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Primi passi nel mondo degli archivi

Cap. I : Accostarsi all’archivio

1. Archivistica disciplina multiforme


L’archivistica è la disciplina che si occupa degli archivi. Gli storici tendono a
considerare gli archivi
esclusivamente come fonti storiche e quindi a racchiudere la disciplina come
una semplice attività di reperimento delle fonti; al contrario chi lavora
nell’amministrazione pubblica o privata considera i documenti come obblighi
imposti dalla burocrazia e la loro conservazione un peso alquanto fastidioso.
Quindi paradossalmente queste due contrapposte concezioni risultano tra di
loro complementari e costituiscono due facce della stessa medaglia (i due volti
di Giano Bifronte, simbolo internazionale dell'archivistica). Detto ciò possiamo
affermare che l’archivistica è la disciplina che studia gli archivi in tutte le loro
forme problematiche: come erano formati gli archivi, pubblici o privati, nel
passato come nel presente, quali devono essere i metodi di gestione di un
archivio di formazione e come deve agire un archivista nell’archivio. Proclamo
l’unicità dell’archivio (l’impossibilità cioè di distinguere teoricamente per
esempio l’archivio corrente da quello di deposito poiché tutto è semplicemente
archivio) e dichiarò l’esistenza di un unico metodo di ordinamento il metodo
storico, caratterizzato dal vincolo archivistico (nesso che collega in maniere
logica e necessaria la documentazione che compone l’archivio prodotto da un
ente; consente quindi di ricondurre con certezza la documentazione all’ente
che l’ha prodotta). Il campo d’azione degli archivisti si è molto ampliato
recentemente, in concomitanza con gli eventi che hanno determinato il
cambiamento strutturale dello Stato e con l’arrivo delle nuove tecnologie, che
hanno provocato profondi cambiamenti sul modo di lavorare. La figura
dell’archivista, visto in precedenza come semplice custode della memoria
storica, viene così delineata piuttosto come architetto della memoria.

2. Archivio: un concetto complesso


La definizione concettuale di archivio è abbastanza recente e risale all’articolo
di Giorgio Cencetti
del 1937 “Sull’archivio come universitas rerum” nel quale si evidenziavano i
caratteri distintivi
dell’archivio rispetto ad altre universitates quali la biblioteca e il museo.
Cencetti definiva archivio il complesso degli atti spediti e ricevuti da un ente o
individuo per il conseguimento dei propri fini o per l’esercizio delle proprie
funzioni. Un traguardo importante per l’archivistica è stato raggiunto con la
legge del ’39. In quell’anno il Cencentti tornò sul concetto di vincolo
archivistico e formulò la teoria del rispecchiamento secondo la quale è inesatto
dire che l’archivio rispecchia l’ente, perché in realtà è l’ente medesimo, e
proclamò “l’unicità dell’archivio” secondo cui era impossibile
differenziare teoricamente l’ufficio di protocollo dall’archivio, l’archivio corrente
da quello di
deposito, poiché tutto è semplicemente archivio. Inoltre dichiarò l’esistenza di
un solo metodo di
ordinamento: il metodo storico, caratterizzato dal vincolo archivistico (nesso
che collega in maniera logica e necessaria la documentazione che compone
l'archivio prodotto da un ente; consente di ricondurre con certezza la
documentazione all'ente che l'ha prodotta. Un articolo di Claudio Pavone del
1970 invita chi studia un ente produttore a considerare quattro livelli:
a) Il complesso delle norme che lo regolano
b) La prassi amministrativa e i rapporti giuridici che si svolgono nell’ambito
delle norme
c) I rapporti sociali che nell’istituto cercano la loro forma giuridica
d) I risultati della presenza dell’istituto nel contesto sociale
Filippo Valenti riguardo il vincolo e la sua conservazione nella forma originaria
afferma che le vicende subite dagli archivi, in particolare accorpamenti,
selezioni e utilizzi basati su riordini arbitrari, possono aver prodotto nuove
aggregazioni documentarie. Valenti propone di parlare di vincolo “mediato o
articolato” tra soggetto produttore e archivio, e introduce il concetto di istituto
conservatore. In tal modo l’archivistica assume una propria autonomia poiché
si configura come disciplina di ricerca e di recupero delle fonti documentarie.
Questo sottolinea quindi l’importanza della storia degli archivi come fonte per
la stInoria delle strutture che li hanno prodotti, ma anche della tradizione
documentale e del trattamento gestionale degli archivi da parte dei soggetti
conservatori nelle differenti epoche.

3. Documenti e archivio
Per gli archivisti il termine documento aveva un’accezione più ampia. Paola
Carucci definisce
documento ogni rappresentazione in forma libera di un fatto o di un atto
relativo allo svolgimento
dell’attività istituzionale, statuaria o professionale di un ente o di una persona.
Un’altra definizione
quella di Mariella Guercio secondo cui il documento è la rappresentazione
memorizzata su un supporto e conservata da una persona fisica o giuridica
nell’esercizio delle sue funzioni di un atto/fatto rilevante per lo svolgimento di
tale attività. La Guercio precisa però che può essere documento d’archivio
anche qualcosa che non è considerato documento in senso stretto né dai
giuristi né dai diplomatisti.

4. Altre accezioni del termine “archivio” usate in Italia


In Italia in termine “archivio viene usato anche per indicare altre due realtà:
1. Il locale dentro il quale si conservano i documenti archivistici .
2. Il personale e l’organizzazione che si occupa della formazione, gestione,
selezione e
conservazione dei documenti. In particolare la prima accezione ha creato
numerosi equivoci nella gestione archivistica, soprattutto nelle amministrazioni
pubbliche, convinte che i problemi archivistici fossero solo problemi di spazio e
non di organizzazione e dimenticandosi che l’archivio è un servizio, non un
magazzino.

5. Funzioni dell’archivio e dei documenti archivistici


L’attività amministrativa e le relazioni interpersonali di carattere giuridico non
sarebbero possibili senza la produzione di documenti archivistici.
 Si definisce fatto giuridico qualsiasi fatto che produce effetti giuridici, quindi
ogni fatto del
quale una norma del diritto fa derivare qualche conseguenza
 Si definisce atto giuridico la manifestazione di volontà con cui un soggetto
giuridico esercita un
potere previsto dalle norme, producendo effetti giuridici corrispondenti alla
volontà espressa. Ad
esempio, la decisione concorde del proprietario di vendere e dell’acquirente di
comprare un bene
immobile produce un trasferimento di proprietà dal prima al secondo.
Si capisce quindi che la funzione dei documenti è di tutelare i diritti del
soggetto produttore in quanto essi non perdono mai la loro efficacia. Ai nostri
giorni la produzione documentaria degli ordinamenti giuridici è in costante
crescita, tanto che si parla di invasione cartacea. Per questo motivo la
storiografia archivistica ha messo a punto il concetto di “documenti vitali”,
intendendo quei documenti di un’organizzazione che, in caso di disastro, sono
necessari a ricreare il suo stato giuridico e la sua situazione legale e finanziaria,
a garantire i diritti dei dipendenti, clienti, azionisti o cittadini. Inoltre le
pubbliche amministrazioni e i privati trovano nell’archivio uno strumento di
lavoro eccezionale poiché da esso possono ricavare i precedenti, conoscere
cioè l’antefatto specifico o generale; possono valutare la situazione di contesto
e programmare l’attività amministrativa e organizzare il lavoro. Per questi
motivi l’archivio risulta un serbatoio di risorse inesauribile, se ben gestito non
come un magazzino ma come un servizio che gestisce in modo attivo la
formazione, la conservazione e l’uso dei documenti.

6. Collocazione istituzionale degli archivi


Al momento dell’unificazione la situazione degli archivi nei diversi stati era
molto diversa: nel Regno di Sardegna e nel Regno delle due Sicilie essi
dipendevano dal Ministero dell’interno, nel Lombardo- Veneto dal Ministero
della pubblica istruzione e nel Granducato di Toscana da quello delle finanze. Il
15 marzo del 1870 venne istituita un’apposita commissione, chiamata come il
suo fondatore Luigi Cibrario, incaricata di studiare il problema della dipendenza
degli archivi. Così il 5 marzo del 1874 gli archivi vennero affidati al Ministero
dell’interno fino al 1975 quando passarono al Ministero dei beni culturali e
ambientali. Nel decreto legislativo del 1999 compaiono i beni archivistici e si
specifica che sono beni archivistici:
a) Gli archivi e i singoli documenti dello Stato
b) Gli archivi e i singoli documenti degli enti pubblici
c) Gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono
notevole interesse storico

7. La specificità dell’archivio rispetto agli altri bene culturali


Gli archivi sono beni culturali, ma si differenziano dagli altri beni culturali per
alcune aspetti. Infatti
l’apparente somiglianza fisica tra archivio e biblioteca e la sostanziale
incomprensione della loro
specifica natura avevano provocato enormi problemi: un esempio potrebbe
essere la collocazione in biblioteca, invece che in archivio di quasi tutti gli
statuti commerciali di età medievale. Per evitare ulteriori problemi Giorgio
Cencetti precisa le differenze tra biblioteca ed archivio che individuò in 4 punti
specifici:
1. L’autenticità dei documenti d’archivio
2. La fungibilità dei libri
3. La natura commerciale dei libri
4. L’indivisibilità dei complessi archivistici
E’ importante quindi ribadire che gli archivi, se come beni culturali condividono
con libri, statue,
palazzi, affreschi, giardini storici in genere la funzione di fonti storiche
necessarie per la conoscenza di una determinata civiltà e di un determinato
periodo, devono però rispondere ad alcuni requisiti fondamentali per
continuare ad essere fonti e testimoni di diritti.

8. Le età ovvero fasi di vita dell’archivio


Dalla circolare del 1 marzo 1897 il Ministero dell’interno stabilisce che ogni
ufficio comunale deve
tenere due distinti archivi:
 Un archivio corrente per gli atti iniziati e non compiuti
 Un archivio di deposito per quelli sui quali si sia definitivamente provveduto
Anche il R.D. del 1900 distingue tra archivio corrente e archivio di deposito, ma
bisognerà arrivare alla legge del 1939 per trovare l’individuazione dell’archivio
di stato: esso prescrive infatti che i comuni capoluoghi di provincia, e con una
popolazione superiore ai 50.000 abitanti, debbano istituire separate sezioni
d’archivio per gli atti precedenti il 1870. Un altro articolo afferma che i
documenti relativi ad affari esauriti da oltre 40 anni costituiscono la “separata
sezione d’archivio, il che presuppone, anche se non esplicitamente l’esistenza
di un archivio storico. Abbiamo inoltre tre fasi di vita degli archivi. Ognuna di
queste fasi è caratterizzata da un’attività archivistica prevalente: durante la
prima fase si verifica la formazione dell’archivio, durante la seconda si attua la
sedimentazione e si compie la selezione del materiale, la terza è dedicata alla
conservazione permanente dei documenti giudicati degni di tale trattamento.

9. Originale, originali multipli, copie, minuta


Per originale si intende il documento che l’autore redige, se è autorità pubblica,
lo fa redigere, se come privato si rivolge a un rogatario, con tutti i requisiti
formali in grado di conferire autenticità ed efficacia probatoria al documento
stesso.
Talvolta, nel caso di negozi giuridici che coinvolgono in forma paritaria più…….
sorge la necessita di
redigere tanto originali multipli quanti sono gli autori dell’atto giuridico. Ad
esempio, nel caso di
compravendite o permute immobiliari, ad ogni autore dell’atto giuridico viene
consegnato un esemplare del rogito.
Sempre per una questione di sicurezza, oltre che di comodità amministrativa, si
può decidere di fare la copia di un documento, cioè di riprodurre con una
trascrizione o meccanicamente o fotograficamente un documento. La copia
semplice, anche se identica all’originale, no ha il medesimo valore giuridico-
probatorio dell’originale.
Al contrario della copia che segue cronologicamente l’originale abbiamo la
minuta che viene definita come stesura preparatoria dell’originale.

10. Documento principale e documento allegato


Nella pratica amministrativa e negli archivi si possono trovare due tipi di
documenti:
 I documenti principali che sono associati, se scritti su supporto informatico
ad altri documenti
 I documenti allegati che sono uniti, anche fisicamente, se scritti su un
supporto cartaceo (con
spilli, fermagli o altro).
C’è da dire che il documento allegato è più importante di quello principale
poiché quest’ultimo viene utilizzato, nella pubblica amministrazione, più che
altro come mezzo di comunicazione di eventi e diritti determinati e
documentati dall’allegato.

Cap. 2 : Gli archivi in Italia

3. Dal produttore al conservatore


Nella normativa italiana dedicata alla conservazione degli archivi nella loro fase
storica riveste una
rilevanza determinante la natura giuridica dell’ente che ha prodotto l’archivio.
In particolare i soggetti produttori vengono distinti in tre gruppi:
1) Gli organi e gli uffici dello Stato, centrali ( Presidenza della Repubblica,
Camera dei deputati,
Senato della Repubblica ecc…) e periferici ( Prefetture/ Uffici del governo, uffici
finanziari,
Questure, tribunali).
2) Gli enti pubblici (Regione, Provincie, Comuni, le ASL e l’INPS)
3) I privati (persone, famiglie, associazioni, fondazioni e imprese)
Gli archivi storici degli organi e uffici statali centrali sono versati e conservati
all’Archivio centrale
dello Stato; quelli prodotti dagli uffici statali periferici sono versati e conservati
nell’Archivio di Stato competente per territorio; quelli degli enti pubblici e dei
privati sono conservati, anche nella fase storica, dai rispettivi produttori. Un
articolo di legge del 1963 stabilisce invece che è compito
dell’amministrazione degli Archivi di Stato:
a) conservare:
1) Gli archivi degli Stati italiani premunita
2) I documenti degli organi legislativi (che in seguito si organizzano in modo
autonomo), giudiziari
ed amministrativi dello Stato
3) Tutti gli altri archivi e singoli documenti che lo Stato abbia in proprietà o in
deposito per
disposizione di legge o per altro titolo
b) esercitare la vigilanza:
1) Sugli archivi degli enti pubblici
2) Sugli archivi di notevole interesse storico in possesso di privati
Secondo questo stesso articolo di legge gli organi predisposti alla
conservazione sono:
a) L’Archivio centrale dello Stato con sede in Roma
b) Gli archivi di Stato con sede nei capoluoghi di provincia

4. Uffici e organi centrali dello Stato: Archivio centrale dello


Stato e altre
sedi di conservazione
Per la conservazione dei documenti produttori dagli organi centrali dello Stato
era stato creato un
apposito istituto di concentrazione: l’Archivio del Regno, che però non ebbe vita
autonoma, in quanto
fino al 1953 ebbe sede e direttore in comune con l’Archivio di Stato di Roma.
L’Archivio centrale dello Stato, con sede all’EUR di Roma, fu istituito nel 1959-
60. In esso si conservano gli originali delle leggi, le inchieste parlamentari, gli
archivi del Senato, dei Tribunali militari, dello Stato fascista e di enti nazionali.
L’Archivio centrale dello Stato svolge anche funzione di sorveglianza tramite
apposite commissioni. Fanno eccezione e quindi non vengono concentrati
nell’Archivio centrale dello Stato:
 Gli Archivi storici parlamentari
 L’Archivio storico della Presidenza della Repubblica
 L’Archivio della Corte costituzionale
 L’Archivio storico del Ministero degli affari esteri e gli Archivi storici del
Ministero della Difesa

5. Uffici e organi periferici dello stato: Archivio di Stato e


sezioni
Gli archivi di Stato (uno per ogni città capoluogo di provincia) sono istituti
periferici
dell’amministrazione archivistica deputati alla conservazione degli archivi degli
stati italiani preunitari, degli archivi storici versati negli uffici statali attivi nella
circoscrizione di competenza de
singolo Archivio di Stato e di qualsiasi archivio o documento pervenuto per
diritto.
Gli organi giudiziari e amministrativi dello Stato versano all’Archivio centrale
dello stato e agli Archivi di Stato i documenti relativi ad affari esauriti da oltre
quarant’anni. Le liste di leva e di estrazione sono versate settant’anni dopo
l’anno di nascita della classe cui si riferiscono. Gli archivi notarili versano gli
notarili ricevuti da notai che cessarono l’esercizio professionale anteriormente
all’ultimo centennio, e che prima vengono concentrati nell’Archivio notarile
distrettuale. L’archivio centrale dello Stato e gli Archivi di Stato esercitano la
sorveglianza sugli archivi correnti e di deposito degli uffici statali attraverso
apposite commissioni costituite dal direttore o suo delegato e da un funzionario
dell’ufficio, dal direttore o suo delegato dell’Archivio di Stato e da un
funzionario del Ministero dell’interno. Queste commissioni hanno il compito di
vigilare sulla corretta tenuta degli archivi correnti e di deposito.
6. Gli enti pubblici e gli archivi privati dichiarati di interesse
storico: le
Soprintendenze archivistiche
La vigilanza sugli archivi degli enti pubblici e sugli archivi privati, che vengono
conservati dai
produttori stessi, spetta alle Soprintendenze archivistiche, che sono distribuite
una per regione. La loro attività di vigilanza serve a garantire l’individuazione,
la conservazione e l’uso corretto del patrimonio archivistico detenuto dagli enti
pubblici e privati. Per sostenere i privati nella conservazione dei loro archivi lo
Stato ha previsto l’erogazione di contributi finanziari. Le soprintendenze
esercitano anche la funzione della tutela, vale a dire la difesa del patrimonio
archivistico dello Stato, delle Regioni e degli altri enti locali, che costituisce il
demanio culturale, assoggettato al regime proprio del demanio pubblico. Perciò
le Soprintendenze, oltre a recuperare i documenti, vigilano sul commercio di
documenti e possono esercitare il diritto di prelazione sui beni archivistici posti
in vendita. Inoltre vigilano anche sugli archivi ecclesiastici.

7. L’attività didattica
L’amministrazione archivistica svolge inoltre un’altra funzione, quella didattica,
che fino a qualche
tempo fa si concretizzava nell’attività delle Scuole di archivistica, paleografia e
diplomatica. Negli
ultimi anni inoltre le Soprintendenze hanno organizzato corsi di breve durata
per istruire il personale degli enti soggetti alla vigilanza.

Cap. 3 : Politiche e strategie di gestione


documentale

1. La gestione documentale nei secoli


Le metodologie di gestione documentale elaborate nel passato si sono
progressivamente affinate e costituiscono un bagaglio di conoscenze,
competenze e abilità essenziale per unire tradizione e
innovazione. Per l’area italiana possiamo trovare quattro tipi di periodizzazione:
 Epoca dei Comuni sovrani (Medioevo)
 Epoca degli Stati regionali e dei principati
 Epoca dello Stato di tipo centralistico
 Epoca dello Stato a struttura decentrata in ambito globale
Durante l’epoca medievale lo Stato è “conchiuso” in se stesso: decide e si
organizza autonomamente sia sul piano politico sia sul piano amministrativo,
riferendosi prevalentemente al diritto statuario. I documenti si stratificano per
ufficio e tipologia documentaria. Inoltre acquisisce importanza la modalità di
conservazione dei documenti di registro. Le carte sciolte, contenenti titoli di
proprietà e attestazioni di diritti venivano copiate in appositi registri oppure
legate assieme a costituire volumi. Quelle di natura preparatoria venivano
distrutte dopo che erano servite per la redazione dei documenti finali. Nel
periodo degli Stati regionali si verifica la convivenza di istituzioni diverse:
quelle “autoctone”, che continuano ad esistere e ad agire però in forma non più
pienamente autonoma o con forti limitazione in determinate materie, e quelle
esterne della città, che esercita la sua azione amministrativa, in modi differenti
a seconda dello Stato, ma imponendo alle città suddite rappresentanti del
governo centrale. Questa struttura aumenta la massa delle comunicazioni,
quindi delle lettere che vanno al centro e viceversa, e impone la redazione di
registri copiari con valenza probatoria. Nasce così la necessità di interrelare i
documenti, poiché su una questione intervengono diversi uffici. Si verificano i
primi rimaneggiamenti a posteriori della documentazione prodotta in passato,
che viene riorganizzata e riordinata. Le carte sciolte vengono spesso rilegate in
volumi e viene introdotto il catastico, che consente di trovare materiale in
riferimento al suo contenuto. Nel periodo dello Stato di tipo centralistico lo
Stato necessita di esercitare il controllo sull'amministrazione periferica e di
essere al sicuro che la comunicazione di istruzioni, ordini e disposizioni
avvenga in modo preciso: viene introdotto il sistema di gestione documentale
basato sull'uso combinato di registro di protocollo e della classificazione. Il
primo consente di tenere sotto controllo tutti i documenti dell'ente, il secondo,
che si basta sulle materie, permette di valutare con immediatezza l'attività
dell'ente in un particolare settore, e della fascicolazione, effettuata sulla base
della classificazione, che permette di costituire e disporre di informazioni
organizzate su un determinato affare. Nell'epoca del decentramento una
pluralità di soggetti, sia pubblici sia privati, intervengono a livello paritario per
condurre a risultato le attività programmate; di conseguenza aumenta il flusso
documentale
che necessità però di essere supportato dalla tecnologia

2. Un caso esemplare: le gestione documentale nel comune


di Padove dal
XIII al XXI secolo
L’esame della situazione del comune di Padova ci permette di analizzare le
modalità di formazione-gestione e conservazione degli archivi dal medioevo ai
giorni nostri.
L’epoca comunale . Risale al 1263 la prima indicazione sul testo statutario,
conservato in quadruplice copia presso altrettanti uffici; inoltre alcune copie di
sicurezza dei documenti considerati vitali erano conservate in armadietti
blindati presso i monasteri cittadini. I documenti minori erano rilegati in volumi,
la consultazione era consentita sia agli ufficiali comunali, sia ai singoli cittadini.
La dominazione veneziana. Intorno al 1420 vennero promulgate una serie di
norme per l’organizzazione della cancelleria municipale e dell’archivio. Si
elessero un cancelliere e alcuni notai incaricati della redazione e della
conservazione dell’archivio. La carica era vitalizia, salvo manifesta indegnità.
Gli eredi dei notai defunti vennero obbligati a consegnare all’archivio
municipale le scritture private in loro possesso. L’archivio cittadino si andava
configurando come un’istituzione nella quale confluivano anche gli archivi
prodotti dagli altri soggetti. Nel 1583 tra i notai più esperti della città venne
eletto un massaro che gestisse l’archivio comunale; la carica era triennale, ogni
anno il suo lavoro veniva vagliato da due consiglieri: queste precauzioni erano
dettate dall’esigenza di garantire l’autenticità dei documenti. Queste regole
rimasero in vigore a lungo, anche quando nel 1633 vi fu una riforma dovuta
all’aumento della mole dei documenti: si incrementò il numero degli addetti, si
cambiò sede dei documenti, si riordinò la documentazione in ordine alfabetico
(Giuseppe Revese). L’Ottocento e il Novecento. La caduta della Serenissima
causò la dispersione e spesso la perdita dei documenti conservati; si affermò in
questo periodo un nuovo modo di gestione, caratterizzato dalla registrazione a
protocollo e dalla classificazione dei documenti. A Padova la gestione
dell’archivio delle passate amministrazioni ricadde sul Museo. Innumerevoli
furono gli archivisti che si susseguirono nell’opera di recupero dei documenti,
ma lo spartiacque fu segnato dall’opera del Gloria, che divise anche
fisicamente l’archivio storico e quello amministrativo. Questa decisione, se da
un lato portò alla conservazione perfetta dell’archivio storico, dall’altro portò ad
una gestione spesso dubbia della parte amministrativa. Realizzazioni e
progetti. Alla fine del XX secolo l’amministrazione comunale ha capito che il
servizio archivistico andava ripensato e riorganizzato. Tale consapevolezza ha
portato ad una serie di norme atte alla miglioria delle condizioni dell’archivio,
che tra le altre cose hanno portato a:
· Censimento sistematico di tutti i documenti conservati in ben 87 sedi;
· Costruzione e arredo a norma della nuova sede dell’archivio di deposito;
· Cicli di addestramento del personale;
· Scelta di un sistema informatico di protocollazione

Cap. 4 : L’archivio in formazione

1. L’importanza del momento formativo per gli archivi


Abbiamo tre fasi di vita dell'archivio:
 Nella fase in formazione (corrente) l'archivio si forma e si struttura.
 Nella fase di deposito l'archivio viene vagliato e selezionato per sedimentarsi
nel suo assetto
definitivo.
 Nella fase storica, dedicata alla conservazione e alla realizzazione di
strumenti archivistici
descrittivi, l'archivio diventa oggetto di prevalente indagine storiografica e di
valorizzazione.
Ne consegue che il momento formativo è quello più importante, poiché in esso
si costituisce il vincolo archivistico, che marchia in modo indelebile il complesso
documentario.

2. Gli strumenti per la gestione dell'archivio in formazione


In Italia a partire dal XIX sec. la gestione dell'archivio in formazione si avvale di
alcuni metodi e
strumenti:
1. Registro di protocollo
2. Indice del registro di protocollo
3. Titolario di classificazione
4. Repertorio dei fascicoli
Il registro di protocollo serve ad annotare in ordine cronologico un sunto dei
documenti, in arrivo e in partenza; questo sistema nasce in area germanica tra
il XVII e il XVIII secolo. Il sistema della
registratura, che è in sostanza la memorizzazione dei dati essenziali del singolo
documento, sostituì il sistema “latino” di trascrivere, pressoché integralmente, i
documenti in appositi cartularii (per i documenti in arrivo) o copialettere (per
quelli in partenza). Il registro, nella forma cartacea prevede invece due facciate
contrapposte da leggere simultaneamente: quella di sinistra serve per la
corrispondenza in arrivo, quella di destra per quella in partenza. La
registrazione dei documenti segue un criterio cronologico, scandito da un
numero progressivo, che ricomincia da 1 all'inizio di ogni anno e che viene
riportato sul documento così da individuarlo in modo univoco e definitivo. Del
documento registrato si indicano nell'ordine, dal campo di sinistra dopo il
numero di protocollo:
- la data di redazione del documento
- l'eventuale numero di protocollo assegnato in uscita dall'ufficio che spedisce
- la data di registrazione
- il nome o denominazione del mittente
- l'oggetto, che è un registro critico del contenuto del documento: deve essere
sintetico e preciso in modo da garantire la possibilità di sostituire la
registrazione al documento
- il mezzo di trasmissione
- il numero degli allegati
- la classificazione (organizzazione logica del documento eseguita attraverso il
titolario di
classificazione: sistema precostituito di partizioni astratte (categorie)
gerarchicamente ordinate,
individuato sulla base dell'analisi delle funzioni attribuite al produttore
dell'archivio; la categoria
consente di raggruppare sotto una stessa definizione un insieme di affari che
presentano
caratteristiche comuni. Oltre all'indice sistematico del titolario si può
predisporre il prontuario
per la classificazione, che indica la segnatura ai documenti in base all'oggetto
di cui trattano)
- il numero del documento precedente e di quello successivo relativi a
quell'affare, per ricostruire
la catena documentale (la stratificazione progressiva dei documenti in un
fascicolo)
Il registro di protocollo è un atto pubblico, e quindi la sua compilazione
soggiace alle norme relative alla redazione di atti pubblici. Esso ha una duplice
funzione:
- attestare la presenza di un documento nell'archivio del titolare del protocollo
- documentare la data archivistica di quel documento (questa è una funzione
giuridico-probatoria
in quanto la data d'ingresso determina il momento a partire dal quale il
documento inizia a
produrre effetti giuridici)
Il sistema prevede anche la compilazione dell'indice del registro di protocollo,
strumento che consente di reperire un determinato mittente o destinatario di
corrispondenza; ma in ambiente digitale non è più necessario perché la
funzione di ricerca di un nome viene assicurata dal sistema informatico. La
registrazione a protocollo non è sufficiente per una gestione della massa
documentaria prodotta da un'amministrazione: è necessario intervenire con la
classificazione, cioè con un'organizzazione logica dei documenti eseguita sulla
scorta del titolario. Quest'ultimo, denominato anche quadro di classificazione, è
un sistema logico precostituito (costruito cioè prima che vengano prodotti i
singoli documenti) di partizioni astratte (categorie), ordinate gerarchicamente
(vale a dire che non è un elenco nel quale le singole voci vengono disposte in
ordine casuale, ma si sviluppa con una struttura ad albero). Tale sistema serve
per organizzare in modo logico le molteplicità dei documenti prodotti e
consentirne quindi la sedimentazione secondo un ordine che rispecchi
storicamente lo sviluppo dell'attività svolta.
La gestione dell'archivio di formazione prevede un'altra procedura: la
formazione dei fascicoli e delle aggregazioni documentali. La decisione di
aggregare un nuovo documento archivistico a un fascicolo già aperto, oppure di
aprire un nuovo fascicolo, consente l'ordinato stratificarsi della produzione
documentaria, di un ente, nel corso della sua attività amministrativa. I fascicoli
cartacei sono contenuti in una camicia o coperta (e poi in buste) in carta forte
sulla quale vanno riportati i dati identificativi del fascicolo che sono: l'anno di
apertura, il titolo e la classe nel cui ambito si apre il fascicolo, il numero
progressivo attribuito al fascicolo, che segue un ordine cronologico all'interno
della classe. Ogni fascicolo man mano che viene costruito va registrato sul
repertorio dei fascicoli: registro su cui vengono annotati con un numero
progressivo i fascicoli secondo l'ordine cronologico in cui si costituiscono
all'interno delle suddivisioni più basse del titolario (nel caso dei Comuni: la
classe); il repertorio deve quindi riprodurre le suddivisioni del titolario.

3. Il R.D. 25 gennaio 1900, n°35


Le pressioni derivanti dagli Stati preunitari hanno fatto sì che già nel 1900 si
creassero una serie di
norme che regolassero il funzionamento dell’archivio corrente. Vengono infatti
dichiarate le funzioni dell’ufficio di registratura e archivio, espresse le norme
che regolamentano il protocollo, definiti il titolario e il fascicolo; c’è da dire
tuttavia che l’applicazione di tali normative è stato disomogeneo nelle varie
zone del Paese.

4. La gestione archivistica all’inizio del sec. XXI.


Sin dagli anni ’90 (legge 241/90) venne rivalutata la funzione di supporto
all’attività amministrativa
svolta dall’archivio e riaffermata la funzione giuridico-probatoria della
registrazione a protocollo dei documenti archivistici.

5. Organizzazione: un concetto nuovo e innovativo.


Sempre negli anni ’90 (D.lgs. 3 febbraio 1993) si fece strada un concetto
alquanto innovativo, quello dell’organizzazione. Tale decreto infatti enfatizza il
ruolo dell’archivio nella pubblica amministrazione, intesa come organizzazione:
un buon servizio archivistico è alla base dell’esatto funzionamento di
un’organizzazione.
6. La gestione dell’archivio in formazione alla luce della
normativa
vigente in Italia.
Il DPR. 445/2000 impone finalmente una serie di normative precise in merito.
Tuttavia appare
preoccupante l’eccessiva accelerazione impressa al processo di
informatizzazione della pubblica
amministrazione. Il DPR inoltre precisa che l’archivio va organizzato fin dal suo
momento formativo, utilizzando la registrazione a protocollo, la segnatura e la
classificazione. Viene inoltre introdotto il concetto di repertorio, ossia una serie
nella quale i documenti che hanno stessa provenienza ma contenuto differente
vengono allineati cronologicamente e ottengono un numero di protocollo (con
valenza giuridica) in base a quest’ordine.

7. ISO 15489
L’Organizzazione Internazionale per gli Standard, organismo federale di più
Stati membri, ha emanato una norma per la gestione documentale, ISO 15489,
appunto. Tale norma si propone di fornire una guida per la gestione dei
documenti e degli archivi in organizzazioni pubbliche o private.

8. L’Archivio generale di Ateneo dell’Università degli Studi di


Padova:
un esempio di gestione integrata.
Tale ente pubblico conserva tutto il suo archivio (corrente, di deposito e storico)
seguendo la normativa vigente, sia per le tecnologie che per le esigenze
dell’amministrazione. Sorta nel 1222, l’Università di Padova conserva nel
proprio archivio le serie dei fascicoli degli studenti, dei professori, delle tesi di
laurea, delle delibere accademiche e della contabilità.

Cap. 5 : L'Archivio di deposito

1. Che cos'è l'archivio di deposito?


L’archivio di deposito è spesso considerato come una sorta di limbo, nel quale i
documenti rimangono prima che l’archivio acquisisca una fisionomia
permanente e definitiva: in altre parole, un archivio non più corrente e non
ancora storico. Sarebbe invece opportuno definire l’archivio di deposito come
una fase dell’archivio nella quale le attività produttive sono concluse, e il
soggetto produttore sta provvedendo alla razionalizzazione selettiva dei
documenti. Per quanto riguarda la durata dell'archivio di deposito, essa è
determinata in modo implicito dalla normativa che è però variata nel corso del
tempo (a partire dal 1875 fu di 10 anni, fu abbassata a 5 nel 1933 e innalzata a
40 a partire dal 1936). L'attuale termine di 40 però viene ritenuto eccessivo
poiché alimenta il rischio che il complesso documentario venga abbandonato al
suo destino da parte del soggetto produttore.
2. Sorveglianza e vigilanza
Gli archivi di deposito degli uffici statali vengono sorvegliati da apposite
commissioni; queste devono preparare il materiale per il futuro versamento
nell’Archivio centrale dello Stato, ossia per la conservazione permanente. In
questa fase, inoltre, si decide quale materiale conservare e quale scartare,
predisponendo i necessari verbali di scarto e di versamento (oltre ai massimari
di scarto).

3. Dal concetto di scarto al concetto di selezione


Lo scarto consiste nell’eliminazione fisica di alcuni documenti ritenuti non più
necessari. In passato
questi avvenivano durante i cambi istituzionali o dinastici, quando i nuovi
regnanti stravolgevano o
eliminavano le tracce della dittatura precedente. Tuttavia in realtà si dovrebbe
tenere conto delle
modalità di stratificazione del complesse archivistico, eliminando solo gli
elementi caduchi, ossia quelli sterili. Recenti riflessioni inducono a definire lo
scarto come un momento di lavoro necessario durante il passaggio delle unità
archivistiche nel passaggio dall’archivio di deposito a quello storico. Tuttavia in
tempi recenti si è portati a parlare di selezione, più che di scarto. Questo
termine, infatti, ribadisce l’atteggiamento critico e valutativo dell’archivista,
che deve consegnare i documenti allo studioso di storia del futuro.

4. Il processo di consolidamento della memoria.


Anche in ambito neurobiologico l’incapacità di dimenticare il superfluo è vista
come un ostacolo per l’apprendimento e per il pensiero. Analogamente, i
documenti stipati degli archivi non devono essere accumulati passivamente,
bensì rielaborati, pensati, usati per analizzare il passato e programmare il
futuro.

5. Dal massimario di scarto al piano di conservazione.


L’evoluzione delle posizioni teoriche sullo scarto e sulla selezione ha portato a
cadute significative sulla legislazione, tanto che non si parla più di massimario
di scarto bensì di piano di conservazione. Il massimario di scarto è lo strumento
che consente di coordinare razionalmente lo scarto dei documenti prodotti
dagli organi centrali e periferici dello Stato. Il massimario riproduce l’elenco
delle partizioni e sottoripartizioni del titolario, indicando per ciascuna partizione
quali documenti conservare e quali documenti destinare al macero dopo
cinque, dieci, venti anni…
Gli archivisti concordano sull’utilità del massimario di scarto, ma invocano
cautela nel suo utilizzo. La difficoltà maggiore, infatti, consiste nel valutare
correttamente la valenza storico-amministrativa dei documenti. Romiti
distingue gli scarti in differito, preordinato e in itinere. Il primo di questi scarti,
molto avanti nel tempo, è sempre più tralasciato a favore degli altri due. Lo
scarto preordinato, infatti, non è altro che una delle pratiche della
semplificazione amministrativa, consistente nello snellimento della produzione,
mentre quello in itinere si ha sostituendo carte uguali indispensabili in fasi
preparatorie con documenti autentici riassuntivi.
6. Come predisporre un elenco di scarto.
Gli elenchi di scarto devono essere redatti con estrema cura, e devono avere:
· Quantità del materiale (es. buste, registri, pacchi, scatoloni)
· Descrizione del materiale (es. mandati di pagamento)
· Estremi cronologici (es. dal 1972 al 1976)
· Peso (per verificare il riscontro presso chi riceve i materiali da macerare)
Motivo dello scarto (indicare dove si trovano documenti che riassumono quelli
scartati)

7. Criteri di massima per lo scarto.


Non esistono norme codificate sulla nozione di scarto. Tuttavia si possono
scartare:
· Materiale non archivistico (fac-simile, moduli in bianco)
· Copie (purché non contengano annotazioni amministrative essenziali per
ricostruire il
procedimento)
· Documenti analitici, se in presenza di documenti riassuntivi
· Documenti strumentali e transitori (es. ricevute di pagamento)
· Serie che l’ente possiede per conoscenza (es. la seconda copia del 740
consegnata al Comune)
Vanno invece assolutamente conservati:
· Tutti i repertori (es. registri di protocollo)
· Documenti considerati vitali (Luciana Duranti)

8. Sfoltimento
Con questo termine si intende l’estrazione e l’eliminazione fisica di alcuni
documenti da un fascicolo e da una serie. Ad esempio, dalla serie Concorsi, si
possono eliminare le domande dei candidati una volta scaduto il periodo nel
quale si può ricevere un ricorso.

9. Campionatura
Con questo termine si intende l’eliminazione della maggior parte di una serie,
della quale però si
conserva un campione ridotto. Ad esempio, delle denunce dei redditi si
conserva un campione non
inferiore all’1%.

10. Macero e triturazione


Il materiale destinato allo scarto è solitamente riciclato. Sin dall’inizio del
Novecento, il materiale
archivistico di scarto era consegnato alla Croce Rossa Italiana, che ne ricavava
utili. Attualmente invece ogni amministrazione può decidere le modalità di
cessione. Per alcuni documenti, per es. quelli che possono dare vita a truffe o
quelli riservati, sono previste norme atte alla verifica dell’avvenuta distruzione.

Cap. 6 : L'Archivio Storico


1. La conservazione
Conservare un archivio significa non solo provvedere alla costruzione di un
edificio attrezzato, ma
anche e soprattutto realizzare le condizioni migliori per la sua fruizione sia
amministrativa che
scientifica. Per quanto concerne la realizzazione dell’edificio, in Italia più che in
ogni altro luogo sorge il problema della destinazione, in quanto vista l’enorme
mole di edifici di interesse artistico è necessario sfruttare questi. Tuttavia negli
edifici destinati alla conservazione archivistica bisogna prevedere:
· Area destinata all’accoglienza di utenti esterni (guardaroba, ristoro, bagni,
telefono)
· Area per consultazione e studio (sale studio con prese per PC)
· Area destinata al personale tecnico-scientifico e amministrativo
· Depositi per il materiale, monitorati e trattati per clima, umidità e luce
· Area tecnologica (restauro, legatoria, riproduzioni)
Oltre, ovviamente, ai lavori di consolidamento dell’edificio, che deve avere una
capacità di 1200kg/mq in caso di scaffalatura compattabile (che riduce la
necessità di spazi) e ai sistemi di sorveglianza e di allarme. Per ovviare a questi
problemi molti enti hanno destinato il loro archivio storico a terzi, di fatto
riducendo l’archivio ad un semplice deposito.

2. La descrizione archivistica.
Gli strumenti descrittivi servono a tutelare il materiale per consentire l’accesso
ai documenti
archivistici. In base alle fasi di vita dell’archivio, troviamo:
· Mezzi di corredo coevi, ossia nati contemporaneamente ai documenti grazie
allo stesso
produttore
· Mezzi di corredo o strumenti di ricerca posteriori, realizzati da persone diverse
dal produttore
In base all’oggetto del mezzo di corredo, invece, troviamo:
· Strumenti relativi a più archivi (censimenti, guide)
· Strumenti relativi al singolo archivio ( elenchi, inventari)
· Strumenti relativi al singolo documento (trascrizioni, sunti, schede)

3. La logica multilivellare della descrizione e gli standard.


In ambito internazionale in tempi recenti si è cercato di codificare le
convenzioni archivistiche: sono stati proposti due standard, ISAD (G) e ISAAR
(CPF);
· Lo standard ISAD (G) serve per la descrizione di un archivio nelle sue
articolazioni; si basa sul
concetto di multilivellarità, che comporta l’evidenziazione dei nessi sia di
carattere orizzontale
che verticale. Dei 26 punti descrittivi dello standard, 5 sono assolutamente
indispensabili e sono:
1. Segnatura archivistica: nome Stato, località, istituto conservazione, archivio,
serie, unità
2. Denominazione o titolo, che può essere testuale o critico
3. Estremi cronologici dell’unità, con informazioni sugli allegati
4. Aspetto fisico dell’unità e la sua consistenza
5. Livello di descrizione.
· Lo standard ISAAR (CPF) serve per la descrizione del soggetto produttore o
conservatore; lo
scopo di queste norme è quello di creare liste di autorità in grado di
regolamentare gli accessi
alle informazioni. Lo standard ISAAR (CPF) può essere utilizzato per la
descrizione di enti,
persone, famiglie; le norme fondamentali di questo standard sono:
1. Tipologia del soggetto produttore
2. Forma o forme autorizzate del nome
3. Date di esistenza
4. Codice identificativo del record di autorità

4. Censimento
Con il termine “censimento” si intende uno dei mezzi di corredo archivistico
che elenca tutti gli archivi di un certo tipo esistenti in un determinato territorio.
Può essere pubblicato, ma di solito è un documento preparatorio alla guida.
La realizzazione di un censimento prevede una serie di operazioni scientifiche:
- Realizzazione di un campo d’indagine
- Indagini bibliografiche volte a conoscere sia il profilo giuridico della tipologia
dei produttori
oggetto del censimento, sia l'esistenza e le vicende dei singoli produttori
- Piano di rilevazione che comporta il reperimento delle risorse finanziarie e
l'organizzazione delle
risorse umane (pianificazione anche economica)
- Definizione di una scheda di rilevazione, che può essere anche informatica
- Raccolta dei dati, che può essere effettuata sia su materiale già disponibile sia
tramite sopralluoghi
- Rielaborazione dei dati

5. Guide
Esistono vari tipi di guide: settoriali, tematiche, topografiche, d’istituto.
Le guide settoriali sono un mezzo di corredo attraverso il quale si descrivono
tutti gli archivi di un certo tipo esistenti in un determinato territorio.
Solitamente pubblicate, si compongono di un’introduzione, che contiene i
criteri di individuazione, le schede descrittive dei singoli archivi, l’indice dei
nomi di persone e di famiglie, località, istituzioni e autori citati.
Le guide tematiche sono un mezzo di corredo attraverso il quale si elenca e
descrive il materiale
relativo ad un determinato tema di ricerca, sia esso un intero archivio, una
serie, una singola unità
archivistica. La guida tematica è di difficile realizzazione in quanto è difficile
censire tutto l’esistente su un dato argomento. Di solito sono destinate alla
stampa.
Le guide topografiche sono un mezzo di corredo attraverso il quale si facilita la
collocazione fisica di un archivio, di una serie o di un pezzo all’interno di un
istituto di conservazione. Serve soprattutto per il servizio interno di
reperimento. È utile in caso di trasferimento del materiale da una sede all’altra.
È costituita da piante dettagliate dei locali.
Le guide d’istituto sono un mezzo di corredo attraverso il quale si descrive in
modo logico e sistematico i fondi in esso conservati; sono pochi gli istituti ad
avere una propria guida.

6. Elenco
Con il termine “elenco” si intende il mezzo di corredo archivistico che descrive
un archivio del quale non ricostruisce, a differenza dell’inventario, l’ordine e la
struttura. Un elenco è analitico quando fornisce una descrizione critica, mentre
viene definito di consistenza quando fornisce una descrizione sommaria.

7. Inventario
Con il termine “inventario” si intende il mezzo di corredo redatto al termine di
un processo critico di riordino (riordinare secondo l’ordine originario, non quello
attuale) di un archivio. È costituito da un’introduzione generale, riguardante la
storia del produttore e le vicende dell’archivio, una sezione descrittiva, nella
quale le singole unità dell’archivio vengono raggruppate in serie, introdotte da
un cappello, e dall’indice dei nomi. L’inventario, quindi, a differenza dell’elenco,
presuppone un riordino dei documenti; l’inventario in definitiva non è solo un
elenco, sia pure analitico, di descrizioni dei singoli pezzi, ma ricostruisce il
funzionamento dell’archivio nella sua organizzazione originaria.
Per quanto riguarda il riordino, bisogna elencare i passaggi che producono
questo effetto:
· Schedatura preliminare, anche sommaria (preferibile partire dai pezzi legati)
che porta alla
stesura di una prima schedatura contenente n° provvisorio, titolo, estremi
cronologici,
descrizione fisica;
· Tenere a mente le denominazioni gergali, utili per ricostruire il sistema
dell’archivista originale.
L’inventario deve considerare solo l’archivio storico e non quello di deposito, in
quanto in quest’ultima parte non è avvenuto ancora lo scarto.

8. Trascrizione ed edizione critica.


Con il termine “edizione critica” si intende la formazione di un testo vagliato
sulla base di testimoni, destinato alla stampa. Chi produce edizioni critiche lo fa
con l’intento di rendere fruibile ad un maggior numero di persone un testo che
per difficoltà grafiche e linguistiche rimarrebbe fruibile solo da poche persone.
L’ortografia deve rimanere estremamente fedele all’originale, a parte qualche
eccezione:
· Scioglimento del segno y
· Resa con il segno i della j
· Resa con suono consonantico o vocalico del simbolo v
· Scioglimento delle abbreviazioni
· Scioglimento dubbio: Pad Pad(ue) oppure Pad(uanus)
· Guasto del supporto: v[endidit e]t tradidit
· Lapsus del compilatore: Bon<fi>glio
· Lacune del compilatore: Caius filius ***
Ogni documento della trascrizione deve essere numerato e deve contenere
informazioni relative alla data, alla sede di conservazione, alle note. Deve infine
contenere un indice.

9. Regesto
Si intende con il termine “regesto” la descrizione critica dell’azione giuridica. Si
adottano le stesse
regole ortografiche dell’edizione critica.

10. Sunto
Il sunto è la forma più discorsiva del regesto.

11. Scheda
Preferibile a volte al regesto, consiste in una schedatura sistematica di un
gruppo di documenti, che può assumere anche l’aspetto di una base di dati (es.
schedario testamenti, schedario dei procuratori di S. Marco)

12. Indice
Con il termine “indice” si intende l’elenco in ordine alfabetico dei nomi di
categorie determinate
(persone, famiglie, località, istituzioni, cariche, materie, merci). Un indice deve
essere sempre critico e normalizzato, le varianti vanno ricondotte al lemma
principale e gli omonimi vanno disambiguati. Nella costituzione di un indice
vanno seguite le norme dello standard ISAAR (CPF).

Cap. 7 : La consultabilità dei documenti


archivistici

1. Accesso e tutela della riservatezza


Da quando, nel 1996, fu emanata la prima normativa italiana in merito, i
concetti di accesso e
riservatezza sono spesso entrati in conflitto. Il termine “riservatezza” si rifà alla
decisione di non mettere a disposizione indiscriminata le informazioni che
possono essere relative al funzionamento dello Stato e degli apparati pubblici
oppure relative alla vita privata delle persone. I concetti di accesso e
riservatezza sono entrambi sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea; che tra l’altro prevede il rispetto della vita privata e
familiare, il diritto alla protezione dei dati personali, e il diritto d’accesso ai
documenti in base al principio di trasparenza.
2. La consultazione e la normativa di riferimento
Le problematiche connesse alla consultabilità degli archivi riguardano tutte e
tre le fasi di vita degli
archivi; di conseguenza, il concetto di consultazione è strettamente legato a
quello di conservazione: perché, infatti, conservare (sostenendo oneri)
materiale che non può essere consultato, usato e studiato?
Per quanto riguarda la consultazione, ricordiamo i vari casi che possono
presentarsi:
1. Consultazione interna all’ente produttore;
2. Consultazione di terzi, privati o pubbliche amministrazioni, per fini
amministrativi;
3. Consultazione di terzi per fini di ricerca scientifica.
Nel primo caso l’ente produttore consulta i documenti per fini puramente
amministrativi; ovviamente, ciascun produttore è obbligato ad organizzare il
servizio archivistico in modo tale che i documenti privati restino tali, cosa sulla
quale tra l’altro vigila il Garante.
Nel secondo caso viene distinto il consultatore privato da quello pubblico; il
privato deve dimostrare di essere portatore di diritti soggettivi che legittimano
la sua consultazione: spesso questo tipo di consultazione è soggetta ad
imposta di bollo o diritti di segreteria.
Nel terzo caso, infine, la consultazione può riguardare anche documenti molto
recenti; essa è gratuita ed è regolamentata dalle disposizioni del Codice dei
Beni Culturali.

3. Breve storia della consultabilità prima dell’unità d’Italia


Nell’antichità classica la consultazione a fini giuridici degli archivi pubblici era
consentita e serviva
principalmente per reperire i documenti atti alla tutela dei propri diritti; alcuni
storici inoltre potevano addirittura consultare per scrivere le loro opere;
In epoca comunale era consentita la consultazione degli archivi correnti a chi
dimostrasse di avere un interesse soggettivo. Siena e Padova sono i migliori
esempi a riguardo;
In età moderna, invece, con l’affermarsi dello Stato assoluto, proliferano gli
Archivi segreti, che erano espressione assoluta dell’autorità;
Da dopo la rivoluzione francese, infine, si diffonde la pubblicità degli archivi
circoscritti alla difesa dei diritti soggettivi, non estesa ai fini scientifici.

4. La normativa italiana dal 1875 al 1975


· Il regolamento del 1875 già individua le categorie di documenti soggetti a
temporanea
secretazione;
· Il regolamento del 1911 aggiunge nuove norme, ossia la capacità del
Ministero dell’Interno di
far vedere, in casi speciali accertati, gli atti secretati; ma la vera innovazione è
l’estensione agli
archivi correnti delle norme di conservazione pensate per gli archivi storici.
· Il regolamento del 1939 afferma la libera consultabilità dei documenti
conservati negli archivi e
pone delle eccezioni; tali eccezioni possono essere consultate previa deroga del
Ministero
dell’Interno.
· Il regolamento del 1963 sottolinea l’importanza del principio di libera
consultabilità, inoltre
precisa che non basta che un documento sia di data posteriore all’ultimo
cinquantennio per
rientrare nei documenti non consultabili: bisogna che esso sia anche di
carattere riservato e
relativo alla politica estera o interna dello Stato.

5. Dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 al codice di deontologia


e buona
condotta
La 241/90 fornisce le motivazioni ideale per la consultabilità degli archivi e
riconosce a chi sia portatore di diritti soggettivi di accedere ai documenti
amministrativi. In tale modo si è fornita una spinta al riordino e all’efficienza
degli archivi. La legge stabilisce due tipi di restrizioni, il segreto pubblico e
quello privato. Si specifica inoltre che ogni amministrazione deve avere un
apposito regolamento in merito alla consultazione, e che ogni istanza di
consultazione può portare ad un accoglimento, un diniego o un differimento.
Inoltre suggerisce l’istituzione di un URP.
Le leggi 675/96 e 676 /96, invece, tutelano l’utilizzo dei dati personali e
riguardano sia gli archivi
informatici che quelli cartacei; il consenso al trattamento deve essere scritto, e
l’interessato ha il diritto di far rettificare, cancellare, integrare o aggiornare i
suoi dati.
Infine, ricordiamo la legge 281/99, che fornisce il Codice di deontologia e di
buona condotta per i
trattamenti di dati personali per scopi storici. Il codice si pone come insieme di
regole-guida per
regolamentare i comportamenti degli archivisti in merito alla consultazione.
6. La normativa vigente
Il Testo Unico sulla Documentazione Amministrativa (TUDA) n. 445/00, contiene
norme che
riguardano la consultazione: esistenza di procedure di accesso da parte dei non
appartenenti alla
pubblica amministrazione.
Il Codice della Privacy (n.196/03), ribadisce la protezione dei dati personali e i
diritti degli interessati.
Il Codice dei beni Culturali (n.42/04), mantiene la distinzione degli archivi tra
statali, pubblici e privati e prende in considerazione le motivazioni che portano
alla richiesta di consultazione.

Cap. 8 : La professione dell'archivista


1. Gli archivisti oggi
Fino a qualche anno fa esistevano in Italia due carriere archivistiche parallele:
gli archivisti di alto
profilo culturale (operanti nell’amministrazione e specializzati in conservazione
e studio di fondi
storici) e gli archivisti di profilo medio basso, operanti nelle amministrazioni
pubbliche, che gestivano la registratura e l’archiviazione dei documenti.
Tuttavia la situazione è cambiata in quanto si è sviluppata una vera e propria
coscienza archivistica che ha riunito gli archivisti delle varie branchie arrivando
a costituire l’ANAI ed elaborando, nel 1996 a Pechino, il Codice internazionale
di deontologia.

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