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ARCHIVISTICA GENERALE

Funzioni e limiti della disciplina archivistica

- La definizione→ si tratta di una materia molto antica, in quanto si occupa di gestire la memoria sin
da quando l’uomo ha deciso di conservare le sue operazioni, con una struttura ampia, complessa
ed articolata che ha per oggetto la gestione della memoria scritta di soggetti pubblici e privati.

- Le funzioni→ - individuazione e definizione della natura degli archivi;


- modalità e procedure di formazione;
- principi di organizzazione;
- linee di conservazione;
- criteri e compiti che attengono alla tutela della documentazione dei soggetti
produttori.

Il materiale archivistico spesso altro non è che rappresentazioni scrittorie che coincidono con la
testimonianza delle azioni svolte dal soggetto produttore per rispondere a determinate esigenze pratiche,
amministrative e giuridiche.

- I supporti→ tali documentazioni trovano spazio su supporti che possono essere di varia natura e
che nel corso del tempo sono andati incontro a continue evoluzioni. Infatti i primi supporti di cui
abbiamo testimonianza sono quelli risalenti al 2400 a.C., rinvenuti in seguito a campagne
archeologiche più o meno sistematiche realizzate da Ebla durante la seconda metà del 1900. Tali
supporti sono soprattutto tavolette di argilla che mostrano la presenza di regole organizzative e di
gestione della memoria già in antichità. Questi oggetti sono però particolarmente grandi e di
macchinosa fruizione, nonostante possano garantire una maggiore conservazione.
Col passare del tempo si passa a supporti più leggeri di più semplice fruizione, come il papiro, la
pelle, la pergamena e la tela: essi però, a causa della alta deteriorabilità del loro stesso materiale
Garantiscono una conservazione più difficile.
→ vi è dunque un rapporto di valore inversamente proporzionale tra la qualità di conservazione
e la fruizione del materiale stesso.
Durante l’età classica si fa largo uso di pergamena di cui però oggi non è pervenuto niente per:
- il naturale degrado del materiale (scarto naturale);
- eventi naturali di forza maggiori come terremoti o tempeste (scarto naturale);
- una mancata necessità di conservazione da parte del soggetto produttore (scarto volontario).
Tuttavia molte civiltà durante questa epoca erano consapevoli della precarietà di tali materiali per
questo continuarono ad utilizzare supporti come pietra e marmo (quest’ultimo usato soprattutto dai
Romani, da cui si intuisce la profonda necessità di conservare la propria memoria).
In particolare oggi abbiamo una lacuna dal I millennio a.C. al I millennio d.C., con l’eccezione dei
Rotoli del Mar Morto, che grazie alla scarsa agibilità del luogo e per le sue caratteristiche ambientali,
sono rimasti perfettamente conservati.
In età medievale invece si riscontra una maggiore consapevolezza della disciplina archivistica, per
due motivi:
- si ha un aumentato utilizzo della pergamena;
- si ha il consolidamento degli ordini religiosi e della chiesa cristiana.
Tuttavia il maggiore sviluppo della disciplina emerge durante l’età dei comuni, durante cui viene
Introdotta la carta, che rappresenta uno strumento molto più democratico poiché permette una
diffusione delle idee maggiore ed è accessibile a tutti. Il primo utilizzo di questo supporto fu nel liber,
prima pergamenaceo, che serviva a registrare tutta la documentazione archivistica e che veniva
inserito negli armari, sostituti degli scrinia, poco capienti. Oltre agli armari nacquero anche le casse/
cassette, adibite ai materiali più preziosi. Il medioevo è un periodo importante per l’Archivistica

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perché nasce la figura del notaro (o coppia di notari), colui che doveva tenere con ordine la
documentazione degli Uffizi. anche la figura del notaro va in contro ad una evoluzione, che trasforma
il notaro-archivista in archivista-notaro, occupando così una vera e propria professione, tasmessa
di padre in figlio.
Infine in età moderna, tra il XVI e il XVII secolo in Italia ed in Germania l’archivio acquisisce una
dignità scientifica; ciò è testimoniato dalla scrittura di numerosi trattati aventi per oggetto
l’archivistica stessa.

La nascita dell’archivio

Un archivio nasce ogni volta che un soggetto produttore decide di conservare la testimonianza delle
proprie azioni. Egli infatti è mosso da scopi pratici, amministrativi e giuridici, per cui diventa necessario
conservarne la memoria per necessità presenti e future.
Tuttavia con il passare del tempo la conservazione diviene più precaria, poiché il soggetto, una volta che
ha concluso le proprie pratiche, non ha più bisogno di tali documentazioni: tale documentazione finisce
così per essere eliminata. Dunque esistono due tipi di archivio:
1) archivio presente→ rappresenta un importante strumento per la quotidianità (archivio in
formazione);
2) archivio storico→ quando l’archivio assume il ruolo di importante centro per la ricerca (archivio
formato).

Le articolazioni di questa disciplina

Da sempre gli studiosi hanno cercato di individuare, definire, classificare e collocare la disciplina
archivistica, ma come dimostrò un dibattito tenutosi nella seconda metà del 500, questo non è possibile a
causa della specificità di ogni singolo archivio che si muove in tempi e spazi specifici, ma che, secondo la
sua definizione, è identificato quale complesso organico.
inoltre, vi erano altri due obiettivi che si voleva conseguire durante questo dibattito:
1) risolvere la divergenza tra archivio in formazione (produzione mossa da scopi amministrativi, pratici,
giuridici) e archivio formato (quando diviene storico, dunque centro della ricerca).
2) definire l’archivio sia quale luogo di conservazione della documentazione sia quale documentazione
in sé.
Oggi esistono varie categorie che studiano l’archivistica, muovendosi dal generale al particolare:
- archivistica generale→ affronta le tematiche basilari per comprendere l’archivio, tenendo presenti
i principi teorici, gli aspetti giuridici e le linee gestionali. Essa si muove tramite sezioni:
- sezione introduttiva: offre indicazioni sintetiche sulla storia degli archivi;
- descrizione delle linee teoriche: vengono descritti gli aspetti utili per comprendere la vera natura
dell’archivio, tenendo presenti le linee guida dell’individuazione, definizione e classificazione.
- vita dell’archivio: secondo la scuola italiana la vita dell’archivio è costituita da una fase corrente,
una fase di deposito ed una fase storica.
- quadro relativo alla gestione nazionale ed internazionale dei settori di competenza: un esempio di
tali settori di competenza è l’Organizzazione Internazionale degli Archivi. Questa si costituisce
dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando tutti i paesi mondiali si sono riuniti per trovare un
modo per proteggere e gestire le idee a livello mondiale, pur tenendo presenti le specificità
nazionali.
- archivistica speciale→ studia la nascita, lo sviluppo e la gestione dell’archivio nella sua
appartenenza a categorie tipologiche, gestionali e particolari (es: distinzione tra archivi pubblici
statali e archivi pubblici non statali).
- organizzazione degli archivi→ si occupa di studiare più nello specifico le tre fasi della vita di un
archivio; oltre a ciò si occupa di creare una distinzione netta tra informazione, ossia una

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documentazione che presenta un materiale scrittorio privo di dettagli, e descrizione, ossia una
documentazione ricca di dettagli e particolarmente descrittiva.
- archivistica tecnica→ si occupa di studiare nello specifico la terza fase, ossia quella storica,
caratterizzata dal riordinamento, ossia quell’operazione che conferisce all’archivio una struttura
logica. Tale procedura risulta fondamentale per poter comunicare un archivio, che prima ancora di
essere fruito deve essere anche stato letto e descritto. Questa categoria dell’archivistica concentra
la sua attenzione su mezzi di corredo (elenchi, guide ed inventari) e strumenti utili per la ricerca.
- gestione degli archivi→ è la parte più operativa e si occupa di prendere in considerazione gli
strumenti al fine della ricerca e della fruizione del materiale.
- informatica applicata agli archivi→ si occupa dei vari interventi legati alle progettualità
tecnologiche, per questo presenta un campo di applicazione più o meno vasto a seconda
dell’esigenza delle operazioni delle varie fasi della vita di un archivio.

Il significato dell’archivio e dell’archivistica

l’archivio può apparire come:


1) luogo fisico per conservare la documentazione→ il primo archivio nato come luogo in Italia è stato
quello di Lucca, infatti l’archivistica italiana nasce in Toscana e viene sviluppata con Bongi. A Lucca
la documentazione è conservata impiantata nei muri delle sale e segue un ordine cronologico.
L’archivio in quanto luogo viene spesso associato ad un contesto polveroso dove trovano spazio
ratti e agenti biologici.
2) documentazione in sé.
3) nel linguaggio volgare si intende un “agglomerato di carte”.
4) nel dizionario dei sinonimi e contrari a fianco al termine “archivio” troviamo sinonimi con accezione
del tutto negativa come “mettere via”, “dimenticare” o addirittura “seppellire”.
5) è il cloud ed il drive su una piattaforma digitale.

Date tali premesse tuttavia ancora non siamo giunti ad una vera e propria definizione di archivio:
quest’ultima risulta essere necessaria e fondamentale per definire l’Archivistica, poiché senza una attenta
individuazione di esso non è possibile delineare quelle procedure e prassi comportamentali per la
conservazione della documentazione.

L’archivio può assumere varie accezioni:


- luogo di conservazione→ in questo caso l’archivio si identifica con l’edificio ove viene conservata
la documentazione. Archivio quale luogo è una concezione che pone le sue radici fin dall’epoca
romana, durante cui all’archivio si attribuivano altri valori, ossia:
- fides
- sacralità
- carattere pubblico della documentazione
- giuridicità
Dato che l’archivio quale luogo ha i valori di sacralità, fides e giuridicità conferisce alle scritture che
conserva il diritto di conservazione affinché queste scritture mantenessero la loro giuridicità (ius
archivi). Soprattutto in ambiente anglosassone, durante l’età moderna, si è ripreso questo concetto:
Hilary Jenkinson ha parlato di “unbroken custody”, ossia custodia ininterrotta. Con tale termine
Hilary intendeva far capire che finché un archivio viene conservato nel luogo in cui è stato creato
allora mantiene il suo carattere giuridico, ma se esso viene spostato dal luogo di origine allora
perde tale valore.
- istituzione e/o istituto di concentrazione→ l’archivio si identifica come istituzione che lo ha
prodotto e/o istituzione che lo conserva. Presso tali istituzioni sono presenti i cosiddetti “archivi
aggregati”, ossia archivi che provengono da un altro soggetto produttore e che vanno ad inserirsi

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tra la documentazione storica di questi soggetti. Tali archivi sono per lo più archivi morti, quando il
soggetto produttore cessa la testimonianza della sua attività. In questo modo l’archivio rimane
immobile e non si accresce più, con la conseguente scomparsa del soggetto stesso (inerzia
definitiva); oppure archivi che sono a rischio di distruzione. Nonostante ciò l’archivio passa nelle
mani di un altro soggetto, continuando a svolgere il suo ruolo di testimonianza e di memoria e può
comunque rispondere ad esigenze pratiche, amministrative e giuridiche.
I più importanti in Italia sono gli Archivi di Stato, i quali continuano a produrre una loro
documentazione ma allo stesso tempo divengono veri e propri istituti di concentrazione.
- complesso documentario→ l’archivio viene definito in quanto tale dal linguaggio di sfera
archivistica. Con complesso documentario quale archivio si definisce il materiale creato dal
soggetto produttore in seguito di necessarie esigenze e dunque spinto dalla naturale e necessaria
attività col mondo esterno. Tutto il materiale è collegato e tenuto insieme da un vincolo che è
naturale, originale e necessario, in quanto non può non esserci, che è proprio e specifico
dell’archivio non va bene per gli altri beni culturali (se qui vi è un vincolo è sicuramente volontario).
- raccolta→ tale concezione di archivio è usata nel linguaggio di discipline affini all’archivistica, ma è
del tutto sbagliata per definire un complesso organico con un vincolo naturale, poiché la raccolta
presenta un vincolo volontario. La raccolta è un insieme più o meno articolato di documenti/oggetti
riuniti occasionalmente o per finalità prestabilite. Dunque il termine “raccolta” può essere utilizzato
per altre discipline quali il collezionismo, i musei, le biblioteche, poiché all’interno di essi la
disposizione di opere d’arte/libri viene stabilita dalla volontà di un determinato soggetto, nonostante
tra i diversi elementi esista comunque un legame, ma rimane comunque del tutto volontario.
- archivi riprodotti→ sono gli archivi che vengono riprodotti per due motivi principali:
1) garantire una maggiore conservazione del documento nel tempo
2) per una minore occupazione degli spazi, nel caso in cui il documento originale si elimini e si
conservi la copia.
L’operazione di riproduzione può avvenire per:
- duplicazione: si fa una copia di un originale, che però viene mantenuto. Tale processo viene
svolto soprattutto per documenti importanti ed ha vari vantaggi:
a- preservare la conservazione più a lungo;
b- facilitare la fruizione;
c- accedere da più supporti.
- sostituzione: si fa una copia di un originale, ma quest’ultimo viene eliminato.
- microfilm: è utile e positivo perché non è precario, perché ha una limitata capacità di ingombro e
perché è facile da fruire.
- digitale: ha lati negativi poiché al contrario del microfilm risulta essere precario sia perché ha una
durata pari a 30 anni e di conseguenza deve essere cambiato rischiando così di perdere parte dei
dati nel trasferimento da un supporto all’altro, e perché ha bisogno di continui aggiornamenti, che
rischiano di eliminare parte della documentazione. L’unico lato positivo del digitale è il poco
ingombro.
- archivio informatico e banca dati→ definizione di archivio nel linguaggio informatico. In questa
concezione l’archivio è visto come il cloud o il drive, dunque come un complesso di dati raccolti in
contenitori virtuali, usati per determinate esigenze di ricerca. Questo però è un “non archivio”,
infatti delimita maggiormente le caratteristiche di una raccolta: se prendiamo ad esempio Google,
apparentemente quest’ultimo è una grande raccolta di diverse informazioni, che adesso
generalmente viene identificato come archivio.
Tuttavia se analizziamo i termini di “banca dati” e di “archivio informatico” capiamo che un archivio
può essere definito in quanto tale, infatti:
- archivio informatico: nasce direttamente sul supporto, che organizza la documentazione in un
determinato modo, di conseguenza esso raccoglie i dati secondo una precisa volontà. Esso però
rimane comunque un archivio perché vi è un’esigenza naturale di operare e di conservare la

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memoria.
- banca dati/archivi informatizzati: archivi riprodotti, poiché sono la trasposizione sul digitale di
documentazione cartacea. Anche in questo caso il vincolo naturale è presente poiché è la copia
di un originale in cui era presente.
- archivio come bene culturale→ il 14 maggio 1954 40 stati del Mondo si riuniscono all’Aia e
stabiliscono cosa sia un bene culturale: nasce il bene culturale.
In Italia tuttavia era già presente un concetto di beni culturali, ossia quello previsto dall’articolo 822
del Codice Civile del 1942, che affondava le sue radici sulle Leggi Bottai del 1939, secondo cui in
uno Stato non democratico la proprietà non è tutelata, ma dato che l’Italia aveva acquisito
un’ottica democratica tale legge venne sostituita con quella confermata il 7 febbraio 1958.
In seguito verranno nominate delle Commissioni Parlamentari con il compito di fornire indicazioni
per l’istituzione di un apposito ministero. Infatti prima del 1974, anno della nascita di un ministero
dei beni culturali, questi ultimi erano sotto la competenza del Ministero della Pubblica Istruzione,
mentre gli archivi erano di competenza del Ministero degli Interni. Le commissioni che vennero
nominate sono:
1) 1964-1967: Commissione Franceschini, il cui compito era quello di replicare l’articolo 1 della
Convenzione (bene culturale definito assieme ai beni artistici, archeologici, librari ed infine
archivistici) e portarlo a livello italiano. Non riesce e per questo ancora non si può nominare un
ministero.
2) 1968-1970: Commissione Papaldo, che ottenne risultati parimenti non definitivi per questo si
proclamò una nuova commissione detta Papaldo Bis.

Nel frattempo il 17 novembre del 1970 a Parigi viene stipulata, presso L’Organizzazione delle Nazioni Unite
per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, una Convenzione Internazionale per stabilire le misure da
adottare per impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà di beni culturali.
All’articolo 1 vengono individuati i beni che a titolo religioso o profano sono individuati come importanti per
archeologia, preistoria, letteratura, arte e scienza e che appartengono a molteplici categorie tra le quali
quella dell’archivio.

In Italia invece:
- 1974: Aldo Moro e Giovanni Spadolini decidono di forza la creazione del Ministero per i Beni
Culturali e Ambientali, in cui sono previsti tutti i beni culturali di competenza della pubblica
istruzione, dunque tranne gli archivi.
- per questo motivo gli archivisti salirono sulle barricate (tra questi vi era Romiti), poiché si erano resi
conto che lasciando gli archivi sotto il Ministero dell’interno venivano ancora rilegati come controllo
del potere politico.
- grazie a questa sollevazione nel gennaio del 1975 anche gli archivi entrano a far parte del
Ministero dei Beni Culturali e Ambientali.
- 3 dicembre 1975: col D.P.R. nº 805 fu definita l’organizzazione del nuovo ministero e venne
denominato “Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
- 1999: di questo ministero venne realizzato un Testo Unico, ossia una raccolta di leggi in materia di
beni culturali e ambientali, stabilito con un Decreto Legge.
- 22 gennaio 2004: il testo Unico viene sostituito dal Codice dei Beni Culturali, approvato dal Decreto
Legislativo nº 42 ed i suoi primi articoli sono:
1) articolo 2, comma 2: individua i beni culturali che sono e le cose mobili e immobili, che presentano
un interesse artistico, storico, archeologico, bibliografico e archivistico e le altre cose individuate
dalla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà.
2) articolo 3, comma 1: la tutela consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività
dirette sulla base di un'adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio
culturale e a garantire la conservazione e la protezione per fini di pubblica funzione.

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la nascita dell’archivio

Abbiamo già accennato il fatto che affinché un archivio nasca è necessario che il soggetto produttore
conservi la documentazione delle proprie azioni. Tuttavia, affinché un archivio nasca, si formi e si conservi,
devono presentarsi i seguenti presupposti:
- esistenza di un soggetto produttore;
- attività del soggetto produttore;
- particolarità dell’attività del soggetto produttore;
- la conservazione e la qualità del supporto;
- che la memoria sia legata in sé con un particolare vincolo.
Esistenza del soggetto produttore
Ogni archivio deve essere considerato come la memoria delle attività svolte dal soggetto produttore.
Quest’ultimo in età medievale e nei primi anni dell’età moderna era considerato solo come soggetto
pubblico, ossia come colui a cui era stato concesso lo ius archivi. Considerando così il soggetto produttore
però si sminuivano ad esempio in generale gli archivi privati ed in particolare quegli archivi delle grandi
famiglie feudali e mercantili che al contrario si prendevano cura del proprio archivio con grande attenzione.
In età contemporanea tali discriminazioni sono state superate: tutti coloro che danno origine ad un archivio
sono considerati soggetti produttori.
in particolare esistono due tipologie di soggetti produttori:
- soggetti produttori pubblici→ sono quelli che si occupano dei diritti e dei doveri dei cittadini;
- soggetti produttori privati→ sono quelli che non hanno influenza sulla Comunità.

I primi a loro volta si suddividono in:


→ soggetti pubblici statali→ diretta emanazione dello Stato sul territorio; ad esempio troviamo i Ministeri,
la Corte dei Conti, il Consiglio dello Stato (a livello centrale, dunque sono organi del governo centrale di
uno Stato) e le Prefetture e le Questure (a livello provinciale/periferico, dunque sono soggetti produttori
locali/regionali).
→ soggetti pubblici non statali→ rappresentano comunque lo Stato sul territorio, anzi in modo maggiore,
ma godono di una maggiore autonomia; ad esempio le Regioni, le Province e i Comuni, e tutte quelle
strutture che hanno acquisito in seguito una natura regionale, provinciale e locale.

Queste due tipologie di soggetti pubblici trovano la loro differenziazione legislativa confermata dal D.P.R. nº
1409 del 30 settembre del 1963 (= atto normativo italiano che ancora oggi rappresenta le disposizioni
legislative in materia archivistica).

I secondi invece si dividono in:


→ soggetti privati singoli→ sono o le singole persone fisiche o le singole persone giuridiche, ossia quelle
rappresentate da un solo soggetto;
→ soggetti privati complessi→ essi possono essere:
- nuclei familiari: essi variano a seconda della struttura o della funzione. Infatti possono essere
considerati o come insieme di soggetti singoli o come realtà più articolate considerate nella loro
unità culturale, storica…
- associazioni: si crea un'associazione di fatto nel momento in cui due o più persone si riuniscono
non a scopo di lucro, purché la loro attività non sia segreta e illegale. Esse non sono conosciute
ufficialmente dallo Stato, ma per consolidare la loro posizione si recano dal Notaio e consegnano il
loro atto costitutivo e lo Statuto. Tuttavia per raggiungere il riconoscimento giuridico devono
superare un gradino in più:
- mandano la richiesta formale allo Stato/Regione di competenza 322
- in caso di risposta positiva diventano Ente Giuridico/Morale se l’associazione è composta da più

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persone; Fondazione se l’associazione è basata su capitali.
→ soggetti complessi dell’impresa→ in questo caso due o più persone si uniscono a scopo di lucro. Essi
non devono seguire regole di conservazione del materiale che producono tranne per le prassi fiscali della
documentazione.

Attività del soggetto produttore


Ogni soggetto produttore dà vita al proprio archivio solo se conserva la testimonianza delle sue attività.
L’attività del soggetto produttore si articola in due momenti, contribuiscono a costruire i presupposti per la
formazione dell’archivio:
1) quando il soggetto si crea;
2) quando il soggetto opera.

Durante la sua attività però il soggetto può assumere una posizione di inerzia totale che può essere:
- transitoria→ il soggetto, seppure con pause, mantiene vivo l’archivio, accrescendo quest’ultimo con
altri documenti.
- definitiva→ l’archivio rimane immobile, non viene più accresciuto. Quando consegue poi la
scomparsa del soggetto produttore, tale archivio è detto morto, anche se la documentazione può
comunque essere utilizzata per rispondere ad esigenze pratiche, amministrative e giuridiche.
Questo processo avviene soprattutto per gli archivi pubblici che, in seguito alla cessazione
dell’attività del soggetto produttore, vengono trasferiti ad un altro soggetto che provvede alla sua
conservazione ed alla sua fruizione, ossia gli Istituti di Concentrazione (vedi pag. 3, archivi di
concentrazione).

Tipologia dell’attività del soggetto produttore


Gli archivi si formano solo se un soggetto produttore conserva la sua attività, che ha rivolto al di fuori di sé;
in questo modo riceverà dal mondo esterno elementi attestativi dei comportamenti.

Un esempio a tal proposito sono i Carteggi, ossia tutte le missive in entrata ed in uscita di un soggetto
produttore che si è rivolto all’esterno, che danno vita ad un vero e proprio complesso archivistico. Tali
operazioni si compongono da più fasi:
1) il soggetto produttore principale riceve la prima missiva, la leggerà e la conserverà in un luogo
specifico affinché la potrà trovare più facilmente;
2) tale soggetto risponde a tale missiva inviandone un’altra, memorizzando quanto scritto così da
poter riconoscere eventuali riferimenti col testo di risposta. Oppure si svolgeva una minuta, ossia la
brutta copia, oggi invece si fanno copie/fotocopie;
3) queste due procedure si ripeteranno fino a creare un fascicolo, ossia un complesso di carte legate
da un vincolo naturale, originario e necessario.
Ad esempio se un soggetto produttore, come un Comune, necessita una specifica fornitura, invia una
missiva a 5/10 Ditte. Alcune di esse risponderanno e dunque verrà a crearsi un archivio formato da:
- lettera in arrivo
- lettera di risposta
Dunque da qui si capisce come l’archivio non nasca dalla singola attività di un soggetto produttore, ma dai
rapporti che egli ha con l’esterno. Inoltre alla base di tale archivio vi è la non volontarietà, poiché non è
detto che il Comune riceva precisamente 5/10 risposte positive da tutte le Ditte.

La conservazione della memoria e la qualità del supporto


Affinché nasca un archivio è anche necessario che la testimonianze delle operazioni di un soggetto
produttore sia fissata su un supporto.

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Abbiamo già largamente spiegato la natura dei supporti e la loro evoluzione nel tempo a pagina 1.

Volontà di conservazione della memoria


Un soggetto è libero o meno di conservare la propria attività: questa sua volontà è stabilita dallo scopo
pratico di quella documentazione per il soggetto produttore. La libertà in archivistica non è un concetto
univoco, ma si modella in base alle esigenze del soggetto produttore.
In particolare:
- il soggetto privato semplice fisico gode di un’estesa libertà, in relazione ai criteri di conservazione
della documentazione che lui stesso ha creato. Si possono creare due situazioni:
1) tale soggetto ha uno scambio epistolare con un altro soggetto/Istituzione, in questo caso egli può
può distruggere la lettera in quanto ritiene di poter conservare la documentazione nella sua
memoria fisica.
2) nel momento in cui però tale soggetto entra in contatto con Uffici Pubblici egli deve conservare la
sua documentazione. Ad esempio il Pubblico registro Automobilistico chiede ai cittadini di
mostrare il documento che attesta l’avvenuto pagamento del Bollo Auto: la maggior parte di loro
ha distrutto/hanno perduto tale documento, per questo sono costretti a pagarlo nuovamente, in
quanto tale documento risulta fondamentale per la memoria del soggetto produttore.
- il soggetto privato complesso gode di una libertà più limitata. Ad esempio le associazioni di fatto
non hanno la libertà di eliminare ciò che vogliono, in quanto sono costituite da soci che devono
conoscere l’attività tramite l’archivio stesso.
- il soggetto privato di impresa ha una libertà con un’ulteriore limitazione che corrisponde agli
obblighi dettati dalla legge. Ad esempio per quanto riguarda la conservazione della
documentazione di rilievo fiscale ha obbligo di rispettare determinate tempistiche precise.
- per il soggetto pubblico statale e non statale vige il principio di non eliminazione, sia per
disposizione di legge sia per un principio generale a carattere comportamentale. Ad esempio le
autorità preposte per la gestione dell’attività pubblica, che operano per un soggetto singolo, non
possono eliminare la loro documentazione in quanto testimonia le operazioni svolte presso il
soggetto rappresentato.

Il concetto di ordine archivistico


L’archivista ha il compito di conservare e di organizzare la memoria.
Il termine “organizzare” in archivistica significa far in modo che tale documentazione possa essere
comunicata. Per organizzare un archivio esistono due procedure fondamentali:

Ordinamento→ operazione che viene svolta dal soggetto produttore che, spinto da un’esigenza,
conferisce alla sua documentazione una struttura logica per reperire velocemente il materiale.
Riordinamento→ è quel momento in cui, nella terza fase, gli archivisti risalgono alla struttura ordinata e
logica di tutti quegli archivi disordinati.

Il vincolo
Gli archivi sono tutti legati da un vincolo, ossia un collegamento, un filo rosso, naturale, originario e
necessario, in quanto non può non esserci.
Abbiamo già citato i Carteggi, come un complesso di missive di invio e di risposta: tutte queste missive
sono legate da un vincolo che deriva dall’attività del soggetto produttore che risponde naturalmente ad
un’esigenza dal mondo esterno.
Inoltre il vincolo naturale, necessario ed originario è tipico e specifico della disciplina archivistica, non è
proprio degli altri beni culturali, in cui, se è presente, è volontario. Ad esempio la formazione delle
biblioteche nasce dalla volontà di un soggetto produttore di porre i libri in un determinato modo: è possibile
che tra le diverse unità librarie sia comunque presente un legame, ma si parla comunque di vincolo

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volontario. Ecco perché le collezioni, le biblioteche, le gipsoteche ed i musei e tutti gli altri beni culturali
sono definiti raccolte.

Le tipologie di vincolo archivistico

1) vincolo istituzionale esterno→ collegamento che si crea tra il soggetto produttore e la realtà
istituzionale esterna. Ad esempio un ente di controllo fiscale stabilisce che le fatture devano essere
conservate massimo 7 anni, dunque l’azienda che gestisce la documentazione contabile dovrà
rispettare tali tempistiche. In questo caso il vincolo istituzionale esterno è rappresentato dagli
obblighi indetti dall’ente di controllo fiscale.
2) vincolo istituzionale interno→ collegamento che il soggetto produttore ha con gli altri elementi a
lui interni. Un esempio per quanto riguarda i soggetti pubblici può essere riferito al rapporto che il
sindaco del Comune ha con tutti gli Uffici al suo interno. Invece per quanto riguarda le persone
fisiche il vincolo istituzionale interno è il rapporto che esse hanno con il proprio nucleo familiare.
Tale vincolo risulta fondamentale per capire in ambito pubblico com’era e com’è strutturato il
soggetto; dunque in questo caso se io analizzo il vincolo interno del Comune riesco a comprendere
come esso doveva essere strutturato nel corso della sua storia. Invece per gli archivi delle persone,
il vincolo istituzionale interno ci aiuta a trovare le persone con cui il soggetto produttore si è
relazionato nel corso della sua vita, ricostruendo dunque la sua storia.
3) vincolo archivistico esterno→ collegamento necessario tra la documentazione che si trova
presso un produttore e quella che invece si trova presso un soggetto esterno che ha svolto
un’attività in relazione con quella del soggetto principale e che non ha eliminato la testimonianza di
tale attività. Infatti non sempre il produttore ha mantenuto una copia della missiva inviata, il cui
originale fa parte dell’archivio del destinatario. Esempio: un soggetto produttore invia una serie di
lettere ad un comune. Il soggetto produttore, presso il proprio archivio conserva tutte le risposte che gli
arrivano dal comune ma non le domande, che ha appunto inviato e quindi non le possiede più. Per
potere capire l'intera corrispondenza bisogna però analizzare l'intero scambio di missive, comprese le
lettere inviate dal soggetto produttore al comune, che non sono presenti nell'archivio del soggetto
produttore, ma in quelle del comune che ha recepito tali documenti e li ha archiviati presso le proprie
strutture. Oppure io scrivo un messaggio whatsapp su un gruppo e mi arrivano una serie di risposte a
tale messaggio: il vincolo sarà la relazione che intercorre tra il mio messaggio e le risposte, ossia la
proposta che ho fatto in tale messaggio.
4) vincolo archivistico interno→ collegamento che lega necessariamente la documentazione che
compone l’archivio di un soggetto produttore, come affermato da Paola Carucci. Un esempio può
ritrovarsi nel collegamento che lega un determinato scontrino ad una fattura. Ad esempio uno
scontrino viene indicato con un determinato numero, ad esempio, S123 e ad esso corrisponde la
fattura che ha il numero F123. In questo caso dunque il vincolo è il numero che crea un
collegamento tra scontrino e fattura

Queste definizioni di vincolo sono state conferite da Giorgio Cencetti negli anni 30 del 1900: col passare
del tempo Romiti si rende conto che all’archivio era stata donata un’estensione ampia, mentre al vincolo,
che qui viene catalogato in quattro differenti tipologie, era rimasto limitato e per questo aveva bisogno di
essere esteso. Il vincolo che ha rilevato Cencetti riserva una funzione più delimitata stiamo parlando di
vincolo polimorfo.
Il vincolo risulta essere caratterizzato da più momenti, che però non devono essere considerati a sé stanti,
ma facenti parte di un’unica realtà organica: dunque le quattro tipologie del vincolo, a cui si aggiungono
le varianti impure per le applicazioni delle modalità tecnologiche, devono essere riferite ad un unico
concetto di complessità organica.
Dunque il vincolo di un archivio si caratterizza per le sue molteplici articolazioni sia interne che esterne, ma
anche virtuali: tutte queste caratteristiche eterogenee coesistono in un’unica realtà organica, ossia quella
del vincolo→ quest’ultimo diviene dunque unico e polimorfo.
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Ad esempio: l’archivio del Presidente della Regione Toscana avrà un suo archivio personale che fonde la
sfera pubblica con quella privata. Ciò che avremo sarà un vincolo polimorfo, poiché l’archivio è costituito da
un vincolo che ha articolazioni interne (vincolo archivistico interno) ed esterne (vincolo istituzionale
esterno).

Ecco allora che le qualità del vincolo sono:


- naturalezza, in quanto nasce da un’attività naturale che il soggetto rivolge all’esterno;
- originarietà, ossia un vincolo che è presente sin dall’origine dell’archivio;
- necessarietà, in quanto non può non esserci;
- unicità, in quanto è considerato come unica realtà organica;
- polimorficità, in quanto è costituito da diverse forme (=articolazioni), che coesistono.

Le tipologie di archivio

- Archivio apparente→ in questi archivi il vincolo si presenta come un vincolo apparente, ossia
come un vincolo volontario mascherato, che però non conferma la natura di archivio in senso
teorico.
→ esempio: abbiamo un archivio personale che per varie vicende si è disgregato perdendo il suo
vincolo naturale. Alcune delle parti dell’archivio vengono acquistate in base alle capacità
finanziarie del collezionista: quest’ultimo unirà il materiale che è riuscito a reperire non in un
archivio ma in una raccolta, poiché è stata decisa da lui stesso la composizione di questo non
archivio.
Se però il nuovo soggetto aggregante fosse in grado di recuperare gran parte dei documenti,
accertandosi che essi presentino un vincolo originario, allora potremmo considerarli quale
archivio in senso tecnico, seppur siano uno spezzone, ossia solo una parte dell’intero archivio.
- Archivio improprio→ il vincolo naturale originariamente presente per cause diverse non è più
riconoscibile.
- Archivio proprio→ il vincolo naturale è riconoscibile. In questo caso però può succedere anche
che il vincolo non sia riconoscibile, in quanto parzialmente esistente (questo avviene soprattutto
negli archivi personali). Tuttavia questo non esclude il fatto che non si possa considerare l'archivio
in quanto tale. Questo avviene soprattutto per gli archivi propri che sono stati depauperati a seguito
di interventi di eliminazione attuati dallo stesso soggetto produttore. A seguito di tale operazione
risulta complicato individuare il vincolo naturale, sebbene ci sia.

Perciò un archivio per essere individuato in senso tecnico deve possedere due condizioni:
1) deve esserci un vincolo originario, dunque presente sin dalle origini della creazione dell’archivio
stesso.
2) se una determinata consistenza è stata realizzata in seguito ad una procedura corretta, ossia
l’archivio in parte perso non deve essere ricostruito da parte di estranei, altrimenti si ha un vincolo
volontario.

Le caratteristiche di un archivio

Altre caratteristiche tipiche dell’archivio sono la complessità e l’organicità→ dunque archivio =


complesso organico. L’archivio infatti è stato definito dalla legge universitas rerum: la documentazione al
suo interno non può essere considerata uti singuli, ma facente parte di una complessità organica.

La complessità organica rappresenta un aspetto indispensabile e proprio dell’archivio, mentre è facoltativo


per gli altri beni culturali. Infatti l’archivio, inteso quale complesso organico, riveste un livello superiore

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ARCHIVISTICA GENERALE
rispetto agli altri beni culturali, raccolte e collezioni, e per questo non può essere smembrato, neanche con
l’autorizzazione ministeriale (Codice dei Beni Culturali articolo 20 comma 2). Infatti esso, quale complesso
organico, è caratterizzato da scritture originali e la mancanza anche solo di una di queste
(frammentariazione) genera un’incomprensione dell’archivio. Invece se un pezzo di una collezione viene
disperso o danneggiato si crea solo un danno nella collezione, ma non incide sulla comprensione della
struttura che è stata costituita volontariamente e dunque non subisce alcun intoppo nella sua organicità
naturale, in quanto non è presente.

Per quanto riguarda lo spostamento dei beni culturali deve essere comunicato al Sovrintendente, che,
entro trenta giorni, può prescrivere le misure necessarie affinché i beni non subiscano danni durante il
trasporto; invece lo spostamento degli archivi correnti non è soggetto ad autorizzazione, in quanto le carte
sono destinate a seguire la sede operativa del soggetto produttore.

La vita dell’archivio e le sue fasi

Come abbiamo già visto l’archivio non può essere definito come realtà unica poiché è in continuo
movimento e si realizza tramite diverse tappe/momenti strutturali, gestionali e conservativi.
Ogni archivio si colloca idealmente su due coordinate:
1) Verticalità temporale: ogni archivio si muove in un lasso di tempo che va dalla sua origine al suo
momento di chiusura, ossia il momento in cui il soggetto produttore cessa la sua attività e l’archivio
non si accresce più (passa nelle mani dell’istituto di concentrazione).
2) Orizzontalità territoriale e istituzionale: ogni archivio si muove su un territorio specifico e su un
contesto sociale e istituzionale preciso, che determinano l’attività del soggetto produttore.

Dunque→ archivio= piano multistrutturale, costituito da un insieme di punti creatasi in seguito


all’intersecazione tra queste due coordinate.

Fatta questa premessa, possiamo affermare che ogni archivio ha una propria vita attiva, delimitata da una
durata che non è prestabilita ma che dipende dall’attività del soggetto produttore. Tuttavia durante la sua
formazione è possibile che l’archivio possa andare incontro a modifiche, a causa delle quali rischia di
cambiare la sua struttura: si tratta di un processo chiamato frammentariazione. Tramite quest’ultima si
creano degli spezzoni che incidono negativamente sulla vita dell’archivio, in quanto quest’ultimo deve
essere sempre inteso come una realtà monolitica, indivisibile e non smembrabile.

Tuttavia, nel momento in cui il soggetto produttore cessa la testimonianza della sua attività, assumendo
dunque una posizione di inerzia totale definitiva, l’archivio diviene morto→ l’archivio diventa immobile e
non si accresce più. Come abbiamo già affermato a pagina 7, nonostante l’archivio rimanga immobile,
questo può continuare a rispondere ad esigenze di tipo pratico, amministrativo e giuridico e, passando

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ARCHIVISTICA GENERALE
nelle mani di un Istituto di Concentrazione, può continuare a svolgere il suo ruolo di memoria e di
testimonianza.

Le età dell’archivio

Nella prassi archivistica italiana ogni archivio si articola in più momenti gestionali, che altro non sono che le
età di sviluppo dell’archivio. Queste sono:
- fase corrente→ l’archivio è in formazione, dunque l’archivio mano a mano si crea in seguito ad un
accrescimento naturale determinato dall’attività del soggetto produttore che rivolge all’esterno. Tale
fase non ha una durata stabilita, ma convenzionalmente prende avvio con l’inizio della pratica e
termina quando questa si è chiusa. Solamente la gestione del protocollo ha una durata che va dal
primo gennaio al 31 dicembre.
- fase di deposito→ la documentazione si trova in una ubicazione di giacenza transitoria in attesa di
essere trasferita alla terza fase. L’articolo 30 del D.P.R. 1409 ha stabilito una durata di 40 anni di
giacenza, anche se spesso tale lasso di tempo viene ampliato. Durante questa fase la
documentazione continua a mantenere vive le sue competenze pratiche, amministrative e
giuridiche ed inoltre è qui che si svolgono le attività di organizzazione per:
1) risalire alla struttura originaria dell’archivio;
2) eliminare il materiale superfluo;
3) conservare il materiale archivistico.
- fase storica o sezione separata→ è il momento in cui la memoria divine storica e l’archivio
diventa centro di ricerca culturale, continuando comunque a rispondere ad esigenze pratiche,
amministrative e giuridiche.

In Europa riguardo la vita dell’archivio si formano pensieri del tutto diversi tra loro:
1) in Italia, il teorico archivista Baldassarre Bonifacio, afferma che l’archivio sia costituito dalle tre fasi
or ora citate;
2) la Germania, nel XVI secolo, vede un dibattito tra gli archivisti, ossia coloro che gestivano la
memoria nella fase storica, e i registratori, coloro che gestivano la documentazione nella fase
corrente e di deposito. I primi ritenevano che si potesse considerare archivio solamente la fase da
loro gestita. Così facendo si andavano a costituire quattro momenti nella vita dell’archivio:
- registratura;
- registratura di deposito;
- pre archivio, durante il quale si provvedeva alla selezione e allo scarto della documentazione
superflua;
- archivio, che conteneva la documentazione che aveva superato il pre archivio e che era pronta
a conservarsi permanentemente.
3) la Francia riuscì a trovare un perfetto connubio tra il modello italiano e quello tedesco: infatti
considerava la vita dell’archivio costituita da quattro momenti, ma in tutti i casi l’archivio era
riconosciuto come tale. Dunque abbiamo:
- archivio corrente;
- archivio di deposito;
- archivio intermedio, in cui vengono svolte le procedure di selezione e scarto;
- archivio storico.

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ARCHIVISTICA GENERALE

Analizziamo adesso tutte le fasi della vita di un archivio.

La fase corrente

È la fase di nascita e della formazione di un archivio. Essa non ha una durata massima stabilita: infatti è
possibile determinare l’origine della fase, ma non la fine poiché in essa sono presenti una serie di pratiche
che sono più o meno lunghe in base alla natura dell’attività del soggetto produttore e da quella delle
procedure formative. Dunque da un punto di vista cronologico l’archivio non è uniforme, perché in esso
molte pratiche possono durare più di un giorno, più di un mese o più di un anno, rimanendo dunque aperte.

→Durante la fase corrente risulta importante l’organizzazione della memoria, poiché se un archivio si
forma con strutture irregolari ed errate il suo sviluppo sarà tale.

La formazione di un archivio si basa su quelle differenziazioni dei criteri organizzativi che sono state
determinate dai seguenti elementi:
- la natura del soggetto produttore→ ogni soggetto produttore abbiamo già accennato essere
libero di conservare o meno la propria documentazione in base alla sua natura, e ciò incide
profondamente sulle soluzioni organizzative della memoria, poichè ogni soggetto tende ad
eliminare il materiale ritenuto da lui non più utile:
1) soggetti privati: hanno una libertà molto ampia di scelta per quanto concerne la conservazione
dei loro documenti, tranne per quelli dichiarati di interesse storico-culturale, sanciti dall’articolo
13. Infatti il Codice dei Beni Culturali riconosce che gli archivi e la documentazione singola sono
di tutela dello Stato solo se dichiarati di interesse culturale dall’articolo 13, e rimangono di tutela
dello Stato anche se i soggetti cui essi appartengono mutino la loro natura giuridica.
Inoltre lo Stato concede l’uscita degli archivi appartenenti a privati, dichiarati di interesse storico,
dal territorio solo con una specifica autorizzazione, a differenza dei beni culturali in generale a
cui si vieta l’uscita definitiva dal territorio.
Inoltre la nuova normativa ha inserito il bene culturale archivio tra gli istituti e i luoghi della
cultura: essi sono oggetto di fruizione e di valorizzazione→ art. 101, comma 2: “struttura
permanente che raccoglie, inventaria e conserva documenti originali di interesse storico e ne
assicura la consultazione per finalità di studio e di ricerca”.
2) soggetti pubblici: da sempre, sia nel passato che nel presente, sono obbligati a seguire le
normative di legge così da assicurare una conservazione tale che la comunità ed i soggetti
referenti vi possano accedere e conoscere, nel rispetto della legge, i contenuti e le
caratteristiche.
Per quanto concerne la gestione degli archivi in età preunitaria le regole imposte erano diverse
a seconda dello Stato, anche se non mancavano principi generali piuttosto uniformi: ad
esempio vi era la propensione a rispettare il rapporto tra ufficio produttore e documentazione
realizzata, sia sciolta che legata.
In età napoleonica invece ci furono nuovi criteri di organizzazione della memoria presso i
soggetti pubblici, tra cui il ruolo di maggior rilievo lo occupa il Titolario di Classificazione (vedi
pagina 17).
- la struttura istituzionale del soggetto produttore→ le modalità dell’organizzazione della
memoria dipendono anche dalla struttura istituzionale del soggetto produttore:
1) soggetto singolo: non hanno bisogno di altre persone per la gestione della propria memoria, per
questo si basano su criteri organizzativi semplici, suddividendo la documentazione in base al
rispettivo settore di competenza.
2) soggetti complessi: devono tener conto di esigenze più articolate, dunque dividono il materiale
non solo in base ai vari settori di competenza, ma anche sulla base delle funzioni. Dunque tutti

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ARCHIVISTICA GENERALE
quei soggetti divisi in uffici manderanno il materiale della fase corrente ai rispettivi uffici di
competenza, i quali, in base alla loro funzione, si occuperanno dell’organizzazione di un
determinato materiale (vedi pagina 14).
- la tipologia di attività del soggetto produttore→ in base all’attività svolta dal soggetto produttore,
che ha finalità diverse e dunque svolge attività con pratiche più lunghe o che necessitano
conclusioni più rapide, cambiano anche i criteri di organizzazione. Ad esempio un “soggetto
impresa commerciale”, che ha clienti in diversi Stati del mondo, imposterà la sua memoria secondo
un’organizzazione geografica; invece se ha riferimenti istituzionali/personali si predilige
un’organizzazione alfabetica.
Invece quando l’attività del soggetto è contenuta e di conseguenza la consistenza della
documentazione è limitata, si può adottare anche un sistema cronologico, collocando il materiale
seguendo l’ordine di arrivo di quest’ultimo presso il soggetto produttore. Però, nonostante tale
criterio sia sempre fondamentale nella gestione degli archivi, esso non può mai occupare il “primo
livello” (vedi pagina 14), poiché altrimenti non consentirebbe la messa in pratica di altri criteri e così
facendo non si può procedere alla fascicolazione del materiale e alla costituzione delle pratiche.
Infatti se l'organizzazione è basata solo sulla sequenza cronologica degli arrivi, potrebbe
risultare complicato strutturare i documenti in fascicoli distinti che rispecchiano argomenti
o processi specifici. Con le tecnologie informatiche, questa limitazione potrebbe essere
superata virtualmente, consentendo la creazione di fascicoli anche se l'organizzazione
fisica dei documenti rimane basata sulla cronologia.
- la natura del supporto→ vi sono diversi criteri organizzativi anche in base alla natura del supporto.
Nel XIII secolo in Italia viene introdotto un nuovo strumento di comunicazione: la carta. Quest’ultima
ha consentito la nascita di due tipologie archivistiche:
1) carte legate tra loro: libri, codici e registri;
2) complessi di carte sciolte: faldoni, buste, filze.
Ad ognuna di esse appartengono proprie metodologie conservative.
L’introduzione delle tecnologie informatiche ha portato ad un mutamento dei criteri di
organizzazione e di conservazione della memoria. Infatti la tecnologia prima era esclusivamente
applicata all’archivio storico, adesso invece viene adoperata per l’archivio corrente, per il quale i
supporti tecnologici hanno dimostrato una maggiore adattabilità, in quanto l’archivio, essendo nella
sua fase corrente ancora un archivio in formazione, potrà in questo modo svilupparsi sulla base di
esigenze tecniche.

Il concetto di serie

Un criterio di organizzazione del materiale, che rappresenta un ulteriore elemento qualificante per la
nascita di un archivio, è la “serie”, ossia un raggruppamento di documenti che trattano tutti la stessa
materia, lo stesso tema. Ad esempio il Carteggio è un raggruppamento di tutte le missive del soggetto
produttore.
Infatti grazie alla serie la documentazione viene collocata in posizioni logiche che possono essere create
secondo la libera volontà del soggetto produttore. Gli elementi che contribuiscono a stabilire tali posizioni
sono:
- organizzando il materiale secondo le materie;
- organizzando il materiale nel rispetto dell’ordine cronologico;
- organizzando il materiale rispettando l’articolazione delle attività.

1) Il rispetto per le materie→ il materiale viene raggruppato per materia. Questo comporta però un
deciso affievolimento della purezza del vincolo naturale, dal momento che negli archivi con un
maggior numero di documentazione consegue un maggiore numero di possibilità di creare serie per
materia e la creazione di tutte queste dipende da esigenze pratiche e amministrative del soggetto

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ARCHIVISTICA GENERALE
produttore, dunque il vincolo naturale è presente, ma egli può decidere di mutare tali
raggruppamenti anche in corso d’opera. Il raggruppamento del materiale secondo questo schema
nel corso del XIX è stato ritenuto anche non naturale. Nonostante ciò nel momento
dell’ordinamento, la serie per materia è un procedimento accettabile in quanto in questa fase i
criteri organizzativi dipendono dalla libera scelta del soggetto produttore.
2) il rispetto per l’ordine cronologico→ in questo caso il vincolo risulta essere del tutto naturale, in
quanto è una modalità di raggruppamento che rispetta esigenze altrettanto naturali, in quanto il
giorno, il mese e l’anno scandiscono il ritmo di tutte le attività. Come abbiamo già accennato vi è un
problema legato all’ordine cronologico: infatti le scelte dell’ordine di raggruppamento si basano tutte
su strutture gerarchiche a livelli e se l’ordine cronologico fosse collocato nel primo livello allora
renderebbe impossibile l’applicazione degli altri criteri di raggruppamento, bloccando così la
fascicolazione. Esistono inoltre due tipologie di ordine cronologico:
- un ordine cronologico che dipende dall’effettiva indicazione cronologica riportata sulla memoria;
- un ordine cronologico che si riferisce all’indicazione cronologica nel momento in cui il soggetto
produttore registra la memoria della sua documentazione.
3) il rispetto all’articolazione dell’attività→ tramite questo criterio i documenti vengono organizzati in
base alle diverse attività svolte dal soggetto produttore. Questo criterio è considerato naturale
perché segue le strutture funzionali della persona o dell'organizzazione che ha prodotto i
documenti. Esso viene usato soprattutto dai soggetti pubblici, che hanno compiti definiti dalla
nascita da leggi o regolamenti: dunque questi soggetti pubblici possono facilmente organizzare la
loro documentazione in base alle diverse competenze o mansioni loro assegnate. Ogni soggetto
per eseguire i compiti attribuitigli dalle leggi deve svolgere più attività e per ognuna di esse deve
individuare uffici operativi, che sono le braccia del soggetto stesso. Però ogni braccio per operare
ha bisogno delle sue mani, ossia di collaboratori o uffici di secondo livello. Si viene dunque a creare
una configurazione che rappresenta quella struttura burocratica che sta alla base di ogni soggetto
complesso. Infatti affinché la memoria archivistica di questi soggetti complessi si possa definire
corretta è necessario che tale struttura venga rispettata e che dunque la documentazione creata da
ogni livello trovi spazio nel livello rispettivo del soggetto che l’ha creata. Anche in questo caso si
può parlare di vincolo naturale in quanto l’archivio formatosi si è costituito naturalmente, in quanto
ha rispettato la naturale struttura burocratica del soggetto.

Il Protocollo

Il termine “Protocollo” si lega a due accezioni:


1) ufficio→ che gestisce la documentazione del soggetto produttore;
2) registro→ che ha il compito di acquisire gli elementi necessari affinché l’ufficio possa svolgere
determinate procedure.

Esso nasce in epoca napoleonica con lo scopo di snellire la procedura di registrazione dei movimenti di
entrata e di uscita della documentazione dei soggetti pubblici. Esso viene subito adottato dall’Italia e con il
D.P.R. 248 del 20 ottobre 1998 viene utilizzato anche per la gestione informatica.
Nel corso del XVIII secolo, prima dell’epoca napoleonica, vi è era un processo di registrazione più
macchinoso, che consisteva nel seguente metodo:
- documentazione in uscita: dopo che il materiale veniva configurato come originale firmato, prima di
partire, veniva registrato su un apposito strumento detto copialettere.
- documentazione in entrata: le carte vengono impilate su fili metallici, rispettando un ordine di
ricezione, che coincide con l’ordine di datazione delle carte stesse.

Ufficio di Protocollo

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ARCHIVISTICA GENERALE
ha il compito di acquisire la documentazione che il soggetto produttore gestisce e di registrarla su appositi
strumenti.
Ogni Ufficio deve avere uno specifico regolamento, importante affinché non si creino incongruenze in una
procedura così delicata. Quest’ultima è così delicata per due motivi:
1) utilizza i dati sensibili di privati;
2) in essa sono presenti elementi di interesse giuridico.
Esso si articola in più momenti che si applicano rispettivamente alla documentazione in arrivo ed a quella
in partenza.

Materiale in entrata
La gestione del materiale in entrata si divide in vari momenti:
- L’Ufficio di Protocollo deve svolgere il compito della ricezione e dell’apertura della posta. Tale
compito non sempre viene rivolto a questo ufficio, ma anche ad altri settori, poiché gli Archivisti che
operano nell’archivio corrente sono visti non esperti sia culturalmente che tecnicamente.
- In seguito l’ufficio deve registrare la documentazione in entrata su appositi registri, rispettando
l’ordine di ingresso della documentazione. Se quest’ultima viene registrata manualmente non
devono essere fatte correzioni o cancellature, invece se viene registrata su supporti tecnologici si
dovrà rispettare il principio dell’immutabilità del campo (= i dati devono rimanere originali). Oltre a
ciò si ha l’apposizione di un timbro sul documento con i quattro elementi del protocollo (numero
progressivo, il momento esatto dell’entrata del materiale nella memoria del soggetto produttore,
nome, cognome e ubicazione del mittente e contenuto del documento) più un quinto, ossia quello
rappresentato dal Titolario di classificazione.
- L’ufficio di Protocollo invia la documentazione agli uffici che devono gestire le pratiche, secondo le
norme del D.P.R. 241 del 7 agosto 1990, il quale ha stabilito gli obblighi di gestione delle pratiche
per le Pubbliche Amministrazioni.
- Una volta passato un anno solare, ossia alla conclusione delle attività protocollari, nella prima
quindicina di gennaio l’Ufficio di Protocollo recupera dai vari uffici le pratiche concluse e le riunisce
secondo gli schemi dettati dal Titolario di classificazione, per poi essere trasferiti nell’Archivio di
Deposito. In realtà si tratta di un’operazione che può richiedere tempi più prolungati di quelli indicati,
ma è importante, per evitare pericolosi accumuli, che sia compiuta nel corso di un anno.

Materiale in uscita
Anche in questo caso la procedura è caratterizzata da diversi momenti:
- I singoli uffici mandano le pratiche all’Ufficio di Protocollo: la registrazione avviene con le stesse
regole della documentazione in entrata, ma gli estremi richiesti per l’individuazione non sono
indicati con l’opposizione di un timbro, ma sono direttamente inseriti sulla documentazione, in uno
spazio appositamente previsto.
- Ora l’Ufficio di Protocollo ha il compito di inviare il materiale all’esterno.

Rapporti tra Ufficio di Protocollo e U.R.P.


Un’altra funzione dell’Ufficio di Protocollo è quella di essere un importante servizio di pubblico interesse.
Infatti esso possiede la memoria delle attività del soggetto produttore e gli strumenti per accedervi, per
questo può fornire risposte alle domande rivolte presso gli uffici statali e non statali da coloro che hanno la
necessità di ricevere informazioni circa pratiche che si stanno conducendo.
In particolare il cittadino che vuole accedere alla documentazione gestita da enti pubblici può rivolgersi
all’U.R.P. (= Ufficio per le Relazioni con il Pubblico), di cui l’Ufficio di Protocollo è uno degli interlocutori
privilegiati. Infatti l'URP può collaborare con l'Ufficio di Protocollo per garantire che i documenti siano
adeguatamente gestiti, registrati e archiviati.

Il registro di Protocollo

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ARCHIVISTICA GENERALE
Ne esiste uno per ogni soggetto produttore, poiché ogni soggetto produttore ha una sola memoria.
Esso è suddiviso in settori a mezzo di fincature, ossia sezioni distinte a linee tracciate o tagli.
A questa procedura appaiono molti elementi essenziali e altri che invece non sono indispensabili: tra i primi
compare la necessità di individuare la documentazione che entra ed esce dal soggetto produttore secondo
alcuni elementi:
a. Il numero progressivo, ossia il numero determinato sulla base di un’estensione cronologica
annuale e ce n’è uno per ogni documento, dunque lo stesso numero non può e non deve essere
attribuito ad altri documenti.
b. il momento esatto in cui il materiale entra a far parte della memoria del soggetto produttore:
è uno dei momenti basilari del protocollo che consiste nell’attestare il limite cronologico di tale
avvenimento e di stabilire un preciso ordine di ingresso, spesso indicando pure l’orario.
c. nome, cognome e ubicazione del mittente, nel momento in cui si tratta di un documento ricevuto
dal soggetto produttore dell’archivio (=destinatario).
d. il contenuto del documento spedito/ricevuto: questo viene descritto in modo sintetico ma
esauriente; inoltre devono essere indicati altri elementi, come la presenza e la natura degli allegati.

Ogni documento che entra nella memoria del soggetto produttore deve rispettare la regola del Quattro:
esso deve possedere tutti questi quattro elementi e la mancanza anche solo di uno di questi porta la
documentazione a risultare inefficace dal punto di vista pratico, amministrativo e giuridico, in quanto
sarebbe difficile da interpretare correttamente.
Da qui si intuisce la funzione giuridica del Registro di Protocollo, infatti ha il compito di dimostrare che un
determinato documento è entrato nella memoria del soggetto produttore dell’archivio in un preciso
momento.

Il protocollo è stato definito:

Atto pubblico di fede privilegiata

- atto pubblico→ chi lo redige allora è un pubblico ufficiale;


- di fede→ poiché serve anche per necessità probatorie, infatti la presenza di un sistema di
protocollo ben gestito può rafforzare la credibilità di un documento e la sua aderenza a procedure
accettate;
- privilegiata→ conferma e rafforza il concetto di “fede” e stabilisce la sua validità assoluta.

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ARCHIVISTICA GENERALE
Titolario di classificazione

È il quinto elemento necessario del Registro di Protocollo, che però non rientra nella regola del Quattro, ed
assume un importantissimo ruolo nell’organizzazione della memoria.
In particolare si tratta di un quadro schematico in cui in modo logico vengono distribuite le funzioni, le
competenze e le materie dell’attività del soggetto produttore.
Per far ciò la memoria viene suddivisa in diversi livelli:
- primo livello→ Titoli→riflettono una categoria generale o il tema principale dei documenti e sono
indicati tramite le cifre romane.
- secondo livello→ Classi→ rappresentano categorie più specifiche e sono indicate con l’uso di
lettere alfabetiche maiuscole.
- terzo livello→ Sottoclassi→ possono essere suddivisi delle sottoclassi e sono indicate con lettere
alfabetiche minuscole.
- quarto livello→ Fascicoli→ sono unità fisiche o logiche di documenti e sono indicati con numeri
arabi.

Esempio:

Titolario di classificazione di un’Organizzazione immaginaria

- Titolo I→ Amministrazione
- Classe A→ Gestione del Personale
- Sottoclasse a→ Assunzioni
- Fascicolo 1→ Documentazione degli Assunti
- Fascicolo 2→ Contratti di lavoro
- Sottoclasse b→ Formazione del Personale
- Fascicolo 3→ Piani di Formazione
- Fascicolo 4→ Rapporti di Formazione

Il Titolario di classificazione svolge più funzioni, tra cui:


1) individuare una documentazione e attribuirgli un inquadramento nel contesto archivistico;
2) determinare la destinazione della documentazione in una precisa unità operativa;
3) riorganizzare la memoria nella fase di deposito dopo il rientro della documentazione dalle sedi di
gestione.
Da queste considerazioni dunque possiamo capire che il Titolario in generale svolge la funzione di creare
un collegamento tra i vari elementi della memoria, ossia il vincolo archivistico.

L’archivio di deposito

si tratta di una fase transitoria e di una delle età della vita dell’archivio, che, dopo essersi formato nella fase
corrente, viene trasferito in una nuova ubicazione nell’attesa di passare all’ultima fase.
L’articolo 30 del D.P.R. 1409 ha stabilito il limite della durata di questa fase a 40 anni, tempo necessario
affinché il materiale possa essere ancora utilizzato per esigenze pratiche, amministrative e giuridiche, pur
non sottoposto a pesanti richieste da parte del soggetto produttore.
Dopo questo tempo, non sempre rispettato, il materiale passa all’archivio storico.
Proprio perché il materiale dell’archivio di deposito potrebbe comunque rispondere ad esigenze future, la
sua ubicazione deve trovare spazi in luoghi vicini gli uffici che gestiscono il materiale corrente oppure vicini
agli operatori.

Costituzione e organizzazione

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ARCHIVISTICA GENERALE
Dal momento che il soggetto produttore dopo aver risposto alle sue esigenze non necessita più della
memoria delle sue azioni, durante la fase di deposito il materiale tende ad acquisire una forma disordinata
ed a essere posto con altri tipi di materiale, rischiando così di divenire un magazzino: ciò rappresenta il
primo passo per la distruzione della documentazione.
In questi casi gli archivisti addetti a tale fase dovranno ricostruire e riorganizzare l’archivio con l’aiuto di un
Titolario di classificazione, atto anche a conferire certe linee guida per correggere eventuali incongruenze
tra le procedure.

A questo punto l’archivio viene ricostruito secondo alcuni principi tecnici:


1) il carteggio sarà riorganizzato seguendo lo schema suggerito dalla struttura protocollare: sarà
suddiviso anno per anno e sarà articolato sulla base dei titoli, delle classi, delle sottoclassi e dei
fascicoli.
2) i registri troveranno una collocazione autonoma nel rispetto della serie e verranno ordinati tramite
criterio cronologico.

Le modalità di conservazione
Secondo quanto riportato dal D.P.R. 1409, dopo la fase corrente il materiale passa nell’archivio di deposito
dove vi dovrà rimanere per 40 anni. Durante questo tempo la documentazione dovrà trovare spazio in
locali che hanno e che soddisfano determinati elementi:
a. Non devono essere umidi, né deve filtrare troppa luce all’interno, poiché potrebbe rovinare il
supporto della documentazione;
b. Devono essere lontani da fonti di calore e/o fronti idriche;
c. Devono avere un’impiantistica a norma di legge e devono essere dotati di necessari mezzi di
controllo e di sicurezza;
d. Devono essere dotati di necessarie attrezzature per accogliere la documentazione, come
scaffalature metalliche a vernice ignifuga;
e. Devono essere dotati di attrezzature informatiche per inserire i dati per l’organizzazione ed
un’eventuale inventariazione;
f. Devono contenere solo materiale archivistico;
g. Devono essere chiusi a chiave e vi possono accedere solo gli addetti archivisti;
h. Devono predisporre di un apposito regolamento.

Le funzioni dell’archivio di deposito


1) Riunione e riorganizzazione del materiale della fase corrente;
2) Analisi della documentazione per poi procedere ad operazioni di selezione e di scarto, utili per
eliminare il materiale superfluo che appesantisce l’archivio. Il materiale così costituitosi passerà poi
nella Sezione Separata/Archivio Storico, che coincide con l’Archivio di Stato per gli archivi degli
uffici pubblici statali, mentre con le Sezioni Separate per gli archivi degli enti locali e per gli archivi
privati.

Lo scarto, la conservazione e la selezione

Lo scarto rappresenta uno dei momenti più delicati della vita di un archivio: esso infatti deve essere svolto
con molta attenzione, poiché il vincolo involontario, naturale, necessario e originario non deve essere
eliminato, altrimenti si rischia di ledere la natura stessa dell’archivio.
Perciò gli interventi di selezione e di scarto devono essere eseguiti con il massimo rispetto dei principi
archivistici.

In Italia archivisti come Arnaldo D’Addario e Paola Carucci individuano lo scarto come l’eliminazione del
materiale superfluo.

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ARCHIVISTICA GENERALE
Giuseppe Plessi invece afferma che lo scarto sia da intendere come “scelta”, al contrario di Elio LOdolini
che invece ritiene che lo scarto sia preceduto da un momento di selezione.

Le metodologie per attuare lo scarto


In ogni caso tale operazione viene eseguita dal soggetto produttore nel momento in cui i locali destinati
all’archivio di deposito diventano ingestibili.
Questa operazione viene svolta in tempi diversi e tramite diverse modalità:
- prevenzione nello scarto→ fin dalla creazione dei documenti, si possono attuare pratiche di
prevenzione nello scarto per evitare la generazione di documenti superflui o non essenziali. Tale
operazione deve essere svolta con l’aiuto di un Massimario, ossia di un elenco specifico che indica
un tempo preciso, che può essere breve o illimitato, per la giacenza di ciascun documento prima
della selezione e dello scarto (dunque nello scarto preordinato, ossia che segue schemi prefissati).
Esso viene usato soprattutto da soggetti pubblici, ma spesso anche da quelli privati.
- primo scarto→ viene svolto dai gestori della pratica sia durante lo svolgimento della pratica stessa
sia dopo la sua conclusione. Qui si eliminano soprattutto copie e fotocopie che appesantiscono il
Carteggio;
- secondo scarto→ svolto preferibilmente durante la fase di deposito seguendo le procedure
previste dall’articolo 25 e 35 del D.P.R. 1409. Tale scarto dovrebbe essere effettuato da un
personale esperto, ben formato dal punto di vista archivistico e con conoscenze giuridiche,
burocratiche e amministrative, poiché come abbiamo già detto lo scarto del deposito rappresenta
uno dei momenti più delicati.

Lo scarto nella gestione attuale


Gli elementi che sono collegati con le metodologie della gestione della memoria e che le operazioni di
scarto devono tenere presenti sono:
a. La creazione di un Massimario, realizzato preferibilmente associato ad un titolario: il Massimario
elenca dunque in base al titolo, le classi, le sottoclassi e i fascicoli la tipologia di documento e per
ognuno indica i termini di giacenza previsti.
b. La sua creazione deve avvenire tenendo presenti linee guida legali per la gestione della
documentazione, espressi dal D.P.R. 241 del 7 agosto 1990 (modificata con la legge dell’11
febbraio del 2005).
c. È importante considerare anche la presenza delle nuove tecnologie, su cui dipende l’intera
organizzazione del soggetto produttore.

Lo scarto del materiale conservato nell’archivio di deposito


Quando il soggetto produttore vuole procedere alle operazioni di scarto e di selezione del materiale
conservato presso l’archivio di deposito deve operare con grande discrezionalità, stando attento però a
mantenere il vincolo.
- Egli infatti deve prestare attenzione al rapporto tra spese e risultato ottenuto, poiché le operazioni di
scarto hanno un costo.
- Il processo di eliminazione deve essere considerato caso per caso, il che significa che ogni
situazione deve essere valutata individualmente, dando un'ampia libertà di interpretazione.
Tuttavia, le ragioni dietro la decisione di eliminare devono essere oggettive e ben fondate.
- Inoltre prima di eliminare il materiale è necessario riprodurre quest’ultimo con i sistemi di
microfilmatura. Questo è fatto per conservare una copia dei documenti in modo sicuro prima di
eliminarli fisicamente.

Tenuti presenti tali elementi, prima di passare alla vera e propria eliminazione è necessario descrivere il
materiale da scartare indicando:

20
ARCHIVISTICA GENERALE
1) il titolo;
2) il peso (in kg);
3) gli estremi cronologici;
4) i motivi dello scarto, che saranno precisati dall’archivista addetto, che offrirà la prova della
correttezza dell’intervento.

Ma quando si possono effettuare la selezione e lo scarto durante la vita di un archivio?


In ogni fase della vita dell’archivio la selezione può avvenire in qualsiasi momento e le sue caratteristiche si
differenziano da fase a fase.
Dunque interventi di scarto volontari possono avvenire per esigenze pratiche ed amministrative sia in
itinere, dunque durante la fase formativa dell’archivio, sia durante la giacenza del materiale nell’archivio di
deposito, o più raramente quando si trova nella fase di conservazione permanente. In questo caso le
operazioni di scarto possono essere:
- preordinate→ prima dell'effettiva operazione di eliminazione dei documenti, vengono stabiliti in
anticipo criteri, regole o linee guida per determinare quali documenti devono essere eliminati e quali
devono essere conservati (Massimario);
- non preordinate→ se le operazioni condotte dagli operatori sono libere.

La volontà nello scarto


Esistono diverse tipologie di scarto in base ai diversi gradi di volontà (scala di valori 0-5):
- scarto naturale e/o scarto involontario→ grado 0 di volontà. È uno scarto che non dipende dalla
volontà del soggetto produttore, ma può dipendere o da agenti di forza maggiore (terremoti,
tempeste…) o dalla natura del supporto che si può deteriorare;
- scarto colposo→ grado 2 di volontà. Si ha quando la documentazione viene inserita in locali non
idonei o con avventati interventi di restauro, rischiando così di perdere gran parte della
documentazione;
- scarto preterintenzionale→ grado 3,5 di volontà. Quando chi conserva la documentazione la
sottopone ad un condizionamento fisico prevedibilmente pericoloso;
- scarto volontario→ grado 5 di volontà. Lo scarto viene eliminato dalla volontà di un soggetto
produttore che ritiene un determinati materiale inutile.

La consistenza dello scarto


Dello scarto volontario è importante valutarne la consistenza dell’intervento, ossia quanta parte del
materiale è stata eliminata. Essa può essere:

- totale, se si elimina tutta la documentazione. Tuttavia tale scarto avviene soprattutto per quello
involontario e/o naturale;
- parziale, se la documentazione viene eliminata in parte, mentre gli altri documenti rimangono
conservati integralmente;
- a campioni, se vengono individuate serie, elementi o spezzoni dell’archivio ritenuti utili alla
conservazione. Questa tecnica è usata soprattutto quando si ha davanti un archivio vasto.

Il significato della selezione e i suoi criteri di applicazione


la selezione è quell’operazione complessa che precede l’eliminazione.
Essa ha una duplice funzione, infatti allo stesso tempo:
1) individua gli elementi da conservare;
2) individua gli elementi da eliminare.

La sussistenza della documentazione in un archivio varia in base agli interessi legati ad essa. Tali interessi
possono essere:

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ARCHIVISTICA GENERALE
- interesse pratico→ nel momento in cui la documentazione risolve il problema pratico per il quale
era stata creata, non essendoci più interessi per la sua conservazione, essa viene eliminata.
- interesse amministrativo→ per tali interessi solitamente la conservazione del materiale dura più a
lungo, poiché il loro uso ha un riferimento cronologico più ampio;
- interesse giuridico→ i documenti che svolgono interessi di questo tipo spesso continuano ad
essere utilizzati nel tempo, dunque in questo caso le operazioni di selezione tendono ad annullarsi.
- interesse culturale→ è un’arma pericolosa, poiché utilizzando una selezione sulla base di un
interesse culturale, che individua il materiale da conservare non quello da eliminare, si opera una
scelta soggettiva, nonostante vengano presi in considerazione elementi sensati e solidi per attuare
questa scelta. Lo stesso Arnaldo D’Addario riguardo ciò afferma che coloro che si devono occupare
di scegliere il materiale da conservare per scopi culturali e storici devono operare con la massima
cautela, senza farsi condizionare dalla loro formazione/educazione o dai loro interessi. Egli
conclude nell’individuare la migliore garanzia operativa nelle capacità del funzionario archivistico.
Gli addetti in tale settore devono tenere presente un ampio complesso di esigenze con
caratteristiche eterogenee come quelle pratiche, amministrative e giuridiche ma anche quelle
culturali. Tuttavia una selezione basata esclusivamente su interesse culturale, senza il
collegamento ad altri interessi, sprofonda in scelte soggettive che male si combinano con la natura
dell’archivio che richiede soluzioni oggettive.

I Massimari
Essi sono delle schematizzazioni/linee guida che servono a facilitare il lavoro di scarto. Essi vengono usati
soprattutto presso i soggetti pubblici.
Essi vengono applicati nella prevenzione nello scarto, nel primo scarto e nel secondo scarto per fissare i
tempi di giacenza del materiale prima di venire eliminato da uno scarto preordinato, oppure per indicare
quali criteri utilizzare per decidere cosa conservare e cosa eliminare.

Le soluzioni oggettive

La questione del vincolo


Uno scarto avviene in modo corretto e oggettivo se il vincolo viene mantenuto.
A questo proposito esistono due punti di vista:
1) vincolo quale elemento originario e naturale→ in questo caso i il vincolo è considerato come
qualcosa di fondamentale e per questo motivo, se il vincolo viene considerato come tale lo scarto
non può avvenire poiché andrebbe a danneggiare il vincolo stesso;
2) vincolo quale elemento solamente necessario→ in questo caso lo scarto può essere realizzato in
quanto tale qualificazione, ossia quella di “necessario”, indica che il vincolo deve essere presente,
ma non indica come deve presentarsi (come invece vogliono le qualificazioni di “naturale” ed
“originario”). Dunque se lo scarto danneggia il vincolo quale necessario, va bene perché comunque
il vincolo permane.

Proposte di metodi oggettivi che consentano di operare senza l’eliminazione del vincolo:
- La selezione deve avvenire su un materiale che sia parzialmente ordinato, riordinato o che
comunque si trovi in una fase di riordinamento;
- Per operare in modo oggettivo e per garantire la salvaguardia del vincolo, l’archivista deve svolgere
un’attività su due livelli tendenti:
1) alla conservazione del documento: per non distruggere il vincolo bisogna eliminare solo il materiale
secondario, mentre l’originale e il primario devono essere mantenuti.
2) alla conservazione della notizia: si può eliminare un documento originale e primario se all’interno di
esso sono presenti elementi primari che contengono la stessa notizia (=stesse informazioni) che

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ARCHIVISTICA GENERALE
consenta di risalire alla fonte primaria. Inoltre è importante garantire che quest’ultima sia
conservata presso entità base o altre entità.

In questo modo dunque il vincolo rimane presente in tutti i casi, ma allo stesso tempo si assiste ad una
notevole riduzione del materiale.
Una prassi simile può essere seguita anche in altre procedure, come nello scarto preordinato, che
consente una preventiva attribuzione di determinate caratteristiche ai documenti, utili per stabilire la
collocazione finale e per ridurre le scelte soggettive.
Risulta però ovvio che non sempre tali metodologie possano risolvere il problema della soggettività, ma
anzi che per certi aspetti scelte soggettive risultano del tutto inevitabili. Per questo motivo l’attività di
selezione dovrebbe mirare a rispettare il più possibile tali criteri oggettivi, riducendo così al minimo la
soggettività.

In conclusione il problema dello scarto di archivi su supporto tradizionale deve essere risolto seguendo
delle linee guida:
- la necessità di eliminare il materiale in archivi in formazione. Per fare ciò o si adottano delle
tecnologie moderne o si applicano metodologie corrette (scarto preordinato o in itinere);
- l’utilizzo di Massimari;
- la creazione di strutture operative e di professionalità che siano in grado di far funzionare tali
strumenti;
- lo scarto di documenti in archivi formati è un’operazione che deve essere svolta da archivisti
culturalmente e scientificamente preparati, così da operare in modo oggettivo, non affidandosi a
soluzioni intuitive.

Il trasferimento all’archivio di deposito

Dopo 40 anni, come stabilito dal D.P.R. 1409, il materiale che giace nell’archivio di deposito viene trasferito
alla sezione separata.
Tuttavia tale operazione non viene sempre eseguita nei tempi prestabiliti: infatti all’inizio dell’anno solare
ogni soggetto produttore dovrebbe trasportare nella terza fase la documentazione relativa all’anno che ha
concluso il quarantennio, ma questo è un passaggio che richiede un personale ben formato che non
sempre si può reperire, e che dunque rallenta la sua esecuzione.

Tali operatori devono svolgere le attività del riordinamento e quelle di scarto. Inoltre bisogna predisporre di
un apposito verbale di consistenza, che indichi per ogni unità/serie:
- il titolo
- il numero di pezzi
- la tipologia
- gli estremi cronologici
Tale verbale può servire nel momento in cui la fase di deposito e quella della sezione separata sono gestite
da personale diverso

Fatto ciò il materiale nell’archivio di deposito passa ad archivi di concentrazione: i cosiddetti archivi
aggregati possono essere acquisiti dalle sezioni separate di altri soggetti, quali, le stesse Sezioni Separate
di Regioni, Province, o del Comune, la cui funzione non è quella di Istituti di Concentrazione e dunque
adesso oltre a mantenere la loro documentazione conservano anche quella di questi archivi, che però
continuano a mantenere una propria autonomia.
→ Tuttavia è avvenuta anche la trasformazione da archivio storico ad archivio di concentrazione: a
causa della carenza di parroci, gli archivi vescovili o archivi arcivescovili hanno provveduto a
ricevere in sé la documentazione parrocchiale.

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ARCHIVISTICA GENERALE

Il trasferimento alla sezione separata


Esistono diverse tipologie di passaggio dall’archivio principale all’archivio di concentrazione:
1) versamento→ trasferimento del materiale tra due entità appartenenti alla stessa struttura
istituzionale ed aventi la stessa natura giuridica. Un esempio è quando la Prefettura (Ufficio statale
periferico del Ministero dell’Interno) passa parte del suo materiale all’Archivio di Stato. Si tratta di un
versamento poiché entrambi i soggetti sono della struttura istituzionale (il governo) ed entrambi
hanno la stessa natura giuridica, poiché sono entità statali.
2) passaggio per deposito→ passaggio del materiale tra due soggetti con diversa natura giuridica. In
questo caso il soggetto produttore mantiene la sua proprietà, ma ne cede il possesso ad un
depositario. Un esempio di questo tipo può essere il passaggio da un soggetto privato o da un
Comune all’Archivio di Stato.
3) passaggio per donazione→ le due entità sono di natura giuridica e istituzionale diversa e il
soggetto produttore si libera non solo del possesso ma anche della proprietà della sua
documentazione, a titolo definitivo e meramente gratuito.
4) passaggio per alienazione→ i due soggetti sono di natura giuridica diversa, ma il soggetto
produttore passa il materiale al suo acquirente a titolo oneroso.

Nelle circostanze appena descritte possono essere sviluppate nuove soluzioni a seguito di disposizioni
stabilite mortis causa, ossia attraverso volontà testamentarie, o di accordi inter vivos, ossia accordi tra
persone in vita, come un contratto di compravendita.

Il deposito coattivo (=obbligatorio)


Si ha nei casi in cui la documentazione si trova in situazioni di pericolo per lei stessa. In tali momenti lo
Stato interviene in base alla natura giuridica del documento e del soggetto produttore:
- Enti Pubblici→ se essi non hanno provveduto alla creazione di una sezione separata per i loro
documenti, il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali può ordinare il deposito presso gli archivi di
Stato.
- Archivi privati notificati di interesse storico→ se i proprietari non garantiscono una
conservazione adeguata del loro archivio il Sovrintendente archivistico deve assegnare un tempo
congruo per procedere ai necessari adempimenti, poi in casi molto gravi, il Ministero, su proposta
del Sovrintendente, può ordinarne il deposito nell’Archivio di Stato competente.

L’ultima fase dell’archivio

Arrivato in questa fase l'archivio dovrebbe vivere una felice e tranquilla vecchiaia, ma in realtà a causa
delle varie operazioni di trasferimento spesso l'archivio subisce danni all'ordine ed alla consistenza stessa.
Per questo durante questa fase si svolgono altri interventi:
- riordinamento del materiale, applicando il metodo storico istituzionale;
- realizzazione di mezzi di corredo e di strumenti per la ricerca, per poter accedere alla
docuemntazione conservata;
- fruizione della memoria archivistica, in particolare dal pubblico esterno, tenendo presente i limiti
cronologici e contenutistici stabiliti dalla legge.

Il significato di archivio storico e di sezione separata


Per indicare la terza fase il D.P.R. 1409 non usa mai il termine di archivio storico, ma preferisce quello di
sezione separata. Attorno a tale questione vi è stato un dibattito che coinvolse gli archivisti e gli storici
contemporanei: questi decretarono che utilizzando il termine "archivio storico" per la terza fase si va a
togliere il significato di storia che ogni documento ha fin dalla nascita, in quanto in quel momento viene

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ARCHIVISTICA GENERALE
creato come rappresentazione di un fatto storico, dunque di conseguenza anche le altre fasi precedenti
acquisiscono un valore storico.
→ Ma quando un documento diviene fonte storica? La risposta non è quantificabile, ma possiamo dire nel
momento in cui viene utilizzato come centro di ricerca storica dagli studiosi.
→ Tuttavia il termine “sezione separata” si usa esclusivamente per quegli enti che tengono presso di sé la
documentazione, anche se oggi nel linguaggio comune tendiamo ad usare il termine “archivio storico”, in
quanto più esplicito e più incisivo. Questo viene dimostrato dal Codice dei Beni Culturali, che ha intitolato
l’articolo 42 “Conservazione degli archivi storici degli organi costituzionali”.

Il riordinamento e le metodologie archivistiche


Esso è stato al centro di molti dibattiti a partire dal sedicesimo secolo e rappresenta il momento in cui, nella
terza fase, per tutti gli archivi che hanno perso una struttura logica ed ordinata gli archivisti cercano di
risalire a quest'ultima.
Spesso gli archivi risultano disordinati per varie cause come eventi di forza maggiore durante le operazioni
di trasferimento, ma la causa principale è legata alla fruizione. Infatti se la consultazione di un archivio
viene operata senza il cospetto di archivisti addetti rappresenta un vero e proprio rischio.

- il principio di pertinenza→ si sviluppa soprattutto tra il XVI e il XVII secolo e consisteva nel
ristrutturare il materiale per materia, intervenendo così pesantemente sull’ordine originario della
documentazione. Esso venne applicato soprattutto negli Stati del Nord Italia, ma anche negli Stati
del centro e del Sud, con un particolare caso in Toscana: qui tale metodologia venne introdotta in
riferimento al materiale membranaceo nella riorganizzazione degli archivi degli Enti Religiosi
soppressi. Le pergamene, che fino a quel momento si trovavano insieme al materiale cartaceo,
vennero spostate e riunite in un nuovo contesto detto Archivio Diplomatico. Quest’ultimo fu poi
disposto in ordine cronologico, andando a distruggere ogni riferimento con la sua collocazione
originaria. Perciò con tale metodo i documenti vengono ordinati e archiviati insieme se trattano dello
stesso argomento o hanno un contenuto simile, indipendentemente da chi li ha creati o da dove
provengono. Dunque con l’applicazione del principio di pertinenza si andò a distruggere
un’organicità archivistica per creare una raccolta, che in termini pratici poteva essere più
funzionale, ma comunque era antiarchivistica. Nonostante ciò questo sistema piacque molto, tanto
che anche in epoche successive si continuò ad applicarlo. Alla fine del 700 però iniziarono a
nascere degli oppositori riguardo questa metodologia.

La storia del principio di pertinenza e il caso di Milano


L'ordinamento per materia ebbe la sua massima espressione tra la seconda metà del Settecento e la prima
metà dell'Ottocento ed oltre, nell'Archivio di Milano.

Nel XVIII secolo poi Gaetano Pescarenico era stato fautore di un ordinamento cronologico in opposizione
ad un ordinamento per classi e materie e applicò la sua idea nonostante l’ordine del principe di Kaunitz di
adottare un ordinamento per materie. Kauniz da Vienna aveva inviato nel 1768 un piano di classificazione
in dodici classi dominanti, con ulteriori classi subalterne, ed i successori di Pescarenico (ovvero
Bartolomeo Sambrunico e Ilario Corte) furono gli artefici dell’ordinamento per materie.
Gli archivi perdevano così la loro individualità e la loro organicità e le nuove unità archivistiche finivano con
il diventare raccolte o serie documentarie che non esprimevano più l’evoluzione storica delle istituzioni
giuridiche che le avevano prodotte, ma erano come una raccolta enciclopedica di dati e notizie, disposta, a
seconda dei casi, per ordine alfabetico, per luogo, per nome, e così via.

Morto Ilario Corte nel 1786, Bartolomeo Sambrunico viene nominato nello stesso anno Direttore generale
degli Archivi governativi e diventa uno dei promotori di quella che possiamo considerare la massima
confusione che sia mai stata realizzata in materia di archivi.
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ARCHIVISTICA GENERALE

Ma colui che del metodo del Corte fu «dannosissimo e presuntuoso esageratore e dal 1796 al 1832 rimase
padrone assoluto degli archivi milanesi» fu Luca Peroni, Direttore Generale degli Archivi governativi e
Consigliere di Stato che ha dato il nome al metodo conosciuto come peroniano.
Nonostante ciò Alfio Rosario Natale però è dell’idea che questo metodo, più che ai personaggi finora citati,
sia da attribuire al Kauniz che era il capo supremo dell’Archivio di Stato e Corte e grande ispiratore e
sostenitore della sistemazione per classi di materia non solo a Vienna ma in tutti i territori della Casa
d’Austria.
Nell’Ottocento l’ordinamento per materia fu portato alle estreme conseguenze ed ulteriormente
perfezionato da Luca Peroni.
A Milano però con il nome di peroniano vengono a volte indicati anche gli Atti di Governo ordinati
secondo quel metodo.
→Perché? Gli Atti di Governo, cioè i fondi provenienti da più di una cinquantina di istituzioni diverse sino a
tutto il secolo XVIII ed altrettante per il XIX, furono fusi tutti insieme e ordinati in voci dominanti (categorie,
classi, rubriche) che erano poi divise in voci subalterne o titoli, disposti all'interno in ordine
geografico-cronologico, distinguendo le «provvidenze generali» dalle «occorrenze particolari».
Successivamente fu poi anche operata una ulteriore distinzione fra parte antica (dal sec. XV al XVIII) e
parte moderna (dal 1° gennaio 1801 al 1860) nella quale furono fusi e scomparvero i fondi di altre
decine di istituzioni.
Alfio Natale però, pur contrario al metodo peroniano, vi identifica aspetti positivi poiché a suo avviso con
l’ordinamento per materia «l’archivistica si svolse e si consolidò in un sistema pragmatico: così dimostrò la
sua infungibile utilità in seno al funzionamento dell’apparato dello Stato». Egli afferma anche che con
questo sistema «fu possibile la creazione della più vasta enciclopedia archivistica che mente umana abbia
potuto concepire e opera competente e diuturna realizzare».

All’enciclopedismo archivistico di Luca Peroni Luigi Osio, Direttore dell’Archivio Milanese, aggiunse il
collezionismo, con la raccolta di autografi di uomini illustri della Chiesa, dello Stato, di armi, di lettere,
smembrati da vari fondi e serie.

Il metodo peroniano fu adottato anche in altri archivi della nostra Penisola:


- Cagliari
- Mantova
- Bologna
- Firenze
- Siena

Il caso di Firenze
L'ordinamento per materia fu applicato nel Settecento all'archivio delle Riformagioni, in cui erano confluiti
numerosi fondi archivistici di magistrature diverse.
Dal 1783 al 1791 Filippo Brunetti lo ordinò in 15 classi, ciascuna delle quali era divisa in un numero
variabile di distinzioni o sottoclassi. L'archivio mediceo a sua volta fu diviso in sei grandi partizioni, dette
miscellanee.
Quando però dopo un lungo periodo di abbandono, si volle riprendere l'ordinamento dell'archivio delle
Riformagioni, pur essendo alla metà dell'Ottocento, si adottò lo stesso metodo che portando alle estreme
conseguenze la visione del Brunetti portava a 18 il numero delle classi e questa operazione venne
chiamata “riordinamento dell'Archivio delle Riformagioni fino all'anno di grazia 1846”.

- il principio di provenienza→ nel 1819 si ebbero i primi segnali di nascita di questo nuovo metodo.
Infatti secondo Brenneke il primo segnale di introduzione di tale principio si ebbe nel 1819, quando
l’Accademia di Berlino suggerì di abbandonare il principio di pertinenza e di adottare quello di

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ARCHIVISTICA GENERALE
provenienza, che inizialmente venne utilizzato come strumento per le problematiche territoriali, ma
poi esclusivamente in riferimento al riordinamento della docuemntazione. Questo principio prevede
che i documenti dovrebbero essere organizzati in base alla loro origine o provenienza, in modo che
rimangano legati al contesto da cui provengono. Questo dibattito si sviluppò soprattutto in
Germania, mentre in Francia nel 1841 venne stabilito il respect des fonds, con cui si si richiamava il
rispetto per le strutture originarie, ma ancora non si era arrivati a stabilire un ordine interno. Anzi il
Ministero suggeriva che bisognava operare all’interno dell’archivio tramite distinzioni secondo la
materia e dunque applicare principi a carattere cronologico, topografico e alfabetico, che erano alla
base del principio di pertinenza.

- il metodo storico→ il principio di provenienza venne applicato per la prima volta in Italia in
Toscana, da parte di Francesco Bonaini, il quale tramite questo principio arrivò a sviluppare il
metodo storico, che oggi viene ancora ampiamente utilizzato. Egli, nel suo ruolo di Sovrintendente
degli Archivi Toscani, impose le idee anche nelle zone limitrofe, tanto che esse vennero applicate
all’Archivio di Stato di Lucca, dove Bongi pubblicò dal 1872 al 1888 quattro volumi di Inventari che
mostrano l’applicazione del metodo storico. Quest’ultimo è un principio di riordinamento che parte
da una conoscenza della storia del soggetto produttore, inquadrando questa in un contesto storico
istituzionale e locale. Tale principio, che fino al XIX secolo venne solo messo in pratica, venne
teorizzato dagli archivisti olandesi, ai quali poi seguirono gli scritti di Cencetti. Poi, negli anni 60 del
1900 alcuni archivisti italiani, tra cui Filippo Valenti e Claudio Pavone, hanno criticato alcune
posizioni molto rigide del passato recente, prendendo spunto dalle idee di Brenneke. Adolf
Brenneke, nel suo manuale, ha presentato la concezione tedesca del "principio di provenienza"
applicato in modo flessibile. Brenneke suggeriva che la stretta connessione tra l'archivio e la storia
istituzionale del soggetto produttore potesse essere rivista e resa meno rigida. Ben presto si superò
questo momento di crisi, quando nell’800 si iniziò a riconsiderare tale principio con un’ottica
positiva, anche se non meno problemi si presentarono con l’introduzione delle tecnologie.
Per un lungo periodo di tempo dunque non si ragionò più a livello internazionale: l’Italia cercò
sempre di mantenere una propria posizione. Tuttavia per gli archivi del futuro una globalizzazione
sarà inevitabile ed è possibile che si adotteranno nuovi principi storici.

La Periodizzazione
Si tratta di un criterio di riordinamento degli archivi pubblici statali e non statali che consiste nella
suddivisione del materiale in settori cronologici. Esso viene applicato nel momento in cui nell’archivio
concorrono aspetti storici, istituzionali e burocratici. In particolare gli elementi di questo tipo di maggior
rilievo consistono:
- nel mutamento della realtà politica, in un quadro storico generale o particolare
- nel mutamento della realtà istituzionale, valutata a livello generale o particolare
- nel mutamento della realtà istituzionale riferita all'entità produttrice dell'archivio in esame→ ossia
quando vi sono delle modifiche all’interno dell’ente istituzionale che ha prodotto l’archivio.
- nel mutamento della realtà burocratica relativa alla suddetta entità
- nel mutamento delle norme di gestione generali ovvero dello specifico archivio, con l'introduzione di
nuove regole di archiviazione e di nuovi modelli di registrazione;
- nel mutamento delle prassi di gestione dell'archivio derivate sia dai comportamenti dell'ufficio
proprio di registrazione, sia dalle influenze delle realtà operative esterne, che contribuiscono
naturalmente alla formazione dell'archivio.

Tuttavia questo tipo di riordinamento deve essere utilizzato con molta delicatezza: infatti la
docuemntazione, nel momento in cui viene riordinata secondo tale principio, risulta attraversata da un
piano orizzontale ideale (= i criteri di sequenza cronologica). Quest’ultimo, che rappresenta la linea guida di
questa organizzazione, nel momento in cui viene applicato crea delle sezioni per i diversi periodi, creando
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ARCHIVISTICA GENERALE
in questo modo delle fratture tra i diversi periodi, interrompendo così il vincolo naturale. Tuttavia l’utilizzo di
tale principio con aspetti propri della dottrina archivistica potrebbero farla divenire una metodologia
corretta.

Inoltre se consideriamo i sei elementi storici, burocratici e istituzionali prima menzionati, capiamo come
essi vadano di pari passo a quel contesto storico e istituzionale a cui tanto mira il metodo storico. Pertanto
la periodizzazione deve essere intesa come un’applicazione di tale principio.

Ad esempio:
- Mutamento nella realtà politica: nel 1990 negli Stati Uniti viene eletto un nuovo presidente;
- Mutamento nella realtà istituzionale: nel 1995 il governo statunitense avvia una ristrutturazione
interna dei suoi dipartimenti, creando nuove agenzie;
- Mutamento nella realtà burocratica: nel 2000 gli Stati Uniti introduce un sistema digitale per
semplificare le procedure burocratiche;
- Nuove norme di gestione: nel 2005 vengono introdotte nuove leggi per la gestione degli archivi
statali;
- Mutamenti nelle prassi di gestione: nel 2010 lo Stato ha adottato nuove prassi per la registrazione
del materiale in entrata e in uscita più efficienti.

Dunque vediamo come qui sia stato applicata la periodizzazione nei vari contesti storici e istituzionali di un
soggetto prduttore che è andato incontro, nel corso del tempo, a modificazioni dal punto di vista politico,
burocratico e istituzionale.

Solo in questo modo si può preservare il vincolo naturale poiché si segue il naturale corso degli eventi nella
storia.

La circolare ministeriale del 1966


Il Comitato per le pubblicazioni, che opera nell’ambito del Consiglio Superiore degli Archivi, nel 1966
elabora delle regole affinché i mezzi di corredo archivistici destinati alla pubblicazione siano redatti in modo
omogeneo ed uniforme. Tali regole vennero diffuse tramite una Circolare che venne adottata dall’Ufficio
Studi e Pubblicazioni della Divisione Affari Generali della Direzione Generale degli Archvi di Stato.
Tale Circolare tra le altre cose tocco anche il tema della periodizzazione.
In particolare si afferma come spesso serie di atti hanno date che non corrispondono alle normali divisioni
storiche: questo si ha quando le strutture dello Stato cambiano, ma a questo cambiamento non
corrisponde quello dell’archivio/del suo ufficio, che invece mantiene ad esempio gli stessi registri,
contrassegnati da numerazione continua e sono associati alla medesima tipologia, nonostante i
cambiamenti avvenuti a livello statale.

Esempio: Immaginiamo di avere un archivio all'interno di un ufficio statale che gestisce le richieste di
permesso di costruzione. Questo ufficio utilizza un registro numerato consecutivamente per tracciare le
richieste ricevute.
Nel momento in cui lo Stato decide di cambiare le regole edilizie l’archivio mantiene la struttura del suo
registro, con la sua numerazione progressiva e la stessa tipologia di informazioni, senza adattare ciò
questo cambiamento dello Stato.

→ Nonostante ciò la Circolare invita comunque ad utilizzare come linea guida di riordinamento la
periodizzazione storica generale, così da non scivolare in maldestri tentativi di riorganizzazione di un
archivio.
→ Sottolinea poi che la divisione temporale negli archivi deve riflettere i cambiamenti nella struttura dello
Stato.

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ARCHIVISTICA GENERALE
→ Sottolinea l'importanza di rilevare qualsiasi modifica nel modo in cui l'archivio è gestito nel corso del
tempo.
→ Dunque per applicare questo riordinamento è necessario tenere in considerazione le diverse tipologie
strutturali dell’archivio.

L’applicazione della periodizzazione agli archivi postunitari


Questo principio è stato principalmente applicato agli archivi preunitari, dove eventi storici, politici,
istituzionali e burocratici hanno fornito linee guida chiare. Un esempio evidente di applicazione di questo
principio è presente nella "Guida Generale degli Archivi", dove l’individuazione di tale principio ha
permesso di creare un mezzo di corredo metodologicamente uniforme.

Tuttavia, si ritiene che anche per la documentazione postunitaria sia possibile utilizzare la periodizzazione.
Infatti se analizziamo le vicende politiche, istituzionali e burocratiche dello Stato Italiano dall’Unità ad oggi
vi sono veri e propri momenti di cesura, ovvero una divisione del materiale archivistico causata da un
cambiamento politico, istituzionale e burocratico. La periodizzazione consente di creare serie archivistiche
"chiuse", offrendo diversi vantaggi:

- poter assegnare alla consistenza archivistica una propria definitiva collocazione;


- poter procedere alle operazione di riordinamento senza incorrere nelle preoccupazioni derivate
dalle ordinarie variazioni;
- poter attribuire alle singole unità archivistiche una numerazione a catena, che consiste nell'attribuire
una numerazione continua alle unità archivistiche, garantendo una migliore conservazione,
gestione e fruizione della complessità archivistica;
- poter procedere ad operazioni di inventariazione.

Una periodizzazione idonea sugli archivi post-unitari può essere individuata a partire dalla data del 1
gennaio 1948 con l'entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, che arrecò l'introduzione di alcune
sensibili modificazioni nell'apparato amministrativo.
Si potrebbe avere dunque una separazione all'interno del materiale archivistico postunitario dando vita a
due nuclei rappresentati da:
- archivio del Regno d'Italia (fino al 31 dicembre 1947);
- archivio della Repubblica Italiana (dal 1 gennaio 1948).

I mezzi di corredo e gli strumenti per la ricerca

Entrambi i casi sono elementi descrittivi che svolgono la funzione di strumenti per la gestione e la
consultazione degli archivi.
Attorno a questi elementi si sono aperti molti dibattiti, ma colui che meglio è riuscito a trovate una soluzione
è stato Alessandro Pratesi, il quale afferma che esistono due lavori:
1) Quello in funzione dell’archivista;
2) Quello in funzione di altre discipline.

A queste due tipologie di lavoro corrispondono:


1) i mezzi di corredo→ illustrano gli archivi considerati nella loro struttura organica. Nella sua fase
costruttiva esso deve essere ha il solo obiettivo di rappresentrare la struttura dell’archivio e non
deve riguardare né le esigenze dell’archivista né quelle degli studiosi; invece quando esso si è
formato potrà adattarsi alle esigenze dell’archivista e del ricercatore, apportando modifiche in base
alle loro necessità.
2) gli strumenti per la ricerca→ devono essere utilizzati di conseguenza ai mezzi di corredo e hanno
lo scopo di agevolare le ricerche che si rivolgono ad alcuni settori specifici dell’archivio.

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ARCHIVISTICA GENERALE

Altre differenze:
1) se i mezzi di corredo vengono usati correttamente non ci sarà la necessità di usarne un altro;
2) anche se per lo stesso archivio sono presenti già tre, quattro o cinque strumenti per la ricerca ne
possono essere realizzati altri per soddisfare ulteriori scopi.

I mezzi di corredo
Essi sono quegli strumenti che illustrano gli archivi considerati nella loro struttura organica. All’interno di
questo schema si differenziano diverse tipologie di mezzi di corredo, che si caratterizzano in base al loro
più o meno incisivo collegamento con l’archivio quale complesso organico:
- prima tipologia: mezzi archivistici che si riferiscono agli archvi in senso tecnico, ossia quelli che
presentano un vincolo naturale, anche se non sempre questo è evidente (archivi propri e impropri).
In questo caso l’archivista dovrà creare:
a. mezzi di corredo primari→ sono mezzi di corredo che si riferiscono direttamente all’archivio in
senso tecnico (elenchi, guide e inventari);
b. mezzi di corredo sussidiari→ sono collegati direttamente a quelli primari e permettono una
conoscenza più articolata dell’archivio (indici, rubriche e repertori);
c. mezzi di corredo complementari→ realizzati per scopi scientifici attinenti ad altre discipline, come
la diplomatica (sunti, trasunti, registri e trascrizioni)
d. mezzi di corredo atipici→ si riferiscono alle “raccolte” e per questo richiedono un trattamento
particolare (cataloghi).

I mezzi di corredo primari

Elenchi
È il mezzo di corredo più semplice che viene usato occasionalmente per compiti specifici, come reperire
velocemente un documento o avere un’idea generale del contenuto dell’archivio. Esso in particolare
consiste nella descrizione del materiale archivistico. Tale descrizione deve comprendere:
- la numerazione progressiva dell’elenco;
- la consistenza delle unità archivistiche, attribuite al numero progressivo dell’elenco;
- la tipologia delle unità archivistiche, che possono essere singole o in serie, con distinzione tra
legate e sciolte;
- il contenuto delle unità archivistiche;
- gli estremi cronologici riferibili alla singola unità.

L’elenco viene redatto per rispondere a funzioni pratiche, amministrative e giuridiche, dunque accanto al
termine “elenco” si inserisce la sua funzione: un esempio sono gli elenchi di consistenza, che sono stati
creati per conoscere la quantità della documentazione.

Tuttavia in linea generale l’elenco può essere redatto secondo diverse modalità, per questo esistono tre
tipologie di elenchi:
1) analitici→ nella descrizione le unità archivistiche vengono riportate singolarmente;
2) sommari→ il materiale viene descritto raggruppando le unità in più serie, ossia in blocchi tematici
omogenei.
3) misti→ le soluzioni prima citate vengono applicate alternativamente, dunque in questo modo le
unità archivistiche sono descritte in serie o singolarmente.

Esempi: prendiamo in considerazione l’archivio di un Comune:


1) documentazione urbana, autorizzazioni edilizie, registrazione delle nascite, aggiornamento dati
residenti;

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ARCHIVISTICA GENERALE
2) documentazione urbanistica e anagrafe
3) documentazione urbanistica (documentazione urbana e autorizzazioni edilizie) e Anagrafe
(aggiornamento dati residenti e registrazione delle nascite).

La Guida Archivistica
Si tratta di un mezzo di corredo primario di livello intermedio che ha lo scopo di fornire informazioni
generali nei riguardi di un archivio.
Essa ha una struttura più complessa rispetto a quella dell’elenco e presenta elementi che corrispondono a
quelli dell’inventario, ma rispetto a questi si presentano in modo più sintetico.
L’esempio più illustre di guida realizzato in Italia è la Guida degli Archivi di Stato Italiani, in quattro tomi e
ora disponibile anche su internet. Essa è la rappresentazione del lavoro condotto per oltre un trentennio
dall’Ufficio centrale dei Beni Culturali.

In generale la guida archivistica contiene i seguenti elementi:


- denominazione dell’archivio o il nome dell’istituzione che lo contiene, con indicazione del luogo di
conservazione e di tutte le notizie utili per accedervi, compresi anche gli orari di apertura;
- brevi notizie storiche riguardanti il soggetto produttore e l’ambiente di sviluppo, insieme ad una
breve storia dell’archivio;
- brevi illustrazioni delle serie archivistiche presentate;
- sezione descrittiva, molto sintetica. Essa comprende: il titolo della serie, la consistenza, gli estremi
cronologici ed una sintetica indicazione delle competenze;
- apparato critico, contenente le indicazioni bibliografiche relative al fondo (=raggruppamento)
descritto;
- indici dei fondi archivistici illustrati.

Ogni parte della guida risulta essere rilevante, per questo tale mezzo di corredo deve essere preso in
considerazione nella sua globalità: ogni elemento, pur avendo una propria autonomia, assume un vero
significato poiché è collocato in un contesto generale che si caratterizza per quella organicità che è la
stessa che infondo caratterizza l’archivio stesso.

Anche in questo caso esistono varie tipologie di guide:


- guide generali→ si riferiscono ad ambiti territoriali ed istituzionali molto vasti;
- guide specifiche→ si rivolgono a singoli archivi o soggetti produttori;
- guide topografiche→ si riferiscono al luogo di collocazione del materiale;
- guide tematiche→ Sono a cavallo tra i mezzi di corredo e gli strumenti per la ricerca.

Inventario archivistico
Nella scala di valori dei mezzi di corredo l’inventario assume il livello più alto in quanto è la massima
espressione del lavoro archivistico.
L’inventariazione si realizza come momento conclusivo dopo che l’archivista ha effettuato operazioni
complesse sia in riferimento al riordinamento che alla descrizione.

Il lavoro per la redazione di un inventario è costituito dalle seguenti operazioni, che vengono svolte prima
dell’analisi del contenuto delle carte ma che si concluderanno solo in un secondo momento:
- una ricerca per conoscere i problemi storici generali o particolari;
- una ricerca per conoscere i problemi istituzionali generali e particolari o locali;
- una ricerca per conoscere la storia del soggetto produttore ed alla sua appartenenza a speciali
categorie;
- una ricerca per conoscere la struttura istituzionale del soggetto produttore e della società ad esso
attinente;

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ARCHIVISTICA GENERALE
- una ricerca per conoscere le strutture amministrative e burocratiche relative al soggetto che ha
realizzato l'archivio;
- una ricerca per conoscere le vicende dell'archivio nelle fasi formative, in quelle di crescita e in
quelle successive.

Tutte queste operazioni sono utili soprattutto per comprendere a pieno il significato delle carte che saranno
riordinate e descritte, ma anche per conferire all’inventario stesso una sezione descrittiva che possa dare
un’idea della documentazione ancor prima di accedere alla descrizione di questa.

La struttura dell’inventario è costituita da più ripartizioni che comprendono:


- note introduttive→ contengono gli elementi raccolti per conoscere i problemi storici, quelli per
conoscere la categoria dell’archivio, quelli legati alla struttura del soggetto produttore e quelli relativi
alla storia dell’archivio;
- sezione descrittiva: i cappelli→ ogni serie deve essere preceduta da un capello, che ha il compito
di illustrare la struttura e le caratteristiche istituzionali del soggetto produttore, oppure i cambiamenti
burocratici e organizzativi. I cappelli dunque contengono le notizie relative alle serie e non devono
avere né la forma dei trattati, né devono essere troppo brevi: devono possedere una forma
equilibrata;
- sezione descrittiva: descrizione→ è il risultato di quel lavoro di schedatura che assume significato
particolare per essere il momento conclusivo di un lavoro di riordinamento. Essa si compone di:
a. intitolazioni;
b. descrizione della struttura fisica dell’unità archivistica;
c. vecchie segnature;
d. i vari contenuti, con distinzione tra contenuto principale e contenuto secondario;
e. estremi cronologici.

Inoltre nell’inventario le unità archivistiche sono descritte con una numerazione progressiva a corsa/ a
catena. Esso poi è costituito da altre sezioni che fuoriescono dalla scheda tecnica e che si occupano di:
- indicizzare i nomi di luoghi, persone e istituzioni che compaiono nelle sezioni del mezzo di corredo;
- inserimento di una nota bibliografica.

Anche gli inventari si suddividono in analitici, sommari e misti in base al loro livello di approfondimento.
descrittivo.

La fruizione

Si tratta di un’ulteriore procedura che viene svolta durante la terza fase e risulta essere particolarmente
importante perché rappresenta la finalità per cui gli archivi si conservano. In realtà l’archivio può essere
comunicato anche nella fase corrente e in quella di deposito, ma per motivi strettamente pratici, giuridici e
amministrativi. Qui invece viene fruito affinché possa soddisfare le esigenze di studio dei ricercatori.

Motivazioni della fruizione


- fase corrente e fase di deposito→ l’accesso per fini pratici, amministrativi e giuridici è regolato dalla
legge 241 del D.P.R. del 7 agosto del 1990;
- sezione separata→ l’accesso per motivi culturali e storici è regolato dal Codice dei Beni Culturali
nel Titolo II ed al Capo III.

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ARCHIVISTICA GENERALE
→ fruizione dei documenti conservati negli Archivi di Stato e negli Archivi storici degli Enti Pubblici: essi
sono tutti accessibili tranne:
1) quelli dichiarati di carattere riservato relativi alla politica estera o interna dello Stato (es: piani di
emergenza). Essi possono essere consultati dopo 50 anni;
2) quelli contenenti dati sensibili, ossia i dati relativi a provvedimenti penali. Essi diventano consultabili
dopo 40 anni. Se però i dati rilevano lo stato di salute, la vita sessuale o le relazioni familiari
divengono consultabili dopo 70 anni;

In realtà c'è la possibilità di consultare, prima dei tempi sopra riportati, la documentazione riservata ma
rispettando una particolare procedura per la quale il Ministero dell’Interno autorizza tale operazione, anche
se questi documenti non possono essere diffusi.
Tuttavia la normativa attuale del Decreto Legislativo 281 del 30 luglio 1999, che contiene le disposizioni in
merito alla consultazione di dati personali per fini scientifici, storico-culturali, afferma che se il trattamento di
tali dati comporta un rischio di lesione alla riservatezza personale allora può essere attuato un blocco.
La disposizione innovativa ha regolato la consultabilità per scopi storici degli archivi correnti e di deposito.

Dunque per la fruizione di archivi pubblici statali e non statali vi sono più soluzioni:
- per gli archivi correnti e di deposito si può accedere maggiormente per fini pratici, amministrativi e
giuridici, con procedure che devono rispettare la legge 241;
- per gli archivi storici si può accedere tenendo presenti le limitazioni spiegate prima, sia per interessi
amministrativi, pratici e giuridici ma anche per interessi storici-culturali.
→ fruizione di documenti di privati dichiarati di interesse storico: l’attuale normativa afferma che i proprietari
devono permettere agli studiosi e ai ricercatori, che facciano una motivata richiesta al Sovrintendente
archivistico, la consultazione dei documenti. Le spese sono a carico dello studioso.
Tuttavia non sono consultabili:
- i documenti di carattere riservato
- i documenti che sono stati acquisiti per eredità e che sono stati indicati non fruibili da chi ha
effettuato l’atto nel rispetto del limite del settantennio.

L’archivio e l’informatica

Sin dal momento in cui l’informatica negli anni 80 ha messo piede nel mondo archivistico si sono avuti molti
dubbi se il suo utilizzo potesse essere positivo o negativo. Infatti da una parte ha portato molti vantaggi,
come il rendere la fruizione più immediata, ma allo stesso tempo problemi che potremmo definire
“esistenziali”.
A lungo si è portato avanti il dibattito, a livello internazionale ed ancora in corso, tra coloro che ritenevano
che l’archivistica sarebbe stata sostituita dall’informatica e coloro che invece ritenevano che quest’ultima
non avrebbe portato alcun mutamento alla natura dell’archivio.
→ il primo cambiamento che si è avuto con l’introduzione dell’informatica è stato il cambiamento della
natura del supporto, che da materiale concreto e tangibile è divenuto un contenitore fisico all’interno del
quale i dati vengono raccolti su coordinate spazio-temporali completamente diverse, risultando così non
tangibili.
→ un elemento che rimane uguale nella definizione di archivio traslata in un contesto informatico sono le
scritture, in quanto, seppur con altra metodologia, sui supporti tecnologici si hanno comunque forme
scrittorie.
→ ciò che invece cambia sono i concetti di complesso e di vincolo. Esso è sempre presente nell’archivio
cartaceo, anche se spesso non viene facilmente riconosciuto, specialmente negli archivi depauperati dal
soggetto produttore. Invece per quanto riguarda l’archivio informatico i documenti del soggetto produttore
confluiscono in un contenitore, in cui essi non hanno un ordine e dunque non è possibile individuare il
vincolo.

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ARCHIVISTICA GENERALE
Dunque tale vincolo non è frutto di un processo progressivo, ma viene creato dal programmatore
informatico, il quale simultaneamente è capace di conferire varie modalità di organizzazione dei documenti.

Con l’introduzione dell’informatica in archivistica sono nati due tipologie di vincolo:


- vincolo naturale puro→ ossia quel vincolo che si crea in conseguenza della naturale attività del
soggetto produttore;
- vincolo naturale impuro→ ossia quel vincolo che si forma in seguito ai criteri che ogni soggetto
produttore impone per organizzare la propria documentazione.
Tale vincolo si riconosce sia nell’archivistica tecnica, in quanto uno dei sistemi di gestione dell’archivio è il
Titolario di classificazione, che grazie alle sue schematizzazioni permette di creare delle linee guida per
organizzare la testimonianza della naturale attività del soggetto produttore. In questo caso però ad operare
è un archivista addetto in tale lavoro. Inoltre tale vincolo si riscontra anche negli archivi informatici, pocihé t
qui la documentazione viene organizzata, come abbiamo detto prima, dal programmatore informatico
tramite specifici criteri gestionali. La differenza tuttavia è che qui ad operare non è un addetto archivistico
ma un addetto informatico, dunque qualcuno che non ha un’esperienza archivistica alle spalle.

Affinché si possa parlare di lavoro corretto:


- l’archivista dovrebbe fornire all’informatico gli elementi base per la realizzazione di un programma
in cui si configura l’ordinamento originale della documentazione;
- l’informatico dovrebbe fornire soluzioni nell’ambito della virtualità.

Questo è riferibile soprattutto per gli archivi elettronici in formazione e con il tempo si arriverebbe anche
alla fase di deposito e quella storica.
Solo così facendo si può andare a costruire un archivio con un vincolo naturale determinato
preliminarmente.

Tuttavia il vincolo che lega la documentazione elettronica del soggetto produttore potrebbe mutare aspetto:
infatti il vincolo non sarebbe più unico, e conseguentemente sarebbero presenti più vincoli naturali. Questo
perché nella programmazione informatica esistono molteplici modalità organizzative e dunque non si ha
uno schema unico e uniforme. Perciò nella fase di conservazione vi sono più vincoli potenziali e virtuali,
che sono stati tutti preordinati in conseguenza alle potenziali risoluzioni in fase di programmazione, e che
di volta in volta vengono materializzati.

Dunque negli archivi informatici siamo di fronte ad un vincolo naturale impuro, ed è definito “impuro”
proprio perché recepisce il carattere della molteplicità di soluzioni organizzative che sono precostruite e
dunque si oppongono a quella unicità e a quel processo naturale di ordinamento.

Archivi informatici
Essi sono archivi che sono nati direttamente sul supporto informatico e dunque sono diversi dagli archivi
informatizzati, che invece sono archivi riprodotti da un originale cartaceo.

L’archivio, il supporto e gli audiovisivi

Osservazioni sulla funzione del supporto


Il concetto di archivio si è sviluppato anche grazie ai supporti, che condizionano le sue modalità
espressive.

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ARCHIVISTICA GENERALE
Le caratteristiche del supporto inoltre incidono profondamente sulla natura dell’archivio e guidano l’attività
del soggetto produttore che si rivolge verso la società esterna, contribuendo a preservare la memoria di
tale attività.

Nonostante ciò i supporti non sono mai stati presi davvero in considerazione dai teorici dell’archivistica,
che invece hanno riposto la loro attenzione maggiormente sull’anima, ossia sul contenuto degli archivi.
In effetti a lungo gli archivisti hanno discusso sul nome da attribuire all’anima dell’archivio: ad esempio
Ulpio Domizio l’ha indicata come “instrumenta”, oppure Servio Mauro e Cencetti come “atti”, Jenkinson
come “documenti”.
Tutte queste proposte oggi sono collegabili a tre categorie:
- documenti→ ha un’accezione alle rappresentazioni che sono la testimonianza dell’attività
dell’uomo. Tuttavia tale termine non è accettabile poiché non è del tutto soddisfacente;
- atti→ si riferisce a produzioni con valore prettamente amministrativo, andando così ad escludere gli
altri ambiti che rientrano nell’archivio. Dunque anche questo è da escludere;
- scritture→ il più adatto poiché non mostra discriminazioni verso determinate scritture e comprende
tutte le forme scrittorie, da quelle manuali a quelle informatiche.

Nonostante ciò bisogna fare attenzione all’utilizzo di quest’ultimo termine, poiché può avere delle peculirità
limitative riguardo elementi come le fonti audiovisive.

Gli archivi audiovisivi


Essi non vennero presi in considerazione nella definizione di archivio da Pio Pecchiai (1911), il quale
considera “archivio” tutto ciò che può rappresentare una documentazione (carte, volumi, disegni, fotografie
e metalli incisi). Egli inserisce in questa descrizione la fotografia quale archivio, ma non le fonti audiovisive
(film), che però verranno considerate 50 anni più tardi da Aurelio Tanoidi.

Il concetto di scritture
Il termine “scrittura” tuttavia non deve essere inteso nel suo significato letterale, ma quello esteso: dunque
ne fanno parte anche pensieri, azioni ed immagini. Le scritture devono dunque essere considerate un
insieme di elementi, riportate con modalità che possono essere sia manuali, sia tecniche, sia tecnologiche.
Tuttavia tali scritture possono far parte di un archivio, ma non tutte possono comporre la sua struttura di
base, ma possono comparire in esso come allegati.

Il termine scritture e la gestione informatica


Il termine “scritture” può includere diverse rappresentazioni su diversi supporti. Tra questi abbiamo la
tecnologia informatica, con cui possiamo inserire sia elementi informatici, come i testi, sia elementi grafici.
Questi supporti sono stati accettati per la loro capacità di rappresentare in modo rapido e semplice, tramite
riproduzioni manuali e meccaniche.

La radio
Il materiale audio è stato accolto con difficoltà, poiché c’è stata molta esitazione nel riconoscere insieme i
diversi tipi di materiale audio e soprattutto nell’individuare il collegamento tra il materiale cartaceo e quello
audio.

Tuttavia oggi si può accettare facente parte del termine “scritture” perché i suoni possono essere traslati in
testo, proprio come avviene nella gestione informatica. Perciò, divenendo testi scritti le fonti audio, esse
possono essere considerati veri e propri archivi.

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Le differenze nella capacità di trasformare un audio in scrittura non vanno ad incidere sul significato di
archivio, ma sulla validità che si può attribuire alle fonti così realizzate. Differenze di questo tipo si possono
riversare anche sui valori amministrativi e giuridici, che non incidono sul concetto di archivio ma ne sono
una conseguenza.

Le fonti visive
Anche esse come le fonti audio riscontrano molti problemi nell’essere considerate archivio.
Nel concetto di “fonti visive” rientrano:
- fotografie→ catturano immagini fisse con la luce e queste immagini possono essere assimilate a
scritture, azioni e pensieri.
- film→ grazie alle nuove tecnologie digitali si sono potute introdurre molte innovazioni.

Tuttavia, seppur possano essere considerati entrambi come “archivio”, risulta difficile comunque la loro
organizzazione, la loro gestione e la loro conservazione.

Gli allegati
Sono tutti gli elementi che, a seguito di procedure volontarie, possono essere comunque considerati facenti
parte dell’archivio.
Essi possono essere sia scritture che oggetti, e possono essere considerati parte dell’archivio se tra essi e
le scritture “normali” vi è una un ponte, ossia una correlazione strutturale.

Ad esempio: in un archivio di un musicista come allegati possono essere presenti violini e altri strumenti
che hanno una correlazione con le scritture principali del musicista stesso.

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