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SOMMARIO
1. IL CONCETTO DI ARCHIVISTICA
2. IL CONCETTO DI ARCHIVIO
3. IL CONCETTO DI DOCUMENTO
4. LA STORIA DELL’ARCHIVISTICA
5. IL VINCOLO ARCHIVISTICO
6. LA SITUAZIONE DEGLI ARCHIVI ITALIANI NEL XIX SECOLO
7. L’ORGANIZZAZIONE ARCHIVISTICA NAZIONALE ITALIANA
8. GLI ARCHIVI E I SINGOLI DOCUMENTI CONSERVATI NEGLI
ARCHIVI DI STATO
9. GLI ARCHIVI NON STATALI
10. LE TRE FASI DI VITA DELL’ARCHIVIO
11. L’ARCHIVIO CORRENTE E IL PROTOCOLLO
12. L’ARCHIVIO DI DEPOSITO
13. L’ARCHIVIO STORICO
14. I MEZZI DI CORREDO ARCHIVISTICI
15. I MEZZI DI CORREDO PRIMARI: GLI ELENCHI
16. I MEZZI DI CORREDO PRIMARI: LE GUIDE
17. I MEZZI DI CORREDO PRIMARI: L’INVENTARIO
18. GLI STANDARD INTERNAZIONALI DI DESCRIZIONE: ISAD (G)
19. GLI STANDARD INTERNAZIONALI DI DESCRIZIONE: ISAAR (CPF)
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CORSO DI ARCHIVISTICA
Prof.ssa Cecilia Tasca
Tutor: Dott.ssa Eleonora Todde
a.a. 2013-2014
IL CONCETTO DI ARCHIVISTICA
Disciplina che si occupa della individuazione e della definizione della natura degli
archivi, delle procedure di formazione, di organizzazione e di conservazione della
documentazione prodotta dai vari soggetti produttori; inoltre si occupa della
realizzazione dei mezzi di corredo e degli strumenti di ricerca utili per la fruizione del
patrimonio documentario. Quindi oggetto della materia sono i complessi documentari
formati da testimonianze, prevalentemente scritte, originariamente connesse fra loro e
prodotte spontaneamente durante l’espletamento di una attività amministrativa.
Tra Seicento e Settecento la disciplina viene identificata come scienza ausiliaria della
storia, assieme alla paleografia, che studia le antiche scritture, e alla diplomatica che
invece si occupa delle forme dei documenti. Il Settecento è l’epoca dell’Encyclopédie
e della concezione ordinatoria del sapere, quindi anche nella gestione della
documentazione viene introdotto l’inventariazione per materia. Poiché la ricerca
archivistica segue le amministrazioni e la documentazione prodotta durante la loro
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Tra Ottocento e Novecento si diffondono quei principi che sono alla base della
disciplina:
- il rispetto dei fondi archivistici, ossia il concetto del documento non come unità
separata ma legata alle altre del medesimo fondo;
- il principio di provenienza, che nella classificazione delle carte stabilisce la massima
priorità alla provenienza, quindi all’ente che le ha create e ordinate originariamente;
- il concetto del vincolo archivistico che lega i documenti prodotti da
un’amministrazione.
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IL CONCETTO DI ARCHIVIO
Volgarmente “archivio” viene utilizzato per indicare un insieme di carte, non più utili
a chi le ha prodotte, che vengono conservate per un possibile utilizzo futuro.
Oltre a questa accezione negativa troviamo la correlazione tra archivio e insieme di
informazioni, oggi generalmente legata al linguaggio informatico in cui archivio
corrisponde appunto a un insieme di dati raccolti in contenitori virtuali (database).
Nel linguaggio archivistico odierno per archivio si intende ogni complesso di
messaggi/documenti, realizzato da un soggetto produttore a seguito della naturale
attività svolta nell’esercizio delle sue funzioni verso la società esterna. Il materiale
prodotto si distingue per la presenza di uno specifico vincolo naturale, un
collegamento organico tra tutti gli elementi.
Fondamentale capire che i documenti che formano un archivio sono sia le carte
inviate di cui rimane traccia attraverso delle copie o le minute, che le carte ricevute
durante lo svolgimento delle proprie funzioni.
Altro concetto fondamentale è la presenza di una amministrazione: quindi l’archivio è
prodotto da un ente e quando si avvia una ricerca non si deve cercare per materia ma
l’istituzione che ha prodotto determinato materiale.
L’origine della parola deriva dal greco archeion che stava ad indicare la sede dei
magistrati o del governo, in cui erano conservati i documenti della magistratura
ecco quindi la prima accezione del termine archivio ossia luogo di conservazione.
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Oltre alla definizione di archivio, il dibattito tentò di dare una definizione anche del
soggetto produttore: fino a quando rimase in vita lo ius archivi le carte private non
venivano considerate archivi poiché il soggetto produttore privato non veniva
riconosciuto titolare di quel diritto, attribuito solitamente alle istituzioni pubbliche
territoriali.
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- consultabilità
- metodi di riordinamento che mettono in crisi il criterio della pertinenza a
favore di quello della provenienza questi cambiamenti interessarono in
prevalenza la documentazione riconosciuta storica.
Alla fine del secolo un sostanziale contributo alla disciplina viene dagli archivisti
olandesi, che mutarono radicalmente la dottrina tedesca allora preminente.
L’archivio è l’intero complesso degli scritti, disegni e stampe, ricevuti o redatti in
qualità di ufficiale da qualunque autorità o amministrazione, purché conformemente
alla loro funzione, rimanessero presso la stessa autorità o amministrazione.
In questo modo il metodo storico, portato avanti dai teorici italiani, trova un riscontro
nell’opera degli archivisti olandesi.
La svolta decisiva nel corso del Novecento viene dagli studi di Giorgio Cencetti e la
sua definizione di vincolo archivistico e dalla pubblicazione del manuale di
Brenneke.
Cencetti definisce l’archivio come il complesso degli atti spediti e ricevuti da un ente
o individuo per il conseguimento dei propri fini o per l’esercizio delle proprie
funzioni. Ritorna quindi il concetto di complesso, definisce il vincolo necessario
(cioè che le carte siano prodotte o ricevute dal medesimo soggetto) e determina la
finalità, non in funzione conservativa, ma in correlazione al momento formativo
dell’archivio.
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IL CONCETTO DI DOCUMENTO
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Forma fisica del documento: caratteri estrinseci, le materie e i mezzi usati nella
formazione.
Forma intellettuale del documento: caratteri intrinseci, la struttura compositiva del
documento.
Il documento, pur variando nel contenuto, presenta degli elementi essenziali senza i
quali l’atto amministrativo non avrebbe validità giuridica:
- soggetto
- oggetto
- volontà
- causa
- forma
Caratteri intrinseci uguali sia nel documento medievale che in quello moderno:
protocollo, testo, escatocollo.
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Riepilogando
Cosa è un archivio?
- Nel linguaggio archivistico l’archivio è individuabile in ogni complesso di
scritture, realizzate dai singoli soggetti produttori, a seguito e come diretta
conseguenza della sua attività. Il materiale prodotto si differenzia per la
necessaria presenza di uno specifico vincolo naturale che contribuisce a creare un
collegamento organico tra tutti i suoi elementi.
- Oltre a questa definizione prettamente tecnica e specialistica della materia, esiste
una definizione di archivio attinente a discipline affini. In questo linguaggio
l’archivio viene individuato come l’insieme di documenti che sono stati riuniti
occasionalmente o per finalità prestabilite, nella quale il vincolo, se è presente,
non ha un carattere naturale/originario ma è direttamente collegato alla volontà
del soggetto. Se prendessimo come punto di riferimento la nozione di archivio
elaborata dal linguaggio archivistico, noteremo che questa accezione manca del
carattere fondante per la nascita di un archivio, ossia il legame che lega le carte
originariamente, poiché appunto questo viene creato successivamente e per
volontà del soggetto.
- Nel linguaggio informatico il termine archivio corrisponde un insieme di dati che
sono raccolti in contenitori virtuali: principalmente sono utilizzati in
predeterminate esigenze. Nell’ambito dell’archivio tecnologico si distinguono
due diverse tipologie:
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perfettamente allo “jus archivi”, ossia l’autorità sovrana o chi ne avesse ricevuto
l’investitura.
- L’archivio viene anche identificato con l’istituzione che ha prodotto la
documentazione o con l’istituzione che ha il compito di conservazione del
materiale. In questo modo l’archivio ha un legame diretto con chi lo ha prodotto.
Non esistono solamente archivi in cui la corrispondenza reciproca tra istituzione
produttrice e archivio è così immediata: esistono archivi provenienti da vari
soggetti produttori e per questo vengono chiamati archivi aggregati. Solitamente
gli archivi aggregati hanno la caratteristica di essere morti, in quanto il soggetto
produttore che gli ha posti in essere ha cessato la propria attività, non è quindi più
attivo.
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LA STORIA DELL’ARCHIVISTICA
Sin dai tempi più remoti abbiamo testimonianze della volontà dell’essere umano di
registrare la memoria: basti pensare ai segni grafici costituiti dalle figurazioni rupestri
della Val Camonica risalenti all’Età del ferro (I millennio a.C.). Per ritrovare la figura
di veri archivi bisognerà aspettare il VII-VI secolo a.C. nella Magna Grecia, in Etruria
e nell’Umbria.
Per quanto riguarda l’età repubblicana l’archivio era custodito presso il tempio di
Saturno: il Cencetti ha ipotizzato che l’archivio fosse organizzato secondo il principio
“di provenienza” o “storico”, che verrà formulato solo nel XIX secolo, e perciò il suo
interno fosse diviso in fondi prodotti da diversi uffici, e quindi fosse formato da serie
distinte di documenti.
Solamente nel I secolo a.C. venne creato il tabularium cioè un edificio in cui i
documenti erano concentrati: sia per la conservazione che per garantire la loro
autenticità. In questo periodo gli archivi venivano principalmente utilizzati per motivi
giuridici.
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In questo periodo gli archivi erano utilizzati non solo per funzioni pratiche e
giuridiche, ma venivano utilizzati anche dagli storici come ad esempio Tacito,
Svetonio. È accertato anche che non esisteva ancora una differenziazione tra la
gestione dei documenti presso gli uffici e la conservazione degli atti antichi. Oltre
agli archivi pubblici si affiancavano anche quelli familiari. Gli atti privati erano
redatti dai tabelliones e per godere di pubblica fede dovevano essere depositati presso
gli uffici, attraverso una procedura chiamata insinuatio.
Inoltre esisteva l’archivio della Chiesa romana e dal II secolo anche archivi delle
chiese locali.
Per quanto riguarda il modo in cui veniva identificato troviamo due termini:
1. Tabularium che deriva da tabula, ossia il documento scritto su tavolette di
legno, e poi documento in genere
2. Archivum a partire dal II secolo, rimanendo inalterato per tutto il periodo
medievale e moderno indicava anche il luogo di conservazione dei documenti.
Nel Medioevo ci si occupa principalmente proprio della pubblica fede dei documenti
conservati negli archivi: si parte dalla definizione giustiniana dell’archivio quale
“locus in quo acta publica asservantur” con l’aggiunta di “ut fidem faciant”.
Si sviluppa quel concetto in cui l’archivio è solamente quello costituito da chi gode
dello jus archivi questo concetto è strettamente legato alla sovranità, poiché lo jus
archivi spettava solo all’imperatore e al pontefice, e a chi aveva ricevuto da essi la
facoltà. Da questo principio nasce la pubblica fede per gli atti redatti dai notai e la
costituzione degli archivi comunali.
Il Comune nasce come organismo di fatto e la documentazione gode di pubblica fede
solo perché redatta da una persona dotata di pubblica fede, ossia il notaio che è tale
per volontà dell’imperatore o del papa.
Nel XIII secolo questo poter viene esteso ai re che all’interno dei propri territori
godevano di un potere uguale a quello degli imperatori, e poi ai Comuni liberi.
Durante l’evoluzione dell’istituto comunale anche l’archivio subisce un graduale
mutamento fino a quando si arriva alla costituzione di un archivio in ciascun
Comune.
I documenti venivano custoditi in una cassa o in un armadio chiuso, talvolta con più
chiavi affidate a magistrati diversi. Per quanto riguarda la conservazione, i documenti
erano ordinati, suddivisi in caselle all’interno degli armadi o in sacchi, corredati da
elenchi-inventari da redigere annualmente.
Il fine della conservazione è ancora essenzialmente giuridico.
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Ancora nell’età moderna il concetto di archivio rimane legato allo jus archivi, alla
sovranità e alle maggiori autorità religiose quali arcivescovi, vescovi ma anche
monasteri, conventi e chiese. I comuni italiani decretano la libera consultabilità degli
atti da parte dei cittadini, le signorie e le monarchie invece ne stabiliscono la
segretezza: ad esempio l’Archivio di Cagliari viene dichiarato segreto con un
provvedimento del 13 maggio 1334. Inizia quella blanda consultazione a fini culturali
da parte di chi custodiva l’archivio e da studiosi.
Alla metà del ‘500 un mutamento nella metodologia storica ad opera di Francesco
Patrizi da Cherso che afferma la centralità del documento nella ricerca, pone sotto una
nuova luce l’archivio, dotandogli appunto di un valore scientifico che fino ad allora
risultava trascurato o comunque marginale rispetto alla valenza giuridica.
Il ‘600 è il secolo in cui vengono pubblicati i primi scritti dedicati esclusivamente al
mondo degli archivi: ricordiamo quello di Baldassarre Bonifacio e di Nicolò
Giussani, e una storia degli archivi in epoca romana di Albertino Barisone. In
entrambi gli scritti viene affermata la doppia valenza giuridica e culturale degli
archivi.
Il più famoso archivista italiano di epoca moderna è Ludovico Antonio Muratori che
fu per 50 anni archivista del duca di Modena. Non portò nessun contributo teorico
alla disciplina, ma si occupò principalmente della tecnologia archivistica: si occupò
della qualità della carta e dell’inchiostro.
Il XVIII secolo è caratterizzato da una serie di riforme che vedono nascere il principio
di separazione della gestione dei documenti presso gli uffici produttori
dall’ordinamento in senso stretto degli archivi. Si diffondono due criteri di
ordinamento che stravolsero completamente i fondi e le serie originarie:
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delle grandi masse documentarie non solo non si era più in grado di riconoscere le
carte prodotte da un ufficio piuttosto che da un altro, ma vennero suddivise per
argomento al di là della provenienza.
L’ordinamento per materia per chi non ha nessuna conoscenza archivistica è il più
semplice, inoltre riprende la mentalità razionalistica e classificatoria del Settecento
(enciclopedismo). Inoltre si pensava che l’ordinamento per materia facilitasse le
ricerche, sia per scopi amministrativi che per scopi di studio, comparando il fondo
documentario al libro e alle biblioteche. L’applicazione di questo metodo di
ordinamento trova la sua applicazione ben oltre l’Unità d’Italia.
- il primo prevede che fondi diversi non devono essere frammisti fra loro;
- il secondo prevede la ricostituzione dell’ordine originario. Non solo non bisogna
unire fra loro documenti prodotti da uffici differenti, ma bisogna mantenere l’ordine
dato all’atto della produzione dall’ufficio, o cercare di ricreare quell’ordine qualora
sia stato modificato. questa concezione è ad opera di Francesco Bonaini,
all’istituzione dell’Archivio di Stato di Firenze e della Soprintendenza degli Archivi
del granducato di Toscana.
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Nel 1874 le scuole degli Archivi di Stato vengono unificate sia nell’ordinamento che
nella denominazione e diventano le Scuole di Paleografia e dottrina archivistica.
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IL VINCOLO ARCHIVISTICO
Il vincolo crea un sistema di relazioni tra tutte le unità archivistiche che costituiscono
la sedimentazione documentaria dell’attività dell’ente che genera l’archivio. Il
vincolo deve essere naturale ossia originario, spontaneo e determinato non può
non esserci. È tipico dell’archivio e non si trova in altri beni culturali (quando è
presente il vincolo è sempre volontario).
- Originario tutte le carte sono generate dal medesimo ente, quindi hanno
una origine archivistica comune. Il vincolo nasce quando il singolo
documento entra in relazione con l’ente generatore.
- Spontaneo non si istituisce per volontà dell’ente generatore, ma come
risultato naturale della sedimentazione documentaria che si forma nel corso
dell’attività dell’ente.
- Determinato è generato dall’amministrazione nell’esercizio delle sue
funzioni ed è perciò determinato dalla natura e dalle competenze dell’ente
generatore e dalle modalità utilizzate per attuarle.
- vincolo istituzionale interno, che si sviluppa nel rapporto tra entità produttrice
e le altre realtà sociali che si pongono in collegamento con essa: questo
vincolo è altrettanto importante in fase di riordinamento perché permette la
valutazione di un contesto “istituzionale” complesso;
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Periodo preunitario
Alla fine del Settecento dalla concezione di archivio come memoria auto
documentazione, ossia a disposizione di chi l’ha prodotto (produzione-conservazione-
uso) si arriva ad una rottura dei tre momenti di vita. La documentazione non viene più
considerata come memoria per l’esercizio delle pratiche politico-amministrative, ma
fonte per chi, estraneo al processo di produzione, poteva avere interesse ad utilizzarla
e conoscerla.
Si afferma l’uso pubblico degli archivi, contrapposto alla precedente segretezza.
In questo periodo iniziano le formazioni di Archivi generali, necessari per la
conservazione celle carte delle antiche magistrature. Tappe principali:
Nel Regno di Sardegna viene creata una Direzione generale degli archivi, prima
deputata alla conservazione degli archivi di corte, poi con competenze anche sugli
archivi di Genova e di Cagliari.
Periodo postunitario
Nel 1870 viene nominata una Commissione per il riordinamento degli archivi di Stato
(Commissione Cibrario). Nasce un vivace dibattito sull’esigenza di sottoporre gli
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archivi statali sotto un unico ministero, appunto quello dell’Interno, per poter
garantire il pieno controllo da parte dello Stato sia degli istituti che si occupavano di
studi storici (come le Deputazioni di Storia patria) sia quelli che conservavano il
materiale documentario.
Viene inoltre creato un organo tecnico-culturale, il Consiglio superiore per gli
Archivi, con competenza di esprimere pareri su problemi legislativi, tecnico-
scientifici e amministrativi.
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Il Ministero dei Beni Culturali e Ambientali viene istituito nel dicembre 1974 a
seguito dell’unione in un unico dicastero della Direzione generale antichità e belle
arti, di quella delle biblioteche e accademie (sotto il Ministero della Pubblica
Istruzione) e l’amministrazione degli Archivi di Stato (ministero dell’Interno).
Organizzazione periferica:
- Comitato regionale per i BB. CC. (con funzioni di vigilanza e tutela)
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1. Archivio Centrale dello Stato (creato nel 1953), custodisce gli atti dei dicasteri
centrali dal 1861, dall’Unità in poi.
2. Archivio di Stato e le Sezioni di Archivio di Stato (creazione definitiva sancita
dalla legge archivistica 1963/1409). Il compito degli archivi di Stato è quello
di conservare il patrimonio documentario ereditato dallo Stato preunitario di
cui la Provincia faceva parte, quello prodotto dagli organi periferici dello
Stato presenti nella Provincia (versato dopo 40 anni dalla sua produzione),
quello di origine non statale di cui venga in possesso per donazioni, deposito o
acquisto (sempre nell’ambito provinciale).
3. Soprintendenze archivistiche: hanno sede nei capoluoghi regionali e hanno la
funzione di vigilanza sugli archivi non statali, di enti pubblici e di privati che
conservano documentazione molto antica ed estremamente rilevante.
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previsto che la Santa Sede e lo Stato italiano possano concludere degli accordi
per migliorare la conservazione e la consultazione degli archivi che
appartengono alla Chiesa. Con l’intesa conosciuta come “intesa Melandri-
Ruini” del 2000 si è giunti all’accordo in cui si stabilisce che lo Stato,
attraverso le Soprintendenze archivistiche, collabori con le organizzazioni
ecclesiastiche per la tutela e la valorizzazione del loro patrimonio
documentario.
Per gli approfondimenti sulle vicende che dalla formazione dello stato unitario hanno
portato alla vigente organizzazione archivistica:
- A. D’ADDARIO, L’organizzazione archivistica italiana, Roma 1960;
- E. LODOLINI, Organizzazione e legislazione archivistica italiana dall’unità
d’Italia alla costituzione del ministero per i beni culturali e ambientali,
Bologna 1980
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Archivio centrale
dello Stato
Soprintendenze
archivistiche
Archivi delle
Regioni
Archivi privati
(famiglie,
Archivi delle associazioni,
Province sindacati, partiti
politici, imprese)
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Archivi di Stato conservano gli archivi degli Stati preunitari, gli archivi degli
organi centrali e periferici italiani, gli archivi notarili e tutti gli altri archivi e singoli
documenti che lo stato abbia in proprietà o in deposito per disposizione di legge o per
altro titolo.
La Guida generale degli Archivi di Stato italiani è articolata in cinque volumi: quattro
sono dedicati all’Archivio centrale dello Stato e agli Archivi di Stato posti in ordine
alfabetico (di seguito troviamo anche le Sezioni di Archivio di Stato), l’ultimo
volume a repertori delle magistrature periferiche degli Stati preunitari e dello Stato
italiano e agli indici.
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3. gli archivi non statali che lo Stato ha in proprietà o in deposito, o quelli statali
non periodizzabili cronologicamente (feudi, Comuni, Province, archivi
fascisti, comitati di liberazione nazionale, archivi notarili, catasti, atti
demaniali, stato civile, università, arti e collegi e ordini professionali, camere
di commercio, opere pie istituzionali di assistenza e beneficienza e ospedali,
enti ecclesiastici, corporazioni religiose, archivi di famiglie e persone, archivi
diversi, raccolte e miscellanee).
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Archivi privati
Archivi non statali (archivi di enti pubblici e archivi privati) sono affidati agli enti
stessi e ai privati che li pongono in essere, mentre lo Stato, attraverso le
Soprintendenze archivistiche, esercita solo compiti di vigilanza.
ENTI PUBBLICI
Per quanto riguarda la consultabilità dei documenti riservati valgono le stesse norme
per i documenti conservati negli Archivi di Stato. Lo stesso vale per gli archivi
privati, solamente nel caso in cui siano stati dichiarati di notevole interesse storico
dalla soprintendenza archivistica di competenza territoriale.
I principali problemi che bisogna affrontare negli archivi pubblici non statali sono
essenzialmente due:
1. eterogeneità nell’organizzazione e nella tenuta degli archivi correnti;
2. estrema varietà di situazioni per l’ordinamento, l’inventariazione e la
consultabilità della documentazione anteriore di 40 anni.
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Enti pubblici:
- territoriali Comune, Provincia e Regione (godono di autonomia garantita
dalla Costituzione e di poteri per certi aspetti analoghi a quelli dello Stato;
operano in un determinato territorio che indica l’ambito in cui si dispiega la
potestà dell’ente)
- non territoriali caratterizzati da fini determinati e quindi hanno un
patrimonio documentario destinato ad un preciso scopo, sono costituiti da un
complesso di persone accomunate da una stessa professione o attività; alcune
enti hanno competenze nazionali e altri hanno competenze locali (in numero
uguale agli enti che hanno fini sociali, economici, culturali, etc.)
ARCHIVI DEI COMUNI → il d.p.r. 1963/1409 ha stabilito che gli archivi di questi
enti (compresi quelli delle Province e delle Regioni) sono soggetti al regime del
demanio pubblico, e prescrive la conservazione e ordinamento dei propri archivi.
Inoltre prescrive la vigilanza su questi archivi da parte della soprintendenza
archivistica competente per territorio; e la creazione di una sezione separata per gli
atti esauriti da oltre 40 anni. Chi gestisce questi archivi deve possedere il diploma
della Scuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica.
Conservano sia documenti del periodo preunitario sia del periodo postunitario.
L'archivio preunitario conserva gli atti delle magistrature delle comunità e degli
organi che operavano nella stessa comunità. Fino al 1897 il materiale è stato ordinato
e classificato in base alle particolarità locali. Con la circolare del 1 marzo 1897 del
Ministero dell'Interno viene stabilito un sistema di classificazione (titolario), basato
su un numero di 15 categorie corrispondenti ai principali settori delle attività
comunali:
- Amministrazione;
- Assistenza e beneficienza;
- Polizia urbana e rurale;
- Sanità e igiene;
- Finanze;
- Governo;
- Grazia, giustizia e culto;
- Leva e truppa;
- Istruzione pubblica;
- Lavori pubblici;
- Agricoltura, industria e commercio;
- Stato civile, censimento, statistica;
- Esteri;
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- Varie;
- Sicurezza pubblica.
Con il d.p.r. 445 del 2000 per la gestione degli archivi comunali correnti, al posto del
precedente titolario, viene creato un nuovo Piano di Classificazione con 14 titoli
adattati alle nuove competenze del Comune:
- Amministrazione generale;
- Organi di governo, gestione, controllo;
- Risorse umane;
- Risorse finanziarie e patrimonio;
- Affari legali;
- Pianificazione e gestione del territorio;
- Servizi alla persona;
- Attività economiche;
- Polizia locale e sicurezza pubblica;
- Tutela della salute;
- Servizi demografici;
- Elezioni ed iniziative popolari;
- Affari militari;
- Oggetti diversi.
ARCHIVI DELLE REGIONI → si sono iniziate a formare nel 1971 a seguito della
legge del 16 maggio 1970 n. 281. Con d.p.r. n. 616 del 1977 lo Stato trasferiva alle
Regioni l’ordinamento e l’organizzazione di alcune funzioni amministrative, sociali,
economiche del territorio di competenza. Attualmente la fase gestionale degli archivi
è in fase progettuale e l’accesso alla consultazione è poco agevole.
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Enti pubblici non territoriali sono chiamati anche parastatali, possono avere
competenza locale o nazionale, sono caratterizzati dal perseguire finalità pubbliche e
sono legati con lo Stato da un rapporto di controllo.
A seguito dell’Unità avevamo istituzioni di assistenza e di beneficienza, istituti
bancari, università e ordini professionali. All’inizio del secolo si sviluppano in diversi
settori quali le opere pubbliche, l’industria e le assicurazioni. Con il fascismo si
sviluppano principalmente enti a carattere assistenziale, propagandistico, con finalità
sociali e nel settore creditizio-economico. Nel dopoguerra spiccano gli enti per lo
sviluppo dell’artigianato, della piccola industria e dell’assistenza mutualistica. Con
l’istituzione delle Regioni e il conseguente trasferimento di determinate funzioni a
questi enti, il panorama degli enti non territoriali si è ridimensionato e si è provveduto
alla progressiva soppressione degli enti inutili.
ARCHIVI PRIVATI
Sono regolamentati dal d.p.r del 1973 e dal decreto legge del 1999 e del 2004
stabiliscono che chi è in possesso di un archivio privato riconosciuto di notevole
interesse dalla soprintendenza archivistica competente per territorio ha l’obbligo di
ordinarlo, inventariarlo e renderlo fruibile. In questa categoria rientrano gli archivi:
- familiari;
- di persone fisiche;
- di partiti;
- di sindacati;
- di associazioni;
- di società e imprese;
- di banche;
- di giornali.
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-gestione economica;
- materiale prodotto durante rapporti sociali.
Archivi delle persone fisiche sono di recente istituzione, XIX-XX secolo. Solitamente
sono molto disordinati e per riordinarlo bisogna ricercare delle caratteristiche
costanti, ossia:
- professione dell’individuo;
- attività svolta nel corso della sua vita;
- metodo di lavoro o di studio.
All’interno di questa tipologia possiamo trovare archivi propri (in cui il vincolo è
naturale, scritture di carattere giuridico) e archivi impropri (in cui il vincolo è
volontario, come nelle raccolte di lettere).
Gli Archivi societari (di aziende, partiti, sindacati, banche) sono di estrema
importanza per la storia economica e finanziaria di un paese.
- Luoghi pii;
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- Beni ecclesiastici;
- Anagrafe;
- Indulgenze;
- Altari-campane-cimiteri;
- Monasteri femminili;
- Foro ecclesiastico;
- Archivio della fabbrica del Duomo e del Seminario;
- Visite pastorali;
- Ordinanze sacre.
Archivio Segreto Vaticano conserva i fondi dei dicasteri ecclesiastici centrali (può
essere assimilato all’Archivio Centrale dello Stato). Viene fondato nel 1610 da papa
Paolo IV. Una parte della documentazione dello Stato pontificio è custodita presso
l’Archivio di Stato di Roma: si tratta dei documenti conservati fuori dalle mura
vaticane, sostanzialmente si tratta della parte più consistente relativa
all’amministrazione dello Stato pontificio.
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Archivi regolari viene usato per indicare gli archivi delle società religiose
cattoliche disciplinate da una regola: ossia gli archivi dei conventi e dei monasteri e
di tutte quelle confraternite laiche che operano disciplinati da una regola precisa.
Per archivi stranieri si intendono tutti gli archivi delle ambasciate, dei consolati e
delle rappresentanze straniere presenti nel territorio italiano. Questi archivi
appartengono allo Stato di appartenenza e vige il principio di extraterritorialità.
Gli archivi delle rappresentanze italiane all’estero vengono periodicamente versati
nell’archivio del Ministero per gli Affari Esteri (che non versa la propria
documentazione nell’Archivio centrale dello Stato, ma mantiene un proprio archivio
storico).
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Conservazione:
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- deve includere tutti i documenti prodotti dall’ente nel corso della sua attività;
- deve basarsi sulle funzioni dell’ente produttore: una funzione è l’insieme di
attività aventi uno scopo comune, ad ogni funzione deve corrispondere una
categoria;
- deve conservare l’aggregazione documentaria (deve tener conto delle relazioni
con gli altri documenti dello stesso gruppo).
- esistenza dell’atto;
- certifica le date di acquisizione e produzione dei documenti;
- offre elementi di veridicità dell’esistenza, della data, del contenuto di un
documento andato smarrito;
- è elemento probante (oltre all’esistenza ne sancisce l’autenticità).
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Il protocollo può essere di due tipi: analitico, in cui si registra ogni documento in
arrivo e in partenza, e sintetico, in cui il numero assegnato al primo documento di una
pratica contrassegnerà tutti i documenti relativi a quella pratica.
Il registro di protocollo è annuale. Si compone di due parti: quella a sinistra è
destinata ai documenti in arrivo, quella a destra invece ai documenti in partenza.
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L’ARCHIVIO DI DEPOSITO
L’archivio di deposito è destinato a gestire quei fascicoli che non sono più
sufficientemente attivi per essere tenuti nei singoli uffici che gli hanno posti in essere
per altri 40 anni.
In questo lasso di tempo i documenti possono essere richiesti dall’ufficio produttore e
in questo caso riacquistano una funzione amministrativa; in ogni caso in questo
periodo non hanno ancora assunto quel valore storico-culturale che sarà prerogativa
della terza fase di vita dell’archivio.
Fino a quando le pratiche hanno una qualche valenza amministrativa non possono
essere né trasferite né distrutte ci deve essere sempre la possibilità di consultare il
procedimento.
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1. l’archivio può trovarsi nello stesso ordine in cui si è formato non richiede
l’intervento dell’archivista
2. l’archivio presenta un ordine dato da successivi rimaneggiamenti portati
dall’ufficio stesso al proprio archivio si deve rispettare in linea di massima
l’ultimo ordinamento
3. l’archivio può essere suddiviso in vari versamenti eseguiti da uno stesso ente
oppure in spezzoni che corrispondono a nuclei di documenti che costituiscono
quanto resta di un archivio si deve procedere ad un riordinamento globale
cercando di ricostituire l’ordine originario delle serie pervenute
frammentariamente
4. l’archivio risulta suddiviso in fondi diverso formati da enti diversi
l’archivista deve studiare l’ordinamento originario e capire il motivo che ha
portato al passaggio di documentazione in archivi di enti diversi (ordinamento
sulla carta)
5. l’archivio è in disordine può andare dal semplice disordine cronologico
all’interno di un fascicolo allo scompaginamento totale dell’intero fondo: la
difficoltà è data dall’approssimazione con cui originariamente si era
provveduto alla classificazione dei documenti
6. archivi che contengono documentazione di uffici con competenze analoghe
oppure archivi di enti diversi (archivi aggregati) se fanno parte della stessa
amministrazione saranno inseriti nello stesso inventario
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Lodolini Carucci
«compromesso fra l’esigenza teorica di «operazione qualificante dell’attività
conservare per intero la documentazione archivistica» esigenza di scegliere
prodotta e l’impossibilità pratica di per la conservazione quei documenti
soddisfare tale esigenza» tutte le carte che ai contemporanei sembrano
andrebbero conservate ma è impossibile per essenziali per la comprensione della
la mancanza di spazio propria epoca
Lo scarto può entrare in conflitto con il vincolo archivistico: questo in quanto nesso
logico tra la documentazione determina la struttura dell’archivio a prescindere dal
contenuto dei documenti, invece lo scarto interviene proprio sul giudizio del valore
del contenuto dei documenti.
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Data l’irreversibilità dello scarto, gli archivi si dotano di strumenti che consentono di
conoscere tutto ciò che è stato scartato, cioè i cosiddetti “correttivi dello scarto”:
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Per gli archivi pubblici non statali (es. quelli comunali) e quelli privati di notevole
interesse storico l’elenco di scarto viene inviato alla Soprintendenza archivistica
competente per territorio, che rilascerà il relativo nulla osta.
L’esecuzione dello scarto consiste nell’invio al macero del materiale, un tempo
questo era ritirato dalla Croce Rossa Italiana. In caso di carte riservate vengono
distrutte direttamente nell’archivio con apposite apparecchiature.
La commissione può non essere d’accordo sulla scelta del materiale da scartare:
nascono così gli archivi intermedi nel quale il materiale predisposto per lo scarto resta
in sospeso per un periodo e la decisione definitiva viene rinviata ad un momento
successivo.
Scarti arbitrari effettuati principalmente negli archivi societari di enti economici,
ecclesiastici e politici. Sono archivi difficilmente controllabili da parte degli enti di
sorveglianza.
Approfondimenti:
- A. ROMITI, Alcune considerazioni sugli archivi di “deposito”, in Per la
storiografia italiana del XXI secolo. Seminario sul progetto di censimento
sistematico degli archivi di deposito dei ministeri realizzato dall’Archivio
centrale dello Stato (Roma, 20 aprile 1995), Roma 1998 (Pubblicazione
degli Archivi di Stato. Saggi, 46), pp. 18-22
- P. CARUCCI, Lo scarto come elemento qualificante delle fonti per la
storiografia, «Rassegna degli Archivi di Stato», XXXV (1975)
- P. CARUCCI, Dall’archivio corrente all’archivio di deposito: la selezione
come momento essenziale per la salvaguardia della memoria storica in Per
la storiografia italiana del XXI secolo. Seminario sul progetto di censimento
sistematico degli archivi di deposito dei ministeri realizzato dall’Archivio
centrale dello Stato (Roma, 20 aprile 1995), Roma 1998 (Pubblicazione
degli Archivi di Stato. Saggi, 46), pp. 23-29
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L’ARCHIVIO STORICO
- numero progressivo
- titolo
- numero dei pezzi
- tipologia del materiale
- estremi cronologici.
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Per approfondimenti:
- P. CARUCCI, Le fonti archivistiche: ordinamento e conservazione, Roma
1983
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L'elenco è una lista con indicazione più o meno sommaria della documentazione
compresa in ciascuna busta o dei registri di un fondo non riordinato, secondo l'ordine
in cui di fatto si trovano le singole unità. → definizione della Carucci
L'assenza di ordine come elemento distintivo e indispensabile per la creazione
dell'elenco non è sempre un aspetto così fondamentale: infatti esistono archivi che pur
essendo riordinati presentano il solo elenco al posto della guida o dell'inventario.
Il carattere di provvisorietà che sembra venire dalla definizione della Carucci non è
legittimato se pensiamo agli elenchi di consistenza, di deposito, di versamento che
nascono per determinate esigenze archivistiche e rimangono immutate. Si può
accettare questa provvisorietà solo se vediamo l'elenco come un mezzo scientifico di
primo livello e che successivamente troviamo un mezzo più solido come l'inventario.
Tra le varie tipologie di elenchi una prima distinzione viene effettuata tra gli elenchi
generali e gli elenchi speciali: i primi sono realizzati in modo autonomo e hanno lo
scopo di descrivere sia singolarmente (in modo analitico) sia in raggruppamenti (in
modo sommario) le unità archivistiche; i secondi hanno una funzione di
completamento di alcune pratiche definite principali.
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Tipologie di elenchi:
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ELENCO ANALITICO
ELENCO SOMMARIO
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ELENCO MISTO
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Definizione del Lodolini: “la guida descrive l’archivio sulla base della storia delle
istituzioni che hanno prodotto la documentazione”.
Definizione della Carucci: “uno strumento per la ricerca che descrive
sistematicamente, in maniera più o meno dettagliata, i fondi conservati in uno o
diversi istituti archivistici”.
Guide generali
Descrivono in un unico contesto logico e uniforme più archivi che sono conservati
presso istituzioni o enti. Questi enti possono essere qualificati sia come archivi di
concentrazione sia come soggetti con il compito di custodire permanentemente la
propria documentazione.
Solitamente gli archivi sono censiti, analizzati e infine descritti nella loro complessità.
Guide locali hanno una dimensione territoriale più delimitata rispetto a quella
nazionale.
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Guide speciali
Sono quei mezzi di corredo che hanno ad oggetto l’illustrazione di archivi che
possono essere conservati da un lato presso gli istituti di concentrazione, che
comunque devono essere considerati nella loro autonomia, sia presso la sezione
separata degli stessi soggetti produttori.
Guide singolari
Sono quei mezzi di corredo che illustrano la documentazione realizzata dai singoli
soggetti produttori, siano o no gli attuali conservatori del materiale. Sono concepite
per la descrizione di singoli archivi, ossia di documentazione organica realizzata da
singoli soggetti produttori.
Guide tematiche
Può essere assimilata alla categoria degli strumenti di ricerca: il materiale viene
organizzato secondo il principio della pertinenza e non della provenienza. La
documentazione viene quindi riunita secondo un ordine che corrisponde alle materie.
Il vincolo naturale è presente solo a livello settoriale.
Guide topografiche
La finalità è diretta alla conoscenza della collocazione fisica del materiale e non alle
caratteristiche della documentazione. Può seguire principalmente due direttive:
1. descrizione del materiale stanza per stanza, realizzando la numerazione
progressiva delle stanze, il numero dello scaffale, il numero del palchetto, il
titolo della serie, gli estremi cronologici e il numero complessivo dei pezzi
collocati;
2. titolo della serie, estremi cronologici, consistenza, stanza, scaffale, palchetto.
Sezione introduttiva
Riporta i dati essenziali utili per la comprensione del percorso compiuto e per la
realizzazione degli elementi tecnici utili alla utilizzazione corretta:
- una breve nota sulla composizione della Redazione centrale (indicazione di
coloro coordinato e realizzato l’iniziativa);
- sommario del volume (indice generale dei diversi settori e dei diversi capitoli)
- presentazioni (interventi dei vari ministri per i beni culturali e del Direttore
generale degli Archivi di Stato);
- le abbreviazioni;
- le opere citate in forma abbreviata;
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Sezione descrittiva
- introduzione (finalità della Guida Generale, evoluzione degli Archivi di Stato, guida
ai fondi);
- illustrazione degli archivi italiani
- elementi descrittivi (sede dell’archivio, consistenza totale del materiale, laboratorio
di fotoriproduzione, curatori delle voci, indici sommari dei fondi, notizie storiche ed
istituzionali relative all’archivio preso in esame, descrizione dei singoli fondi
archivistici)
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L’inventario è il mezzo di corredo per eccellenza perché comprende tutti gli aspetti
conoscitivi dell’archivio (da quelli introduttivi, a quelli descrittivi, con indicazioni
bibliografiche e indicizzazioni).
La stesura dell’inventario è una operazione che è inevitabilmente legata al
riordinamento del materiale.
Definizioni di inventario
Archivisti olandesi Müller, Feith e Fruin paragonano l’inventario ad una
guida compilata a fini pratici che dia un prospetto generale del contenuto
dell’archivio.
Alla fine dell’Ottocento la maggior parte della documentazione proveniente
dagli antichi regimi non era conosciuta per cui era più utile una panoramica
generale del materiale, piuttosto che la singola descrizione di tutto quello che
era contenuto all’interno di un archivio.
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Deve possedere una struttura molto articolata con alla base il principio della
oggettività. I settori essenziali, trascurando gli indici di corredo, sono individuati
nelle introduzioni e nelle descrizioni.
In base alla dottrina casanoviana l’elemento fondante è la sezione descrittiva proprio
perche per trovare la documentazione è necessaria una precisa ed esauriente
descrizione dei pezzi. Secondo la dottrina cencettiana il valore principale viene dato
alle introduzioni, che permettono di conoscere la struttura profonda dell’archivio.
Sia le note introduttive, che le sezioni descrittive, che gli indici devono essere
bilanciate perché tutte contribuiscono a rappresentare l’archivio come un’unica realtà
organica.
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5. SEZIONE BIBLIOGRAFICA
5.1. Nota bibliografica archivistica
5.2. Bibliografia generale
6. SEZIONE TAVOLE SIMBOLICHE E DI RAFFRONTO
6.1. Tavole delle abbreviazioni
6.2. Tavole di raffronto
7. SEZIONE INDICI
7.1. Indici dei nomi
7.2. Indici generali
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Preliminarmente bisogna acquisire tutte gli elementi che hanno contribuito alla
formazione, gestione e conservazione dell’archivio:
- conoscenza del soggetto produttore in relazione alla sua origine, alla sua
struttura e alle sue competenze;
- conoscenza delle funzioni svolte dal soggetto produttore in relazione alla sua
struttura amministrativa, burocratica e istituzionale;
- conoscenza del contesto storico generale in cui ha operato il soggetto
produttore;
- conoscenza del contesto istituzionale, giuridico e amministrativo generale in
cui ha operato il soggetto produttore;
- conoscenza dei rapporti pratici, giuridici e amministrativi intercorsi tra il
soggetto produttore e la realtà esterna;
- conoscenza delle vicende formative e gestionali dell’archivio in ogni sua
parte.
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Il cappello è una particolare introduzione che appartiene alla fase descrittiva e che è
posta sopra ogni raggruppamento. Ha finalità illustrative della realtà storica,
istituzionale e burocratica del soggetto che ha direttamente prodotto una determinata
serie.
Devono comparire tutti gli elementi relativi all’origine, all’attività e alla eventuale
cessazione delle funzione del soggetto che ha prodotto il materiale, considerando le
disposizioni normative.
È costituito dal titolo della serie alla quale si riferisce e da un testo illustrativo, in cui
si esplicano le caratteristiche della documentazione (tipo, specificità, uniformità,
difformità, irregolarità, etc.).
Il cappello non può mai mancare in quanto fornisce con immediatezza gli elementi
basilari della serie.
Le citazioni bibliografiche devono essere limitate e dirette alle fasi procedurali e
formative della documentazione, non al suo contenuto. Hanno una particolare
importanza i collegamenti con le fonti archivistiche, soprattutto quelle normative,
inserite tra parentesi nel testo. Nel cappello viene formalmente esplicata la natura del
vincolo archivistico: poiché si illustrano le serie che costituiscono un complesso
archivistico, viene messo in evidenza il nesso presente tra la documentazione.
Vengono quindi indicati i collegamenti tra le singole carte che hanno portato alla
formazione del fascicolo, poi alla busta, alla serie e ai collegamenti tra le varie serie.
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L’INVENTARIO: LE DESCRIZIONI
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- intitolazioni
- elementi estrinseci
- vecchie segnature
- elementi intrinseci
- datazioni.
Nelle prime tre sezioni e nella quinta l’archivista svolge un’attività essenzialmente
descrittiva (segnalazioni di tipologie con caratteristiche tecniche e di sintesi
statistica); la quarta sezione affronta elementi contenutistici ed entrano in merito
anche le capacità dell’archivista.
Ogni sezione ha una propria autonomia anche se tra le diverse sezioni esistono strette
correlazioni.
1. LE INTITOLAZIONI
Il primo momento di riconoscimento nella descrizione delle singole unità è
rappresentato dall’apposizione dei titoli. Il titolo se è stato apposto contestualmente
alla nascita, alla formazione o alla confezione del pezzo, ha caratteristiche di
originalità e naturalezza: in questo caso rappresenta fedelmente la realtà oggettiva.
La prima distinzione da fare è tra le:
- intitolazioni reali immediatezza nei confronti del contenuto
- intitolazioni apparenti rappresentano aspetti troppo specifici o troppo generici del
contenuto.
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I titoli incompleti o deteriorati devono essere riportati nella loro condizione reale
attuale, solo sciogliendo le abbreviazioni segnalate, senza proporre integrazioni o
modificazioni.
I titoli vanno identificati anche in base all’individuazione del momento in cui sono
stati prodotti:
- coeve quando si è accertato che la produzione del pezzo e l’apposizione del titolo
sia avvenuta nello stesso tempo;
- moderne quando rappresentano il risultato di un’attività posteriore alla redazione
archivistica.
La trascrizione dei titoli deve essere integrale e fedele, deve rispettare l’altezza delle
lettere riproducendo le maiuscole e le minuscole (anche se assegnate erroneamente o
irregolarmente), deve tenere conto dell’andamento delle scritture (l’andata a capo va
segnalato con l’inserimento del segno /), qualora esistano dei dubbi di attribuzione in
presenza di errori di scrittura va segnalato con (sic).
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Tipologia
Due tipologie primarie di unità archivistica:
- le carte sciolte
- le carte legate.
L’attribuzione delle due diverse tipologie deve essere riferita al momento della loro
origine e non a eventuali momenti successivi che potrebbero averne condizionato la
natura.
Carte sciolte:
- carta singola (doc. sing.)
- fascicolo (fasc.)
- busta (b.)
- filza (fil.)
- volume
- mazzo e fascio
Carte legate:
- registro
- libro
- quaderno
- spezzone
- vacchetta o bacchetta
- bastardello
- brogliaccio
Supporto
Con il termine supporto si indica la tipologia del materiale scrittorio:
- cartaceo (cart.)
- membranaceo (membr.)
- pergamenaceo (perg.)
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- papiraceo (papir.)
- microfilm (m.film d./s. duplicazione/sostituzione)
- copie fotografiche (cop. fotogr.)
- fotocopie (foto.c)
- videocassette e audiocassette (cass. vid. e cass. aud.)
- cd e dvd
Dimensioni
I pezzi archivistici sono individuabili in base a tre aspetti: la base del piatto, l’altezza
del piatto e la larghezza della costola.
Il primo metodo (di plurisecolare tradizione) di esprimere le dimensioni parte dalle
misure del folio che aveva delle particolari dimensioni, solitamente 70x50. Quando si
voleva realizzare un registro in folio, i fogli venivano piegati una sola volta nel lato
più lungo. Si poteva ulteriormente piegare per avere fogli più piccoli: in questo modo
si aveva un pezzo di circa 25x35 e veniva chiamato e indicato con la dicitura in 4°.
Con una ulteriore piegatura si otteneva in 8°.
Attualmente si utilizza la misurazione millimetrica e centimetrica.
Cartolazione
La cartolazione consiste nell’apposizione nell’unità archivistica di un numero
progressivo in ogni carta (in alto a destra). Il numero viene assegnato solo alla parte
anteriiore, quindi nel recto, mentre in quella posteriore, o verso, non compare nulla.
La paginazione invece prevede un numero in ogni pagina.
Hanno lo scopo di fornire l’esatta conoscenza della consistenza dell’unità archivistica
e consentire anche una corretta fruizione.
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Gli allegati
Sono scritture secondarie che giustificano la loro esistenza in quanto dipendenti dalle
scritture principali. Occupa una posizione ben precisa: unito con uno spillo nella parte
anteriore del documento, oppure nella parte posteriore.
Nel momento della cartolazione o della paginazione bisogna individuare gli allegati
per poter essere registrati. Solitamente si appone il segno +, la segnatura del
documento principale, una barra / e il numero degli allegati.
Reg. cart. in 4°, di cc. 1-32 + 12/4
Busta cart. in 4°, di cc. 1-250 + 25/4, 65/3
Carte doppie
Solitamente si riferiscono a pezzi che nascono legati in cui si ha la ripetizione di un
numero di carta o di pagina. L’archivista deve effettuare la segnalazione iniziando
con + poi il numero della pagina, un tratto (-) e il numero della carta che è stato
omesso con l’aggiunta dell’esponente °
Reg. cart. in 4°, di cc. 1-32 + 7-2°
Carte mancanti
In caso di carte mancanti va indicato lo spezzone raggruppando le carte con
l’indicazione dei numeri estremi e di quelli centrali in ordine progressivo
Reg. cart. in 4°, di cc. 9-80; mancano le cc. 1-8, 15, 28-32, 45, 60
Legatura
Con l’indicazione della legatura si completa la descrizione degli elementi estrinseci
dell’unità archivistica (il condizionamento esterno dell’unità).
In base ai materiali usati si hanno diverse tipologie:
- cartone
- cartoncino
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- carta
- pergamena
- notarile
- mezza pergamena
- pelle
- mezza pelle
- cuoio
- tela
- mezza tela
- seta, legno o altri materiali.
In caso la legatura non esista si scrive “leg. non esiste” oppure “leg. senza cop.”,
lasciando intuire che il pezzo è ancora legato ma si è persa la coperta.
3. VECCHIE SEGNATURE
La segnatura è una sequenza di simboli numerici o alfabetici, posta sulla costola
dell’unità archivistica che ha la funzione di individuare l’unità e di determinarne la
classificazione e la collocazione nell’ambito dell’organizzazione dell’archivio.
Con il termine vecchia si indica quella segnatura posta prima (non per forza originale)
della nuova che viene assegnata a seguito dell’inventariazione.
Possibili soluzioni di assegnazione:
- criterio numerico realizza numerazioni a catena e una linea omogenea di
comportamento (grandi archivi in cui non si deve tener conto della suddivisione in
serie)
- criterio alfabetico in archivi di medie e piccole dimensioni oppure per la
descrizione di singole serie archivistiche.
4. ELEMENTI INTRINSECI
Organizzazione in tre sezioni della parte descrittiva degli elementi intrinseci:
- il primo settore è destinato ad ospitare le registrazioni relative al contenuto
principale;
- il secondo settore è destinato alla descrizione degli elementi concernenti il
contenuto secondario;
- il terzo settore è destinato a riportare tutte quelle indicazioni che attengono ai
contenuti accessori.
5. DATAZIONI
La datazione topica può essere semplice (indica il solo nome del paese o della città)
oppure complessa (se comprende ulteriori annotazioni):
- Roma
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Per quanto riguarda le tavole delle abbreviazioni, usando quella presente nella Guida
Generale degli Archivi di Stato Italiani, abbiamo tre tipologie:
- quelle con carattere strettamente tecnico in ambito archivistico
f. foglio
ff. fogli
ms. manoscritto
fasc. fascicolo
perg. pergamena
mons. monsignore
card. cardinale
es. esempio
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Gli indici appartengono ai mezzi archivistici sussidiari che, assieme ai repertori e alle
rubriche, hanno la funzione di integrare e di completare gli elenchi, le guide e gli
inventari (i mezzi di corredo primari).
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Indici analitici solitamente elenca, in ordine alfabetico, i nomi delle persone, dei
luoghi e delle istituzioni o delle cose notevoli. Nel settore archivistico si predilige la
realizzazione di un indice unico comprendente più categorie.
esempio:
Corsano, 456
- indici semi ragionati tra il lemma e il dato abbiamo 1-3 parole che hanno
una funzione illustrativa del lemma;
esempio:
Corsano, paese di, 456
- indici ragionati tra il lemma e il dato, contengono delle parole (in numero
maggiore di tre) che forniscono sinteticamente una chiara illustrazione del
contenuto della documentazione
esempio:
Corsano, organi deliberativi ed esecutivi di governo, 456
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ISAD (G)
Nel 1994 la Commissione ad hoc per gli standard di descrizione del Consiglio
internazionale degli archivi elabora la prima edizione delle ISAD (G), ossia gli
standard di descrizione per gli archivi e la documentazione. Nel 2000 viene elaborata
e pubblicata la seconda edizione.
Lo scopo della descrizione archivistica è di identificare ed illustrare il contesto e il
contenuto della documentazione archivistica per promuoverne l’accessibilità. Il
presente standard consiste in regole generali per la descrizione archivistica che
possono essere applicate ad ogni tipo di documentazione.
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4.5. Strumenti di ricerca: segnalare tutti gli strumenti esistenti presso l’istituto
archivistico o presso il soggetto produttore
5.1. Esistenza e localizzazioni degli originali: qualora l’unità di descrizione sia una
copia indicare l’esistenza, la localizzazione, la disponibilità o la distruzione
dell’originale
5.2. Esistenza e localizzazioni di copie: indicare l’esistenza, la localizzazione, la
disponibilità o la distruzione delle copie dell’originale
5.3. Unità di descrizione collegate: segnalare l’esistenza di unità di descrizione
collegate
5.4. Bibliografia: indicare tutte le pubblicazioni che si riferiscono all’unità di
descrizione
6.1. Note
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ISAAR (CPF)
Le ISAAR (CPF) sono gli standard internazionali per i record d’autorità archivistici
di enti, persone, famiglie.
La prima edizione fu elaborata dalla Commissione ad hoc per gli standard descrittivi
del Consiglio internazionale degli archivi tra il 1993 e il 1995, e fu pubblicato nel
1996. La seconda edizione delle ISAAR viene pubblicata nel 2004.
La prima edizione conteneva tre aree (Area del controllo d’autorità, Area delle
informazioni e Area delle note), mentre la seconda edizione contiene quattro aree
(Area dell’identificazione, Area della descrizione, Area delle relazioni e Area di
controllo).
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2.1. Date di esistenza: per gli enti vanno citate le date di istituzione
- fondazione - legislazione costitutiva e le date di soppressione; per le
persone le date di nascita e morte o le date di attività
2.2. Storia: riportare in forma narrativa, o tramite cronologia, gli
eventi principali dell’esistenza, dell’attività, dei ruoli esercitati e dei
risultati ottenuti dall’entità descritta
2.3. Luoghi: riportare il nome del luogo e della giurisdizione
territoriale indicando il tipo di relazione e le relative date
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3. Area delle relazioni nella quale sono indicate e descritte le relazioni con
altri enti, persone e/o famiglie
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BIBLIOGRAFIA
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