorso a forme di abuso verbale più dannose di una leggera punizione fisica.
Ma anche questi studiosi individuano condizioni ben precise in cui la punizione fisica è ammessa o, al contrario, da
evitare.
• Mai picchiare un bambino molto piccolo. Al di sotto dei 2 anni, i bambini non sono in grado di controllare il proprio
comportamento, né di rendersi conto di stare facendo una cosa sbagliata. Per un bambino in età prescolare, qualche
leggera pacca sul sedere può essere una misura disciplinare utilizzata come ultima risorsa nel caso il bimbo stia
compiendo un’azione pericolosa che deve essere immediatamente bloccata.
• I genitori dovrebbero sempre accompagnare una punizione fisica con una spiegazione verbale. L’ideale sarebbe che i
genitori tenessero la sculacciata come misura di riserva quando tutte le altre strategie disciplinari hanno fallito.
Più di un centinaio di studi ha trovato una relazione tra le punizioni corporali e i problemi di salute mentale. Dobbiamo
quindi liberarci dall’errata convinzione che le sculacciate producano bambini disciplinati e obbedienti.
Le punizioni corporali sono molto diffuse nei quartieri con una scarsa EFFICACIA COLLETTIVA nei quali la vita quotidiana
è frustrante e pericolosa; è quindi preferibile intervenire sulle comunità per farle diventare ambienti più accoglienti. Il
ricorso frequente alle sculacciate promuove proprio il comportamento che vorrebbe sradicare.
(Per esempio, i ricercatori hanno trovato che, nelle famiglie in cui i genitori erano fermamente convinti del valore
educativo delle sculacciate, i figli dichiaravano che il picchiare un coetaneo durante una lite fosse un comportamento
accettabile).
Un aspetto ancora più grave è che ciò che comincia come una «normale» punizione corporale può intensificarsi sempre
più man mano che il genitore «ci prende la mano», il bambino piange più forte, e così via finché presto non si delinea lo
scenario peggiore tra quelli ipotizzabili: l’ABUSO INFANTILE.
L’abuso infantile
Il MALTRATTAMENTO INFANTILE indica qualsiasi atto che minaccia il benessere fisico o psicologico di un bambino.
Si possono distinguere 4 categorie di maltrattamento:
• L’ABUSO FISICO: indica le azioni violente che lasciano sul corpo del bambino segni visibili (come i lividi).
• La TRASCURATEZZA (o negligenza): è il venir meno dei caregiver al loro dovere di fornire al bambino supervisione e cure
adeguate; può implicare l’abbandono del piccolo, il non fornirgli cibo a sufficienza, o anche il non iscriverlo a scuola.
• L’ABUSO PSICOLOGICO (o maltrattamento emotivo): indica gli atti volti a umiliare, terrorizzare o sfruttare il bambino.*
• L’ABUSO SESSUALE: indica tutti quegli atti che coinvolgono i bambini in pratiche sessuali.
*Il MALTRATTAMENTO EMOTIVO è difficile da definire, anche se questo genere di abuso è probabilmente il più
comune di tutti.
Ognuno di noi è in grado di identificare le forme più gravi di maltrattamento, ma esiste una zona grigia in cui è difficile
individuare le attività che vanno oltre il limite.
Queste difficoltà di classificazione spiegano in parte perché le statistiche sui maltrattamenti varino a seconda di chi
viene interpellato; ovviamente gli individui che riferiranno di aver subito abusi saranno sempre molto più numerosi
rispetto a quanto indicato dai tassi di abuso «oggettivi».
I fattori di rischio
Come la teoria ecologica dei sistemi di sviluppo porta a prevedere, influenze di natura diversa possono combinarsi e portare
i caregiver a commettere abusi sui bambini.
Le conseguenze dell’abuso
I bambini vittime di abusi tendono a soffrire di disturbi internalizzanti ed esternalizzanti. Possono presentare deficit nelle abilità
di teoria della mente e venire rifiutati dai pari. Secondo degli studi neurologici effettuati con tecniche di neuroimaging
anche il maltrattamento infantile può compromettere lo sviluppo cerebrale dei bambini.
Poiché le esperienze traumatiche infantili innescano un deterioramento fisico a livello epigenetico, i bambini maltrattati
soffrono di maggiori problemi di salute durante l'età adulta. Corrono inoltre il rischio di rimanere coinvolti in relazioni
amorose violente. Inolte i bambini vittime di abusi corrono un rischio maggiore di maltrattare a propria volta i figli.
Ciò nonostante, la maggior parte dei bambini maltrattati diventa un genitore sufficientemente amorevole. Alcuni fanno
propria la missione di andare nella direzione diametralmente opposta.
Di solito gli adulti che interrompono il circolo vizioso degli abusi possiedono buone capacità intellettuali e di adattamento alle
situazioni difficili; hanno la fortuna di avere nel DNA il profilo che li rende geneticamente più resistenti allo stress.
Anche un matrimonio amorevole fornisce una protezione potente dal ripetere il trauma dell'abuso.
Il divorzio
Anche se accade fin troppo spesso, al giorno d'oggi l'abuso infantile non è più frequente, è più probabile che i bambini
assistano a un altro cambiamento familiare poco gradito: il divorzio dei propri genitori.
La scala WISC
La scala WISC (Wechsler Intelligence Scale for Children), sviluppata da David Wechsler, è lo strumento standard per la
misura delle abilità intellettive nei bambini.
La scala WISC rileva le abilità del bambino in quattro aree di base. Ciò significa che, oltre ad attribuire al bambino un
punteggio generale, la scala WISC permette di valutare nel dettaglio abilità specifiche.
I test di rendimento sono somministrati in gruppo, la scala WISC invece è somministrata individualmente da parte di una
persona con una specifica formazione in psicologia; la procedura dura circa un’ora e comporta un rapporto finale scritto.
Quando il punteggio ottenuto dal bambino ricade nel 50% della sua classe di età, il suo QI è di 100.
Se un bambino ottiene un QI di 130, si colloca all’incirca nel 98° percentile, ovvero nella fascia del 2% dei punteggi più alti
nella sua classe di età.
Se ha un QI di 70, un bambino si colloca all’estremo opposto della distribuzione per la sua classe di età, quindi si trova
nella fascia del 2% con QI più basso. Mettendo in grafico la distribuzione dei punteggi si ottiene un punteggio a campana.
Il più delle volte si sceglie di sottoporre un bambino a questo test durante la scuola primaria, al manifestarsi di difficoltà
particolari.
Il personale scolastico si avvale del QI quale componente di una valutazione multidimensionale che tiene conto di molteplici
aspetti, tra cui i punteggi ottenuti nei test di rendimento, i giudizi degli insegnanti, le informazioni fornite dai genitori;
lo scopo è determinare se un bambino ha bisogno di un aiuto speciale.
Se un bambino ottiene un punteggio basso nel QI (inferiore a 70), e se altri tipi di valutazione confermano l’opportunità
di tale etichetta si può trarre la diagnosi di DISABILITÀ INTELLETTIVA.
Se il QI di un bambino è molto più alto di quanto i punteggi nei test di rendimento portano a prevedere, si può diagnosticare
un DISTURBO SPECIFICO DELL’APPRENDIMENTO (DSA), termine che copre qualsiasi impedimento del linguaggio o
difficoltà a prestare attenzione (come nell'ADHD), pensare, parlare, leggere, scrivere e fare i calcoli.
Sebbene i loro punteggi del QI ricadano spesso nella fascia intermedia dei valori, bambini con DSA hanno molti
problemi a seguire il normale programma scolastico. A volte soffrono di DISLESSIA, un disturbo della lettura dovuto ad
anomalie nella funzione cerebrale, che compromette pesantemente tutte le abilità accademiche.
La dislessia comprende un'ampia gamma di problemi legati alla lettura, e può avere molteplici cause; tuttavia, l'aspetto
fondamentale è che i bambini che soffrono di questo disturbo hanno problemi a leggere nonostante siano ben istruiti e
riportino punteggi elevati nei test di intelligenza.
Spesso genitori e insegnanti sono spinti a sottoporre un bambino a un test di intelligenza per ottenere la conferma della
loro personale impressione che il bambino sia particolarmente dotato dal punto di vista intellettivo.
Se il suo QI supera un dato valore (di solito 130), il bambino viene classificato come PLUSDOTATO e può essere inserito
in un programma di educazione speciale.
Nelle scuole pubbliche degli Stati Uniti i test di intelligenza sono obbligatori affinché un bambino possa essere assegnato
a un programma per allievi plusdotati o a una classe differenziale.
• Per i bambini appartenenti alle classi MEDIO-ALTE il test riflette la loro dotazione genetica.
Tuttavia, tale punteggio non è in grado di riflettere il suo vero POTENZIALE INTELLETTUALE.
Tuttavia né Gardner né Sternberg hanno elaborato uno strumento che possa sostituire efficacemente l'attuale test del QI.
Ma ciò non ha molta importanza, perché lo scopo di questi due studiosi è di cambiare i presupposti su cui si fonda
l'insegnamento nel sistema scolastico.
Strategie per la didattica
La straordinaria diversità di intelligenze, culture ed esperienze educative a livello familiare è rispecchiata dall’incredibile
diversità che caratterizza il panorama scolastico negli Stati Uniti. Vi sono le piccole scuole dei centri rurali e le grandi
scuole dei centri urbani, scuole pubbliche e scuole private, scuole molto tradizionali e scuole che applicano la teoria
delle intelligenze multiple di Gardner. Vi sono scuole solo maschili o solo femminili, scuole religiose, scuole che si
rivolgono agli studenti plusdotati e scuole per i ragazzi con problemi comportamentali o di apprendimento.
Uno studente può dare ottimi risultati in qualsiasi tipo di scuola, a condizione che le scuole si impegnino seriamente nella
didattica e che gli insegnanti riescano a stimolare nei ragazzi il desiderio di apprendere.
Esaminiamo le scuole di successo
Si tratta di scuole che, pur essendo frequentate da moltissimi bambini svantaggiati dal punto di vista economico,
ottengono dai loro studenti ottimi risultati. Invece di isolare i bambini con «differenze di apprendimento», la scuola deve
includere nella vita scolastica tutti gli studenti.
Il successo di una scuola sta nel proporsi il conseguimento di standard elevati e nella convinzione degli insegnanti che
tutti i bambini possano beneficiare di un lavoro concettuale che li metta alla prova. Questo tipo di scuola eccelle in efficacia
collettiva, poiché si impegna a raggiungere e sostenere ciascun membro della comunità didattica.
Si può definire l’approccio utilizzato da queste scuole come autorevole.
• MOTIVAZIONE ESTRINSECA: si fa riferimento a tutte quelle attività che vengono intraprese per ottenere un rinforzo
esterno, come un elogio, una ricompensa in denaro o un buon voto.
Numerose ricerche dimostrano che, quando ricevono dagli adulti rinforzi esterni per attività che scaturiscono da una loro
motivazione intrinseca, i bambini tendono a cessare di svolgere quelle attività di propria spontanea volontà.
Con l’ingresso nello stadio operatorio concreto postulato da Piaget, cioè intorno agli 8 anni, i bambini incominciano a
confrontare la propria performance con quella dei loro pari. Questo orientamento competitivo erode ulteriormente la
motivazione intrinseca.
Gli psicologi rilevano tra i bambini un allarmante declino della motivazione intrinseca man mano che avanzano nell’iter
scolastico.
La soluzione: impadronirci di quanto apprendiamo per motivazione estrinseca
Edward Deci e Richard Ryan sottolineano che in alcuni casi il nostro apprendimento sostenuto da motivazione estrinseca
avviene contro la nostra volontà; in altri casi invece si tratta di attività che svolgiamo con entusiasmo, anche se non sono
propriamente interessanti, perché ne accettiamo lo scopo generale.
Nella prima situazione il compito sembra essere del tutto irrilevante per il soggetto; nella seconda, invece, assume
un’importanza intrinseca in quanto è connesso con uno scopo personale, quindi col mondo interiore della persona.
L’elemento cruciale per trasformare lo studio da compito ingrato e pesante in un piacere è mettere in relazione l’attività
di apprendimento con gli scopi e i desideri profondi del ragazzo.
I compiti più noiosi assumono un’aura di rilevanza intrinseca quando si rivolgono direttamente alle passioni del
bambino.
Deci e Ryan ritengono che l’apprendimento arrivi a essere sostenuto da motivazioni intrinseche quando soddisfa il nostro
bisogno di relazioni affettive (attaccamento). Infine, i compiti promossi da motivazioni estrinseche finiscono per essere
sostenuti da una forte spinta intrinseca quando favoriscono il nostro bisogno di autonomia, o ci danno la possibilità di
scegliere come fare il nostro lavoro.
Studi dimostrano che quando insegnanti e genitori privano i bambini della loro autonomia – attraverso il controllo e la
critica, oppure intervenendo a gestire i compiti di apprendimento fin nei dettagli – il loro modo di agire erode la loro
motivazione intrinseca. Il nostro fondamentale bisogno di autonomia suggerisce varie ragioni per cui i compiti di
apprendimento di standard elevato potrebbero rivelarsi uno strumento educativo efficace con ogni bambino.
Quindi, lasciare autonomia (offrire scelte) e incoraggiare l'interesse (sottolineando l'importanza di un'attività rispetto agli
obiettivi del singolo) avvantaggia sia gli studenti sia gli insegnanti.
Studi condotti dall'economista Raj Chetty e dai suoi
collaboratori hanno identificato tra i maestri quelli i cui studenti
avevano mostrato notevoli miglioramenti nei test di fine anno,
denominandoli insegnanti ad alto valore aggiunto, e li hanno
confrontati a maestri più tipici che insegnavano in classi del
medesimo livello.
Gli economisti hanno scoperto che gli studenti che erano stati
alunni di questi insegnanti ad alto valore aggiunto per un anno
avevano maggiori probabilità di iscriversi all'università ed erano
meno inclini a diventare genitori da adolescenti. Inoltre,
sopraggiunta la prima età adulta, di solito guadagnavano più dei
loro compagni di scuola.