Sei sulla pagina 1di 6

LE FONTI ARCHIVISTICHE: ORDINAMENTO E CONSERVAZIONE

Gli utenti degli archivi

Archivisti conservano gli archivi

Ricercatori: utilizzano gli archivi

Persone qualsiasi che hanno bisogno di reperire un documento indispensabile per provare un proprio diritto.

Sfera degli utenti costituita ora da specialisti, persone o enti che cercano i documenti per fini amministrativi.

Archivi, musei e biblioteche sono istituti di conservazione e valorizzazione dei beni culturali.

I documenti hanno caratteristiche diverse. Nascono per essere destinati a futuri utenti degli archivi, con finalità
giuridiche e amministrative, connesse alle funzioni e competenze degli uffici che li pongono in essere, li
classificano e li conservano con criteri propri. Sono la testimonianza scritta di atti giuridici o di eventi politici e
sociali e quindi hanno rilevanza storica. I documenti presi in considerazione come testimonianze degli eventi,
vengono utilizzati come fatto culturale attraverso la mediazione degli studiosi dopo che gli archivisti (operatori
specializzati) hanno provveduto a ordinarli e a inventariarli. Non sono strumenti immediati di diffusione della
cultura, ma richiedono una mediazione. Il singolo documento o il complesso dei documenti di una serie archivistica
non ordinata e priva di qualsiasi mezzo di corredo non hanno alcuna possibilità di fruizione. Quando sono ordinati
e archiviati i documenti possono essere fruiti e chi li consulta può mettere in relazione le diverse informazioni
reperite per risolvere uno specifico problema di ricerca.

L’utente di un archivio deve arrivare in sala di studio avendo già un’idea di cosa vuole cercare. Lo storico che
utilizza i documenti per le sue ricerche dà un’interpretazione di quanto apprende dalla consultazione dei
documenti e il risultato delle sue indagini si diffonde come fatto culturale e quindi può essere fruito da una pluralità
di persone.

La visita di un archivio non è possibile se non guidata da un archivista esperto. Per poter leggere documenti
medievali è necessario l’ausilio della paleografia e la conoscenza del latino; e i documenti dell’età moderna
possono presentare difficoltà di lettura notevoli anche per archivisti e ricercatori di professione.

L’archivista, cioè il conservatore delle fonti, svolge un’attività scientifica tesa a garantire alla collettività l’uso
culturale del bene. Per conservare le fonti archivistiche e tramandarle ai posteri è necessario che i documenti
vengano tenuti in ordine fin dalla loro origine.

Ultimo congresso organizzato a Londra nel 1980 dal Consiglio internazionale degli archivi: nuovo tipo di utente

Il nuovo tipo di utente degli archivi è costituito da professionisti, funzionari di enti pubblici e provati, persone che
esercitano professioni diverse. Sono utenti che appartengono a settori amministrativi, professionali o produttivi che
non hanno legami con la ricerca storica o con le scienze sociali che si rivolgono agli archivi per ottenere
informazioni necessarie per prendere decisioni e operare scelte nello svolgimento della loro attività. Possono
verificarsi casi di conflitto tra l’interesse del ricercatore e il diritto alla riservatezza che lo Stato deve in determinati
casi garantire. In genere il numero dei frequentatori non professionisti è cresciuto progressivamente negli ultimi
dieci anni in tutto il mondo. L’incremento del numero dei ricercatori non professionisti è maggiore negli archivi in
cui è migliore l’organizzazione dei servizi. Gran parte della documentazione più antica relativa a molti paesi
africani o sudamericani si trova in archivi europei.

L’archivio è il complesso organico di documenti prodotti o acquisiti durante lo svolgimento della propria
attività da diversi enti pubblici o istituzioni private, famiglie, persone. È necessari che i documenti venano
classificati e sistemati per consentire un rapido reperimento al momento in cui servono.

Il documento ha la funzione di testimoniare o conferire valore giuridico ai rapporti sociali per garantire la certezza.
Tra i documenti che compongono l’archivio esiste una connessione logica e formale che li lega tra loro mediante
un vincolo di necessarietà chiamato vincolo archivistico. La documentazione presenta caratteristiche particolari

1
e attraverso lo studio di queste caratteristiche si possono identificare e riordinare i documenti di ciascun archivio. Il
vincolo archivistico è più facilmente individuabile tra i documenti di un archivio che ha una struttura complessa e
un’articolazione precostituita, ma è anche presente in ogni complesso di documenti formatosi per le finalità
pratiche di un soggetto.

Per “ente” si intende qualsiasi soggetto che pone in essere un archivio.

Con la parola archivio si indica anche il locale o il deposito nel quale si trovano di fatto i documenti. Le
pratiche necessarie per la trattazione in corso costituiscono l’archivio corrente. La stessa espressione indica
anche l’armadio o lo scaffale o il locale o i locali in cui le pratiche si trovano.

Man mano che le pratiche vengono evase, i relativi fascicoli vengono stralciati dall’archivio corrente e collocati in
locali più appartati che vengono di solito chiamati archivi di deposito. Indica sia l’insieme dei fascicoli sia i locali
in cui sono sistemati.

Archivio storico è quella parte dell’archivio che, non essendo più necessaria alla trattazione degli affari, viene
dopo un certo numero di anni destinata alla conservazione permanente. L’archivio storico può essere
conservato dallo stesso ente che lo ha prodotto o può confluire con gli archivi storici di altri enti in istituzioni
appositamente create. Questo è previsto dalla legge per gli archivi degli uffici statali e per gli archivi notarili che
debbono essere periodicamente versati negli Archivi di Stato territorialmente competenti per territorio.

L’archivio corrente, l’archivio di deposito e l’archivio storico rappresentano tre fasi nella formazione di uno
stesso archivio. Nella prima è prevalente la finalità pratica dell’ente che produce i documenti e deve conservarli
per poter svolgere un’azione efficace e responsabile, nella seconda fase questa responsabilità tende ad
affievolirsi; nella terza è prevalente la finalità di ricerca. Non esiste alcuna differenza sostanziale tra l’archivio
corrente, l’archivio di deposito e l’archivio storico se non quella per cui la stessa documentazione viene
considerata in tempi diversi.

Gli archivi, a prescindere dalla data, hanno carattere giuridico-amministrativo e storico-culturale.

Vi è la necessità di sottoporre a operazioni di scarto gli archivi, eliminando la documentazione non ritenuta
essenziale . In Italia sono previste norme particolari che tutelano la riservatezza sia presso le amministrazioni
pubbliche, sia presso gli Archivi di Stato. per quanto riguarda lo scarto, il compito delle relative operazioni presso
gli uffici che producono i documenti è condizione per il versamento negli Archivi di Stato o per il passaggio nelle
Sezioni separate d’Archivio.

Con la parola archivio si indicano anche quegli istituti creati per la concentrazione e la conservazione degli
archivi storici. Esiste una rete di Archivi di Stato (Archivio centrale dello Stato a Roma, Archivi di Stato in tutte le
Province, quaranta sezioni di Archivio di Stato in Comuni particolarmente rilevanti) per la conservazione degli
archivi degli stati preunitari, per i documenti degli uffici centrali e periferici dello Stato. è prevista dalla legge
l’istituzione di sezioni separate d’archivio e per i documenti degli enti pubblici relativi ad affari esauriti da oltre
quarant’anni.

Archivio con la maiuscola indica l’istituto culturale che conserva i documenti; con l’iniziale minuscola indica il
complesso di documentazione prodotto da un ente.

Il diploma di archivistica, paleografia e diplomatica è obbligatorio per gli impiegati delle Sezioni separate degli enti
pubblici territoriali.

Definizione di Documento

L’archivio è un complesso organico di documenti. La parola documento indica “ogni mezzo che consente di
tramandare la memoria di un fatto, provandone l’esattezza e le modalità. Soprattutto l’atto giuridico che si
concretizza in una scrittura.” Documento significa anche: “Testimonianza di qualunque genere”; “Qualunque
oggetto materiale che può essere usato come strumento di studio.” Il primo indica l’oggetto di studio della
2
diplomatica e dell’archivistica. Il secondo si riferisce ai documenti e agli archivi in quanto fonti. Il terzo riguarda
fotografie, disegni, mappe ecc che possono trovarsi all’interno di archivi.

Rientra tra le fonti archivistiche anche la testimonianza orale.

La diplomatica studia le testimonianze scritte di fatti di natura giuridica, studia le forme del documento nell’età
medievale del mondo occidentale. Bisogna tener presente la distinzione tra atto giuridico dal documento, cioè
dalla stesura dello scritto destinato a tramandare la memoria. Possono riferirsi alla sfera del diritto pubblico o
privato. Un documento espressione della volontà sovrana è pubblico se si avvale per la redazione e la spedizione
dei documenti della cancelleria e adotta per la redazione forme determinate. I documenti privati possono essere
espressione sia di privati che di autorità pubbliche e sono invece redatti da amanuensi. Per il documento
cavalleresco o pubblico il carattere di autenticità è garantito dall’autorità emanante e per essa dalla cancelleria;
per il documento privato il carattere di autenticità deriva dall’essere redatto in publicum forman. Si chiamerà
pubblico anche lo strumento notarile.

Dall’XI secolo vengono a costituirsi cancellerie un po’ ovunque che adottano propri sistemi di redazione, sigilli ecc.
Nel campo privato il carattere di autenticità venne garantito dall’essere redatto dal notaio. Tra il XII e i XIII secolo
l’istituto notarile acquista una preminenza assoluta in tutto il territorio italiano. Alle precedenti forme documentali
CHARTA (per indicare il documento che traeva la sua forza dalla sottoscrizione dell’autore) e NOTITIA (per
indicare il documento con cui si dava notizia dell’avvenuta stipulazione del contratto) si sostituisce l’instrumentum
publicum, irrecusabile, dotato di publica fides, di valore probante assoluto per il solo fatto di essere stato redatto
dal notaio.

Documento pubblico, cancelleresco

Documento privato, non cancelleresco.

Per conservare i documenti più importanti si cominciò a ricorrere alla trascrizione degli atti su registri. Presso i
Comuni, ma anche presso gli enti ecclesiastici, altre autorità e famiglie venivano ricopiati e raccolti in strumentari e
cartulari gli atti più importanti che ne attestavano diritti, privilegi ecc. I notai cominciarono a trascrivere in forma
abbreviata su “quaderni” o “protocolli” gli atti posti in essere. Le imbreviature, cioè le redazioni in minuta degli atti,
dovevano essere conservate presso il notaio e più tardi negli archivi comunali o in quelli notarili.

L’atto amministrativo non coincide obbligatoriamente con il documento amministrativo. L’archivista si occupa sia
dei documenti ufficiali dello Stato, quelli cioè che rappresentano il momento conclusivo del procedimento, sia di
tutta la documentazione che si è formata nel corso del procedimento. L’archivio comprende sia gli atti ufficiali che
la documentazione necessaria per la loro formazione.

Il documento consente di ricostruire la struttura interna dell’archivio.

L’archivistica studia la struttura degli archivi e le relazioni che intercorrono tra gli archivi. Gli archivi vengono in
genere aperti al pubblico nella prima metà del secolo XIX per effetto delle riforme napoleoniche, che estendevano
all’Italia il principio affermatosi con la rivoluzione francese della pubblicità degli archivi. Il tema della conservazione
e dell’inventariazione cominciava a venir trattato fin dal secolo XVII come oggetto di una disciplina. L’esigenza di
porre norme sulla tenuta degli archivi per finalità politiche e amministrative risale all’origine stessa degli archivi.
L’erudizione storica trionfa con Ludovico Antonio Muratori (1700): esame delle fonti ed edizione dei testi si risolve
in vera e propria storiografia. Ma solo nella prima metà del XIX secolo in Italia gli storici si rivolgono alle fonti
archivistiche. Gli storici prendono in considerazione i documenti d’archivio per la ricostruzione dei fatti.

Nell’archivio ordinato si riflette la storia dell’istituzione che lo ha prodotto. Consente di conoscere l’istituzione che
operava nella società, i suoi condizionamenti, le sue finalità. L’archivio è un’opera, un monumento, testimonianza
dell’ente.

Quando si parla di fonti archivistiche ci si riferisce a un periodo compreso tra il medioevo e i nostri giorni. Serie
archivistiche continue partono dall’età comunale, ma frammenti e documenti, a partire dal VIII secolo si trovano
negli Archivi di Stato, negli archivi comunali, di monasteri e abbazie.

3
Dal medioevo in poi l’evoluzione dell’organizzazione statale è andata formandosi parallelamente all’evoluzione
della struttura ecclesiastica che operava sullo stesso territorio con un distinto sistema di norme. Anche negli stati
preunitari, come nello Stato unitario, vi era un’autorità statale che esercitava i suoi poteri mediante organi centrali
e organi periferici che dipendevano da essa. Prima della Rivoluzione francese non era netta la distinzione tra il
potere esecutivo e il potere giudiziario. Solo con le riforme francesi viene abolita in tutti gli stati la feudalità e viene
attuato un sistema di ripartizione del territorio. Nell’ampio settore dei rapporti negoziali tra privati c’è la figura del
notaio che nella sua attività rogatoria dà certezza ai rapporti stessi e conserva tutti gli atti rogati nella zona di sua
competenza. Negli archivi di organi statali di uno Stato totalitario è più facile trovare riferimenti alla vita sociale e
individuare i diversi centri di potere in un sistema democratico invece è più difficile l’itinerario per riconoscere le
diverse sedi in cui concretamente si esercitano poteri di governo.

Sono stati conservati nel tempo gli archivi di enti che hanno svolto un ruolo importante nella società. Questo per
conferire certezza ai rapporti tra i soggetti che operano in una determinata società. Vi è l’esigenza del gruppo di
porsi delle norme di comportamento alla cui osservanza tutti i componenti si sentono vincolati. Quanto più una
società diventa complessa tanto più si articola la sua struttura organizzativa e quindi si allarga la possibilità di
lasciare testimonianza scritta della sua esistenza. All’idea della conservazione si lega quella della selezione: si
sceglie di conservare quel che appare importante. La rilevanza discende dal valore che l’ente attribuisce alla
documentazione come prova dei propri diritti e privilegi.

Considerando gli archivi, a partire dal medioevo, i documenti più antichi sono quelli da cui discendevano la prova e
l’esistenza di podestà, proprietà, diritti e obblighi. La conservazione del documento testimonia l’attività svolta e
conferma l’identità di chi agisce.

Può capitare che una parte più o meno consistente della documentazione prodotta perda d’importanza quando
siano esauriti gli affari per cui era stata posta in essere. La parte dell’archivio destinata alla conservazione può
essere selezionata con criteri particolari o risistemata in vista di una maggiore funzionalità. Si può dire che la
documentazione che l’ente decide di conservare si rivela storicamente rilevante. La selezione tra documentazione
da conservare e documentazione da distruggere risponde a esigenze di funzionalità dell’ente, che necessita la
riduzione o eliminazione di una certa quantità di documentazione scritta. Nell’età contemporanea si sono studiati
diversi sistemi per regolare la distruzione periodica di parte della produzione. L’operazione con la quale si
distrugge una parte della documentazione si chiama scarto. Lo scarto è un compromesso tra l’esigenza di
conservare tutta la documentazione prodotta e la carenza di spazio che rende impossibile una conservazione
totale. Il fondamento dello scarto va ricercato in una legge di economicità. Lo scarto risponde all’esigenza di
scegliere per la conservazione quei documenti che sembrano ai contemporanei essenziali per la comprensione
della propria epoca. La scelta dei documenti da conservare risponde a criteri che variano nel tempo e nello spazio.
Lo scarto non comporta che i documenti distrutti siano privi di valore storico, ma soltanto che al selezionatore non
sembrano essenziali per la funzionalità dell’ente o non sembrano essenziali per accrescere in maniera
determinante la possibilità di comprensione storica.

Fin dal secolo XII risalgono le prime notizie relative all’esigenza di una razionalizzazione nella conservazione dei
documenti ritenuti importanti. Nel secolo successivo sono relativamente frequenti norme statutarie sulla tenuta dei
registri notarili e degli atti dei Comuni: ogni governo cittadino ebbe cura di conservare le proprie carte e i propri
registri, deputando a tal fine speciali funzionari. È propria dell’età signorile la formazione di archivi dinastici in cui
confluivano sia i documenti dell’archivio familiare sia la documentazione dello Stato territoriale. Dalla metà del
secolo XVI in diversi Stati italiani compaiono norme per l’istituzione di archivi nei quali dovevano essere
concentrati gli archivi di magistrature diverse (Regno di Napoli, ducato di Savoia, di Milano, Parma, Piacenza e per
lo Stato della Chiesa). Soltanto nella seconda metà del secolo XVIII vengono creati archivi generali: Archivio
Governativo di Milano, Archivio Diplomatico creato nel 1778, Grande Archivio di Napoli fondato nel 1080 da
Gioacchino Murat. Nel 10815 inizia la ricognizione e il concentramento dei fondi archivistici veneziani. Nel 1852
veniva istituito l’Archivio di stato di Firenze.

Al momento dell’unificazione del Regno e delle successive annessioni del 1866, esistevano quindici Archivi di
Stato:

1. Firenze
2. Lucca
3. Pisa

4
4. Siena
5. Napoli
6. Venezia
7. Mantova
8. Torino
9. Genova
10. Cagliari
11. Milano
12. Brescia
13. Modena
14. Parma
15. Palermo

Furono poi istituiti quelli di Roma, Bologna, Massa e Reggio Emilia, Trento Trieste, Zara e Bolzano. Nel 1932 gli
Archivi provinciali del Mezzogiorno divennero statali. Con la legge sugli archivi del 1939 fu prevista la creazione di
istituti archivistici statali in tutte le province: venti dovevano chiamarsi Archivi di Stato, gli altri Sezioni di Archivio di
Stato. La successiva legge del 1963 ha chiamato Archivi di Stato tutti gli istituti archivistici dei capoluoghi
di Provincia ed ha previsto la creazione di quaranta Sezioni di Archivio di Stato in comuni di particolare
importanza.

Con l’unificazione del Regno si ebbe una rete di istituti archivistici, articolate all’interno di dieci soprintendenze
istituite nel 1874. Gli Archivi di Stato furono posti tutti alle dipendenze del ministero dell’Interno. L’organo Centrale
più importante era il Consiglio Superiore degli Archivi.

NORMATIVA VIGENTE

 D.P.R. 30 settembre 1963, n.1409


 R.D. 2 ottobre 1911, n.1163
 Legge del 29 gennaio 1975, n.5 (conversione con modifiche D.L. 14 dicembre 1974, n.657)
 D.P.R. 3 dicembre 1975, n.805
 D.P.R. 30 dicembre 1975, n.854

Legge 1963: contiene disposizioni inerenti all’organizzazione centrale e periferica dell’amministrazione archivistica
e ai compiti istituzionali dell’amministrazione. Non essendosi provveduto all’emanazione del regolamento per
l’esecuzione della legge del 1963, è tuttora vigente il regolamento per gli Archivi di Stato approvato nel 1911.
Sono state abrogate le norme contenute nella legge del 1963 inerenti agli organi centrali e consultivi
dell’amministrazione con la legge del 1975, n. 805. Il Decreto del 1975, n.854 regola invece le competenze
rimaste al ministero dell’Interno in materia di archivi dopo il passaggio dell’amministrazione archivistica dal
ministero dell’Interno al ministero per i Beni Culturali e Ambientali. Contiene norme in materia di consultabilità dei
documenti riservati e di commissioni di sorveglianza. L’organo preposto a tali compiti è l’ispettorato centrale per i
servizi archivistici.Gli archivi non rientrano tra le materie indicate nell’art.117 della Costituzione su cui le Regioni
possono emanare norme legislative.

L’amministrazione degli Archivi di Stato dipende dal ministero per i Beni Culturali e Ambientali istituito nel
dicembre del 1974. Nel nuovo ministero veniva istituita un’unica Direzione generale per gli affari generali
amministrativi e del personale. Con il nuovo ministero sono stati istituiti il Consiglio nazionale per i beni culturali e
ambientali e organi collegiali periferici, il comitato regionale.

I compiti fondamentali dell’amministrazione archivistica sono stabiliti nell’art. 1 della legge del 1963:

 Conservazione degli archivi degli organi centrali e periferici dello Stato;


 Vigilanza sugli archivi degli enti pubblici e privati di notevole interesse.

La conservazione viene attuata mediante l’Archivio Centrale dello Stato, gli Archivi di Stato dei capoluoghi
di provincia, le sezioni di Archivio di Stato istituite in 40 comuni.

La vigilanza viene attuata mediante le soprintendenze archivistiche che hanno competenza regionale e sono
istituite nei capoluoghi della Regione.
5
Gli Archivi di Stato e le soprintendenze sono uffici periferici dell’Ufficio centrale per i beni archivistici. Non
vi è dipendenza gerarchica tra i vari istituti. Le sezioni dell’Archivio di Stato dipendono dall’Archivio di Stato della
Provincia in cui si trovano.

Conservazione: ordinamento degli archivi e compilazione dei relativi inventari, indici alfabetici e dei vari tipi di
mezzi di corredo che rendono possibile la consultazione dei documenti. Rientra anche l’uso dell’elaborazione
elettronica applicato agli archivi tradizionali; assistenza ai ricercatori; operazioni attinenti al versamento degli
archivi degli altri uffici statali; compilazione dei massimari di scarto; scarto dei documenti che non vengono ritenuti
meritevoli di conservazione; sorveglianza sugli archivi di deposito e correnti; edizione di fonti; attività promozionale
e didattica.

Vigilanza: ispezione sugli archivi non statali; individuazione degli archivi esistenti nella Regione e loro censimento;
dichiarazione di notevole interesse storico degli archivi privati; consulenza sulla tenuta degli archivi; nulla osta per
lo scarto degli archivi degli enti pubblici e privati di notevole interesse storico ecc.

VERSAMENTO E SCARTO

La legge sugli archivi del 1963 stabilisce che gli organi centrali e periferici dello Stato versino nei competenti
Archivi di Stato i documenti relativi agli affari esauriti da oltre 40 anni; per le liste di leva o di estrazione sono
previsti 70 anni dalla data di nascita della classe a cui si riferiscono. Si possono accettare versamenti di data più
recente quando vi sia pericolo di dispersione o di danneggiamento. Il versamento non avviene con periodicità
regolare, ma sotto la spinta della carenza di spazio negli uffici statali.

Il versamento può essere effettuato solo dopo le preliminari operazioni di scarto, cioè selezione della
documentazione da destinare alla conservazione permanente negli Archivi di Stato. l’altra documentazione viene
ceduta alla Croce Rossa per il macero. Ci sono delle apposite commissioni di sorveglianza per lo scarto e il
versamento. Sono istituite con decreto ministeriale e durano in carica tre anni. Gli archivi di deposito dei ministeri
sono dei locali in cui vengono conservati i documenti non più occorrenti alle ordinarie esigenze di servizio per i
quali non siano trascorsi i 40 anni previsti per il versamento. Le commissioni di sorveglianza si riuniscono almeno
due volte l’anno. La commissione dopo aver esaminato la documentazione chiede il nulla osta alla divisione
competente dell’Ufficio centrale per i beni archivistici.

Per lo scarto degli archivi degli enti pubblici intervengono le soprintendenze archivistiche attraverso nulla osta del
competente soprintendente archivistico.

Neanche i proprietari di archivi di notevole interesse storico possono provvedere allo scarto senza l’autorizzazione
del soprintendente, il quale può disporre il deposito presso l’Archivio di Stato dei documenti proposti per lo scarto.

I documenti conservati negli Archivi di Stato sono liberamente consultabili ad eccezione di quelli con carattere
riservato di politica estera o interna dello Stato che divengono consultabili 50 anni dopo la loro data. I documenti
dei processi penali sono consultabili 70 anni dopo la loro conclusione. Si può avere l’autorizzazione
dall’amministrazione dell’Interno per motivi di studio. Si è instaurata la prassi di concedere autorizzazioni per il
periodo anteriore all’ultimo trentennio. La legge non prevede distinzioni tra studiosi italiani o stranieri.

Potrebbero piacerti anche