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Riassunto per capitoli Razza e storia, razza e cultura

Antropologia (Università degli Studi di Firenze)

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Antropologia
 Claude Lévi- Strauss
Claude Lévi Strauss è stato un antropologo, psicologo, e filosofo
francese. Tra i suoi contributi alla psicologia scientifica c'è
l'applicazione del metodo di indagine strutturalista agli studi
antropologici. Fondamentali i suoi studi sulle civiltà del mondo e
sull'analisi del "selvaggio". Cercò di applicare la linguistca strutturale di
Soussure all'antropologia. I suoi studi riguardano la famiglia e il mito.
Lévi Strauss connetendo cognitivismo e antropologia arricchisce il
tema dell' anti- etnocentrismo e del relativismo dell'antropologia.
Attraverso la ricerca di strutture logiche comuni che poi si manifestano
in molteplici forme di concettualizzazione umana, comprensibili solo
nel contesto etnografico di riferimento, riconosce il carattere di
sistematicità e razionalità del modo di vivere e pensare dei popoli
tribali. Durante la Seconda guerra Mondiale Lèvi-Strauss scelse la via
dell'esilio negli Stauti Uniti. Rientrare non fu facile perchè le tracce
della tragedia erano ovunque soprattutto nelle idee. Al momento di
affrontare la ricstruzione del continente, gran parte del mondo politico
e intellettuale e i rappresentanti delle Resistenze concordano che il
ripristino della pace tra i popoli doveva passare per la condanna del
razzismo biologico e della nozioni "biologica" di razza. Claude Lèvi
Strauss fu tra gli intellettuali europei più attivi in questa operazione
culturale guidata dall'UNESCO. La condanna morale e scientifica del
razzismo è strettamente collegata alla fondazione delle Nazioni Unite.
Il presidente americano Roosevelt e Churchill durante la formazione
delle Nazioni Unite hanno sottoscritto La Carta Atlantica, un documento

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nel quale l'idea di ugualianza dei diriti compare tra i principi che
avrebbero dovuto ispirare la collaborazione internazionale al fine del
mantenimento della pace. I principi della carta saranno alla base della
nascita dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Per la prima volta si
afferma l'uguaglianza dei diritti tra uomo e donna. Si afferma il
principio dell'uguaglianza dei diritti e si rigetta qualsiasi forma di
discriminazione in base alla razza. Nasce quindi nel 1945 l'UNESCO.
Uno dei primi obiettivi dell'organizzazione è dunque promuovere la
presa di coscienza dei pericoli dell'intolleranza e del razzismo.
L'UNESCO lanciò un programma per combattere il razzismo, di cui fu
inizialmente responsabile Arthur Ramos. La sua prematura morte non
fermò comunque i lavori del gruppo e nel 1952 esce il primo
documento approvato dall'UNESCO in cui si nega qualsiasi correlazione
tra la differenza fenotipica nelle "razze" umane e la varietà delle
caratteristiche psicologiche, intellettive e comportamentali. Dopo
questa dichiarazione l'UNESCO pubblicò una serie di testi dedicati al
problema del razzismo. Per l'occasione Claude Lévi-Strauss scrisse
"Race et Histoire". Il volume in realtà comprende due scritti: "Razza e
storia" e "Razza e cultura." I due testi sono stati scritti in circostnze
diverse. Il primo come abbiamo già visto fu pubblicato per la lotta
contro i pregiudizi razziali. "Razza e cultura" invece fu pubblicato per
una conferenza del 1971 contro il razzismo sempre voluta dall'UNESCO
ma questo testo fu accusato perchè contraddiceva l'altro, ma i due
periodi storici sono diversi. Secondo Strauss "Razza e storia" cerca di
conciliare la nozione di progresso con il relativismo culturale, nozione
di progresso che indica soprattutto l'Occidente, ma siccome la diversità
equivale alla diseguaglianza il relativismo può essere considerato solo
in generale. La diversità è funzione non tanto dell'isolamento dei
gruppi quanto delle relazioni che li uniscano; il relativismo non
considera le culture come universali chiusi, ma come " coalizioni"
perchè la storia dell'umanità è segnata dal contributo di tutte le

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culture, eppure l diversità delle culture non è percepita dall'uomo come


un fenomeno naturale, ma come uno scandalo. Lévi-Strauss affronta il
problema dell'etnocentrismo che designa la tendenza di ogni società e
cultura a correlare lìesaltazione e la difesa della propria visione del
mondo al rifiuto delle costruzioni della natura stessa prodotte da mondi
diversi. Dunque l'adozione di una posizione realistica è poco
riscontrabile nei fatti. Il saggio "Razza e storia" come già abbimo detto
nasce a seguito di una iniziativa dell'UNESCO che nel 1949 prepara un
conferenza generale basata su tre risoluzioni relatie alla lotta contro i
pregiudizzi raziali: ricercare e riunire i dati scientifici riguardanti i
problemi razziali, dare ampia diffusione ai dati scientifi raccolti,
predisporre una campagna di educazione fondata su tali dati.
All'iniziativa vengono invitati rappresentanti di discipline diverse, delle
scienze umane e sociali alla genetica e alla biologia. "Razza e storia"
costituisceil contributo di Strauss alle riunioni convocate dall'UNESCO.
Il saggio pubblicato per la prima volta nel 1952 in una collana
promossadall'organizzazione stess, ha avuto poi varie edizioni ed a
distanza di anni, rimane un manifesto antirazzista attuale. La nozione
di "razza", presente nel titolo, è puramente biologica e indica un
insieme di individui che appartengono a una stessa specie e
presentano una serie di caratteri che li accomunano e
contraddistinguono rispetto agli altri membri di quella specie, caratteri
che si trasmettano ai loro discendenti. Quando si tratta degli uomini,
però, non c'è nessun criterio scientifico in base al quale distinguere
rigorosamente le razze. Il concetto da razza umana viene utilizzato nel
linguaggio comune, sulla base del fatto che fra gli uomini esistono
molte differenze di aspetto. La nozione di "Storia" cui allude il titolo è la
storia congettuale dei filosofi, una storia universale all'interno della
quale l'umanità seguirebbe un percorso lineare e univoco in direzione
del progresso, in cui tutte si troverebbero unite in un'unica civiltà. Si
tratta però di un idea schematica, priva di contenuti specifici. In

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apertura Lévi-Strauss dichiara che "parlare di contributo delle razze


umane alla civiltà mondiale" è quanto più lontano dai suoi intenti. Egli
precisa che occorre distinguere il concetto puramente biologico di
razza umana da quello di cultura. L'originalità delle produzioni culturali
delle varie società, e quindi dei contributi che queste hanno dato il
progresso della civiltà mondiale, si spiega con il fatto che diverse sono
le circostanze storiche, geografichee sociolinguistiche in cui le culture
sono sorte e si sono sviluppate. La varietà delle culture è un fatto
normale e inevitabile, perchè queste si affermano in luoghi e tempi
diversi. Anche quando si tratta di culture vicine nel tempo e nello
spazio che entrano in contatto, agiscono sempre delle forze che
spingono ciascuna cultura a mantenere una propria identità, grado
ottimale di differenziazione di una cultura umana rispetto alle altre. Le
diversità tra culture, nonostante sia un fenomeno naturale, continua ad
essere considerata comeuna sorta di scandalo da giustificare.
L'atteggiamento più frequente e radicato è quello noto come
etnocentrismo, che consiste nel ritenere la propria cultura come
superiore, e nello squalificare le altre come espressioni di un'umanità
imperfetta, quella dei cosidetti "barbari" o "selvaggi". Le dichiarazioni
dei diritti dell'uomo e i sistemi filsofici e religiosi hanno tenato di
contrastare questo atteggiamento e di affermare l'uguaglianza di tutti
gli uomini, ma tali affermazioni si scontrano con una diversità che si
verifica di fatto tra gli individui e la società. Per rendere conto di tale
diversità,l'uomo moderno ha dato vita ad un falso evoluzionismo: le
culture che hanno preceduto nel tempo quelle più avanzate, e che
sono rimaste arretrate dalpunto di vista tecnologico, sono tutte
considerate tappe precedenti di un unico percorsoche va in direzione
del progresso ed è destinato a condurle tutte alla stessa meta finale.
Per questa ragione si continua a parlare di culture "primitive": tutti gli
uomini sono uguali e tutti arriveranno allo stesso grado di evoluzione,
reppresentato dalla civiltà, ma per alcuni il cammino è ancora lungo.

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Se si vogliono considerrare certe società come tappe precedenti nel


processo che ha prodotto la nostra societa, bisogna supporre che le
primenon abbiano una storia alle spalle. Ogni società,invece, ha un
passato che ha una durata che è pressappoco la stessa per tutte le
società e che ha condotto ognuna al punto in cui si trova ora. Si può
supporre che le varie società abbiano fatto un uso diverso del loro
tempo. Lévi-Strauss giunge così a distinguere due tipi di storia: una
storia cumulativa, in grado di sintetizzare le invenzioni e le acquisizioni
conseguite in un certo campo per compiere un balzo evolutivo in
avanti, e una storia stazionaria, che, pur realizzando delle conquiste,
non riesce a metterle insiemee a sfruttarle perprodurre questo salto. Il
progresso, però, procede a salti. Noi tendiamo a orinare in una
successione temporale che ordina queste tappe l'una dopo l'altra, nel
senso di uno sviluppo. Sono tappe che in realtàsono state
contemporanee tra loro: l'Homo sapiens è stato contemporaneo o
addirittura ha preceduto l'uomo di Neanderthal. Noi siamo in grado di
riconoscere che c'è storia comulativa solo dove le conquiste di una
certa società e di una certa cultura vanno in senso analogo a quello
della nostra. Se una cultura coltiva valori diversi dai nostri, siamo
incapaci di attribuire a questi un significato. Per chi appartiene alla
società occidentale, rapprsentano un progresso soltanto quelle
acquisizioni che comportano un avanzamento tecnologico, il valore
cardine della civiltà. La società occidentale si sta imponendo in tutto il
mondo come modello di civiltà e diverse aree del pianeta stanno
seguendo il suo esempio, industrializzandosi e tecnologizzandosi. Lévi-
Strauss ribatte a questo in due modi: questo processo è avvenuto
spesso in manier forzata, attraverso la colonizzazione, a scapito delle
popolazioni coinvolte; se diverse aree del pianeta stanno compiendo lo
stesso balzo, significa che in queste societàsi sono create le condizioni
per favorire tale sato evolutivo. Tra qualche millennio non ci si porrà
nemmeno la questione di quale società abbia compiuto per prima certi

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passi, ma si riconoscerà che tutte hanno dato il loro contributo al


processo. Il percorso evolutivo che si è aperto con la rivoluzione
industrialeè ancora agli inizi, sarà necessario attendere a lungo per
valutare quale sia la sua portata effettiva e se sia destinato a trionfare
su altre linee evolutive. Nè la nozione di "razza" nè quella di storia,
presenti nel titolo dello studio, rientrano propriamente nel campo
dell'antropologia strutturalista, ma rappresentano piuttosto i confini
entro cui le ricerche di questa si muovono. La nozione di "razza" è
puramente bilogica e indica un insieme di individui che appartengono a
una stessa specie e presentano una serie di caratteri che li
accomunano e li contraddistinuguono rispetto agli altri membri di
quella specie, caratteri che si trasmettano ai loro discendenti. Quando
si tratta degli uomini,però, non c'è nessun criterio scientifico di base al
quale distingere rigorosmente delle razze: i vari tentativi di
classificazione ne hanno individuate da tre a sessanta. Il concetto di
razza umana, dunque, non è rigorosamente scientifico, anche se lo si
continua a utilizzare nel linguaggio comune, sulla base di una
constatazione, cioè che fra gli uomini esistano molte differenze di
aspetto. In ogni caso, ammesso che di razze umane si possa paralre,
queste sono oggetto di studio non dell'antropologia culturale ma
dell'antropologia fisica, che si occupa dell'uomo dal punto di vita
fisico-morfologico. La nozione di storia è invece la storia congetturale
dei filosofi, cioè l'ideadi una storia universale all'interno della quale
lumanità seguirebbe il percorso lineare e univoco in direzione del
progresso. Il discorso di Stauss muove dall'idea astratta di una civiltà
mondiale, concetto che compare già nelle prime righe del saggio. Con
esso si fa riferimento alla meta ideale della storia congetturale. Il
conseguimento, da parte di tutte le società esistenti, di un medesimo e
massimo grado di progresso, in cui tutte si troverebbero unite in
un'unica civiltà. Si tratta in ogni caso, come afferma lo stesso autore, di
un'idea alquanto schematica, priva di contenuti precisi, rispetto alla

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quale viene generalmente definito il supposto grado di avanzamento e


progresso di ciascuna razza, società e cultura.

Riassunto capitoli.

1) Razza e cultura
Si è dimostrato che allo stato attuale della scienza non si può
dimostrare la superiorità o l'inferiorità intelletuale di una razza rispetto
ad un'altra. Quando si cerca di caratterizzare le razze biologiche in
base a priorità psicologiche particolari ci si allontana dalla verità
scientifica sia se definita in modo positivo sia in modo negtivo.
Gabineau, considerato il padre delle teorie razziste, intendeva la
diseguaglianza delle razze in senso qualitativo, le grandi razze
primitive che formavano l'umanità agli inizi non erano tanto diversi per
vaolore assoluto quanto diverse nelle loro attitudini. Il peccato
dell'antropologia consiste nella confusione fra il concetto puramente
biologico di razza e le produzioni sociologiche e psicologiche delle
culture umane. Quando parliamo di contributo delle razze umane delle
civiltà non vogliamo dire che gli apporti culturali traggano una qualsiasi
originalità dal fatto che questi continenti siano popolati da abitanti di
ceppi razziali diversi. Se questa originalità esiste dipende da
circostanze geografiche non da abitudini ditinte connesse alla
costituzione anatomica dei negri, dei gialli o dei bianchi. La diversità
estetica, intellettuale e sociologica non è unita da nessuna relazione
casuale a quella che,sul piano biologico, esiste fra alcuni aspetti dei
ragguruppamenti umani. Le culture umane sono molto più numerose
delle razze umane: due culture elaborate da uomini appartenenti alla
stessa razza possono diferire quanto di due appartenenti a gruppi
razzialmente lontani. La diversità fra culture pone numerose problemi,
perchè ci si può chiedere se costituisca per l'umanità un vantaggio o

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un inconveniente.

2) Diverità delle culture


Le culture umane non differiscano fra loro allo stesso modo, nè sullo
stesso piano. Ci troviamo di fronte a società giustapposte nello spazio.
Inoltre dobbiamo fare i conti con forme di della vita sociale che si sono
succedute nel tempo e che siamo impossibilitati a conoscere per
esperienzadiretta. Non bisogna dimenticare che le società
contemporanee rimaste ignoranti alla scrittura, come quelle che
chiamiamo "selvagge" o "primitive", furono precedute da altre forme.
Nelle società umane agiscono simultanemente forze orientate in
direzioni opposte: le une tendenti al mantenimento e dell'affinità. Lo
studio dei linguaggi offre straordinari esempi di tali fenomeni: così,
mentre lingue della stessa origine tendono a differenziarsi a vicenda,
lingue di origine diversa, ma parlate in territori contigui, sviluppano
caratteri comuni. Il problema della diversità non si pone solo a
proposito delle culture considerate nei loro rapporti reciproci; esiste
anche in seno ad ogni società, in tutti i gruppi che la costituiscono. Ci si
può chiedere se tale diversificazione interna non tenda ad aumentare
quando la società diventa più omogenea, il concetto di diversità delle
culture umane non va inteso in maniera statica.Tale diversità non è
quella di un campionario o di un catalogo. Le società umane non sono
mai sole, quando sembrano separatissime è solo perchè danno luogo a
una forma di gruppi. Di conseguenza la diversità delle culture umane
non deve invitarci a un'osservazione spezzettata. Essa è funzione non
tanto dell'isolamento dei gruppi quanto delle relazioni che li uniscano.

3) L'etnocentrismo:
Sembra che la diversità delle culture sia raramente apparsaagli uomini

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per quello che è: un fenomeno naturale,risultante dai rapporti diretti o


indiretti fra le società, si è visto piuttosto in essa una sorta di
mostrusità o di scandalo. L'atteggiamento più antico poggia su
fondamenti psicologici solidi, poiche tende a riapparire in ognuno di noi
quando siamo posti in una situazione inattesa, consiste nel ripudiare
semplicemente le forme culturali che sono più lontane da quelle con
cui ci identifichiamo. Così l'antichità confondeva tutto quello che non
faceva parte della cultura greca sotto ilnome di barbaro: la civiltà
occidentale ha poi utilizzato il termine selvaggio nello stesso senso.
L'atteggiamento di pensiero nel cui nome si respingono i selvaggi fuori
dall'umanità è proprio l'atteggimento più caratteristico che
contraddistingue quei selvaggi medesimi. E' noto che la nozione di
manità che include senza distinzione di razza o di civiltà, tutte le forme
della specie umana,è di apparizione assai tardiva e di espansione
limitata. Il barbaro è per prima cosa l'uomo che crede nella barbaria. I
grandi sistemi filosofici e religiosi dell'umanità elevate contro tale
credenza. Il preambolo della seconda dichiarazione dell'UNESCO sul
problema delle razze rivela saggiamente che quel che convince l'uomo
della strada che le razze esistono è l'evidenza immediata dai sensi
quando scorge insieme un africano, un europeo, un asiatico e un
pellerossa. Le grandi dichiarazioni dei diritti dell'uomo hanno la forza e
la debolezza di enunciare un ideale troppo spesso dimentico del fatto
che l'uomo non realizza la propria natura in un'umanità astratta. Il
tentativo di sopprimere la diversità delle culture pur fingendo di
riconoscerla in pieno. Se infatti si considerano i diversi stati di cui le
società umane, si trovano come stadi o tappe di un unico svolgimento
che debba farle convergere nella stessa meta. L'umanità diventa una e
identica a se stessa; solo che tale unità e tale identità non possono
realizzarsi se non progressivamente.

4) Culture arcaiche e culture

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primitive.
Abbiamo suggerito che ogni società può, dal proprio punto di vista,
suddividere le culture in tre categorie: quelle che le sono
contemporanee, ma che si trovano situate in un altro punto del globo;
quelle che si sono manifestate approssimativamente nello stesso
spazio, ma che l'hanno preceduta nel tempo; quelle che sono esistite
sia in un tempo anteriore sia in uno spazio diverso da quello in cui essa
si colloca. Questi tre gruppi sono riconoscibili in modo diseguale. Per
contro, è estremamente allettante cercare di stabilire tra le culture del
primo gruppo, relazioni equivalenti a un ordine di successione nel
tempo. Delle civiltà scomparse, noi conosciamo solo alcuni aspetti e
questi aspetti sono tanto meno numerosi quanto più è antica la civiltà
considerata. Il procedimento consiste quindi nel prendere la parte per il
tutto, e nel concludere,in base al fatto che certi aspetti di due civiltà
offrono rassomiglianze, con l'antologia di tutti gli aspetti. Questo modo
di ragionare è smentito dai fatti. Il filo del ragionamento è il seguente:
le popolazioni primitive attuali hanno riti di caccia, che ci sembrano
spesso privi di valore utilitario; le pitture rupestri preistoriche pure ci
sembrno prive di valore, i loro autori erano cacciatori quindi esse
servivano a riti di caccia. In generale tutte le società umane hanno
dietro di loro un passato che è approssimativamente dello stesso
ordine di grandezza, si parla di "popoli senza storia", cioè che la loro
storia rimarrà sconosciuta. Le società umane hanno utilizzato in modo
diverso un tempo passato che per alcune sarebbe stato persino tempo
perso. Finiremmo così per ditinguere fra due specie di storie; una
progressiva che accumula i ritrovamenti e le invenzioni per costruire
grandi civiltà e un'altra storia in cui ogni innovazione si è dissolta.

5) L'idea di progresso

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Se si considera le culture appartenenti al secondo gruppo


precedentemente distinto, l'ipotesi di una evoluzione sembra incerta e
fragile, sembra invece in questo caso difficilmente contestabile, e
persino direttamente provata dai fatti. Sappiamo per la testimonianza
dell'archeologia che l'Europa fu inizialmente abitata da varie specie del
genere Homo che poi a queste prime culture ne sono succedute altre,
queste forme successive si coordinano dunque nel senso di
un'evoluzione e di un progresso. I processi compiuti dall'umanità a
cominciare dalle sue origini sono così manifesti e così straordinari che
ogni tentativo per discuterli si ridurrebbe a un esercizio di retorica.
Tutto quello che vale per culture vale anche sul piano delle razze,
senza che si possa stabilire nessuna correlazione fra i due processi.
Tutto ciò non vuole negare la realtà di un progresso dell'umanità, ma ci
invita a intenderlo con maggior prudenza. Lo sviluppo delle conoscenze
preistoriche e archeologiche tende a disporre nello spazio forme di
civiltà che eravamo propensi a immaginare come successive nel
tempo. Questo significa due cose: inanizitutto che il "progresso" non è
nè necessario nè continuo; procede a salti o per mutazioni. Questi salti
non consistono nell'andar sempre più lontano nella stessa direzione.
Quel che si guadagna sell'uno, si è sempre esposti a perderlo sull'altro,
e solo di tanto in tanto la storia è comulativa.

6) Storia stazionaria e storia


comulativa.
La distinzione fra la storia sazionaria e quella comulativa dipende dalla
natura intrinseca delle culture alle quali è applicata. Considereremo
cosìcomulativa ogni cultura che si sviluppa in un senso analogo al
nostro, cioè il cui sviluppo fosse dotato per noi di significato. Mentre le
altre culture ci appaiono stazionarie ma perchè la loro linea di sviluppo

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non significa nulla per noi. La contrapposizione fra culture progressive


e culture inerti sembra così risultare da una differenza di foalizzazione.
Sin dalla nascita infatti l'ambiente circostante fa penetrare in noi, un
complesso sistema di riferimenti che consiste in giudizi di valore. Noi ci
spostiamo con questo sistema di riferimenti, e le realtà culturali
esterne ad esso sono osservabili solo attraverso le deformazioni che
esso impone loro. La distinzione fra le "culture che si muovono" e le
"culture che non si muovono" si spiega in base alla stessa differenza di
posizione che fa si che per un viaggiatore si muova o non si muova.
Ogni qualvolta proprendiamo a qualificare una cultura umana come
inerte o stazionaria, dobbiamo dunque chiederci se questo
immobilismo apparente non dipenda dalla nostra ignoranza dei suoi
autentici interessi, consapevoli o inconsapevoli o se questa cultura non
sia nei nostri confronti vittima della stessa illusione. Noi apparteniamo
l'uno all'altro come privi d'interesse per il semplice motivo che non ci
rassomigliamo.

7) Posto della civiltà occidentale


E' possibile sul piano della logica astratta, che ogni cultura sia
incapace di giudicare davvero un'altra, poichè una cultura non può
evadere da se stessa e la sua valutazione resta prigioniera di un
relativismo senza scampo. Non servirebbe a nulla voler difendere
l'originalità delle culture umane contro se stesse. Inoltre, è
estremamente difficile all'etnologo formulare un giusta valutazione di
un fenomeno come l'universalizzarsi della civiltà occidentale e ciò per
molte ragioni. L'esistenza di una civiltà mondiale è un fatto
probabilmente unico nella storia. L'adesione del genere di vita
occidentale per esempio, è ben lontano dall'essere così spontanea
come gli Occidentali picerebbecredere credere. Essa dipende non tanto
da una libera decisione, quanto da una mancanza di scelta.

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8) Caso e civiltà
Si legge in trattati di etnologia che l'uomo deve la conoscenza del
fuoco al caso del fulmine o di un incendio nella boscaglia. Si direbbe
che l'uomo sia vissuto in un primo in una specie di età dell'oro
tecnologica, in cui le invenzioni si sceglievano con la stessa facilità dei
frutti e dei fiori. All'uomo moderno sarebbero riservate le fatiche del
lavoro e le illuminazioni del genio. Questa teoria deriva da una totale
ignoranza della complessità e della diversità delle operazioni che le
tecniche più elementari implicano. Tutte le scoperte dell'uomo sono
davvero troppo numerose e troppo complesse per essere spiegate dal
caso. Solo la loro combinazione immaginata,voluta, cercata e
sperimentata permette il successo. Il caso certo esiste, ma di per sè
non dà nessun risultato. Dobbiamo dunque distinguere con cura la
trasmissione di una tecnica da una generazione all'altra, che avviene
sempre con relativa facilità grazie all'osservazione e all' allenamento
quotidiano, e la creazione o il miglioramento delle tecniche in seno a
ogni generazione. Ritroveremo il caso e la probabilità, ma su un altro
piano e con un'altra funzione. Li utilizzeremo non per spiegare la
nascita di invnzioni già fatte ma per interpretare un fenomeno che si
colloca a un altro livello di realtà. Per spiegare le differenze nel corso
delle civiltà si arriverebbe quindi ad invocare insieme di cause così
complessi e discontinui da essere inconoscibili, non solo per ragioni
pratiche ma anche per ragioni teoriche. Per sbrogliare una matassa
formata di fili tanto numerosi e tenui, bisognerebbe sottoporre la
società considerata a uno studio etnografico globale e di tutti gli
istanti. E' noto che gli etnografi sono spesso limitati nelle loro
osservazioni dai sottili mutamenti che la loro pura e semplice presenza
basta a introdurre nel gruppo umano oggetto del loro studio. E' vero
che, quando alle invenzioni tecniche la civiltà occidentale si è rivelata
più comulativa delle altre che dopo aver disposto dello stesso capitale

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neolitico iniziale, ha saputo arrecare alcuni miglioramenti. Due volte


nella sua storia l'umanità ha saputo accmulare una molteplicità di
invenzioni orientate nello stesso senso; e questo numero e questa
continuità sono concentrati in un lasso di tempo sufficientemente
breve perchè altre sintesi tecniche si operassero, sintesi che hanno
comportato mutamenti significativi nei rapporti dell'uomo con la
natura. L'immagine di una reazione a catena scatenata da corpi
catalizzatori, permette di illustrare questo processo che finora si è
ripetuto due volte. Tutti gli altri mutamenti, che si sono certamenti
prodotti,si rivelano solo in forma di frammenti. Non possono acquistare
un senso per l'uomo occidentale moderno, possono addirittura essere
per lui come se non fossero esistiti. Siamo certi che il problema della
priorità non ha importanza, proprio perchè la simultaneità di
apparizione degli stessi sconvolgimenti tecnologici su trritori tanto
vasti e in regioni tanto distanti tra loro, rivela chiaramente come essa
non sia dipesa dal genio di una razza o di una cultura, ma da condizioni
così generali da collocarsi al di fuori della coscienza degli uomini.
Possiamo dunque essere certi che, se la rivoluzione industriale non
fosse apparsa anzitutto in Europa si sarebbe manifestata un giorno in
un altro punto del globo. Dobbiamo introdurre una nuova limitazione al
rigore della distinzione fra storia storia stazionaria e storia comulativa.
Non solo questa distinzione è relativa ai nostri interessi ma non riesce
mai ad essere netta. Nel caso delle invenzioni tecniche è certissimo
che nessun periodo, nessuna cultura sia assolutamente stazionario.
Tutti i popoli posseggono e trasformano, migliorano o dimenticano,
tecniche abbastanza complesse da permettere loro di dominare
l'ambiente. La differenza quindi non è mai tra storia comulativa e storia
non comulativa, ogni storia è comulativa con differenza di grado. Il
problema della relativa scarsità di culture "più cumulative" rispetto alle
culture "meno comulative" si riduce a un problema noto che dipende
dal campo delle probabilità.

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9) La collaborazione delle culture


Le culture che sono riuscite a realizzare le forme di storia più
comulative non sono mai prodotte da culture isolate, bensì da qulture
che combinando i loro giochi rispettivi realizzano quelle coalizioni di cui
abbiamo immaginato il modello. E prorpio qui tocchiamo con mano
l'assurdità del dichiarare una cultura superiore a un'altra. Poiche nella
misura in cui quella cultura fosse sola non potrebbe mai essere
superiore. Ma nessuna cultura è sola, ogni cultura è sempre data in
coalizione con altre culture ed è questo che le permette di edificare
serie cumulative. La possibilità che una cultura ha di totalizzare quel
complesso insiemedi invenzioni di ogni ordine che chiamiamo una
civiltà, è funzione del numero e delle diversità delle culture con cui
essa partecipa all'elaborazione. Il confronto tra il Vecchio Mondo e il
Nuovo alla vigilia della scoperta illustra questa duplice necessità. La
storia cumulativa non è prerogativa di alcune razze o di alcune culture
che in tal modo si distinguerebbero dalle altre. Essa risulta dal loro
comportamento più che dalla loro natura. In questo senso si può dire
che la storia comulativa sia la forma di storia caratteristica di quei
superorganismi sociali che costituiscono i gruppi di società, mentre la
storia stazionaria sarebbe il contrassegno di quel genere di vita
inferiore che caratterizza le società solitarie. L'unica tara che possa
affliggere un gruppo umano e impedirgli di realizzare in pieno la
propria natura, è quella di essere solo, il merito di una invenzione
attribuito a questa o quella cultura non è mai sicuro. I contriuti culturali
possono sempre suddivdersi in gruppi,da un lato abbiamo aspetti
acquisizioni isolate la cui importanza è facilmente valutabile. Infine non
ci sono contributi senza beneficiario. Ma se esistono culture concrete,e
di cui si può dire che abbiano contributo e continuino a farlo, che cos'è
questa "civiltà mondiale"? Non è una civiltà distinta da tutte le altre,
non si delinea un'epoca o un gruppo di uomini: si utilizza un concetto

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astratto, a cui attribuiamo un valore o morale o logico; morale se si


tratta di un fine che proponiamo alle società esistenti, logico se
intendiamo raggruppare sotto uno stesso vocabolo gli elementi comuni
che l'analisi permette di individuare fra le diverse culture. La nozione di
civiltà mondiale è molto povera e schematica, e che il suo contenuto
intellettuale e affettivo non presenta certo grande densità. Il vero
contributo delle culture non consiste nell'elenco delle loro invenzioni
particolari, ma nello scarto differenziale che esse presentano tra di
loro. La civiltà mondiale non può essere altro che la coalizione, su scala
mondiale, di culture ognuna delle quali preservi la propria originalità.

10) Il doppio senso del progresso


Si è visto come ogni progresso culturale sia funzione di una coalizione
tra le culture. Questa coalizione consiste nel mettere in comune la
possibilità che ogni cultura ha nel corso del suo sviluppo storico;
abbiamo ammesso che questa coalizione è tanto più feconda quanto
più avviene fra culture diversificate. Sembra chiaro che ci troviamo di
fronte a condizioni contraddittorie: quel gioco in comune da cui deriva
ogni progresso,deve implicare come conseguenza un omegneizzazione
delle risorse di ogni giocatore. E se la diversità è una condizione
iniziale, bisogna riconoscere che le possibilità di vincita divantano
tanto più deboli quanto più la partita deve prolungarsi. A questa
ineluttabile conseguenza esistono solo due rimedi; l'uno consiste nel
provocare con il suo gioco scarti differenziali, la cosa è possibile in
quanto ogni società si compone di una coalizione di gruppi e in quanto
la puntata sociale è fatta dalle puntate di tutte queste componenti. Le
grandi rivoluzioni sono state accompagnate non solo da una
diversificazione del corpo sociale ma anche dell'intaurarsi di statuti
differenziali fra i gruppi. Si è avuto la tendenza di considerare tali
trasformazioni sociali come la conseguenza delle trasformazioni

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tecniche. Se la nostra interpretazione è esatta, la relazione di casualità


deve essere abbandonata a vantaggio di una correlazione funzionale
fra i due fenomeni. Il secondo rimedio è condizionato dal primo:
consiste nell'introdurre nella coalizione nuovi partner il cui gioco sia
differente da quello che caratterizzava l'associazione iniziale. In
entrambi i casi il rimedio consiste nell'allargare la coalizione, sia per
diversificazione interna, sia per ammissione di nuovi partner; in fin dei
conti si tratta sempre di aumentare il numero di giocatori,cioè di
ritornare nella complessità della situazione iniziale. Tali soluzioni
possono solo rallentare provvisoriamente il processo. Per progredire
occorre che gli uomini collaborino e nel corso di questa collaborazione
essi vedono gradualmente identificarsi gli apporti di cui la diversità
iniziale era per l'appunto quel che rendeva la loro collaborazione
necessaria. La diversità delle culture umane è intorno a noi. La sola
esigenza che possiamo far valere nei suoi confronti è che essa si
realizzi in forme ciascuna delle quali sia un contributo alla maggior
generosità delle altre.

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